L'Espresso 5

Page 9

Esami, visite, interventi. Le liste d’attesa sanitarie si allungano a dismisura. Chi ce la fa si rivolge ai privati. Inchiesta su un sistema al collasso. E vanno al voto le due regioni, Lombardia e Lazio che spendono 33 miliardi

UN ANNO IN FILA

PER UNA TAC

GIUSTIZIA

Il mistero del ragazzo italiano morto in una prigione francese

UCRAINA

Putin cancella la storia. La denuncia della Nobel Irina Scherbakowa

FUMETTI

Fluidi e spregiudicati. La nuova ondata dei disegnatori italiani

numero 5 - anno 69 5 febbraio 2023 Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03 (conv.in legge 27/02/04 n.46) art.1comma 1-DCB RomaAustriaBelgioFranciaGermaniaGreciaLussemburgoPortogalloPrincipato di MonacoSl oveniaSpagna € 5,50C.T. Sfr. 6,60Svizzera Sfr. 6,80Olanda € 5,90Inghilterra £ 4,70 SETTIMANALE DI POLITICA CULTURA ECONOMIA 4 euro

Che strano Paese è il nostro. Nella Capitale si parla di cinghiali: chi vorrebbe sterminarli, chi farli in umido con la polenta, chi sterilizzarli, chi adottarli. Intanto scorrazzano e assediano il centro. È cambiato il sindaco ma i problemi sono quelli di sempre: la strega Virginia Raggi fu bruciata in piazza mentre il beato Roberto Gualtieri gode di pietà mediatica. È la stampa bellezza, avrebbe detto un Humphrey Bogart contemporaneo di passaggio da Piazza Navona. Anche per questo la politica ha perso il suo appeal. La gente va sempre meno a votare e i talk show, una volta tanto amati, spingono i telespettatori

La coda pubblica porta verso la sanità privata

su Netflix o su Prime Video. La politica parla sempre delle stesse cose che interessano sempre di più ai partiti e sempre meno alla gente. Non è qualunquismo, è la realtà. Lo dimostra la crisi del Pd, una volta partito di massa, oggi ridotto a partito-salotto dove si discute persino sulla scelta del tè. A proposito di divisioni la sinistra non ha mai smesso di praticare questo sport: dal congresso di Livorno del 1921 ad oggi sono passati più di cento anni ma i distinguo, le spaccature e le scissioni sono state più dei compleanni. E ci sta provando anche adesso in attesa dei gazebo. La destra governa litigiosa e divisa, ma ha trovato il suo modo di vincere appiccicandosi insieme grazie proprio a una legge elettorale fatta dal Pd per fregare il Movimento 5 Stelle nella precedente legislatura. Sappiamo tutti come è andata a finire. Allora. E ora. Comunardo Niccolai, re degli autogoal del Cagliari del-

Le stranezze all’italiana. Un Paese diviso su tutto. Da Cospito ai cinghiali, da sinistra a destra

lo scudetto, non avrebbe saputo fare meglio: due su due. Intanto si riscoprono gli anarchici che credevamo fossero spariti dai tempi di Valpreda e Pinelli vittime, vere, di un sistema deviato. Invece esistono, sono ancora quel movimento trasversale che attraversa “il mondo intero” e che purtroppo non ha lasciato le bombe nel cassetto della storia. La vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito, un sovversivo, non un padrino, che comunque merita la galera. Rischia un ergastolo ostativo per una bomba esplosa senza vittime. Non ha sciolto nessun bambino nell’acido come Matteo Messina Denaro ma la legge, e la Cassazione, dicono che deve stare al 41 bis. Francamente su questa vicenda la pensiamo come Diletta Belotti che ha scritto un pezzo impeccabile nel numero scorso de L’Espresso, anche se i continui disordini e violenze per le strade (condannabili senza se e senza ma) non fanno certo un favore alla causa dell’anarchico in sciopero della fame.

Intanto gli italiani pazienti (in tutti i sensi) si mettono in fila per i servizi sanitari. La storia di copertina raccontata da Gloria Riva disegna una mappa della sanità con le toppe che sta perdendo persino la sua funzione sociale: quando per una tac occorre un anno di attesa o, peggio ancora, mesi e mesi per avere un referto istologico dove una persona sta aspettando se le arriverà sulla testa una possibile sentenza di morte, c’è qualcosa che va al di là delle inefficienze, delle lungaggini, della mancanza di personale. È mancanza di umanità. Una Caporetto per quello che era uno dei migliori servizi sanitari pubblici del mondo che cede efficienza e fa avanzare gli interessi del privato.

“L’Italia è il Paese che amo…” esordì Silvio Berlusconi nel suo messaggio a reti unificate (le sue) quando decise di scendere in politica. Anche gli italiani amano l’Italia. Solo vorrebbero che l’Italia li amasse un po’ di più.

5 febbraio 2023 3
EDITORIALE

Sebastiano Messina GUIDO CROSETTO

A settembre Laura Pausini si rifiutò di cantare “Bella ciao” perché, disse, «io non canto canzoni politiche, né di destra né di sinistra». Invece il ministro della Difesa Guido Crosetto ha accolto l’invito di Fiorello a cantarla in pubblico. Anche se poi ha cercato di ridimensionare l’evento, ricordando che una volta «era un canto contadino», il co-fondatore di Fratelli d’Italia ha rotto il tabù della destra post-missina. Considerato l’ambiente, ci voleva un coraggio da partigiano.

DAMIANO TOMMASI

L’aveva detto e l’ha fatto: via dalle panchine i divisori anti-clochard, simbolo dell’ostilità perbenista verso i senzatetto. Damiano Tommasi, ex centrocampista della Roma, oggi sindaco di Verona, preside di una scuola, padre di sei figli e la domenica mediano del Sant’Anna d’Alfaedo (seconda categoria) dimostra ai veronesi che la vita ricomincia a 48 anni. E alla sinistra in crisi d’identità rivela che c’è un modo semplice per conquistare la fiducia dei cittadini: mantenere le promesse.

SILVIO BERLUSCONI

Non ha potuto ottenere la riduzione delle tasse e l’aumento delle pensioni minime a 1000 euro, e oggi guida un partito scivolato al sesto posto nei sondaggi, eppure Silvio Berlusconi è riuscito a piazzare due colpi a sorpresa. Ha venduto Il Giornale, che evidentemente non gli serve più, e ha incassato il clamoroso risultato del suo Monza in casa della Juve. Ha ceduto un quotidiano che perde e si gode la squadra che vince. L’ex Cavaliere si conferma inaffondabile, anche a 86 anni.

ELISABETTA ALBERTI CASELLATI

Investita del delicatissimo compito di varare il presidenzialismo, la ministra Elisabetta Alberti Casellati prima è incappata nella sgrammaticatura di voler coinvolgere il presidente della Repubblica in una riforma parlamentare, poi ha spinto alle dimissioni il suo capo di gabinetto Alfonso Celotto - professore di Diritto Costituzionale - che evidentemente non condivide la proposta che lei sta per annunciare (il premierato?). Un elefante in una cristalleria si muove meglio.

ALESSANDRO GASSMANN

«Andassero definitivamente a fare in c**lo», manda a dire al Pd Alessandro Gassmann, che già twittava «Li mortacci vostri!» ai romani che parcheggiano in seconda fila. Lui adopera con disinvoltura su Twitter lo stesso tono imperativo che suo padre, il grandissimo Vittorio, usava ne «L’armata Brancaleone»: «Bifolchi uscite dalla fanga, ché io farò di voi un’armata che sia veltro e lione al tempo istesso». La differenza del lessico conferma che si eredita il cognome ma non lo stile.

CARLO FUORTES

Non sono solo canzonette. Accettando di trasmettere un videomessaggio di Zelensky al Festival di Sanremo, la Rai ha sfidato chi alimenta la comoda convinzione che questa guerra non ci riguardi. Eppure, dopo aver difeso la sua scelta giusta, Carlo Fuortes ha precisato che il video sarà prima visionato dai dirigenti Rai, e forse anche da lui. L’hanno chiamato «controllo preventivo», ma l’idea di poter applicare la censura al presidente di un Paese bombardato dai russi è surreale.

CHI SALE E CHI SCENDE
Il ministro della Difesa partigiano coraggioso. La ministra per le Riforme elefante in cristalleria
5 febbraio 2023 5
www.bancai fi s.it
VICINA AFFIDABILE VELOCE DIGITALE
Se è la tua banca, la riconoscisubito
.

Il recente viaggio in Algeria di Giorgia Meloni è stato presentato come una prima componente del suo “piano Mattei” per l’Africa, piano che la Presidente aveva già citato nel suo discorso di richiesta di fiducia lo scorso ottobre. Il tema era quello della immigrazione. Dopo aver parlato di blocchi delle partenze dei barconi e di hot spot per il filtraggio dei migranti, Meloni proseguiva: «E allora mancherà un’ultima cosa da fare, forse la più importante: rimuovere le cause che portano i migranti, soprattutto i più giovani, ad abbandonare la propria terra, le proprie radici cultu-

Il “Piano Mattei”

non può che essere europeo

rali, la propria famiglia per cercare una vita migliore… credo che l’Italia debba farsi promotrice di un “piano Mattei” per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana».

Insomma, il piano Mattei era presentato come un’elaborazione dell’idea che aiutando i potenziali immigrati a casa loro si sarebbe ridotta la pressione all’immigrazione. Rispetto a questo piano occorre allora porsi tre domande.

Prima: cosa sappiamo del piano? Proprio poco. È più che altro un’espressione per indicare l’intenzione di intensificare i rapporti tra Italia (ed Europa come indicato nel discorso di Meloni) e i paesi africani, presumibilmente attraverso la

Le idee di Meloni per l’Africa sono vaghe. Ma certo l’Italia da sola non potrà rivaleggiare con Usa e Cina

nostra fornitura di capitali e know how in cambio di un più favorevole accesso alle materie prime di cui l’Africa è ricca. Il nome di Mattei è stato evocato perché basò la sua strategia di acquisizione di idrocarburi su accordi con i paesi produttori a condizioni più favorevoli di quelle offerte dalle multinazionali dell’epoca. Al di là di questo non si sa molto.

Secondo: un piano per lo sviluppo dell’Africa servirà a frenare i flussi migratori?

Improbabile.

I flussi sono causati da un enorme divario nel reddito pro capite, oltre che dalla persistente instabilità politica dei paesi africani. Il divario resterebbe enorme per anni anche se si accelerasse la crescita economica in Africa. Si noti, in proposito, che l’aumento di flussi migratori negli ultimi due decenni è avvenuto nonostante il forte miglioramento nelle condizioni economiche dell’Africa sub-sahariana. Tra il 1980 e il 2000 il reddito pro capite reale era sceso di quasi l’1% l’anno. Dal 2000 al 2019, invece la crescita è stata positiva, quasi il 2% l’anno. Eppure i flussi migratori sono aumentati. Nel 2021 il reddito pro capite nell’area dell’euro era dieci volte più grande quello africano. Un’accelerazione della crescita in Africa non avrebbe un effetto rilevante nel chiudere un divario così forte per parecchio tempo.

Terzo: il piano Mattei è comunque una buona idea? Sì, perché in termini di strategia economica e politica sarebbe un errore lasciare l’Africa agli Stati Uniti (con cui già doveva lottare Mattei) e al nuovo arrivato, la Cina. Ma per contrastare questi colossi l’Italia deve muoversi insieme all’Europa, sperando che l’Europa possa essere unita nelle strategie ed equa nella condivisione dei benefici. Altrimenti sarà ancora una volta un confronto tra due watussi e ventisette pigmei in lotta tra loro. Il risultato sarebbe scontato.

PER PARTITO PRESO
5 febbraio 2023 7

Tutto ciò che è accaduto di bello dopo le stragi è anche merito delle vittime come mio padre, merito di quei pochi onesti che hanno scelto da che parte stare, per mio orgoglio dalla parte giusta». A parlare è Giovanni Montinaro, figlio di Antonio, Capo scorta del giudice Giovanni Falcone che si trovava con altri due agenti, Rocco Di Cillo e Vito Schifani nella Fiat Croma blindata sbalzata fuori strada per trecento metri alle 17.57 il 23 maggio del 1992. L’unica cosa che hanno ritrovato di suo padre, che non aveva ancora trent’anni, è stata una mano: aveva le dita incrociate. Sua moglie Tina pen-

Il vero superpotere è sopravvivere all’orrore mafioso

sa che abbia fatto quel gesto scaramantico appellandosi alla fortuna perché se l’aspettava: in fondo quegli agenti «erano uomini, avevano paura».

Antonio Montinaro era un poliziotto pugliese e scelse di fare la scorta del giudice Giovanni Falcone perché sentiva che quell’uomo poteva cambiare le cose, perché sentiva che fosse indispensabile. Era prezioso e come tutte le cose preziose meritava protezione. Ciò che accadde ad Antonio è storia, ma un attimo prima, quando ancora tutto sembrava possibile, ha compiuto un consueto rituale familiare: ha baciato sua moglie, il figlio maggiore Gaetano di quattro anni e lui, che era il più piccolo, Giovanni, di appena ventuno mesi, a cui aveva dato il nome del suo eroe.

È stata l’ultima volta che ha potuto toc-

Giovanni Montinaro aveva 21 mesi quando suo padre fu ucciso: gli eroi sono gli uomini giusti

care il suo papà, ma non lo ricorda. Non ha memoria del tempo trascorso insieme, della famiglia riunita attorno ad un tavolo, a ridere, a scherzare, il ricordo di una gita al mare, di una discussione perfino per una banalità, per una diversa opinione da difendere, come fanno tutti i figli con i genitori. Non ricorda nemmeno come sia venuto a conoscenza, la prima volta, del perché suo padre non fosse mai più tornato a casa. È cresciuto facendo i conti con un’assenza che era insieme simbolo di una ferita per l’intero Paese, sapendo di essere il figlio di un uomo ucciso dalla mafia. Nomi, ipotesi di trattative, volti, latitanti, processi, interviste, commemorazioni. Ma lui era solo un bambino e la mafia, per molto tempo, è stata rappresentata nella sua testa come un enorme mostro, come in quei disegni squilibrati e spaventosi che si fanno all’asilo.

Oggi è un uomo, ha raggiunto l’età che aveva suo padre e se torna agli anni immediatamente dopo la strage ricorda che gli adulti lo fissavano, che gli ripetevano di essere orgoglioso e gli ripetevano che suo padre era un eroe. Per Giovanni gli eroi non sono mai stati quelli dei fumetti con i superpoteri, quelli che non muoiono mai, che resistono a ogni imprevisto. Sono gli uomini come suo padre, gli onesti, chiamati da molti eroi.

Giovanni non smette di ricordare suo padre. Le mafie si cibano di dolore e silenzio, ecco perché le storie sono temute dalle organizzazioni criminali. Le storie allenano la memoria, ti fanno capire da che parte stare, formano la coscienza civile, tengono accesa una luce. Le storie delle vittime e dei loro familiari, non sono mai belle. Ma bellezza è mostrare di cosa sia capace un uomo giusto. Il loro sacrificio dimostra alle mafie che la vera bellezza sopravvive perfino alla morte.

5 febbraio 2023 9 BELLE STORIE
Francesca

Quel che accade a Roma è sempre straordinario. Non è un caso se la città può vantare la sua storia millenaria, non è per la bravura di agenti di viaggio se è sempre piena di turisti. Ma adesso è partita la caccia ai cinghiali e, per dire, un uomo è stato fermato con balestra, frecce e coltelli. L’uomo è stato denunciato per porto abusivo di armi. Non è il primo caso, in quanto continuo a leggere storie di cinghiali che aggrediscono cani di piccola taglia, che cercano di vuotare i bidoni dell’immondizia e che comunque vogliono procurare il cibo a sé stessi, alla propria compagna e ai cuccio-

L’amore vietato ha sempre avuto grande successo

li. Si sono messi in moto la polizia provinciale, i carabinieri, la Asl e altri ancora impegnati a depistare gli animalisti che risultano essere fiancheggiatori dei cinghiali.

Questo è l’aspetto straordinario della storia: non soltanto i cinghiali che stanno invadendo i parchi e ampie zone periferiche, ma anche il fatto che gli animalisti sono scesi in campo per difendere gli animali.

Per esperienza e per anagrafe, ritengo che la battaglia fra i cinghiali e i romani sarà lunga e complicata. Chissà se fra mille anni ci sarà un Colosseo ispirato ai cinghiali e alle loro battaglie.

Storie straordinarie che assomigliano alle trame di romanzi popolari. Leggo di un fatto accaduto a Ischia: si tratta di una scoperta del pescatore Domenico Schiano, che ha trovato, sulla spiaggia, un te-

La cronaca ci offre storie straordinarie. Che assomigliano alle trame dei romanzi popolari

soro. Il pescatore dice: «Ho trovato delle buste. Nella prima c’erano banconote di tutti i tagli di vecchie lire e di marchi tedeschi. In un’altra, mazzette da centomila lire; altre tre erano vuote, ma in realtà il tutto sembrava avere un valore di 10 milioni».

Ditemi voi se possiamo credere a questa storia. E, se lo facciamo, è perché abbiamo bisogno ogni tanto di liberarci dal normale, di uscire dalla consuetudine, di trovare nuovi stimoli per la fantasia.

A ben pensarci, un tempo erano i politici a essere molto più brillanti e disponibili all’ironia rispetto a quelli di oggi. Giulio Andreotti, con le sue battute, l’ascolterei volentieri commentare la questione dei cinghiali a Roma e dei tanti soldi trovati in una busta a Ischia. Andreotti non si stupiva perché era un romano vero, di quelli che ne hanno viste di tutti i colori. Mi sorprendo sempre quando la cronaca di oggi ci ricorda le famose commedie francesi, il vaudeville. Pensate che un brigadiere di Verona è stato beccato in «affettuosa intimità» con la moglie del comandante ed è stato trasferito.

Certo, come vuole la tradizione, anche autorale, tutto questo accade se uno dei due coniugi è in crisi. In questo caso era in crisi la moglie. L’amante della donna è stato trasferito per «incompatibilità ambientale». Vi rendete conto di quante «incompatibilità ambientali» si potrebbero scoprire quotidianamente? La storia si è poi complicata tra mille problematiche, ammissioni, compromissioni.

Alla fine, viene da dire soltanto che in qualunque ramo, in qualunque città, piccola o grande che sia, l’amore, principalmente «l’amore vietato», ha sempre avuto un grande successo. L’occasione giustifica un saluto e un omaggio a Gina Lollobrigida che nei panni della “Bersagliera” aveva fatto girare la testa a più colleghi di film.

5 febbraio 2023 11
PER BUONA MEMORIA

PROTAGONISTI SU OGNI STRADA

Il successo è qualcosa di molto personale e dipende dalla sicurezza con cui si affronta la propria strada, qualunque essa sia, chiunque noi siamo.

Mettiamocelo bene in testa.

@ shoeiitalia DISPOSITIVI DI SICUREZZA WWW.SHOEI.IT

Da bambina ho trascorso molto tempo sul Lago di Vico, un lago vulcanico nel Viterbese. Sulle sponde del lago, mio nonno mi raccontava il mito di Ercole che, per aiutare i pastori locali con la siccità, affondò la clava nelle profondità della terra così da far sgorgare un lago, chiamato infatti anche “Lago Ercolea”. La Capitale, nel 1992, assiste ad un ribaltamento desolante di questo mito: un palazzinaro, ignaro della storia di Roma e delle sorgenti gassose e sulfuree che la attraversano, trivella l’area di un’ex fabbrica, la Snia Viscosa a Largo Preneste e, intercettata la falda, l’acqua fuoriesce. All’ini-

Un’oasi da tutelare nel cuore di Roma nata dallo scempio

zio cerca, maldestramente, di liberarsene, convogliandola verso il collettore fognario, che però non regge e tutto il quartiere viene allagato e l’invaso scavato per realizzare il parcheggio sotterraneo di un centro commerciale diventa un lago naturale, l’unico di Roma. A seguito di indagini di cittadini e comitati locali, viene presentato alla Procura un esposto-denuncia sulla concessione edilizia, due anni dopo i lavori vengono ufficialmente interrotti e, con una delibera, il Consiglio comunale di Roma approva il progetto della sistemazione a verde pubblico e avvia la procedura di esproprio. Il Parco delle Energie sarà inaugurato nel 1997. Nel frattempo, nel febbraio del 1995, vengono occupati alcuni spazi dell’ex fabbrica, accanto al lago Bullicante - Ex Snia, come presidio permanente sull’intera area, e avviata un’esperienza di autogestione e autoproduzione culturale,

esperienza che resiste ancora oggi. Mesi dopo, il ministero dei Beni culturali e ambientali include tutta l’area tra quelle di interesse archeologico. Negli anni, i tentativi di speculazione sull’area e le infiltrazioni mafiose continuano, così come le resistenze degli abitanti e dei comitati locali perchè venga realizzato un parco archeologico e ambientale su tutta l’area: il parco, il lago e la fabbrica. Ad oggi, il 40 per cento dell’originario sito industriale è ancora di proprietà del palazzinaro con la clava che a dicembre ha riattivato la ruspa dopo aver ottenuto il permesso a costruire un polo logistico. Al momento attuale si assiste ad un comportamento ambivalente da parte del Comune che, mentre approva la nuova concessione edilizia ad opera del Dipartimento all’urbanistica, con voto unanime del Consiglio impegna sindaco e giunta a mettere in atto ogni azione utile affinché tutta l’area venga tutelata. La firma promessa da Zingaretti per l’estensione del Monumento naturale si è dissolta. Nel frattempo la natura, spontaneamente, si è riappropriata dell’area archeologica industriale della fabbrica: il lago e il parco che lo circonda ospitano ora diversi ecosistemi ben strutturati, sistemi complessi con una fortissima resilienza. Trai i pini e gli alaterni, si diramano altre 350 specie botaniche e abitano 89 specie di uccelli che nidificano sulle pareti dell’ex-fabbrica come fossero rupi calcaree. Lì, nel parco archeologico dell’Ex-Snia, sono quattro gli habitat protetti da norme europee mentre un terzo delle libellule d’Italia sono ospitate dal lago. Il Parco delle Energie, dove il lago Bullicante si estende, rappresenta, per i quartieri limitrofi, il Pigneto e Casal Bertone - zone ad altissima densità urbana e fortemente inquinate da polveri sottili - un vero e proprio polmone verde. Salvaguardare il parco archeologico e naturalistico è una questione sociale e di salute pubblica: la natura rigenera le città e chi la abita.

