VARESEFOCUS 2/2023 - MARZO

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Varese

SERVE creatività

C’è sempre un filo conduttore che lega tutti gli articoli di un numero di Varesefocus. Quasi sempre questo elemento comune nel racconto del territorio, che prende vita nelle pagine e nelle varie rubriche di ogni edizione del nostro magazine, è l’impresa. Lo è anche questa volta. C’è ovviamente impresa nel focus di apertura dedicato al tema della logistica e dei trasporti come driver di sviluppo per la #Varese2050. C’è impresa nell’inchiesta che abbiamo voluto dedicare alla misurazione del benessere sociale del Varesotto. C’è impresa nel racconto del mondo del lavoro che cambia e che richiede nuovi modelli di welfare aziendale. C’è impresa nella formazione dei grafici e nella scienza e tecnologia declinata sia nell’ormai storica capacità industriale elicotteristica della “Provincia con le ali”, sia nella nuova frontiera della bioeconomia. Ma c’è anche tanta impresa in molti progetti sportivi ed educativi. Tutti temi di

cui parliamo ampiamente in questa nuova uscita della nostra rivista. Allo stesso tempo troverete nelle varie pagine, soprattutto in quelle dedicate all’arte e alle implicazioni che hanno in essa i passi da gigante che sta facendo la tecnologia GPT, un altro fil rouge: quello rappresentato dai dubbi amletici che pone l’avanzare dell’Intelligenza Artificiale (AI).

Qual è il ruolo della creatività in un mondo in cui le macchine hanno cominciato a pensare, a imparare, a essere predittive? Che ruolo può giocare la creatività nello sviluppo culturale, sociale ed economico delle nostre comunità? La risposta sta nel posizionamento che vogliamo dare alle persone nella costruzione di una nuova società che sappia interpretare le profonde trasformazioni in atto. Le persone al centro. Non uno slogan, ma un programma. Un’idea che deve concretizzarsi nella realtà con politiche di sviluppo, con progetti di formazione e con investimenti nell’alta formazione. La creatività delle persone è la chiave di volta nella crescita competitiva e nella costruzione di un nuovo benessere sociale che rischia, anche a Varese,

di essere eroso da una competizione senza quartiere sui vari campi di gioco della modernità. Servono talenti. Servono creativi, non solo nell’arte, ma anche nelle attività economiche e industriali. È sempre stata la nostra forza, sia come sistema Paese, sia come sistema Varese. Scuole di ogni ordine e grado, Its, Università del territorio devono sfornare creativi. È questa la loro missione. Quella delle imprese è di essere attrattive per farli rimanere qui e per farne arrivare da fuori. Tutto il Piano Strategico #Varese2050 che, come Confindustria Varese, abbiamo lanciato può essere riassunto in questo unico obiettivo da declinare nei vari settori che abbiamo individuato come fondamentali per la nostra crescita futura: cluster industriali, logistica e trasporti, turismo wellness, sport, cultura (soprattutto cultura d’impresa). Il nostro futuro si gioca su queste partite. Senza creatività, la capacità di gestione dell’Intelligenza Artificiale replicherà semplicemente modelli. Ciò di cui abbiamo bisogno è invece la conoscenza necessaria per dare chiavi interpretative innovative. E quindi capacità di programmazione, di visione, di estro e di immaginazione.

EDITORIALE

SOMMARIO

Varese UNIVERSITÀ

FOCUS

#Varese2050 decollerà con la logistica

Il mosaico di un settore al centro dell’Europa

Un traino anche per il lavoro

Come costruire un magazzino verde Mill può rappresentare la svolta

Presidente : Roberto Grassi

Direttore editoriale: Silvia Pagani

Direttore responsabile: Davide Cionfrini

Direzione, redazione, amministrazione:

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Le rotte di Malpensa per atterrare sul futuro

INCHIESTA

Progresso sociale: Varese è 28esima in Italia “E ora diamoci delle priorità”

Il Social Progress Index nel mondo

Che valore diamo al lavoro?

Progetto grafico e impaginazione: Paolo Marchetti

Fotolito e stampa: Roto3 srl

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Il numero è stato chiuso il 9 marzo

Il prossimo numero sarà in edicola con Il Sole24Ore l’8 maggio 2023

“Varesefocus” ospita articoli e opinioni che possono anche non coincidere con le posizioni ufficiali di Confindustria Varese. Valore di abbonamento annuo Euro 20,00 (nell’ambito dei servizi istituzionali dell’Editore).

Questa testata è associata a

La Lombardia sul podio dei brevetti green

Per una casa pulita ci vuole la scienza

SCIENZA & TECNOLOGIA

Com’è fatto un AW169M

Varese in prima linea sulla bioeconomia

RUBRICHE SU

LUOGHI E BELLEZZA

Il panettiere: un mestiere in via d’estinzione

Com’è nato il BAFF

Nel regno dei

Longobardi

Sboccia

la tulipanomania

Il welfare

è partecipazione

Il nuovo senso del lavoro Il faro di Roda

ECONOMIA

Il successo dei Break Formativi in A.C.S.A.

FORMAZIONE

Come disegnare il proprio futuro

L’impresa in cattedra

Ravo sfida l’Intelligenza artificiale

E se il quadro lo disegna GPT?

La rinascita dei mastini

Quando l’impresa punta sullo sport

RUBRICHE
CULTURA E DIGITALE Terza pagina In libreria Dal web Comunicare 48 50 42 52 54 90 92 95 96 6 10 14 16 18 20 22 26 28 30 33 37 40 44 46 58 63 66 69 72 76 78 80
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FOCUS LOGISTICAMENTE Varese

Continua il viaggio di Varesefocus nei contenuti del Piano Strategico #Varese2050. Cinque linee di azione proposte dalla Confindustria varesina per il rilancio competitivo del territorio. Dopo la presentazione del progetto di realizzare a Castellanza l’acceleratore di imprenditorialità Mill, dopo l’inchiesta su come dar vita ad un nuovo ecosistema dell’innovazione e dopo l’approfondimento sul valore dei cluster industriali, questa volta l’attenzione del focus si rivolge al settore della logistica e dei trasporti come driver di sviluppo per tutta la provincia. Non è solo questione di valorizzare Malpensa per quello che è: la più importante industria lombarda. Il Varesotto è al centro dei principali corridoi infrastrutturali europei, viari e ferroviari. Non è un caso, dunque, che in questa area si concentrino sempre più investimenti di molti operatori internazionali, con positivi impatti occupazionali. L’indotto è in crescita e punta sulla sostenibilità e la creazione di nuove competenze. Come testimoniano la prolificazione di nuovi corsi Its richiesti dalle imprese e i progetti del Green Transition Hub della LIUC – Università Cattaneo

#VARESE2050 DECOLLERÀ CON LA logistica

Investire sul settore delle imprese di trasporto e della movimentazione di merci e persone per farne un driver fondamentale per il rilancio competitivo del Varesotto. Questo uno degli obiettivi del Piano Strategico lanciato da Confindustria Varese. Non è solo questione di valorizzare Malpensa. Le potenzialità del territorio stanno anche nella sua posizione al centro dei più importanti corridoi europei, negli scali intermodali di rilievo presenti e nelle performance messe a segno dalle aziende del comparto negli ultimi anni. Sullo sfondo, rimane, però, il problema dell’accessibilità

6 FOCUS

Situata in una posizione strategica territoriale e culturale, da sempre crocevia del business al centro dell’Europa e del Nord Italia, la provincia di Varese ha una grande potenzialità in termini di attrattività del suo territorio. Conosciuta come la “provincia dei sette laghi”, Varese ha un paesaggio urbano e rurale eterogeneo e di grande pregio ma anche un ricco tessuto di imprese con una generalizzata cultura del benessere e dello sport (Varese anche nel 2022 si posiziona prima tra le 107 province italiane nell’Indice di Sportività). Centrale in questo quadro e fondamentale per lo sviluppo della sua competitività è il ruolo della logistica e dei trasporti ed in particolare, tra le varie infrastrutture,

apertura e mobilità internazionale.

A Varese quella della logistica e dei trasporti è oggi una delle specializzazioni a maggior potenziale di crescita, con tutte le carte in regola per affiancare il tessile, la meccanica, l’aerospazio o la gomma-plastica nell’albo delle specializzazioni, tipicamente manifatturiere, storicamente più distintive della provincia. 13.600 addetti locali che ne fanno il cluster a maggior concentrazione occupazionale della provincia e un volume di ricavi in crescita del 7,4% (CAGR – tasso di crescita annuale) negli ultimi sette anni, che lo rendono quello con le performance reddituali migliori tra tutte le principali specializzazioni del territorio trainato dalle ottime performance, in epoca prepandemica, di imprese operanti nei

sopra la media italiana in termini di dotazione infrastrutturale, con un valore superiore al 125,7 della Lombardia e al 100 dell’Italia. Inoltre, la sua posizione strategica, collocata al centro del Corridoio ferroviario (TEN-T) Reno-Alpi, che collega il Nord Europa al Porto di Genova, la rende uno dei principali snodi in Europa e in Italia per la movimentazione intermodale delle merci tra ferrovia e strada.

Tuttavia, una dotazione infrastrutturale così densa ha anche le sue fragilità, innate o per fattori esterni. Tra le principali si annovera una forte congestione delle

Le performance dei cluster della provincia di Varese: numero addetti locali nel 2019 (Elaborazioni di Strategique e Italia Compete su dati ISTAT)

dell’hub industriale sorto intorno all’aeroporto di Malpensa, non solo per i trasporti cargo, indispensabili per il rilancio delle esportazioni e del commercio internazionale in provincia, ma anche per il trasporto passeggeri, per favorire una vera

settori del trasporto aereo passeggeri, del trasporto merci su strada e della logistica multimodale internazionale.

Certamente aiuta anche il fatto che la provincia di Varese sia il territorio più “infrastrutturato” della Lombardia. Varese è infatti

reti autostradali e ferroviarie. Nel 2019, Varese si è dimostrata sopra la media lombarda per numero di veicoli circolanti per 1.000 abitanti e per densità delle reti stradali e ferroviarie, con un forte squilibrio tra una domanda di mobilità articolata

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Gli addetti dei principali settori produttivi del Varesotto

in diverse componenti e un’offerta insufficiente a sostenerla.

Risulta, inoltre, ancora troppo poco potenziato il legame con i centri logistici esistenti sul territorio e fuori (interporti, Genova, Trieste), fattore che rende necessaria una migliore connessione con altri territori e che ha mosso recentemente la proposta di estensione di una ZLS (Zona Logistica Semplificata) a Malpensa, ossia un’area a burocrazia ridotta che possa generare investimenti e sviluppo.

Infine, si sottolinea come nel 2020, gli effetti della crisi pandemica abbiano posto più che mai in luce la questione di come gestire problemi che persistono da anni: il collegamento dell’Aeroporto con il resto della provincia, il baricentro politico-gestionale spostato più su Milano e l’Aeroporto di Linate, la mancanza di convergenze decisionali e collaborative con la compagnia di bandiera e le altre compagnie territoriali, la giusta gestione del trasporto cargo.

Dunque, un aeroporto

internazionale che oggi è primo in Italia per trasporto merci e secondo per trasporto passeggeri, un hub internazionale, Cargo City, che può essere driver di sviluppo industriale non solo provinciale ma nazionale ed una crescita del cluster che ha superato ogni aspettativa e che fa certamente ben sperare per il futuro. Ma anche molte criticità che ne minano il potenziale e che richiamano alla necessità di una chiara linea strategica da adottare per guidare scelte ed investimenti. Ecco perché Confindustria Varese ha deciso di dedicare una delle cinque linee di azione su cui si basa il Piano Strategico #Varese2050, realizzato insieme alla think tank Strategique di Harvard, a “fare di logistica e trasporti i driver strategici per la competitività del territorio e l’accessibilità allo stesso, lo sviluppo degli scambi commerciali e il rilancio dell’economia”. In primo luogo, occorre fare della provincia di Varese il “Porto del Nord Italia e del Sud Europa” attorno a Cargo City, per un rilancio dell’export delle produzioni

di territorio, attraverso la creazione di un tavolo di lavoro multi-stakeholder permanente sul tema, che possa promuovere azioni di sistema tra il cluster dei trasporti e della logistica e tutti i cluster industriali del territorio, le istituzioni, le associazioni e la politica.

Per Confindustria Varese sarà di primaria importanza contribuire poi alla realizzazione del progetto “Masterplan Malpensa 2035”, proponendosi come driver dei progetti e creando nuove alleanze con gli stakeholder coinvolti per promuovere insieme il potenziamento, essenziale per il futuro della provincia, di infrastrutture e connessioni, l’ottimizzazione della gestione del traffico urbano e interurbano, soprattutto in logica di mobilità green e migliorando la mobilità di merci e

Performance dei cluster della provincia di Varese: variazione media dei ricavi su sette anni, 2012-2019 (Elaborazioni di Strategique e Italia Compete su dati AIDABureau Van Dijk)

FOCUS #VARESE2050 DECOLLERÀ CON LA LOGISTICA
Specializzazioni varesine: andamento dei ricavi
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persone da/verso Milano, da/verso la Svizzera e tra Nord e Sud della provincia.

Rientra in questa linea anche la promozione di un ecosistema di imprese e operatori dei trasporti e della logistica e l’attrazione di player internazionali best-in-class che vogliano investire nel territorio, sfruttando le sinergie con gli asset esistenti e beneficiare del tessuto economico così densamente popolato da imprese manifatturiere, per innescare percorsi di sviluppo sinergico.

E da ultimo, perché il territorio possa essere realmente attrattivo per individui che vogliano creare una famiglia, lavorare e fare impresa in

provincia di Varese, nonché attrarre gli investimenti di imprese e operatori della finanza che vogliano condurre i loro business nel territorio, è cruciale che gli asset strategici del territorio siano ottimamente connessi con il contesto locale, le aree vicine e i flussi internazionali. È questo, per esempio, il caso del progetto di costruzione di Mill – Manufacturing, Innovation, Learning, Logistics, un luogo del sapere e del saper fare attorno alla LIUC – Università Cattaneo di Castellanza. Coerentemente con quanto fatto nello sviluppo di altri campus universitari e hub dell’innovazione benchmark, la connettività quanto meno ciclabile e ferroviaria deve essere assicurata

dentro il plesso stesso e garantire collegamenti veloci e diretti con Varese, Milano e Malpensa.

Come detto, si tratta di una linea strategica le cui azioni dovranno svilupparsi in collaborazione ed in sinergia con tutti i principali stakeholder territoriali coinvolti, quali chiaramente l’Aeroporto di Milano-Malpensa e Sea, ferrovie ed autostrade, ma anche le principali imprese ed operatori logistici, la Regione, la Provincia, la Camera di Commercio ed il sistema Confindustriale tutto, per dar corpo, come per tutte le altre linee di #Varese2050, ad un rilancio collaborativo della competitività del territorio.

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Il mosaico DI UN SETTORE AL CENTRO DELL’EUROPA

La convergenza di sistemi stradali, ferroviari e aerei che crea, anche grazie a Malpensa, un potenziale di sviluppo dell’intermodalità come in poche altre aree d’Italia. La presenza di grandi operatori internazionali come Ups, FedEx, Dhl, Hupac e Amazon. L’indotto che si allarga a numerosi medi e piccoli operatori per migliaia di posti di lavoro. La provincia di Varese è, a tutti gli effetti, terra di trasporti. Ma per continuare a crescere ha bisogno di una politica industriale che la collochi nel posto che merita nelle catene globali del valore

Al centro della viabilità d’Europa. Facciamoci caso, questa è la descrizione di qualsiasi area che voglia promuovere il proprio territorio. Che sia Milano, che sia Bergamo o più in là Brescia oppure che sia Novara sull’asse di una delle due direttrici di traffico Nord-Sud o Nord-Est Europa. Cos’ha Varese, o meglio l’area di Malpensa, di più e di diverso? Qual è la reason why che ha permesso al Varesotto di crescere così tanto e così velocemente? Tutto si tiene se andiamo a vedere, cartina alla mano, l’intreccio logistico che confluisce sull’area. Primo tra tutti, la provincia di Varese è posizionata geograficamente esattamente all’incrocio dei due corridoi Genova-

Rotterdam e Lisbona-Kiev, nonché all’interno delle reti trans-europee di trasporto (TEN-T). Quindi in un punto cardine del core network del continente, costituito da un insieme di infrastrutture lineari (ferrovie, stradali e fluviali) e puntuali (nodi urbani, porti, interporti e aeroporti). Questo è un dato di fatto. Cartina docet! Ma il vero plus è la convergenza dei sistemi che crea un potenziale di sviluppo dell’intermodalità che pochi riescono ad avere e il territorio varesino dovrebbe saper coltivare. Sempre guardando alla cartina, si notano le densità di convergenze di infrastrutturazione che privilegiano il Nord Europa (Olanda, Nord della Germania) rispetto alle aree del Sud Europa. Sono il retaggio della Lega Anseatica e della specializzazione

nei traffici intercontinentali che una volta erano navali ed ora sono aerei e terrestri. Uno sbilanciamento che il nostro Paese, anche in ragione della posizione geografica verso il Mediterraneo, dovrebbe recuperare. Da qui la necessità di puntare allo sviluppo armonico della vocazione logistica di alcuni territori. Alla felice congiunzione geografica si deve aggiungere anche la densità di popolazione e di imprese che confluiscono in quest’area e che ne fanno uno dei poli di grande sviluppo manifatturiero nazionale, ma anche europeo, con elevate potenzialità turistico naturalistiche.

Questo spiega la crescita del settore logistico nell’ultimo decennio. Infatti, come ben fa notare l’analisi del think tank Strategique svolta per

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FOCUS
11 Fonte Commissione Europea

IL MOSAICO DI UN SETTORE AL CENTRO DELL’EUROPA

il Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese, il cluster dei trasporti e della logistica, seppur registrando una lieve contrazione tra il 2009 e il 2019 degli addetti delle unità locali delle imprese attive (-1,0% di CAGR, Tasso composto di crescita annuale), risulta una delle filiere più dinamiche a livello reddituale, con una crescita media annua del fatturato pari al +7,4% tra il 2012 e il 2019. E dopo la frenata legata alle prime fasi della pandemia è diventato ancor più forte e cruciale, a partire dal 2020. Agli operatori locali tradizionali si sono aggiunti anche gli avamposti dei grandi operatori di logistica internazionali (come Ups, Dhl, Hupac e Amazon, ad esempio), ben abituati a selezionare i territori ad alto potenziale, che hanno valutato le alte capacità dell’area del Varesotto.

Il punto di forza di questo distretto logistico è però la interoperabilità, che nasce dall’avere un perno importante come l’aeroporto di Malpensa attorno al quale costruire, integrando con la distribuzione stradale e ferroviaria. Gli ultimi dati registrano nel 2022 più di 21 milioni di persone in transito (più del doppio del 2021), il secondo aeroporto per volumi di passeggeri su scala nazionale (dietro solo a Fiumicino, che ha registrato nel 2022 più di 29 milioni di passeggeri) ed il primo assoluto su scala nazionale per il comparto cargo, quindi merci (più di 721mila tonnellate trasportate nel 2022).

Circa il 70% del cargo nazionale.

Tutto ciò alimenta un fermento imprenditoriale nel settore logistico che si espande anche alla piccola e piccolissima dimensione degli operatori, agli spedizionieri sino ai corrieri.

Ma mai in un settore come questo ha senso valutare gli effetti sull’indotto. Basta pensare che, nel solo caso dell’indotto aeroportuale, gli studi condotti per Sea stimano tra impatti diretti, indiretti ed indotti

circa 40mila occupati attribuibili a Malpensa. L’effetto moltiplicatore sull’economia territoriale è quindi molto potente. Oltretutto il cluster della logistica che si sta delineando e rafforzando ha delle implicazioni favorevoli anche per gli altri cluster territoriali, rappresentando un caso emblematico di cluster trasversale ed abilitante (come raccontato nel numero di Varesefocus di febbraio 2023).

Una logistica efficiente e moderna, come ben è stato messo in luce dallo studio realizzato da GREEN - Bocconi per Confindustria Lombardia nel 2020, consente alle imprese manifatturiere di integrare meglio i propri processi produttivi con quelli distributivi, migliorando l’efficienza dell’intera catena logistica. Le azioni riguardano: sostenere nuovi livelli di automazione dei magazzini e dei centri distributivi; agevolare l’ammodernamento organizzativo e la digitalizzazione delle aziende di autotrasporto; favorire processi di trasporto più industrializzati e automatizzati (come ad esempio sistemi di tracking&tracing avanzati con control tower e valorizzazione dei meccanismi di controllo come RFID), anche attraverso la concentrazione degli hub intermodali e la loro modernizzazione (digitalizzazione dei terminal intermodali e automazione dei controlli lungo l’intera catena logistica, ad esempio).

L’aeroporto, poi, può essere a suo modo un veicolo di innovazione. Lo è quando programma, in armonia con il Lombardia Aerospace Cluster, lo sviluppo di vertiporti per ospitare la mobilità di nuova generazione (Advanced Air Mobility) in vista delle Olimpiadi di Milano Cortina del 2026. È il caso dei collegamenti previsti verso il villaggio Olimpico di Milano. Si fa così sperimentazione di uno dei primissimi casi di utilizzo di eVTOL (velivolo elettrico a decollo e atterraggio verticale) a livello nazionale. Lo sta diventando anche per l’importante progetto europeo con cui si candida ad ospitare velivoli a basso impatto ambientale e di nuova generazione come quelli ad idrogeno, che sono in via di sviluppo e costituiranno le flotte aeree del futuro.

L’importante progetto europeo di clean sky, che vede la collaborazione di Malpensa, aiuta ad avvicinare anche il tessuto imprenditoriale locale alle tecnologie dell’idrogeno. Sia in termini di costituzione di bacino locale di potenziali utilizzatori, sia ravvivando le opportunità di applicazione per il settore energy, così sviluppate nell’area del Sud della provincia di Varese e nell’Alto Legnanese. Quale miglior esempio di contaminazione tra cluster?

Diventa quindi importante che l’annidamento naturale delle imprese operanti nella logistica sia accompagnato dalla consapevolezza politica che il settore necessita delle opportune infrastrutture per favorirne l’intermodalità. Serve una politica industriale a sostegno di una visione del settore manifatturiero pienamente inserito nelle global value chain. E questo passa anche attraverso la realizzazione delle infrastrutture stradali e ferroviarie già programmate per completare la rete a supporto della massima efficienza dei gate internazionali e delle catene di fornitura locali e l’estensione dei servizi offerti dalle infrastrutture esistenti.

FOCUS
Nel solo caso dell’indotto aeroportuale, gli studi condotti per Sea stimano tra impatti diretti, indiretti e indotti circa 40mila occupati attribuibili a Malpensa.
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L’effetto moltiplicatore sull’economia territoriale è molto potente

Da BPER e SACE nuove linee a breve termine assistite da SupportItalia

Il Gruppo BPER Banca ha realizzato una nuova soluzione finanziaria, assistita dalla Garanzia SupportItalia di SACE, nel rispetto di quanto previsto dai Decreti-legge Aiuti, per assicurare continuità alle attività produttive ed economiche delle imprese italiane. Lo strumento che l’Istituto mette in campo permette di valorizzare al meglio le potenzialità offerte dalla Garanzia di SACE, il gruppo assicurativo-finanziario da 45 anni al fianco delle imprese italiane, che sarà possibile attivare

anche sulle aperture di credito in conto corrente rotative, con durata massima fino a 18 mesi. La garanzia SupportItalia di SACE a breve termine copre, a condizioni agevolate, fino al 90% le linee concesse dalla Banca e agisce quindi da moltiplicatore dei fidi concessi dalla Banca stessa consentendo l’erogazione di finanza aggiuntiva necessaria a coprire le attuali e crescenti esigenze di circolante derivanti dalla crisi russoucraina e del conseguente caro energia. Questa nuova soluzione

del Gruppo BPER Banca, supportata dalla Garanzia SACE, nasce con l’obiettivo di aiutare le imprese che stanno subendo tensioni di liquidità anche dovute all’incompatibilità tra i tempi di pagamento sugli acquisti delle forniture di gas ed energia e le tempistiche di incasso dei crediti derivanti dai cicli di fatturazione.

Davide Vellani, Head of Direzioni Imprese e Global Transactions di BPER Banca, dichiara: “Il Gruppo BPER Banca si dimostra ancora una volta partner strategico delle imprese italiane, scegliendo la soluzione finanziaria più adatta alle attuali esigenze di liquidità e di circolante. La solida collaborazione con SACE ci ha permesso di essere presenti con soluzioni nuove e non ancora presenti sul mercato”. Giammarco Boccia, Head Of Corporate Finance e Canali Indiretti di SACE, continua: “Il Gruppo SACE è da sempre impegnato al fianco delle imprese, anche e soprattutto nell’attuale contesto economico particolarmente complesso. Grazie alla consolidata collaborazione con il Gruppo BPER Banca e a questa loro nuova soluzione finanziaria, riusciamo oggi a sostenere ancora di più e meglio la liquidità delle imprese italiane”.

informazione pubblicitaria
Davide Vellani, Head of Direzioni Imprese e Global Transactions di BPER Banca

Un traino ANCHE PER IL LAVORO

ITS LOMBARDO MOBILITÀ SOSTENIBILE

Tecnici della logistica green, intermodale e integrata. Personale specializzato nella manutenzione di impianti, nella gestione e conduzione dei mezzi ferroviari e del trasporto aereo. Le opportunità sul territorio per trovare un’occupazione nel settore della movimentazione di merci e persone sono in crescita. Lo testimoniano i numeri dell’Its Lombardo

Mobilità Sostenibile e lo confermano le testimonianze delle imprese varesine che, oltre alle giuste e specifiche skill, cercano nei futuri collaboratori flessibilità e voglia di mettersi in gioco

Un settore su cui puntare per lo sviluppo di un territorio è anche un settore in cui far crescere la propria professionalità?

Certamente sì, a confermarlo sono proprio le imprese della logistica. E non solo. Gli stessi dati degli Its, gli Istituti Tecnici Superiori post diploma che preparano figure specializzate in svariati ambiti, sostengono la tesi. Sia a livello generale, sia nello specifico settore della movimentazione delle merci. Quasi il 95% di chi frequenta i percorsi dell’ITS Lombardo Mobilità Sostenibile, trova infatti posto in un ruolo coerente alle sue aspettative, entro un anno dalla fine del percorso di studi. Tecnici della logistica sostenibile, intermodale e

integrata. Personale specializzato nella manutenzione di impianti, nella gestione e conduzione dei mezzi ferroviari. Nel trasporto aereo. Queste le figure di cui si parla e di cui il sistema economico del Varesotto ha estremo e crescente bisogno.

Ma come cambia il mondo del lavoro in questi ambiti? “Oggi il settore, così come il mercato in generale, mostra un fabbisogno chiaro: da una parte servono tecnici altamente specializzati, dall’altra il trend delle richieste si sposta sulle persone in senso più ampio”, spiega Michele Fabbrini, Direttore della filiera formativa dell’ITS di Case Nuove. “L’attenzione delle imprese sempre più è posta non tanto sul mestiere specifico, ma sulle persone nella loro interezza, con le loro competenze trasversali.

Questo al di là che si specializzino nella costruzione, manutenzione o conduzione di mezzi di trasporto. La richiesta del mercato va in questa direzione e bisogna ri-pianificare la formazione per rispondere adeguatamente – precisa Fabbrini –. Da una parte nascono nuovi mestieri, dall’altra nuove esigenze: ad esempio, la comunicazione assume un ruolo fondamentale in un team, in particolare se internazionale. Senza dimenticare l’innovazione digitale. Pensiamo alle figure che movimentano le merci: il concetto di camionista, come lo abbiamo sempre inteso, è cambiato completamente. È diventato più flessibile perché le imprese hanno sempre di più l’attenzione alla qualità del lavoro, agli orari, allo stare bene di ciascuno. E più specializzato, perché l’alta tecnologia presente sui mezzi,

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pensata per renderli più efficienti e sicuri, deve essere usata nel modo corretto e questo implica conoscenze di alto livello. Il risultato è una figura professionale nuova”.

