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1. Guardare verso Sud di Onofrio Romano pag

Prima sfida: guardare verso Sud

— di Onofrio Romano

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professore associato di Sociologia all’Università di Roma Tre

In Puglia abbiamo la connivenza dell’innovazione scintillante e dell’inferno criminale. Queste due facce stanno nello stesso paradigma nascono dalla stessa condizione di perifericità europea. Bisogna cambiare orizzonte e guardare ai Paesi del Mediterraneo e dell’Est per costruire spazi, mercati e politiche industriali —

Se penso alla Puglia e a come sono andate le cose in questi anni la mia visione è molto critica. Parliamo di anni importanti, riconosciuti come anni straordinari se pensiamo alla Primavera pugliese che ha prodotto grandi cambiamenti politici,

sociali ed economici. L’immagine prevalente è quella di una Puglia risollevata, che costituisce un modello per il Mezzogiorno, che ha generato una vera rinascita. Ho seguito molto da vicino questi processi come studioso, ho contributo anche alla nascita dell’associazione Bari Partecipa.

Non possiamo limitarci a descrivere la Puglia elencando i suoi punti di forza e i suoi punti debolezza, creando una sorta di dualismo tra cosa funziona e cosa no, pensando che la sfida sia come contaminare ciò che non funziona con quello che L’errore è pensare di funziona. Se la poniamo così, contaminare le cose che non rischiamo di non capire quelvanno applicando il modello di la che è la profonda solidarietà quello che funziona: sono le due di queste due facce, che non facce della stessa medaglia sono due forze che si combattono fra di loro, ma due modi di interpretare e di restare dentro una condizione di perifericità. La Puglia è una regione del Sud, una delle aree più in ritardo di sviluppo nell’Unione europea. Di fronte a questa perifericità riprendo un’avvertenza di Franco Cassano: o inferno mafioso o paradiso turistico. Queste due facce stanno nello stesso paradigma, sono due modi differenti, due perversioni che derivano proprio da una condizione di perifericità. E non è premendo l’acceleratore sul paradiso turistico che emendiamo, in qualche modo, l’inferno mafioso. Sono semplicemente due versioni di una stes-

sa derivazione. Penso che la politica in questi anni, mi riferisco in particolare al progetto della Primavera pugliese per come si è sviluppato, abbia lavorato all’esaltazione di questa finta dicotomia. Il pensiero meridiano di Franco Cassano è stata fonte di ispirazione di quel progetto, ma non sono stati approfonditi bene i contenuti di quel testo, che ci portavano ad interpretare il Mezzogiorno non come il “non ancora” della modernità, non come un territorio in cui bisognava spendere tutte le energie per farlo diventare come il Nord, come la buona Europa. L’idea era quella di far emergere le potenzialità del Mezzogiorno per costruire un paradigma differente, non oppositivo rispetto a quello moderno, ma con un’altra modalità di stare al mondo. La Primavera pugliese ha usato questa bandiera, ma poi il pensiero meridiano è diventato una sorta di motore motivazionale per alimentare la battaglia di sempre, cioè che il Mezzogiorno deve diventare ricco, attraente, bello come il Nord. E gli esiti di questo tipo di traiettoria applicati ad una periferia possono essere dirompenti. Abbiamo finito per “selezionare” all’interno della regione il meglio, disoccupandoci della media, della massa, del regime ordinario delle cose. Abbiamo costruito un’immagine molto forte della Puglia a livello internazionale, apprezzata dalle diverse élite, e tutto questo ci ha dato l’illusione di essere arrivati. Il problema è che quanto di tutto questo va a migliorare il tessuto sociale, a dare una prospettiva di vera e propria emancipazione, di libertà, di maggiore consapevolezza alle masse?

