MichePost Il giornale degli studenti del Miche Anno VIII, Gen-Feb 2023 n. 29 www.michepost.it Liceo Michelangiolo OKKUPÉ!
La direzione
Direttori
Niccolò Generoso
Alessia Prunecchi
Vicedirettori
Vittoria Lettieri
Niccolò Moretti
Caporedattori
Alessia Prunecchi e Niccolò Generoso (attualità) Rosa Sperduti (letteratura) Rocco Sebastiani (cinema) Niccolò Moretti (sport) Tommaso Casanovi (musica)
Responsabile area digitale
Vittoria Lettieri
Progetto grafico
Dania Menafra
L’editoriale | Vivere la scuola con consapevolezza
Niccolò Generoso
Chi può descrivere con occhio critico un ambiente meglio di chi ne è protagonista? A mio avviso nessuno. Se poi lo stesso ambiente è un luogo finalizzato a plasmare i futuri cittadini, l’attenzione ad esso deve essere duplice. Proprio per questo motivo, è fondamentale per ogni studente vivere la propria esperienza scolastica in modo consapevole dei propri diritti, dei propri doveri, di tutto ciò che lo riguarda. Questa consapevolezza è la base per costruire un pensiero critico sulla realtà scolastica odierna, che non necessariamente deve essere negativo, ma che deve esserci. Questo poiché è essenziale, non solo per tutti gli studenti ma per tutti i cittadini, cercare di lottare attivamente affinché la scuola, principale fonte di crescita personale e collettiva, sia effettivamente un ambiente sempre migliore per chi lo vive. Troppo spesso molti studenti sono disinteressati alla questione pur sapendo che ci potrebbe essere una vita scolastica migliore per tutti; pur sapendo che, muovendosi e manifestando la propria posizione, si potrebbe arrivare ad una scuola nella quale la parola “istruzione” non combacia con “sacrificio”. Una volta elaborato questo pensiero critico, vi sono diversi modi per manifestarlo. In questo editoriale non mi soffermerò sulle mie posizioni in merito a questi, per evitare di dare una visione eccessivamente di parte. Il primo modo è quello forse più longevo e antico: la parola, che da millenni viene utilizzata non
solo per esprimere concetti oggettivi, ma anche soggettivi come posizioni politiche e ancora prima filosofiche. Questa è indubbiamente un mezzo che, se utilizzato in modo proprio e corretto, può essere di grande impatto mediatico e può portare al raggiungimento di obiettivi politici. Un altro sono le partecipazioni a gruppi studenteschi, a cortei e altri generi di manifestazioni, i quali sono più volte risultati utili al fine che voleva essere raggiunto, un esempio lampante ne è il Sessantotto, che dalle proteste di piazza arrivò a mutare il ruolo sociale dei giovani, delle donne e di molte minoranze (o, talvolta, maggioranze) oppresse. Tra gli altri generi di manifestazioni vi sono, anche, le occupazioni. Queste hanno la virtù propria di, in quanto atti illegali, essere rumorose e amplificare la voce di chi le porta avanti. Tuttavia, sempre in quanto tali, hanno lo svantaggio di essere estremamente divisive tra chi si trova a favore, reclamando il diritto di manifestare, e chi si trova contro, reclamando il rispetto delle leggi dello Stato. Dunque con queste parole voglio invitare tutti, anche te, qualunque posizione tu abbia, a una partecipazione attiva e consapevole nella scuola e, di conseguenza, nella vita. A non avere paura di esprimere la tua opinione, seppur critica, nei confronti anche di un’autorità. E questo poiché, laddove vi sia il rispetto tra le due parti, il dialogo può essere veramente efficace per cambiare ciò che deve essere cambiato.
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
Estratto dal manifesto d’occupazione
Come comitato d’occupazione degli studenti e delle studentesse del liceo Michelangiolo rivendichiamo in data odierna l’occupazione del nostro istituto. Le motivazioni che ci hanno portato a questo atto politico sono molteplici. Denunciamo l’abominevole gestione del sistema scolastico negli ultimi anni; rifiutiamo le logiche che hanno governato e tuttora governano la scuola e le politiche messe in atto da questo nuovo governo.
GOVERNO
Giunt3 alla conclusione che questo governo manterrà le politiche scolastiche ed economiche portate avanti dalle scorse amministrazioni e metterà in atto imposizioni in campo sociale e repressivo ancora più strette; noi rivendichiamo e chiediamo l’abolizione immediata dell’articolo 343-bis del Codice Penale, in quanto illegale e incostituzionale. Questa è una norma volta solo ad una maggiore repressione della libertà di espressione e manifestazione, mascherata da una fantomatica “urgenza del problema dei rave ”. In questo modo, si fa passare un decreto che limita ulteriormente la libertà al dissenso come una scelta necessaria per garantire l’ordine pubblico. Condanniamo inoltre la gestione della situazione riguardante l’immigrazione, credendo infatti che ogni persona abbia diritto a una vita dignitosa e, se il paese in cui abita non può garantirla, che abbia il diritto di cercarla in un altro posto.
SISTEMA SCOLASTICO
Ribadiamo per l’ennesima volta che il modello di scuola che ci propinano non è quello che vogliamo. Rifiutiamo un sistema scolastico basato unicamente sulla valutazione numerica, che alimenta la competizione tra student3 e il clima di tensione interno alle classi, il quale incide sull’inclusione di ciascun individuo, impedendo la crescita personale e lo sviluppo di un pensiero critico.
La scuola è ormai da tempo sottomessa alle logiche ripugnanti che ci governano. Fin dall’inizio del percorso siamo preparat3 a essere inserit3 in modo passivo nella società. La scuola si basa ormai solo sul principio di apprendimento nozionistico e mnemonico: l’obiettivo di questo sistema è solo quello
di inculcarci informazioni. Riteniamo che il fine della scuola dovrebbe essere proprio il contrario: formarci come persone e stimolare un pensiero critico attraverso l’uso del dibattito che coinvolga l3 student3 in confronti plurilaterali. Riteniamo la sola impartizione frontale di dati strumento obsoleto e non funzionante, parte di un sistema tradizionale e conservatore, rimasto quasi immutato nei decenni.
Siamo stanch3 di sottostare a un sistema che si basa su principi che non condividiamo, come la meritocrazia: principio classista che premia l3 student3 che ignora la condizione economica, familiare, salutare e sociale dell’individuo, privilegiando così individui maggiormente agiati, demoralizzando e negando pari opportunità a chi non gode della stessa fortuna. Il sistema meritocratico presuppone che ogni student3 parta dalle stesse condizioni e nega supporto a chi necessita di un aiuto maggiore.