Di conseguenza l’offerta formativa viene studiata su misura e vengono sviluppati nuovi corsi Its o Ifts per le figure più svariate, come piloti o tecnici specializzati di mezzi, anche dell’aeronautica e del ferroviario. Corsi che permettono a giovani e meno giovani, uomini e donne, di “mettere le mani in pasta” già durante la formazione e che, garantendo un contatto diretto con le imprese, favoriscono spesso l’assunzione. E quali sono, nello specifico, le figure più richieste? “Le opportunità in un’azienda come la nostra sono varie: si va dalla comunicazione al marketing, fino alle risorse umane, ma ci sono sicuramente delle figure più legate al settore”, spiega Luisa Gecchele, Responsabile delle Risorse Umane di Fives Intralogistics. L’impresa di Lonate Pozzolo, oggi Gruppo internazionale, lavora proprio nel cuore della logistica, occupandosi di automazione industriale, di tutto quello che riguarda la movimentazione delle

merci all’interno di un capannone, dal software ai macchinari di smistamento. Tutti quei passaggi che il cliente finale non vede, ma che sono essenziali per portare un pacco rapidamente dall’ordine online al corriere che suona il citofono di casa. In tutte le case del mondo. “Le figure professionali che ricerchiamo costantemente sono due: i manutentori e chi si occupa del commissioning di impianti. I primi sono di solito giovani che arrivano da istituti tecnici o dagli Its, preparati sia nella meccanica che nella elettronica, che si occuperanno dell’automazione ordinaria e straordinaria di impianti già installati. I secondi, oltre alla conoscenza dell’automazione e dei software, che li porterà a gestire un progetto dall’installazione alla messa in servizio, devono essere persone disponibili a viaggiare. Va da sé che non sono solo le competenze tecniche ad interessarci, ma soprattutto l’attitudine delle persone”, precisa Gecchele.

“Anche per noi le figure con competenze logistiche sono interessanti, ma siamo aperti anche a chi non ne ha”, conferma Federico Rogora delle Risorse Umane di

Vector che, in linea con la filosofia della sua azienda, chiarisce: “Per noi conta soprattutto che una persona sia flessibile, abbia voglia di imparare e mettersi in gioco, sia proattiva”. Per il vettore internazionale di Castellanza, l’impegno sociale è prioritario e si concretizza nella promozione della genitorialità e nella valorizzazione delle differenze, testimoniata da un ricco medagliere di riconoscimenti, dal premio come miglior Pmi per le politiche inclusive Lgbt, a quello come Woman Value Company.

“Seguiamo da sempre questi ideali, ma certamente non è solo una nostra scelta: il settore della logistica è flessibile per definizione e cambia in fretta, più di altri. Creare un ambiente di lavoro sano è perfettamente in linea con questa velocità di innovazione. Inoltre, il tema oggi non è più ‘chi cercano le aziende’, ma ‘cosa cercano le persone nelle aziende’. Tutto questo si concretizza in mestieri che si evolvono: oggi il magazziniere, ad esempio, non è una persona che banalmente sposta un pallet, ma una figura professionale che usa la testa e ha delle responsabilità e sa mettersi in gioco. Ed è valorizzata”, conclude Rogora.

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Come costruire UN MAGAZZINO VERDE

Un sistema di rating per misurare la qualità e la fungibilità di un deposito. Un tool “user-friendly” per consentire di esaminare facilmente e velocemente il livello di sostenibilità del proprio modello logisticodistributivo. Un catalogo, a disposizione delle imprese, contenente best practice e soluzioni in grado di offrire una panoramica su come migliorare il proprio approccio “green”. Queste alcune delle progettualità portate avanti dal Green Transition Hub della LIUC, focalizzato sulla transizione ecologica del comparto logistico

Un magazzino per essere sostenibile deve possedere più di 20 specifiche caratteristiche. È preferibile che un’impresa scelga di comprare o allestire uno spazio adibito a stoccaggio che si trovi nelle vicinanze degli ingressi autostradali, per ridurre l’inquinamento atmosferico e acustico o per evitare il passaggio dei mezzi di trasporto nei centri abitati. Sarebbe opportuno prediligere un suolo occupato da siti dismessi, evitando di intaccare ulteriormente aree verdi, spesso, di origine agricola. Dotare il parco logistico di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici è una scelta ormai obbligata. Lo stesso vale per l’adozione di materiali di costruzione sostenibili, per l’istallazione di pannelli fotovoltaici e per l’utilizzo di

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illuminazioni a Led o luci a sensori. Queste sono solo alcune delle peculiarità che contraddistinguono un magazzino che possa essere definito “verde”.

A diffondere queste e altre best practice sulla transizione ecologica del comparto logistico è il Green Transition Hub (Gth) della LIUC – Università Cattaneo di Castellanza. L’impegno messo in campo e le attività concrete portate avanti su questo fronte sono molteplici. “Operiamo come centro di aggregazione di competenze e conoscenze relative ai temi della transizione green – raccontano Martina Farioli e Martina Baglio, rispettivamente Ricercatrice e Assegnista di Ricerca della Scuola di Ingegneria Industriale dell’ateneo –. Abbiamo lavorato ad alcune progettualità con l’obiettivo di individuare le tematiche di frontiera, ovvero temi inesplorati e nuovi, di interesse per le imprese e per il territorio, per poi condividere con la comunità i risultati di ricerca applicata”.

Un primo progetto a cui hanno lavorato le ricercatrici della LIUC si chiama VA.LO.RE (Valuation Logistics Real Estate). Si tratta, a tutti gli effetti, di un sistema di rating. “Questo indice è stato sviluppato in collaborazione con gli esperti dell’Advisory Board dell’Osservatorio sull’Immobiliare logistico (OSIL), per misurare la qualità e la fungibilità di un magazzino – spiegano Farioli e Baglio –. Attraverso questo strumento è possibile valutare l’indice di qualità rispetto a quattro dimensioni: la location, l’esterno, l’edificio e l’interno”. In questo modo è facilmente intuibile quanto il proprio magazzino sia adatto a svolgere una determinata funzione. Sia che si tratti di attività di logistica, di distribuzione o di trasporto. Un

indice che, ad oggi, sottolineano Farioli e Baggio, “è già stato applicato su oltre 250 magazzini in Italia, per un totale di più di 5 milioni di metri quadrati”. Un’altra azione operativa dell’Hub

è stata rinominata

Gleec (Green Logistics

Emissions & Externalities

Calculator): “Nasce con l’obiettivo di sviluppare un tool ‘user-friendly’ –specificano le ricercatrici dell’ateneo di Castellanza – che consenta di esaminare facilmente e velocemente il livello di sostenibilità del proprio modello logisticodistributivo, basandosi su standard internazionali come il framework

GLEC (Global Emission Logistics Council), ovvero l’unica metodologia riconosciuta a livello globale per il calcolo e la registrazione dell’impatto lungo la propria supply chain”. Uno strumento di simulazione che, a partire da alcuni dati, come per esempio fattori di emissione, tipologia di trasporti utilizzati, quantità di materiali trasportati, distanze percorse e numero di viaggi effettuati, permette sia di analizzare le emanazioni prodotte dai propri processi attuali, sia di valutare il risparmio di costo potenziale derivante dall’adozione di nuove soluzioni sostenibili.

Altra progettualità in capo all’Hub Gth riguarda la possibilità di aiutare e orientare le imprese e la comunità nei processi di adozione di pratiche di green logistics e fare chiarezza sulle attuali opportunità e prospettive disponibili. Da qui la creazione del Green Logistics Radar. “Questo

sistema mette a disposizione delle aziende un catalogo permanente e in costante aggiornamento di pratiche e di soluzioni per migliorare la sostenibilità nella logistica –precisano le ricercatrici della LIUC –. Questo strumento vuole fornire una panoramica oggettiva, rigorosa e di facile accesso a tutti coloro che sono interessati al tema della sostenibilità nei processi logistici. Chiarendo cosa sia possibile fare per rendere la logistica più ‘verde’”.

Grazie all’impegno dell’Hub dell’Università castellanzese le imprese logistiche, oggi, possono usufruire di strumenti concreti, ma anche sfruttare e cogliere opportunità future su cui puntare per raggiungere un buon grado di maturità sostenibile. “I prossimi passi – concludono le ricercatrici Farioli e Baglio – riguarderanno lo studio e l’analisi dei consumatori per capire in che modo si muovono nel mercato”.

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Martina Farioli
“Altra progettualità su cui ha lavorato l’Hub dell’ateneo riguarda la possibilità di aiutare e orientare le imprese e la comunità nei processi di adozione delle pratiche di green logistics e fare chiarezza sulle attuali opportunità e prospettive a loro disposizione. Da qui la creazione del Green Logistics Radar”
Martina Baglio

Mill PUÒ RAPPRESENTARE LA SVOLTA

La posizione geografica al centro dei principali corridoi logistici europei è un dato di fatto. Così come la presenza sul territorio di un importante polo intermodale, del più grande hub aereo italiano per il cargo e i crescenti investimenti dei principali operatori internazionali. Ciò che manca è la creazione di una strategia complessiva a livello di sistema integrato. Ecco come costruirla secondo Roberto Paciaroni, Presidente “Servizi infrastrutturali e Trasporti” di Confindustria Varese

a complementarità tra trasporto aereo e intermodale è una carta vincente che come territorio dobbiamo saper giocare a livello europeo”. Il Presidente del Gruppo merceologico “Servizi infrastrutturali e Trasporti” di Confindustria Varese e Direttore dell’hub logistico tra Busto Arsizio e Gallarate di Hupac Spa, Roberto Paciaroni, si riconosce appieno nella visione del Piano Strategico #Varese2050: “La creazione di Mill è

il tassello mancante nella costruzione di un sistema integrato dei trasporti in grado di trasformarsi in un cluster di imprese capace di trainare lo sviluppo locale”.

Quanto e perché è importante il settore della logistica per la provincia di Varese?

Il settore della logistica è strategico per la competitività di qualsiasi territorio. È un mondo spesso sottovalutato e poco percepito dall’opinione pubblica. In questo senso potremmo definirlo il dietro le quinte

del sistema economico. Poco visibile ma estremamente importante perché rappresenta l’indispensabile anello di congiunzione tra la produzione di un bene e il suo utilizzo. Senza un efficiente sistema logistico non può esserci un competitivo sistema manifatturiero. Varese e le sue imprese, in questo, non fanno eccezione, ma possono vantare un elemento in più: la posizione geografica ci pone al centro delle direttrici logistiche riconosciute a livello europeo tra le più importanti. Quella Nord-Sud (dal porto di Rotterdam a quello Genova) ed EstOvest (da Lisbona fino all’Estremo Oriente). Per questo il nostro territorio rappresenta un bacino importante e un ambiente ideale dove investire a vantaggio del presidio dei mercati internazionali di tutto il made in Italy, non solo del made in Varese.

Quali sono le potenzialità di crescita del trasporto intermodale sul territorio?

Uno dei principali volani di sviluppo potrebbe essere quello che nel tempo si è affermato come un problema strutturale: mi riferisco alla carenza ormai drammatica di autisti per il trasporto su gomma. C’è una domanda altissima da parte delle imprese del settore trasporti che sta portando ad un gap incredibile in confronto all’offerta di personale da parte del mercato del lavoro. Mancano all’appello migliaia di autisti. Anche

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l’inserimento di stranieri non basta a colmare il buco che si è creato. Ciò, per assurdo, è un’opportunità, soprattutto per le lunghe tratte, di dar vita ad un sistema più sostenibile basato sul passaggio dalla gomma ai binari. In questo scenario gli interventi previsti sulla rete ferroviaria da Luino fino a Gallarate e del settimo e ottavo binario sempre della stazione di Gallarate per i treni lunghi fino a 750 metri, così come i cantieri di adeguamento previsti anche tra Arona, Stresa e Ternate, possono rappresentare un altro fondamentale volano al settore intermodale.

Perché un operatore internazionale del peso di Hupac si è insediato nel tempo con investimenti importanti proprio sul territorio della provincia di Varese?

La vicinanza con Milano e il confine svizzero; l’alta vocazione industriale del territorio con l’inevitabile elevata domanda di trasporti; il facile accesso all’autostrada; l’estrema vicinanza con un aeroporto internazionale come Malpensa: questi i fattori che confermano la bontà di una scelta fatta ormai 30 anni fa.

Quali le possibili sinergie tra il trasporto intermodale e Malpensa?

Attualmente non ci sono cooperazioni dirette. Ma la compresenza sul territorio di un polo intermodale di rilievo e il più importante hub del cargo aereo del Paese offre una complementarità in grado di dare risposte a qualsiasi tipo di utenza. Al trasporto aereo si rivolge chi ha bisogno di movimentare merci di valore e legate al lusso o per le quali le tempistiche veloci di consegna sono un valore in sé. A quello intermodale (treno-gomma) si possono rivolgere tutte le altre imprese, con la possibilità di raggiungere direttamente da Varese qualsiasi direttrice europea. Siamo un sistema completo e dobbiamo farlo pesare a livello continentale, sfruttando quegli spazi di crescita che ci stanno offrendo le scelte di altri competitor.

Penso alla Germania e ai suoi operatori, maggiormente concentrati sullo sviluppo delle tratte Est-Ovest. Questo offre alla nostra logistica, compresa quella di Sacconago, ampi margini di sviluppo sull’altro asse: quello Nord-Sud. Serve però coesione e sinergia.

Quali sono le infrastrutture oggi mancanti per una maggiore attrattività del territorio?

Per una volta mi piacerebbe non fare l’elenco dei cantieri da ormai troppi anni aperti e mai chiusi e di quelli da ancor più tempo allo studio. Ciò che serve più di ogni altra cosa è un cambio culturale a livello politico. Le nostre infrastrutture hanno bisogno di stabilità. Non tanto di governo, in termini di durata degli Esecutivi, quanto piuttosto di programmazione. Una vera politica infrastrutturale la si costruisce con una visione di lungo periodo. E ciò nel nostro Paese è da sempre impossibile perché ogni cambio di maggioranza o ministri ha sempre comportato una modifica delle scelte passate. Si rimette sempre in discussione tutto, senza una logica di continuità. In uno scenario simile fare investimenti industriali nella logistica è un terno al lotto. È per questo che il modello infrastrutturale italiano è ispirato a modelli del passato. Senza programmazione non può esserci modernità. L’ultima capacità di visione in termini di infrastrutture è ferma ai Mondiali di calcio degli anni ‘90.

Come trasformare gli importanti investimenti fatti sul territorio in questi anni da varie realtà del settore (Hupac, Sea e Malpensa, Dhl, Amazon solo per fare degli esempi) in un sistema integrato, in un cluster in grado di fare da volano per lo sviluppo di tutto il Varesotto? Cosa manca per questo salto di qualità?

Manca l’elemento fondante di una nuova strategia da portare avanti a livello di sistema integrato e coeso. Un centro in grado di fare da punto di incontro tra il sistema della formazione e le imprese, tra progetti del mondo privato e programmazione politica. Un luogo in grado di saper cogliere e interpretare il grande fermento che sta caratterizzando il settore in questi anni. Penso ai numerosi investimenti di molti operatori internazionali, ai diversi corsi Its che stanno nascendo per intercettare le richieste professionali delle imprese, penso alla necessità di sviluppo di una logistica sempre più sostenibile. In questo l’idea del Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese di creare al fianco della LIUC – Università Cattaneo la cittadella del sapere e del saper fare Mill – Manufacturing, Innovation, Learning, Logistics coglie appieno le ambizioni e le potenzialità del nostro comparto. Il termine “Logistics” nel nome non è un aspetto secondario e pone la logistica al centro del futuro del territorio.

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LE ROTTE DI MALPENSA PER ATTERRARE sul futuro

Potenziare i voli intercontinentali e velocizzare i servizi cargo: queste le due grandi sfide da affrontare per la crescita dell’aeroporto varesino. Senza dimenticare la sostenibilità come unico comune denominatore di tutti i progetti in via di sviluppo: dai nuovi carburanti all’idrogeno, fino al volo verticale. Nei prossimi anni lo scalo della brughiera ridurrà le emissioni, sarà più silenzioso e ancor più connesso al resto del mondo. Intervista all’Amministratore Delegato di Sea, Armando Brunini

edo una Malpensa che continua a crescere, migliorando sempre più la connettività internazionale del territorio, uno scalo che prosegue sulla scia dello sviluppo. Non abbiamo più da tempo una compagnia aerea come hub carrier che si concentra sul nostro aeroporto, ma voli di lungo raggio alimentati da voli di corto raggio e questo non ci deve far sentire inferiori. La nostra missione, oggi, è quella di puntare sulle due connotazioni chiave che distinguono il nostro aeroporto dalla generalità di quelli italiani: da un lato, la forte vocazione ai collegamenti intercontinentali, dall’altro, la qualità

dei servizi a terra del cargo”. Così Armando Brunini, Amministratore Delegato del Gruppo Sea, la società che gestisce lo scalo della Provincia di Varese, oltre a quello di Linate, sulle strategie di sviluppo in atto per il futuro di Malpensa. Un aumento dei voli transoceanici per i passeggeri e una movimentazione di merci avio sempre più veloce: sono questi i due grandi focus dello scalo che, da quando la ex compagnia di bandiera Alitalia ha scelto di annullare i collegamenti dall’aeroporto varesino,

non è più da considerarsi un vero e proprio hub. Poco importa, ciò non ha inciso sulle potenzialità di crescita di un aeroporto come Malpensa che, non a caso, ha la leadership nazionale nel settore cargo, processando il 70% del totale delle merci in partenza dall’Italia; è il 2° scalo a livello italiano per numero di passeggeri transitati nel 2022; si piazza al 6° posto a livello europeo e al 9° su scala mondiale per numeri di Paesi

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Armando Brunini

con cui è collegato.

Dati, questi, che dimostrano, sottolinea Brunini, come “non sia necessario essere per forza un hub per poter servire e sviluppare un territorio importante come il nostro”. O per lo meno, non è questo il pilastro che regge lo scalo varesino. La sua crescita è favorita dalle caratteristiche che offre la posizione geografica: “Malpensa si trova in una zona strategica dell’Europa, non solo dell’Italia, densamente popolata, con un Pil pro capite elevato e ricca di imprese esportatrici”. Un po’ come a dire che per lo scalo della brughiera è naturale essere una porta di collegamento tra il Nord Italia e il resto del mondo. “Ad oggi, a livello europeo siamo in grado di arrivare quasi dappertutto – tiene a sottolineare il Ceo Brunini –. Ci mancano alcuni aeroporti americani, ma siamo collegati benissimo e direttamente con i Paesi del Golfo, Cina e India. È su questa linea strategica che vogliamo continuare a lavorare. Non sarà facile aumentare la nostra presenza in ulteriori Paesi, ma senz’altro incrementeremo il numero di voli e di collegamenti con altri aeroporti nei territori in cui siamo già presenti”.

In tutto ciò all’orizzonte c’è il 2035, anno a cui guarda il Masterplan, il Piano di sviluppo dello scalo varesino: “Speriamo che il parere della commissione VIA (Valutazione di

Impatto Ambientale, ndr.) sia positivo – sottolinea Brunini –, non siamo lontani dalla saturazione sul cargo. Se il parere fosse differente, sarebbe un forte freno ad un’infrastruttura strategica per il territorio e per il Paese”.

Malpensa d’altronde fa della sostenibilità un concetto cardine in testa ad ogni scelta: “È evidente che dobbiamo procedere verso la decarbonizzazione totale. Ci sono una serie di impegni presi per arrivare al Net Zero di gran lunga prima del 2050, la data fissata a livello europeo. Motivo per cui chiediamo delle politiche di incentivazione e non punitive”. Ciò a cui si riferisce Armando Brunini sono, ad esempio, le proposte presentate sul tavolo della Commissione europea, per bandire quei voli nazionali di corto raggio sostituibili con il trasporto ferroviario. Un’iniziativa, questa, che se si attuasse su larga scala, porterebbe a passi indietro nello sviluppo, senza significativi passi avanti nella tutela ambientale. Lo spiega così Brunini: “Se si bandissero tutti i voli di corto raggio in Europa (il 25% del totale) si abbatterebbe solo il 4% delle emissioni. Quelli più inquinanti sono i voli di lungo raggio che producono circa il 70% dell’anidride carbonica, ma limitarli significherebbe tornare al Medioevo con continenti come l’America e l’Europa non più collegati”.

Importantissimo per Brunini è semmai continuare a migliorare

l’accessibilità di Malpensa attraverso il collegamento con l’alta velocità ferroviaria, una richiesta da sempre del territorio.

Sorge spontaneo chiedersi, allora, come si potrebbero accompagnare gli attori del trasporto aereo verso lo zero delle emissioni. “La soluzione – chiarisce Armando Brunini – è quella di incentivare i cambiamenti tecnologici. Ad esempio: la costruzione dei vertiporti per l’utilizzo di eVTOL, mezzi elettrici tipo ‘air taxi’ a decollo e atterraggio verticale, per i voli di cortissimo raggio (si pensi ad un vertiporto per collegare Malpensa a Milano e a Varese), l’idrogeno per quelli di medio raggio e i Saf (i carburanti sostenibili) per quelli lunghi. Malpensa su quest’ultimo punto è già attiva grazie all’accordo con Eni e Dhl che da dicembre 2022 fa alcuni voli con miscele costituite anche da Saf. La strada sarà più lunga, invece, per l’applicazione dell’idrogeno su cui sta lavorando Airbus: l’unico costruttore impegnato a realizzare il primo aereo a idrogeno entro il 2035”. È qui che si inserisce Olga: il progetto, finanziato dalla Commissione europea, con cui Sea è impegnata a creare, entro il 2024, un impianto per l’alimentazione a idrogeno dei suoi mezzi di terra. Il primo caso in uno scalo che fa già immaginare una sua possibile evoluzione in una sorta di “hydrogen valley” attorno al sedime aeroportuale.

Sul futuro di Malpensa il Ceo di Sea è positivo: “Le previsioni per i prossimi anni sono buone. Seppur in un quadro incerto, vogliamo essere ottimisti perché i segnali da parte del mercato sono vivaci. Nel 2023, per quanto riguarda i passeggeri, ci avvicineremo parecchio ai numeri del 2019 fino a superarli nel 2024. Mentre, in ambito cargo, i livelli pre-Covid sono già stati superati. Il Masterplan, invece, stima di raggiungere nel 2035 circa 40 milioni di passeggeri, contro i 29 milioni del 2019 e 1,2 milioni di tonnellate di merci contro le 550mila registrate nell’anno pre-pandemico”.

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Progresso sociale: VARESE È 28ESIMA IN ITALIA

Davide Cionfrini e Francesca Cisotto

Sulle 107 province italiane il Varesotto è ai primi posti per capacità di soddisfare i bisogni essenziali e di garantire salute e benessere, mentre deve migliorare nelle opportunità che offre in termini di realizzazione personale. I risultati del Social Progress Index presentato da Confindustria Varese e sviluppato da IEC, l’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC – Università Cattaneo

Ventottesima sulle 107 province italiane per progresso sociale. È questa la posizione che assegna a Varese il Social Progress Index sviluppato da IEC - Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC – Università Cattaneo e presentato da Confindustria Varese. Misurare lo sviluppo del territorio andando “oltre il Pil”, oltre i semplici indici economici: questo l’obiettivo che l’associazione datoriale degli industriali varesini si è posta con questa ricerca che ha analizzato tre dimensioni principali del progresso sociale: bisogni umani fondamentali, fondamenti del benessere, opportunità. Per un totale di 12 componenti e 62 indicatori finali. Per ognuno un voto e un posizionamento di Varese in Italia e in Lombardia.

Risultato: Varese risponde bene ai bisogni fondamentali dei suoi cittadini e garantisce un buon livello di benessere tanto da attestarsi in queste due dimensioni, a livello nazionale, rispettivamente in 21esima e 20esima posizione. Meno bene, invece, la dimensione delle opportunità, che misura le possibilità dei singoli individui di raggiungere il proprio pieno potenziale. A questa voce, Varese si piazza a metà classifica: 49esima. Risultato finale per Varese nella graduatoria italiana sul progresso sociale: 28esima posizione, appunto.

Questi, dunque, i principali dati (ma non i soli) presentati da Confindustria Varese e ricavati attraverso il Social Progress Index che lo IEC ha sviluppato in qualità di partner in Italia dell’organizzazione no-profit Social Progress Imperative, fondata nel

2012, con sede a Washington. Un indicatore già oggi utilizzato in molte aree del mondo per impostare politiche di sviluppo sociale. Il Social Progress Index rappresenta, ad esempio, la tabella di marcia dei responsabili politici dell’Unione Europea per orientare i 350 miliardi di euro di spesa della politica di coesione. Nel distretto londinese Barking & Dagenham viene usato per la politica “nessuno venga lasciato indietro”. Per i sindaci di molte città degli Stati Uniti è lo strumento per definire le priorità in termini di investimenti. Ma le case history sono numerose in tutti i continenti: Sudafrica, India, Australia, Paraguay, Messico.

“Confindustria Varese attraverso il Piano Strategico #Varese2050 –spiega Fernando Alberti, Direttore dell’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC

INCHIESTA
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SOCIAL PROGRESS INDEX 23 IL POSIZIONAMENTO DI VARESE NEGLI INDICATORI DEL PROGRESSO SOCIALE

che ha redatto l’indice insieme ai ricercatori Federica Belfanti e Massimo Riva – si è incamminata lungo un articolato processo di riflessione collettiva per il rilancio della competitività del territorio della provincia. Ciò che è chiaro ormai a livello internazionale, e che è al centro del lavoro che, come Institute for Entrepreneurship and Competitiveness conduciamo nella rete creata dal Professor Michael Porter ad Harvard Business School, è che per progettare la competitività di un territorio non si può separare la prosperità economica dal progresso sociale. Il Social Progress Index è un indice che non solo ci consente di comprendere lo stato di salute della provincia sotto il profilo sociale e di confrontarla con altri territori vicini o simili, ma soprattutto ci guida nell’azione. La forza del Social Progress Index è infatti quella di indicare la via per azioni che sappiano rinforzare le forze e compensare le debolezze del territorio, completando le strategie identificate a livello economico e industriale”. La 28esima posizione di Varese nella classifica nazionale del progresso sociale è, dunque, il risultato finale di un’analisi di indicatori raggruppati in tre grandi dimensioni.

Dimensione 1 � Bisogni umani fondamentali: 21°

Rispetto a quasi tutte le altre province, Varese risulta offrire ai singoli un’ottima sicurezza personale, posizionandosi quarta a livello nazionale. Anche a livello idrogeologico la provincia di Varese assicura una buona protezione, sia in termini di rischio frane (attestandosi al nono posto), sia di rischio alluvioni (quindicesima in classifica). I punti deboli su cui recuperare terreno risultano, invece, quelli dell’assistenza medica di base e delle dispersioni nelle reti idriche comunali, dove Varese, negli ultimi 10 anni, ha perso diverse posizioni.

Dimensione 2 � Fondamenti del benessere: 20°

In questa dimensione il quadro è ancor più positivo per la provincia varesina che risulta essere decima in Italia per livelli di salute e benessere (confermandosi prima assoluta per indice di sportività) e quindicesima per accesso dei cittadini alla conoscenza (grazie ai buoni livelli di diplomati, di competenze matematiche e letterarie), anche se in questa componente (l’accesso alla conoscenza) Varese, negli ultimi anni, ha perso tre posizioni. Semaforo verde, guardando soprattutto al confronto con il resto della Lombardia, anche per la qualità ambientale, grazie, per esempio, al buon posizionamento sulla raccolta differenziata (13esima in Italia) e al miglioramento nella qualità dell’aria.

C’è da risalire la china, invece, sull’accesso alle informazioni, dove Varese arriva solo 56esima, trainata in basso, tra i vari indici, da quello riguardante le librerie (100esima in Italia) e la digitalizzazione delle città (i comuni del Varesotto sono poco smart: 68esimi).

Dimensione 3

Opportunità: 49°

È in questa dimensione che emerge il punto debole di Varese. I semafori rossi che bloccano il progresso sociale varesino sono la bassa partecipazione elettorale dei cittadini, l’affollamento degli istituti di pena, l’offerta culturale, il livello dei giovani nelle amministrazioni comunali, l’accessibilità delle scuole. Semaforo giallo (bene, ma ci sono margini di miglioramento visto quello che fanno le altre province, in primis quelle lombarde) per quanto riguarda le pari opportunità.

C’è da lavorare, invece, di più nelle performance alla voce educazione avanzata, componente che vede Varese piazzarsi solo 49esima a causa del numero di laureati e della partecipazione alla formazione continua.

Il paragone con il resto della Lombardia: 8°

Dando uno sguardo a livello regionale, invece, tra le 12 province lombarde, Varese è la quinta per capacità di garantire benessere alla propria comunità, superata da Monza, Lecco, Milano e Sondrio. Quart’ultima nella risposta ai bisogni fondamentali dei cittadini, seguita da province come Pavia, Cremona e Lodi. Mentre rimane indietro a livello lombardo, così come nella classifica nazionale, nelle opportunità, dove viene superata da tutte le altre tranne che dalla provincia di Sondrio.

Posizione nella classifica regionale generale del Social Progress Index: ottava.

Il ruolo della LIUC

“L’Index è un importante esempio della stretta collaborazione tra il nostro ateneo e Confindustria Varese – commenta Riccardo Comerio, Presidente della LIUC – a testimonianza che questa Università è in stretta relazione con il mondo imprenditoriale, ma soprattutto è al servizio del territorio.

