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Anche sul merito
Il concetto di meritocrazia (chi è bravo viene premiato) è uno dei principi su cui si basa la nostra società e anche il sistema scolastico. Esso implica che solo chi “merita” in qualcosa venga valorizzato e riesca a studiare indipendentemente dalla propria condizione economico-sociale di partenza (art. 34 della Costituzione). Riguardo a ciò, però, l’articolo 3 della nostra Costituzione dice anche che: ”È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un’idea chiave che ne consegue è la necessità di garantire a ciascun cittadino le migliori condizioni possibili cosicché possa formarsi come persona e acquisire le capacità che gli occorrono per “meritare”. Dato che esistono condizioni di partenza, come la genetica, su cui nessuno può intervenire (tantomeno l’individuo stesso), è ovvio che garantire l’uguaglianza assoluta tra due individui è impossibile: essi infatti dovrebbero essere la stessa persona. Tuttavia, ci sono molteplici fattori, concatenati tra loro in una rete fittissima, che formano la persona e la rendono quello che è. Essi non dipendono dall’individuo ma da tutto ciò che lo circonda e lo influenza inevitabilmente fin dalla nascita. Un uomo un giorno nasce sulla Terra: in primo luogo egli non sceglie di nascere, non sceglie il periodo storico in cui nascere, non sceglie la propria nazionalità, non sceglie la propria lingua, la propria provenienza sociale, la propria condizione economica, non sceglie suo padre, sua madre, i suoi amici, le persone che incontrerà. Ci sono un sacco di nostre caratteristiche che non scegliamo e che portiamo con noi per tutta la vita. Un uomo quando nasce può nascere ovunque: nel ghetto del Bronx o in Piazza D’Azeglio, ovunque. Non è qualcosa che ti cambia la vita? Come può non esserci differenza tra nascere in Piazza D’Azeglio o nel Bronx? dico io. Sono di questo tipo i famosi “ostacoli di ordine economico e sociale” menzionati sopra ed essi logicamente non dipendono assolutamente dalla persona. Rimarco quest’idea perché inevitabilmente il concetto di merito è associato a quello di colpa e spesso noi uomini riteniamo che se una persona “è buona” allora “abbia il merito”di esserlo, mentre se “è cattiva” ne “abbia la colpa”.
È davvero così? Ma come può non esserci una differenza sostanziale tra il vissuto (tutto quello che ha visto, sentito, imparato) di Mario Draghi (esempio di persona che ha “meritato” e ottenuto nella vita) e quello di Matteo Messina Denaro (esempio di persona schifosa, mafiosa, “colpevole” di omicidi, stragi e azioni ripugnanti)?
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L’uno “è buono”, l’altro “è cattivo”? L’uno “se l’è meritato”, mentre l’altro no e “ha la colpa” di essere un criminale schifoso? Finisce davvero qui? Chi sbaglia, chi si comporta male, chi “non merita” viene punito e subisce le conseguenze delle proprie azioni, mentre chi “merita” viene ricompensato di quello che dà. Ma chi è “cattivo”, schifoso e “colpevole” nasce davvero “cattivo”, schifoso e “colpevole”?
E chi è “buono” e “meritevole” nasce davvero “buono” e “meritevole”? Beh, mi sembra obiettivo che un uomo quando nasce (pensate a un neonato), non nasca nè “buono” nè cattivo, nè bravo nè incompetente, nè “meritevole” nè “colpevole”: apparte la genetica, tutto si deve ancora definire. Un uomo quando nasce non è ancora niente, deve formarsi, il suo cervello ha un potenziale enorme, sconosciuto: può diventare qualunque persona possibile. E’ allora fondamentale interrogarsi su come effettivamente un uomo dal niente diventi quello che è. Quindi: un individuo come si forma? Come sviluppa la propria persona? Come diventa “buono” o “cattivo”? Semplice: copia dagli altri. La lingua, la scrittura, ad allacciarsi le scarpe, la Storia, a camminare, a nuotare, la religione, a uccidere, a prendere droghe: tutto quello che inizia a far parte della persona è preso da altri, imparato, copiato. Il modo di essere e la nostra personale visione del mondo passano attraverso le parole e i fatti di altri, nostri contemporanei ma anche antenati (molte azioni, scoperte, iniziative ecc. di uomini del passato condizionano tuttora le nostre vite). In un qualche modo siamo gli altri: prendiamo spunto da loro, ci serviamo delle loro idee per formare le nostre, li usiamo come metro di paragone, come punto di riferimento. E per questo, la “qualità” delle persone che ci circondano (e che quindi ci condizionano maggiormente) è fondamentale per la nostra formazione. Io credo (e riguardo a ciò l’art. 3 e l’art. 34 della Costituzione sono contraddittori) che se messo nelle giuste condizioni, ogni uomo certamente stupisce e “merita”; mentre se si trova in condizioni che non lo fanno emergere bensì lo danneggiano, allora certamente stupisce in senso negativo e “non merita”. Il merito e la colpa sono solo una conseguenza delle condizioni. Se un uomo impara cose non buone perché “ha a disposizione” solo esempi negativi o gli esempi positivi non sono abbastanza “forti” da contrastare le cattive influenze, allora come può stupire, “meritare”? Come può differenziarsi non conoscendo alternative? Il talento, le capacità devono essere coltivati: ogni uomo può essere bravo, intelligente, stupefacente in qualcosa; è nella sua natura. E la scuola, proprio per il fatto di essere accessibile a tutti, consiste nello strumento più efficace per infondere nelle persone capacità e valori, che consentano loro di esprimere al meglio il proprio potenziale, e per contrastare situazioni di partenza ostili e poco stimolanti: capire questo è fondamentale. L’obiettivo è continuare a migliorarla per fare in modo che sempre più ragazzi siano valorizzati e spinti a fare bene, consapevoli dell’importanza della conoscenza (contrapposta all’ignoranza). L’impiego di esperti (pedagogisti), una buona formazione degli insegnanti e un maggior dialogo intergenerazionale tra educatori e studenti, sono secondo me punti essenziali al raggiungimento di ciò. Perché investire adesso sulla buona istruzione dei giovani significa assicurarsi nel futuro padri, madri, dottori, politici, insegnanti, artigiani, contadini e operai preparati e in grado a loro volta di contribuire positivamente all’educazione dei nuovi individui (i nostri figli). Tenuto conto di ciò, bisogna anche interrogarsi sul ruolo che ricoprono l’ignoranza e un’istruzione scadente all’interno della società e chiedersi se esse non siano in un qualche modo necessarie all’esistenza di determinati settori lavorativi (lavori che non prevedono una formazione specialistica) e della criminalità; poi trarre conclusioni. Chiedersi: “Il sistema ha bisogno di persone ignoranti, che non abbiano sviluppato la propria persona umana, per continuare? Proprio tutti possono essere istruiti e quindi meritevoli? E se vi è una selezione, di che tipo?” e provare a rispondere. Per concludere, però, voglio ricordare che, sebbene si possa sempre migliorare le cose, nella parte di mondo più sviluppata (in cui rientra anche l’Italia) sono già state raggiunte conquiste sociali (ad esempio i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza) a dir poco rivoluzionarie, grazie alle quali quello di cui scrivo diventa quantomeno pensabile. Il nostro dovere è quello di non perdere di vista un fine comune.