Nella maggior parte dell3 student3 si riscontra sistematicamente ansia, stress e attacchi di panico. La condizione mentale dell3 student3 non solo è ignorata dalla scuola, ma spesso è aggravata dalla mancanza di dialogo, empatia e informazione, dalla cinica pretesa dell3 professor3 del totale annullamento della vita di un3 ragazz3 e delle sue attività legittime che tolgono tempo allo studio: un trattamento inumano e intollerabile. Inoltre le persone neurodivergenti (ossia che presentano sindromi, autismo, ADHD, ansia ecc.) sono classificate unicamente in base al loro disturbo e spesso “nascoste” per proteggere l’idea del classico d’ élite, che prova vergogna per chi non è l3 student3 modello e neurotipico. il PDP (piano didattico personalizzato) è l’unico modo che ha l3 student3 di far riconoscere formalmente le proprie difficoltà di apprendimento, ma quest’ultimo è redatto da genitori e professori, non dal dirett3 interessat3, arriva con ritardi enormi e consiste in moduli a crocette standardizzati e approssimativi.
FONDI
È un dato di fatto che il Michelangiolo sia una scuola d ’élite , in quanto
una delle poche scuole che nell’area fiorentina hanno ottenuto finanziamenti per lavori strutturali. Convint3 della necessità sempre maggiore di unione e collaborazione con studenti e studentesse di altre scuole, chiediamo l’immediato stabilimento di fondi per risolvere le gravi carenze strutturali degli altri fatiscenti edifici scolastici di Firenze. Abbiamo individuato che molti dei fondi stanziati alle scuole sono vincolati per spese legate alla tecnologia; ci chiediamo quindi quale sia il bisogno di sprecare soldi in tecnologie avanzate quando abbiamo già lavagne interattive e funzionanti, mentre i bagni sono inagibili e i termosifoni spesso guasti. Negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad un sempre maggior numero di tagli nella spesa per la scuola pubblica, promuovendo la privatizzazione dell’istruzione. Credendo fermamente che la scuola debba essere pubblica, ci opponiamo a queste misure classiste e ribadiamo il bisogno urgente dell’aumento dei fondi alla scuola pubblica.
PCTO
Chiediamo l’immediata abolizione dei PCTO, l’ennesimo strumento utilizzato per rendere la scuola ancora più funzionale ad un inserimento passivo dell’individuo nelle logiche del mercato. Una scuola aziendalizzata e industrializzata allontana dall’unico obiettivo che essa dovrebbe avere: la formazione personale, culturale e di un pensiero critico che permetta un inserimento attivo nella società. Rifiutiamo che la scuola sia soggiogata agli interessi di profitto di questo sistema e che sia volta a creare manodopera gratuita per aziende private.
Ciò ha portato student3, che avrebbero dovuto trovarsi in un luogo di pubblica e libera istruzione, a essere sfruttat3 e uccis3 nelle fabbriche: nello scorso anno Lorenzo, Giuseppe e Giuliano hanno pagato con la propria vita un ingiusto obbligo imposto dalla scuola.
Per i suddetti motivi abbiamo ritenuto necessario l’atto estremo di occupare il liceo Michelangiolo: per esprimere la nostra protesta contro ingiustizie di ogni genere con l’obiettivo di far sentire la nostra voce e quella di tutti gli istituti che non hanno la nostra risonanza.
gli studenti e le studentesse occupanti
SISTEMA SCOLASTICO MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
In difesa dell’occupazione
L’occupazione è l’atto che restituisce veramente la scuola agli studenti e alle studentesse. Non è un’azione sconsiderata, messa in atto senza la dovuta ponderazione, in quanto ogni persona che prende parte alla protesta ravvisa le conseguenze e i rischi verso cui va incontro. Perché, quindi, la maggioranza degli studenti di una scuola sceglie di appropriarsi con la forza dell’intero edificio scolastico? La decisione di occupare una scuola viene presa soltanto alla fine di un ciclo di assemblee studentesche e manifestazioni, e non è possibile organizzare il tutto dall’oggi al domani. Le altre forme convenzionali per esprimere il dissenso, che sia un’autogestione o una protesta di piazza, non permettono da un lato di ricevere un certo livello di attenzione dell’opinione pubblica, dall’altro di esternare il sistema valoriale intrinseco dell’occupazione. Riteniamo necessario, anche in vista di future critiche, distinguere il concetto di legalità da quello di giustizia. Uno stato dovrebbe far sì che questi coincidano, ma la legge, spesso, si trova in una posizione incompatibile con ciò che realmente porterebbe a un cambiamento in positivo della situazione critica che ha condotto all’occupazione.
Durante l’occupazione viene negato il diritto all’istruzione agli studenti e alle studentesse solo se istruzione significa sterile nozionismo; se invece essa punta all’acquisizione di consapevolezza civica e di mezzi per comprendere e saper criticare la realtà in cui viviamo, allora tale diritto non viene garantito, ma implementato. Dall’esterno potrà essere difficile capire quale sia il vero valore dell’occupazione, che consiste nell’acquisire una vera consapevolezza della vita scolastica in tutte le sue forme, dal momento che in quei giorni la scuola è veramente degli studenti che con responsabilità devono prendersi cura del corretto svolgimento anche delle incombenze che normalmente spettano ai docenti e al personale ATA. L’esperienza dell’occupazione può essere determinante nella crescita personale e nel percorso di formazione dell’individuo grazie alla diversa prospettiva della scuola, alle nuove relazioni che si creano e alla rivitalizzazione della coscienza civica degli studenti. In un tempo di disinformazione e astensionismo come quello in cui viviamo, è fondamentale risvegliare l’interesse per la politica, necessario alla cittadinanza attiva e consapevole. Non bisogna accettare pas-
sivamente tutto ciò che viene imposto dall’alto, ma analizzare con spirito critico la realtà e, in base a ciò, ponderare le proprie decisioni.
Una delle critiche che più frequentemente vengono rivolte alle occupazioni è la loro inconcludenza in quanto non sembrano portare nell’immediato a risultati concreti.
Ciò capita anche nei confronti di manifestazioni e cortei poiché, spesso, non si riesce a comprendere la vera portata di queste forme di protesta. L’importanza tanto delle manifestazioni di piazza quanto delle occupazioni sta nel coinvolgimento sociale che porta ad una maggiore mobilitazione e informazione. Non è una questione di partiti, ma di idee, dibattito, assemblee. Un’occupazione non cambierà il mondo, ma sicuramente, seppur in minima parte, potrà cambiare la prospettiva di alcune persone. E, se soltanto una persona guarderà il mondo con occhi diversi, allora l’occupazione non avrà fallito, e lo sforzo di tutta la comunità scolastica non sarà stato vano. Il nostro tempo non è la fine della storia, noi siamo la storia nel suo scorrere perpetuo, e sta a noi plasmarla per creare un futuro che apprezzeremo più di questo presente.