Lo dimostrano e lo confermano le numerose relazioni e sinergie sia della LIUC Business School sia dell’ateneo con molte imprese della provincia e non solo, da cui scaturiscono progetti innovativi per le aziende, occasioni di ricerca accademica e applicata per l’Università, che ritornano in un circolo virtuoso a beneficio delle imprese da una parte, della formazione degli studenti dall’altra”. In questo percorso, per Comerio il Social Progress Index rappresenta “un altro passo in avanti, oltre l’homo oeconomicus per dare concretezza a un nuovo umanesimo attraverso modelli di impresa diversi e obiettivi di politica che contemplino non solo la crescita economica, ma anche il benessere sociale”.

INCHIESTA PROGRESSO SOCIALE
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“E ora diamoci delle priorità”

Il Social Progress Index Varese fornisce suggerimenti a tutti. Alla politica: “Serve investire sull’assistenza medica di base e sulle smart city”.

Alle imprese: “Avanti con lo sviluppo di luoghi di lavoro più inclusivi e con la sostenibilità”. Alla stessa Confindustria Varese: “L’alta formazione e il Progetto Mill sono in testa alla nostra agenda”.

Eora? Come si suol dire, la domanda sorge spontanea. Una volta presentato il Social Progress Index Varese, appurato che la provincia all’ombra delle Prealpi si conferma ai primi posti in Italia per capacità di creazione del benessere sociale, ma con all’orizzonte una crescente incapacità di costruire futuro e dare i giusti strumenti di realizzazione delle persone (giovani in primis), a quali conclusioni bisogna arrivare? Quali sono le azioni da mettere in campo per garantire decenni di prosperità? Quali, le priorità?

Con il Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi, che ha voluto sviluppare con IEC il Social Progress Index nell’ambito del Piano Strategico #Varese2050 per la competitività del territorio, partiamo

proprio da qui. Dal quesito più terra terra: cosa fare ora?

Serve tracciare il sentiero delle priorità.

Chi lo deve fare? La politica?

Siamo un territorio che è capace di creare benessere sociale, su questo non ci sono dubbi. Ma alcuni punti più deboli ci pongono delle sfide per il futuro. Uso il noi perché il Social Progress Index lancia suggerimenti e messaggi a tutto il nostro sistema locale. Ai decision maker politici, certo. Ma anche alle imprese e alla nostra stessa Confindustria Varese. Per migliorare il progresso sociale della nostra provincia serve un contributo allargato.

Partiamo allora dalla politica. Quali sono le priorità che il Social Progress Index indica alle Amministrazioni locali, ai vertici di Regione Lombardia di recente rieletti e ai parlamentari che rappresentano Varese a Roma?

Ce lo diciamo sempre: la coperta delle disponibilità economiche pubbliche è corta. I bonus e gli stanziamenti a pioggia per non scontentare nessuno non funzionano. È un modo di fare politica senza voler scegliere. Ed è questo un male di cui soffriamo da troppo tempo come territorio e come Paese. Il Social Progress Index, invece, è uno strumento che ci indica su quali voci occorra costruire pochi, ma precisi e mirati progetti

Intervista al Presidente
Roberto Grassi
INCHIESTA
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Roberto Grassi

in grado di migliorare la capacità del Varesotto di creare benessere, anche sociale. È un patrimonio di conoscenza e di programmazione politica che mettiamo a disposizione di tutti: Comuni, Provincia, Regione, Camera di Commercio. Gli slogan e le promesse faraoniche non servono. L’efficacia dell’azione politica e la capacità amministrativa si misurano sulla base degli indici che abbiamo analizzato e presentato. Il consenso va costruito sulla capacità di azione ed esecuzione, non con l’abilità nell’arte della comunicazione. Smettiamo, dunque, di giudicare la politica con il metro dei sondaggi e guardiamo piuttosto agli indici internazionali come il Social Progress Index.

Fin qui rimaniamo nel campo del metodo. Ma nel merito, quali sono le priorità sociali che emergono per Varese?

Due sono i suggerimenti che vengono dati dal Social Progress Index Varese alla politica: investire sull’assistenza medica di base e sull’accesso alla conoscenza e all’informazione, ad esempio con progetti di digitalizzazione delle nostre città, troppo poco smart. Sono questi i fronti che gli indicatori ci mostrano oggi come i più scoperti in provincia di Varese.

Per quanto riguarda, invece, le imprese?

Il Social Progress Index rappresenta anche una utile guida per tutte quelle imprese impegnate nel sociale, in azioni di “welfare privato”, nei bilanci di sostenibilità o nei percorsi di trasformazione in società benefit. Anche per loro questo indice rappresenta un possibile punto di riferimento da cui partire per capire in quali campagne, progetti e iniziative sia più necessario dirigersi. Con l’obiettivo di essere maggiormente efficaci e incisive rispetto ai bisogni delle comunità che vogliono sostenere. Non è buonismo. È questione di farsi carico

dell’interesse generale di produrre sviluppo. Per tutti. Imprese e singoli cittadini.

Con quali progetti concreti?

Il Social Progress Index indica chiaramente alle imprese che è necessario investire con ancor più forza e convinzione sull’inclusività degli ambienti di lavoro e sulla sostenibilità delle produzioni. Il primo suggerimento che ci arriva dai dati, quello sull’inclusività, ci dà ragione della strategicità del lancio quasi un anno fa del Progetto “People, l’impresa di crescere insieme”, con il quale vogliamo, come Confindustria Varese, ampliare le best practice di welfare aziendale e di politiche di conciliazione lavoro-famiglia sul territorio.

Veniamo a Confindustria Varese. Dopo la presentazione del Social Progress Index cosa cambierà nell’azione sul territorio in qualità di attore sociale?

Anche noi non possiamo fare tutto. Dobbiamo individuare delle priorità. Di fronte a questi dati ce ne siamo imposte due. La prima riguarda l’alta formazione e l’accesso ad essa dei nostri giovani e dei nostri collaboratori. Su questo fronte, non lo nascondiamo, i dati emersi come non brillanti ci hanno stupito perché ci richiamano in prima persona. Lo dice il Presidente di un’associazione territoriale di imprenditori che più

di 30 anni fa ha deciso di fondare la LIUC – Università Cattaneo. Dobbiamo valorizzare ulteriormente questo patrimonio di conoscenza e la presenza su un unico territorio di ben due atenei. Entrambi capaci di esprimere eccellenze nei propri ambiti di competenza. Dobbiamo lavorare con ancora più forza per incrementare la collaborazione con l’istruzione superiore e con i corsi post-diploma degli Its. Dobbiamo continuare ad investire nella formazione continua dei lavoratori anche utilizzando modalità innovative, come abbiamo fatto, ad esempio, sul fronte della sicurezza sul lavoro con i break formativi.

Parlava di due priorità. Qual è la seconda?

È il progetto della creazione di Mill - Manufacturing, Innovation, Learning, Logistics a Castellanza, di fronte alla LIUC. I dati lo dimostrano: la provincia di Varese ha bisogno di un terreno di incontro e contaminazione tra mondo formativo del sapere, con quello del saper fare, rappresentato dalle nostre imprese. Ciò con un obiettivo preciso: creare un luogo che sia acceleratore di idee e nuova imprenditorialità, un incubatore in grado di generare startup e nuove aziende. La costruzione del benessere passa anche da qui: dalla creazione di luoghi e strumenti che agevolino la realizzazione delle persone. Mill sarà anche questo.

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IL SOCIAL PROGRESS INDEX nel mondo

Dal Perù al Brasile, dalla Coca-Cola all’Unione Europea: il modello dell’Indice di misurazione del progresso sociale, nel corso degli anni, è stato utilizzato in svariate parti del globo, con differenti finalità da molti Stati, regioni, imprese, istituzioni pubbliche e private. Ecco alcuni degli esempi di applicazione virtuosa al di fuori dei confini italiani, con le testimonianze di chi ha lavorato, in prima persona, su alcune significative progettualità

INCHIESTA 28

Quella di Varese è la prima provincia in Italia ad essersi dotata del Social Progress Index. Uno strumento per l’analisi e la progettazione sociale del territorio sviluppata da IEC - Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC – Università Cattaneo per conto di Confindustria Varese e riconosciuto a livello internazionale grazie al presidio globale degli standard di realizzazione da parte dell’organizzazione no-profit Social Progress Imperative, fondata nel 2012, con sede a Washington. Nel corso degli anni svariate aree e Paesi di tutto il mondo lo hanno applicato con finalità tra loro anche molto differenti. Città, regioni, aziende, ma anche istituzioni sia pubbliche, sia private: ecco alcuni degli esempi di applicazione virtuosa del Social Progress Index, al di fuori dei confini italiani.

Per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo, l’Indice è stato solitamente impiegato a livello governativo per comprendere le disuguaglianze all’interno del contesto locale, con lo scopo di affrontare, con azioni mirate, le emergenze delle aree più depresse. In Perù, ad esempio, l’Index è servito ad identificare e gestire zone rurali in difficoltà e le esigenze delle comunità minerarie. Anche in questo contesto, le imprese giocano e hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nella promozione e nell’avvio di progettualità legate al Social Progress Index, come spiega Franklin Murillo, Global Insights and Partnerships Director di Social Progress Imperative: “È emblematico il caso di Coca-Cola e Natura (azienda produttrice di cosmetici, ndr.) in Amazzonia, Brasile. Queste due aziende, allarmate dai bassi livelli di progresso sociale in una regione importante per la loro catena di approvvigionamento, hanno lavorato alla costruzione di un Social Progress Index a livello di singola comunità locale nella regione

amazzonica di Carauari. L’Indice è stato, quindi, il punto di partenza per l’avvio di un programma di sviluppo collettivo, basato sulla collaborazione tra governo, istituzioni, imprese e cittadini. Guidato dai dati e dalle informazioni raccolte grazie all’Indice, il programma ha contribuito ad un miglioramento significativo delle infrastrutture idriche ed igienicosanitarie locali, arrivando persino a fornire per la prima volta alle famiglie fonti di acqua pulita”.

Se si parla, invece, di Paesi con un’economia più avanzata, spesso i policy maker locali hanno usato lo strumento del Social Progress Index per la gestione ad allocazione dei budget territoriali. Cosa che si è verificata persino all’interno dell’Unione Europea, dove l’Indice viene tuttora considerato come una delle tabelle di marcia per orientare le scelte di investimento degli oltre 370 miliardi di euro di spesa all’interno della “politica 2021-2017 di coesione, resilienza e valori”. Negli Stati Uniti, poi, l’Indice è stato utilizzato, a livello di singola città, per conferire a sindaci, imprese e leader civici una nuova prospettiva con cui orientare le priorità delle politiche locali e degli investimenti. Lo stesso è accaduto nel distretto Barking & Dagenham della città di Londra, dove il Social Progress Index è servito a misurare il livello di progresso sociale dei cittadini. Scopo: chiedere al governo una garanzia sul fatto che “nessuno venisse lasciato indietro”, testuali parole.

Sul fronte dell’impegno da parte delle imprese nei Paesi più sviluppati, è da citare l’esempio della società di servizi finanziari ATB, in Canada, che è riuscita a sfruttare l’Indice a livello provinciale per identificare le problematiche più urgenti affrontate quotidianamente dai cittadini. Il risultato sono stati progetti e iniziative, realizzati in collaborazione con altre imprese del territorio, per sostenere l’istruzione e l’accesso ad Internet nelle aree rurali, tra le principali debolezze riscontrate nelle analisi svolte.

Il Social Progress Index è stato, inoltre, ampiamente utilizzato per dotare i territori, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia in quelli con un’economia più avanzata, di una maggior capacità di gestione delle emergenze. In Messico, ad esempio, durante la pandemia da Covid-19 è stata coordinata in modo più efficace ed efficiente la campagna vaccinale, grazie all’applicazione dell’Indice. Lo stesso è avvenuto negli Stati Uniti ed in particolare nella città di Philadelphia.

A riportare un altro esempio virtuoso di applicazione del Social Progress Index nel mondo è José Pablo Nuno de la Parra, Professore UPAEP (Messico), Affiliate Faculty Member Harvard Business School: “Io lavoro e sostengo il Social Economic Development Program, ovvero il Programma per lo Sviluppo Sociale ed Economico della regione Puebla in Messico. Il governatore di questo territorio ha deciso di implementare, allo stesso tempo, un piano per migliorare queste due sfere. Decisione che si è rivelata molto importante sia per le aziende della regione, ma anche e soprattutto per il miglioramento del progresso sociale all’interno della comunità. E, in sostanza, dopo un’analisi generale, soprattutto concentrata sui cluster presenti sul territorio, abbiamo organizzato un training formale, ovvero una sessione di formazione indirizzata a tutte le persone coinvolte nel progetto: il governo, le autorità, ma anche le Università e le aziende. Un training che potesse dare loro molti più strumenti e informazioni riguardo al Social Progress Index, ma anche una preparazione rivolta al raggiungimento dei vari obiettivi fissati per implementare il progresso e lo sviluppo sociale. Ci siamo quindi concentrati sulla definizione di una mission e di una strategia per raggiungere un obiettivo comune e, in seguito, abbiamo cercato di collegare questi obiettivi con l’Indice. Il risultato è stata un’agenda comune da cui partire”.

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CHE VALORE DIAMO al lavoro? P

L’approccio delle persone al mondo lavorativo sta cambiando. Sempre più impiegati (soprattutto giovani) sono disposti ad abbandonare il posto fisso, anche senza un paracadute. La percezione e la scala di valori di alcune figure professionali è mutata radicalmente. I dati, nazionali e varesini, sullo smartworking e sul fenomeno, sempre più diffuso, delle dimissioni cercano di far luce sui cambiamenti in corso. Grazie anche ad una recente ricerca di Federmeccanica

erché sempre più persone decidono di cambiare lavoro? Cosa cercano realmente i giovani? Come le imprese stanno modificando le proprie strategie per fidelizzare e attrarre talenti necessari per la loro crescita? Dove si trova il nuovo punto di incontro tra domanda e offerta di lavoro? Cosa dicono i dati? Prova a dare una risposta a questi e a molti altri quesiti una recente indagine promossa da Federmeccanica e realizzata dal sociologo Daniele Marini di Community Research Analysis “sulle rappresentazioni del lavoro degli italiani”. Il quadro restituito è quello di una vera e propria trasformazione del mercato del lavoro. A rispondere alla ricerca è stato un campione

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formato da 1.200 individui di tutta Italia, dai 18 anni in su. Quello che emerge è una visione del mondo del lavoro, in special modo da parte dei giovani, orientata alla crescita professionale e sempre meno legata al posto fisso. Nella ricerca si legge infatti che “gli anni di pandemia e l’esperienza dello smart working hanno modificato l’organizzazione del lavoro e gli stili di vita delle persone”. In altre parole, non basta più la sicurezza del posto fisso in sé e per sé, ma di pari passo hanno raggiunto una sempre più significativa importanza argomenti come il tempo libero, gli impegni familiari e la professionalità. A trasformarsi, in maniera a dir poco repentina secondo l’indagine di Federmeccanica, è stata anche la scala dei valori attribuita a varie figure lavorative. A perdere prestigio, a livello di attrattività tra i più giovani, sono stati gli artigiani, i commercianti e anche gli insegnanti, letteralmente doppiati da blogger e influencer. Con queste premesse, è stato chiesto al campione della ricerca, cosa contasse maggiormente nella scelta di un’occupazione. Al primo posto svetta la sicurezza del luogo e della salute del lavoratore, seguito da un’atmosfera lavorativa piacevole, un giusto equilibrio tra vita professionale e privata e la buona reputazione dell’azienda. Molte le informazioni da interpretare e rielaborare per il mondo industriale, come spiega il sociologo Marini: “Un’impresa, se vuole attrarre un giovane, deve utilizzare una tastiera di argomenti più larga e che in qualche caso metta alla prova la cultura aziendale e la stimoli verso il cambiamento”, si legge nella ricerca.

L’indagine di Federmeccanica si è, poi, occupata anche della tematica delle “Great resignation”, ovvero delle “grandi dimissioni”, termine noto e ampiamente utilizzato negli Stati Uniti, che descrive un fenomeno di portata decisamente differente per il nostro Paese. Almeno per il momento. Negli Usa nel 2022 è stato raggiunto il record storico di 40 milioni di dimissioni dal lavoro,

in crescita di oltre il 20% rispetto all’anno precedente. In Italia, invece, stando, agli ultimi dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro, il costante aumento del numero delle persone che, per necessità o scelta, hanno deciso di dimettersi è arrivato a registrare 1,6 milioni di dimissioni nei primi 9 mesi del 2022, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Una precisazione è d’obbligo: i dati analizzati comprendono il numero totale di rapporti di lavoro cessati per dimissioni, ma non il numero dei lavoratori coinvolti. Il che significa, in parole povere, che la stessa persona può essersi dimessa più volte in un anno. Tecnicismi, ma la sostanza non cambia: il fenomeno è in crescita anche da noi. Secondo l’indagine di Federmeccanica, tra le motivazioni principali per lasciare la propria occupazione, spesso senza neppure un paracadute di salvataggio, nel 34,8% dei casi c’è il desiderio di aumentare la propria retribuzione, seguito da un 19,6% di voglia di migliorare la propria salute fisica e mentale e da un 13,6% che aspira a maggiori opportunità di carriera. Da non sottovalutare anche la flessibilità dell’orario di lavoro (motivo di cambiamento per il 13,1% del campione) e penultimo, ma non meno significativo, la possibilità di mettere a frutto le proprie passioni

personali (12,4%). Sorprende, invece, che la vicinanza al luogo di lavoro si attesti in ultima posizione, con solo il 6,5% delle risposte. A contribuire a questo scarso risultato, con molta probabilità, è l’utilizzo sempre più crescente dello strumento dello smart working, intensificato durante il periodo pandemico, ma non abbandonato anche in seguito.

Secondo, infatti, l’ultima Indagine sul Lavoro di Confindustria con focus sul lavoro agile, svolta su un campione di 3.178 imprese a livello nazionale, nel I trimestre 2022 ad aver usufruito di questa modalità lavorativa è stato il 37,6% delle aziende. E nella sola provincia di Varese la percentuale si alza di quasi un punto, arrivando al 38,3% (dato riferito ad un campione di 128 intervistati). Questa la situazione fotografata quasi un anno fa. Per quanto riguarda, invece, le previsioni di utilizzo dello smart working nel periodo post-pandemia, l’indagine stima che a livello nazionale la diffusione rimarrà doppia rispetto al pre-pandemia (20,3%). Nel Varesotto la stessa percentuale sale al 27,9%. Tra i motivi ritenuti più accattivanti dalle imprese per svolgere attività “agili”, il primo gradino del podio se lo aggiudica la conciliazione dei tempi di vita privata e lavoro (risposta fornita dal 55% del campione), secondo posto alla responsabilizzazione e all’orientamento al risultato (15,1%), terzo alla fidelizzazione e attrattività aziendale (11,4%). Appena un gradino sotto il podio si piazza il miglioramento delle performance dei dipendenti (9%).

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È in costante aumento il numero delle persone che, per necessità o scelta, decidono di lasciare il proprio posto di lavoro: sono oltre 1,6 milioni le dimissioni registrate nei primi 9 mesi del 2022 in Italia, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021

Il welfare È PARTECIPAZIONE

La costruzione di un benessere collettivo, attraverso la cura del singolo. La capacità di tenere distinti i fondamenti di un’economia di mercato proiettata al bene comune, da un capitalismo richiuso nell’individualismo. La sostenibilità di un modello pubblico-privato che possa essere più giusto, prima di tutto a livello generazionale. Qual è la vera partita in gioco? Come sarà possibile mantenere un sistema d’assistenza come quello italiano? Come dar vita a una politica sociale moderna? Qual è il ruolo delle imprese? A provare a dare una risposta a queste domande è

e a livello aziendale si fa welfare per convenienza piuttosto che per convinzione, è meglio smettere subito. Mai come in questo momento occorre riflettere su cosa stia accadendo alla nostra società e alla nostra economia, a causa delle trasformazioni della struttura del tessuto produttivo, dell’organizzazione del lavoro e, soprattutto, della denatalità. Occorre trovare le giuste chiavi di lettura per garantire sostenibilità”.

intervenuto al primo incontro del ciclo di formazione “Oltre il welfare aziendale: prospettive e strumenti operativi” organizzato da Confindustria Varese in collaborazione con Univa Servizi, nell’ambito del Progetto “People, l’impresa di crescere insieme”, a cui hanno preso parte oltre 100 partecipanti di realtà produttive del Varesotto. Segno di quanto il tema dell’inclusività sia sentito all’interno di un sistema manifatturiero varesino (e non solo) alla ricerca di lenti interpretative di un mondo del lavoro in profondo cambiamento. A confermarlo è lo stesso Albini in questa intervista rilasciata a Varesefocus.

Cos’è oggi il welfare e perché è sempre più necessario per le imprese riflettere su questo tema?

Ci sono due elementi che connotano in maniera chiara la dimensione sociale del nostro Paese: la democrazia e il welfare state. Per questo motivo è importante prendersi cura anche di questo secondo aspetto. Si tratta, infatti, di un elemento identitario che fa parte del nostro modo di essere, che ha radici profonde nella nostra cultura e che, peraltro, consente di dare un senso compiuto sia al lavoro che al fare impresa. Queste radici sono nel pensiero medioevale del francescanesimo, negli scritti di San Bernardino da Siena e oggi

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nella dottrina sociale della Chiesa. Quando San Bernardino, nel ‘400, scrive il trattato sui contratti e sull’usura distingue chiaramente il valore etico del prestito di denaro. Questo è “peccato” quando avviene per fini speculativi, appunto, per usura ma, è ben altra faccenda, concedere denaro per avviare attività economiche destinate a generare ricchezza con benefici anche per la comunità. Questo pensiero ha posto il fondamento della cosiddetta “economia di mercato”, nata 200 anni prima del capitalismo, da cui si è sempre ampiamente differenziata proprio per questo suo fine ultimo: la creazione di ricchezza deve avere delle concrete ricadute anche sul bene comune. Ciò ha inevitabili ripercussioni sui moderni modelli di welfare state come quello italiano, caratterizzati da una cittadinanza attiva, in cui ciascuno deve sentirsi responsabile anche della crescita della comunità a cui appartiene e

concorrere al suo progresso “materiale e spirituale” come dice la nostra Costituzione. Questa è l’anima del nostro sistema di welfare.

Quindi il welfare, in un certo senso, va inteso come uno strumento per andare oltre l’individualismo?

Il welfare è essenzialmente una dimensione plurale e lo è per sua stessa natura. Se c’è una cosa difficile, in un periodo di individualismo come quello in cui ci troviamo, è proprio la riscoperta della dimensione plurale del vivere. Basti pensare alle nuove tecnologie informatiche che, paradossalmente, ci connettono a grandi reti ma ci consentono di vivere e di lavorare in un sempre maggiore isolamento. Il welfare, sia nella dimensione nazionale del welfare state sia nella dimensione del welfare aziendale, aiuta a comprendere il senso di appartenenza ad una medesima realtà sociale ed economica. Non

solo diritti ma anche doveri, quindi, con le conseguenti responsabilità che discendono dall’essere parte attiva di una collettività che dovrebbe essere inclusiva e crescere in modo omogeneo. Al centro delle politiche di welfare c’è, senza ombra di dubbio, l’uomo ma nella sua dimensione plurale. Il singolo, dunque, come parte di una collettività. Avere coscienza di ciò è il primo passo per fissare priorità e obiettivi che è, anzitutto, il compito della politica. Un buon sistema di welfare si costruisce, infatti, a partire dai bisogni delle persone, si alimenta con il desiderio di soddisfarli ma, inevitabilmente, deve fare i conti con le risorse disponibili. Vale per lo Stato ma anche per le aziende. Del resto, le misure del welfare non sono tutte uguali e spesso bisogna scegliere, pensiamo, tanto per fare un esempio, alla salute: fra prevenzione (un bonus per la palestra) e cura (una polizza per il rimborso delle spese mediche) la

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differenza è evidente. Resto convinto che l’interesse generale e una sana prudenza che, in fondo, è la virtù cardinale del welfare, debbano sempre guidare le nostre scelte.

Quali sono le sfide principali sul fronte del welfare?

Le principali sono due, legate fra loro: la sostenibilità del sistema e il rispetto delle regole. Il fatto che l’Italia abbia oggi un sistema di welfare generoso non significa che sarà così anche domani. Il nostro Paese destina al welfare, inteso come pensioni, sanità e assistenza circa 517 miliardi, più della metà di tutta

nessuna riforma è “per sempre” ma non c’è nessuna riforma se, una volta fissata una regola, non la si rispetta. Basta guardare alle pensioni per rendersi conto di ciò: fatta una regola, è accaduto da ultimo con la legge Fornero, si comincia a violarla con “salvaguardie, quote e eccezioni”. Il welfare non può essere il terreno su cui la politica consuma le sue battaglie elettorali perché, come noto, queste ultime hanno un orizzonte temporale “a breve o addirittura a brevissimo”, mentre il welfare state ha come orizzonte anche e soprattutto, il benessere delle generazioni future. In questa prospettiva mi pare di poter

la spesa pubblica, circa un terzo del Pil e il 60% di tutte le entrate fiscali e contributive. È importante ricordare queste proporzioni e iniziare a preoccuparsi della loro sostenibilità nel tempo. Bisogna studiare le proiezioni demografiche, gli effetti sulla società e i suoi bisogni, nonché le ricadute occupazionali che le transizioni in atto stanno determinando nella nostra economia. Fatto ciò, si potrà aggiustare la rotta e fissare nuove regole generali da rispettare. Ecco la seconda sfida:

dire che le sfide sono tutte nel campo della politica.

Quindi, cosa si può fare per raddrizzare il tiro?

Come Confindustria, abbiamo rappresentato al Governo questa duplice preoccupazione dentro la quale c’è il grande tema della equità nella distribuzione dei costi e dei benefici. Il nostro sistema è stato, infatti, disegnato in un contesto demografico ed economico molto differente da quello attuale e oggi

presenta iniquità, piccole e grandi, che devono essere riparate. In questa prospettiva abbiamo avanzato alcune proposte per un intervento di riforma “graduale ma organico” con ricadute positive sul fronte del costo del lavoro che resta un tema intimamente connesso a quello del welfare. Il nostro sistema, va riconosciuto, è fra i più generosi al mondo ed è alimentato dalla fiscalità generale e dai contributi che imprese e lavoratori versano ogni mese. Non si può certo mantenere un sistema di questa dimensione senza darsi pena, anzitutto, di rafforzare la spina dorsale manifatturiera che sostiene questo Paese e gli consente di essere una delle più forti economie del mondo. Questo è, senza dubbio, il compito arduo della politica ma, in secondo luogo, un contributo importante deve venire, seppur in chiave sussidiaria, dalla contrattazione collettiva che può rafforzare quelle tutele che lo Stato costruisce sul fronte della previdenza, della sanità e dell’assistenza. Anche su questo punto, Confindustria ha avanzato alcune proposte per rafforzare quel welfare contrattuale di cui tanto si discute.

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“Mai come in questo momento occorre riflettere su cosa stia accadendo alla nostra società e alla nostra economia, a causa delle trasformazioni della struttura del tessuto produttivo, dell’organizzazione del lavoro e, soprattutto, della denatalità. Occorre trovare le giuste chiavi di lettura per garantire sostenibilità”

Da un antico cascinale lombardo dei primi del ‘900, immerso nel verde del Parco Alto Milanese, sorge Villa Sant’Uberto, il luogo perfetto per concedersi momenti di relax in assoluta riservatezza.

Villa Sant’Uberto riaprirà il 2 Maggio con chiusura il 10 Settembre, dal martedì alla domenica, con piscina, ristorante e bar.

RISTORANTE CON BUSINESS LUNCH

A Villa Sant’Uberto è possibile godere di un ottimo servizio ristorante, che viene offerto tutti i giorni, dal martedì alla domenica dalle ore 12.30 alle ore 15.00, in Club House o in veranda per godere della bella stagione.

MEETING CENTRE

Un luogo ideale per ogni evento aziendale. L’area meeting è composta da due ampie sale situate tra i due giardini interni e dotate delle più moderne tecnologie audiovisive (Videowall Samsung 300x200). Tutti gli spazi, sia interni che esterni, sono funzionali e modulabili a seconda delle necessità, con la possibilità, durante la stagione estiva, di richiedere allestimenti a bordo piscina.

CONVENZIONE RISERVATA Confindustria Varese

Per usufruire della convenzione con sconto dedicato del 10% sui servizi sopra proposti è necessario esibire la dichiarazione di appartenenza a Confindustria Varese. Per ulteriori informazioni è possibile contattare la referente Sig.ra Paola, tel. 0331 07 59 60 o inviare una mail all’indirizzo club@villasantuberto.eu.