RESISTENTI
La natura e gli abitanti si sono appropriati dell’area dell’Ex-Snia. Comune ambiguo sui vincoli
5 febbraio 2023 13
L’ESPRESSO ICONOGRAFICO DI OLIVIERO TOSCANI
/
14 5 febbraio 2023
È nato questo, è morto presto, risorto quello, pure più bello, quann’è trap è trap,
Michael Zumstein
Agence VU / Karma Press
5 febbraio 2023 15

EDITORIALE

terrore virus, terrore nero, terrore russo, terrore grasso, quann’è trap è trap, noi vinceremo, anche a Sanremo, quindi li armiamo?, non esageriamo!, quann’è trap è trap, super bonus, Amadeus, le versioni plus, filtri anti pus, quann’è trap è trap, cari compagni, Chiara Ferragni, miei pasdaran, le Kardashian, quann’è trap è trap, crisi del gas, Isis e

Hamas, la lotta al pos, sistema iOS, dov’era il boss, quann’è trap è trap, e Berlusconi, i parrucchini, i botulini, ma lei s’inchini, quann’è trap è trap, e Gianni Letta, Enrico Letta, ci dia una letta, ho troppa fretta, quann’è trap è trap, fratello di, è rosso sì, principe di, sei il piano B, quann’è trap è trap, i pesci crudi, i cuochi matti, mangiare insetti,

Handan KhannaAFP / Getty Images

perdere gli etti, mangiamo sani, mangiam domani, quann’è trap è trap, e la Meloni, forse è il Meloni, buoni i meloni, più i calabroni, quann’è trap è trap, I lovestreetfood,icomfortfood,avocadoisgood,mo compila il cud, quann’è trap è trap, la resilienza, vostraeminenza,abbiapazienza,nonhoesperienza, quann’è trap è trap, business scalabile, insta-

grammabile, sarò impiegabile?, tutto è possibile, quann’è trap è trap, Giuseppe Conte, Antonio Conte, Gentiloni conte, scusa ho il marchese, allora a tue spese, quann’è trap è trap, il metaverso, il mio percorso, intelligenza artificiale, ma solo birra artigianale, quann’è trap è trap, le felpe di Salvini, le cene di Salvini, le digestioni di Salvini, ormai qui

EDITORIALE Yassine Alaoui IsmailiThe New York Times / Contrasto

arrivano i monsoni, quann’è trap è trap, il climate change, il regime change, quel vecchio ing, qui è tutto cringe, quann’è trap è trap, mi han fatto questo, colpa di quello, piango di sdegno, fammi un assegno, quann’è trap è trap, è performante, ed ingaggiante, anche sfidante, la pasta al dente, quann’è trap è trap, è iconico, è ialuronico, è autorevole, vende le pentole, quann’è trap è trap, Messi e Mbappé, TikTok TikTok, balletti osé, quann’è trap è trap,

EDITORIALE Mario AnzuoniReuters / Contrasto

le giornate mondiali, gli hashtag sociali, i giudizi morali, che belli ‘sti mondiali, quann’è trap è trap, profilo autenticato, utente bannato, le spunte blu, ma chi sei tu, quann’è trap è trap, Bezos e Musk, e troll e schwa, quann’è trap è trap, Biden e Trump, cookies e amp, quann’è trap è trap, e c’è il free speech, e c’è l’hate speech, di che t’impicc, dammi due spicc, quann’è trap è trap, Amazon, Paramount,

JantilalAfp / Getty Images
EDITORIALE Rajesh

Netflix, Disney e Sky, i talk di Mediaset e mamma Rai, quann’è trap è trap, ho pippato un pacco, ho ingoiato un tacco, ho pagato Cracco, niente fa male quanto il tabacco, quann’è trap è trap, variante alfa, variante

beta, variante delta, e la cometa?, quann’è trap è trap, i PIGS e i BRICS, i cis e i ris, i vip e il MES, quann’è trap è trap, e l’inflazione, la deflazione, la stagflazione, la depressione, tutta colpa dell’automazione,

e però lei punta all’archiviazione, non esclude la beatificazione, quann’è trap è trap, mo è proprio trap.
Sunset BoulevardCorbis / Getty Images
Enrico Dal Buono

POLITICA

Daniel Radosavljevic, italiano, morto in carcere in Costa Azzurra il 18 gennaio. L’audio dei compagni alla famiglia è un atto d’accusa

Esami, visite, interventi. Le liste d’attesa si allungano. In alcuni casi sono sospese. Chi può si rivolge alla sanità privata. Inchiesta

SCOPRI L’ABBONAMENTO

TikTok ha tracciato alcuni giornalisti americani. Gli Usa sono per la linea dura, la Ue e l’Italia scelgono un approccio più morbido

PRIMA
Il malato può attendere Gloria Riva 28 Bisturi e siringhe, in ospedale manca tutto 32 Visite a pagamento, la legge dice basta 35 Tutta salute, il voto regionale vale 33 miliardi Gianfrancesco Turano 36 Lo slalom di Ferlaino jr 39
PAGINA
Mistero in cella. Un suicidio da non credere Simone Alliva 40 Passaggio a Nordio Susanna Turco 46 La meglio gioventù e l’ex pm garante Marco Ulpio Traiano 48 Imprese italiane alla fiera dell’est per ricostruire Carlo Tecce 52 Putin stravolge la memoria del popolo russo colloquio con Irina Scherbakowa di Stefano Vastano 56 Carissimo ex nemico, il metodo Rondine Sara Lucaroni 58 Lo zar di Mosca va abbattuto colloquio con Vladimir Kara-Murza di Sabrina Pisu 62 Il confine orientale, dove corrono i tormenti del ’900 Pierangelo Lombardi 65 ECONOMIA La giungla del fisco su misura Vittorio Malagutti 66 Non sarà facile ma semplificheremo colloquio con Maurizio Leo 71 Valzer di poltrone e il sì dell’Economist Giorgio Chigi 73 A chi il presidente? A noi! Spoils system in orbace Sergio Rizzo 74 40
28
82
Inquadra il Qrcode e ricevi la rivista a casa tua per un anno a 5,00 euro al mese (spese di spedizione incluse)
UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY lespresso.it @espressonline @espressonline @espressosettimanale
L’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi

numero 5 - anno 69 - 5 febbraio 2023

5

Relazioni tossiche, coppie aperte, scene esplicite. Una nuova generazione di fumettisti racconta sesso e amore senza tabù

Per approfondire o commentare gli articoli o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@lespresso.it I nostri giornalisti vi risponderanno e pubblicheremo sul sito gli interventi più interessanti

Traffico voce e web, ora i ricavi vanno giù Giorgio Chigi 76 Google, Meta & Co. Tra errori e bugie non fidarsi è meglio Matteo Novarini e Davide Piacenza 78 Intelligenza artificiale, Big G va alla riscossa 79 “Contro le fake news ci vuole trasparenza” colloquio con Salvatore Sica 80 TikTok ci spia. Linea dura negli Usa, morbida in Europa Alessandro Longo 82 La nuova via dei dati passa per Genova Roberto Orlando 86 CULTURA Sesso e amore a fumetti Emanuele Coen 90 “Eros dalla parte delle donne” colloquio con Tito Faraci 95 La parità? Conviene a tutti Chiara Sgreccia 96 Più che libera indomabile colloquio con Claudia Cardinale di Claudia Catalli 100 Un Festival moltiplicato per sei Gino Castaldo 104 Una vita in blues colloquio con Mauro Pagani di Simone Siliani 107 “Chi sale
scende”,
nuova rubrica di Sebastiano Messina In copertina: opera di Oliviero Toscani e Marco Morosini LA CODA PUBBLICA PORTA VERSO LA SANITÀ PRIVATA Alessandro Mauro Rossi 3 Opinioni CHI SALE E CHI SCENDE SebastianoMessina 5 PER PARTITO PRESO CarloCottarelli 7 BELLE STORIE FrancescaBarra 9 PER BUONA MEMORIA MaurizioCostanzo 11 RESISTENTI DilettaBellotti 13 PALAZZOMETRO VirmanCusenza 51 FACCIAMO ECO GiuseppeDeMarzo 55 BANCOMAT AlbertoBruschini 89 BENGALA RayBanhoff 122 Rubriche IO C’ERO - OlivieroToscani 14 LIBRI - SabinaMinardi 109 TEATRO - FrancescaDeSanctis 110 ARTE - NicolasBallario 111 MUSICA - GinoCastaldo 113 TELEVISIONE - BeatriceDondi 114 CINEMA - FabioFerzetti 115 ANIMALI - ViolaCarignani 117 CUCINA - AndreaGrignaffini 118 VINO - LucaGardini 119 POSTA - StefaniaRossini 120 100 Claudia Cardinale 90
e chi
la
28 5 febbraio 2023
PRIMA PAGINA SANITÀ / 1

Esami, visite, interventi. In tutta Italia

le liste per chi aspetta una prestazione medica si allungano. In alcuni casi sono sospese. Chi può si rivolge ai privati. Un’inchiesta de L’Espresso

IL PUÒMALATO ATTENDERE

PRONTO SOCCORSO

Pazienti e infermieri nel Pronto Soccorso dell’ospedale San Giovanni di Roma

Jole ha 36 anni, da due lotta contro un cancro che l’ha trascinata per tre volte nella sala operatoria dell’ospedale di Lecce. La quarta volta è finita sotto ai ferri perché il suo apparato riproduttivo aveva smesso di funzionare a dovere: era il 4 novembre. Il vetrino con il tessuto istologico viene spedito con urgenza al dipartimento di Anatomia Patologica di Gallipoli per verificare se il tumore è tornato. Per Jole i giorni di attesa diventano settimane, poi mesi, finché a gennaio, in un disperato rimpallo di telefonate, scopre che il referto non è ancora pronto: in quel momento stanno analizzando materiali risalenti al 22 ottobre. La vicenda finisce all’attenzione dei Nas, anche se c’è poco da investigare: manca il personale e le liste d’attesa sono chilometriche, a Gallipoli come altrove. All’ospedale di Manfredonia mancano medici per scrivere i referti degli holter cardiaci, così tutte le prestazioni di gennaio sono state annullate e rinviate a marzo. A Monza la lista d’attesa per una visita dermatologica è sospesa, a Brescia, con in mano una ricetta rossa di visita urgente da un neurochirurgo, bisogna aspettare oltre un mese. Fioccano le segnalazioni raccolte dall’associazione Cittadinanzattiva - Tribunale per i diritti del Malato: «La situazione è totalmente fuori controllo», denuncia Anna Lisa Mandorino, segretaria di Cittadinanzattiva, che spiega: «Liste d’attesa così lunghe non consentono una corretta prevenzione e diagnosi precoce, con ricadute negative sulla qualità della vita e sulla sostenibilità economica del Ssn, che deve poi intervenire su patologie più gravi. Inoltre salta il sistema di controlli periodici dei malati cronici, sempre più abbandonati a se stessi». In concreto, il mancato accesso al Servizio Sanitario Nazionale si traduce nella necessità di rivolgersi a cliniche private e quindi, per il sette per cento delle famiglie italiane, nell’indebitamento, come conferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità in collaborazione con il Cergas Bocconi, per un altro 11 per cento, invece l’alternativa è non curarsi. Partendo dal collo di bottiglia delle liste d’attesa, che impedisce ai cittadini di cu-

rarsi in modo equo, uguale e universale, come vorrebbe la Legge 833 del 1978 che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, L’Espresso dedica un’inchiesta a puntate alla Sanità italiana, privata delle risorse minime per offrire prestazioni adeguate, indebolita dalla fuga di medici e professionisti e nella totale assenza di una visione politica. Non è un caso se, nel sondaggio Quorum YouTrend l'ambito in cui il governo Meloni si è mosso peggio è la sanità, mentre il 47 per cento degli intervistati concorda nel sostenere che l’Ssn deve tornare al centro dell’attenzione. Urge, infatti, una riforma del Servizio, che tuttavia nessun partito vuole intestarsi perché, in prima battuta, bisognerebbe ammettere che il pubblico non è più in grado di svolgere un servizio universale, ma necessita del sostegno di cliniche private. Basta guardare cosa accade in Lombardia e nel Lazio sul fronte degli interventi urgenti cardiovascolari che, stando agli ultimi dati di Agenas, l’A-

PRIMA PAGINA SANITÀ / 1
In Puglia un esame istologico di novembre non è ancora pronto. A Brescia una visita urgente di neurochirurgia non può essere effettuata prima di un mese
30 5 febbraio 2023

genzia nazionale per i servizi sanitari regionali, nel 58 per cento dei casi avvengono nel privato accreditato, mentre nell’oncologia il pubblico mantiene il primato, ma di pochissimo: «In Lombardia e Lazio, nel settore cardiovascolare, così come negli interventi ortopedici, il privato accreditato ha superato il pubblico soprattutto perché l’entità economica dei rimborsi è maggiore», commenta Maria Pia Randazzo, responsabile del monitoraggio sui tempi d'attesa di Agenas, che conferma: «In futuro il privato accreditato dovrà sempre più compensare le prestazioni che il pubblico non riesce a offrire, anche a causa della mancanza di personale. Ma se pubblico e privato continueranno a gareggiare in regime di concorrenza e non collaboreranno, il sistema non potrà reggere».

Tra il 2019 e il 2021 le Regioni hanno ricevuto un miliardo di euro per rafforzare e digitalizzare i sistemi di prenotazione e per integrare le liste d’attesa, tuttavia - anche

a causa della pandemia – non ci sono stati grandi passi avanti: Agenas stima un arretramento del 20 per cento rispetto al 2019 per le visite specialistiche. La regione che sta meglio è la Lombardia, che peggiora la performance solo del 10 per cento, come Emilia Romagna, Basilicata e Toscana. Dall’altro lato c'è l’Alto Adige (meno 55 per cento), Calabria, Sardegna e Marche. Non va meglio sul fronte delle visite di controllo, con la Toscana - la migliore - che peggiora del 10 per cento e il tracollo della Valle d'Aosta (meno 38 per cento). «Per i ricoveri ospedalieri di fascia A, cioè da effettuare entro 30 giorni dalla prescrizione, specie per patologie importanti, come i tumori e le patologie cardiovascolari, alcune regioni migliorano (Toscana, Lombardia, Sicilia e Campania), mentre altre sono crollate (Trentino, Emilia Romagna, Piemonte)», spiega la dirigente Agenas, che continua raccontando che il problema vero è la mancanza di trasparenza nella comunicazione dei dati, impe-

UOMINIUOMINI

In copertina di questo numero e alle pagine 29 e 30, le opere “uominiuomini” di Marco Morosini. Dal 1998 la sua ricerca artistica indaga la società attuale e le sue contraddizioni.

Foto: A. Serrano' / AGF
5 febbraio 2023 31

dendo di scattare una precisa fotografia: «Dall’attività di audit sono emerse difficoltà di rendicontazione e certificazione dei dati. Nonostante lo stanziamento di un miliardo per migliorare i centri unici prenotazione, presso cui dovrebbero essere disponibili tutte le agende pubbliche e del privato convenzionato, non è possibile avere alcuna informazione», conclude Randazzo. Di certo ci sono le segnalazioni a Cittadinanzattiva, che lamentano ritardi lunghissimi - 720 giorni per una mammografia, un anno per un’ecografia, una tac, un intervento cardiologico -, e sempre più si verifica l’illegale pratica delle liste bloccate: ovvero l’operatore del cup, il centro unico di prenotazione, non è in grado di offrire alcuna disponibilità perché non l’agenda di cui dispone si limita a tre mesi. In Emilia Romagna un 76enne con sospetta neoplasia ha chiamato il cup di Bologna, ma spiacente, la colonscopia non si può fare perché

L’emergenza

«Non c’è sufficiente personale», è stata la risposta dell'operatore. Tre giorni dopo l’uomo ha sborsato 350 euro per effettuare l’esame, seduta stante, proprio all'Ospedale Maggiore di Bologna, che in teoria è pubblico, ma offre la possibilità di fare visite private, con gli stessi camici bianchi del Ssn. Come se la mano destra dei nosocomi cittadini non sapesse cosa fa la sinistra: nello specifico si tratta della possibilità per i medici ospedalieri di sfruttare il proprio tempo libero per effettuare visite private all'interno dell'ospedale in cui lavorano. Certamente, potrebbero fare più straordinari e far scorrere velocemente le liste d’attesa del servizio pubblico, ma non conviene a nessuno, essendo il lavoro extra dei camici bianchi retribuito una miseria e perché gli stessi ospedali incassano la metà dei quattrini sborsati

I BISTURI E SIRINGHE IN OSPEDALE MANCA TUTTO

n sala operatoria iniziano a scarseggiare bisturi elettronici e suturatrici meccaniche. E si stanno esaurendo le cannule e le sacche plastiche «che servono per le trasfusioni di sangue, per il plasma, ma anche per i medicinali oncologici», è preoccupato Alberto Capretti, chirurgo plastico del Policlinico di Milano e segretario del sindacato Anaao Assomed, perché la tagliola del payback - che fra due mesi imporrà a una miriade di piccole e medie imprese produttrici di dispositivi medici di sborsare 2,2 miliardi - rischia di lasciare gli ospedali sguarniti di gran parte dei dispositivi essenziali per curare i pazienti. I medici dovranno, letteralmente, operare a mani nude. «La situazione è gravissima. Rischiamo di ritrovarci persino senza il filo di sutura, senza siringhe, senza pace-maker, senza protesi d’anca e di ginocchio per gli interventi ortope-

dici. Rischiamo di dover fare a meno non solo dei macchinari, ma anche degli aggiornamenti software per far funzionare le tac, le risonanze magnetiche, tutti gli strumenti diagnostici. Sarebbe un massacro e il governo se ne sta disinteressando».

Per capire cosa sta succedendo è necessario tornare al 2015, nel pieno della stagione di tagli lineari alla sanità e restrizione dei budget regionali per far quadrare i conti e ridurre il debito pubblico. Al governo c’è Matteo Renzi, che per rispondere ai richiami della Commissione europea inserisce il payback sui dispositivi medici. Il payback è una misura presente nel nostro ordinamento dal 2008 e finora utilizzata solo per la spesa farmaceutica: sostanzialmente, ogni Regione concorda con le aziende farmaceutiche un budget di spesa per i farmaci anche se, ogni anno, quella soglia viene puntualmente superata. Le somme in eccesso vengono spartite per metà a carico delle società farmaceutiche, l’altra resta sulle spalle delle Regioni. In realtà lo strumento del payback non ha mai funzionato a dovere, perché il più delle volte le aziende farmaceutiche

PRIMA PAGINA SANITÀ / 1
Settecentoventi giorni per una mammografia, un anno per un’ecografia, una tac, un intervento cardiologico. E si diffonde sempre più la pratica illegale delle liste bloccate
32 5 febbraio 2023

LE VISITE SPECIALISTICHE

X Nihilicae comne mus plicus, consuli came cchus et res clari ternum hoc, que are quide opte

MAMMOGRAFIA

ECOGRAFIA

TAC

INT. CARDIOLOGICO

VISITA DIABETOLOGICA

INT. ORTOPEDICO

VISITA DERMATOLOGICA

INT. ONCOLOGICO

procedono con ricorsi legali per evitare le salate gabelle, che ammontano a svariati milioni di euro l’anno. Dal 2015 il governo Renzi decide di applicare questo metodo anche ai dispositivi medici, che sono una miriade: dai guanti in lattice, ai bisturi, dall’ecografo ai più sofisticati robot delle sale operatorie. La normativa di renziana memoria stabilisce che per il 2015 il 40 per cento dello sforamento al tetto di spesa è a carico delle imprese, il 45 per il 2016, il 50 dal 2017 in poi. La norma, però, resta sulla carta, perché fin da subito risulta chiaro che applicare il payback alle aziende produttrici di dispositivi medici, che forniscono materiale alle aziende passando attraverso regolari bandi di gara, è quanto meno complicato. Con la scusa della mancanza dei decreti attuativi, la legge sul payback viene dimenticata nel cassetto di qualche dirigente del ministero della Sanità. A dissotterrarla ci pensa il governo Draghi, che all'articolo 18 del decreto legge Aiuti-bis dello scorso agosto definisce le regole «per l’applicazione del sistema di compartecipazione delle imprese allo sforamento dei tetti regionali di spesa sanitaria che

PERCENTO

Gli italiani che segnalano difficoltà nel contattare il cup o prenotare una

PERCENTO Le visite specialistiche che avvengono in regime di Ssn

PERCENTO Le visite specialistiche tramite privato convenzionato

PERCENTO Le visite specialistiche in regime privato

Giorni 100200300400500600 IL SORPASSO DEL PRIVATO Interventi cardio vascolari Interventi oncologici 720 375 365 365 362 360 300 180 PRIVATO ACCREDITATO 11.517 PUBBLICO 8.403 PRIVATO ACCREDITATO 10.504 PUBBLICO 11.870 PRIVATO ACCREDITATO 4.761 PRIVATO ACCREDITATO 6.190 PUBBLICO 3.553 PUBBLICO 8.159 51
visita 33 43 25
LombardiaLazio
5 febbraio 2023 33

dai pazienti privati. «Bisognerebbe lavorare con i medici di base sul fronte dell'appropriatezza prescrittiva, mentre alle Regioni spetterebbe il compito di offrire dati più veritieri sul monitoraggio, non più effettuando confronti con il passato (che a causa della pandemia la normalità è stata intaccata), ma valutando il numero di presi in carico rispetto al volume di prescrizioni effettuate», dice l’economista Milena Vainieri, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che aggiunge: «È invece molto preoccupante il considerevole aumento del ricorso alle cure private: indice di iniquità e un totale scacco alla programmazione territoriale». Succede anche in Lombardia, dove l’ospedale di Lecco per una visita gastroenterica urgente risponde picche, ma sborsando 129 euro è subito disponibile. E a Brescia, dove ci vuole oltre un mese per un controllo dal neurochirurgo, nonostante la ricetta rossa indichi «da effettuar-

L’emergenza

si entro 10 giorni». Proprio in Lombardia, mentre il candidato leghista Attilio Fontana accusa il suo ex numero due e attuale sfidante, Letizia Moratti, di aver fallito sulle liste d’attesa, sorvolando sul fatto che il problema è annoso e la Moratti ha avuto almeno il merito di rimediare sul fronte dei ritardi negli interventi oncologici, si corre ai ripari con una strategia quantomeno insolita: i dirigenti regionali suggeriscono alle aziende sanitarie locali di accorciare i tempi delle visite. Per la Tac si passa da 30 a 20 minuti. Forse il paziente dovrà accontentarsi di due terzi di Tac, ma è meglio di nulla.