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
Domitilla Michahelles, Cristiano Alongi, Edoardo Monti, Giorgio Chetoni e Matteo di Lorenzo
Anche sul merito
Il concetto di meritocrazia (chi è bravo viene premiato) è uno dei principi su cui si basa la nostra società e anche il sistema scolastico. Esso implica che solo chi “merita” in qualcosa venga valorizzato e riesca a studiare indipendentemente dalla propria condizione economico-sociale di partenza (art. 34 della Costituzione). Riguardo a ciò, però, l’articolo 3 della nostra Costituzione dice anche che: ”È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un’idea chiave che ne consegue è la necessità di garantire a ciascun cittadino le migliori condizioni possibili cosicché possa formarsi come persona e acquisire le capacità che gli occorrono per “meritare”. Dato che esistono condizioni di partenza, come la genetica, su cui nessuno può intervenire (tantomeno l’individuo stesso), è ovvio che garantire l’uguaglianza assoluta tra due individui è impossibile: essi infatti dovrebbero essere la stessa persona. Tuttavia, ci sono molteplici fattori, concatenati tra loro in una rete fittissima, che formano la persona e la rendono quello che è. Essi non dipendono dall’individuo ma da tutto ciò che lo circonda e lo influenza inevitabilmente fin dalla nascita. Un uomo un giorno nasce sulla Terra: in primo luogo egli non sceglie di nascere, non sceglie il periodo storico in cui nascere, non sceglie la propria nazionalità, non sceglie la propria lingua, la propria provenienza sociale, la propria condizione economica, non sceglie suo padre, sua madre, i suoi amici, le persone che incontrerà. Ci sono un sacco di nostre caratteristiche che non scegliamo e che portiamo con noi per tutta la vita. Un uomo quando nasce può nascere ovunque: nel ghetto del Bronx o in Piazza D’Azeglio, ovunque. Non è qualcosa che ti cambia la vita? Come può non esserci differenza tra nascere in Piazza D’Azeglio o nel Bronx? dico io. Sono di questo tipo i famosi “ostacoli di ordine economico e sociale” menzionati sopra ed essi logicamente non dipendono assolutamente dalla persona. Rimarco quest’idea perché inevitabilmente il concetto di merito è associato a quello di colpa e spesso noi uomini riteniamo che se una persona “è buona” allora “abbia il merito”di esserlo, mentre se “è cattiva” ne “abbia la colpa”.
È davvero così? Ma come può non esserci una differenza sostanziale tra il vissuto (tutto quello che ha visto, sentito, imparato) di Mario Draghi (esempio di persona che ha “meritato” e ottenuto nella vita) e quello di Matteo Messina Denaro (esempio di persona schifosa, mafiosa, “colpevole” di omicidi, stragi e azioni ripugnanti)?
L’uno “è buono”, l’altro “è cattivo”? L’uno “se l’è meritato”, mentre l’altro no e “ha la colpa” di essere un criminale schifoso? Finisce davvero qui? Chi sbaglia, chi si comporta male, chi “non merita” viene punito e subisce le conseguenze delle proprie azioni, mentre chi “merita” viene ricompensato di quello che dà. Ma chi è “cattivo”, schifoso e “colpevole” nasce davvero “cattivo”, schifoso e “colpevole”?
E chi è “buono” e “meritevole” nasce davvero “buono” e “meritevole”? Beh, mi sembra obiettivo che un uomo quando nasce (pensate a un neonato), non nasca nè “buono” nè cattivo, nè bravo nè incompetente, nè “meritevole” nè “colpevole”: apparte la genetica, tutto si deve ancora definire. Un uomo quando nasce non è ancora niente, deve formarsi, il suo cervello ha un potenziale enorme, sconosciuto: può diventare qualunque persona possibile. E’ allora fondamentale interrogarsi su come effettivamente un uomo dal niente diventi quello che è. Quindi: un individuo come si forma? Come sviluppa la propria persona? Come diventa “buono” o “cattivo”? Semplice: copia dagli altri. La lingua, la scrittura, ad allacciarsi le scarpe, la Storia, a camminare, a nuotare, la religione, a uccidere, a prendere droghe: tutto quello che inizia a far parte della persona è preso da altri, imparato, copiato. Il modo di essere e la nostra personale visione del mondo passano attraverso le parole e i fatti di altri, nostri contemporanei ma anche antenati (molte azioni, scoperte, iniziative ecc. di uomini del passato condizionano tuttora le nostre vite). In un qualche modo siamo gli altri: prendiamo spunto da loro, ci serviamo delle loro idee per formare le nostre, li usiamo come metro di paragone, come punto di riferimento. E per questo, la “qualità” delle persone che ci circondano (e che quindi ci condizionano maggiormente) è fondamentale per la nostra formazione. Io credo (e riguardo a ciò l’art. 3 e l’art. 34 della Costituzione sono contraddittori) che se messo nelle giuste condizioni, ogni uomo certamente stupisce e “merita”; mentre se si trova in condizioni che non lo fanno emergere bensì lo danneggiano, allora certamente stupisce
in senso negativo e “non merita”. Il merito e la colpa sono solo una conseguenza delle condizioni. Se un uomo impara cose non buone perché “ha a disposizione” solo esempi negativi o gli esempi positivi non sono abbastanza “forti” da contrastare le cattive influenze, allora come può stupire, “meritare”? Come può differenziarsi non conoscendo alternative? Il talento, le capacità devono essere coltivati: ogni uomo può essere bravo, intelligente, stupefacente in qualcosa; è nella sua natura. E la scuola, proprio per il fatto di essere accessibile a tutti, consiste nello strumento più efficace per infondere nelle persone capacità e valori, che consentano loro di esprimere al meglio il proprio potenziale, e per contrastare situazioni di partenza ostili e poco stimolanti: capire questo è fondamentale. L’obiettivo è continuare a migliorarla per fare in modo che sempre più ragazzi siano valorizzati e spinti a fare bene, consapevoli dell’importanza della conoscenza (contrapposta all’ignoranza). L’impiego di esperti (pedagogisti), una buona formazione degli insegnanti e un maggior dialogo intergenerazionale tra educatori e studenti, sono secondo me punti essenziali al raggiungimento di ciò. Perché investire adesso sulla buona istruzione dei giovani significa assicurarsi nel futuro padri, madri, dottori, politici, insegnanti, artigiani, contadini e operai preparati e in grado a loro volta di contribuire positivamente all’educazione dei nuovi individui (i nostri figli). Tenuto conto di ciò, bisogna anche interrogarsi sul ruolo che ricoprono l’ignoranza e un’istruzione scadente all’interno della società e chiedersi se esse non siano in un qualche modo necessarie all’esistenza di determinati settori lavorativi (lavori che non prevedono una formazione specialistica) e della criminalità; poi trarre conclusioni. Chiedersi: “Il sistema ha bisogno di persone ignoranti, che non abbiano sviluppato la propria persona umana, per continuare? Proprio tutti possono essere istruiti e quindi meritevoli? E se vi è una selezione, di che tipo?” e provare a rispondere. Per concludere, però, voglio ricordare che, sebbene si possa sempre migliorare le cose, nella parte di mondo più sviluppata (in cui rientra anche l’Italia) sono già state raggiunte conquiste sociali (ad esempio i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza) a dir poco rivoluzionarie, grazie alle quali quello di cui scrivo diventa quantomeno pensabile. Il nostro dovere è quello di non perdere di vista un fine comune.