ORARI

Martedì - Giovedì

11:00 -18:00

Venerdì - Domenica

10:00 - 21:30

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Viale Toscana, 200

21052 Busto Arsizio (VARESE)

www.villasantuberto.eu

del lavoro

Flessibilità di orario, smart working, conciliazione dell’impiego con la vita privata, sistemi di welfare aziendale che favoriscano l’educazione dei figli e l’assistenza dei genitori anziani. La leva economica per attrarre e fidelizzare i talenti rimane centrale, ma per le aziende è ormai iniziata una nuova era trainata dall’approccio che le nuove generazioni (e non solo) hanno con l’occupazione. La fotografia dello spaccato varesino e i risvolti nelle relazioni industriali

in atto un cambiamento culturale che riguarda in particolar modo i giovani e che investe le imprese, portando un dinamismo nuovo nel mondo lavorativo. Le persone nel lavoro non cercano più solo un riconoscimento economico, ma un senso, un motivo di realizzazione personale e valori da condividere”.

Valentina Crespi è la Coordinatrice dell’Area Relazioni Industriali, Lavoro e Welfare di Confindustria Varese. Un punto di osservazione privilegiato sulle

trasformazioni in atto nel rapporto tra lavoro e vita privata e sui nuovi modelli organizzativi che le aziende stanno adottando per adattarsi ai nuovi scenari attraverso innovativi modelli di welfare.

Come sta cambiando il mondo del lavoro?

La pandemia ha fatto da detonatore di alcune cariche latenti. Fino a cinque anni fa i colloqui di lavoro vertevano tutto su retribuzioni e giorni di ferie. È su questi due elementi che si è sempre giocato l’accordo tra lavoratore e impresa per l’assunzione e l’inserimento in organico. Oggi sempre di più

l’attenzione, soprattutto dei giovani, si sposta anche su altri fattori. Intendiamoci, la busta paga rimane un aspetto importante, sia per attrarre talenti, sia per la loro fidelizzazione nel tempo. Ma oggi sempre di più viene chiesta alle imprese un’attenzione crescente per i benefit intangibili. Per esempio, la capacità di conciliare il lavoro con la vita privata, l’ambiente lavorativo stesso, i valori che l’azienda promuove nella comunità. Le persone nel lavoro cercano un senso, un motivo di realizzazione personale. Cercano un significato per la loro persona. In questo senso, la richiesta crescente di poter fare smart working è un segno tangibile dei tempi.

Questo cosa significa per le imprese?

Sono chiamate a cambiare completamente il proprio modello organizzativo. È soprattutto richiesto loro di dotare i propri responsabili

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IL NUOVO SENSO
‘‘È
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Valentina Crespi

che si occupano di gestione del personale di nuove competenze. Delineare prospettive di crescita, formazione, percorsi di carriera chiari: questi sono i temi cui deve rivolgersi l’attenzione dell’hr manager “in chiave moderna”. Deve esserci un approccio più concentrato sul welfare in senso lato. Il Progetto “People, l’impresa di crescere insieme” di Confindustria Varese nasce proprio con lo scopo di accompagnare le aziende del territorio in questa trasformazione, che non è meno impattante di quelle riguardanti la sostenibilità o la digitalizzazione. Anche e soprattutto sulle persone, sulla capacità di attrarre talenti e saperli coltivare e fidelizzare si gioca la partita della competitività.

In questo scenario come si posizionano le piccole e medie imprese?

Da una parte molte Pmi sono in difficoltà nell’interpretare con strumenti concreti questa trasformazione. Parliamo di realtà che, giocoforza, non hanno le stesse capacità organizzative o le stesse risorse delle grandi aziende o delle multinazionali in prima fila nella creazione di progetti evoluti di welfare. Proprio per questo servono progettualità territoriali come People,

che siano in grado di fare massa critica nei confronti dei fornitori di servizi di welfare aziendale per spuntare le migliori condizioni di mercato e per creare una diversa cultura nel sistema produttivo. Dall’altra parte, però, il mondo delle Pmi ha importanti carte da giocare sul tavolo delle richieste che giovani e meno giovani avanzano sempre di più nei confronti delle imprese, proprio sul fronte della realizzazione personale.

In che senso?

Da una parte i giovani sono attratti dalle grandi multinazionali, soprattutto quelle che si fanno portatrici di valori come la sostenibilità, il benessere sociale, la transizione ecologica. Realtà dove riescono a intravedere con maggiore chiarezza percorsi di crescita professionale che si sposano con la propria visione del mondo. Dall’altra parte, però, c’è anche il fenomeno di chi (giovane o no) è alla ricerca di catene di comando più corte, di un rapporto più diretto con i vertici aziendali e con la proprietà. Persone che decidono di dimettersi dalle grandi aziende con stipendi più alti, per accettare incarichi con una busta paga anche più leggera, ma con una maggiore responsabilità all’interno dell’organizzazione

aziendale, maggiore flessibilità e ampiezza di azione nel proprio ruolo. In questo senso la Pmi può garantire un ecosistema maggiormente in grado di garantire un certo tipo di realizzazione professionale e personale.

Insomma, non c’è una taglia aziendale grande, media o piccola che meglio si presta a interpretare i tempi e i cambiamenti del mondo del lavoro.

Direi di no. Ogni organizzazione è in grado di trovare la propria voce. Anche sul nostro territorio.

Cambiano anche le relazioni industriali?

Inevitabilmente. Il confronto con il Sindacato si fa più dinamico, con diverse sfumature da settore a settore. Rispetto ad una volta, sui tavoli c’è maggiore attenzione alla costruzione di sistemi di welfare che non considerino solo l’aspetto economico del lavoro. Permessi per l’assistenza dei figli o dei genitori anziani, flessibilità di orario, smart working: la contrattazione oggi si arricchisce di nuovi temi che mettono al centro non solo il lavoratore, ma la persona.

In fatto di dimissioni, qual è il trend varesino? Anche sul territorio si registra quel fenomeno crescente che, secondo gli ultimi dati, contraddistingue lo scenario nazionale?

L’onda delle dimissioni record non è arrivata in maniera così marcata sul nostro territorio. Ciò dipende probabilmente anche dalla vocazione manifatturiera del sistema locale. C’è una crescita del turnover, ma non è così forte come quella che caratterizza il settore servizi. Di certo i più scatenati in questo senso sono i giovani. Non sono infrequenti i casi di ragazzi sotto i 35 anni che lasciano un lavoro che non condividono o che non li realizza senza avere un’alternativa. È una cultura del lavoro completamente diversa.

INCHIESTA IL NUOVO SENSO DEL LAVORO
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Ilfarodi Roda

‘‘Almeno una volta all’anno ci prendiamo del tempo e facciamo dei colloqui personali con i nostri collaboratori. La prima domanda che poniamo è: come stai? Solo in un secondo momento si valutano i risultati raggiunti e si pensa ad un percorso di crescita sia personale sia professionale. Alla fine, si stabiliscono insieme gli obiettivi futuri”. A svelare la filosofia della Roda, impresa specializzata nella realizzazione d’arredo di lusso per esterni, è Andrea Azzimonti, Chief Financial Officer: “Le persone sono il perno intorno al quale ruota tutta l’attività dell’azienda. Sono il nostro faro”. Non si tratta di una frase fatta o di uno slogan. Piuttosto di una scelta ben precisa adottata già da tempo. La realtà varesina, che sorge

sulle sponde del Lago di Varese, con i suoi stabilimenti a Gavirate e Bodio Lomnago, ha iniziato un percorso a livello dei vertici aziendali, con il supporto di un consulente, per migliorare le performance produttive.

Cosa ne è emerso?

“Un’impresa nasce da un’idea o da un’intuizione –racconta Azzimonti –. Di chi? Di una persona. E per realizzare questa idea, come si fa? Tante persone lavorano insieme, tra di loro. È sulla base di questo concetto che abbiamo fondato l’identità e la personalità di Roda”. Una

consapevolezza acquisita nel corso del tempo. Da quando è iniziato tutto: “Siamo partiti da un lavoro fatto con il management.

Nonostante l’impegno costante messo in campo, i mille sforzi e tentativi, crescevamo, certamente, ma senza raggiungere gli standard prefissati –continua il Cfo dell’impresa –. Ci siamo messi in discussione, abbiamo analizzato punti di forza e di debolezza e abbiamo iniziato un cammino insieme ad un professionista esterno che ci ha portati a capire che le persone sono la

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A fare l’impresa sono le “people”. È questa la consapevolezza che guida lo sviluppo dell’azienda sulle sponde del Lago di Varese specializzata nella realizzazione d’arredo di lusso per esterni. Colloqui personali e frequenti per valutare percorsi di crescita professionale, welfare aziendale, creazione di spazi ricreativi, creativi e formativi condivisi, assunzione di nuove e giovani figure specializzate. Queste alcune delle azioni di una strategia di crescita basata sul mantra di porre le “persone al centro”
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Andrea Azzimonti

centralità dell’azienda”.

È stato questo il punto di partenza per ripensare completamente la visione di Roda. Valorizzare le persone e le loro capacità, permettendo ad ognuno di realizzarsi personalmente e professionalmente, ha diversi benefici anche sotto l’aspetto produttivo e, di conseguenza, economico. Gli stessi collaboratori hanno accolto con entusiasmo questo pensiero. A raccontare, con un esempio su tutti, quanto sia importante lavorare in un clima così positivo, è sempre

Azzimonti: “In un reparto abbiamo avuto, in 18 mesi, 4 maternità su 8 persone impiegate. Questo, per noi, ha un significato molto importante. Non è stato facile riorganizzare l’ufficio in poco tempo, ma di fronte a così lieti notizie, non si può far altro che gioire e accettare la sfida di ripensare una nuova organizzazione”. Questo mantra delle “persone al centro” ha permesso a Roda di espandersi, in termini di personale: “Solo negli ultimi 2 anni abbiamo inserito 40 persone tra gli stabilimenti di Bodio Lomnago e Gavirate”, precisa ancora il Cfo. Ma l’allargamento è avvenuto anche a livello di spazi: “Abbiamo investito diverse risorse per realizzare la mensa aziendale per i nostri dipendenti e nel 2020 abbiamo acquistato una falegnameria che si trovava a Travedona Monate e l’abbiamo trasferita a Bodio”. In fase di progettazione, un pensiero ancora più ambizioso. Roda ha infatti deciso

di dotarsi di uno spazio fisico, ed esteticamente bello per definizione, che fungerà da luogo di aggregazione. Contemporaneamente, è stato portato avanti anche un percorso di welfare aziendale: “Eroghiamo ticket restaurant, stiamo lavorando per mettere a disposizione un’assicurazione per i dipendenti – racconta il Cfo dell’impresa –. Aiutiamo con un contributo i collaboratori che diventano genitori”.

Perché fare tutto questo? “Ci piace far conoscere a più persone possibili la nostra realtà. Riteniamo che sia un bene per l’azienda entrare in relazione con il territorio”. L’idea è quella di progettare un ambiente pronto ad ospitare dipendenti, cittadini, studenti, fornitori e clienti. Un posto bello,

STORIE DI PEOPLE

Con Roda continua il viaggio di Varesefocus tra le imprese impegnate in azioni di welfare aziendale, conciliazione lavoro-famiglia, sviluppo demografico, supporto alla genitorialità, inclusione di genere. Un racconto in linea con gli obiettivi del Progetto “People, l’impresa di crescere insieme” lanciato da

Confindustria Varese per contribuire alla attrattività della provincia con una serie di iniziative accomunate da un filo conduttore: l’investimento e la valorizzazione delle persone. Per segnalare la storia della tua impresa scrivi a info@varesefocus.it. Per informazioni sul Progetto People: www.confindustriavarese.it.

insomma, e a completa disposizione della comunità. “Un open space per attività creative e ricreative, ma anche formative”, informa Azzimonti. Qui troveranno spazio anche i giovani su cui Roda investe ogni giorno, organizzando, per esempio, periodi di alternanza scuola-lavoro e visite in azienda. “Ci piace lavorare in team ed essere costantemente in ascolto. Crediamo sia importante capire perché un giovane sceglie di venire a lavorare da noi”, rivela il Cfo di Roda. Spesso, in fase di colloquio, confessa poi Azzimonti, i candidati chiedono di poter fare un’esperienza in un luogo positivo, dove è possibile mettersi in gioco. Forse è anche grazie a queste qualità che si spiega il motivo per cui una ragazza che ha partecipato al Pmi Day (il progetto di orientamento allo studio promosso dalla Piccola Industria di Confindustria Varese rivolto agli studenti di terza media), oggi, lavori proprio in Roda. “Ai tempi aveva solo tredici anni. Dopo aver partecipato alla visita nella nostra azienda, e sulla base di una semplice impressione iniziale, si è iscritta alle superiori e poi ha scelto di seguire la strada della specializzazione in architettura. Oggi è una nostra collaboratrice”. Saper attrarre talenti. Ecco cosa significa investire sui giovani e mettere le persone al centro. Roda docet.

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IL SUCCESSO DEI BREAK FORMATIVI in A.C.S.A.

Cambia il modo di fare formazione in azienda per garantire maggiori livelli di sicurezza negli ambienti di lavoro. Dalla lezione frontale, in aula, si passa alla pratica, direttamente in reparto. La nuova frontiera, anche in A.C.S.A. Steel Forgings di Oggiona con Santo Stefano, impresa specializzata nello stampaggio a caldo dell’acciaio, è quella dei Break Formativi. Un metodo innovativo e interattivo che si traduce in una nuova cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro, la cui diffusione è un obiettivo delle stesse parti sociali varesine. È di qualche mese fa, infatti, l’accordo firmato da Confindustria Varese e dalle

Organizzazioni Sindacali Cgil, Cisl e Uil del territorio, per affermare, nel Varesotto, e tra le imprese, questa nuova ed efficace tipologia formativa attraverso brevi momenti ripetuti nel tempo e durante l’orario di lavoro con contenuti pratici e test di valutazione dell’apprendimento.

“Abbiamo introdotto in azienda i Break Formativi – racconta Stefano Lollio, Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione in A.C.S.A. –per migliorare l’efficacia della formazione, per instaurare un contatto diretto con i dipendenti e per sensibilizzarli verso

le tematiche della sicurezza sul lavoro”.

In pratica, funziona così: “Formiamo gruppi da circa dieci persone e svolgiamo momenti formativi, in reparto, direttamente sulla postazione di lavoro dell’operatore, per circa 15 o 30 minuti”, spiega Lollio. In una prima fase preparatoria, si scelgono argomenti specifici, in base alle mansioni svolte dai collaboratori, ai Near Miss (eventi potenzialmente dannosi) o agli argomenti del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi), successivamente si stila un opuscolo o un dossier con tutte le tematiche da affrontare. Poi ci si dirige fisicamente in reparto, dove si interrompe la lavorazione in corso e si svolge la lezione vera e propria. Questo il valore aggiunto dei Break Formativi, come sottolinea l’Rspp dell’azienda varesina: “Ci riteniamo molto soddisfatti di questa scelta perché siamo riusciti ad accrescere all’interno delle mura aziendali

ECONOMIA
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Dalla teoria alla pratica. Dall’aggiornamento in aula a quello direttamente in reparto sulle macchine. L’aumento dei livelli di sicurezza sul lavoro passa da nuovi e innovativi modelli di organizzazione della formazione, come dimostra, dati alla mano, l’esempio dell’azienda di Oggiona con Santo Stefano del settore dello stampaggio e dell’estrusione a caldo dell’acciaio
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e tra le nostre persone il tema della sicurezza. La conoscenza e consapevolezza in questo ambito è cresciuta in maniera esponenziale e ci ha permesso anche di far emergere alcune problematiche a noi spesso nascoste”.

La formazione sulla sicurezza in A.C.S.A. c’è sempre stata. I Break Formativi hanno, però, permesso quel salto di qualità che mancava.

“Secondo la nostra esperienza –precisa Lollio – 6 ore di lezione frontale spesso sono meno efficaci di

un apprendimento sul campo di più breve durata”. I dipendenti vengono coinvolti da vicino in un’attività per loro quotidiana, possono risolvere dubbi o quesiti, oppure conoscere meglio alcuni aspetti della propria mansione che, magari, fino a quel momento erano poco chiari. Dai potenziali rischi a loro carico a quelli legati al luogo e all’ambiente di lavoro, fino a quelli delle attrezzature e delle sostanze utilizzate, senza dimenticare l’aspetto sanitario, le tecniche e le procedure di prevenzione, anche

con riguardo al genere e all’età del lavoratore: questi alcuni esempi.

I Break Formativi hanno, a tutti gli effetti, migliorato di molto la qualità della sicurezza in azienda. “Abbiamo riscontrato solo aspetti positivi e punti di forza – sottolinea Lollio –. Anche i dati ci hanno dato ragione: abbiamo registrato un drastico abbattimento del tasso infortunistico negli ultimi quattro anni, con un calo circa dell’80%, oltre ad essere diminuito l’indice di gravità”. Il modello ormai è rodato e viene continuamente utilizzato. Ma questo innovativo metodo formativo non è l’unico fronte di impegno per A.C.S.A. che, molto recentemente, è riuscita ad ottenere la certificazione ISO 45001, quella che riguarda le politiche di prevenzione nei luoghi di lavoro. “Uno strumento riconosciuto a livello internazionale per contrastare in maniera sempre più efficace infortuni e malattie professionali”. Una sicurezza in più per i dipendenti. E un biglietto da visita che certifica la sostenibilità dell’impresa per i clienti. E non solo in termini di prevenzione dei rischi. “Questa certificazione ci permette di garantire un elevato sistema di sicurezza all’interno dei reparti –conclude l’Rspp dell’azienda –. Un ruolo importante per raggiungere questo traguardo è dipeso anche dalla scelta, appunto, di adottare i Break Formativi”.

COSA SONO I BREAK FORMATIVI

I Break Formativi sono una forma alternativa di formazione in tema di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro che non avviene in aula ma direttamente in produzione. Il docente si reca in reparto e ripercorre con i lavoratori le procedure operative di sicurezza dell’area di competenza. Si organizzano piccoli gruppi di lavoratori, circa una decina, scelti in base all’attività lavorativa e ai rischi cui sono esposti.

La formazione è di breve durata, 15-30 minuti al massimo, da svolgere durante l’orario di lavoro sulla base delle esigenze tecnico-organizzative. Il metodo dei Break utilizza un approccio interattivo che mira a porre al centro il collaboratore, prevedendo simulazioni, dimostrazioni e prove pratiche. Per affermare in provincia di Varese questa nuova cultura della sicurezza sul lavoro, definire una strategia condivisa per il

rafforzamento dell’utilizzo dei Break e diffondere in maniera trasversale, a tutti i settori, questo metodo alternativo di fare formazione, Confindustria Varese, insieme alle Organizzazioni Sindacali Cgil, Cisl e Uil del territorio, ha siglato nel 2022 un accordo per avviare un ciclo di corsi erogati alle imprese. Ad oggi sono 21 le realtà che hanno aderito a questa prima fase sperimentale per un totale di 70 lavoratori.

Una lavorazione di A.C.S.A.

Come disegnare IL PROPRIO FUTURO

Se per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare un volantino ci vuole un grafico. Ma come nascono queste figure in grado di creare contenuti multimediali molto diversi tra loro? Dai giornali alle brochure, dalle video interviste agli spot pubblicitari. Quali le competenze per lavorare in questo ambito? E quali le possibilità in provincia di Varese? Prosegue il viaggio di Varesefocus alla scoperta degli Istituti Professionali del territorio

Dietro alla realizzazione di una rivista come Varesefocus, oltre a redattori, giornalisti ed inviati, ci sono figure che, pur non essendo in prima linea nella realizzazione contenutistica degli articoli, sono altrettanto importanti per quanto riguarda la parte produttiva del giornale: si tratta di grafici, impaginatori e tipografi. Lavori che all’apparenza possono risultare “secondari”, ma che tali non sono perché permettono la realizzazione di materiali cartacei e digitali con cui ciascuno di noi entra in contatto ogni giorno: dai giornali

alle brochure, dalle video interviste agli spot pubblicitari. Tutti prodotti che alle spalle hanno un pensiero ben preciso, una progettualità e soprattutto delle conoscenze specifiche. Si potrebbe definirli dei sarti della comunicazione. Ad ogni contenuto serve il suo vestito. Da realizzare con cura, pensiero e una ben precisa professionalità che, dopo la terza media, si può apprendere iscrivendosi ad un percorso IeFP di Operatore Grafico. Queste scuole, letteralmente di Istruzione e Formazione Professionale, hanno una forte vocazione alla pratica e all’apprendimento sul campo. Della

FORMAZIONE
Lisa Aramini Frei
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Studenti dell’Enaip nell’aula Mac

durata triennale ma modulabile poi con un quarto (ed eventualmente anche un quinto) anno integrativo, hanno l’obiettivo ultimo di formare dei lavoratori il più competenti possibile. Anche grazie ad un profondo legame con il mondo delle imprese.

Sul territorio varesino i percorsi legati alla grafica, all’ipermedialità e alla stampa si possono trovare in diversi Istituti o centri di formazione professionale: alla Fondazione Daimon di Saronno è presente, ad esempio, il corso di Operatore Grafico specializzato in Impostazione e realizzazione della stampa, mentre il corso da Operatore Grafico con attenzione sul mondo Ipermediale è presente nell’offerta formativa di Enaip Lombardia a Varese, del Centro ACOF Olga Fiorini di Busto Arsizio, all’Istituto IISS G. Falcone di Gallarate e al Centro PROMOS di Cassano Magnago.

Con un primo anno di infarinatura generale sui concetti della grafica e delle differenti tipologie di media, i ragazzi e le ragazze aspiranti grafici imparano in laboratori iper-attrezzati, dotati di pc Mac, suite Adobe e attrezzature di ripresa video e fotografica, i fondamenti per la creazione di vari materiali multimediali. A partire dal secondo anno, per proseguire poi nel terzo, gli studenti hanno l’opportunità di imparare sul campo il mestiere, grazie a svariate ore di stage direttamente in azienda. “Quello che ci teniamo a fare – racconta Chiara Roncari, tutor del settore stampa e prestampa di Enaip Varese – è formare futuri grafici operativi a 360 gradi. Durante le ore di didattica spesso portiamo i ragazzi a visitare mostre, educandoli così al bello e cercando di perfezionare il loro processo creativo. All’interno della nostra scuola, inoltre, sono presenti dei veri e propri laboratori grafici, di stampa e di tipografia, con macchinari spesso provenienti dalle stesse aziende in cui lo studente potrà andare a lavorare in futuro”.

Dalla stampa laser a quella offset, gli studenti seguono dall’inizio alla fine la realizzazione di un prodotto, e grazie ai vari macchinari, hanno poi l’opportunità di toccarlo con mano a lavoro finito. Nei vari percorsi IeFP orientati alla grafica sono presenti anche lezioni dedicate ai media e alla comunicazione più in generale. “I nostri corsi – spiega Sergio Scaltritti, Responsabile della formazione di ACOF Olga Fiorini –sono specializzati anche in ripresa e montaggio video. Collaboriamo con moltissimi studi di produzione che operano nel settore e, ovviamente, all’interno del nostro plesso scolastico sono presenti laboratori di ripresa, attrezzature e sale di posa”.

Una delle tecnologie più avanzate che gli studenti hanno l’occasione

di apprendere è quella della grafica 3D, utilizzata in azienda per la realizzazione dei manuali d’istruzioni. “Questa lavorazione – spiega Oliva Maria Boles, responsabile di sede operativa presso ACOF Olga Fiorini – viene realizzata in collaborazione con imprese che magari non hanno un reparto di grafica e comunicazione al proprio interno, ma che hanno necessità di sviluppare grafiche 3D per i loro manuali. I ragazzi e le ragazze che seguono i nostri corsi, tramite project work in laboratorio, capiscono in prima persona cosa voglia dire lavorare con questa tecnologia e farlo in gruppo”.

Obiettivo importante per la formazione professionale è l’ascolto dei bisogni e delle necessità sia delle aziende, sia degli allievi stessi. Capendo i punti di forza dei ragazzi, infatti, i tutor che si occupano dell’assegnazione delle ore di stage, riescono ad inserirli nell’azienda più adatta e per il ruolo migliore, a seconda delle capacità e potenzialità di ciascuno. Dall’altro lato, il confronto con le imprese permette di aggiornare continuamente la didattica. Il che ha come risultato l’inserimento nel mondo lavorativo di figure dotate di capacità professionali immediatamente spendibili. Lavoro pratico, quindi, ma anche tanta creatività e soprattutto ascolto costante da parte degli insegnanti. “Non vogliamo solo crescerli come professionisti, ma anche come persone, dando loro gli strumenti necessari per disegnare al meglio il proprio futuro”, conclude Chiara Roncari di Enaip Varese.

Studenti
Negli istituti IeFP i ragazzi e le ragazze aspiranti grafici apprendono in laboratori iper-attrezzati, dotati di pc Mac, suite Adobe e attrezzature di ripresa video e fotografica, i fondamenti per la creazione di vari materiali multimediali: dalla carta al web, passando per i video
nella tipografia

L’IMPRESA in cattedra

I responsabili aziendali entrano (virtualmente) nelle scuole del Varesotto, grazie alle aule digitali del progetto Generazione d’Industria, l’iniziativa di Confindustria Varese che da oltre 10 anni si pone l’obiettivo di avvicinare ragazzi e ragazze al mondo della cultura d’impresa. Nati nel 2020, complice la pandemia, questi incontri hanno l’ambizione di svelare agli studenti i “segreti” dell’imprenditoria. Partendo da come compilare un curriculum vitae fino ad arrivare ai progetti di sostenibilità

Come avviene una transizione ecologica?

Come si gestisce il personale in un’azienda?

È possibile trovare lavoro grazie a social come LinkedIn o addirittura TikTok? Tutte queste domande, e molte altre, hanno trovato risposta nelle aule virtuali del progetto di Generazione d’Industria, l’iniziativa di Confindustria Varese che da oltre 10 anni si pone come punto di incontro tra mondo scolastico e sistema produttivo, con l’obiettivo unico di diffondere la cultura d’impresa all’interno delle scuole e tra i giovani. Ed è sul filone della diffusione della conoscenza imprenditoriale che, dal 2020, complice la pandemia da Covid-19, sugli schermi di migliaia

di studenti hanno fatto la loro prima apparizione le aule virtuali di Generazione d’Industria: una serie di appuntamenti webinar con protagoniste proprio le imprese partner del progetto, che, tramite esperienze dirette, portano nelle classi e tra i ragazzi diverse tematiche legate al mondo aziendale. Il tutto attraverso un collegamento Zoom.

È stata da poco archiviata la quarta edizione di questa iniziativa con numeri da record: 3.500 gli studenti che hanno assistito alle 13 lezioni, con insegnati d’eccezione provenienti dai settori più disparati, dalla Lindt & Sprungli alla Riganti Spa, dalla Stanley Black&Decker a Vibram, per concludere con Sea Airport Handling e PwC Italia. I giovani coinvolti hanno avuto modo

di scoprire vesti spesso sconosciute delle aziende del territorio. Nella prima lezione, ad esempio, Eleonora Fossa, HR Manager Supply Chain di Stanley Black&Decker, ha spiegato come i social, utilizzati tutti i giorni dagli adolescenti, possano essere impiegati sapientemente per poter trovare lavoro e farsi conoscere (nel modo giusto): “I social stanno crescendo sempre di più, perciò, molte aziende stanno iniziando a fare social recruiting, ovvero ricercano personale attraverso i propri canali come LinkedIn, il più tradizionale, ma anche TikTok e Instagram. Perfino i ragazzi, dal canto loro, si stanno spostando su strumenti alternativi come reel di presentazione, per fare del vero e proprio pesonal branding”.

FORMAZIONE
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Silvia Buizza e Camilla Marocchi, rispettivamente HR Manager e HR Specialist di Lindt & Sprungli Italia, hanno invece mostrato a ragazzi e ragazze come realizzare un curriculum e, sempre nell’ambito

e in seguito riutilizzato. Il 15% va a termovalorizzazione e solo il 5% finisce in discarica. Certo è che lo scarto ideale è quello che non c’è”. Oltre al fenomeno della transizione ecologica, i ragazzi hanno avuto

reali aspirazioni. Non sottovalutate le esperienze personali o la conoscenza delle lingue come l’inglese: saper dialogare attraverso una lingua così diffusa, vi permetterà di poter interagire con molte più persone, arricchendo il vostro bagaglio culturale e professionale”.

delle risorse umane, come viene gestito il personale all’interno di un’azienda. “Per avere una buona squadra – spiega Silvia – è fondamentale la selezione per individuare le persone più idonee per la posizione aperta. Da non sottovalutare anche la fase di onboarding: è quello che permette al lavoratore una buona permanenza. Ciò avviene ingaggiando, fin da subito, il neoassunto così da farlo sentire pienamente parte della squadra”. Le lezioni con Lindt sono poi proseguite virando con approfondimenti su tematiche legate al marketing, alla comunicazione aziendale e alla sustainability, sempre più importante all’interno delle imprese.