Per approfondire o commentare questo articolo o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@lespresso.it I nostri giornalisti vi risponderanno e pubblicheremo sul sito gli interventi più interessanti

vanno dal 2015 al 2018», si legge nel testo. La verità è che, per via delle spese extra dovute alla pandemia, la maggior parte delle Regioni - Lombardia ed Emilia Romagna in testa - hanno bilanci in sofferenza, avendo dovuto sostenere circa la metà dei costi di vaccini, test, dispositivi connessi alla pandemia. I governatori hanno quindi provato a batter cassa a Roma, dove i quattrini, però, sono sempre pochi. Soluzione? Chiedere un contributo alle aziende del medicale: non a caso l’importo del payback dal 2015 al 2018 viene registrato come entrata nei bilanci regionali del 2022. «Dai nostri calcoli, per gli anni arretrati dovremmo versare alle Regioni 2,2 miliardi di euro. Se dovessero richiedere il payback fino ai giorni nostri il costo lieviterebbe a 5,5 miliardi», spiega Massimiliano Boggetti, presidente della Confindustria dei Dispositivi Medici, che la settimana scorsa - per l’ennesima volta - si è sgolato di fronte al Parlamento e al Senato per spiegare che quella gabella farebbe saltare la sostenibilità dell'intera sanità italiana: «Sembrano non capire». A ottobre il ministero della Salute ha redatto le linee

guida, le ha inviate alle Regioni, le quali a metà dicembre hanno spedito il conto alle aziende, pretendendo il pagamento delle somme arretrate entro metà gennaio. Dietro a una levata di scudi del settore, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha posticipato la scadenza a fine aprile, confermando però l’impianto del payback. Il problema è che le imprese del settore medicale non sono paragonabili alla ricca industria farmaceutica: sono 4.546 piccole e medie imprese, con un volume d’affari da 12 miliardi, danno lavoro a 112mila persone e investono mezzo miliardo in ricerca e sviluppo. «È come se ad aprile si chiedesse a queste aziende di pagare una tassa pari un sesto del fatturato. Molte sono sul punto di portare i libri in Tribunale, dovranno chiudere», spiega Boggetti. Non c’è il rischio che interrompano la fornitura agli ospedali, perché hanno sottoscritto accordi stringenti e c’è la precettazione sul materiale medicale, ma la mancanza di liquidità nelle casse delle società può portarle al default finanziario.

A metà dicembre le Asl hanno inviato le richieste di

PRIMA PAGINA SANITÀ / 1
Pubblico e privato non possono essere in concorrenza. Il Servizio Sanitario Nazionale, va riformato ma nessun partito politico finora ha mostrato di avere un progetto su un problema esplosivo
34 5 febbraio 2023

INFERMIERI

Un paziente attende un infermiere nell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo

pagamento alle aziende e oltre 600 hanno risposto facendo ricorso al Tar del Lazio, ritenendo ingiusta la normativa del payback: «Nel caso delle aziende farmaceutiche può avere un senso, perché il prezzo dei medicinali viene negoziato. Ma l’acquisto dei dispositivi medici segue le gare d’appalto bandite dagli ospedali. Sono loro a dettare il prezzo, le imprese fornitrici non hanno alcuna voce in capitolo», spiega Boggetti. In molti casi le Asl hanno già proceduto a trattenere il denaro conteso dalle prossime fatture e le banche stanno alzando le antenne a fronte di insolite richieste di accesso al credito. «Nella pratica siamo in piena violazione della legge 833 del 1978 che ha istituto il Servizio Sanitario Nazionale secondo i principi dell'universalità, dell'uguaglianza e dell'equità», commenta il chirurgo del Policlinico Alberto Capretti, che continua: «Salta totalmente il concetto di prestazioni sanitarie a tutta la popolazione, per il semplice motivo che senza gli strumenti forniti dalle aziende del medicale non siamo più in grado di garantire le cure adeguate ai cittadini italiani». G.R.

Intramoenia in eccesso

VISITE A PAGAMENTO

LA LEGGE DICE BASTA

La Toscana è fra le regioni che più si è data da fare per riorganizzare il centro unico di prenotazione. Ha per esempio introdotto - unica in Italia - l’indice di cattura, cioè il rapporto tra le prestazioni prenotate e quelle prescritte. E nonostante abbia segnato un miglioramento nei tempi di attesa - 21 giorni in media - la Regione è stata recentemente bacchettata dalla Corte dei Conti, in particolare sul problema delle liste chiuse: «Bisogna consentire la registrazione di tutte le richieste di prenotazione che giungono al sistema, prendendo in carico, ad esempio nelle “preliste”, anche quelle per le quali non possa essere proposta una data di prima disponibilità entri i tempi massimi. Questa carenza comporta infatti una inevitabile barriera all’accesso alle prestazione che comporta casi di “blocco liste” vietati dalla legge». Scrive, nella delibera, che al 30 giugno 2022 oltre l’80 per cento delle prestazioni arretrate sono ancora da recuperare e i tre quarti dei soldi stanziati dallo Stato per il loro recupero non sono stati spesi. Negli ultimi cinque anni le prescrizioni per esami ambulatoriali sono arrivate a quota 4,9 milioni, al contrario l'offerta - e quindi le prenotazioni - sono 3,4 milioni. Sempre più spesso i cittadini aggirano il problema ricorrendo all’intramoenia, cioè effettuano visite a pagamento all’interno degli stessi ospedali. Dice la Corte dei Conti che in alcune specialità il rapporto fra le prestazioni in regime di Ssn e quelle private è totalmente sbilanciato a favore del secondo: il rapporto è 161 a pagamento ogni cento gratuite negli accertamenti di chirurgia generale, così come il 102 per cento nelle gastroscopie, il 136 per cento nelle visite ortopediche e così via. Soluzione? È sempre la Corte dei Conti a far notare che «il Piano nazionale prevede espressamente che in caso di superamento del rapporto tra l’attività in libera professione e istituzionale sulle prestazioni erogate o di sforamento dei tempi di attesa massimi già individuati dalla Regione, si attui il blocco della libera professione, fatta salva l’esecuzione delle prestazioni già prenotate». L’indicazione è chiara: con liste d’attesa così lunghe le visite a pagamento negli ospedali vanno bloccate. G.R.

Foto: F. Volpi –Bloomberg via Getty Images
5 febbraio 2023 35

Tutta salute Il voto regionale vale 33 miliardi

Dica trentatré, come i miliardi di euro di spese sanitarie complessive gestite da Lombardia e Lazio, solo due miliardi in meno dell’ultima manovra economica. La corsa delle elezioni del 12 febbraio si gioca in corsia e negli studi medici per le due regioni che occupano il primo e il secondo posto in Italia per spese di salute. Una salute non troppo florida, va detto. In campagna elettorale, il tema sanitario è stato di gran lunga il più gettonato da una platea di votanti che si annuncia in ulteriore calo, sfiduciata da un sistema messo a dura prova dalla pandemia e logorato per anni da politiche bipartisan favorevoli all’imprenditoria privata a danno dell’assistenza pubblica. Il fattore astensione potrà essere decisivo per i palazzi governativi di Milano e Roma ma il risultato delle urne promette novità radicali, sia se saranno rispettate le previsioni che danno il centrodestra vincente, sia se prevarranno gli outsider.

MELONIANI D’ASSALTO IN LOMBARDIA

Chi ricorda i primi tempi del Covid-19 non può non riconoscere la sua faccia, presente ovunque nelle pubblicità elettorali per le strade della sua Milano. Nei mesi tragici a partire dal marzo 2020 il forzista Giulio Gallera, assessore al Welfare per quattro anni e mezzo, è stato un appuntamento quotidiano con la sua conferenza stampa che anticipava di qualche minuto il collegamento tv con le autorità sanitarie centrali a Roma. La sua avventura, corroborata dal primo posto assoluto alle urne con 11.722 voti di preferenza, si è interrotta in modo consensuale nei primi giorni del 2021 con l’ir-

L’ASSISTENZA

Una sala dell'ospedale Galeazzi-Sant' Ambrogio del gruppo San Donato, a Milano

ruzione sulla scena di Letizia Brichetto Moratti, assessora più vicepresidente, anche lei di area forzista. E quando Moratti è entrata in rotta di collisione con il presidente leghista Attilio Fontana, è arrivato il tecnico preferito dai governi berlusconiani, l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso a gestire un budget di circa 21 miliardi all’anno. Dopo avere sperato nella candidatura al posto di Fontana, Moratti si presenta con la strana coppia Carlo Calenda-Matteo Renzi alla quale per poco non si è unita la vecchia guardia di Umberto Bossi, poi rimasto fedele alla linea salviniana. Il Pd guidato da Pierfrancesco Majorino ha trovato l’accordo con i grillini, che nel Lazio vanno per conto loro mentre il Pd è con Renzi e Ca-

PRIMA PAGINA LA CORSA ELETTORALE
36 5 febbraio 2023
GIANFRANCESCO TURANO

lenda. Secondo nei sondaggi dopo Fontana e prima di Moratti, l’eurodeputato milanese ha cercato il colpo di mercato a sorpresa ingaggiando il virologo Fabrizio Pregliasco come responsabile in pectore del Welfare. Pregliasco ha sollevato qualche freddezza nel suo stesso schieramento perché, oltre a essere uno scienziato conosciuto e un opinionista stimato sulla politica sanitaria durante la pandemia, è anche direttore sanitario dell’istituto Galeazzi-Sant’Ambrogio da poco trasferito nell’area dell’Expo 2015 e controllato dalla famiglia Rotelli. Ai mugugni ufficiali di Medicina democratica si può aggiungere il commento di un candidato del centrosinistra: «Il settore privato fa parte di un meccanismo che va riformato alla radice e Pregliasco ha contribuito a fare della sanità lombarda quello che è».

Anche per queste divisioni il centrodestra sembra lanciato verso la conferma a palazzo Lombardia. Ma Fontana troverà gli equilibri interni alla coalizione stravol-

ti dall’ascesa di Fdi che cinque anni fa aveva contribuito alla vittoria dell’ex sindaco di Varese con un 3,6 per cento del tutto marginale. Oggi i sondaggi Ipsos e Swg danno il partito di Giorgia Meloni poco sotto il 25 per cento contro il 28,5 delle politiche dello scorso settembre. La Lega, traino della vittoria del 2018, si dimezza intorno al 13 per cento. Per Forza Italia si annuncia l’ennesimo segno meno al 6,5 per cento. Eppure il partito di Silvio Berlusconi ha dominato la sanità regionale dal 1995, con la prima elezione di Roberto Formigoni. In oltre un quarto di secolo la Lombardia ha accentrato, e finanziato con le sue convenzioni, sei dei maggiori gruppi privati italiani del settore. Sono il Gruppo San Donato (Gsd) della famiglia Rotelli, l’Humanitas dei Rocca, Kos della famiglia De Bene-

Foto:D. Piaggesi –Ag. Fotogramma
5 febbraio 2023 37
Lombardia e Lazio occupano il primo e secondo posto per volume di spesa. Ma il settore annaspa tra mala gestione e regali ai privati. Anche prima dell’emergenza esplosa con il Covid-19

detti, l’Irccs Maugeri di Pavia, la Servisan dei De Salvo e l’Istituto tumori (Ieo), partecipato dai grandi nomi della finanza e dell’impresa.

Le sei grandi lombarde hanno diramazioni su tutto il territorio nazionale e fanno la parte del leone anche nella cosiddetta spesa sanitaria out of pocket, cioè pagata direttamente dagli italiani, che nel 2021 la Ragioneria generale ha fissato a 37,2 miliardi di euro oltre i 126,6 miliardi di trasferimenti statali alle Regioni.

Fontana, nel più tipico mood pre-elettorale, ha annunciato l’apertura di due nuove strutture ospedaliere a Cremona e a Gallarate oltre alla ristrutturazione degli Spedali civili di Brescia. In modo meno convincente ha vantato una riforma sanitaria approvata a fine novembre del 2021, quando i dissidi con la sua vicepresidente erano ancora sopiti. L’obiettivo di riempire il vuoto fra la medicina di base, tuttora in crisi, e il ricovero in corsia attraverso case e ospedali di comunità continua a non funzionare, anche per enormi difetti di comunicazione. La riduzione delle liste d’attesa per esami e ricoveri è un problema così grave che lo

stesso Fontana lo ha messo in testa al suo programma politico. Meglio tardi che mai, dopo ventotto anni di governo incontrastato del centrodestra.

Sulla sanità lombarda si allunga così l’ombra di Fdi, primo partito nei sondaggi. Da palazzo Chigi l’ordine è di restare allineati e coperti fino alla vittoria. Solo allora si inizierà a parlare di poltrone. Ma anche se molti quadri e dirigenti della sanità regionale hanno già trasferito il loro centro di gravità in direzione Meloni, per Fdi non sarà facile trovare un equilibrio con gli alleati che invocano l’autonomia differenziata. Bertolaso può mettere d’accordo la destra? Difficile ma non impossibile. Con 21 miliardi di euro c’è spazio per tutti.

DERBY IN CORSIA PER IL LAZIO

Anche il Lazio dipende dalla sanità per la corsa elettorale. I due pretendenti più accreditati alla successione del democratico Nicola Zingaretti sono impegnati da decenni nel settore che vale 12,8 miliardi di euro all’anno. Il candidato del blocco Pd-Azione-Iv, Alessio D’Amato, è assessore al welfare uscente ma si è affacciato nella commissione sanità del consiglio regionale fin dal 2005, quando ha debuttato come eletto tra le file dei Comunisti italiani dopo la vittoria del centrosinistra con Piero Marrazzo. Tre

PRIMA PAGINA LA CORSA ELETTORALE
A Milano, resa dei conti nel centrodestra, malumori nel Pd per l’ingaggio di Pregliasco.
A Roma, D’Amato punta sulla sua campagna vaccinale. Ma ha contro la macchina della Cri guidata da Rocca
38 5 febbraio 2023

Consenso social

È LO SLALOM DI FERLAINO JR

l’anno del Napoli. Per Luca Ferlaino, figlio di Corrado il presidente dei due scudetti azzurri con Diego Armando Maradona, è una splendida prospettiva. Corre per la vittoria anche Attilio Fontana di cui Ferlaino cura la campagna elettorale come social media manager. Fondatore di SocialCom, Ferlaino ha tentato la via del football una ventina di anni fa quando il padre ha comprato il Ravenna e glielo ha affidato prima di cedere il club per scarso rendimento. In politica è andata meglio. Ferlaino ha collaborato con Gianroberto Casaleggio, guru del M5S al tempo vicino a Idv. Mesi fa il suo cliente principale era il Pd. In fondo, a parte le simpatie per Giorgia Meloni, Ferlaino è un imprenditore. Molti politici cambiano casacca più spesso. G.T.

anni dopo la sanità regionale finiva in un tunnel commissariale lungo dodici anni e terminato a luglio del 2020, anno primo della pandemia. Pochi mesi dopo D’Amato, nominato assessore nel 2018, si è guadagnato il soprannome di “mister vaccino” per avere applicato al territorio il metodo israeliano della prevenzione a tappeto partita con gravi ritardi in Lombardia. Il suo avversario, favorito dai sondaggi, è Francesco Rocca che per accettare la candidatura di Giorgia Meloni si è dimesso dalla presidenza della Croce Rossa italiana (Cri), guidata per tre mandati. In Cri, di cui è stato anche commissario straordinario, ha avuto come vice Maria Teresa Letta, sorella di Gianni, scomparsa lo scorso ottobre. Nel giugno 2022 era stato eletto alla presidenza della federazione internazionale Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (Ifrc). A parte i dissidi familiari con il fratello e una condanna per droga rivendicata come premessa di un cambiamento spirituale, Rocca rivendica anche le minacce della mafia a fine anni Novanta, quando era avvocato difensore di alcuni pentiti, anche se l’unica notizia presente negli archivi riferisce di un proiettile in una busta speditogli da Napoli nel 2012 dopo alcune mancate assunzioni.

IN CORSA

Una Tac all’ospedale Sant’Andrea di Roma. A sinistra, dall’alto, Attilio Fontana e, in basso, Alessio D’Amato.

Nel 2002 Rocca è stato nominato commissario del Sant’Andrea, uno dei sei grandi ospedali romani, dal presidente di giunta Francesco Storace di Alleanza nazionale.

Il tema del commissariamento e del pesante indebitamento che la sanità laziale ha registrato con le giunte di centrodestra sta condizionando il dibattito fra i due candidati e la terza incomoda Donatella Bianchi (M5S), giornalista Rai ed ex presidente del Wwf. Ci sono pochi dubbi che chiunque vinca tra i due favoriti dedicherà particolare attenzione alla sanità che pesa per il 77 per cento del bilancio regionale contro oltre l’80 per cento della Lombardia.

Il settore privato laziale è molto lontano dal gigantismo lombardo con due holding di rilievo nazionale come la Giomi di Emmanuel e Massimo Miraglia e soprattutto il gruppo San Raffaele di Antonio Angelucci, ex sindacalista al San Camillo, e dei suoi figli. Dopo tre legislature con Fi dove è stato in testa alla classifica dell’assenteismo, il capostipite è tornato in Parlamento il 25 settembre con la Lega mentre è in corso il processo che lo vede accusato di avere offerto allo stesso D’Amato 250 mila euro per riaccreditare il San Raffaele di Velletri.

Foto: S. GranatiCorbis / Corbis via Getty Images, R.
A.
Papetti / AGF,
Serrano' / AGF
5 febbraio 2023 39

Mistero in cella Un suicidio da non credere

Daniel Radosavljevic, ventenne italiano, morto in carcere in Costa Azzurra il 18 gennaio. L’audio dei compagni alla famiglia è un atto d’accusa: fatto passare per traditore. Omissioni dei gendarmi

POLITICA PRIGIONI FRANCESI
40 5 febbraio 2023

LA POLIZIA Agenti della polizia francese durante una manifestazione a Parigi

POLITICA XXX ARGOMENTOPRIGIONI FRANCESI

SIMONE ALLIVA

Branka Mikenkovic si rifiuta di seppellire il figlio: esige l’autopsia in Italia. Non crede che quel 18 gennaio si sia suicidato nel carcere francese di Grasse, in Costa Azzurra. Vuole sapere la verità: chi lo ha ucciso e perché. È una storia, questa, dove niente è al suo posto. Fatta di telefonate clandestine da dietro le sbarre, indizi, lettere. Moltissime, Daniel Radosavljevic cittadino italiano di 20 anni ha lasciato alla famiglia un ampio carteggio di lettere, pensieri e desideri per il futuro: «Uscito da qui voglio studiare per diventare educatore minorile». Una calligrafia chiara e rotonda. L’ultima lettera è il suo testamento: «Ecco ora sapete tutta la verità, se dovessi morire in questo carcere, per ultima cosa chiedo che i miei manoscritti vengano dati alla mia famiglia».

Partiamo dal principio. È l’8 ottobre quando Daniel viene arrestato a Grasse, dopo un inseguimento dovuto al mancato rispetto di un ordine di fermata a un posto di blocco della gendarmeria nei pressi della città al sud della Francia. Daniel che ha un passato di reati contro il patrimonio commessi da minorenne ma nessuna condanna da maggiorenne, viene messo in custodia. Le accuse: inottemperanza all’alt e tentato omicidio per aver forzato il posto di blocco. Una ricostruzione contestata subito dall’indagato.

Daniel scrive lettere e comunica con l’Italia. «La mia famiglia non è qui ma a casa, mi sta aspettando in sofferenza», dice a compagni e personale. Il 15 gennaio chiama per l’ultima volta la madre: notizie varie sui suoi cari e sui programmi per il futuro. Fiducia sul ritorno, speranza di poter riabbracciare le persone che ama: la madre Branka, sua sorella Iris e suo fratello Braian. Manca poco al termine della custodia preventiva, la promessa del suo difensore francese regala la possibilità di ricostruirsi una nuova vita.

Tre giorni dopo, il cellulare della madre squilla di nuovo. È la direzione del carcere:

Daniel, il suo primogenito, è morto in mattinata. «Si è suicidato per impiccagione durante il regime dell’isolamento, applicato a

LA FAMIGLIA

Daniel Radosavljevic, al centro, con la madre, la sorella e il fratello

Radosavljevic più volte dal 16 gennaio, sia pure in diverse sezioni». Fine della comunicazione. L’imprevedibilità di quel gesto è l’epicentro del dolore e del lutto.

Poi qualcosa succede. In Francia, nonostante un regime carcerario più duro, il telefono cellulare passa da sempre tranquillamente di cella in cella. Da tempo Daniel comunicava con la sua famiglia tramite un telefono clandestino. Ma il telefono squilla anche dopo la sua morte: qualcuno che si trova dentro la prigione chiede di poter comunicare con la famiglia. Daniel è veramente morto impiccato? Dagli audio analizzati da L’Espresso un detenuto invita i parenti a investigare: potrebbero esserci delle responsabilità in capo alla polizia penitenziaria. La scena che racconta è quella di una squadra antisommossa che fa irruzione nella cella dell’italiano proprio lo stesso giorno della morte. Ma non solo. In-

Era in custodia da ottobre. Gli avevano contestato anche il tentato omicidio per non essersi fermato all’alt della polizia. La carcerazione preventiva stava per scadere. Temeva ritorsioni
42 5 febbraio 2023

dica anche quali fossero le telecamere delle quali chiedere l’acquisizione. I riferimenti logistici e cronologici sono dettagliati: «Chiedi le telecamere nel passaggio, sì c’è sicuramente qualcosa, richiedi le telecamere nel corridoio dell’edificio A, primo piano, era martedì mattina tra le 10 e le 12, sono entrati nella cella di Daniel […], esattamente cella 109».

La famiglia di Daniel chiede la verità. Vuole capire. Ma non parla il francese, si affida alla sorella della madre, che vive in Belgio e così raggiunge il difensore d’ufficio. Ci sono barriere linguistiche ma non solo, c’è un muro al confine: non si conosce nulla delle attività investigative svolte e nemmeno dell’autopsia effettuata senza previa comunicazione alla famiglia dall’autorità giudiziaria francese, cosa che priva i parenti del ragazzo della possibilità di nominare un consulente medico legale di parte.