4 | 5 MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
Marco Masullo SISTEMA SCOLASTICO | MERITOCRAZIA
No ad una scuola asservita alle logiche di profitto dei padroni
sgravi fiscali che ricevono le aziende nei primi mesi di lavoro se assumono unə studentə che ha fatto alternanza. Inutile dire che dopo la scadenza del contratto non ci si può aspettare un rinnovo. L’inutilità dei PCTO è causata da una mancanza di ascolto e dialogo, una mancanza propria di tutto il sistema scolastico.
I PCTO hanno anche dimostrato quanto possano essere dannosi per l’incolumità dellə studentə.
Uno dei motivi che ha spinto lə studentə del nostro liceo ad occupare è la protesta contro i PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento). Le “esperienze lavorative” previste consistono, nel migliore dei casi, nel seguire corsi inutili che non rispecchiano gli interessi e le inclinazioni dellə studentə. Altrimenti lə ragazzə, soprattutto di tecnici e professionali, sono portatə a lavorare senza retribuzione in aziende e a svolgere mansioni lunghe e ripetitive che di certo non aiutano lə studentə a comprendere il funzionamento del mondo che dovrà affrontare una volta finito il percorso di studi. Questi percorsi non aiutano, come dicono, all’inserimento dellə studentə nel mondo del lavoro e, se lo fanno, è un inserimento passivo, fatto di sfruttamento e subordinazione. Non forniscono una concezione di lavoro sicuro, retribuito e consapevole ma appoggiano l’assenza di tutele e diritti. La scuola, invece di dare ascolto allə suə studentə, asseconda le necessità delle aziende e di chi ne è a capo, fornendo manodopera gratuita. Così facendo abbandona la sua funzione didattica e, invece di formare lə suə studentə ad avere una visione critica e consapevole del mondo e ad opporsi ad un sistema individualista volto solo al profitto dei padroni, li forma ad adattarsi a questo sistema. Lə studentə non sono spintə ad imparare, a colti
vare le proprie passioni e a realizzare il proprio futuro ma a raggiungere un numero di ore sufficiente per l’ammissione all’esame di Stato. Ore che non danno nemmeno molte prospettive di un contratto futuro: il massimo che ci si può aspettare è un contratto a breve termine che può sembrare allettante ma che è offerto solo per gli
Nel 2022 Lorenzo, Giuseppe e Giuliano hanno perso la vita durante le ore di scuola lavoro e gli altri incidenti non fatali potrebbero essere centinaia. Da quando, nel 2015, l’alternanza scuola-lavoro è diventata obbligatoria, le scuole hanno iniziato a “rincorrere” le aziende invece che sceglierle con cura e accertarsi che fossero sicure e pronte ad accogliere lə studentə. Questi ultimi inoltre vengono portatə a svolgere un lavoro senza essere statə preparatə e protettə a dovere dai rischi che questo comporta. Rischi a cui non dovrebbero neanche sottoporsi. Rischi imposti dalla scuola, un ambiente che dovrebbe essere sicuro, volto alla crescita di una persona, e che invece impone a centinaia di studentə lo sfruttamento e ha già procurato a tre di loro la morte.
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
Emma Gargini
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SISTEMA SCOLASTICO | PCTO
Posto ergo sum
Quando viaggiamo mia madre scatta moltissime foto. Ciò è dolce, a tratti irritante, ma decisamente apprezzabile per la gratuita tenerezza insita nel gesto. Poi, tornati a casa, osserva meticolosamente ogni scatto, più e più volte, analizzandone i minimi particolari. Mai, tuttavia, scorrendo il suo profilo Facebook, si sospetterebbe di questa recondita passione, giacché di quelle foto, sul suo profilo, non c’è neanche traccia. “Perché - spesso mi è capitato di chiederle - non posti mai niente?”. E puntualmente mi sono sentita rispondere: “Provo disagio”. Mia madre, classe 1971, nell’era dei social non è nata. Ha aperto il profilo su Facebook per restare al passo coi tempi, deduco; con Instagram non ci ha nemmeno provato. La sua risposta, però, mi ha fatto molto meditare. “Disagio”. A essere sinceri di primo acchito non l’ho capita. È più il disagio a non postare mai nulla: la mia riflessione di pancia. Rifiuto questa prima interpretazione, ci penso razionalmente. A questo punto appare più chiaro ai miei occhi cosa lei intenda come disagio e quanto in realtà tale sentimento sia legittimo. In effetti la spasmodica necessità di spiattellare sui social frammenti della nostra vita, più o meno intimi che essi siano, e lo dico da persona che lo ha fatto più e più volte, se analizzata criticamente è a dir poco insensata. Ci
sogneremmo mai, dico io, di prendere uno sconosciuto a caso per strada e mostrargli una foto della nostra colazione? No, non lo faremmo mai. Eppure non ci sentiamo a disagio a condividere una storia su Instagram, con vari e svariati follower, tra i quali, magari, c’è qualche persona che non conosciamo. Questo, tuttavia, è assolutamente normale e normalizzato, almeno tra le persone sotto ad una certa età.
Per non parlare, poi, di quanto presupporre, quasi pretendere, che ciò che postiamo riscuota interesse sia drammaticamente autoreferenziale ed egoriferito. I social, del resto, hanno alimentato non poco l’illusione, più che umana, di essere al centro del proprio microcosmo, rendendo ancora più difficile lo scambio con l’altro, ostacolato dalla finta vicinanza di cui veniamo continuamente ingannati, pur divisi da un’incomunicabilità difficile da abbattere. Postare diviene dunque una ridicola estroflessione della nostra egomania, per non dire una controversa forma di legittimazione dell’io: una sorta di disperata ricerca di attenzione e approvazione, surrogato del calore umano sempre più carente in una generazione mangiata da un’ansia sociale che svuota dentro.
Il disagio, quindi, a dire il vero, non manca, ma è una forma di disagio diversa rispetto a quella che si traduce
in ritrosia e infatti porta al risultato diametralmente opposto: la sfrenata esigenza di condividere, mostrare, fare. Continuamente esposti al diretto confronto, talvolta fin troppo poco mediato e per questo violento, con quelli che la società identifica come modelli ideali, finiamo inevitabilmente per essere turbati da ciò, angustiati da un tanto insidioso quanto ostinato senso di inadeguatezza. Proprio tale senso di inadeguatezza scaturisce dal divario tra ciò che siamo e ciò che i suddetti modelli ci inducono a bramare di essere: divario che però abbiamo l’irrealistica impressione, frutto proprio della macchina dei social, di poter agilmente colmare. L’immediata reazione innanzi a ciò è quindi un’atavica, consumistica, fame di esperienze da ostentare, che spesso finisce per divorare la stessa persona che ne è afflitta. “Tutta ‘sta fretta de fa’ succede le cose ce l’ha messa il capitalismo e, infatti, poi c’ha dato la cocaina pe’ sta’ ar passo”, direbbe l’Armadillo. E noi, nel frattempo, restiamo attoniti, sgomenti, attraversati da un flusso irrefrenabile e incontrollabile. Forse l’unico antidoto a ciò è una resistenza passiva, un’indifferenza tanto ardua da praticare quanto provvidenziale: un po’ come l’immagine montaliana della” statua nella sonnolenza del meriggio”: soli, in mezzo alla desolazione, ma illesi, per non dire superstiti.