E a parlare proprio di questo tema è stato Marco Guazzoni, Direttore della sostenibilità di Vibram: “Nel 2019 abbiamo creato una dichiarazione d’intenti in cui abbiamo posto gli obiettivi da raggiungere, domandando anche ai nostri stakeholder che cosa si aspettassero da noi. L’80% dei nostri rifiuti, ad esempio, viene riciclato

poi modo di approfondire anche la tematica della transizione digitale insieme a Chiara Eleonora De Marco, Senior Associate di PwC Italia: “L’applicazione di nuove tecnologie, che ogni giorno vengono scoperte e impiegate in settori innovativi, è possibile solo grazie ad un processo di innovazione generalizzato, applicato anche ai modelli di business. Si tratta di un percorso difficile e complicato, ma non impossibile. Sicuramente, anche grazie al ricambio generazionale, questa transizione risulterà sempre più facile ed immediata”. Analizzando il contesto economico e produttivo della provincia di Varese, Marco Riganti, Presidente della Riganti Spa, ha parlato ai ragazzi e alle ragazze di Generazione d’Industria del loro possibile futuro: “La nostra è una provincia virtuosa che offre maggiori possibilità lavorative ai giovani rispetto ad altre province. Questo vi aprirà svariate porte per il vostro futuro. Tra non molto sarete chiamati ad una scelta, universitaria o lavorativa, ma mi raccomando: cercate di capire quali siano le vostre

A chiudere il ciclo di incontri è stata, infine, Sea, società aeroportuale che gestisce e coordina le attività degli aeroporti di Milano Malpensa e di Linate. Grazie ai teachers di SeaAcademy, dopo gli appuntamenti dedicati alla comunicazione aziendale e alla gestione delle risorse umane, il focus si è spostato sull’impatto ambientale degli aeroporti. Mattia Grampella, Responsabile Environmental Risk Modeling di Sea ha chiuso l’incontro lanciando un messaggio importante: “Uno dei temi su cui lavoriamo è la riduzione di anidride carbonica per decarbonizzare il trasposto aereo: è una sfida che dobbiamo ancora vincere. Noi non abbiamo ancora gli strumenti per riuscirci, ma sono sicuro che chi di voi intraprenderà un percorso legato al cambiamento climatico, riuscirà a vincere questa sfida per il futuro”.

Sono 3.500 gli studenti che hanno assistito alle 13 lezioni programmate per l’anno scolastico 2022/2023 con insegnati d’eccezione provenienti dai settori

più disparati, dalla Lindt & Sprungli alla Riganti

Spa, dalla Stanley Black&Decker a Vibram, per concludere con Sea Airport

Handling e PwC Italia

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Rispetto alla media delle regioni italiane, l’industria lombarda si contraddistingue in termini di qualità, internazionalizzazione, tempo ed efficienza nelle innovazioni “verdi”. Si posiziona terza, dopo Basilicata e Toscana. Questi i risultati emersi dall’analisi dell’Osservatorio IP Cube della LIUC Business School

LA LOMBARDIA SUL PODIO DEI brevetti green È

di bronzo la medaglia al collo dell’industria lombarda quando si parla di brevetti green. La competizione è sulla qualità di invenzioni studiate dalle aziende per ridurre il proprio impatto ambientale. Una gara tra regioni dove la Lombardia, si piazza terza in Italia, appunto. Un posizionamento frutto dei livelli di internazionalizzazione delle attività di ricerca e sviluppo, delle tempistiche di realizzazione ed efficienza delle “innovazioni verdi”. Questo il quadro che emerge dall’indagine dell’Osservatorio IP Cube della LIUC Business School e svolta con il supporto dell’Innovation Patent Index (IPI), un indicatore basato su cinque sistemi di dati brevettuali e non influenzato dal solo fattore quantitativo. La qualità è centrale.

“Anche i brevetti – afferma

Raffaella Manzini, Direttore dell’Osservatorio IP Cube dell’ateneo di Castellanza – possono essere un valido strumento per misurare la vocazione green di un’area. Grazie al nostro indicatore possiamo calcolare la capacità innovativa sostenibile delle diverse regioni d’Italia, non tanto in termini di numerosità, quanto piuttosto guardando al loro valore potenziale”. Questo l’elemento che fa la differenza: attraverso l’indice IPI è possibile fare un’analisi più approfondita e meno sterile anche per quanto riguarda gli aspetti qualitativi dei brevetti. “Analizziamo il potenziale

dell’attività brevettuale –sottolinea il Direttore Manzini –. Spesso la misurazione basata sulla quantità, ovvero sul mero numero di brevetti, è limitativa”.

Leggendo l’Italia attraverso questa lente, il sistema industriale del nostro Paese risulta essere particolarmente green in tre ambiti: quello medicale, quello meccanico (soprattutto per quanto riguarda il packaging) e quello della misurazione (che interessa principalmente l’elettronica e la sensoristica).

Le imprese italiane risultano concentrate in particolar modo nello sviluppo verde della misurazione,

UNIVERSITÀ
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Raffaella Manzini

dei veicoli, degli elementi elettrici e del computing. Con riferimento alla Lombardia, “che rappresenta sempre un’eccellenza tecnologica – specifica Manzini –, l’area di innovazione green si focalizza soprattutto sui sensori, ad esempio, per i sistemi di filtrazione dell’aria o a supporto delle macchine utensili”. Quali sono i reali benefici di possedere un brevetto, anche e soprattutto al netto dei costi per ottenerlo e mantenerlo? Quale il valore aggiunto?

“Possedere un brevetto è un grande valore per qualsiasi azienda, sia che si tratti di un’impresa, di un Ente o di un’Università – precisa Raffaella Manzini –. Il brevetto è uno strumento autentico di difesa da potenziali imitatori. Ma non solo. Aumenta notevolmente la credibilità dell’azienda verso fornitori, clienti e stakeholder”.

Il percorso per ottenere questo riconoscimento, non solo per quello che riguarda le certificazioni green, a volte può essere lungo e i

costi, soprattutto per mantenerlo, possono rivelarsi consistenti. La parte più onerosa economicamente per un’impresa è, ad esempio, quella di dover pagare costantemente una tassa per ogni Paese in cui la realtà decide di estenderlo. Ma i vantaggi superano di gran lunga i punti deboli: “Attraverso i brevetti, le aziende possono rendere visibili le proprie competenze e capacità, possono attivare collaborazioni basate su queste skill, possono rafforzare la propria immagine”.

Nella classifica italiana, della capacità innovativa green, secondo l’Osservatorio della LIUC, conquista la vetta la Basilicata, seguita dalla Toscana. L’innovazione ‘verde’ in Basilicata, quella brevettata –continua Manzini – si caratterizza per un’elevata diversificazione tecnologica e per l’ampiezza delle applicazioni possibili. In Toscana, invece, l’aspetto distintivo è quello della qualità dei brevetti verdi, in termini di conoscenza e utilizzo del background

tecnologico”.

Lo studio portato avanti dai ricercatori della LIUC, e il conseguente quadro che ne è emerso, però, sono solo un primo passo. Una prima azione concreta di un progetto più ampio pensato proprio dall’ateneo di Castellanza per queste tematiche. Le prossime attività dell’IP Cube dell’Università sono già state programmate e pronte per essere messe in campo: “Continueremo, attraverso l’attività del nostro Osservatorio, a monitorare le tendenze del territorio – conclude Manzini –. Valuteremo le performance nelle innovazioni green e ci impegneremo a rendere questo patrimonio di conoscenze più accessibile a tutti. Stiamo, proprio per questo scopo, pensando di creare una piattaforma destinata a tutti, dove sia possibile trovare un quadro completo su questa tematica. La nostra priorità è quella di mettere a disposizione di chiunque fosse interessato, tutti i dati estrapolati dalle nostre analisi”.

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CASA PULITA ci vuole la scienza

popolari

C’è chi allunga il detersivo dei piatti, ma anche quello del bucato e l’ammorbidente. Oppure chi utilizza il classico sapone liquido per le mani un po’ per tutto, per smacchiare una camicia bianca oppure lavare i panni delicati. O, ancora, chi cerca di sturare un tubo intasato con sale, aceto e bicarbonato, perché i prodotti sul mercato sono troppo cari, mentre il consiglio della vicina di casa è sempre gratis ed efficace (all’apparenza). Ma sarà vero? I detersivi sono tutti uguali? Si può aggiungere l’acqua al flacone del sapone per non sprecarne le ultime gocce? È a queste domande che cerca di rispondere il ricercatore Dario Bressanini, professore di chimica dell’Università degli Studi

dell’Insubria di Varese e anche autore di best seller. Tra questi, “La Scienza delle Pulizie”, uscito a fine ottobre 2022, con cui Bressanini vuole mettere ordine tra falsi miti e rimedi delle nonne. Un vero e proprio manuale sulle faccende domestiche che arriva dopo una serie di volumi dedicati all’aspetto chimico del cibo e del cucinare.

“Non mi ero mai occupato prima di saponi, disinfettanti e detergenti, ma l’approccio è lo stesso che ho adottato per le altre tematiche sull’alimentazione: un’estensione

della chimica alla vita quotidiana”, spiega a Varesefocus il ricercatore che ha iniziato a pensare al suo libro sulle pulizie dopo aver letto una serie di critiche sotto un video YouTube verso un consiglio, chiaramente inefficace, su come sgorgare un lavandino. “Ogni volta che qualcuno suggerisce di mescolare aceto e bicarbonato per pulire, un chimico muore – ironizza nel libro Bressanini –. Non solo è un mix inutile, ma a volte può essere anche controproducente. Miscelando insieme questi elementi, infatti, si

UNIVERSITÀ
PER UNA
“Ogni volta che qualcuno suggerisce di mescolare aceto e bicarbonato per pulire, un chimico muore”. Il ricercatore Dario Bressanini, Professore all’Università dell’Insubria di Varese, smonta falsi miti e luoghi comuni, vere e proprie bufale e rimedi della nonna non troppo efficaci per una vera igiene della casa. Perché anche l’economia domestica ha bisogno di certezze e di andare oltre le “fake news” e le credenze
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Dario Bressanini

verrà a formare una schiuma, perché reagendo tra loro, si trasformano in acqua, anidride carbonica e acetato di sodio, sostanza leggermente alcalina ma priva di proprietà pulenti”. È da qui che ha preso vita questa sorta di guida alle faccende casalinghe, che oltre a sfatare bufale e falsi miti, vuole spiegare le regole del pulito e i motivi per cui si forma lo sporco, compreso quello più innocuo: dalle macchie brunastre all’interno delle tazze di tè a quelle bianche sui vetri della doccia.

Il tutto con l’aiuto di approfondimenti e curiosità che, tra pagine di definizioni e tabelle chimiche, vanno incontro ai dubbi un po’ di tutti: ai giovani alle prime armi con le faccende nella nuova casa, ma anche agli adulti alla ricerca di un metodo veloce ed economico per eliminare determinati tipi di grasso. Forse quelli che hanno la meglio sono coloro che hanno il mobiletto del bagno pieno e stracolmo di prodotti per non trovarsi impreparati di fronte ai più svariati guai casalinghi. Sì, perché come spiega Dario Bressanini, “avere in casa 10 diversi flaconi può dare fastidio, ma ciascuno di essi è utile per scopi differenti. Tra i più c’è, purtroppo, la convinzione che la moltitudine di bottiglie presente sugli scaffali dei supermercati sia niente più che una strategia di marketing, messa in atto per portare i consumatori a comprare tanti prodotti diversi, di cui però non si ha davvero bisogno. Ma poi, di contro, ci si lamenta che il generico sapone liquido non vada bene per tutti gli usi. Una volta non esistevano i tessuti e i materiali di oggi; bisogna prendere consapevolezza che per pulire superfici differenti, e in

aggiunta particolari, servono prodotti sviluppati appositamente. Il sapone dei piatti, ad esempio, non va usato in lavastoviglie perché si rischia di rovinarla. Per lo stesso principio, le pastiglie della lavapiatti non vanno sfruttate per lavare il pavimento”. Ma non c’è da meravigliarsi troppo se qualcuno sia ricorso a queste trovate. Leggendo forum e pagine social, è facile imbattersi in consigli sbagliati. Tra i più gettonati quello di mescolare prodotti diversi con la pretesa di poter “sommare” le proprietà dei singoli liquidi. La chimica, però, non funziona così: nel migliore dei casi il miscuglio ottenuto sarà inutile. Nelle peggiori delle ipotesi, invece, potrebbe essere pericoloso, con conseguenti incidenti casalinghi. I liquidi per pulire, quindi, non si mischiano tra di loro per ottenere una sorta di “pozione” più efficace. Nemmeno con l’acqua per poterli usare qualche volta in più. Lo spiega così il professor Bressanini: “In generale non bisogna mai allungare i liquidi.

È una regola che vale per tutto, dal sapone dei piatti allo shampoo fino ai cosmetici. Questo perché tutti i prodotti contengono al loro interno dei conservanti, affinché non vi crescano dei microbi. Se si aggiunge l’acqua, non si ha più la garanzia che quei conservanti facciano il loro lavoro”. Tra le tips del manuale, poi, anche quella di ricordarsi che “lavare non significa disinfettare e viceversa”. Questo perché alcuni saponi possono uccidere dei microbi, ma non sono creati apposta per questo. Accade la stessa cosa, ad esempio, quando si lavano i denti: l’azione pulente è data soprattutto dal movimento dello spazzolino, mentre è il collutorio che disinfetta. È per questo che, come spiega Bressanini, “non serve coprire, come fanno vedere nelle pubblicità in tv, l’intera superficie delle setole con il dentifricio. Ne basta una piccola quantità. In questo modo inquiniamo meno e il tubetto dura di più”. Tra gli altri consigli da tenere presente per una buona economia domestica anche quello di non lavare inutilmente perché, come sottolinea di nuovo Dario Bressanini, “si consuma energia e si deteriorano i materiali. A volte, ad esempio, basta semplicemente mettere i capi a prendere aria all’aperto. Prima di buttare nella cesta della lavatrice vestiti su vestiti tutti i giorni, pensiamoci. Lavare e disinfettare va bene, ma dove ha senso”.

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COM’È FATTO UN AW169M

Nascono negli hangar di Vergiate, in provincia di Varese, per poi prendere il volo in direzione del mondo. La nuova configurazione del bimotore di ultima generazione made in Leonardo permetterà agli elicotteri di adattarsi con facilità a svariati utilizzi, tra cui missioni di sicurezza e soccorso, in mare come sulla terra, sia di giorno sia di notte. La prima macchina, ordinata dalla Guardia di Finanza, è stata consegnata ma gli AW169 richiesti in tutto il pianeta sono più di 300

Verricello di soccorso, galleggianti, scialuppe di salvataggio, tagliacavi. E ancora, cockpit compatibile con l’uso di visore notturno, sistemi di prossimità con il suolo e anticollisione, faro di ricerca, rilevatori della presenza di ghiaccio e anche di telefoni cellulari, comunicazioni satellitari, sistema iperspettrale per telerilevamento. Questa è solamente una parte dell’equipaggiamento di cui sono dotati gli elicotteri AW169M (variante con certificazione militare del bimotore di ultima generazione AW169) di Leonardo. A ricevere la prima delle macchine dotate di una speciale configurazione con pattini, che stanno prendendo vita negli hangar di Vergiate, è stata la Guardia di Finanza italiana. La flotta, che in totale prevede 24 unità,

di cui 6 con carrello fisso e 18 con pattini per l’appunto, sarà impiegata dalla Guardia di Finanza per lo svolgimento di diversi compiti, tra cui il pattugliamento in qualità di polizia del mare, il controllo del territorio per esigenze economico-

finanziarie, ordine pubblico, soccorso e altre missioni di sicurezza. Progettati secondo i più recenti requisiti FAR, JAR e EASA e gli standard degli operatori militari di pubblica sicurezza e governativi, gli AW169M sono equipaggiati

SCIENZA & TECNOLOGIA
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con una vasta gamma di sistemi e sensori, pensati per soddisfare, da una parte, la necessità di esplorare e pattugliare l’alto mare e, dall’altra, l’esigenza di sorvolare anche il territorio, montagne comprese. Tra le dotazioni, anche un’ampia cabina che può trasportare fino a 10 persone ed essere riconfigurata rapidamente per ospitare 2 barelle. Inoltre, i serbatoi auto sigillanti e i sistemi difensivi garantiscono alti livelli di sopravvivenza e resistenza agli impatti. E poi ancora, l’anticollisione basato su tecnologia laser OPLS, il radar di sorveglianza Gabbiano, il sistema elettro-ottico LEOSS, pannelli di controllo e sistemi di illuminazione. In altre parole, le macchine made in Leonardo, caratterizzate da straordinari livelli di potenza, agilità e manovrabilità, oltre alla piattaforma e alla capacità di trasportare velocemente personale e pattuglie, coniugano anche la possibilità di ospitare a bordo sensori di missione, in grado di operare in

LA FLOTTA DI AW169

La flotta globale di AW169, con oltre 150 unità consegnate ad operatori in quasi 30 paesi del mondo, tra cui Regno Unito, Austria, Stati Uniti, Brasile, Norvegia, Giappone, Corea del Sud, Slovenia, Malesia e Indonesia, ha registrato oltre 135.000 ore di volo in tutti i tipi di operazioni e condizioni. Tra ordini fermi con acquisto finalizzato e opzioni che potrebbero trasformarsi in ordini, sono oltre 320 gli elicotteri AW169 richiesti in tutto il pianeta, molti dei quali da forze dell’ordine, operatori militari e di servizi di pubblica utilità,

ambienti difficili e ostili, sia di giorno sia di notte.

Inoltre, con l’ultima consegna destinata alla Guardia di Finanza, sono state introdotte sugli AW169M

per svolgere una vasta serie di missioni, tra cui utility, sorveglianza, operazioni speciali, pattugliamento marittimo, ricognizione terrestre, addestramento, salvataggio e antincendio. In Italia l’introduzione dell’AW169M tra Forze Armate e operatori di pubblica sicurezza, in sostituzione di diversi modelli in servizio ormai da tempo, permette anche di avvantaggiarsi di sinergie di tipo logistico, operativo, tecnico, certificativo e addestrativo in vista della progressiva crescita della flotta di AW169 dei vari operatori governativi nel Paese.

avanzate funzionalità di autopilota per compiti di ricerca e soccorso (SAR Mode, Search and Rescue), con la possibilità di avere un solo pilota a bordo, secondo le regole del volo strumentale IFR (Instrument Flight Rules). Le funzioni SAR permettono, infatti, di guidare gli elicotteri in modalità automatica lungo una rotta predefinita, riducendo così il carico di lavoro del pilota durante questa fase critica della missione. I piloti che guideranno gli AW169M beneficeranno, anche, di avionica di ultima generazione ad architettura aperta, comprendente un cockpit completamente digitale e livelli di visibilità esterna senza precedenti, assicurando consapevolezza tattica e operativa avanzata.

LE ULTIME COMMESSE DI LEONARDO

Tra le ultime commesse di Leonardo per quanto riguarda gli AW169M, è di grande rilevanza quella siglata con il Segretariato Generale della Difesa / Direzione

Nazionale degli Armamenti, per l’acquisizione di 18 elicotteri AW169M LUH (Light Uitlity Helicopter) destinati al Ministero della Difesa austriaco. Il Contratto,

un’ampia gamma di missioni come, ad esempio, trasporto truppe, protezione civile, risposta alle grandi emergenze, soccorso sanitario e in montagna.

del valore di 304 milioni di euro, porta a 36 il numero complessivo di macchine al servizio della Difesa austriaca. Gli AW169M LUH saranno in grado di svolgere 53

bioeconomia

Entro il 2050, secondo le previsioni dell’ONU, la popolazione mondiale arriverà a toccare quota 10 miliardi. Aumenterà anche la crescita dei redditi medi, così come i consumi, la pressione sulle risorse del nostro pianeta, la domanda di cibo e, di conseguenza, anche i rifiuti e la difficoltà a gestirli. Da qui la necessità di un’inversione di rotta verso un approccio bioeconomico. Obiettivo: disaccoppiare la crescita economica dallo spreco delle risorse naturali, tramite, ad esempio, il riutilizzo dei rifiuti organici urbani e lo sfruttamento degli insetti. Gli esempi, tutti varesini, della Lamberti Spa e dell’Università dell’Insubria

‘‘La bioeconomia è un meta-settore su cui si basa la possibilità per l’Italia di essere sostenibile dal punto di vista ambientale e innovativa dal punto di vista industriale, senza che un aspetto si scontri con l’altro”. A dirlo è Mario Bonaccorso, Direttore di Cluster Spring, il cluster italiano della bioeconomia circolare che rappresenta gli stakeholder di questo comparto. A dimostrarlo, invece, sono proprio le aziende, come la

Lamberti Spa di Albizzate: una realtà, nata nel 1911 e attiva nel settore chimico a livello globale, che per accelerare lo sviluppo di prodotti più sostenibili, ha dato vita, al suo interno, a dei gruppi di lavoro multidisciplinari con lo scopo di avviare nuove idee.

“In azienda puntiamo molto sull’innovazione, non solo applicata al polimero, ma a tutti i segmenti della produzione. Combiniamo la competenza tecnologica con la capacità di essere sempre più attenti e capillari sui mercati, da quello della

ceramica al personal care fino al tessile e alla carta – spiega Gabriele Costa, Global Product Manager Bio Resins & Additives Surface Treatment Division di Lamberti –. Spesso ci si concentra solo sulle esigenze dei clienti mentre con questi team di lavoro ci si influenza a vicenda e si sviluppano nuove sinergie all’interno della filiera e con i vari cluster, utili per andare incontro e anticipare le richieste del mercato. Ad esempio, per il settore packaging abbiamo sviluppato dei polimeri, derivanti da scarti del settore agroalimentare, in grado di avere delle performance di resistenza al grasso e all’acqua. Allo stesso modo, abbiamo sviluppato dei materiali alternativi, nell’ambito tessile, per sostituire la pelle, così come nell’interior coating, per avere dei polimeri con un contenuto di materiale bio-based in grado di garantire buone performance meccaniche e di ridurre il quantitativo di carbonio”.

È così che la bioeconomia dimostra di essere in grado di raggiungere diversi settori e proporre al mercato alternative di prodotto capaci di essere sostenibili, senza perdere in termini di prestazioni e validità. Ma cos’è esattamente la bioeconomia? Si tratta di un’economia che utilizza le risorse biologiche rinnovabili, provenienti dalla terra e dal mare, per produrre nuovi beni, anche di prima necessità, come, ad esempio, cibo, materiali ed energia. Un approccio che insieme alla sostenibilità largamente intesa e abbinato all’economia circolare,

SCIENZA & TECNOLOGIA
VARESE IN PRIMA LINEA SULLA
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è a tutti gli effetti un driver di rinnovamento dell’industria e di creazione di interconnessioni non solo tra realtà manifatturiere attive in differenti settori, ma proprio di intere filiere. Da quella alimentare, agricola e di acquacoltura, ad esempio, fino a quella chimica. A dimostrarlo sono anche i centri di ricerca e le Università. Tra quelle in prima linea c’è l’Università degli Studi dell’Insubria: “La scienza abbinata alla creatività permette di non fermarsi al semplice riciclo di composti, ma spinge a produrne di nuovi che siano in qualche modo utili per fronteggiare le sfide dell’umanità – sottolinea il professore dell’ateneo varesino, Loredano Pollegioni –. A questo scopo, abbiamo, ad esempio, sviluppato ProPla, un progetto finanziato da Fondazione Cariplo, il cui obiettivo è degradare la plastica utilizzando dei microrganismi per produrre aminoacidi, ovvero, proteine e potenzialmente food”. Tra le innovazioni messe in campo dall’Insubria, anche altri tre progetti, con scopi differenti ma accomunati dallo stesso punto di partenza: gli insetti. Una scelta, questa, dettata dal fatto che, come spiega il professore dell’Università dell’Insubria, Gianluca Tettamanti, “circa un terzo della produzione agroalimentare viene sprecato a vari livelli, dal produttore

al consumatore, generando rifiuti che costituiscono un problema sia sotto il profilo economico, sia sociale, sia ambientale. Si tratta di un fenomeno destinato a crescere: per il 2050 la stima è quella di una triplicazione dei numeri”.

È qui che gli insetti possono venire in aiuto: rappresentano, infatti, risorse in grado di crescere su materiali in decomposizione, come sottoprodotti ortofrutticoli ma anche scarti da industria del vino, della birra e del caffè. Attraverso le larve, ad esempio, si può far fronte ad una duplice necessità. Da un lato, quella di ridurre il quantitativo di rifiuto, dall’altro, produrre delle materie prime bio-based che possono avere diverso impiego, come nel settore dei mangimi per animali.

Da qui gli altri progetti dell’Insubria. Il primo: InBioProfeed che, partendo dallo scarto del mercato ortofrutticolo di Milano, ha come scopo quello di produrre delle larve per poi creare mangime per gli allevamenti della trota iridea. Il secondo: Rich, pensato per sviluppare una filiera alternativa volta alla riduzione della Forsu, la frazione organica del rifiuto solido urbano e, al contempo, produrre dei biomateriali con valore tecnologico ed economico. Il terzo progetto, invece, si chiama Nice-Pet: in questo caso, le larve

vengono utilizzate come bioreattore per la riduzione di rifiuti a base di Pet, il polietilene tereftalato (resina termoplastica della famiglia dei poliesteri). Anche qui, da un lato viene ridotto lo scarto, dall’altro vengono prodotte delle larve che, in questo caso, non possono essere utilizzate per i mangimi, ma possono diventare comunque fonte di materie prime, come proteine, lipidi e chitine per dare origine a loro volta a nuovi biomateriali. Tutti progetti, quelli di Lamberti e dell’Università dell’Insubria, che sono stati al centro di un webinar sulla bioeconomia, organizzato, nell’ambito del ciclo di incontri “Le frontiere della sostenibilità”, dal Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese insieme all’Area Innovazione e Qualità dell’associazione datoriale varesina. “Dedicare del tempo e delle risorse a questo tema è necessario per essere imprenditori al passo con le sfide di oggi – tiene a sottolineare Martina Giorgetti, Presidente del Ggi varesino –. L’approccio bioeconomico promuove un’industrializzazione intelligente, mettendo al centro del suo modello la natura e per noi giovani imprenditori la frontiera delle innovazioni e delle politiche green non è mai stata secondaria all’attività economica. La sostenibilità non è più una scelta ma una via da percorrere per forza”.

Gianluca Tettamanti
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Loredano Pollegioni

RUBRICHE SU LUOGHI E BELLEZZA

TERRITORIO

Il panettiere:

un mestiere in via

d’estinzione

GITA A...

Castelseprio.

Nel regno dei

Longobardi

ARTE

Ravo sfida

l’Intelligenza

artificiale

Il panettiere: UN MESTIERE IN VIA D’ESTINZIONE

Dalle prime tracce di panificazione, che risalgono al 12.000 a.C. in Giordania, ad oggi, la professione del panificatore si è evoluta, attraversando cambiamenti (a volte epocali) e grandi sfide. Quella attuale è di resistere alla modernità e ad un mondo del lavoro che cambia soprattutto nelle nuove generazioni. Il racconto, per immagini e testimonianze, di chi da anni vive tra forno e farine,

Le più antiche tracce di panificazione risalgono al 12.000 a.C. in Giordania. La preparazione del pane a quei tempi era molto semplice. Venivano macinati i cereali tra due pietre, impastati con acqua e poi cotti su ciottoli roventi. Bisognerà aspettare il 3.000 a.C. e gli egizi per avere un pane più raffinato, nel quale verrà introdotto il lievito. Oggi di tipi di pane ce ne sono una gran varietà e vengono realizzati con le farine più disparate. Segno dei tempi e dei gusti in profonda trasformazione. Così come l’approccio dei giovani verso un mestiere duro, dagli orari impossibili e che lentamente rischia di scomparire. Sul territorio uno dei suoi custodi è sicuramente Davide Pigionatti, titolare di uno dei panifici storici di Varese, dove questo lavoro si tramanda di padre in figlio da ormai tre generazioni.

C’è ancora chi intraprende da zero il lavoro di panettiere o i pochi che ancora lo fanno sono figli d’arte?

Qualcuno ancora c’è, ma siamo sempre meno. Questo è di sicuro un lavoro estremamente impegnativo, una sorta di missione, si ha poco tempo per se stessi e per la famiglia.

Nel suo caso, è stata una scelta obbligata oppure una sua decisione seguire le orme di famiglia?

È stata una mia decisione. Mio padre non ha mai fatto pressione in tal senso, sapeva quanto sacrificio richieda questo mestiere, ma poi quando

ho fatto questa scelta ne è stato contento. All’inizio non pensavo neppure io di svolgere questo lavoro, avevo studiato ragioneria e avevo fatto anche un tirocinio in uno studio di commercialista, ma dopo poco tempo ho capito che quella professione non faceva per me, così ho continuato ad aiutare mio padre sempre più, fino a quando le parti si sono invertite e ho preso io le redini dell’attività. Nel tempo ho imparato ad apprezzare tanti aspetti di questo mestiere, in cui si parte dalla materia prima per arrivare al prodotto finito. È un lavoro che richiede sensibilità ed esperienza per essere svolto nel migliore dei modi. Ogni giorno è diverso dall’altro e si devono prendere molte scelte, differenti a seconda delle condizioni atmosferiche e delle stagioni dell’anno.