È il 24 gennaio quando la signora Branka Milenkovic arriva al carcere di Grasse e ritira i beni personali del figlio. Chiede di poter visionare la salma: il cadavere di suo figlio ha una ferita sul retro del cranio, un’altra, d’arma da taglio, immediatamente sotto il costato, il mignolo rotto, delle scarificazioni tipiche da corda di diametro molto sottile impresse a ridosso della parte centrale del collo e nessun segno sulla porzione superiore del collo e nella zona mandibolare, come ci si aspetterebbe dall’azione abrasiva della corda a causa del peso del corpo impiccato e della sua gravità. Le mani non hanno le unghie, tagliate di netto anche in prossimità della parte superficiale del polpastrello. Chiedono spiegazioni: è per l’autopsia o è successo altro? Nessuna risposta.

Tra i beni personali emerge un carteggio, ampio e scritto in italiano. Fogli a

Foto: pag. 40-41: G. Van Der Hasselt / AFP via Getty Images
5 febbraio 2023 43

quadretti scritti a penna, una lettera datata 16.01.2023, autografa e che la difesa ritiene «di particolare importanza investigativa». Daniel, due giorni prima della morte per “suicidio”, scriveva: «Mi trovo chiuso per la seconda volta, perché ho avuto paura di morire per la seconda volta». Racconta di altri detenuti che si preparano a fargli del male. «La voce si è sparsa subito. La voce che ero un balons (rectius, probabilmente “une balance”: un traditore)». Racconta del suo compagno di cella Hassan «colui che consideravo un fratello maggiore, mi fa l’occhiolino io non gli ho risposto perché avevo pensieri per la testa […] mi ha detto “stanotte gli faccio un bel tatuaggio in faccia a sto’ figlio di puttana” (parlando in francese/arabo) a quel punto ho capito tutto, allora inizio a dirgli che non sono stupido e ho capito le loro intenzioni». Cerca l’attenzione della sorvegliante, cerca di raccontare tutto tramite l’aiuto di un altro detenuto che traduce per lui. Vuole farsi mettere in isolamento. Ma il personale penitenziario attiva la ricetrasmittente per comunicare con il capo reparto, spiegando ad alta voce e «davanti a tutta la sezione» le sue paure: quella di essere aggredito poiché ritenuto dai detenuti un infame. «Quasi a farlo apposta», scrive Daniel nella lettera che firma in calce, come a volere evidenziare l’importanza di quel foglio che raccoglie la circostanza che sarà quella che lo porterà alla morte. Senza fuga e senza protezione, decide di creare disagi, obiettivo: l’isolamento. Esplode contro un altro detenuto, Slobo, viene rigettato in cella dal sorvegliante e si tranquillizza quando gli parlano di isolamento, scrive: «Mi hanno detto che verrò messo in isolamento, pensavo al casho (isolamento, ndr) e ho gettato le armi pensando di essere al sicuro. Ma solo una volta di nuovo in un’al-

tra sezione, isolato, mi sono reso conto di non essere più al sicuro».

I parenti chiedono spiegazioni, la direttrice del carcere, incontrata in occasione del ritiro dei beni personali, spiega come nell’organizzazione dell’istituto penitenziario siano applicati due tipi di isolamento, quello totale (che Daniel chiamava “casho”) e uno parziale (disciplinare), dove il detenuto viene privato unicamente di televisore e frigorifero. Nel caso di Daniel si è trattato della seconda modalità di detenzione che lo lasciava comunque in balia dei compagni. La chiusa della lettera è un testamento: «Ecco ora sapete tutta la verità, se dovessi morire in questo carcere, per

Per approfondire o commentare questo articolo o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@lespresso.it I nostri giornalisti vi risponderanno e pubblicheremo sul sito gli interventi più interessanti

POLITICA PRIGIONI FRANCESI
La madre pretende che le autorità italiane facciano l’autopsia sul corpo. Nelle lettere a casa il figlio meditava di voler studiare per poi diventare un educatore minorile
44 5 febbraio 2023

ultima cosa chiedo che i miei manoscritti vengano dati alla mia famiglia. Il libro gipsy souvage venga dato a mia sorella Iris. Spero che di tutto ciò che è accaduto venga fatta giustizia per i ragazzi come me».

Daniel sottolinea anche il fatto di aver contattato i propri parenti con il telefono di tal Yahasin (di cui scrive che ha un labbro tagliato) ed avendoli quindi esposti al rischio di ritorsioni e possibilità di rintraccio.

In Italia, l’avvocata che segue la famiglia di Daniel, Francesca Rupalti, ha presentato un esposto al tribunale di Roma per delitto commesso all’estero (art. 575 c.p.) ai danni di un cittadino italiano. Si chiede di indagare sul carcere francese per reati commessi sia con condotte attive sia con condotte omissive.

Sovraffollamento cronico, fatiscenza, insalubrità: nel 2020 anche l’Onu ha pun-

SUL SITO

La lettera in cui Daniel racconta i suoi ultimi giorni in carcere, le sue paure per le accuse di tradimento da parte dei compagni, il tentativo di farsi mandare in isolamento, l’atteggiamento omissivo delle guardie. Su lespresso.it, l’audio esclusivo e i documenti integrali con le testimonianze a riguardo. A sinistra, il carcere di Grasse in Costa Azzurra. A destra, Daniel con la sorella e il fratello

tato il dito contro Parigi che è stata condannata 18 volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per le condizioni di detenzione contrarie all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e il trattamento disumano e degradante dei detenuti. Quello di Daniel non è un caso isolato: è il vicolo cieco e sistematico dei rapporti tra l’Italia e la Francia sui detenuti italiani che scontano pene oltralpe. Nello stesso penitenziario di Grasse nel 2013 morì un altro italiano Claudio Faraldi, 29 anni, di Ventimiglia, solo in una cella, in circostanze ancora non del tutto chiarite. Prima ancora, nel 2010, la morte di un altro italiano, anche lui in circostanze mai del tutto chiarite e riconsegnato all’Italia senza organi. Si chiamava Daniele Franceschi. Daniele evoca Daniel. Nei nomi l’eco di un destino su cui la famiglia del ragazzo oggi chiede di la verità.

Foto:
/
Images
Eric Beracassat
Gamma-Rapho via Getty
5 febbraio 2023 45

Passaggio a Nordio

SUSANNA TURCO

La penultima volta in cui Giorgia Meloni aveva dovuto garantire che fosse tutto a posto, ci aveva dovuto mettere la faccia, la foto e il messaggio di rassicurazione. Era il 26 gennaio, meno di dieci giorni fa. La premier aveva dovuto celebrare la scoperta dell'acqua calda con un vertice a Palazzo Chigi in cui diceva: esiste un programma sulla giustizia ed esiste il ministro che gode della «piena fiducia» per attuarlo, è Carlo Nordio, eccolo qui accanto a me. Era prima del 31 gennaio, altra data fatidica. Quella della controffensiva — diventata un mezzo boomerang – sul caso di Alfredo Cospito, il primo anarchico detenuto in regime di 41 bis, in sciopero della fame da oltre cento giorni per abolire il carcere duro. Alle sue richieste, quel giorno, il governo e il Guardasigilli rispondevano un no della fermezza e della mascella dura. Con tanto di conferenza stampa della trimurti ministeriale Nordio, Matteo Piantedosi, Antonio Tajani. Peccato che, proprio negli stessi minuti in cui Nordio estraeva il suo latinorum da tribunale e convegnistica, parlando di redenzione, espiazione e addirittura invocando l'Ecclesiaste solo per significare che sul regime di carcere duro lui sempre garantista aveva temporaneamente cambiato opinione («è una vecchia questione filosofica se siano i tempi che fanno gli uomini o siano gli uomini che fanno i tempi, a questo mondo come insegna l'Ecclesiaste non c'è nulla di eterno»), ecco, proprio negli stessi minuti il reggente di fatto di Fratelli d'Italia, Giovanni Donzelli, gli rovinava tutta la scena. Rivelando ai quattro venti, in piena seduta della Camera, i dialoghi di intercettazioni riservatissime, contenute in una informativa proveniente proprio dal ministero di via Arenula, che gli erano state svelate dall'amico, coinquilino,

sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri, Andrea Delmastro (il quale nega trattarsi di materiale riservato). In questo modo, pur di mettere in mezzo il Pd nell'offensiva mediatica post gaffe sulle intercettazioni («i mafiosi non parlano al telefono», aveva detto Nordio due giorni prima dell'arresto di Messina Denaro), Donzelli ha fatto entrare, per la prima volta, nei resoconti ufficiali del Parlamento, dialoghi tra detenuti coperti da segreto (sul punto, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo).

E così, anche stavolta e nonostante tutte le cautele, il ministero della Giustizia si conferma il posto più fragile e delicato dell'intero governo. La casella che balla, il punto di frattura possibile che è nello stesso tempo il punto del massimo accrocco, il centro del prisma su cui si regge l'architettura del governo Meloni. Che è fatta da un asse principale, e da un asse di ricambio. Come si vide già il primo giorno della legislatura, quando per eleggere Ignazio La Russa presidente del Senato si materializzò una maggioranza alternativa, nella qua-

POLITICA FIBRILLAZIONI AL GOVERNO
Il ministero della Giustizia è il crocevia di tutte le manovre. Dalle carte riservate usate da FdI alla struttura che guida via Arenula. Con gli uomini di Renzi e Calenda. E le donne
46 5 febbraio 2023

le i voti di Forza Italia erano sostituiti da altri apporti trasversali. Il fantasma del Terzo Polo, formato dall'asse Renzi-Calenda, pronto a intervenire in caso di crisi interna al centrodestra. Una vena aurea sotterranea che si ritrova nella stessa architettura del ministero.

Per esemplificarla, più che da Nordio, bisogna partire da quello che taluno chiama il caso delle due Giusi. Giuseppa Lara, detta Giusi, Bartolozzi, vice capa di gabinetto, e Giuseppina, detta Gippy, Rubinetti, capa della segreteria del ministro: quasi lo stesso nome di battesimo ma scarsa sintonia. Anzi, chi frequenta i corridoi di via Arenula sostiene che spesso e volentieri le due bisticcino. Eppure qualche punto in comune potrebbero trovarlo, e non solo perché entrambe hanno sostenuto i sì ai referendum sulla giustizia nel giugno 2022. Giusi Bartolozzi, magistrata e già parlamentare di Forza Italia, la porta sbattuta nel 2021 in seguito a un voto in dissenso sulla riforma Cartabia che le era costata il posto in commissione Giustizia e l'ira di Marta Fa-

Il MINISTRO

Carlo Nordio, ex magistrato, ministro della Giustizia nel governo Meloni

scina, molto vicina a Enrico Costa, ex responsabile Giustizia di FI, passato a Carlo Calenda, e compagna di Gaetano Armao, già vice di Musumeci alla Regione Siciliana e alle ultime elezioni nell'isola candidato proprio con Azione. Un'altra nuance di centrismo è quella rappresentata da Gippy Rubinetti: avvocata nello studio Michele Vietti, nel cda della fondazione Einaudi assieme, ad esempio, all'ex parlamentare renziano Andrea Marcucci, vicina a Luca Palamara, l'ex magistrato che trattava le nomine con il renzianissimo Luca Lotti e con Cosimo Ferri, già sottosegretario alla Giustizia e deputato di Italia viva, referente dell'ex rottamatore negli ambienti della magistratura.

Ce ne sarebbe già abbastanza per capire quanto il terzo polo si sia allargato, e quanto siano agganciate alla realtà mosse come l'elezione del renziano Ernesto Carbone al Csm, o come l'esultanza di Matteo Renzi per l'elezione alla vicepresidenza di Fabio Pinelli, primo leghista a ricoprire quel ruolo («serio, autorevole, credibile. Complimenti e buon lavoro», il tweet con cui Matteo Renzi ha salutato la cosa) e, in generale, le molteplici aperture a una riforma della giustizia. «Io e tutto il Terzo polo stiamo dalla parte di Nordio e lo dimostreremo con le nostre proposte», ha detto in sintesi proprio Costa, che è stato poi il primo (e più duro, a parte il Pd) a chiedere le dimissioni di Donzelli dopo le rivelazioni su Cospito.

Ma c'è dell'altro. Alla poltronissima del Dap, quella che fece inciampare da Guar-

dasigilli Alfonso Bonafede, è stato nominato il magistrato napoletano Giovanni Russo, che è fratello di Paolo Russo, deputato di lungo corso di Forza Italia e anche lui ora entrato in Azione come responsabile per il Sud, con una ampiezza di manovra archeo-forzista che, per dire, in Campania va dall'essere sponsor di Mara Carfagna all'essere amico di Nicola Cosentino

Insomma va a finire che Nordio è circondato da renziani e da calendiani spesso ex forzisti. E questo spiega l'attivismo con il quale la Lega e Forza Italia si dedichino invece a smontare l'attività di Carlo Nordio, dagli attacchi sulle intercettazioni alla cortese freddezza che proviene dal ministero dell'Interno guidato da Matteo Piantedosi, fino alla completa riscrittura del decreto rave operata in penombra da una avvocata abile come Giulia Bongiorno, presi-

Foto: A. Casasoli –A3
5 febbraio 2023 47

dente della commissione Giustizia del Senato.

C'è da domandarsi se Giorgia

La meglio gioventù e l’ex pm garante

MINISTERO

Gippy Rubinetti e, a sinistra, Giusi Bartolozzi, rispettivamente capa della segreteria e vicecapa di gabinetto di Nordio

Meloni sapesse dell'arietta terzopolista e renziana che avvolge Nordio già prima di sceglierselo o l'abbia scoperta solo a cose fatte. Di certo, la premier ha collocato di sua mano un altro bell'elemento di contrasto, sempre nel parterre Giustizia. Si tratta del sottosegretario Alfredo Mantovano, magistrato, supercattolico di destra, campione di Alleanza Cattolica, già vicino a Gianfranco Fini dal quale si allontanò ai tempi della svolta laica (fecondazione assistita, biotestamento, eccetera) per tornare ai tribunali, rappresentante di un'idea per cui la destra è il partito della legalità e della legge, e che quindi da questo punto di vista è l'esatto opposto del Nordio garantista. Non è un caso che Mantovano abbia confermato a vice capo del Dagl Roberto Tartaglia, nominato al dipartimento per gli affari giuridici e legislativi ai tempi di Draghi e noto per essere stato a Palermo, fra l'altro, uno dei pm del processo Trattativa Stato-mafia con Nino Di Matteo. Insomma una certa impostazione culturale, quella che il 18 gennaio ha portato lo stesso Mantovano, tra i fondatori del Centro studi Livatino, davanti alla reliquia della camicia insanguinata del giudice-beato esposta in Senato. Anche questa linea aveva una sua candidata alla vicepresidenza del Csm: la neoconsigliera Daniela Bianchini, avvocata, parte anche lei del Centro studi Livatino. Stavolta non è andata, ma la legislatura è lunga.

Nella sala Igea dell’Enciclopedia Italiana, (la Treccani), va in scena la presentazione del libro “La sfida delle disuguaglianze. Contro il declino della sinistra” di Carlo Trigilia. Improvvisamente irrompe il fotografo Umberto Pizzi, che scruta i relatori e gli invitati per poi commentare, ad alta voce: «Ma qua mi sento un ragazzino, c’è la meglio gioventù». Pizzi, classe 1937, si avvicina alle prede e inizia a scattare, poi elenca i loro dati anagrafici: «Michele Salvati è un mio coetaneo e il 4 maggio spegnerà 86 candeline, Giuliano Amato è nato nel 1938, Tiziano Treu nel 1939, come pure Romano Prodi, Giovanni Maria Flick nel 1940. E Fabiano Fabiani ha visto la luce nel 1930. Averlo saputo prima, mi portavo il biberon». Applausi.

“San Macuto” è uno dei palazzi della politica, e nell’edificio di via del Seminario la sala del Refettorio spesso ospita eventi culturali. Nel “Giorno della Memoria” lì si è svolta la presentazione del libro “Elisabetta II dalla A alla Z” di Lavinia Orefici, figlia dello scomparso Oscar, indimenticato giornalista. Per accedere alla sala, bisogna sottoporsi al metal detector e lasciare un documento: alcuni invitati, però, si sono presentati senza. I più noti? Francesco Bellavista Caltagirone e Martine Bernheim “in Orsini”, che poi è la figlia del fu Antoine Bernheim, già presidente di Assicurazioni Generali. E come si risolve una situazione del genere? Serve un garante che identifichi i presenti. E chi meglio di un’ex magistrata che ora è deputata come Simonetta Matone?

Tutti pazzi per le banconote di Arturo Brachetti. È stato registrato il tutto esaurito al Teatro Sistina di Roma per “Solo”, lo spettacolo che gira per l’Italia con protagonista assoluto il re dei trasformisti, capace di interpretare oltre 60 personaggi durante una serata. Ambitissime le banconote da 55 euro, e che vengono “sparate” verso il pubblico all’inizio dello spettacolo. Per Brachetti si tratta di una risposta all’inflazione a due cifre, «e possono essere cambiate con due da 27,50». Alla fine dello show i ragazzi riescono ad accaparrarsele. E poi le vendono su Internet. Sono richieste dai musei del falso di tutto il mondo.

"Ladri di biciclette" è il titolo dello straordinario film di Vittorio De Sica uscito del 1948, ma l'attività predatoria sulle due ruote è ancora presente nell'Italia del 2023. A Roma, per esempio, i furti accadono anche nel centro storico. Per informazioni, chiedere al direttore dell'agenzia di notizie Adnkronos, Gianmarco Chiocci

Scrivete a laboccadellaverità@lespresso.it

Foto: A. Casasoli –A3, S. Zucchi –Olycom / LaPresse, POLITICA FIBRILLAZIONI AL GOVERNO
48 5 febbraio 2023

DiventaPodcaster de

Entra nel network editoriale che ha fatto la storia del giornalismo italiano. Scannerizza il QR code e partecipa al contest!

Ogni
annopiù prezioso.

GGli abusi del “decreto salsiccia”: 24 articoli, 144 pagine Milleproroghe, in politichese. Omnibus, per i palati fini. “Decreto salsiccia”, più plasticamente. Ecco cosa è diventato negli anni il provvedimento nato nel 2001 per prorogare scadenze o fissare il rinvio dell’entrata in vigore di norme il cui mancato rispetto comporterebbe gravi conseguenze per cittadini, imprese e istituzioni. Ormai dentro viene insaccato di tutto. L’ultima perla è lo slittamento dei termini per il superbonus villette, spuntato al Senato dove si discute il Milleproroghe per poi passare alla Camera per l’approvazione entro feb-

Parlamentari Il taglio c’è ma non si vede

braio. La versione 2023 prevede 24 articoli (destinati a crescere), più relazione e note tecniche. Per un totale di 144 pagine di tecnicismi. Se lo strumento è legittimo ma abnorme, mostruosa è la degenerazione. Nel 2003, 2004, 2006 si è arrivati a sfornare due Milleproroghe l’anno. Per poi sparire nel 2017 e nel 2019. Nel 2020 l’esplosione del brogliaccio: 82 articoli. Negli ultimi due anni la tendenza è di ridurre il malloppo. Basti pensare che il primo milleproroghe era di soli 9 articoli. Negli anni c’è finito dentro di tutto: dal bonus psicologo post Covid alla cancellazione delle penali ai concessionari autostradali in caso di revoca (dopo il crollo del ponte Morandi). A nulla hanno potuto finora Quirinale e Corte costituzionale. L’abuso è prorogato.

Il taglio di 315 parlamentari e i suoi intoppi Fra qualche mese capiremo se qualità degli

Malgrado la riduzione di un terzo, le spese per i gruppi, oltre sessanta milioni, sono rimaste invariate.

emendamenti, numero di sedute e tempi di approvazione delle leggi saranno migliorati oppure no. Intanto alcuni dati: il Senato con 200 membri è in grado di svolgere le stesse mansioni di prima. Si è tagliato il numero dei componenti delle Commissioni e lo stesso parlamentare adesso fa parte di molti più organismi. Quindi è più produttivo. Ma c’è l’ostacolo delle Bicamerali. Andrebbe ridotto il numero dei membri. All’Antimafia (ancora da costituire) i 25 senatori sono circa il 12,5% di Palazzo Madama, percentuale assai più alta rispetto ai 25 di Montecitorio (su 400). Manca una regia unica. Esempio: i nuovi regolamenti finora hanno fissato alcuni paletti già in vigore, altri però varranno solo dalla prossima legislatura! Per un gruppo alla Camera - causa mancato accordo nella scorsa legislatura - ancora oggi occorrono 20 deputati, salvo deroghe (accordate agli 11 onorevoli di Verdi-Sinistra e ai 9 di Noi Moderati). Ne basteranno 14 dalla prossima. Invece già oggi a Palazzo Madama per fare gruppo non servono più 10 ma 8 senatori. Tagliare è utile, evitare il caos è vitale.

Ma 61 milioni all’anno di risparmi già vanificati

La riduzione di 230 deputati e 115 senatori sulla carta consente un risparmio di 300 milioni a legislatura. Purtroppo, nei bilanci previsionali di Camera e Senato, il volume delle spese per i prossimi due anni è rimasto invariato (fonte: Pagella Politica). I fondi per i gruppi parlamentari restano di 30,9 milioni per Montecitorio e 22,1 a Palazzo Madama. Motivo ufficiale: la struttura di supporto ai gruppi non può essere ridotta, se si vuole garantirne l’efficienza. Le altre spese non direttamente collegate al taglio? Costo dell’energia, rincari complessivi, pensioni e liquidazioni degli ex parlamentari, i collaboratori dei deputati adesso pagati direttamente dal bilancio di Montecitorio. Insomma, il taglio c’è ma non si vede.

PALAZZOMETRO
5 febbraio 2023 51

Imprese italiane alla fiera dell’est per la ricostruzione

RIFARE L’UCRAINA
POLITICA
52 5 febbraio 2023
BOMBE Donetsk. Un edificio danneggiato dalle bombe

Oltre ai carri e ai caccia armati per tonificare la resistenza ucraina, in Europa c’è parecchia frenesia per rassodare le relazioni economiche con gli ucraini. I russi uccidono e devastano ogni giorno, cadono corpi di innocenti, di soldati, di palazzi, di villaggi, ma gli amici occidentali sono già mobilitati anche per la ricostruzione in Ucraina. Forse va spiegato col concetto filosofico di notte e di giorno, di morte e di vita, di distopia e di utopia. Forse no.