6 | 7 MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
Alessia Prunecchi
| SOCIETÀ
CULTURA
Leopardi a Firenze
La lapide che ne ricorda il passaggio è sbiadita, e al piano terra ci sono un minimarket pakistano e un ristorante giapponese. La casa fiorentina in cui Leopardi visse per lunghi periodi, tra il 1828 e il 1833, affaccia su un viavai di automobili e motorini. Di fronte ci sono il palazzo delle poste, rifatto negli anni ‘60, e l’ex Casa del Fascio di Firenze, inaugurata nel 1940. La linea sghemba della vecchia balaustra in ferro del balconcino - a cui si può immaginare Leopardi affacciato in un lontano mattino - non ha niente delle rette razionaliste, ad esse non è parallela né perpendicolare, resta lì, semplicemente a monito di una città che in altri tempi cresceva per agglomerazione, e non per demolizioni. La casa di Leopardi è immersa in una nebbia di tanto tempo trascorso, di smog e di noncuranza dei passanti. Anche il nome della via, per come lo conosceva Leopardi, è cancellato: non più si chiama via del Fosso (ricordo di un antico fossato che scorreva lungo le mura della penultima cerchia), ma via Verdi, il numero civico è l’11, sulla strada che dalla basilica di Santa Croce va a piazza Salvemini. All’epoca era quartiere penitenziario: dove oggi sorge il teatro Verdi, Leopardi poteva scrutare le prigioni delle Stinche, di cui è memoria un tabernacolo del 1616 (all’angolo tra via Ghibellina e via Isola delle Stinche, non a caso) che raffigura l’opera di misericordia della visita ai carcerati. Ma quando Leopardi arriva per la prima volta a Firenze va a soggiornare alla Locanda della Fontana, nei pressi di piazza del Grano (all’angolo tra via dei Neri e via dei Leoni infatti, addossata a una colonna della loggia che ora ospita Coin, c’è la Fontana del Mascherone). A tal proposito, il 7 luglio 1827 (è arrivato a Firenze il 21 giugno) scrive alla sorella Paolina: “Qui sono alloggiato alla Locanda della Fontana. Si paga assai e si mangia poco: ma la biancheria si cambia quasi ogni giorno. Dozzine in case particolari si trovano difficilmente, e si pagano un terzo più che a Bologna”. Firenze lo mette alla prova, e non solo per la ristrettezza di alloggi (le “dozzine”) e per i costi di vita più elevati rispetto a Bologna: in Toscana si acuiscono le sofferenze fisiche, come Leopardi registra in alcune lettere, quando afferma “sono qui da due settimane, trattato con molta gentilezza dai Fiorentini, ma tristo per la cattiva salute, e in particolare
per la malattia degli occhi, la quale mi costringe a starmene in casa tutto il dì senza né leggere né scrivere. Non posso uscir fuori, se non la sera al buio, come i pipistrelli” (ad Antonio Papadopoli, il 3 luglio 1827) e “mi hai da perdonare il mio lungo silenzio, perch’io pochissimo posso scrivere, travagliato come sono da un’estrema debolezza [...] de’ nervi degli occhi e della testa, la quale mi obbliga ad un ozio più tristo assai della morte. Certo è che un morto passa la sua giornata meglio di me” (a Francesco Puccinotti, il 16 agosto 1827).
Firenze è anche la città dei primi grandi confronti con gli intellettuali dell’epoca. La frequentazione del gabinetto Vieusseux gli procura le inimicizie dei cattolici liberali, come quella di Niccolò Tommaseo, che delle Operette morali rileva una negatività di principi che “diffondono e nelle immagini e nello stile una freddezza che fa ribrezzo, una desolante amarezza”. Leopardi, in una lettera all’editore Stella, risponde a Tommaseo citando Bayle: “In metafisica e in morale la ragione non può edificare, ma solo distruggere”. L’ardente patriota Tommaseo, impegnato, invece, a “edificare” l’Italia, non glielo perdonerà mai, e nel 1837, poco prima della morte di Leopardi, lo colpisce con un distico fendente: “Natura con un pugno lo sgobbò: / Canta, gli disse irata; ed ei cantò”. Il 3 settembre, Leopardi incontra Manzoni al gabinetto Vieusseux, che all’epoca aveva sede a palazzo Buondelmonti (oggi ce l’ha a palazzo Strozzi), in piazza Santa Trinita: oltre a una targa che ricorda il passaggio di Ariosto, ce n’è un’altra a testimoniare che l’edificio fu sede del noto circolo letterario. Leopardi dirà: “Ho avuto il bene di conoscere personalmente il signor Manzoni, e di trattenermi seco a lungo: uomo pieno di amabilità, e degno della sua fama” (all’editore Stella, l’8 settembre 1827) e “Manzoni è un bellissimo animo, e un caro uomo” (al padre Monaldo, il 17 giugno 1828); nonostante le prime ritrosie: del “Romanzo” (così, per antonomasia, lo chiama Leopardi) di Manzoni c’è un “grande rumore” in tutta Italia. Ma i dubbi iniziali di Leopardi sulla fama crescente dello scrittore milanese trovano conferma: “Solo quella divinizzazione che vi si fa del Manzoni, mi è dispiaciuta, perché ha dell’adulatorio, e gli eccessi non sono mai lodevoli” (a Giovan Pietro Vieusseux, il 31 dicembre 1827). Nel
1829, quando l’Accademia della Crusca indice un concorso letterario, Leopardi, che partecipa con le Operette morali, ha paura che Manzoni stravinca per fama, pur non essendo candidato (cfr. lettera a Vieusseux del 12 aprile 1829). Manzoni, non presentandosi, non vince come da regolamento, ma Leopardi perde lo stesso. Riceve un solo voto, da Gino Capponi. Firenze è anche il teatro della sua ultima passione amorosa. Nel maggio del 1830, Leopardi conosce la nobildonna Fanny Targioni Tozzetti, che abita non molto lontano da lui, in via Ghibellina 85, proprio accanto all’attuale Enoteca Pinchiorri. Per Tozzetti, Leopardi nutre un’ossessione di sentimento che non è mai ricambiata, e le insistenti visite, facilitate dalla vicinanza di domicilio, finiscono per sfiancare la donna, inizialmente compiaciuta dell’interesse di un poeta tanto colto. La tomba di Fanny Targioni Tozzetti si trova fuori città, al cimitero monumentale dell’Antella, dove riposa tra decorazioni di gusto Liberty e la nomea di Aspasia.