Sono cambiati i gusti dei consumatori nel tempo?

Sono sicuramente cambiati, anche perché sono mutate le abitudini familiari: molte

con tanta passione, dedizione e spirito di sacrificio
TERRITORIO
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TERRITORIO IL PANETTIERE

persone, oggigiorno, pranzano fuori casa a mezzogiorno e la produzione di un certo tipo di pane vuoto all’interno è andata diminuendo, perché andrebbe mangiato non troppe ore dopo essere stato cotto. Oggi si privilegiano invece i pani pieni, che durano più nel tempo e che si prestano ad essere congelati, come le pagnotte o il grano duro. Si sono poi diffusi molto di più pani integrali, anche la segale e il Kamut. Per non parlare poi delle mode del momento: un po’ di tempo fa, ad esempio, c’è stato il boom del pane alla soia e al carbone, ma non sono durati a lungo.

E lei ha mai inventato qualche tipo di pane?

Sì, ho inventato un pane di segale con il sesamo al suo interno. È un pane che piace anche a chi non ama l’integrale, perché toglie il gusto amarognolo della segale. Faccio poi del pane stagionale come quello con la zucca, non utilizzando come fanno in tanti la polvere, ma facendo cuocere le zucche e mettendo nell’impasto del pane la polpa.

Quello che ha imparato glielo ha insegnato solo suo padre oppure ha anche frequentato una scuola?

Gran parte del lavoro me lo ha insegnato mio padre, ma parecchie produzioni speciali le ho imparate ai corsi di aggiornamento per panificatori. Ho partecipato a diversi corsi per la produzione di pani regionali, come il “Ferrarese”. Sono poi stati organizzati numerosi scambi culturali con panificatori di altre nazioni, una bellissima esperienza. Sono venuti dalla Francia maestri del mestiere, che ci hanno portato la loro esperienza nella realizzazione della baguette e dei croissant o dalla Germania, per la preparazione del pane nero. Noi, a nostra volta, siamo andati nei loro paesi a far conoscere alcune nostre produzioni tipiche.

E per quanto riguarda le materie prime e i loro recenti rincari cosa mi dice, come avete fronteggiato la crisi?

Sul discorso dei rincari sicuramente la guerra in Ucraina ha influito, ma c’è stata anche una grossa speculazione. Non si spiega ad esempio il rincaro della farina Manitoba, una farina americana ricca di glutine che noi utilizziamo per la realizzazione delle veneziane e dei panettoni. Noi, comunque, come politica abbiamo cercato di non ritoccare i prezzi se non dove assolutamente necessario.

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Dove vi servite per acquistare le materie prime?

Ci forniamo da sempre da due mulini di fiducia, uno a Tortona e uno a Voghera, dove compriamo oltre a delle farine di importazione, anche delle farine a filiera corta di produzione locale, su cui c’è un certo controllo di qualità. Sono farine povere di glutine, non particolarmente pregiate, ma che vanno bene per specifiche lavorazioni.

Come è la giornata tipo di un panificatore artigianale?

La lavorazione del pane è fatta da diverse fasi: la preparazione dell’impasto, la lievitazione, la formatura e la cottura. Si comincia alle 18.00 di sera con l’impasto per i pani a lenta lievitazione, come il francese. Un pane lievitato lentamente ha tutto un altro sapore, è come se respirasse l’aria che lo circonda. Poi verso le 2.00 di notte si torna al forno e si preparano i prodotti il cui impasto non necessita di una lunga lievitazione e possono essere cotti dopo poco tempo. Verso le 4.00 si riprendono gli impasti preparati la sera prima, si lavorano, si lasciano riposare un po’ e poi si cuociono. Con la cottura si finisce verso le 10.30 del mattino con le focacce e le pizze, ma si lascia sempre pronta qualche teglia in caso di ordini improvvisi. Verso le 12.30 il lavoro si può considerare concluso, si va a casa a mangiare e poi si va a dormire fino alle 18.00 del pomeriggio. L’unico giorno libero è la domenica.

Forse se avessi potuto tornare indietro, avrei fatto qualche esperienza in più all’estero e mi sarei organizzato diversamente per avere un po’ più di vita di famiglia.

Quando smetterà, c’è qualcuno dei suoi figli che porterà avanti l’attività?

Purtroppo, no. Ma li capisco. Fare il panettiere richiede troppi sacrifici, specialmente in gioventù. Quando ero più giovane tante volte mi è mancato non poter mai fare baldoria fino a tardi con gli amici o la fidanzata. Mia figlia Valentina sarebbe stata anche portata per la pasticceria, ma saggiamente ha scelto di fare la fisioterapista, mio figlio Paolo invece si è dedicato a tutt’altro, studia Economia e Management. Ormai è quasi impossibile trovare dei giovani disposti a fare questo lavoro. Ciò mi rincresce molto, ma i tempi cambiano, e con ogni probabilità quando io smetterò, saranno anche cambiati i gusti delle persone; il piacere di mangiare il pane è più legato a chi ha la mia età o è più vecchio, i giovani hanno altri gusti ed esigenze e quindi non mi meraviglierei se in un prossimo futuro la produzione del pane venisse fatta solo a livello industriale.

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Dovesse tornare indietro, sceglierebbe ancora questo mestiere così duro? Non ho alcun dubbio a riguardo e ora capisco, dopo tanti anni di lavoro, perché sia mio padre che mio nonno non avrebbero mai cambiato mestiere. Pensi che loro non avevano neppure un giorno di riposo settimanale, lavoravano sempre. Contattaci al numero 331 455 53 75 o

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COM’È NATO il BAFF

Personaggi del piccolo e del grande schermo come Mario Monicelli, Claudia Cardinale e Ornella Muti. Oppure ancora i premi Oscar Vittorio Storaro, Carlo Rambaldi e Francis Ford Coppola. Sono solamente alcuni degli artisti che hanno preso parte, nel corso degli anni, al festival del cinema di Busto Arsizio: una kermesse tutta incentrata sulla cinematografia che affonda le sue radici in una profonda sensibilità della città per le pellicole italiane. A raccontare la sua storia è il Presidente onorario, Gabriele Tosi

Nato nel 2003, a Busto Arsizio, per volere di pochi, pochissimi; i suoi sostenitori si contavano sulle dita di una mano, ma l’idea era ambiziosa tanto che, partendo da una grande passione per il cinema, ha preso vita una vera e propria manifestazione dedicata alla cultura cinematografica: il suo nome è BAFF, acronimo di Busto Arsizio Film Festival. Una realtà ormai consolidata, sostenuta da una ventina di soci dell’associazione B.A. Film Factory e conosciuta ben oltre i confini bustocchi, in Italia e all’estero. Negli anni è cresciuto il numero dei suoi sostenitori, di edizione in edizione è aumentato il coinvolgimento del pubblico, ma lo scopo è sempre stato uno: promuovere le produzioni italiane di qualità, valorizzando anche le competenze di tutte le figure che operano nel più ampio mondo dell’audiovisivo, dalle risorse che lavorano in regia a quelle che agiscono dietro le quinte. Il tutto attraverso proiezioni e incontri ravvicinati con personalità note del piccolo e del grande schermo. Quest’anno il BAFF spegne 21 candeline e torna a presentarsi sul palco dal 15 al 21 aprile con appuntamenti e rassegne di film, aperti a tutti, dagli spettatori più giovani a quelli più grandi.

Anche in questa edizione, la cinepresa del festival si focalizzerà in particolare sulle pellicole italiane, ma non mancheranno digressioni su fatti di attualità, tematiche di rilievo degli ultimi anni e questioni internazionali. Film, fiction, ma anche documentari, presentazioni di libri e incontri con autori e attori. Senza dimenticare i giovani talenti: verrà, infatti, dato spazio anche a loro, a partire dalla madrina che molto probabilmente sarà una promessa del settore, a

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Da sinistra Anthony La Molinara e il Presidente onorario Gabriele Tosi

TERRITORIO BAFF

inizio carriera. Un po’ come successo ai primordi del festival, quando a tenerlo a battesimo fu la giovanissima, dall’animo bustocco, Anita Caprioli. Ma come ha fatto a prendere piede un festival del cinema a Busto Arsizio?

“La città era un terreno fertile per un tale progetto; già negli anni ‘60 era una realtà importante nel panorama nazionale sotto la lente della macchina da presa, con circa 8 sale tradizionali e 4 circoli tra cineforum e cinema d’essai per quasi 80mila abitanti”. È Gabriele Tosi, tra i soci fondatori del festival, oggi Presidente onorario, a raccontare come ha avuto origine la kermesse: “Quando Alberto Armiraglio, allora Assessore alla Cultura, mi ha chiesto ‘Perché non facciamo un festival del cinema a Busto?’ non ho fatto altro che rispondere ‘E perché no?’”. Effettivamente per Gabriele Tosi mettere in piedi un evento come quello che oggi si chiama BAFF, doveva essere un gioco da ragazzi. “Venivo da due esperienze nel settore – continua a raccontare il Presidente – che avrebbero permesso di mettere a profitto tutta una serie di contatti utili alla sua realizzazione. Una, sempre a Busto Arsizio, tra fine anni ‘70 e inizio anni ‘80, in cui ho rilanciato il cineforum del Cinema Oscar, allora uno di quelli con il maggior numero di iscritti a livello nazionale. L’altra, invece, a Roma, a Cinecittà, in cui ho fondato una scuola di cinema insieme a grandi nomi come quelli dei registi Vittorio Giacci e Carlo Lizzani, direttore anche della Mostra del Cinema di Venezia (dal ‘79 all’82, ndr.)”. È così che tramite questo bagaglio di competenze e la collaborazione degli amici maestri del settore, ha preso forma e colore il BAFF a Busto Arsizio.

Il suo valore era ed è ancora oggi la capacità di attrarre, ogni anno, personaggi celebri. Attori, registi, sceneggiatori, cantanti, giornalisti e conduttori televisivi. Anche di fama internazionale. Dagli appuntamenti del BAFF, infatti, sono passati nomi del calibro di Mario Monicelli, Claudia Cardinale, Pupi Avati, Ornella Muti, ma anche gli statunitensi Roy Scheider e Faye Dunaway, fino alla svizzera Ursula Andress, la prima Bond girl di quel James, meglio conosciuto come 007. Senza dimenticare la partecipazione di Premi Oscar come, ad esempio, Vittorio Storaro, Carlo Rambaldi e Anthony La Molinara o ancora Francis Ford Coppola e Luis Bacalov. Ma primo fra tutti: Michelangelo Antonioni. Regista, scrittore, sceneggiatore, considerato tra i maggiori

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Dall’alto, Luca Argentero, Carlo Verdone, Eleonora Giorgi

cineasti della storia. È da lui che prende il nome l’Istituto cinematografico che, tra le mura della storica Villa Calcaterra, forma ogni anno nuovi talenti preparati in regia o in recitazione.

“Tutto è nato da quella volta che ultranovantenne, da Roma, venne a Busto per partecipare ad una serata del BAFF e ricevere l’ultimo dei premi della sua vita – racconta Gabriele Tosi –. A consegnarglielo c’era Francesco Alberoni, giornalista anche de Il Corriere della Sera. Impressionato dall’esperienza, da come è stato acclamato e accolto, ci autorizzò a dedicare a suo nome l’accademia che abbiamo poi costituito nel 2008”.

A motivare tutto questo interesse, forse, la profonda sensibilità cinematografica di Busto Arsizio, che affonda le sue radici nelle storiche sale cinema. Non si poteva proprio dire, infatti, di non sapere dove portare la propria signora a vedere un bel film. Rivoli, Pozzi, Castelli, Oscar, Aurora, Mignon, Fratello Sole, Manzoni, Sociale Delia Cajelli (una volta conosciuta anche come la “piccola Scala”), Lux e San Giovanni Bosco. Questi i nomi delle sale dell’epoca. Vere e proprie culle di film, alcune ancora oggi attive, che, con la loro proiezione, hanno coccolato i pomeriggi di generazioni di bustocchi e non solo. Insomma, in diversi sono cresciuti a pane e pellicole. In modo particolare i ragazzini affezionati al Cinema Oscar, viziati ad entrare gratis da Cesarino Dell’Asta, proprietario di quella sala di Corso Europa, ormai chiusa, che però una volta era una delle più prestigiose della città. “Cesarino era un imprenditore illuminato – ricorda il Presidente Gabriele Tosi –. A noi bambini, fino ad una certa età, non faceva pagare. È da qui che è nata la mia passione per il cinema. Il suo è stato per me un insegnamento che non può andare perso. Bisogna incominciare da piccoli a creare un futuro alle giovani generazioni”. E Busto Arsizio lo sa molto

bene. Lo spiega così l’Assessore alla Cultura, Identità e Sviluppo, Manuela Maff ioli: “Il BAFF ha un duplice valore. Da un lato, quello di costituire un momento di approfondimento, dedicato alla settima arte, nella nostra città che da decenni manifesta una particolare sensibilità verso questo linguaggio. Dall’altro, quello di rappresentare una vetrina importante. Attraverso la partecipazione di numerosi personaggi del mondo cinematografico, nazionale e internazionale, Busto ha superato i propri confini e si è posta come grande città di cinema in palcoscenici come quello di Venezia o di Roma, dove più volte è stato presentato il nostro festival. Nel corso degli anni ha visto un rafforzamento degli appuntamenti con gli studenti delle scuole e un coinvolgimento sempre maggiore di diverse fasce della popolazione. Se all’inizio il BAFF era un evento per cinefili, oggi è una grande kermesse per tutti. La sua è stata un’evoluzione in perfetta coerenza con i principi per i quali è nato e questo grazie a una sinergia importante con persone dello star system cinematografico romano, ma anche torinese: i due direttori artistici Steve Della Casa e Paola Poli”.

NEL REGNO DEI Longobardi

Castelseprio è sede di uno dei parchi archeologici più affascinanti della provincia di Varese. Tra rovine millenarie, ampi spazi verdi e possibilità di escursioni anche in bicicletta, partendo dal vicino Monastero di Torba e passando per Castiglione Olona. Sono svariati gli itinerari e i percorsi possibili per esplorare il sito frequentato fin dall’età preistorica e protostorica, in cui sono presenti un Castrum del V secolo d.C. e un Antiquarium

Alessandra Favaro
GITA A... 66

Èsenza dubbio uno dei luoghi più affascinanti della provincia da visitare in primavera. L’area archeologica di Castelseprio permette, infatti, camminate di poche centinaia di metri, che tuttavia catapultano in un viaggio indietro nel tempo di migliaia di anni. Il tutto in un contesto naturalistico e ampi spazi verdi in cui potersi fermare a fare un picnic o leggere un buon libro, circondati da resti millenari e un panorama incredibile. Castelseprio è un gioiello di storia, arte e natura, che chiunque nella vita dovrebbe visitare, almeno una volta. Si tratta di un sito antichissimo che cambia aspetto a seconda dell’ora del giorno e della stagione in cui lo si visita: ottimale per una gita all’aria aperta in giornata, con tutta la famiglia. Il parco archeologico accoglie i visitatori dopo un breve tragitto nel bosco: si apre una piccola costruzione e tutto attorno, sentieri e antiche rovine. In questa rigogliosa cornice boschiva si sviluppa un itinerario nel verde tra i resti di un Castrum del V secolo d.C. nato su preesistenze militari del IV secolo d.C. e circondato da mura di cinta turrite, che difendono anche parte dell’avamposto di fondovalle conosciuto come Monastero di Torba (di proprietà del FAI).

L’area archeologica di Castelseprio si trova su di un terrazzamento d’altura, circondato da boschi e, in basso, da profondi valloni dove scorrono fiumi e torrenti. L’area testimonia in maniera eccezionale il reimpiego del sistema fortificato sorto in età tardo-romana, a seguito delle prime invasioni barbariche. E offre un panorama esteso sulla valle. È possibile passeggiare tra antichissime chiese cristiane e i resti di un Castrum per scoprire come era la vita di un tempo, per poi proseguire la visita nell’Antiquarium, in un percorso affascinante. Il Castrum, distrutto nel 200 e successivamente abbandonato, ha mantenuto, fino ai giorni nostri, i suoi caratteri fondamentali. Il circuito murario e il complesso cultuale di San Giovanni Evangelista, con la Basilica e il Battistero ottagonale, sono stati ristrutturati dai Longobardi nel VII secolo e utilizzati all’interno e all’esterno per le sepolture degli aristocratici. In epoca longobarda l’area è stata anche sede di un amministratore dei possedimenti del re, che promosse la costruzione di edifici di pregio, come la chiesa di Santa Maria Foris Portas e il Monastero di Torba, che insieme costituiscono il complesso monumentale di Torba, estensione del sito fortificato di Castelseprio.

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A sinistra, la chiesa di Santa Maria Foris Portas. Dall’alto, resti del Castrum e degli edifici religiosi nel Parco archeologico di Castelseprio

I percorsi per esplorare il sito

Il sito archeologico è esplorabile attraverso diversi percorsi tematici ed è possibile richiedere una guida per essere accompagnati o visitare l’Antiquarium. Il luogo, prima dei Longobardi, era frequentato fin dall’età preistorica e protostorica, come testimoniano i materiali rinvenuti in tutta l’area, databili tra la fine dell’età del Bronzo e la prima età del Ferro (X-VIII secolo a.C.). Uno dei percorsi più interessanti è quindi quello cronologico, dall’età protostorica alla prima età romana, dall’età tardo antica a quella altomedioevale. Fino ad arrivare a dopo la fine del Castrum, come l’edificio VI, riportato alla luce nel 1988. Sorse nel XIV secolo presso il fianco settentrionale della basilica di San Giovanni Evangelista, di fronte alla casa dei Canonici. Proseguendo la visita ci si può imbattere in differenti edifici di culto, presenti lungo il percorso, fino ad arrivare all’Antiquarium, un affascinante museo che raccoglie le testimonianze e i reperti rinvenuti nel sito. Negli uffici-portineria è allestita, inoltre, una sala didattica dove si può sostare e visionare dei filmati sull’area. Diversi scavi e studi sono stati portati avanti anche in epoca recente e sono consultabili in interessanti pannelli lungo il percorso. L’accesso al Castrum, all’Antiquarium e alla vicina chiesa di Santa Maria Foris Portas (visitabile su richiesta al personale in servizio al parco) è gratuito.

Gli

affreschi di Santa Maria Foris Portas

La chiesa di Santa Maria Foris Portas è situata, come dice la sua stessa

denominazione antica, all’esterno del Castrum ed è parte integrante del parco archeologico. È, senza dubbio, uno dei monumenti più importanti della provincia di Varese, tra i più affascinanti e anche misteriosi. Per raggiungerla dal Castrum bisogna intraprendere una piccola passeggiata a piedi di pochi minuti lungo un bel sentiero sterrato nel bosco, che accompagna alla scoperta di questa piccola chiesetta posta su un’altura, circondata da un’aura di pace. La chiesa ospita uno dei più importanti cicli pittorici altomedievali. Nell’abside centrale si conserva, infatti, una successione di affreschi che raffigurano l’infanzia di Gesù, con la particolarità di essere ispirati sia ai Vangeli canonici sia a quelli apocrifi e in particolare al Protovangelo di Giacomo e al Vangelo dello Pseudo-Matteo. La datazione della chiesa e degli affreschi è ancora oggi dibattuta, ma si tende a datare l’edificio tra il VII e l’VIII secolo e gli affreschi tra il VII/VIII secolo e gli inizi del X. Tra gli affreschi sono raffigurati anche i principali episodi biblici, come il viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme, la nascita di Gesù e l’annunzio ai pastori. Sulla parete interna dell’arco che separa l’abside dalla navata è raffigurata, al centro, la Etimasia (in greco “preparazione”), che consiste in un trono pronto per accogliere Cristo al suo ritorno.

I Longobardi in bicicletta

C’è un altro modo per scoprire la presenza dei Longobardi tra Castelseprio e la Valle Olona ed è in bicicletta. Dal Monastero di Torba, infatti, ci si può avventurare in sella in un giro ad anello che percorre prima la ciclabile della Valle Olona fino a Castelseprio. Poi, risalendo per sentieri e guadi, si arriva fino al parco archeologico di Castelseprio e alla chiesa di Santa Maria Foris Portas. Si riparte pedalando dolcemente per strade sterrate fino alla sommità della collina di Caronno Corbellaro, frazione di Castiglione Olona, da cui sostare un attimo per prendere fiato e ammirare una splendida vista sul Campo dei Fiori e sulla Valle Olona fino al Seminario di Venegono. Infine, si rientra riprendendo la ciclabile, magari facendo una sosta anche nel centro storico di Castiglione Olona.

GITA A... CASTELSEPRIO
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Sboccia la TULIPANOMANIA

Colorati, profumati e divertenti, i fiori “a turbante” originari dell’Asia centrale, in primavera regalano spettacoli indimenticabili nei campi sparsi in tutta Italia. Messe da parte le zucche, quegli stessi terreni che ad ottobre erano tinti principalmente di arancione, nel mese di marzo si preparano ad accogliere tulipani di decine e decine di varietà diverse: ecco alcuni dei luoghi più affascinanti in cui poterli ammirare e raccogliere, vicino a casa e non solo

COLLECTION
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Una gita al parco Tulipania World a Terno d’Adda

Icampi di tulipani sono una delle attrazioni più affascinanti e coinvolgenti della primavera. E molti di questi si trovano proprio in Lombardia, vicini alla provincia di Varese. Ogni anno migliaia di tulipani in fiore, a partire dal mese di marzo, si presentano in spettacolari mosaici di colori, creando un gioco visivo unico che attrae visitatori da tutto il mondo. Ma l’esperienza di ammirare questi fiori non consiste solo in una passeggiata tra steli e petali: in questo periodo, infatti, molte aziende agricole aprono i loro campi in modalità “you-pick”, ovvero la possibilità per i visitatori di raccogliere personalmente i loro fiori preferiti. Esperienza che assume anche il valore di educare al rispetto della natura e tramandare, anche ai più piccoli,

Dall’Olanda all’Italia, cosa sono i campi you-pick?

I campi you-pick (o self-pick) sono dei campi in cui i visitatori possono raccogliere personalmente dei fiori, generalmente tulipani, in modo autonomo, senza l’assistenza di un operatore. Questi campi sono molto diffusi in Olanda, dove è quasi una tradizione. E non a caso molti di questi inaugurati poi in Italia sono stati creati da persone di origine olandese o dopo un viaggio nei Paesi Bassi. Durante la fioritura dei tulipani, i campi you-pick sono aperti al pubblico, che può passeggiare tra i colorati fiori e raccoglierli personalmente, spesso pagando un prezzo fisso per un determinato numero di fiori o per uno specifico periodo di tempo. In questo modo, i visitatori possono godere della bellezza dei campi di tulipani, cogliere i fiori freschi e portarli a casa come souvenir. I campi you-pick rappresentano una forma di turismo sostenibile, in quanto permettono di ridurre il trasporto e la lavorazione dei fiori, che vengono raccolti direttamente dalle persone, senza intermediari.

il ciclo delle stagioni e l’importanza di rispettare ogni forma di vita naturale.

Tulipani Italiani

Il primo campo di questo tipo si trova ad Arese (Milano) nella zona del Parco delle Groane. Si tratta di Tulipani Italiani che nel 2023, oltre alla sua “sede originaria”, inaugurerà anche un altro campo in Piemonte a Grugliasco (Torino). Il campo copre un’area di 2 ettari, pari a 4 campi da calcio, in cui sono stati piantati 470mila bulbi con 450 varietà diverse di tulipani, che offrono uno spettacolo imperdibile di colori e profumi. La filosofia del Tulipani Italiani è incentrata sulla sostenibilità, la cortesia, la flessibilità, l’amore per la bellezza e per la natura. L’obiettivo è offrire tranquillità e momenti felici a visitatori e famiglie. L’organizzazione investe sempre molto in questa manifestazione, aumentando il numero dei tulipani in varietà veramente speciali e nella creazione di nuove romantiche installazioni. Il campo muta a seconda del clima e sono diverse le opportunità di raccogliere e scattare foto durante tutta la durata della manifestazione. La fioritura dura al massimo 6 settimane e l’apertura viene decisa dalla natura, quando i fiori iniziano a sbocciare.

Il Campo dei Fiori

In questo caso il Campo dei Fiori di cui parliamo non è quello varesino, ma un’azienda agricola della Brianza, a Galbiate in provincia di Lecco,

GITA A... TULIPANI 70

affacciato sul romantico laghetto di Annone. Qui in primavera sboccia un giardino con 10mila narcisi e 70mila tulipani. L’apertura 2023, assicurano gli organizzatori, sarà ricca di novità per gli ospiti, dove non mancheranno momenti coinvolgenti per le famiglie e tanti spazi speciali per scattare foto indimenticabili. Il Campo dei Fiori è stato premiato dal WWF con il riconoscimento di “Amico” della sezione lecchese del sodalizio. Questa opportunità viene annualmente proposta ad aziende del territorio con attività affini o in sintonia con la tutela ambientale a cui quotidianamente si dedica l’associazione ambientalista.

Tulipania World

In provincia di Bergamo, a Terno d’Adda, sboccia invece Tulipania World, un campo you-pick che cambia veste in ogni momento dell’anno: dai tulipani ai narcisi in primavera, dai girasoli in estate alle zucche in autunno. La destinazione è perfetta anche per una gita fuoriporta con tutta la famiglia per un giorno o un weekend. Nelle vicinanze, infatti, si possono visitare Bergamo, il parco faunistico le Cornelle e il parco astronomico La Torre del Sole. Ogni edizione è caratterizzata da molte novità e innovazioni: quest’anno, ad

esempio, il filo conduttore sarà “nel giardino delle meraviglie”. Non più solo filari. È infatti prevista una forma tutta nuova e giocosa per l’area di raccolta, con un’enorme scacchiera, un labirinto e personaggi surreali. Tra le nuove proposte sarà inoltre possibile anche fare picnic, colazione e merenda tra i prati fioriti di tulipani.

I tulipani delle meraviglie

Questo campo si trova a Vimodrone (Milano) e ad aprile si trasforma in un giardino dai mille colori dove si può passeggiare liberamente tra circa 500mila tulipani, raccoglierli e portarli a casa. Più di 13mila metri quadrati ospitano 50 varietà diverse di questo fiore, che simboleggia l’amore vero, la cui origine è legata ad un’antica leggenda persiana da Mille e una Notte. Il campo dispone anche di una zona di confezionamento per incartare i tulipani raccolti e di un’area selfie.

Fuori regione ma vicini: Villa Tarando e il suo labirinto

Tulipani e primavera sono sinonimo anche di labirinti spettacolari a Villa Taranto, sul Lago Maggiore, sponda piemontese. I Giardini Botanici, quando è stagione, da metà a fine aprile, si colorano per la Festa dei Tulipani, con 80mila bulbose in fiore. Da visitare in particolare il labirinto dei tulipani con 20mila bulbi di 65 varietà diverse e la nuova collezione di giacinti.

L’origine dei tulipani

I tulipani sono dei fiori a forma di coppa con 6 petali che appartengono alla famiglia delle Liliaceae. Originari dell’Asia centrale, i tulipani sono stati coltivati per secoli in Turchia, Iran e Asia centrale prima di diffondersi in Europa nel XVI secolo. Il nome “tulipano” deriva dalla parola turca “tülbent”, che significa “turbante”, in riferimento alla forma del fiore che ricorda quella, per l’appunto, di un turbante. Nel linguaggio dei fiori, il tulipano rappresenta l’amore perfetto, totale, ma comprende anche il significato di fama e di vita eterna, proprio come il sentimento di cui è portatore.

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La pratica dello “you-pick”. Sopra, diverse varietà di tulipani in fiore. A sinistra, Il parco Tulipani Italiani ad Arese

Ravo sfida

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

In mostra alla Galleria ArtRust in Canton Ticino una nuova serie di opere dello street artist varesino, famoso in tutto il mondo per le sue dettagliate ed accurate riproduzioni di celebri opere d’arte classica, rigorosamente realizzate con le bombolette spray. Al centro dell’esposizione svizzera, una piattaforma di artificial intelligence nella quale l’artista riversa immagini e stimoli che, dopo essere stati interpretati e rielaborati dall’algoritmo, diventano inedite combinazioni figurative

ARTE
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Luisa Negri

Ce la farà l’Intelligenza artificiale a sottometterci, fino al punto di annullare la nostra personalità e sostituirsi alla parte migliore di noi, quella creativa e artistica? Curioso che il mondo sia sempre diviso a metà: tra chi ancora non possiede le minime potenzialità informatiche per essere alla pari con la massa dei propri simili (si veda il divario durante la pandemia tra scuole e scolari attrezzati per la Dad e non) e chi invece sperimenta, già da tempo, piattaforme e tecnologie avanzate, pronte a dare ogni forma di risposta. Così, a volte, le distanze diventano davvero siderali. A pensarci bene, vuol dire che il mondo continua ad essere vario e difforme, a guardare al domani e rimanere fermo allo stesso tempo. E che nel controverso mix, legato alle necessità e realtà di ciascuna fetta del pianeta, tutto sia insieme possibile e accettabile.