Comunque il 15 e il 16 febbraio, per un esempio concreto, a Varsavia si terrà un incontro ufficiale, patrocinato dal governo di Kiev, per capire come rifare l’Ucraina non appena la guerra finisce. Case, scuole, strade, piazze. Le aziende europee sono benvenute a Varsavia. Lì possono interloquire con i politici ucraini, ministri, sindaci, dirigenti. Ci sono banchieri, investitori, filantropi. Nulla di anomalo o di sgradevole in apparenza, ma poi arrivano le tariffe richieste ai partecipanti, i pacchetti proposti, le conferenze esclusive, la concorrenza sfrenata, il clamore inopportuno. Come se fosse la fiera delle occasioni. Come se pure la guerra fosse un grande affare. I danni non hanno stime precise. Neppure la guerra ne ha. Non ha date. Se non l’inizio col buio fra il 23 e il 24 febbraio. Quasi un anno. La scorsa estate fu illustrato un progetto decennale da 750 miliardi di dollari. Non bastano più. I russi non smettono: arretrano o avanzano, però distruggono. Adesso si parla di 1.000 miliardi di dollari.

Il 15 e il 16 febbraio ci si riunisce a Varsavia, la capitale polacca, per evidenti motivi di sicurezza. L’appuntamento è denominato “Rebuild Ukraine”, è gestito da Premier Expo, una società ucraina che organizza esposizioni e che da luglio si è sganciata dalla multinazionale britannica Hyve Group. Nel portale dedicato alla manifestazione di Varsavia, con una punta di macabro, Premier Expo informa le aziende europee che in passato s’è già occupata con successo di ricostruire Sarajevo, Belgrado, Karabakh e promette una mostra di «macerie» e di «soluzioni».

L’evento di Varsavia ha il supporto istituzionale del governo di Kiev con tre ministeri capeggiati dagli Esteri, ma fra i promo-

tori sono citati anche il ministero polacco per lo Sviluppo, la Confederazione svizzera, l’Associazione europea dei costruttori, la Camera di Commercio londinese. Le aziende sono distribuite in padiglioni nazionali e lo spazio dipende dai soldi spesi. Al prezzo di 350 euro al metro quadrato. La Germania ha la posizione migliore: dà sull’ingresso, è un passaggio obbligato per i visitatori. Ha pagato centinaia di migliaia di euro. L’Italia è presente in 216 metri quadrati con 34 aziende di medio taglio, selezionate dalla Camera di Commercio per l’Ucraina, alcune fatturano decine di milioni, altre sono quotate al mercato borsistico: edilizia, ingegneria, rinnovabili, elettrochimica, pelletteria, riscaldamenti come De Nora, Seingim, Albini Castelli, Impresa Percassi. Le domande pervenute erano il doppio. I tedeschi sono quattro volte gli italiani. I danesi equivalenti. Più ristretti, in ordine, francesi, turchi, cechi e belgi. L’impostazione fieristica, per le intenzioni di Premier Expo, è utile al contatto fra le parti, cioè le aziende europee e non europee (ci sono coreani) e gli amministratori dei luoghi martoriati che gli occidentali hanno imparato a conoscere: Mariupol, Zaporizhzhia, Borodianka, Makariv, Kherson, Mikolaiv, la stessa Kiev. Il 15 febbraio le istituzioni europee e ucraine, ci sono tedeschi, inglesi, polacchi, danesi, lituani, mancano gli italiani, si sottopongono alle domande dei giornalisti. Il momento più atteso è in tarda mattinata con il Forum per la ricostruzione - biglietto 500 euroe gli interventi dei ministri ucraini Dmytro Kuleba (Esteri), Julia Svyridenko (Teso-

Un progetto da mille miliardi. Germania pronta a fare la parte del leone. Anche Roma si attiva in vista dell’evento di Varsavia dove gli stand costano 350 euro a metro quadro
CARLO TECCE 5 febbraio 2023 53

POLITICA RIFARE L’UCRAINA

INCONTRO

L’incontro tra Volodymyr Zelensky e il ministro italiano delle Imprese Adolfo

Urso. Sotto: il manifesto dell’evento Rebuild Ukraine

ro), Mykhailo Fedorov (Digitale), Oleksandr Kubrakov (Infrastrutture) coordinati dal presidente dei costruttori Lev Partkhaladze. Premier Expo suggerisce alle aziende di aderire al Forum perché si tratta dell’unica piattaforma che fa interagire produttori, appaltatori, architetti, investitori, assicuratori. Un meccanismo per incentivare efficienza e trasparenza. Però l’affiliazione non è gratuita: ci sono tre livelli, da 3.000 a 7.000 euro più commissioni, per ottenere vantaggi. Il “General Partner” è considerato un socio accomandatario, può essere menzionato durante i lavori, ha diritto a leggere un discorso di dieci minuti (il testo va autorizzato) e ai posti in prima fila, il logo sarà valorizzato sui cartelloni e soprattutto avrà un colloquio riservato con gli ospiti vip.

L’ex deputato leghista Walter Togni, presidente della Camera di commercio italiana per l’Ucraina, porterà a Varsavia 34 aziende (circa 75.000 euro soltanto per esserci) e sarà orfano del governo italiano a differenza degli altri europei (all’ultimo l’esecutivo ha delegato l’Istituto per il Commercio Estero). «È importante iniziare a muoversi immediatamente, senza aspettare la fine della guerra, così da poter essere pronti - dice Togni - a collaborare quando si potrà, come peraltro ci ha sollecitato l’Ucraina. In qualità di presidente, mi farò carico, poiché proprio a Varsavia non è previsto il governo italiano, di chiedere un coordinamento più forte sulle iniziative inerenti alla ricostruzione. Questo è assolutamente necessario per dare una immagine di collaborazione istituzionale e per dare alle nostre

imprese e all’Ucraina le garanzie di serietà e competenza che sono una nostra risorsa non sempre compiutamente espressa». Insomma procedere con tentativi sparsi non aiuta. Indebolisce. L’analisi politica utilizza criteri differenti.

Il ministro Adolfo Urso (Imprese) può ritenersi soddisfatto. È andato a Kiev due volte in quattro mesi e ha anticipato Giorgia Meloni. A gennaio era in gruppo con Carlo Bonomi, il capo di Confindustria, e Francesco Talò, il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, e l’ha accolto persino il presidente Volodymyr Zelensky. Un argomento era la ricostruzione e perciò il governo italiano sta preparando un suo vertice a Roma per la primavera. Al ritorno Urso, che ha esordito alla Camera quando Meloni era ancora minorenne ed è un tipo autonomo che deve a Fratelli d’Italia il secondo tempo della sua carriera e non la sua carriera, si è precipitato in Veneto per esporre quanto raccolto a Kiev. Il ministro è convinto che il laborioso Nord Est, zona di antichi possedimenti leghisti che ha assistito già al sorpasso di FdI alle recenti elezioni e conserva i governatori Massimiliano Fedriga in Friuli Venezia Giulia e Luca Zaia in Veneto, possa diventare lo snodo per le merci da e verso l’Ucraina. Sul porto di Trieste è già dirottato il traffico di Odessa e, assieme a Venezia e Monfalcone, può trasformarsi nella porta di accesso in Europa anche tramite collegamenti su gomma. E dunque è lo scenario perfetto per sfruttare il Quadrante Europa, il polo logistico di Verona. A facilitare le operazioni è la tedesca Hamburger Hafen und Logistik, una società pubblica, che ha un importante scalo a Odessa ed è proprietaria del terminal di Trieste. La premessa di qualsiasi discorso politico è l’appoggio incondizionato agli ucraini aggrediti. La sensazione è che, dopo un anno di guerra e la morte smorzata in sottofondo, i governi europei e ucraini vogliano comunicare ai cittadini (assuefatti?) e agli imprenditori (scoraggiati?) che presto nei cannoni ci metteranno i fiori. E i dollari.

/
Pagine 52-53:Reuters
Contrasto. Pagine 54-55: Ansa
54 5 febbraio 2023

La disuguaglianza non conosce crisi. In costante crescita a livello globale, come denuncia l’ultimo rapporto di Oxfam. L’1 per cento più ricco si è impossessato di quasi due terzi della nuova ricchezza generata lo scorso anno. Al restante 99 per cento della popolazione mondiale è andato solo il 37 per cento. Ma c’è una novità: crescono simultaneamente ricchezza e povertà estreme. Non era mai successo negli ultimi 25 anni. I super ricchi vedono i loro patrimoni crescere di 2,7 miliardi di dollari al giorno, mentre quasi 2 miliardi di lavoratori diventano sempre più poveri a causa dell’aumento dei prezzi e del costo della

Welfare criminale dove si ignorano le disuguaglianze

vita. Secondo Oxfam basterebbe una tassa sulla ricchezza del 5 per cento su multimilionari e miliardari per ottenere 1,7 trilioni di dollari e consentire a 2 miliardi di persone di uscire dalla povertà. Pandemia, guerre e aumento dei prezzi hanno contribuito ad amplificare una tendenza già in atto da tempo. Lo abbiamo visto nel nostro Paese, dove i divari vengono da lontano. Basta leggere le serie storiche Istat ed i rapporti del Censis degli ultimi 15 anni per comprendere quanto grave sia la situazione. Mai prima d’ora così tanti italiani in difficoltà, minacciati dalla povertà assoluta, dall’analfabetismo di ritorno, dalla dispersione scolastica, dal lavoro povero, dalla precarietà e dallo sfruttamento, dall’impossibilità di accedere alle cure mediche. Se il modello di sviluppo non garantisce più diritti sociali, lavoro e salute, è la politica che deve intervenire per cambiarlo, imponendo limiti agli interes-

Crescono ricchezza e povertà estreme. Mentre il governo colpisce i diritti dei più deboli

si privati, orientando il mercato verso una nuova base produttiva che risponda agli interessi generali. E invece nessun governo negli ultimi anni ha mai assunto davvero la sfida di cancellare le disuguaglianze, ponendosi come obiettivo l’estensione e la garanzia dei diritti sociali per tutte e tutti. La legge di bilancio del governo Meloni conferma questa regola: fa cassa sui poveri, taglia diritti, non affronta i limiti del nostro modello industriale, ignora la crisi ecologica, spreca soldi pubblici e fondi europei per sostenere le lobby delle armi invece di dare risposte a milioni di lavoratori poveri, precari e sfruttati. Un governo che spinge le persone ad accettare qualsiasi lavoro, contrario ad un salario minimo legale, che abolisce il reddito di cittadinanza, garantisce privilegi corporativi, cancella i contributi per il diritto all’abitare, attacca l’unità della Repubblica e l’uniformità dei diritti con la cosiddetta autonomia differenziata, mentre dimentica la lezione della pandemia per continuare l’opera di demolizione del servizio sanitario pubblico nazionale. Un governo che accelera il processo di impoverimento economico e culturale.

In assenza di risposte e di alternative, sono gli interessi criminali e mafiosi ad aver speculato sui bisogni della popolazione. L’enorme crescita dei reati spia (usura, frodi fiscali, cambi societari, interdittive, ecc.) conferma come le mafie stiano facendo grandi affari. Perché la forza delle mafie sta fuori dalle mafie, nelle convergenze, nelle alleanze, nella zona grigia, nel familismo amorale, nel patriarcato, nell’insofferenza per la democrazia. La fragilità della politica favorisce la corruzione. L’assenza di diritti sociali rafforza la presenza sui territori del welfare sostitutivo mafioso. Siamo dinanzi ad una politica latitante, come ci ricorda Luigi Ciotti, incapace di investire su un altro modello sociale ed economico che abbia come priorità equità sociale e sostenibilità ambientale: due cose inscindibili.

FACCIAMO ECO
5 febbraio 2023 55

Putin stravolge la memoria del popolo russo

Il

Putin si erge a dittatore anche della storia russa. Ciò che più lo innervosisce è che noi di Memorial mettiamo in discussione la visione mitologica del passato sovietico». Il 10 dicembre 2022, Irina Scherbakowa ha ricevuto, per i meriti politici e culturali dell’associazione russa Memorial, il Nobel per la pace. Nata a Mosca nel 1949 da genitori ebrei, con un nonno nel Komintern, Scherbakowa sa quali e quante tempeste di neve abbiano sconvolto il passato russo. Sin dagli anni 70 ha raccolto centinaia di testimonianze dei superstiti del Gulag. Ha organizzato mostre, scritto libri importanti. E ha fondato nell’89, insieme con Arsenij Roginskij, l’associazione Memorial per la ricostruzione degli orrori dello stalinismo.

Partiamo dall’ultima “tempesta di neve”, scatenata da Putin contro l’Ucraina. Nella mente del dittatore cosa significa l’Ucraina?

«L’Ucraina era la più grande repubblica dell’Unione sovietica. Già come territorio occupava una parte rilevante della geopolitica sovietica. Per non parlare dei ricordi anche personali che ogni russo collega alla Crimea»

Si riferisce al fascino del Mar Nero nell’immaginario russo?

«Certo, per l’uomo sovietico la Crimea era ed è il fascino del Sud, la nostalgia delle vacanze. Su quelle coste stazionava la flotta russa, a cui tanti russi guardano con orgoglio nazionale. Ma questi sono solo i lati “positivi” della politica sovietica in Ucraina e in Crimea».

Quelli negativi sono le deportazioni di oltre 190 mila tatari evacuati dalla Crimea per ordine di Stalin nel maggio 1944?

«Sì, Stalin ordinò anche in Crimea una pulizia etnica, le deportazioni dei tatari verso

l’Uzbekistan, dove a migliaia morirono di fame o in esilio».

Ma oggi cosa ha scatenato la guerra di Putin contro l’Ucraina?

«Dopo l’indipendenza nel 1991 e le varie elezioni in Ucraina, è stata la rivoluzione di Maidan nel febbraio del 2014 a spingere Putin a una politica sempre più aggressiva. Dopo la rivolta del 2014, gli ucraini hanno segnalato al Cremlino di voler ripristinare la costituzione, riprendersi la loro lingua e guardare all’Europa e non verso la “Madre Russia”. Il loro bisogno di libertà ha scatenato l’odio».

Il disegno è di ricostruire un nuovo impero russo?

«Nella mente di Putin coesistono costrutti mitologici, persino di idee del XIX secolo e non solo dell’era sovietica. In lui c’è una idea quasi razziale della superiorità della Russia». Ai suoi occhi il crollo dell’Unione sovietica è la peggiore catastrofe del XX secolo.

«È una delle frasi più citate di Putin, ma non per questo vera. Negli anni 90, dopo il

Foto: APIC/Getty Images
IN
POLITICA GUERRA
UCRAINA
revisionismo su Urss e orrori di Stalin, la mitizzazione della Grande Madre, il conflitto in corso in nome di una superiorità razziale. Parla Irina Scherbakowa, premio Nobel con Memorial
56 5 febbraio 2023
colloquio con IRINA SCHERBAKOWA di STEFANO VASTANO

DEPORTATI

Sosta dei prigionieri affamati per i rifornimenti durante la deportazione in Siberia negli anni Venti

5 febbraio 2023 57

crollo dell’Unione sovietica, Putin era integrato nel nuovo sistema post-sovietico. Mai, all’interno dell’Urss, uno scialbo ufficiale del Kgb avrebbe potuto fare la sua carriera. Il balzo ai vertici del Cremlino si deve al crollo dell’Urss. Putin è il figlio del caos e dell’atmosfera criminale che ha dominato la Russia nei primi anni 90». I suoi nonni vengono dall’Ucraina. Si aspettava una reazione così decisa del popolo ucraino?

«La mia famiglia ha radici ucraine ed ebree come tante altre che vivono in Russia e i cui figli, come mio padre, hanno combattuto con l’Armata Rossa contro i nazisti. Torno lì ogni estate. Le posso assicurare che la resistenza contro il predominio russo si notava dai primi anni Duemila. È da 20 anni che vedo crescere una nazione che ha voglia di democrazia, che guarda all’Europa e ama la propria lingua».

Molta sinistra in Europa invece si inter-

STUDIOSA

Irina Scherbakowa, premio Nobel con Memorial, ha raccolto centinaia di testimonianze dei superstiti del Gulag

CARISSIMO EX NEMICO

Ese il «nemico» fosse solo un fratello o un altro me che conosco poco e con cui non ho mai parlato?

Russi e ucraini sono gli ultimi arrivati. «Ti preparo un’insalata, come la fanno nel mio Paese». Chi si offre di cucinare non ce la fa a pronunciare «insalata russa». I ragazzi della World House a tavola sorridono. «La guerra mette in ridicolo il quotidiano, che invece è il bello. Ma grazie a Dio qui si riesce ad avere un po’ di umorismo, ad alleggerire la tragedia», spiega Franco Vaccari mentre ravviva il fuoco del camino, nella saletta della presidenza. Aretino, 72 anni, psicologo e docente di Scienze della Pace alla Pontificia Università Lateranense, una famiglia i cui due rami si incontravano in piazza della Libertà a Firenze «per leggere Mazzini e il Vangelo» e una vita vissuta nel segno dell’Altro. Rondine Cittadella della Pace l’ha fondata esattamente su questo: dal 1997 «cop-

pie di nemici» ci vengono per parlarsi, impararsi, anche litigare, per poi tornare a casa e cambiare il mondo. Ogni anno esce un bando per studenti tra i 22 e i 28 anni da Paesi in guerra o con conflitti etnico-religiosi e sociali: israeliani e palestinesi, bosniaci e serbi, armeni e azerbaigiani. Anche Africa e America Latina. I ragazzi tornano dalle lezioni e vivono in venti case a strapiombo su un’ansa dell’Arno, tra Arezzo e Firenze. Ci sono anche le rovine di una torre millenaria: «Praticate l’impossibile», sussurra loro anche lei.

Rondine è un «metodo» che risolve i «conflitti» basato sulle parole «relazione, persona, comunità, politica, festa». E un luogo dove di dolore ne transita parecchio: le bombe, la notizia di un amico che non c’è più, dove va il futuro. «I ragazzi dicono: il mondo conosce Rondine fino alle 18 di sera, noi conosciamo Rondine dopo. Quando spegniamo le luci, ce ne andiamo via e loro rimangono, senza lo sguardo esterno creano finalmente un habitat di intimità disarmata - spiega Vaccari -. Si consolano. E vengono fuori tutti i dolori, le fatiche, la parte fragile, dolente dell’umanità e però condivisa: è l’inizio della

GUERRA IN UCRAINA
POLITICA
IL METODO
RONDINE
Prove di pace 58 5 febbraio 2023
Sara Lucaroni

roga su questa guerra, sui motivi del pacifismo, se continuare ad armare l’esercito ucraino.

«Un popolo invaso ha il pieno diritto di difendersi. Curioso è solo che, nel caso dell’Ucraina, gli argomenti della sinistra estrema si equivalgono a quelli dell’estrema destra. E ciò non ha a che fare solo con il fatto che gli estremismi si somigliano, ma con la circostanza che Putin, da voi in Italia o in Francia, ha sempre sostenuto i partiti sovranisti. O credete davvero che l’amicizia fra Putin e Berlusconi sia solo un caso di simpatia fra due machos?».

I valori delle nostre democrazie stanno in piedi o crollano con l’indipendenza dell’Ucraina?

«Questa è la posta in gioco, la stabilità del sistema democratico e della Ue. Ed è il messaggio che, come storica di “Memorial” vado ripetendo. Oggi in Germania, in Italia o in Francia percepiamo questa guerra male-

detta attraverso il flusso dei migranti, l’inflazione o i costi del riscaldamento. La maggior parte dei cittadini europei la guarda come un conflitto regionale. Ma è una guerra europea, in cui Putin vuole sottomettere l’Ucraina perché Kiev oggi si orienta all’Europa e ai suoi valori».

Lei vive in Germania e lavora al memoriale di Buchenwald. È possibile paragonare i lager di sterminio del nazismo ai Gulag di Stalin?

«Il nocciolo che unisce tutti i totalitarismi è il disprezzo della dignità della singola persona. Sono questi elementi di terrore comuni alle dittature che spiegano come anti-utopie come quelle nel romanzo “1984” di Orwell siano famose in tutto il mondo». E quali sono le differenze fra il terrore staliniano e gli orrori del nazismo?

«Quella iniziata da Hitler nel settem-

sua trasformazione in speranza. Ognuno di noi, è il suo “dopo le 18”, da conciliare con il volto sociale, performativo. C’è sempre un ponte rigenerativo dentro di noi, con noi e con gli altri». Ecco il segreto del dialogo, l’antidoto al «veleno del nemico». Come tra Russia e Ucraina: «Perché le guerre finiscano bisogna che i nemici si parlino, e nella ricostruzione dopo le guerre è bene che ci siano persone meno avvelenate dall’idea del nemico. Noi in Europa abbiamo ancora i veleni della Seconda guerra mondiale, sono lì pronti a rinascere, basta un po’ di tensione e l’Europa traballa - spiega-. Se non ci sono persone già riconciliate come si fa a fare una riconciliazione dei popoli? Scommettere sui giovani è fondamentale».

Lui aveva 24 anni quando nel 76, sulla scia del Concilio Vaticano II progettava una comunità: quattro famiglie avrebbero accolto ragazzi e i più poveri in un borgo medievale abbandonato. Mentre con gli amici svuotava le cantine e ripuliva le stalle di quelle case diroccate venne l’Abbé Pierre, il fondatore di Emmaus. Era il 1987, benedisse un progetto che aveva i bordi indefiniti ma l’anima lunga. Una lunghezza che intuì l’accademico e dissiden-

te russo Dimitri Sergeevic Lichacev, tra i padri della libertà e della coscienza europea: «Ci disse: qui tra la Verna e Camaldoli, se fate venire i popoli, faranno la pace», ricorda Vaccari. E indicò loro la guerra in Cecenia. Era il 1995, Groznyj era distrutta e la pace la uccideva la retorica già più dei cannoni. Sei mesi di guerra e tre viaggi dopo, al Cremlino i russi dettarono ai quattro della delegazione di Rondine la prima tregua di 72 ore. Non resse, ma nel 1997 due ragazzi ceceni e due russi erano già al borgo per parlarsi: «I ceceni se ne vollero andare perché non volevano lavare mutande e calzini nella stessa acqua dei russi: o due lavatrici o ce ne andiamo. Se ne andarono. Poi invece ho trovato sempre gente disposta a lavarsi mutande e calzini nella stessa acqua». Oggi le nazionalità ospitate sono venticinque. E passano in visita diplomatici, capi di Stato, reali. Il sogno è ricevere Papa Francesco. Candidata al Nobel per la Pace nel 2015, Rondine durante il 70° anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo all’Onu ha lanciato la campagna “Leaders for Peace”: sottrarre dai bilanci della Difesa i soldi per borse di studio che formino mediatori di pace.