La prima separazione dalla città avviene già alla fine del 1827. Leopardi, in una lettera a Monaldo del 4 ottobre, si dice “risoluto” a non trascorrere l’inverno a Firenze, e prosegue: “Questo clima non è molto freddo, ma infestato continuamente da venti e da nebbie”. Appunto, la nebbia che cala su Firenze e la cela, la rinfresca di pioggia appena caduta, con un’impressione di clima che è anche di Dostoevskij: “Firenze è bella, ma è umidissima. Le rose, però, nel giardino di Boboli continuano a sbocciare” (da una lettera ad Apollon Majkov del 1868). La Firenze di Leopardi è proprio una grande città di nebbia, vista solo a tratti nelle sue forme, più udita nelle parole dei suoi abitanti e degli intellettuali che la animano. La lapide che non si legge più, che sta in alto in via Verdi passandole oltre come attraverso una nebbia, recita:
In questa casa
dimorò più volte fra il 1828 e il 1833 Giacomo Leopardi e qui agli amici suoi di Toscana dedicava i canti nelle austere armonie non vinta dallo sconforto delle cose umane persisteva fatidica la magnanima nota delle italiane speranze
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
CULTURA | LETTERATURA
Federico Spagna
Ezio Vendrame
Amo la tua figa. Non perché è figa, perché è tua.
La poesia sopra riportata è, a detta del suo autore, la migliore poesia d’amore mai scritta, ad alcuni potrà sembrare una massima leggermente machista, cameratesca, ma pronunciata da Ezio Vendrame, il compositore di questo aforisma, essa assume un significato tutto suo, che, come vendrame stesso afferma, va al di là della terminologia ed esprime un amore, una dolcezza e un’innocenza incredibili. Il componimento è stato scritto da Ezio Vendrame, di professione ex calciatore, ma anche allenatore, cantante, scrittore e poeta, è stato forse uno dei più grandi talenti che il calcio italiano abbia mai visto, ma a causa di un’eccessiva eccentricità sul campo e una certa passione per vino e donne ha tenuto la sua leggenda in una dimensione piuttosto provinciale e ha giocato in Serie A solo quattro anni. Definito da molti il George Best italiano e da Giampiero Boniperti (uno che di calcio un pochino se ne intendeva) il Mario Kempes del Friuli, il nostro eroe nasce a Casarsa della Delizia, provincia allora di Pordenone oggi di Udine, il 21 Novembre 1947. All’età di sei anni viene abbandonato nell’orfanotrofio della zona. Passerà lì dentro ben sette anni che saranno per lui molto duri ma che lo segneranno molto. Vendrame dirà in seguito che alla sua permanenza in orfanotrofio deve l’odio per il potere (non ha mai nascosto nel corso della sua carriera certe tendenze anarchiche) e la passione per il calcio. Un giorno, all’età di tredici anni un medico di Udine lo vede giocare a calcio e se ne innamora. Lo porta quindi all’Udinese dove Ezio giocherà fino al 1967. Nel 1967 viene acquistato dalla SPAL, che ai tempi era un colosso del calcio italiano. A credere in lui è l’allora presidente Paolo Mazza (a cui oggi è dedicato lo stadio di Ferrara); purtroppo però la fiducia non è ripagata. Ezio appena arrivato a Ferrara si innamora di una prostituta sua coetanea e per passare il più tempo possibile insieme a lei, finge infortuni e salta allenamenti. Mazza allora lo manda per punizione in Sardegna al Torres, in serie C. Vaga per qualche anno in serie C fino a che non arriva la grande occasione, il sogno di ogni calciatore: la chiamata in Serie A. A portarlo in massima serie è il Lanerossi Vicenza, che nel 1971 veniva da un decennio incredibile, con zero
risultati ma una presenza stabile nei primi posti della classifica. Il Vicenza di Vendrame non sarà un grande Vicenza, una salvezza raggiunta all’ultima giornata nel ‘72 e altre due stagioni anonime, ma il passaggio del ragazzo di Casarsa resterà nel cuore dei tifosi biancorossi.
A Vicenza si narrano ancora oggi il gran goal contro l’Inter (unico dell’esperienza in Serie A) e soprattutto il tunnel ai danni di Gianni Rivera, idolo di Vendrame, che più tardi il calciatore friulano avrebbe descritto così: “Mi venne incontro a gambe aperte, e quando qualcuno ti si avvicina a gambe aperte io credo che si aspetti sempre qualcosa”.
Poi nel 1975 sulla panchina del Napoli si siede il brasiliano Luis Vinicio che con Vicenza ha un legame particolare (oggi allo stadio Menti di Vicenza si può trovare una targa a lui dedicata, per farvi capire le dimensioni) e che decide di portare alla sua corte quello che al tempo era l’idolo del popolo vicentino, Ezio Vendrame. Quello tra Vendrame e Vinicio si preannuncia come un legame di grande amore, che però si spezzerà dopo sole quattro partite quando il Brasiliano scoprirà Vendrame a letto con la donna che corteggiava da mesi. Questo atto gli costerà la tribuna fino alla fine della stagione. Nonostante la relegazione in tribuna, Ezio conquista anche la piazza napoletana, attraverso una grande vicinanza alla gente e un talento infinito, tanto che in occasione di una partitella di allenamento, una volta, al San Paolo, accorsero più di 50.000 persone solo per assistere alle prodezze del Friulano che non potevano vedere la domenica. La parentesi napoletana è un’ottima rappresentazione della carriera e della vita di Ezio Vendrame, un grande amore delle e per le folle, un disprezzo per l’autorità e il rifiuto di conformarsi alle regole. La sua carriera
continuerà poi a Padova e nelle serie minori dove la leggenda di Ezio Vendrame crebbe ancora, tramandata di bocca in bocca resa ancora più mitica dall’inesistenza di telecamere e video. Ma come dicevo prima Vendrame non è stato solo un calciatore, sarebbe stato riduttivo per la sua figura essere internata nei 5000 metri quadri di un campo da calcio, Ezio Vendrame è stato una leggenda nella vita. Ha scritto libri, raccolte di poesie, canzoni. La sua opera più famosa è stata Se mi mandi in tribuna godo. Nel libro, il cui titolo è ispirato alle vicende da lui vissute alle pendici del Vesuvio, racconta aneddoti e scandali del calcio italiano degli anni Settanta. Andava tuttavia più orgoglioso di Un farabutto esistere, la sua prima raccolta di poesie. Ha dichiarato di essere stato con più di 1500 donne e di averle amate tutte. Negli ultimi anni della sua vita ha fatto l’allenatore dei giovanissimi della Sanvitese e all’inizio di ogni nuova stagione ripeteva ai suoi ragazzi il seguente discorso: “Cari ragazzi, buttate nel cesso le vostre playstation e rinchiudetevi nei bagni con un giornaletto giusto in bella vista. Quando uscite, innamoratevi di una bella figliola: il sesso fai da te è bello, ma quello con una coetanea è meglio”. Ezio Vendrame si è spento il 4 aprile del 2020 con il suo amato Nord-Est dilaniato dall’emergenza Coronavirus, senza possedere nient’altro che un appartamento da trenta metri quadri, una macchina scassata e tanto, tanto vino. È morto a causa dei suoi vizi ma a differenza del suo più celebre corrispettivo nordirlandese George Best, lui non si è mai pentito di nulla, anzi, ha sempre amato affermare che “i suoi più grandi errori sono stati i veri capolavori della sua vita”. Perché Ezio Vendrame è questo: un personaggio unico che nessun banale paragone incatenerà nel mondo della realtà.