Una curiosa mostra, autore il varesino Andrea Ravo Mattoni, in arte Ravo, si tiene a Melano, nel Canton Ticino, sua seconda patria. Ed è l’esempio della perfetta risposta alle domande che anche noi ci stiamo ponendo sulle pagine di questa rivista, riguardo un sempre più massiccio utilizzo (anche nell’ambiente artistico) dell’Intelligenza artificiale. Ravo, la cui ottima arte di street artist internazionale abbiamo già raccontato nel marzo 2020, ha dato in realtà già da qualche tempo la risposta, facendo un percorso temporale apparentemente opposto rispetto al suo solito. Artista e figlio di artisti, nato nel 1981, si è fatto conoscere ovunque guardando a Caravaggio e al passato, realizzando, con speciali colori spray, soprattutto riproduzioni di capolavori classici del Rinascimento e del ‘600 sui muri di edifici pubblici di varie località. All’estero e in Italia: tra i tanti edifici varesini, anche il Tribunale e l’Ospedale di Varese, il palazzo dell’Italia di Piazza della Libertà a Casbeno. Ma ora Andrea “guarda avanti”. Ha creato con la collaborazione di Nicola Moresi, Ceo dell’azienda informatica Moresi.com di Mendrisio, una piattaforma di Intelligenza artificiale “Inelegans” (dal latino “inelegante”, senza grazia), di suo uso esclusivo, nella quale infila informazioni e immagini di proprio gradimento, utili a creare un dataset, basato anche su idee di lavori, propri e di antichi autori, che saranno poi lette, interpretate e rielaborate dall’algoritmo ottenendone in cambio combinazioni figurative nuove. Queste saranno poi tradotte dall’artista su tela coi colori spray: a rappresentazione di un ponte gettato tra realtà e fantasia, presente e passato, tecnica pittorica e Intelligenza artificiale.

Alla mostra, in due sale dello spazio d’arte di Melano, si raccontano 24 opere. Accanto a un’intera scenografica sala animata in full immersion da un immaginifico paesaggio dipinto sulle pareti, sono nature morte dal sapore antico e avveniristico insieme e paesaggi da “realismo magico”, alla Carlo Carrà per intenderci, dove i colori di acqua, cielo e verde sono netti e forti, carichi di contrasti e profondità. Ma sono esposte anche, e soprattutto, figure di donne, in abiti rinascimentali, “perse” mentalmente nel metaverso, rappresentato da caschi che campeggiano nelle opere. A volte sono proprio calati sulle teste di alcune delle protagoniste. E allora al visitatore non è dato scorgerne occhi e viso. Le vediamo piuttosto immerse nel Nuovo Mondo del secondo millennio che già ci si sta via via dispiegando. Quasi sospese in un tempo indefinito e in un’atmosfera rarefatta, come quella di certi protagonisti delle opere di De Chirico. O dei film di Antonioni.

Chissà se qualcuno ricorda Blow Up e quella pallina da tennis invisibile che va e viene da una parte all’altra del campo? Dove il vento soffia e l’erba lentamente cresce. E Thomas, il protagonista fotografo, a caccia di immagini esclusive, s’accorge finalmente che in quel gioco misterioso (i contendenti, due mimi, gli sembrano finti, perché privi di racchette e di pallina) si sta in realtà disputando la partita. Nel caso di Andrea possiamo dire che la tecnologia si sposa alla sua pittura votata al classicismo in un matrimonio che si annuncia già solido, per potenzialità e pluralità di esiti artistici (in Francia, ad Amboise la sua opera ha avuto nel 2019 anche il plauso di Mattarella e Macron) per quel mix di connubio tra amore per la tradizione e sogno di chi ha lo sguardo rivolto al futuro e sa vedere prima degli altri, proprio come il fotografo Thomas, quello che i più ancora non vedono. Non sappiamo quanto tempo ancora dedicherà alla sua antica arte di autore di murales, giocata da grimpeur tra vento e sole, ma certo è che nuove arrampicate e spedizioni senza limiti gli sono ancor più consentite ora. Grazie a questa sua idea e alla voglia matta di sperimentare utilizzando, oltre agli usati strumenti del mestiere, le combinazioni geniali dell’Intelligenza artificiale. Il bello, ci spiega, è che l’artista può ottenere e riconfermare attraverso questo suo procedimento una cifra stilistica personalissima, che è data dall’insieme di momenti storici e artistici della pittura. C’è infatti la sapienza e la

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severità del Rinascimento, ma anche la dolcezza (le donne di Raffaello), nella mostra di Melano, ci sono le raffinatezze e l’atmosfera dell’arte di Velázquez e quella di William Waterhouse e infine anche l’Intelligenza artificiale, che gli consente di creare nuove opere attraverso la sua piattaforma. “Sono affascinato da queste possibilità, – si entusiasma – ho una frequentazione assidua con la tecnologia, alla quale ho guardato da sempre. Non condivido le paure e le incertezze di chi teme che la nostra mente e la mano degli artisti possano esserne condizionati. È vero invece che, con le potenzialità createsi, anche

per l’arte classica si è aperta una nuova forma di comunicazione. Con la mia piattaforma ottengo poi risposte uniche, frutto di un’impostazione che sono io a suggerire, guidare ed eventualmente correggere. Ogni volta che lo desidero”. Le ricerche continue e più recenti confermano in generale, secondo Ravo, nuove prospettive che permettono di guardare sempre più avanti. “Nell’arco dei prossimi 5 anni vedremo cose che oggi ci sembrano incredibili, ne sono certo. Ce lo raccontano già Microsoft e Google e penso che la Cina, con il computer quantistico, saprà fare passi da gigante. Non dobbiamo pensare di frenare questo processo, che non si può e non si deve fermare, perché le cose stanno andando più velocemente. Ma va bene così. E non dobbiamo lasciarci prendere da paure inesistenti. Quando la fotografia muoveva i suoi primi passi, si diceva che l’arte fosse morta. Accadde poi però che gli Impressionisti fecero la loro prima mostra, proprio in uno spazio fotografico, quello di Nadar, grande fotografo e immenso sognatore. E ben sappiamo oggi quanto la fotografia sia interprete, ma anche compagna e complice fondamentale, di tante espressioni artistiche”. Ravo sta lavorando da oramai 9 mesi per la realizzazione di mostre, analoghe a quella di Melano, che lo porteranno in musei e luoghi espositivi in un percorso che abbraccia sempre più l’Europa e non solo. Ad maiora dunque a lui, che, pur usando l’Intelligenza artificiale, conserva e mette al primo posto la sua sensibilità e indipendenza d’artista. Forse non è così sbagliato pensare, come ci accade quando Alexa risponde “mi dispiace, non capisco” a certe arruffate domande e sembra quasi di cogliere l’imbarazzo di una scolaretta impreparata, che anche laddove la tecnologia si fa più sofisticata, c’è sempre un cuore umano a fare barriera.

di ANDREA RAVO MATTONI

ARTRUST, Via Pedemonte di Sopra 1

Melano Lugano (CH)

Dal 1° febbraio al 28 aprile 2023

Da mercoledì a venerdì, dalle 10.00 alle 18.00

Il 18 marzo e il 22 aprile aperture straordinarie Ingresso libero e gratuito

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lodisegna GPT?

Come agli inizi del secolo scorso i pittori temevano che la fotografia avrebbe tolto loro il lavoro, ora gli artisti di tutto il mondo si preoccupando per l’avvento di una nuova tecnologia “intelligente”. Si tratta di software visivi di creazione d’immagini artificiali come DALL-E, NightCafe e Midjourney. Tra dubbi legati alla tutela del diritto d’autore e una ridefinizione del concetto stesso di arte. L’opinione di alcuni autori varesini

Agosto 2022. Concorso artistico in Colorado. Sul podio arrivano tre finalisti. Nulla di straordinario rispetto agli anni passati, se non fosse per un piccolo particolare: tra le opere premiate ce n’è una che ha qualcosa di innovativo. La creazione in questione è quella di Jason Allen, artista statunitense che per la prima volta ha portato ad una competizione artistica un’illustrazione realizzata grazie all’Intelligenza artificiale (AI). Il gesto, ovviamente, ha suscitato diverse reazioni: se da una parte c’è stato chi ha criticato l’uso di questa nuova tecnologia, dall’altra c’è chi lo ha sostenuto come rivoluzione verso una forma d’arte nascente.

Ma cosa si intende quando si parla di un’opera generata tramite Intelligenza artificiale? In pratica si tratta di un prodotto grafico creato attraverso il linguaggio Generative Pre-trained Transformer (GPT) che, grazie ad una serie di input testuali, produce immagini. DALL-E, NightCafe e Midjourney sono tra i software visivi più utilizzati al momento. Quest’ultimo, è proprio quello usato dall’artista statunitense per la sua opera “Theatre d’Opera Spatial”. Basta

ARTE E SE IL QUADRO
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quindi semplicemente scrivere una frase al computer per generare creazioni artistiche? Decisamente no. “L’arte in sé si è sempre confrontata con il mistero e l’ignoto – spiega Luca Scarabelli, docente del Liceo Angelo Frattini di Varese e artista contemporaneo –. Senza quel substrato di senso superiore, ‘inframince’ (infrasottile, ndr.) come lo chiamava Marcel Duchamp, si produce della semplice arte applicata, togliendo significato al gesto della creazione”. L’utilizzo dell’Intelligenza artificiale può risultare, al primo impatto, alla portata di tutti, ma in realtà non è proprio così. Le immagini sono sì generate tramite prompt (ovvero un comando dato all’AI, fatto di frasi e parole), ma il risultato finale varia, ovviamente, in base a quali termini vengono utilizzati. Le opere realizzate con questa metodologia possono, perciò, risultare più o meno soddisfacenti, proprio a seconda delle combinazioni di parole utilizzate, tanto che stanno nascendo, a supporto della fase di scrittura, figure come prompter o prompt-artist, ovvero persone che di mestiere digitano stringhe di comandi da dare in pasto all’Intelligenza artificiale, che in cambio genera arte. Questi prodotti grafici “smart” hanno un vero e proprio ciclo di vita, che parte dalla “nascita” attraverso un software visivo, ma che cresce poi attraverso l’editing grafico con programmi come Photoshop o Gigapixel. Il che permette un margine maggiore di intervento sulle opere, da parte di chi le ha generate. “Molti creatori di contenuti artistici sono spaventati –racconta Andrea Ceresa, artista varesino, classe 1995 – perché, a tutti gli effetti, l’Intelligenza artificiale sembra sia in grado di fare quello che fa un uomo, in tempi decisamente più brevi e con risultati che, nel corso del tempo, possono solo migliorare. Non è così immediato riuscire a cogliere, fino in fondo, le potenzialità di questa nuova tecnologia. D’altra parte, se ci pensiamo bene, agli inizi del secolo scorso i pittori temevano che la fotografia avrebbe tolto loro il lavoro, ma così non è stato. Al contrario, la pittura non è morta,

ma si è adattata”. Accadrà lo stesso anche con l’Intelligenza artificiale? Fondamentale, di sicuro, resterà il contributo umano all’interno delle opere generate con AI. Senza l’intervento di una persona, che fisicamente preme i tasti sulla tastiera, nulla può accadere: il software, infatti, di per sé non è in grado di generare nulla, in quanto privo di una qualsiasi coscienza, volontà o creatività.

Andrea Crespi, visual artist varesino, non teme l’avvento e l’utilizzo sempre più massiccio dell’AI anche nel campo artistico. Di contro, paventa la possibile nascita di un nuovo filone legato a queste smart technologies: “Credo che nessuno verrà sostituito, prenderanno semplicemente vita nuove correnti artistiche portate avanti dalle generazioni che saranno più avvezze all’uso di queste tecnologie intelligenti e utilizzabili con ritmi di vita sempre più rapidi ed incalzanti”. Sdoganato quindi il timore legato al furto del mestiere dell’artista, rimane un altro dubbio più che lecito, circa il diritto d’autore. Se per alcuni software di produzione visiva, infatti, vengono già applicate politiche trasparenti, che permettono agli utenti di eliminare le proprie opere dalla banca dati ed essere quindi tutelati, per altre ciò non avviene. Il che alimenta la paura nei pittori e nei grafici tradizionali di essere copiati o, ancora peggio, derubati. È il caso di tre artiste statunitensi che, a gennaio 2023, hanno intentato una causa legale contro alcuni programmi di Intelligenza artificiale con l’accusa di aver usato delle loro opere senza consenso. Una sentenza in merito non c’è ancora stata, ma è chiaro che norme sull’utilizzo di questi nuovi strumenti siano ormai necessarie. Verrebbe, piuttosto, da chiedersi se abbia o meno senso conferire il diritto d’autore a tutte le centinaia di opere generate tramite AI. Ma questa è tutta un’altra riflessione.

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LA RINASCITA dei Mastini

Un racconto di rivincita, di tenacia e di profondo amore per lo sport. Il nuovo capitolo della lunga e gloriosa storia dell’hockey made in Varese, è targato H.C.M.V., neonata società guidata da Carlo Bino e Matteo Malfatti, riuscita a conquistare, al primo colpo, la Coppa Italia. Dopo anni diff icili ed incerti, in cui il ghiaccio varesino, in più di un’occasione, ha rischiato di perdere per sempre i suoi atleti con lame, mazze e dischetti

Nati, anzi rinati con il vento in Coppa. Il nuovo incipit della lunga e gloriosa storia dei Mastini Varese ha un inizio bellissimo. Potremmo dire da favola. Dalla cooperativa, che in questi anni ha tenuto accesa la fiammella e permesso che il ghiaccio della Città Giardino non si sciogliesse per sempre, è gemmata una nuova società, la H.C.M.V. (acronimo di Hockey Club Mastini Varese) – Varese Hockey, realtà che si occupa solo della prima squadra. Vertici societari di questo nuovo progetto Carlo Bino e Matteo Malfatti, rispettivamente Presidente e Vicepresidente. Scelta, quella di dare vita a una nuova società, che di fatto è coincisa con la fine dei lavori al palazzetto di via Albani, ribattezzato Acinque Ice Arena. Una favola: il nuovo impianto e anche la storia che i Mastini hanno iniziato a scrivere, in maniera indelebile, sul ghiaccio. La squadra viaggia sul doppio binario Coppa – Campionato e tiene ritmi altissimi in entrambe le competizioni, vincendo la prima alla “prima”. I risultati richiamano di nuovo il pubblico delle meraviglie e, nella nuova casa dei Mastini, rinasce subito anche la chimica dei tempi d’oro tra chi sta sul filo delle lame e chi sta sugli spalti.

“L’Ice Arena e il pubblico sono i nostri uomini in più – spiega il Vicepresidente Malfatti, una vita nell’hockey, quasi tutta a Varese, da giocatore prima e da dirigente poi –. L’impianto è l’ideale per vivere una serata diversa con la famiglia o gli amici.

La struttura è ecosostenibile all’80% e in un momento di costi altissimi per la gestione dei palazzetti del ghiaccio, questo ci ha permesso di respirare. Certo i risultati contano, ogni partita è un evento e le tribune sono sold out già prima di ogni gara”. Malfatti non nasconde la soddisfazione, ma sa che la strada è lunga. Il progetto H.C.M.V., infatti, si fonda sulla programmazione a lungo termine. “Sapevamo di dover partire subito forte per centrare un obiettivo importante – dice Malfatti –. Abbiamo costruito un gruppo con giocatori pronti a vincere subito. Però non abbiamo derogato sulla qualità degli uomini, che sono tutti molto legati alla società e a Varese. Gente nata e cresciuta qui che, in alcuni casi, è tornata volentieri al palazzetto di via Albani. E poi volevamo avere un ruolo nelle varie competizioni da protagonisti e in linea con il nuovo impianto”. Un puzzle perfetto, perché “il gruppo ha subito capito le ambizioni della società e la potenzialità della squadra allestita –continua il Vicepresidente –. I giocatori sanno fare

SPORT
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spogliatoio anche fuori dal palazzetto e questo dà ancor più forza alla squadra, quando sono in campo”. E così la Coppa Italia vinta in casa in una Final Four esaltante, anziché essere la ciliegina sulla torta, è diventata l’aperitivo. Rinascere e vincere subito nello sport non è certo un’impresa alla portata di tutti. Ma il ghiaccio all’ombra del Sacro Monte ha un dna importante. Certo i cromosomi vincenti sono rimasti a lungo nascosti, ma è bastato poco per farli uscire dal lungo torpore.

E ora che i Mastini sono tornati a vincere, chi come Malfatti conosce molto bene la storia, non dimentica gli anni d’oro e i periodi difficili. Un passo indietro quindi. Il Vicepresidente da giocatore ha vinto 2 scudetti a Varese: “Avevamo la fortuna di giocare con i campioni che arrivavano dal Canada e dagli Stati Uniti – racconta –, il livello tecnico era altissimo e la società era organizzata in maniera perfetta in ogni dettaglio. Noi giocatori dovevamo solo pensare a giocare e vincere”.

Le stelle. E poi la polvere: “L’hockey è uno sport costoso e la gestione di una società è davvero impegnativa – continua Malfatti –. Varese però non ha mai smesso di amare questa disciplina e tutte le volte abbiamo trovato la forza e il coraggio di ripartire da zero. Non abbiamo mai mollato. Certo, abbiamo partecipato a campionati minori, ma i Mastini ci sono sempre stati”. Anche quando in via Albani si è aperto il cantiere e gli sport del ghiaccio hanno dovuto “emigrare” per due anni lontano da Varese. Quello è stato il momento più complicato e impegnativo. Però, anche lì, la fiammella è stata custodita. “Un biennio durissimo”, si limita a commentare Malfatti. Fino alla rinascita. Anzi, alla scissione che però non è divisione. “Torniamo ai costi di questo sport – continua Malfatti –. Il lavoro fatto dalla Cooperativa, che ha

permesso in questi anni di non far scomparire l’hockey a Varese, è stato eccezionale. Gestire una società, ovvero la prima squadra ma anche il settore giovanile, non è certo una passeggiata. Anzi, la cosa più complessa da organizzare e portare avanti è proprio la sezione dedicata ai ragazzi e ai bambini. Per questo abbiamo preso la decisione di dividere la gestione della prima squadra da quella dei ragazzi. In questo modo, infatti, possiamo dare solidità ad entrambi i progetti. E poi non vogliamo fermarci alla Coppa Italia”.

Società diverse con obiettivi condivisi per poter programmare il futuro. La dirigenza dei Mastini, infatti, ha le idee chiare: “Non sarà semplice, ma anche in Campionato vogliamo poter dire la nostra fino alla fine. Le somme le tiriamo a stagione conclusa. Di certo però posso dire che la nostra volontà è alzare l’asticella, senza andare oltre le nostre capacità. Diciamo che nei prossimi anni lavoreremo per consolidare l’H.C.M.V. perché, quando torneremo ad avere in Italia un Campionato unico, e speriamo accada presto, vogliamo essere pronti a disputarlo ad alto livello”, chiosa Malfatti.

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PUNTA sullo sport

Coltivare valori come il rispetto, la collaborazione, l’impegno, l’integrazione e una sana competizione. Permettere a studenti e studentesse di sperimentare, in prima persona, l’importanza di appartenere ad un gruppo, partendo da un’attività sportiva. Queste le tematiche al centro del progetto Varese School Cup, organizzato da VaRes e dall’Ufficio Scolastico Territoriale. Con il sostegno di alcune aziende varesine

SPORT QUANDO
L’IMPRESA
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Le imprese del Varesotto scendono in campo (è proprio il caso di dirlo) al fianco dello sport e dei giovani, a supporto di un’iniziativa nata per avvicinare il mondo sportivo e quello educativo. Varese School Cup 2023: questo il nome del progetto sostenuto attivamente da due aziende varesine, la Goglio Spa di Daverio e la Lasi Group Spa di Gallarate e organizzato dall’Ufficio Provinciale Scolastico insieme a VaRes, il contenitore di progetti ed idee creato lo scorso anno da Pallacanestro Varese e dall’associazione Il Basket Siamo Noi.

Ma di cosa si tratta nel concreto? Di un torneo di basket destinato a studenti e studentesse delle scuole superiori, che ha l’ambizione di andare oltre la dimensione prettamente agonistica dello sport, coinvolgendo i partecipanti in diverse attività “collaterali”. “Vogliamo trasmettere ai ragazzi l’importanza del fare squadra. Perché il singolo non può nulla se non sostenuto dal gruppo. Il nostro obiettivo è portare lo spirito sportivo al di fuori del campo da gioco. Per questo motivo, a fianco al torneo di pallacanestro, abbiamo organizzato una serie di iniziative che, apparentemente, hanno poco a che fare con il mondo dello sport”, spiega Paola Biancheri, Segretario di Basket Siamo Noi. Obiettivo dell’iniziativa è, quindi, coinvolgere non solo gli studenti che giocheranno le partite del torneo, ma anche tutti coloro che vorranno contribuire, ad esempio, alle attività di comunicazione e alla creazione di coreografie a sostegno della propria scuola. Le ragazze e i ragazzi che prenderanno parte alla Varese School Cup, infatti, avranno la possibilità di programmare e gestire un piano di comunicazione con creazione di un vero e proprio ufficio stampa d’istituto che si occupi di realizzare video, foto e interviste. Oppure ancora potranno ideare le grafiche delle magliette rappresentative della propria scuola o far parte di un gruppo di Cheerleader che organizzi stacchetti tra un intervallo e l’altro dei match. Organizzare cori, slogan e striscioni nel rispetto del tifo positivo: anche questa sarà un’attività dell’iniziativa. Il tutto si svolgerà anche grazie al supporto di incontri formativi con professionisti ed esperti di ogni specifica area. Per quanto riguarda, ad esempio, le iniziative di tifo consapevole, gli studenti hanno potuto assistere ad una lezione con un ispettore della Digos Varese, approfondendo i temi legati alle conseguenze penali delle estremizzazioni violente del tifo. Un avvocato, invece, ha concentrato la sua attenzione sugli aspetti legati alle responsabilità oggettive delle società sportive, con annesse

multe e sanzioni, conseguenti a striscioni e cori razziali o comunque illeciti ed infine una psicologa e psicoterapeuta si è soffermata sui comportamenti, sulle espressioni verbali e sugli atteggiamenti irrispettosi utilizzati, spesso anche inconsciamente, ma che possono avere conseguente dannose sulla psiche di chi li subisce e, anche, sui risultati sportivi. Vista la valenza formativa del progetto, gli Istituti aderenti hanno deciso di riconoscere le ore che gli studenti del triennio dedicheranno alle attività svolte nell’ambito di Varese School Cup (sia dal punto di vista sportivo sia organizzativo e di comunicazione) come attività di Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento), ovvero quella che una volta veniva definita “alternanza scuola-lavoro”. “Crediamo fermamente che questo progetto abbia potenzialità illimitate e possa arrivare a ‘sconfinare’ nelle provincie limitrofe, se non addirittura nella vicina Svizzera. Promuovere i valori educativi dello sport, inteso come veicolo di inclusione, senza distinzioni di genere e promotore di qualità come il rispetto, la collaborazione, l’impegno, l’integrazione e una sana competizione, è lo scopo primario di Varese School Cup. Attraverso l’esperienza del lavoro di squadra, finalizzato al raggiungimento di un obiettivo condiviso, ragazzi e ragazze sperimentano in prima persona l’importanza di appartenere ad un gruppo, che parte dalla piccola dimensione di una squadra di basket per poi allargarsi a livello di istituto scolastico e, in prospettiva, anche di territorio”, conclude Giovanni Todisco, Docente Stein Gavirate e referente tecnico di Varese School Cup. Le aziende interessate a sostenere il progetto possono rivolgersi a segretario@ ilbasketsiamonoi.it

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In cucina BAVETTE

Rubrica in collaborazione con

A L SAPORE DI MARE

Ingredienti (per 4 persone)

320 gr linguine ricche di amido

200 gr calamari Patagonia C4L

(puliti con le loro teste)

32 cozze

32 vongole

Procedimento

12 code di gambero sgusciate

16 pomodori datterini

1 spicchio di aglio

40 gr olio evo

12 foglie di basilico

In una padella versare l’olio, l’aglio, le cozze e le vongole ed a fuoco lento far aprire i frutti di mare, cercando di non far evaporare la loro acqua. Sgusciare i frutti di mare e nel frattempo mettere a cuocere le linguine. Tagliare a pezzi, non troppo piccoli, i calamari e i gamberi e aggiungerli ai frutti di mare con un mestolo di acqua di bollitura. Quando le linguine saranno a metà cottura, scolarle e tenere un po’ di acqua per terminare in seguito la cottura nella padella insieme al pesce. A questo punto, unire le linguine con il pesce e versare dell’acqua

tenuta da parte precedentemente per terminare la cottura. Un paio di minuti prima di concludere la cottura, aggiungere i pomodori tagliati in quattro, il basilico tagliato a julienne e se occorre correggere con un po’ di sale. Amalgamare il tutto con un forchettone da cucina facendo si che si crei un’emulsione tra acqua, olio e amido della pasta, prestando attenzione che non si asciughi troppo rilasciando olio. Appena si crea un sughetto denso, spegnere il fuoco e saltare in padella in modo che l’emulsione creata si leghi con la pasta. Dividere in quattro piatti e servire ben caldi.

Riserva Mach, lo spumante trentino mai banale

La Dieta di Innsbruck acquistò il Monastero di San Michele all’Adige nel 1874 e scelse come direttore Edmund Mach per guidare quella che sarebbe stata una scuola dedicata alla crescita ed il rilancio di tutta l’agricoltura in Tirolo. Edmund Mach da subito decise di inserire una stazione sperimentale per l’agricoltura, diventando un punto di riferimento non solo per il Sudtirol ma per tutti i territori in cui era presente la viticoltura. Dopo Mach si sono succeduti altri direttori, tra cui spiccano Enrico Avanzi che portò la stazione sperimentale al pari delle altre Università italiane, da ricordare anche Rebo Rigotti che si dedicò molto al miglioramento genetico della vite, tanto da far nascere un vitigno che porta il suo nome, Rebo.

Da sempre la missione dell’attuale Fondazione Edmund Mach è di formare personale specializzato in tutti i rami dell’agricoltura e dell’enologia con assistenza costante a centri di ricerca ed enti sperimentali. La produzione di vino della Fondazione è improntata, per statuto, sulle varietà autoctone del Trentino e sui suoi vini tipici, tra cui lo spumante Trento Doc, dedicato proprio al suo fondatore. Tra il 1987 ed il 2000 è stato messo a dimora il vigneto di Pinot Nero e Chardonnay con cui si produce la Riserva Mach, che riposa minimo 48 mesi sui lieviti e viene prodotta solo nella versione millesimata. Nel calice si presenta di colore giallo paglierino verdognolo molto scarico, il perlage è fine e persistente con bolle piccole e numerose. Al naso prevale una nota minerale dettata dalla natura marnosa-calcarea del suolo da cui proviene che lo caratterizzano con note di pietra focaia, fiori bianchi e mandorla. In bocca le bollicine sono eleganti e lasciano una sensazione cremosa, lunga e sapida con una acidità equilibrata che pulisce bene la bocca e invita a bere un altro sorso. Eccellente con primi piatti a base di pesce o carni bianche, ma anche con formaggi o per un aperitivo non banale.

scarico, il perlage è fine e persistente con bolle piccole e numerose. Al naso prevale una nota minerale dettata la di pesce o carni bianche, ma anche con formaggi o per un aperitivo non banale.

Motori

NUOVO LEXUS RX, L’ ESTETICA DELLA SOSTANZA

Un aspetto fedele al family feeling, un importante aggiornamento di infotainment e ADAS abbinati a tre potenti propulsori elettrificati: ecco le novità di Lexus RX, disponibile in tre varianti di motorizzazione elettrificata

Lungo il viale Ippodromo di Varese, in direzione Valganna, le vetrine della concessionaria Lexus del Gruppo Novauto ospitano una elegante protagonista del segmento E, la nuova Lexus RX. Questo sport utility, giunto alla quinta generazione, cambia più nella sostanza che nell’apparenza. A livello di stile è stato sviluppato il nuovo linguaggio di design Next Chapter, che comprende un nuovo corpo a clessidra, ottenuto integrando la griglia a clessidra

nell’intera parte anteriore del veicolo. A lui si aggiungono i fari Tri o Bi-Led e quelli posteriori che diventano un’unica lunga firma luminosa. Nuovi anche i cerchi in lega da 21 pollici e una serie di fenditure sui paraurti anteriori e posteriori. Un vezzo per aumentare l’impronta su strada e migliorare l’aerodinamica. Nuove soluzioni anche per i cristalli (antigraffio) della vettura in grado di filtrare i raggi UV e i rumori provenienti dall’esterno; sono anche dotati di tecnologia a isolamento termico ad alte prestazioni.