Foto: H. Kretschmer / Agentur Focus/Contrasto
Il bisogno di libertà di Kiev ha scatenato l’odio. La posta in gioco è la stabilità democratica e della Ue. Il Cremlino martella la gente con la propaganda. Mosca è diventata una fucina di miti e menzogne
5 febbraio 2023 59

FONDATORE

bre del 39 fu una guerra totale, scatenata non solo contro gli eserciti nemici, ma contro le società civili e che causò la morte di milioni di persone in tutta Europa. Il sistema dei lager nazisti era costruito come un’assoluta “fabbrica della morte”, con l’obiettivo di liquidare milioni di ebrei. Per questo ciò che vediamo nella Russia di Putin possiamo definirlo come una “forma inusuale di fascismo”».

In che senso?

«L’aggressiva retorica nazionalista di Putin, la sua guerra contro Paesi considerati satelliti sottomessi, è di fatto una forma di fascismo. Certo, gli ideologi di Putin non citano Goebbels. Ma nella loro feroce propaganda sostengono che Putin oggi è la Russia, e senza Putin la Russia non esiste. Un Paese solo, uno Stato solo e un solo leader: questa è l’ideologia proto-fascista che risuona al Cremlino».

Putin ha chiuso i battenti di Memorial. Per

il ministero della Giustizia voi storici siete agenti stranieri, pagati dall’estero.

«Quel che infastidisce il regime è che Memorial pubblichi anche i nomi degli aguzzini che hanno commesso crimini in nome dello Stato sovietico e del partito comunista. È un’accusa che in Russia non era mai stata sollevata in questa forma».

Come mai, nonostante il vostro capillare lavoro, non siete riusciti a convincere la popolazione?

«Perché lavoriamo su documenti. L’interpretazione di atti e testimonianze non è mai bianca o nera, esige un giudizio complesso. Molto più semplice per Putin e i suoi ideologi inventare miti, costruire leggende su Stalin e la gloriosa “guerra patriottica”, e martellare la gente con una propaganda che si riversa non solo sul passato russo, ma nelle varie fake news contro Occidente e Europa. Oggi Mosca è una fucina di miti e menzogne».

Prove di pace

Nell’ottobre 2020 invece Liliana Segre ha scelto di tenere qui il suo ultimo evento pubblico. «È per me una “maestra interiore”. Laicissima, autentica, non c’è un briciolo di retorica in lei e testimoniare Auschwitz nella sua trasformazione di vita è un dono di grazia», dice Vaccari. Da qualche anno accanto allo studentato internazionale c’è il progetto “Quarto anno di Rondine”: una classe di trenta studenti da tutta Italia impara una cittadinanza globale viva. Ma ci sono già le “sezioni Rondine” in tredici scuole e altrettante ne verranno aperte, 300 i docenti formati. Presto il “metodo” arriverà anche in un carcere. «Con David Sassoli avevamo un’idea: aprire il quarto anno a tutti gli studenti europei. Chiederemo di farlo nel suo nome». Il 25 aprile scorso Rondine invece era a New York e ha invitato il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. «Ora spero che qualcuno dei giovani che si sono formati cominci ad occupare posti molto significativi di leadership nel mondo. Perché nei bivi della storia fa la differenza prima di tutto un cretino da una persona intelligente, ma sopratutto chi non costruisce il nemico».

IN
POLITICA GUERRA
UCRAINA
Franco Vaccari, fondatore di Rondine Cittadella della Pace
60 5 febbraio 2023

Lo zar di Mosca va abbattuto

Il leader dell’opposizione politica democratica in Russia Vladimir Kara-Murza si racconta in questa intervista esclusiva con L’Espresso, scritta a mano dall’area di massima sicurezza del quinto centro di detenzione preventiva di Mosca, dove finiscono gli assassini. Detenuto dall’aprile 2022 e in attesa del processo, previsto a febbraio, Vladimir Kara-Murza è la prima persona a essere accusata di «alto tradimento» solo per aver criticato il Cremlino denunciando in alcuni interventi pubblici i crimini commessi da Putin con l’invasione dell’Ucraina e l’accondiscendenza dell’Occidente nei suoi confronti. L’accusa più grave è di aver diffuso notizie «false» sulle forze armate russe guidato da «odio politico» contro le autorità. Kara-Murza, 41 anni ed ex stretto collaboratore del leader democratico e oppositore di Putin Boris Nemtsov (ucciso nel 2015 vicino al Cremlino), è sopravvissuto a due tentativi di avvelenamento nel 2015 e nel 2017. Dietro ci sarebbe stata la mano, come rivelato da un’inchiesta della piattaforma indipendente Bellingcat, dell’Fsb, agenzia d’intelligence nata sulle ceneri del Kgb, organo di sicurezza dell’Urss. Kara-Murza sarebbe finito nel mirino per aver partecipato alla stesura della legge “Magnitsky” che impone sanzioni ad alti funzionari del regime russo che hanno violato i diritti umani. Come dice Hillel Neuer, direttore esecutivo della Ong UN Watch: «Nonostante il pericolo, con coraggio ha rifiutato di rinunciare alla sua lotta per la democrazia. E ora, ancora una volta, ne sta pagando il prezzo». Se condannato, Kara-Murza rischia altri venti anni di carcere. Com’è la vita quotidiana in carcere?

«Ogni giorno è un ciclo che si ripete all’infinito, monotono: dalla sveglia alle sei del mattino fino a quando le luci si spengono. Tre pasti, un’ora di passeggiata in cortile: è piccolo e coperto da un tetto, solo una

Sopravvissuto

a due avvelenamenti In cella, accusato di alto tradimento per il no all’invasione ucraina. Intervista esclusiva al leader dei dissidenti russi in attesa di giudizio

stretta striscia di cielo è visibile. Passo la maggior parte della giornata a leggere e scrivere. C’è un’ottima biblioteca: libri di storia e filosofia e memorie di dissidenti sovietici.

Ci sono stati molti prigionieri politici qui e i libri sono di solito acquistati e donati dai reclusi. Il mio momento preferito è alle sette di sera, quando la guardia apre la fessura della porta della cella e mi consegna la pila giornaliera di lettere. Ricevo lettere da tutta la Russia, persone che vogliono esprimere solidarietà e sostegno per la mia posizione contro Putin e contro la guerra. Mi ricordano quello che ho sempre saputo: quante persone belle, perbene e con vedute democratiche ci sono in Russia e quanto sia falsa la propaganda ufficiale del Cremlino sul “sostegno universale” al regime e alla guerra».

Cosa sta scoprendo che prima non sapeva dell’esperienza dei dissidenti sovietici?

«Ho studiato a lungo il movimento che ammiro profondamente, ho avuto l’onore di conoscere molte di queste persone straordinarie, tra cui Natalja Gorbanewskaja, Vladimir Bukovsky e Jelena Bonner. Dal mio arresto ho riletto alcuni dei loro scritti e memorie, e molti dei miei compagni di cella li hanno letti su mio consiglio. Per me il movimento dissidente sovie-

POLITICA LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA
62 5 febbraio 2023
colloquio con VLADIMIR KARA-MURZA di SABRINA PISU

tico offre una lezione di grande speranza e ottimismo: per quanto forti siano le forze della tirannia, alla fine la verità, la dignità e le convinzioni ne escono più forti. Come amava dire un dissidente sovietico: la notte è più buia prima dell’alba». Si sentirà spesso solo. Cosa le manca di più?

A PROCESSO

Vladimir Kara-Murza nella gabbia degli imputati durante un'udienza presso il tribunale di Mosca

«La prigione è progettata per farti sentire solo. Mi manca, ovviamente, la mia famiglia. Non vedo mia moglie e i miei figli da molti mesi, non ho nemmeno sentito la loro voce al telefono. Il Comitato investigativo russo (che segue le principali indagini in Russia, ndr) mi ha proibito di telefonare ai miei figli sostenendo che questo potrebbe “minacciare l’indagine”. E questo la dice lunga di un regime che parla di “valori familiari”. Quello che aiuta a sopravvivere è che le persone che mi tengono qui sono nel torto. I veri criminali sono quelli che stanno conducendo la guerra, non quelli che stanno parlando contro la guerra».

È stato avvelenato due volte (2015 e 2017) , è stato in coma, in condizioni molto critiche, i medici le avevano dato il 5 per cento delle possibilità di sopravvivere. Lei però ha deciso di tornare in Rus-

sia. Perché? Rimpiange questa scelta?

«Non ho mai lasciato la Russia. Completata la riabilitazione sono tornato a casa. La mattina in cui Putin ha lanciato il suo attacco all’Ucraina, il 24 febbraio, mi sono svegliato nella mia casa di Mosca, la stessa casa vicino alla quale sarei stato arrestato ad aprile. Per me è una questione di principio: un politico russo deve stare in Russia. Non mi sentirei in diritto morale di parlare, di chiamare gli altri all’azione se fossi seduto al sicuro in un luogo lontano. La Russia è il nostro Paese e non lo daremo a delle canaglie».

L’ultima persona accusata di tradimento per opposizione politica è stato lo scrittore premio Nobel Alexander Solzhenitsyn nel 1974. La onora l’accostamento? “Ogni dittatura vuole identificarsi con la nazione che malgoverna e, in questa logica perversa, ogni oppositore del regime diventa un “traditore”. Sono onorato di

Foto: N. Kolesnikova –Afp / Getty Images
5 febbraio 2023 63

POLITICA LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA

essere in compagnia di Alexander Solzhenitsyn. Ma i veri traditori sono quelli che stanno distruggendo il futuro, il benessere e la reputazione del nostro Paese per il loro potere personale. Ma la Storia metterà tutto al suo posto».

Come vede la Russia dal carcere?

«Un grande Paese, bello e culturalmente ricco, con molte persone buone e di talento, che viene malgovernato e derubato da un regime aggressivo, autoritario e cleptocratico. Ma so che non sarà sempre così». La Russia non è, quindi, condannata all’autocrazia?

«Una delle nozioni più offensive che abbia mai sentito è che ci sono alcune nazioni che semplicemente “non sono fatte” per la democrazia. Ronald Reagan la definì “condiscendenza culturale o peggio”. Non ho dubbi che avremo libertà e democrazia, penso che arriverà molto prima di quanto si possa vedere oggi. Una caratteristica della società russa è che, per quanto bui siano i tempi e per quanto forte sia la repressione, ci sono sempre persone disposte a difendere quello che è giusto. La mia speranza è che quando le persone nel mondo libero pensano e parlano della Russia, ricordino non solo gli abusi, gli aggressori e i cleptocrati che siedono al Cremlino, ma anche coloro che si oppongono a loro. Anche noi siamo russi». Pensa che la guerra in Ucraina non si fer-

merà finché Vladimir Putin rimarrà al potere? Cosa dovrebbe fare l’Occidente?

«Putin è al potere da più di due decenni segnati da guerre. È arrivato al Cremlino come conseguenza della brutale guerra in Cecenia. Poi la distruzione dei media indipendenti, del pluralismo politico, delle libere elezioni e dei diritti civili. Quindi l’invasione della Georgia, l’annessione della Crimea, la prima incursione nell’Ucraina orientale, il bombardamento della Siria. Ora un attacco su vasta scala all’Ucraina, con crimini contro l’umanità nel mezzo dell’Europa.

Non si fermerà finché rimarrà al potere. Anni di pacificazione occidentale nei confronti di Putin ci hanno portato a questo. Se gli viene concessa un’uscita salva-faccia da questa guerra, tra un anno o due ne avremo un’altra. L’unica soluzione è avere un governo in Russia che rispetti lo Stato di diritto sia in patria che all’estero. Spetta a noi il cambiamento ma è importante che il mondo libero mantenga il dialogo con la parte della società russa che vuole un futuro diverso». Cos’è la libertà per lei, ora? «Nessuno può toglierti quella interiore, qualunque siano le circostanze esterne. Quelli di noi che sono in prigione per aver parlato contro la guerra sono più liberi di quelli fuori che sono costretti a difenderla pubblicamente. Ho visto in tv la sessione del nostro cosiddetto Parlamento che stava approvando l’ennesimo pacchetto sulla guerra. Ho visto la paura sui volti dei parlamentari. Quando, anni fa, stavo realizzando un documentario sul movimento dissidente sovietico ho chiesto a Vladimir Bukovsky cosa lo avesse sostenuto in prigione. Lui mi rispose: la consapevolezza di avere ragione. Quando sai che hai ragione, la paura scompare. Oggi so esattamente di cosa parlava».

IL PRESIDENTE

Vladimir Putin, presidente della Russia, durante una cerimonia della chiesa ortodossa

Foto: A. Zemlianichenko –Ap / La Presse
Sono nel giusto e non ho paura.
L’accondiscendenza occidentale verso il regime ci ha portati a questo punto.
Nessuna via d’uscita al capo del Cremlino per salvare la faccia sul conflitto
64 5 febbraio 2023

Il Giorno del Ricordo rievoca le vicende avvenute nel secolo scorso nell’Alto Adriatico. La memoria di questa tragica pagina di storia è difficile.

E spesso strumentalizzata

Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900

PIERANGELO LOMBARDI

IL CALENDARIO CIVILE

Quello di Pierangelo

Il 10 febbraio è una data del calendario civile italiano: il Giorno del ricordo. Nel corso di formazione per insegnanti organizzato l’autunno scorso dall’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, la sfida è stata quella di andare al di là delle sovraesposizioni mediatiche e delle ingerenze politiche, che non aiutano, ma al contrario allontanano la piena comprensione delle vicende avvenute nel corso del Novecento nell’Alto Adriatico. Il ragionamento di lungo periodo, proposto agli insegnanti, è stato quello di riflettere sul tema che proprio la legge istitutiva del Giorno del ricordo, del 2004, indica come «la tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Perché in questa tragica pagina di storia non c’è solo una memoria difficile e complessa, ma, come ha suggerito Guido Crainz, c’è in «quel confine tormentato tutto il nostro Novecento».

Ci sono i nazionalismi e i processi di nazionalizzazione, dove uno spirito discriminatorio e per nulla inclusivo troppo a lungo ha soffiato sul Vecchio Continente; c’è il trauma della Prima guerra mondiale, con la «italianizzazione forzata» imposta dal fascismo alle popolazioni slovene e croate; ci sono la violenza e la brutalità dell’occupazione nazista e fascista della Jugoslavia nel 1941; c’è la tragica lezione della Seconda guerra mondiale, una guerra totale, in cui veniva meno la distinzione tra milita-

Lombardi, presidente dell’Istoreco pavese, è il terzo degli interventi sulle date fondanti della Repubblica. Il primo, sul 12 dicembre, strage di piazza Fontana, è uscito sul n. 49 del 2022. Il secondo, sul 27 gennaio, Giornata della Memoria, è uscito sul n. 3 del 2023. I prossimi saranno su 8 marzo, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, 4 novembre. Nella foto, uno dei massacri delle foibe avvenuti in Istria nel 1943.

ri e civili, dove l’imbarbarimento del conflitto, specie sul fronte orientale, è stato massimo. Ancora: c’è l’incontro tra violenza e ideologia politica che si fa devastante e dove, in un clima torbido e inquietante, s’intrecciano il giustizialismo politico e ideologico del movimento partigiano titino, il nazionalismo etnico e, soprattutto in Istria e nelle aree interne, la violenza selvaggia tipica delle rivolte contadine. Ci sono le violenze contro le popolazioni italiane del settembre del 1943 e del maggio-giugno del ’45, di cui le foibe, gli arresti e il clima di terrore che spinge all’esodo forzato migliaia di italiani sono simbolo ed espressione; c’è la volontà di Tito e del comunismo jugoslavo di annettere l’intera Venezia Giulia, con un’epurazione volta a eliminare – senza andare troppo per il sottile – qualsiasi voce di dissenso. Ci sono, infine, le logiche della Guerra fredda e della radicalizzazione dello scontro ideologico nell’immediato Dopoguerra. Il tutto sulla pelle di decine di migliaia di persone. Un vero e proprio tornante di fughe e di espulsioni in tutta Europa, infatti, si accompagna agli esordi della Guerra fredda e a una più generale ridefinizione dei confini europei e dei loro significati.

Diventa, quindi, sempre più necessario, nell’affrontare questa pagina di storia, contestualizzarla con grande rigore, respingere tesi negazioniste o riduzioniste, così come le banalizzazioni e le verità di comodo più o meno finalizzate a uno scorretto uso pubblico della storia. Occorre assumere un ruolo attivo nel processo di rivisitazione critica, che sola può portare al superamento delle lacerazioni del passato. Anche perché le vicende dell’area giuliano-dalmata costringono chi le affronta a misurarsi con temi assai più generali e con fenomeni centrali per la comprensione della nostra contemporaneità.

Foto: Xxxxxxxx xxxxxxxx 10 FEBBRAIO POLITICA
5 febbraio 2023 65

LA GIUNGLA DEL FISCO SU MISURA

Detrazioni, agevolazioni, riduzioni. Le tax expenditures sono centinaia e costano allo stato 128 miliardi.

Il governo annuncia una riforma ma le categorie oggi beneficiate sono numerose e potenti

ECONOMIA CAOS FISCALE
66 5 febbraio 2023
5 febbraio 2023 67

ECONOMIA CAOS FISCALE

Iproduttori di tartufi? Presenti. E i dipendenti di enti e società controllati dalla Santa Sede? Eccoli. C’è posto anche per camionisti e sportivi dilettanti, armatori e lavoratori frontalieri. Tutti sulla stessa barca, un’arca di Noè affollata di viaggiatori a cui il Fisco di Roma ha cucito un abito su misura. Tra detrazioni e deduzioni, crediti d’imposta e regimi sostitutivi, sono milioni gli italiani che ogni anno, grazie a specifiche misure di legge, riescono a dare un taglio alle imposte da pagare.

POTENTI

Una fila di Tir sull’autostrada A 14. La patente corporazione dei camionisti ha sconti sul gasolio

L’elenco di sconti ed esenzioni è lunghissimo, un ginepraio gigantesco che si è esteso a dismisura nel corso degli anni, spesso con l’unico obiettivo di accontentare lobby e clientele varie. L’ultimo rapporto, appena pubblicato da una speciale commissione del ministero dell’Economia (Mef), ha censito ben 626 provvedimenti diversi, con un aumento di oltre il 40 per cento rispetto al 2016, quando la lista delle agevolazioni fiscali si era fermata a quota 444. La torta continua a lievitare. Nel 2022, lo Stato ha rinunciato a incassare 128 miliardi per effetto di quelle che gli specialisti della materia definiscono tax expenditures, quasi 30 miliardi in più rispetto agli 89 miliardi del 2018. Molte di queste misure di legge sono ormai diventate familiari a platee amplissime di contribuenti. È il caso delle detrazioni delle spese mediche, che costano alle casse pubbliche più di tre miliardi di euro l’anno, mentre le riduzioni d’imposta sugli atti di compravendita della prima casa valgono oltre un miliardo.

Con l’andar del tempo, però, i sussidi si sono moltiplicati ed è ormai evidente che vengono spesso utilizzati «per finalità politiche e di scambio con i vari gruppi di interesse», come si legge nelle prime pagine del rapporto di governo. In altre parole, ogni anno l’immenso catalogo delle cosiddette spese fiscali si arricchisce di leggi e leggine studiate per favorire un numero ristretto di beneficiari oppure nel tentativo di favorire l’emersione di redditi non dichiarati, con risultati, alla fine, men che modesti. Ha fruttato ben poco, per esempio, la norma creata ad

hoc per tassare gli insegnanti che danno ripetizioni, incentivati a dichiarare i loro guadagni extra da un prelievo molto inferiore a quello ordinario dell’Irpef. La legge di bilancio del 2019 ha infatti istituito un’imposta unica del 15 per cento sulle somme ricevute da «docenti titolari di cattedre nelle scuole di ogni ordine e grado» come compenso per lezioni private. Compensi che nella quasi totalità dei casi vengono ancora incassati in nero.

Una novità di quest’anno, invece, è la tassazione agevolata, con prelievo del 5 per cento, sulle mance dei camerieri di alberghi, bar e ristoranti. Lo sconto previsto per legge rispetto alle consuete aliquote Irpef dovrebbe incentivare l’emersione di questi guadagni, che di solito restano sconosciuti al Fisco. Serve tempo per valutare l’efficacia reale di un provvedimento che però, secondo molti esperti, rischia addirittura di trasformarsi in un incentivo al nero. In pratica, l’imprenditore disonesto

Camionisti, agricoltori, dipendenti del Vaticano, coltivatori di tartufi, apicoltori. La lista dei privilegiati è lunghissima, i favori si sono sedimentati nel corso degli anni con diverse maggioranze
68 5 febbraio 2023
VITTORIO MALAGUTTI

potrebbe far passare come mance per i dipendenti una quota degli incassi non dichiarati, che verrebbero quindi tassati con il mini-prelievo al cinque per cento. Insomma, l’aiuto pubblico finirebbe per incentivare l’evasione.

Questo è un caso limite, certo, ma suona come l’ennesima conferma che la macchina miliardaria dei sussidi fiscali gira a vuoto e finisce per alimentare sprechi e iniquità. Il rapporto a cura degli esperti del Mef segnala per esempio che l’importo medio delle agevolazioni risulta «molto contenuto». Più della metà delle singole spese fiscali ha un costo per lo Stato inferiore ai dieci milioni. Benefici e vantaggi sono distribuiti su una platea vastissima di cittadini che a volte si spartiscono poche decine di euro ciascuno. Una situazione che non ha eguali negli altri grandi Paesi europei. E allora, con l’obiettivo di ridurre la spesa e allineare l’Italia ai partner Ue, andrebbe avviata una riforma

MILIARDI Perdita di gettito della sola Irpef per effetto di agevolazioni

MILIARDI

Valore agevolazioni a favore di imprese, lavoratori autonomi, banche e assicurazioni

MILIARDI

Minori incassi per lo Stato previsti nel 2023 dovuti ad agevolazioni fiscali

PERCENTUALE di aumento del numero delle spese fiscali in confronto al 2016 16 125 42

Numero delle agevolazioni

fiscali in vigore alla fine del 2022

626
40
Foto: A. Serranò / Agf; pag. 68-69: The Image Bank / Getty Images
5 febbraio 2023 69

ECONOMIA CAOS FISCALE

complessiva, come suggerisce la commissione governativa. «Operazioni settoriali o “voce per voce”, avrebbero effetti molto parziali e rischierebbero di essere inefficaci», si legge nella relazione. Finora però tutti i tentativi di semplificare l’intreccio di norme sulle spese fiscali sono andati a vuoto.