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MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
SPORT | CALCIO Niccolò Moretti
MicheRubriche MicheLiber
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Christiane Felscherinow
Margherita Fiani
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino ha coinvolto adolescenti berlinesi e di tutto il mondo, facendo presto il suo ingresso nelle antologie scolastiche. Christiane F. ha 12 anni, vive in un quartiere di Berlino con sua mamma, mentre sua sorella vive col padre. La sua vita oscilla tra il divorzio dei suoi genitori e i quartieri oscuri di Berlino. La sua adolescenza trascorre tra le nelle strade e le discoteche; presto viene attratta dalle sigarette e successivamente, con il suo gruppo di amiche, risucchiata dalla pressione sociale, passa alle droghe. Christiane è una ragazzina trascurata: la madre è poco presente e la scuola è solo una nuvola nella sua vita principalmente notturna. La Haus Der Mitte è la discoteca più popolare di Berlino, dove i giovani si ritrovano per spacciare e drogarsi; proprio lì Christiane conosce un gruppo di ragazzi di cui fa parte Detlev, per cui prova forti sentimenti. La compagnia che frequenta è composta da ragazzi, tra cui anche Detlev, dipendenti dall’eroina, che si prostituiscono per avere soldi per la droga, soprattutto al Bahnhof Zoo. Ad un concerto di David Bowie, Christiane
prova per la prima volta l’eroina. Da quel momento in poi entrerà in uno spiraglio da cui sarà sempre più difficile uscire. L’unico momento di tranquillità e innocenza è vissuto quando passa le vacanze a casa di sua nonna in campagna; lì, senza essere tentata dalle droghe, si sente libera, quasi una ragazza ordinaria. Ormai le è chiaro che le droghe sono un limite alla sua vita, ma nonostante ciò non resterà pulita a lungo. Solo dopo un percorso di alti e bassi Christiane riuscirà finalmente a staccarsi da quel mondo che l’ha tenuta prigioniera per così tanto tempo. Il libro è tratto dalla storia vera di Christiane e messo insieme sulla base delle sue interviste. Il fascino di questa storia consiste nella rappresentazione reale e fedele dei giovani berlinesi. Non è una critica, né un’accusa alla società ma un racconto che vuole mandare un messaggio e mettere in luce le esperienze di giovani privi di voce. Essi vivono un’adolescenza che ha bruciato tappe, dove i ragazzi sono cresciuti
presto e hanno sperimentato sin da subito una delle parti più oscure della vita adulta. Christiane parla in prima persona con un linguaggio crudo e diretto, schietto, come se stesse dialogando con un amico. Le immagini descritte sono vivide proprio perché sono presentate attraverso gli occhi di chi le ha vissute. Il percorso della protagonista con la droga viene vissuto con consapevolezza ma allo stesso tempo è ofuscato dal fascino che i ragazzi che frequenta hanno ai suoi occhi. La realizzazione che la droga presto smette di essere una scelta ed inizia ad essere un problema arriva tutta insieme e travolge la ragazza. Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino è un libro che porta con sé consapevolezza e traccia un percorso di nuovi approcci da parte degli adulti verso gli adolescenti.
Interviste Intervista a Niccolò Storai
Alessia Prunecchi
“Cuore emiliano, sangue toscano”, come si definisce lui stesso, Niccolò Storai è un “fumettiere” di professione. Insegnante nelle scuole di fumetto e già autore di numerosi fumetti, lo scorso 21 dicembre è venuto al Miche a presentarsi agli studenti. Gli è stata, infatti, assegnata un’opera di riqualificazione dei pannelli del cantiere della scuola, che presto si vestiranno dei suoi lavori. Non è il primo lavoro del genere per l’artista, tuttavia
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
questa ha il sapore di una resa dei conti: “Ho fatto un anno di liceo classico e sono bocciato. Il professore mi disse che quella scuola non faceva per me. Ho capito che se mai fossi stato insegnante non avrei voluto diventare come lui. C’è chi primo della classe ci nasce. Io sono sempre stato dalla parte degli ultimi, di chi ha fame”. E ancora: “Nel sistema scolastico si dà troppa importanza ai voti. Una buona o una cattiva valutazione non rappresenta un individuo. Lasciamo al supermercato definizioni e etichette”. Di pregiudizi in effetti Niccolò ne ha dovuti affrontare molti e a lungo si è sentito “un burattino in un mondod’acciaio”. Poi è giunto alla conclusione che l’importante è stare bene con se stessi: “Fate sempre quello che vi piace, non agite per compiacere gli altri. La vita è ora”. A chi gli chiede cosa lo abbia spinto a scegliere il proprio mestiere fieramente risponde che la passione per il fumetto è “un fuoco che ti brucia dentro,lasciandoti fuori dal circolo dei normali”. “Ammetto che diventare artista non è stato semplice ma nella vita solo la resa è semplice”. E di qui l’invito a sognare, a non tirare i remi in barca: “La scuola generalmente non insegna a sognare, ma questo è fondamentale. Senza farlo si rimarrà per sempre ancorati alla base”. “Sognate e ridete. C’è sempre un motivo per essere felici. La felicità risiede nelle azioni più ordinarie dal momento che si acquisisce la consapevolezza che in realtà queste lo sono dal nostro punto di vista ma non in assoluto”.Ciò, tuttavia, non negando importanza al dolore: “Il dolore fortifica”, afferma lui stesso. “Spesso da questo parte un meraviglioso itinerario verso il conoscimento di noi stessi: in assoluto la
cosa più importante”. E del resto tale concetto è paradigma della sua intera opera artistica, se non addirittura dell’Arte in senso lato.
Cinema BlacKkKlansman, regia di Spike Lee
Angelica Penna
BlacKkKlansman, vincitore del gran premio di Cannes, è il miglior lavoro di Spike Lee da uando uscì il suo documentario 4 Little Girls del 1997 nominato all’Oscar.
Combinando l’affettuosità stilistica di “ 25th Hour con il potenziale controverso di “Bamboozled”, il regista crea un racconto, più sconosciuto che di finzione, di un poliziotto afro-americano infiltrato nel Ku Klux Klan nei primi anni ‘70. Prodotto dal team di Get Out (è stato Jordan Peele a portare la storia a Lee), BlacKkKlansman scivola senza problemi da un umorismo al limite dell’assurdo, all’orrore reale, evocando un urgente miscela di satira socio politica.
John David Washington dà una prestazione centrale meravigliosamente ironica e sfumata interpretando Ron Stallworth, un idealista afro-sportivo che diventa “il Jackie Robinson” della forza di polizia precedentemente tutta bianca di Colorado Springs.