All’interno, l’abitacolo Tazuna (che significa “usare le redini”) vede la costruzione della plancia e del tunnel intorno al guidatore per un controllo diretto del

veicolo, secondo il principio “mani sul volante, occhi sulla strada”. Migliora anche l’esperienza di guida, grazie a un layout pulito, arricchito dal nuovo sistema multimediale Lexus Link con l’assistente di bordo “Hey Lexus”, un touchscreen da 14 pollici e funzioni remote accessibili tramite l’applicazione per smartphone Lexus Link. Le 5 stelle nei test Euro NCAP di Lexus RX arrivano anche dal nuovo sistema di aiuti alla guida Lexus Safety System+ Extended, con sistema di allerta del traffico anteriore, assistenza al cambio di corsia automatico e sensore di riconoscimento della stanchezza e della distrazione del conducente con avviso. Le novità più corpose di Lexus RX arrivano dalle 3 varianti di motorizzazione elettrificata. Si parte con RX 350h, il full hybrid con motore 2.5 litri e trazione integrale. Si sale alla versione RX 450h+ plug-in hybrid con motore 2.5 litri, trazione integrale e 4 ruote sterzanti. Le ruote posteriori sterzano fino a 9 gradi per cambi di direzione più fluidi e manovre più semplici. La vetta sportiva si raggiunge con RX 500h F-Sport+: la prima vettura ibrida con cambio sequenziale a 6 rapporti e motore 2.4 full hybrid turbo da ben 371 Cavalli. A tenerla piantata su strada il sistema di trazione integrale Direct4 in grado di variare la trazione e la direzione della sterzata di tutte le ruote a seconda della velocità di marcia e delle condizioni del suolo stradale.

Grazie al servizio di noleggio a lungo termine Kinto One, il gruppo Novauto è in grado di proporre la versione RX 450h plug-in nell’allestimento Luxury a 950 euro al mese per 48 mesi e 20.000 km con un anticipo di 15.000 euro, ovviamente Kasco, RCA, furto/ incendio e manutenzione inclusi.

www.novauto.it informazione pubblicitaria
Matteo Dall’Ava
UNISCITI A NOI! Aderisci al Gruppo Giovani di Confindustria Varese Giovani Imprenditori Varese PER SAPERNE DI PIÙ: 0332 251000 334 3040479 segreteria.ggi@confindustriavarese.it ggi.confindustriavarese.it SEGUICI: GiovaniImprenditoriVarese L’iscrizione è riservata a imprenditori, figli di imprenditori, soci e quadri strategici d’impresa, tra i 18 e i 40 anni, di aziende iscritte a Confindustria Varese. Un’occasione unica per entrare a far parte di un network di persone, imprenditori e manager con cui confrontarsi e collaborare su nuove idee e progetti. Ti aspettiamo! Sei un giovane imprenditore o un quadro strategico d’impresa? QUADRI STRATEGICI D’IMPRESA FORMAZIONE VITA ASSOCIATIVA VISITE AZIENDALI NETWORKING ORIENTAMENTO CULTURA D’IMPRESA

NLT, LEASING O ACQUISTO?

Nessun mal di testa per rischi legati alla proprietà o alla svalutazione dovuta alla veloce obsolescenza dei veicoli: il Noleggio a Lungo Termine è la risposta corretta anche per il privato. Specialmente in un contesto mondiale sempre più incerto, fatto di una progressiva svalutazione delle vetture tradizionali ICE e politiche fiscali che, in un futuro non troppo lontano, potrebbero modificare le tasse sull’acquisto, sulla proprietà o sull’uso delle auto, influenzandone la domanda e i prezzi

ExecutiveLease

Il Noleggio a Lungo Termine 039 22 60 562 info@executivelease.it informazione pubblicitaria

Il piacere della scelta di una nuova automobile porta con sé una serie di grattacapi di non poco conto legati al tipo di motorizzazione e soprattutto alla formula più adatta per poterla guidare: NLT cioè Noleggio a Lungo Termine, Leasing oppure acquisto? La transizione verso la produzione di soli veicoli elettrici voluta dall’Unione Europea entro il 2035 e la probabile introduzione dal luglio 2025 dell’Euro7 porteranno a una progressiva svalutazione delle vetture tradizionali ICE e probabilmente anche di quelle ibride, in primis le Mild Hybrid. A ciò, nei prossimi anni potrebbero aggiungersi delle politiche fiscali che modificando le tasse sull’acquisto,

sulla proprietà o sull’uso delle auto potrebbero influenzare la domanda e i prezzi. Senza contare che l’industria automobilistica sta vivendo una rapida evoluzione in termini di tecnologie innovative come la guida autonoma, la connettività e l’Intelligenza artificiale con la conseguente rapida obsolescenza dei modelli. Per capire come districarsi tra le principali incognite che potrebbero influenzare il mercato delle automobili Rossella Bucca, Founder di ExecutiveLease, fornisce una chiave di lettura per aiutare così gli automobilisti italiani a mettersi sereni alla guida della loro prossima automobile. Per chiarire definitivamente la situazione attuale del mercato automotive, Bucca parte con una semplice considerazione: “Chi comprerebbe una casa che dopo 5 anni vale il 50% del suo prezzo d’acquisto?” Non si alzerebbero certamente molte mani per appoggiare

questa scelta. Il suggerimento è quello di considerare la macchina come un pezzo di metallo, che sebbene molto tecnologico, ogni anno perde straordinariamente il suo valore. Ecco, col noleggio la svalutazione del veicolo e tutti i rischi legati alla proprietà come danni, manutenzione straordinaria o furto sono in capo a chi ha la proprietà e quindi al noleggiatore. Inoltre, rispetto al Leasing, il NLT ha un canone mensile fisso e stabilito all’inizio del contratto che include una serie di servizi come manutenzione, riparazioni, assicurazione e assistenza stradale. Una sicurezza anche per chi vuole optare per i modelli non ibridi, perché il valore residuo del noleggio viene calcolato in fase iniziale del contratto e non risente dei peggioramenti che possono avvenire a causa dell’avvicendarsi delle normative. Inoltre, è possibile modificare il contratto di NLT durante il periodo di noleggio in base alle necessità del cliente. Per le grandi aziende, ancora, bisogna aggiungere che con il noleggio si esternalizzano tutta una serie di attività che normalmente necessitano di una o più figure all’interno dell’azienda con un conseguente risparmio economico; questo perché tutta la gestione del parco auto è posta in outsourcing. In generale, il noleggio a lungo termine può essere una soluzione più semplice, personalizzabile e prevedibile rispetto al Leasing e all’acquisto, specialmente per chi vuole evitare i costi e i rischi legati alla proprietà dell’auto e ciò vale anche per il libero professionista ed il privato.

Matteo Dall’Ava

CAMPARI GROUP

ELMEC SOLAR È L’AZIENDA SCELTA PER LA PROGETTAZIONE E INSTALLAZIONE DI DUE IMPONENTI IMPIANTI FOTOVOLTAICI

Campari Group, azienda leader nel settore degli spirit premium e super premium da oltre 160 anni, si è affidata ad Elmec Solar per installare sulle coperture delle sedi produttive di Novi Ligure e Canale D’Alba due impianti fotovoltaici composti da oltre 3500 moduli. L’impianto produrrà 1,537 GWh annui di energia elettrica, che equivale ad un risparmio di 814 tonnellate di CO2 all’anno.

Febbraio 2023 l’azienda del gruppo Elmec che si occupa di installare e manutenere impianti fotovoltaici residenziali e industriali, ha lavorato con Campari Group per installare un impianto fotovoltaico sul tetto della sue sede produttive di Novi Ligure e Canale D’Alba. Il progetto ha visto la collaborazione di partner di prestigio come SunPower, azienda leader nella produzione di pannelli fotovoltaici dal 1985 e SMA Italia, leader nella produzione di inverter e di soluzioni integrate per il mercato fotovoltaico e filiale italiana della storica realtà tedesca che da 40 anni si dedica allo sviluppo tecnologico nel campo delle energie rinnovabili.

Il piano di riqualificazione dello stabilimento di Novi Ligure è iniziato a maggio 2022, dopo la conclusione di un programma complesso di riacquisto di azioni proprie destinate poi ai progetti di sostenibilità, e si è concluso nell’arco di soli quattro mesi. Complessivamente, sono stati posizionati sul tetto della sede di questo stabilimento 2370 moduli fotovoltaici. L’impianto produrrà inoltre 1,040 GWh annui di energia elettrica pulita, l’equivalente di un risparmio di CO2 pari a 551 tonnellate all’anno.

Oltre a questo progetto, anche nello stabilimento di Canale D’Alba è iniziata l’installazione di un impianto fotovoltaico - che verrà completata entro Aprile 2023 - composto di 1149 moduli fotovoltaici che produrranno 0,497 GWh all’anno di energia elettrica pulita con un risparmio di 263 tonnellate di CO2.

“Essere stati scelti da Campari Group come partner tecnologico per la realizzazione degli impianti fotovoltaici di Novi Ligure e Canale D’Alba rappresenta per tutto il team di Elmec Solar un grande motivo d’orgoglio ed il giusto riconoscimento per il grande lavoro svolto a partire dalla fine dei Conti Energia, in cui il fotovoltaico aveva perso un po’ del suo appeal. Con questo progetto

si è dimostrato come Elmec Solar sia ormai diventata una realtà di riferimento per il mercato nazionale degli impianti fotovoltaici industriali, potendo contare su un team di progettazione altamente qualificato e strutturato in grado di gestire impianti tecnologici complessi” afferma Andrea Grimaldi - Sales Manager B2B di Elmec Solar.

Entrambi i siti produttivi contribuiranno al progetto globale di efficientamento energetico di Campari Group, lanciato nel 2020, con l’impegno di promuovere soluzioni integrate sostenibili per ottimizzare i consumi energetici, ridurre i costi, incentivare l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile e decarbonizzare le attività produttive

Gli impianti realizzati per Campari Group fanno parte di un progetto che riempie di orgoglio Elmec Solar – società B Corp del Gruppo Elmec - e da evidenza di quanto, ad oggi, molte aziende abbiano avviato un percorso di sostenibilità che si sviluppa su più fattori: tenere in considerazione consumatori finali sempre più esigenti e attenti alle catene di approvvigionamento, alle materie prime utilizzate e, soprattutto, a come le aziende danno vita ai prodotti che andranno ad acquistare.

Risulta quindi fondamentale potersi affidare a partner d’eccellenza che possano dimostrare e certificare ogni fase della lavorazione, garantendo un risultato finale all’altezza dell’investimento, che duri nel tempo e che restituisca valore.

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
elmecsolar.com

RUBRICHE SU CULTURA E DIGITALE

TERZA PAGINA

Ecco(mi), il nuovo

Premio Chiara per i giovani

DAL WEB

C’è ma non c’è

COMUNICARE

È l’ora del BeReal

Terza pagina

Ecco(mi), il nuovo PREMIO CHIARA PER I GIOVANI

Il concorso di scrittura creativa dedicato all’autore del ‘900 originario di Luino, Piero Chiara, torna nel 2023 con un riconoscimento in più: 25, tra ragazzi e ragazze, premiati gli scorsi anni, faranno da giuria ai nuovi candidati finalisti. Ecco i dettagli dell’ultima edizione e qualche consiglio dalla vincitrice del 2022, Elisa Albè, 21enne di Gorla Maggiore

ccomi, sono qui per darti aiuto”.

“Eccomi, pronta ad affrontare questa sfida”.

“Eccomi, di nuovo in me, dopo vicissitudini non facili”. Diversi i significati che può avere l’espressione “eccomi”.

Questo il tema attorno cui ruota il Premio Chiara Giovani 2023: la versione dedicata a ragazzi e ragazze appassionati di scrittura creativa, del più ampio concorso letterario intitolato al celebre scrittore del ‘900

originario di Luino, Piero Chiara. Un progetto culturale organizzato dall’omonima Associazione di promozione sociale Amici di Piero Chiara. A latere di questa sfida, rivolta ai giovani e arrivata ormai alla sua 34esima edizione, infatti,

ci sono in palio altri 3 premi in memoria dello scrittore luinese: editi, inediti e video making. Il primo è il concorso dedicato agli autori di raccolte già edite tra il maggio 2022 e l’aprile 2023. Il secondo è rivolto a chi ha conservato nel cassetto almeno 3 elaborati mai apparsi sul web o su quotidiani e riviste. Mentre il terzo, consiste in una vera e propria competizione di cinematografia: chi si mette in gioco deve trasformare in un cortometraggio uno, a scelta, dei racconti del celebre Piero Chiara. Film maker, esperti digitali, professionisti e non, senza alcun limite di età, potranno cimentarsi, in questo caso, anche in gruppo. E se con i 3 concorsi editi, inediti e video making, i partecipanti possono spaziare totalmente con la fantasia, con il Premio Giovani gli scrittori emergenti devono stendere un elaborato, originale ed inedito,

CULTURA E DIGITALE
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attorno al significato della parola “eccomi”.

È Bambi Lazzati, alla guida del Festival, insieme al Presidente dell’Associazione

Amici di Piero Chiara, Romano Oldrini, ad aver scelto il tema dell’edizione 2023: “Eccomi è un concetto importante per un bambino, così come per un ragazzo, ma anche per un anziano –racconta la direttrice Lazzati –. Come spiega il filosofo e psicanalista Massimo Recalcati, è importante per i giovani sentire che c’è qualcuno per loro. Il bambino che piange non è detto che abbia fame, magari ha semplicemente bisogno di conforto. In un periodo come questo, tutti e in particolare ragazzi e ragazze, hanno bisogno di sentire che c’è qualcuno al loro fianco”. Ecco da dove nasce l’idea attorno alla quale i giovani concorrenti sono chiamati a concentrarsi e a lasciar scorrere la penna. A valutare gli elaborati sarà inizialmente una giuria tecnica, presieduta dallo scrittore, vincitore del Premio Chiara Editi 2022, Antonio Pascale, che decreterà i racconti finalisti da pubblicare nel tradizionale volume curato dall’Associazione Amici di Piero Chiara. E poi, la giuria dei 150 lettori che dopo la lettura di tutti i testi candidati, dovrà stabilire la classifica dei 7 premiati e scegliere il vincitore. Ad aggiudicarsi il primo posto nella categoria

“Giovani” lo scorso anno è stata Elisa Albè: 21 anni, di Gorla Maggiore, studentessa del secondo anno di Lettere Moderne alla Statale di Milano. È sicuramente dagli studi, prima al Liceo Classico e ora all’Università, che cresce la sua abilità di scrittura, ma tanto fa e ha fatto quella grande passione che nutre da sempre: “Scrivo da quando ero piccola –racconta Elisa Albè –. Ho partecipato spesso a premi letterari, riempio così il mio tempo libero e spero di fare questo nella mia vita. Il premio che ho ricevuto lo scorso anno è un sogno avverato. Tutto è nato quando ho visto la locandina del Premio Chiara in giro per il Liceo. Qualcosa mi ha detto che dovevo partecipare. Il consiglio a tutti i giovani appassionati di scrittura come me, è quello di tentare perché è un’esperienza che senz’altro fa crescere, anche nel caso in cui non si dovesse vincere. Se il sogno è quello di scrivere, bisogna continuare a farlo”. A portarla al podio, il racconto dal titolo “Diecimila miglia”: una storia, ambientata nel XVIII secolo, in cui una giovane donna riesce a sopportare le miserie di un viaggio per mare di oltre 8 mesi, grazie al desiderio sempre vivo di tornare a casa. “Non ho segreti di scrittura da rivelare – continua la giovane vincitrice del 2022 –. Dopo una ricerca storica, mi sono

immedesimata nella mia protagonista e ho legato le sue vicissitudini a quella che è la vera storia dei prigionieri della Prima Flotta”.

“Un racconto per un viaggio” è, invece, la novità che porta con sé la nuova edizione del Premio: un riconoscimento che sarà conferito ad un secondo giovane concorrente. In questo caso, a votare saranno 25, tra ragazzi e ragazze, vincitori o premiati nelle scorse edizioni. In palio, un pacchetto viaggio della durata di un weekend, per 2 persone, offerto dall’Agenzia Viaggi Giuliani Laudi. Ad accompagnare, poi, i 4 concorsi sarà una serie di appuntamenti: da marzo a giugno si terrà “La primavera della cultura al Premio Chiara”, mentre, da settembre a novembre, toccherà al “Festival del Racconto”. Tantissimi i nomi, anche di spicco, che animeranno la rassegna. Tra gli ospiti,

ad esempio, Niccolò Ammaniti, Vittorio Sgarbi e Brunello Cucinelli. Tra gli eventi, due omaggi per il centenario dalla nascita di importanti scrittori italiani: Italo Calvino e Giovanni Testori. Ma si parlerà, ad esempio, anche di arte, musica, cinema e sport con diversi campioni come la sciatrice Marta Bassino, il cestista Gianmarco Pozzecco e il tennista Adriano Panatta. Varese, Lugano, Luino, Azzate, Busto Arsizio, Gallarate, Tradate. Questi, invece, i luoghi in cui faranno tappa gli appuntamenti intitolati a Piero Chiara, per portare la cultura della scrittura italiana faccia a faccia con il pubblico varesino, transfrontaliero e non solo.

Sopra, Piero Chiara, foto di Paolo Zanzi. Nella pagina a fianco, Antonio Pascale, vincitore del Premio Chiara 2022 e Elisa Albè, vincitrice del Premio Chiara Giovani 2022

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Il concorso che vede in gara giovani esordienti, ma anche scrittori affermati e videomaker, sarà accompagnato da un calendario ricco di appuntamenti legati alla letteratura e non solo. Si parlerà anche di arte, musica, cinema e sport

In libreria

Giovane con i giovani, alla conquista del futuro

Intelligenza Artificiale per tutti

“Credo che il modo migliore per scrivere di economia sia parlare e soprattutto far parlare gli imprenditori e i loro collaboratori, ossia i veri protagonisti del saper fare bene cose belle”. Così Luciano Landoni, giornalista e brillante prolifico scrittore di storie di impresa, sintetizza il suo metodo: “In questo caso, in particolare, ho avuto il piacere e il privilegio di raccontare la storia umana e professionale di un giovane economista, il professor Fabio Papa, che si mette al fianco delle aziende e le aiuta a crescere”.

guerini.it

Ricordi e pensieri di una vita

Rosso Quadro, 2022

Ricordi di una vita che sono anche scorci della storia del territorio e d’Italia: luoghi e memorie nei pensieri di un personaggio noto e stimato

a Varese, dove è arrivato da giovane da Monteforte Irpino e dove oggi vive da pensionato, dopo una lunga e brillante carriera al servizio della Prefettura. Un tuffo nel passato tra accenni al paese natio, esperienze di lavoro, famiglia, aneddoti e viaggi, all’interno del percorso di una vita, attraverso le varie fasi che ne hanno segnato il corso. Illustrazioni di Ivan Coppolaro. rossoquadro.it

“Perché sta già cambiando le nostre vite e come sfruttarla al meglio senza timori”.

La chiave per leggere l’innovazione è la conoscenza: il lavoro del giornalista varesino, consulente informatico e formatore, parte da qui, dal bisogno di fare chiarezza sul tema, inserendosi in un florilegio di riflessioni, con un obiettivo fortemente divulgativo.

Un testo che esplora il mondo della Intelligenza artificiale, tra dati di fatto e potenzialità, per renderlo, come titolo promette, comprensibile a tutti, anche per superare i (comprensibili) timori.

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I libri di queste pagine sono consultabili, anche in prestito, alla Biblioteca “Mauro Luoni” di Confindustria Varese.

Tel: 0332.251000. E-mail: biblioteca@confindustriavarese.it

La governance meritocratica

La cultura come valore che rende migliori gli uomini. Questo lo spirito con cui più di 20 anni fa nasceva, a Varese, l’Università degli Studi dell’Insubria, che accoglie nei suoi spazi una collezione d’arte contemporanea, che si arricchisce di anno in anno.

“I beni culturali – sottolinea il Rettore Angelo Tagliabue nella presentazione al volume – costituiscono parte non secondaria, della nostra identità”. Qui si gioca anche il rapporto con la città di Varese: un rapporto che, al di là del dovere strutturale della ‘terza missione’, vuol dire anzitutto consapevolezza di vivere in un territorio ricchissimo di beni culturali.

uninsubria.it

Insetti a grandezza naturale

Gli insetti sono al centro dell’attualità: quanto conta il loro ruolo nell’ecosistema? Come sfruttarne le potenzialità per la sostenibilità e la bioeconomia? Davvero tutti li mangeremo un giorno? In questo contesto, questo libro diventa ancora più curioso: una vera e propria guida interattiva al mondo degli insetti che li presenta a grandezza

naturale, dal più piccolo al più grande. Ciascuno con le principali informazioni scientifiche: dalla zanzara tigre al millepiedi gigante africano, passando per vespe e coleotteri, fino alla Tarantola Golia, il ragno più grande e pesante al mondo (che non sta nelle pagine “regolari”!), un catalogo affascinante per un viaggio nel mondo degli insetti. Proprio come per “ORME – Impronte di animali a grandezza naturale”, gli aspiranti entomologi si divertiranno a confrontare le proprie mani con le dimensioni delle specie rappresentate.

nomosedizioni.it

Come si distingue la buona governance?

Quali sono i requisiti di organi di governo all’altezza delle sfide attuali? Questi sono alcuni degli interrogativi ai quali si propone di rispondere il volume attraverso il racconto di storie di talento e casi d’impresa sostenibile, a partire dalle testimonianze di imprenditori, manager e professionisti del tessuto produttivo italiano raccolte durante il progetto di ricerca del Forum della Meritocrazia. Con la prefazione di Roger Abravanel e postfazione di Maria Cristina Origlia. Tra le testimonianze riportate, anche quella di Michela Conterno di LATI.

guerini.it

Il Rettorato dell’Università degli Studi dell’Insubria
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Andrea Spiriti, Laura Facchin, Massimiliano Ferrario Sagep, 2022
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L’Università dei figli raccontata ai genitori sabato 1 aprile 2023 | ore 10.15 ECONOMIA AZIENDALE giovedì 30 marzo 2023 | ore 14.30 scegli la tua data su: www.cisiaonline.it INGEGNERIA GESTIONALE Test di ammissione On-line: www.liuc.it
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Dal web

C’È MA NON C’È

Le ultime notizie sulle #ImpresediVarese dal web e dai social network. Solo su

Buongiorno Impresa: la storia

LATI è Great Place to Work

di Futureclo

Nel podcast di Varesefocus, il caso dell’impresa di Gallarate che c’è ma... non c’è! Il prodotto di Futureclo, startup di German Picco e Carlo Mantori, è soltanto digitale. E non si tratta di un semplice disegno, ma un capo di abbigliamento vero e proprio con grandissime potenzialità.

Enrico Cantù è Benefit

Enrico Cantù Assicurazioni è diventata Società Benefit. La storica agenzia saronnese, parte del Gruppo Generali, ha formalizzato a dicembre il suo impegno verso collaboratori, clienti e territorio trasformandosi in Società Benefit.

L’azienda di Vedano Olona, leader nella produzione di compound termoplastici tecnici, è stata inserita nell’elenco dei Great Place to Work, essendo considerata dai suoi dipendenti, sia in Italia sia all’estero, un posto di lavoro di cui andare orgogliosi.

Il 2022 per Zeiss, un anno da record

Il Gruppo internazionale con oltre 38.000 collaboratori, circa 30 stabilimenti produttivi, 60 sedi di distribuzione e assistenza, 27 centri di ricerca e sviluppo, presente anche in provincia di Varese, ha chiuso il 2022 con 8,8 miliardi di euro di fatturato. Un risultato mai raggiunto prima.

L’indagine, promossa nel corso del 2022 da Banca d’Italia, Assolombarda e l’intero sistema di Confindustria Lombardia, ha l’obiettivo di analizzare il posizionamento delle imprese manifatturiere lombarde nell’ambito della transizione ecologica.

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Il cambiamento climatico e le strategie delle imprese

Comunicare

È l’ora del BeReal

Vi siete mai chiesti se le vostre fotografie, scattate senza pensieri, contengano dati sensibili vostri o di altri? Dall’ultima moda social diffusa tra gli adolescenti agli scambi di richieste con ChatGPT, il passo è breve e ricco di analogie. Nuovi panorami della comunicazione e tutela della privacy: rette parallele che non si incontreranno mai?

Se in casa vostra abita un adolescente, vi sarà senz’altro capitato di sentire: “Corri, è l’ora del BeReal!” Una delle più recenti trovate social consiste in uno scatto giornaliero da condividere con gli amici. Dovunque siate, in qualsiasi situazione vi troviate. Tra scherzi e (edulcorata)

autenticità, quello che dovrebbe uscirne è un ritratto personale. Originale, certo, ma come tutti i progetti di condivisione, qualche dubbio lo fa sorgere: vi siete mai chiesti ad esempio se le vostre fotografie, scattate senza pensieri, contengano dati sensibili vostri o di altri? Il problema dei dati è che non

solo sono sensibili, ma la consapevolezza sugli stessi dipende dalla sensibilità. Di ciascuno. E non sempre è sufficiente. Ad esempio, vi è sicuramente capitato in coda alla cassa di un negozio di vedere qualcuno tentennare davanti alla scelta di aderire a un programma fedeltà, neanche fosse un testamento. Ma siamo pronti a scommettere che non vi sarà mai capitato di confrontarvi con qualcuno sulla policy di un social network. Perché semplicemente nessuno le legge, nonostante siano contratti a tutti gli effetti. L’avvocato Ernesto Belisario, uno dei massimi esperti di privacy, ha sollevato qualche lecito interrogativo su ChatGPT. In particolare,

la questione più spinosa è come vengano trattate le informazioni fornite dagli utenti nelle conversazioni (che al momento sono per lo più di sperimentazione) con la Chatbot. In parte è dato saperlo, leggendo quella fantomatica policy (che certamente avrete studiato!), in parte è nebulosa. Un bel rompicapo per il legislatore del futuro, se si pensa che i dati incamerati, serviranno a raffinare l’Intelligenza artificiale, ma anche un grande dilemma per il comunicatore, per professione e per diletto, di oggi. La domanda è sempre la stessa: nel pubblicare un’opinione su Facebook o nel rispondere a un sondaggio su Instagram o giocando con ChatGPT, come fosse un videogame, sapete che state condividendo i vostri dati? Il problema è complesso, la soluzione – ahinoi – non esiste, ma è comunque bene ribadirlo. Per affrontare il futuro della comunicazione servirà un mix tra una sana consapevolezza e quel “so di non sapere” di socratica memoria che sta bene con tutto. E, così, magari, la prossima volta che accederemo ad un sistema di Chatbot ne leggeremo i termini e le condizioni (o almeno correremo a riordinare casa all’ora del BeReal).

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DISTRIBUTORI AUTOMATICI

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Comunicare È l’ora del BeReal

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Dal web

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In libreria

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Ecco(mi), il nuovo PREMIO CHIARA PER I GIOVANI

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CAMPARI GROUP

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NLT, LEASING O ACQUISTO?

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NUOVO LEXUS RX, L’ ESTETICA DELLA SOSTANZA

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In cucina BAVETTE

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PUNTA sullo sport

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LA RINASCITA dei Mastini

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lodisegna GPT?

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Ravo sfida

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Sboccia la TULIPANOMANIA

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NEL REGNO DEI Longobardi

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TERRITORIO BAFF

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COM’È NATO il BAFF

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TERRITORIO IL PANETTIERE

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Il panettiere: UN MESTIERE IN VIA D’ESTINZIONE

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bioeconomia

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LA FLOTTA DI AW169

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COM’È FATTO UN AW169M

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CASA PULITA ci vuole la scienza

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LA LOMBARDIA SUL PODIO DEI brevetti green È

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L’IMPRESA in cattedra

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Come disegnare IL PROPRIO FUTURO

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IL SUCCESSO DEI BREAK FORMATIVI in A.C.S.A.

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Ilfarodi Roda

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del lavoro

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Il welfare È PARTECIPAZIONE

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CHE VALORE DIAMO al lavoro? P

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IL SOCIAL PROGRESS INDEX nel mondo

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“E ora diamoci delle priorità”

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Progresso sociale: VARESE È 28ESIMA IN ITALIA

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LE ROTTE DI MALPENSA PER ATTERRARE sul futuro

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Mill PUÒ RAPPRESENTARE LA SVOLTA

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Come costruire UN MAGAZZINO VERDE

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Un traino ANCHE PER IL LAVORO

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Da BPER e SACE nuove linee a breve termine assistite da SupportItalia

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IL MOSAICO DI UN SETTORE AL CENTRO DELL’EUROPA

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Il mosaico DI UN SETTORE AL CENTRO DELL’EUROPA

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#VARESE2050 DECOLLERÀ CON LA logistica

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FOCUS LOGISTICAMENTE Varese

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SERVE creatività

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