Già nel 2015, l’esecutivo di Matteo Renzi aveva annunciato un intervento per «riformare» l’intero sistema. E il riordino delle tax expenditures era citato anche nel programma di governo di Giuseppe Conte, quello in versione giallorossa del 2019. L’esplosione della pandemia ha cambiato le priorità. In tempi di Covid, il welfare è stato gestito a suon di sussidi e nell’estate del 2020 si è messa in moto anche la macchina del Superbonus per le ristrutturazioni edilizie, con un costo per le casse pubbliche che a novembre del 2022 ammontava a 99 miliardi di euro, secondo quanto riferito in Parlamento dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Adesso però, con la fine dell’emergenza, la riforma delle spese fiscali potrebbe contribuire a racimolare svariati miliardi da destinare ad altre voci del bilancio, come le pensioni o il lavoro. In cantiere c’è anche la revisione delle aliquote dell’Irpef, che potrebbero ridursi fin da subito da quattro e tre, accorpando quelle intermedie, oggi al 25 e al 35 per cento, in un unico scaglione. Siamo ancora lontani dalla flat tax (una sola aliquota uguale per tutti) promessa dal centrodestra, ma anche questo prima parziale riforma costerà miliardi, almeno quattro, forse cinque, secondo alcune simulazioni che circolano in ambienti della maggioranza di centrodestra. E allora, per finanziare la manovra sull’Irpef senza portare acqua al mulino del debito pubblico, il governo potrebbe riaprire il capitolo delle tax expenditures.

Il dossier è sul tavolo del viceministro dell’economia, Maurizio Leo, il professore di diritto tributario a cui Giorgia Meloni ha affidato la riforma del Fisco: Una rifor-

ma «organica», come l’ha definita Leo, che dovrebbe prendere forma già in primavera con la presentazione in Consiglio dei ministri della legge delega. Non è solo una questione di numeri, però. Per dare un taglio netto al lungo elenco degli sconti sulle tasse, l’esecutivo dovrà affrontare le prevedibili proteste di lobby e categorie professionali fin qui beneficiate dalle agevolazioni previste per legge. La partita, quindi, è ad alto rischio politico. Per capirlo basta ricordare che cosa è successo nelle settimane scorse, segnate dalle proteste contro l’aumento del prezzo dei carburanti per effetto della mancata proroga del taglio delle accise con ripercussioni anche sui consensi al governo. Proprio gli sgravi sulle accise pesano per svariati miliardi sui costi complessivi delle spese fiscali. Vale

Il Viceministro

GREEN

Un impianto fotovoltaico in Emilia-Romagna. Sotto: Maurizio Leo

L’imposta unica del 15 per cento sulle lezioni private dei professori ha fruttato ben poco Quei compensi nella quasi totalità dei casi vengono incassati in nero. Altrettanto si può dire delle mance
70 5 febbraio 2023

NON SARÀ FACILE MA SEMPLIFICHEREMO

Il sistema delle spese fiscali attende da almeno una decina d’anni una riforma più volte annunciata ma mai davvero neppure avviata. In questa intervista a L’Espresso, Maurizio Leo, viceministro dell’Economia con delega sul Fisco, spiega come intende metter mano a una materia che tocca milioni di cittadini. Professor Leo, il “Rapporto annuale sulle spese fiscali” a cura della commissione del Mef segnala che il numero delle cosiddette Tax expenditures è aumentato dalle 444 di sette anni fa alle 626 censite a fine 2022. È possibile immaginare un intervento di riordino e di riduzione di queste misure?

«Stiamo lavorando a un organico progetto di delega fiscale. A breve apriremo un confronto con le categorie professionali e associazioni di categoria, sindacati inclusi. Subito dopo, credo entro poche settimane,

presenteremo in Consiglio dei Ministri il testo del Disegno di legge delega. La riforma dell’Irpef sarà uno dei pilastri del nuovo fisco, con l’obiettivo di semplificare e alleggerire la tassazione personale, pur nel rispetto delle coperture finanziarie e dei vincoli di bilancio pubblico. Il riordino dell’Irpef che, ricordiamolo, è la principale imposta del nostro sistema tributario, si accompagnerà a una rivisitazione del sistema delle tax expenditures. Un sistema che, come sappiamo, nel 2022 ha avuto per l’Erario un costo esorbitante di quasi 130 miliardi di euro, poco meno del 7% del Pil. Ed è un sistema ormai fuori controllo che alimenta complicazioni e incertezze per i contribuenti».

In generale, quali saranno i criteri con cui il governo affronterà la questione delle tax expenditures, che più volte negli anni passati è stata al centro di progetti di riforma rimasti quasi sempre sulla carta?

«Il fatto che altri progetti siano rimasti sulla carta non significa di per sé che questo obiettivo sia irraggiungibile. Ci sono centinaia di agevolazioni sulle quali ragionare. Lo faremo con attenzione, preservando ov-

Foto: Massimo Dallaglio / Alamy / ipa-agency.net, M. Chianura / Agf
colloquio con Maurizio Leo
5 febbraio 2023 71

per esempio oltre un miliardo l’anno lo sconto garantito agli autotrasportatori, che possono così acquistare gasolio a prezzi ridotti. Un altro miliardo serve a garantire una mini-accisa sui «prodotti energetici» (benzina compresa) utilizzati nei «lavori agricoli e assimilati».

Rimodulare agevolazioni come quelle appena citate significa colpire interessi forti, con prevedibili conseguenze in termini di consensi. E se al momento pare impensabile risparmiare sui bonus per favorire la transizione energetica, la scure dovrà per forza colpire altrove. La lista dei privilegiati è lunghissima. Ci sono micro-sgravi come l’Iva al cinque per cento sui «tartufi freschi o refrigerati» oppure l’esenzione totale dall’Irpef garantita agli apicoltori che vivono in comuni montani. Anche le mance ricevute dai croupier dei casinò pagano imposta solo sul 25 per cento del totale dichiarato. Ben più pe-

Il Viceministro

santi in termini di costi per lo Stato si sono invece rivelate norme come quella sul “Patent Box”, che ha permesso a centinaia di imprese di beneficiare di una tassazione ridotta sui redditi legati all’utilizzo di brevetti, disegni o software protetti da copyright. L’agevolazione serve a promuovere la ricerca e vale circa 700 milioni l’anno. Niente Irpef anche per i dipendenti italiani di enti o società controllate dal Vaticano. Un privilegio che risale addirittura ai Patti Lateranensi del 1929 e da allora è passato indenne a ogni riforma, compresa di certo anche la prossima. Con la benedizione della Santa Sede.

Per approfondire o commentare questo articolo o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@lespresso.it I nostri giornalisti vi risponderanno e pubblicheremo sul sito gli interventi più interessanti

viamente quelle la cui utilità sociale è condivisa da tutti ed è incontestabile: le spese sanitarie; i contributi previdenziali e per la previdenza complementare; le spese per il sostegno dei familiari con disabilità, per l’istruzione, solo per citarne alcune. Sicuramente, andranno salvaguardate le aspettative dei contribuenti che stanno già fruendo di detrazioni connesse a presupposti che si sono realizzati prima dell’entrata in vigore delle nuove regole».

Il valore complessivo del minor gettito derivante dalle spese fiscali è stato pari a 128,6 miliardi nel 2022. Nel 2016 la stessa voce ammontava a circa 85 miliardi. Pensa sia possibile nell’arco di qualche anno tornare ai valori del 2016?

«Parlare di numeri è certamente prematuro. Potremo intervenire in una prospettiva temporale di medio-lunga durata, con un approccio modulare e per obiettivi successivi. Valuteremo la fattibilità della razionalizzazione. Saremo attenti alle compatibilità, anche finanziarie, e alla coerenza degli interventi, rispetto al nuovo assetto del sistema fiscale. Quando questo quadro sarà

chiaro, allora potremo fare le nostre scelte. I temi su cui ragionare non mancano: ci sono agevolazioni che interessano un numero limitato di contribuenti; altre che comportano benefici modesti; altre ancora che appaiono regressive e finiscono per agevolare solo i contribuenti con redditi elevati. Le agevolazioni sono tante, anzi, troppe. Ma non sono tutte da buttare: credo che vadano guardate con attenzione quelle tax expenditures che si sono dimostrate utili per stimolare il contrasto di interessi o che hanno incentivato tipologie di consumi meritevoli del sostegno dello Stato».

In che modo l’annunciata riduzione aliquote Irpef da quattro a tre si può integrare con un complessivo riordino di deduzioni e detrazioni?

«La riduzione del numero delle aliquote dell’Irpef e una coerente revisione del sistema delle tax expenditures rispondono entrambe a una logica di semplificazione del sistema di prelievo. In questo senso, le due misure perseguono il medesimo obiettivo, che nel nostro disegno, dovrebbe essere poi completato con l’approdo all’aliquota unica per tutti i contribuenti».

ECONOMIA CAOS FISCALE
La commissione del ministero che ha studiato la questione scrive nel suo rapporto che queste misure vengono adottate “per finalità politiche e di scambio con i vari gruppi di interesse”
72 5 febbraio 2023

ESENZIONI

I dipendenti del Vaticano godono di esenzioni fiscali

Valzer di poltrone e il sì dell’Economist

A The Economist piace Giorgia. Con riserva «Pochi governi si avvicinano alla fine dei loro primi 100 giorni in carica in ottima forma come la coalizione di Giorgia Meloni». Inizia così l’editoriale dedicato dal The Economist al compimento dei primi 100 giorni del governo Meloni. Al netto di alcune criticità esplicitate in coda al pezzo, come le scadenze del Pnnr e la gestione degli alleati, il quadro è complessivamente positivo.

Chi entra e chi esce

Il brillante Stefano Scalera dal Mef approda a capo dipartimento del ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (Masaf) su proposta del ministro Francesco Lollobrigida

Riforme: si dimette il capo di gabinetto della ministra Elisabetta Casellati, il professor Alfonso Celotto, considerato da molti un’eccellenza. Per la cronaca, Casellati, quando era presidente in Senato, cambiò sette portavoce.

Non ritiene che in una fase di debole crescita economica sarà particolarmente difficile intervenire sulle tax expenditures, tenendo anche presente, come si legge nel rapporto, che le spese fiscali presentano «un prevalente utilizzo per finalità politiche e di scambio con i vari gruppi di interesse»?

«Come già detto, non sarà facile. Ma anche guardando ai tentativi fatti nel passato, credo di poter dire che la fase attuale offra un evidente vantaggio: è vero che semplificare e sfoltire la giungla delle tax expenditures sarà un lavoro complesso, ma è altrettanto vero che una razionalizzazione delle spese fiscali può avere maggiori possibilità di successo se inserita, come noi faremo, in un percorso complessivo di riforma fiscale, per di più in una prospettiva di legislatura. Togliere a un contribuente un beneficio fiscale è, ovviamente, difficile. Farlo in un contesto più ampio di riordino della tassazione può rendere il percorso meno accidentato. E, forse, può essere d’aiuto per arginare le richieste di lobby e gruppi di interessi». V.M.

Mise: lasciano il portavoce Gerardo Pelosi e il capo della segreteria particolare del ministro Adolfo Urso, Valentina Colucci. Pare che il motivo del contendere sia legato allo sciopero dei benzinai.

Il respiro di Shlomo

Bellissima presentazione del docufilm “Il respiro di Shlomo”, scritto dallo storico Marcello Pezzetti e diretto da Ruggero Gabbai sulla testimonianza del superstite dell’Olocausto italiano Shlomo Venezia al Teatro dell’Opera di Roma in occasione della settimana della Memoria. Fu tra i pochissimi sopravvissuti all’eliminazione sistematica dei prigionieri appartenenti al Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau.

Testimone dei massacri vissuti in prima persona dal “Kommando Speciale” costretto a lavorare nelle camere a gas dove venivano uccisi i prigionieri. Sala piena di autorità e palchi pieni di studenti. Un documentario che tocca da vicino e che dovrebbe essere proiettato nelle scuole per entrare nell’educazione civica dei giovani. Prodotto dalla Fondazione Museo della Shoah e dal suo presidente Mario Venezia, figlio di Shlomo.

Foto: Eric Vandeville/ Abacapress / Ipa Agency
5 febbraio 2023 73

A chi il presidente? A noi! Spoils system in orbace

SERGIO RIZZO

Esperienza senza precedenti, quella di Roberto Lancellotti. A nessuno era capitata la nomina a presidente di una società di Stato che non esiste ancora, e di perdere l’incarico addirittura prima che quella società veda la luce. Lasciando il posto a un altro presidente, designato a sua volta prima della costituzione della società.

Il sostituto di Lancellotti è un altro imprenditore del settore informatico, Claudio Anastasio. La società in questione si chiama 3-i spa. È un’idea del governo di Mario Draghi targata Vittorio Colao, l’ex capo di Vodafone già ministro della Transizione digitale. Le tre “i” della denominazione rappresentano i tre soci Inps, Inail e Istat. Sono loro, dice un decreto del governo Draghi, che tramite quella società devono occuparsi di «sviluppo, manutenzione e gestione di soluzioni software e servizi informatici a favore degli enti previdenziali e delle pubbliche amministrazioni centrali». Ma a dispetto delle formule burocratiche, il progetto è assai più ambizioso: realizzare la software house unica di un Paese dove l’informatica pubblica è balcanizzata, con mille banche dati che parlano linguaggi differenti.

Il SITO

Il portale dell’Inps. A destra, Claudio Anastasio e Rachele Mussolini dalla pagina Twitter di Anastasio

Roberto Lancellotti

entra Claudio

Anastasio, fan del clan

Mussolini

La scelta di chi la deve guidare cade subito su Lancellotti. Esperto di informatica, è stato anche consigliere di amministrazione del Montepaschi e appartiene alla stessa nidiata McKinsey di Colao. Il decreto di nomina è scritto, ma la società non decolla. Mettere tutti d’accordo non è semplice. Poi c’è chi solleva un problema: oltre ad avere interessi in società informatiche private, Lancellotti è consigliere di amministrazione dell’Inps. Il che, secondo alcuni, potrebbe prefigurare una qualche incompatibilità. Il

nuovo governo cancella ripetutamente gli appuntamenti dal notaio. E si capisce subito che il piano Draghi-Colao fa storcere il naso a qualcuno.

Le perplessità però svaniscono quando si mettono a fuoco l’enormità e le opportunità dell’operazione. E che un nuovo governo non voglia mettere le mani sopra una roba del genere è in Italia eventualità da non prendere in considerazione. Si va allora dal notaio, il 12 dicembre 2022. Ma non prima che la presidenza del Consiglio di Giorgia Meloni, cui spetta la nomina, abbia designato il 29 novembre il nuovo presidente della 3-i spa. Nella persona di Claudio Anastasio. E nel segno di Mussolini.

Non Benito, s’intende. Mussolini Rachele, la nipote. Figlia di Romano e sorella di Alessandra, appartiene alla numerosa schiera di parenti del capo del fascismo impegnati in politica. Rachele è consigliere comunale di Roma eletta con Fratelli d’Italia. E rivendica l’amicizia con Anastasio. «Lo conosco da più di trent’anni e ho vissuto tutto il suo travagliato percorso che lo ha portato ad un successo incredibile nel suo lavoro. Si è realizzato come imprenditore vivendo anche dei momenti mol-

GOVERNO
ECONOMIA NOMINE DI
Il caso della neonata società pubblica per l’innovazione digitale di Inps, Inail e Istat, voluta da Draghi e Colao. Fuori
74 5 febbraio 2023

to difficili», ha dichiarato. Ammettendo con orgoglio anche la comune fede partitica: «Sono felice ad essere stata io a portarlo all’interno della famiglia di Fratelli d’Italia». Pane al pane.

Pioniere del web, cui ha dedicato tutta la carriera, Claudio Anastasio ha con la famiglia Mussolini, prima ancora che con quella di Fratelli d’Italia, un rapporto sentimentale di lunga data. Il 13 giugno 1997, secondo quanto riferisce l’Ansa, va online il sito Internet ufficiale Mussolini. «L’iniziativa», precisa l’agenzia di stampa, «è della Mussolini internet di cui è presidente esecutivo Claudio Anastasio».

Che, aggiunge l’Ansa, «ha già diramato stamane una lettera aperta per esprimere il suo profondo dolore per la scomparsa “dell’ultimo personaggio storico del ventennio fascista”». Il giorno prima è morto Vittorio Mussolini, il figlio maggiore di Benito. Regista, sceneggiatore e produttore, appassionato di cinema, durante il regime si fa chiamare con un anagramma del nome reale: Tito Silvio Mursino. Segue il padre a Salò; quando poi la Repubblica sociale crolla va in Sudamerica, per tornare in Italia solo nel 1967. Senza mai, in trent’an-

ni, occuparsi di politica a differenza di altri suoi parenti come la nipote Rachele.

La quale per anni ha sponsorizzato al Comune di Roma la raccomandata elettronica ideata dal suo amico di lunga data Claudio Anastasio. A furia di insistere, alla fine fa passare una mozione nel consiglio comunale a sostegno di questo progetto, condotto da Anastasio attraverso InPoste. it. È una società privata, di cui il nuovo presidente di 3-i spa è consigliere delegato e azionista, che opera nel campo dei servizi postali digitali ed è reduce da un periodo di difficoltà aggravata dalla pandemia. Tanto che ha dovuto abbattere il capitale sociale per far fronte a perdite di oltre 5 milioni accumulate fino al 2020. Le prospettive della società ora indicano una robusta ripresa della redditività.

Quanto all’incarico di presidente di un’azienda pubblica resta da capire il profilo esatto delle possibili incompatibilità con l’attività privata. Per il resto, la prima nomina del governo Meloni spedisce un avviso chiaro ai vertici di tutte le grandi aziende di Stato da rinnovare fra breve. Niente di nuovo sotto il sole: qualcuno cominci già a fare le scatole.

Foto: A. Ronchini / Agf
5 febbraio 2023 75

Per un pugno di clienti Traffico voce e web ora i ricavi vanno giù

GIORGIO CHIGI

Da un lato un incremento senza precedenti dell’utilizzo dei dati e dall’altro una dinamica in discesa dei ricavi. L’ultimo ventennio non è stato un periodo facile per le aziende di Tlc, specialmente in Europa: prezzi al consumatore in calo, investimenti in continua crescita, concorrenza spietata e battaglie all’ultimo cliente con offerte al ribasso, accompagnate da scelte di politica industriale orientate al consumatore e non al settore delle telecomunicazioni. Qualcosa però sta cambiando sia nell’industria che nella percezione della politica, in Europa e in Italia.

A fare il punto sullo stato di salute del settore nel Belpaese ci hanno pensato recentemente due report, uno di Asstel, l’associazione che riunisce gli operatori di settore, e uno di Mediobanca, che fotografa da anni l’andamento del comparto in un rapporto della propria Area studi. Secondo gli ultimi dati a disposizione, le aziende di Tlc in Ita-

Crescono gli investimenti sulla rete mentre sul piano tariffario è una guerra al ribasso. Doppio tavolo dei gestori con il governo e in Europa. Il nodo dei costi dei giganti dello streaming

lia hanno perso oltre 14 miliardi di ricavi dal 2010 ad oggi e hanno visto crescere fortemente gli investimenti, che nel 2021 hanno toccato i 7,2 miliardi, arrivando al 26 per cento del fatturato.

Un trend, quello degli investimenti, che è legato alla necessità di costruire le infrastrutture di rete - fissa in fibra fino a casa

del cliente (Ftth) e mobile 5G - di cui il Paese ha bisogno per supportare la trasformazione digitale ma che sono necessarie anche per sostenere il continuo aumento del traffico, che, fra il 2020 e il 2021, è più che raddoppiato sul mobile (+117 per cento) e cresciuto del 75 per cento nel fisso, con un trend visto in crescita anche nel 2022.

Buona parte di questo aumento è legato anche dalla crescita dei cosiddetti over-the-top, ovvero i giganti che viaggiano sulle reti e fanno profitti: si pensi a Meta, Google, Apple, Amazon, Microsoft e Netflix. Queste da sole rappresentano il 56 per cento del traffico globale, con costi che, secondo uno studio pubblicato da Frontier economics, impattano sulle Telco per 26-40 miliardi di euro l’anno. Di questi, circa circa 15-28 miliardi di euro sono legati puramente all’aumento del traffico.

Nell’ultimo anno, tuttavia, il vento ha iniziato a girare, sia in Italia che in Euro-

ECONOMIA
TELECOMUNICAZIONI
76 5 febbraio 2023

pa. E nel nostro Paese ad alzare l’attenzione su questi temi tra i primi è stato Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim, che ha riportato al centro del dibattito il tema della sostenibilità dei modelli di business del comparto con l’obiettivo di riaprire il dialogo con le istituzioni sulle tematiche industriali. E, passo dopo passo, è emersa la consapevolezza in ogni ambito - istituzionale, accademico e politico - di tornare ad avere un’industria delle Tlc solida, al servizio dell’interesse collettivo, considerato il ruolo centrale che il comparto ha, a livello infrastrutturale ma anche di innovazione, per la transizione digitale e quindi per la crescita dell’economia. Le Telco sono infatti diventate ormai centrali oltre che per l’accesso ai servizi dei cittadini anche per la sicurezza informatica degli Stati e per lo sviluppo delle nuove tecnologie, prima tra tutte l’intelligenza artificiale. Punti cruciali, che rendo-

COSTI

no necessaria l’adozione di nuove regole e strumenti che portino a mantenere all’interno del settore le risorse necessarie per lo sviluppo di reti e servizi.

A livello nazionale il nuovo governo ha messo questi temi al centro della propria agenda e della propria azione. Non a caso ci sono ora due tavoli paralleli per delineare il futuro delle Tlc. L’esecutivo, in particolare, ha avviato una riflessione profonda per adottare misure quali l’allineamento dell’Iva alle altre utility, l’inserimento delle aziende di telecomunicazioni nell’elenco di quelle energivore, il superamento dell’iper-competizione, l’innalzamento dei limiti di potenza per le frequenze 5G in linea con gli standard europei. Non a caso su questi argomenti si è intensificata la spola tra Roma e Bruxelles con il titolare del ministero per le Imprese e per il Made in Italy (Mimit) Adolfo Urso che ha avviato un dialogo con il Commissario Ue, Paolo Gentiloni e con la vicepresidente Margrethe Vestager.