Laureandosi rapidamente dai registri
all’intelligence, Stallworth risponde a un annuncio di un giornale per il KKK, fingendo al telefono come un nascente suprematista bianco. Quando sono richiesti incontri faccia a faccia, il collega ebreo di Stallworth, Flip Zimmerman (un cupo Adam Driver), viene arruolato per prendere parte in riunioni in cui il terrorismo fatto in casa è servito con salsa barbecue e stuzzichini, e dove la tensione è accentuata dalla strana domesticità.
Presto, si costruisce una relazione con il grande capo David Duke (Topher Grace), il “futuro sorridente” de “l’organizzazione”, che ha intenzione di guidare il Ku Klux Klan dai piccoli appiccamenti di fuochi, fino in politica, sotto la promessa di mettere “Prima l’America!” e renderla “di nuovo grande”. Con i suoi scatti a lente lunga e di lunga durata, catturati su 35mm dal direttore della fotografia Chayse Irvin, e grazie alla produzione e il costume design perfetti, BlacKkKlansman evoca elegantemente il cinema della sua ambientazione.
La cosa più notevole è quanto Lee bilanci bene i cambiamenti tonali, provocando sia risate che sussulti con un film costruito su dualità: fatto e finzione (la storia di Stallworth è pesantemente romanzata); passato e presente; dentro e fuori. Proprio come la nostra figura centrale diventano due personaggi in uno, così BlacKkKlansman si diletta in immagini speculari.
Infine, mi sento in dovere di difendere questo film da tutte le recensioni negative, e da critiche tutt’altro che costruttive, poiché l’egregio lavoro svolto da Spike Lee ha reso BlacKkKlansman celebre in ogni sua forma.
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023 10 | 11
MichePoesia
Il giardino delle rose
Amor tanto mi prese
Che lo mio guardo volse da Fiorenza cortese
Quel giardin ove l’un l’altro ritrovammo
Sul verde manto,supina
Di fianco alla rinata rosa canina
Ora mi paion vani li nostri pensieri, desideri e parole
Li nostri occhi,li nostri sogni, li nostri amori
E quelli ricercherò
Lungo il fluire di una giovinezza che appartenerci non può
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
Enrico Brizzi
Prosa d’arte
Sulla mediocrità
Esistono tanti tipi umani. Una morale passivamente condivisa e di stampo cristiano si occupa di assegnare biasimo e lode ai vari tipi; da qui la creazione delle coppie superbo-umile, avaro-generoso, iroso-quieto. A ben vedere, dietro ogni forma negativa si nasconde il pericolo della mediocrità: chi ha ragion d’essere superbo è affascinante, chi è solo mediocre si rivela presto nella sua pochezza; Shylock non è papà Grandet; l’eroe dai bollenti spiriti non tiranneggia alla maniera di don Rodrigo. I mediocri sono anche vili, se consapevoli della propria condizione: si sottraggono al confronto, hanno per unica arma il vittimismo. Se dotati, fra le altre qualità, di meschinità, il loro vittimismo diventa una straordinaria farsa in cui la maschera della sofferenza si confonde spesso con quella della malignità; fra le parole di strazio s’insinuano riferimenti sottili, ambigui, pronti ad essere accolti da orecchie ben disposte.
I CCCP cantavano in Annarella : “Per me, per la mia vita che è/ tutto quello che ho/ È tutto quello che io ho e non è /ancora/ Finita, finita”. Per i gretti, tutto quello che c’è, e che ancora non è finito, è lo squallore.
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023 12 | 13
Elisa Tonti
MicheOroscopo Gen-Feb 2023
Ariete
Siete tornati dalle vacanze più ostinati che mai: vi siete posti un obiettivo e per raggiungerlo fareste di tutto, se fossimo in voi metteremmo i piedi per terra che si prospetta una brutta caduta!
Leone
Vi sono piaciuti i vostri regali di natale? Una spazzola per pettinarvi ed uno specchio per riflettere il vostro ego spropositato, giusto? Finitela di credervi al centro dell’universo o prossim’anno farete allontanare tutti non ricevendo alcun regalo
Sagittario
Lasciate da parte il vostro ottimismo: se fossimo in voi ci armeremmo invece di pazienza e tanta tolleranza: vi aspetta un anno molto tortuoso e probabilmente un’armatura non basterà a difendervi (soprattutto nel prossimo mese)
Toro
Nonostante tutti i vostri buoni propositi per il pentamestre, vi consigliamo di mollare la presa: sappiamo entrambi che vi ridurrete sempre all’ultimo e continuerete a passare le serate a piangere sul dizionario
Vergine
Quante lacrime avete versato quest’anno perchè la befana non vi ha portato una calza… tranquilli, vi sveliamo noi cosa ci sarebbe stato dentro: solo tanto carbone ed un pacco di fazzoletti per asciugare il vostro pianto amaro
Capricorno
Se l’anno scorso la gelosia vi ha deteriorato, non preoccupatevi: quest’anno a tormentarvi sarà invece il vostro essere lunatici. (Come se non foste già rovinati dalla paranoia)
Gemelli
Entusiasti di tornare a scuola?
Attenzione a non crearvi aspettative o rimarrete travolti dalla delusione a tal punto da naufragare senza possibilità di tornare a galla ( poi non dite che non vi avevamo avvertito!)
Bilancia
Fare i regali è difficile per voi: quello che vorreste regalare è fin troppo perfido, perciò mettete su una maschera e donate qualcosa che in realtà non vi appartiene ( menomale che le feste sono terminate)
Acquario
Avete una costante voglia di essere indipendenti e liberi, ma attenzione a scavalcare i muri che reputate vi intrappolino, perchè poi non avrete nessuno disposto a prepararvi le lasagne e sopportare le vostre lune!
Cancro
Fate tanto i dolci e gli innocenti ma appena qualcuno abbassa la guardia siete pronti ad attaccarlo con le vostre chele. Tornate sotto la sabbia, fate un favore a tutti
Scorpione
Abbiamo una splendida notizia per voi: avete vinto un premio… siete il segno più inutile di tutti questo mese, complimenti!
Pesci
Se continuate a vivere perennemente nel mondo dei sogni avrete ben presto un brusco risveglio: nei prossimi giorni infatti (in particolare quelli pari) vi ritroverete catapultati in un mondo grigio e molto lontano da quello dove vorreste essere
MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023
Ada Conti, Sara Gallori e Giulia Vignolini
Miche Strisce
Matilde Borselli MichePost n. 29 | Gen-Feb 2023 14 | 15
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Tale cartaceo è stato concepito fin da subito con l’idea di essere super partes, garantendo a tutti ugualmente la possibilità di esprimersi, e anzi ricercando espressamente un sano contraddittorio.
Purtroppo ciò non è stato possibile, per mancanza di persone disposte a scrivere contro l’atto dell’occupazione, ma ciò non priva di vigore il nostro iniziale proposito.
La redazione del MichePost