Questa discrasia la vediamo dai dati. Sui giornali vantiamo molto spesso successi nel turismo, nell’innovazione, nelle startup, che sono successi qualitativi, ma se andiamo a guardare i dati quantitativi della disoccupazione o quelli economico-sociali che normalmente utilizzano economisti e sociologi per capire la condizione di un territorio, emerge che la Puglia dove stava prima sta ancora oggi. Quello che sta emergendo è una forma totalmente rinnovata di dipendenza dal pubblico. Parlo non solo delle startup, che finiscono per produrre imprese estremamente precarie con una vita media molto bassa, ma di tutte quelle strutture nate sotto i migliori auspici ma che si scontrano contro l’inesistenza del mercato. I governi di sinistra — dal Comune di Bari alla Regione Puglia — hanno investito tutto sull’autosufficienza del mercato, sulla sua sostenibilità. Ma di fatto in un’area depressa come la nostra non c’è mercato, non ci sono portafogli abbastanza pieni per poter alimentare un’offerta culturale così specifica, raffinata, articolata. Di conseguenza, anche le esperienze più forti e competenti sono in sofferenza, non riescono a sostenersi e questo spinge a bussare al finanziamento pubblico attraverso nuovi progetti, nuove misure, alla ricerca costante di flussi finanziari da captare.

La Puglia, insomma, ha scommesso sulla fuoriuscita dal suo stato di minorità sul lato dell’innovazione, della tecnologia, dei servizi. Su un lato molto europeo e moderno. Ma di questo ne hanno beneficiato alcuni strati molto elitari di popola-

zione, persone provenienti il più delle volte da famiglie estremamente istruite. Mentre alla grande massa chi ci pensa? Ci pensa il Reddito di cittadinanza, una forma residuale che constatata l’inefficacia del mercato, dello Stato, diventa una sorta di mancia per aiutare le famiglie che non ce la fanno economicamente. Ma se la politica pensa al cinema, al turismo, ai servizi elevati, la grande massa va dal Reddito di cittadinanza oppure si vota alla protezione dei poteri criminali. Per questo in Puglia abbiamo la connivenza dell’innovazione scintillante e dell’inferno criminale. La scommessa su Ma le cose sono profonda- innovazione, tecnologia e servizi mente solidali, perché se po- è stata vinta solo dalle fasce di liticamente pensi a lustra- popolazione più attrezzate. re la regione poi quello che Ma agli altri chi ci pensa? c’è sotto e non si vede continua ad espandersi. Il quadro, quindi, per quanto mi riguarda è a tinte fosche. C’è una strada da percorrere per uscire fuori da questa dicotomia. Le premesse sulle quali è nata la Primavera pugliese restano valide. Ormai in Puglia si sono avviati dei processi importanti che hanno generato anche un buon riscontro, che esercitano un’egemonia di impatto nell’immaginario. Ma dobbiamo superare questa discrasia: gli illuminati dall’alto che fanno politiche innovative e che non coinvolgono mai “il popolo”. Per questo, la prima cosa da fare, al di là di ogni idea o valore politico, è di

riprendere le redini della democrazia, a livello amministrativo e regionale. Bisogna ripartire dal coinvolgimento vero delle persone, dalla loro partecipazione politica, confrontandosi sui grandi valori, sui grandi temi, sugli indirizzi politici di un’amministrazione. Questo si può fare se coloro che oggi sono ai vertici delle amministrazioni trovano delle modalità per generare dei processi di partecipazione democratica, per aprire degli spazi. A quel punto molto cose si potrebbero fare. Come Puglia dobbiamo costruire una politica estera, Dobbiamo recuperare che non abbiamo. Dobbiamo spazi di partecipazione per i costruire una politica inducittadini. E per farlo occorre striale, che non abbiamo. Non dialogare con i nostri vicini del possiamo più convivere con il Mediterraneo e dell’Est paradosso continuo che vede le pagine dei giornali scrivere che il turismo va bene, che i b&b sono pieni, che abbiamo le migliori startup e poi invece all’Ilva di Taranto si registrano 14mila licenziamenti con tutto l’indotto. Quello dell’Unione europea è un modello economico che in periferia non può funzionare, perché è un modello ordoliberale basato sul mercato. Dobbiamo pensare, invece a spazi economici con i nostri vicini, con i Paesi del Mediterraneo, dell’Est, che ci consentano di costruire una politica industriale, dei servizi importanti per i cittadini e di allargare gli spazi di democrazia e di opportunità.

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