Sullo sfondo di tutto, poi, resta il tema del consolidamento del settore. Tema delicato, visto che in passato l’Antitrust aveva sempre spinto affinché in Italia gli operatori mobili restassero quattro. Con la fusione, infatti, fra Wind e Tre, si decise per far entrare nel Paese la francese Iliad. Che però ora, a sua volta, da ultima entrata sottolinea la necessità di rivedere le regole del gioco. In Italia oggi le compagnie telefoniche proprietarie di infrastrutture mobili sono quattro, a cui si aggiunge anche Fa-

Contendendosi il mercato della telefonia mobile, i gestori hanno ingaggiato una battaglia al ribasso stweb: se si guarda agli Stati Uniti, dove ci sono oltre 330 milioni di abitanti, ci sono soltanto tre operatori, mentre in Brasile, dove gli abitanti sono 200 milioni ci sono tre compagnie, tra cui la controllata carioca di Tim.

Un altro tema che sta montando in Europa è quello legato al “fair share”, ovvero all’eventuale introduzione di una misura a carico degli Ott (Over the top television) affinché contribuiscano agli investimenti per costruire le reti su cui viaggiano il loro business e i loro profitti. Dopo le parole del commissario al Mercato Interno, Thierry Breton, e della Vestager, che ha la delega alla Concorrenza, c’è attesa per una consultazione sul tema, che dovrebbe essere lanciata nelle prossime settimane.

Foto: Getty Images
5 febbraio 2023 77

Google, Meta & Co Tra errori e bugie non fidarsi è meglio

Il 23 febbraio 2017 Peter Shulman, professore di Storia alla Case Western Reserve University di Cleveland, stava raccontando la rinascita del Ku Klux Klan negli anni ’20, quando uno studente prese la parola: «È vero che il presidente Harding era nel Klan?». Un altro ragazzo tirò fuori il telefono e aggiunse che non solo Harding, ma anche altri quattro suoi omologhi avevano fatto parte dell’organizzazione. «Qual è la fonte?», chiese il professore. «Google», fu la risposta. Né Warren Harding né altri presidenti hanno mai fatto parte del Kkk. Eppure, se si digitava «presidenti nel Klan», il motore di ricerca mostrava un box con una lista di nomi ricavata da thetrentonline.com, un sito che si presentava come «uno dei principali giornali online della Nigeria».

Il caso di Cleveland, raccontato dalla testata The Outline, non è l’unico. Un box sosteneva che Snoopy avesse strangolato Abraham Lincoln. Un altro pescava da un sito di fondamentalisti cristiani e suggeriva che i dinosauri fossero «lo strumento più utilizzato per indottrinare bambini e adulti e convincerli che la Terra esista da milioni di anni». Un terzo box spiegava che Barack Obama «potrebbe preparare un colpo di Stato comunista». Nel tempo Google ha corretto questi errori. Ma restano dozzine di algoritmi che indirizzano opinioni e azioni fino ad alterare il funzionamento della società.

Danny Sullivan, volto pubblico del motore di ricerca di Google, ha sottolineato che quello della sua azienda non è «un motore

IL PRIMO AL MONDO

Google è il sito più visitato al mondo, secondo la classifica stilata da Similarweb

di verità». Parole simili a quelle del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che — quando Twitter aggiunse una nota di fact checking sotto un tweet di Donald Trump — affermò che le piattaforme internet «non devono essere arbitri di verità».

Molti hanno delegato a social e motori di ricerca parti essenziali delle loro vite. Google è il sito più visitato al mondo, secondo la classifica di Similarweb. Segue YouTube, sempre di proprietà di Google. Facebook e Instagram — marchi Meta — sono al terzo e quinto posto. Nel mezzo c’è Twitter. E la ricerca online è anche un surrogato del medico. Nonostante, nel 2020, una ricerca pubblicata sul Medical Journal of Australia abbia rilevato che appena il 26 per cento del-

ECONOMIA
FALLE DELL’INNOVAZIONE
LE
Molte persone utilizzano le grandi piattaforme web per trovare soluzioni e risposte. Ma gli algoritmi indirizzano opinioni e azioni, alterando la società.
Perché i motori di ricerca non sono motori di verità
78 5 febbraio 2023
MATTEO NOVARINI e DAVIDE PIACENZA

le volte il primo risultato su Google fornisce una diagnosi corretta e che solo nel 52 per cento dei casi la risposta giusta è in uno dei primi tre link.

Le piattaforme cercano di carpire i nostri interessi e la nostra attenzione, la vera moneta dell’economia digitale. «L’algoritmo di un social come Instagram, per idea di fondo, non è diverso da quello di Netflix: deve vendere contenuti», spiega Walter Quattrociocchi, professore di Informatica della Sapienza di Roma. I risultati, però, sono fenomeni come le echo chamber (camere d’eco): chi ha una certa opinione finisce all’interno di una cerchia di contenuti e persone che confermano ed estremizzano il suo punto di vista. «Se si fornisce a questi utenti un’informazione non gradita, si finisce per rafforzarne la posizione», continua Quattrociocchi: «Se si dice a un no-vax che i vaccini fanno bene, lui corre a cercare fonti che confermano il contrario».

In alcuni casi le grandi piattaforme intervengono manualmente per indirizzare gli utenti. Talvolta con effetti positivi: Google, Meta e la cinese TikTok, per esempio,

ARTIFICIALE,

Come funziona la ricerca di Google? La domanda è semplice, la risposta meno. In 25 anni Google Search ha cambiato diversi volti, avvalendosi di strumenti di perfezionamento sempre più complessi. L’ultimo, lanciato nel 2022, si chiama Mum (Multitask Unified Model): è capace di comprendere e generare linguaggio e aiutare l’utente cercando combinazioni di testo e immagini. Se a dicembre aveva rimandato il lancio della sua risposta a ChatGpt per non incappare in «danni reputazionali», ora Big G ha deciso di entrare nell’arena dell’Ai per dimostrare ai critici che la concorrenza non è ancora pronta a pensionare la sua Search. Per il New York Times, Google starebbe per presentare un nuovo modello: integrerà un chatbot di ultima generazione — che si concentrerà su «ottenere le informazioni giuste, garantire la sicurezza e sbarazzarsi della disinformazione» — cercando di risolvere la sicumera immotivata del rivale, controllando che i processi tecnologici coinvolti operino in modo equo ed etico. Intanto Demis Hassabis, capo di DeepMind, l’azienda nel campo Ai controllata da Google, ha detto al Time che la società sta sviluppando una versione test del suo software di intelligenza artificiale Sparrow, considerato un fratello più cauto e maturo di ChatGpt, da pubblicare già quest’anno. Non resta che decidere se cliccare su «Mi sento fortunato». D.P.

Foto: A. Unal –Anadolu Agency / Getty Images
5 febbraio 2023 79
INTELLIGENZA
BIG G VA ALLA RISCOSSA La concorrenza

hanno collaborato con le autorità sanitarie per promuovere informazioni corrette sul Covid-19. Altre volte i fini sono meno nobili. TikTok ha ammesso di avere censurato critiche nei confronti del governo di Pechino, in particolare sul genocidio della minoranza degli uiguri. La Commissione europea ha inflitto a Google una multa da 2,4 miliardi di euro per avere favorito i link al suo Google Shopping nei risultati delle ricerche. E troppo spesso le multinazionali hanno fomentato divisione sociale e tollerato estremismi. Mentre un’orda di trumpiani assaltava Capitol Hill, il 6 gennaio 2021, un dipendente di Facebook scriveva su un forum aziendale: «Abbiamo alimentato l’incendio per molto tempo. Ora non possiamo sorprenderci se è fuori controllo». Chris Wetherell, l’inventore del tasto Retweet, ha ammesso che quella piccola modifica «è stata come dare una pistola carica a un bambino di quattro anni».

Intanto, gli algoritmi diventano sempre più complessi. Negli ultimi mesi si è parlato molto di ChatGpt, il chatbot intelligente del consorzio OpenAi, capace di emulare il linguaggio naturale e fornire risposte che

IL PROFESSORE

sembrano umane. Uno strumento che ha generato una valutazione di mercato di 29 miliardi di dollari. «L’algoritmo di un chatbot imita, studia, si adatta», dice Quattrociocchi: «ChatGpt cerca le parole migliori in un contesto e le sceglie in base alla mole gigantesca di dati che ha studiato. Non è un meccanismo molto diverso da quello che suggerisce le parole mentre scriviamo». Le scuole di New York hanno già proibito agli studenti di usarlo: temono che sia una pietra tombale sulla loro formazione.

La nuova frontiera è l’intelligenza artificiale. Microsoft intensifica gli investimenti nella stessa OpenAi, Meta quelli nei sistemi che raccomandano contenuti su Facebook e Instagram. Google sembra pronta a lanciare un chatbot di ultima generazione capace di risolvere il grande limite del concorrente: risposte sbagliate pronunciate con sicurezza. Soprattutto quando si tratta di matematica. Qualcuno, infatti, ha convinto ChatGpt a riferire che 2+2 fa 5. Scrive su Twitter Avner Strulov-Shlain, della Chicago Booth: «È come gli economisti, mostra sempre fiducia in sé stesso e qualche volta ha persino ragione».

L’esperto colloquio con Salvatore Sica

ricondotta al rischio d’impresa. E già oggi, dietro segnalazione, le società intervengono per correggere errori o per moderare discorsi d’odio».

Come si conciliano la lotta alla disinformazione e la libertà di espressione?

L’algoritmo non è il demonio. Il problema è l’algoritmo abbandonato a sé stesso». La sintesi è di Salvatore Sica, ordinario di Diritto privato all’Università di Salerno. «Le norme europee stabiliscono il diritto del cittadino a non essere sottoposto a decisioni basate solo sul trattamento automatizzato.

Ma non vengono applicate».

Le piattaforme dicono di non essere arbitri di verità.

La difesa regge?

«Non più. Per i social, ogni clic su una notizia falsa corrisponde a un guadagno. C’è una responsabilità che va

«Le decisioni non possono essere lasciate alle piattaforme — la più grande concentrazione di potere nelle mani di privati nella storia — e non le affiderei alla politica. Meglio un’autorità indipendente».

Come usare strumenti come social e motori di ricerca in modo sicuro?

«A monte ci vuole trasparenza: bisogna far conoscere gli assetti proprietari degli operatori e la relazione tra clic e profitti. Poi occorre educare sul tema della cessione dei dati. E servono più tutele per i privati, che dovrebbero essere rappresentati da associazioni». M.N.

ECONOMIA LE FALLE DELL’INNOVAZIONE
Salvatore Sica, ordinario di Diritto privato presso l’Università degli Studi di Salerno
“CONTRO LE FAKE NEWS CI VUOLE TRASPARENZA”
80 5 febbraio 2023

ECONOMIA TECNOLOGIA E LIBERTÀ

TikTok ci spia Linea dura negli Usa Morbida in Europa

ALESSANDRO LONGO

Due giorni prima di Natale, TikTok ha ammesso per la prima volta qualcosa di cui è stata sospettata per anni: ha spiato alcuni giornalisti americani che la usavano. Membri dello staff di questa famosa app hanno tracciato i movimenti dei giornalisti per conto della casa madre cinese, ByteDance. In Cina è normale spiare e perseguitare giornalisti non allineati alla dittatura, in Occidente no. Al tempo stesso, TikTok è una delle app e social network più usati al mondo, Italia e Stati Uniti inclusi. Il problema è tutto in questa contraddizione e gli Stati Uniti in questi giorni lo stanno prendendo alla radice, con manovre politiche che mettono TikTok davanti a un aut aut: o garantisce rispetto delle regole o vende l’azienda a una società americana.

L’Europa e in particolare l’Italia hanno scelto una via diversa, come dimostrano vari segnali che arrivano anche da questo Governo; che all’apparenza si presenta sovranista e deciso, ma nella pratica è pronto a compromessi e alla prudenza .

In sostanza l’Italia vuole rassicurazioni da TikTok senza però mettere alle strette il potente alleato commerciale.

Bastone e carota, per mantenere intatti gli interessi economici. La stessa strategia che si sta rivelando nei confronti delle big tech americane, chiamate alla resa dei conti con le nostre regole sul rispetto della privacy.

Dopo molto tentennare l’Europa ha cominciato a firmare maxi sanzioni per chi viola le norme sulla privacy: esemplare quella di 390 milioni di euro a Meta, a genna-

io 2023 (dal Garante della privacy irlandese, che è quello competente su molte big tech nell’Ue).

Guido Scorza, del collegio del Garante italiano, nota come questa sentenza sia uno spartiacque, «si entra in una nuova era per la pubblicità personalizzata», perché la colpa di Meta (Facebook, Instagram) è proprio quella di non chiedere un consenso molto eesplicito agli utenti per profilarli a scopo di marketing. Di qui la sanzione, contro cui Meta ha annunciato ricorso.

Le sanzioni sono il bastone, ma c’è anche la carota: «non si può immaginare un futuro in cui le big tech come Meta e Google profileranno di meno, dato che ne ha bisogno il loro business, che ci dà ora social e motori di ricerca gratis, ossia gran parte di internet», aggiunge.

Ergo stiamo entrando in una fase nuova per la rete e per i sottostanti rappor-

La app cinese ha tracciato alcuni giornalisti americani. Washington chiede il rispetto delle regole o la vendita. Bruxelles (e Roma) scelgono un approccio più attento ai rapporti con Pechino
82 5 febbraio 2023

ti tra super potenze (Usa, Cina, Europa).

Nuovi paletti saranno posti a tutela dei diritti degli utenti, ma anche di prerogative economiche e di sicurezza nazionale dei diversi Paesi. I dati ora gestiti da big tech sono una leva importante, infatti, in tutti questi ambiti.

Il caso TikTok, per il modo radicale con cui lo stanno affrontando ora gli Usa, lo rivela con una chiarezza inaudita.

Il Governo americano (quello federale e quello di molti Stati) - come emerso da diverse dichiarazioni e da proposte di leggeha due timori, verso TikTok. Primo: che sia usato come cavallo di troia dalla casa madre cinese, ByteDance, per spiare cittadini eccellenti americani. Già venti Stati Usa ne hanno vietato l’uso a funzionari pubblici. ByteDance per la normativa cinese non potrebbe disobbedire a un ordine di accesso ai dati che arrivi da Pechino.

Secondo timore: che la Cina ordini di manipolare l’algoritmo di TikTok per favorire i contenuti favorevoli ai propri interessi e penalizzi quelli utili alla democrazia americana. Un sospetto che ciò avvenga è emerso durante le elezioni americane del 2020 (come ha riportato il Wall Street Journal).

TikTok ha proposto agli Usa, come garanzia contro queste pratiche, di istituire una maggiore separazione societaria da ByteDance e un monitoraggio indipendente dei propri meccanismi.

I toni sono meno ultimativi a casa nostra. A gennaio, dopo lo scandalo dei giornalisti spiati, il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha aperto un’indagine; il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti (Fdi) ha incontrato TikTok ottenendone rassicurazioni sul rispetto delle regole privacy. Anche la

INFLUENCER

Alcuni influencer francesi della società @thefrenchhouseparis chiamati a creare contenuti per TikTok

Foto: P. Lopez / AFP via Getty Images)
5 febbraio 2023 83

ECONOMIA TECNOLOGIA E LIBERTÀ

GALA

Commissione Ue si è limitata per ora a dichiarare la propria attenzione sul tema.

«Il tema della sovranità nazionale, che passa anche dal controllo sul digitale, è cruciale per la maggioranza», dice Fabio Raimondo, deputato che cura questi temi per Fratelli d’Italia. Ma in merito all’ipotesi di un possibile bando di TikTok, almeno sui cellulari di funzionari pubblici italiani (come hanno deciso negli Stati Uniti), dice che «bisogna prestare attenzione ma la censura non è mai una soluzione».

«Bisogna capire che in Italia ed Europa non possiamo permetterci di fare come gli americani: siamo una media potenza regionale che vive di mercato», spiega Roberto Baldoni, a capo dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, che ha come mandato sia la difesa del Paese dagli attacchi informatici, sia la tutela di una sovranità digitale italiana. «Dobbiamo trovare un equilibro tra libero mercato ed esigenze di sicurezza nazionale», aggiunge.

È un concetto che si applica anche agli alleati americani. L’Italia ha deciso che da quest’anno le pubbliche amministrazioni dovranno portare i propri dati (di cittadini e aziende) e servizi su sistemi cloud “certificati” (dalla stessa Agenzia). Con la garanzia che i dati e

servizi più critici per il funzionamento dello Stato (come quelli sanitari) e per la sicurezza nazionale restino sotto il controllo dell’Italia. Invece di finire in datacenter di aziende private situati negli Usa, come è avvenuto finora in molti casi.

In modo analogo, l’Europa sta lavorando con gli Stati Uniti, ad alto livello diplomatico, per avere garanzie che i dati dei cittadini gestiti da aziende americane (come Google, Meta) abbiamo adeguate tutele sul pano della privacy; in particolare che non siano accessibili al Governo americano (come permesso dalle loro attuali norme). «Con gli Usa si va verso un accordo in tal senso; con la Cina no, ma bisogna lavorarci», dice Scorza.

Con TikTok (e la Cina) il problema resta insomma aperto e al momento in Italia sembra mancare la volontà di affrontarlo di petto, per interessi di relazioni commerciali.

Interessi economici impongono un delicato equilibrio anche in merito alla pubblicità internet. Nel 2024 entrerà in vigore il Digital Services Act, normativa europea che impone nuovi paletti come il divieto di pubblicità personalizzata ai minori o basata su orientamento sessuale, etnico, religioso degli utenti. Si vuole evitare un eccessivo potere manipolatorio delle multinazionali americane sui nostri interessi politici, commerciali. «Si dà più controllo sui nostri dati, che sono pilastro di diritti e anche leva economica importante per l’Europa», dice Scorza; «la pubblicità e la privacy su internet cambierà, per le nuove norme e la nuova pressione sanzionatoria, ma ancora chiaro quali saranno i nuovi equilibri». Certo è che «non sarà messa in discussione la sostenibilità del business online».

L’Europa, Italia inclusa, proverà la difficile impresa di difendere i nostri diritti e i propri interessi economici, politici, senza scontentare preziosi alleati o danneggiare gli attuali servizi internet. La nuova internet europea sarà cerchiobottista e l’attuale governo italiano ha dimostrato di averlo capito già.

Foto: Feature China/Future Publishing via Getty Images
L’Italia vuole che da quest’anno i dati e servizi più critici per il funzionamento dello Stato (come quelli sanitari) e per la sicurezza nazionale restino sotto il controllo nazionale
Uno spettacolo di gala organizzato
da TikTok
A Nanjing
84 5 febbraio 2023
CitroviaMilanoin FauchèCorsocomoSarpi Sempione Isola eltacomaki www.eltacomaki.com Seguicisu: Vieniatrovarci SCOPRILACUCINANIPPO-MESSICANA

ECONOMIA I SERVIZI DEL FUTURO

RICCHEZZA VIRTUALE

Un ingegnere impegnato nella diagnostica su piattaforme per la gestione delle criptovalute, in un’azienda rumena

86 5 febbraio 2023

La nuova via dei dati passa per Genova

ROBERTO ORLANDO

Il principio ispiratore è che sia un servizio indispensabile come le forniture di acqua, luce e gas. Una specie di quarta utility sulla quale Genova ha deciso di giocarsi una parte di futuro: è l’Ict (Information and Communication Technology), ossia tutto ciò che concerne la trasmissione e l’elaborazione dei dati ad altissima velocità. I primi passi sono stati compiuti con l’approdo di due cavi dati marittimi intercontinentali in fibra ottica. Il primo si chiama 2Africa ed è frutto di una partnership tra Equinix, Vodafone, China Mobile, Mtn, Meta, Orange, Saudi Telecom, Telecom Egypt, Wiocc. È il cavo marittimo intercontinentale più lungo del mondo (45 mila chilometri) e collega l’India all’Europa, circumnavigando l’Africa. Servirà 23 Paesi e 3,2 miliardi di persone. A Genova è arrivato nell’aprile 2022 ed è collegato agli hub di Marsiglia, Milano e Francoforte. L’altro cavo si chiama BlueMed: lungo diecimila chilometri, collegherà l’Europa all’Asia passando per Giordania e Israele. È realizzato da Telecom Sparkle in collaborazione con Google e si è attestato a Genova nel luglio scorso: da Palermo attraversa il mar Tirreno per collegarsi a Milano e al Nord Europa.

Il sindaco Marco Bucci si dice orgoglioso che Genova sia stata scelta come nuovo terminale europeo del traffico dati intercontinentale: «Sul fronte dello sviluppo logistico-portuale e dei relativi investimenti infrastrutturali, la città è tornata a dire la sua, proponendosi ora come hub digitale di importanza internazionale. I nuovi cavi sottomarini la rendono uno snodo delle comunicazioni ad altissima velocità tra Europa, Asia, Africa e Medio Oriente. Il business è rappresentato dall’interscambio di dati digitali: basta immaginare quanti ne possano muovere colossi come Amazon, Micro-

soft, Facebook o Netflix e si capisce subito di che portata stiamo parlando. Siamo certi che nei prossimi anni Genova sarà al centro d’investimenti sempre più importanti nel settore».

Ma perché proprio Genova? Intanto, perché è l’approdo più a Nord del Mediterraneo occidentale. «Ed è pertanto l’alternativa ideale a Marsiglia, dove oggi si concentra il traffico dati per il resto d’Europa», spiega Alfredo Viglienzoni, coordinatore dell’Area Sviluppo economico del Comune: «Non siamo in contrapposizione, ma era necessaria una ridondanza a un landing ormai sovraccarico».

Per il momento “l’ormeggio” dei primi cavi sottomarini non ha lasciato grandi tracce. Dalla spiaggia di Sturla, nel Levante cittadino, Equinix ha portato 2Africa al data center allestito in un immobile di fronte al Cimitero monumentale di Staglieno. Sparkle invece ha sbarcato il suo BlueMed sul lungomare della Foce. Il data center è al Lagaccio, alle spalle della stazione ferroviaria Principe, al posto di una centrale di smistamento delle chiamate telefoniche. È stata

Foto: A. Stiller –Bloomberg via Getty Images
Il capoluogo ligure vuole diventare il terminale nel Mediterraneo per la trasmissione e l’elaborazione ad alta velocità di informazioni. Grazie all’approdo di due cavi marittimi intercontinentali
5 febbraio 2023 87

costruita una galleria antisismica per il passaggio delle altre connessioni sottomarine in arrivo.

In termini occupazionali, i cavi hanno generato per ora un pugno di assunzioni nel data center Equinix. Telecom Sparkle invece impiega in questa fase solo personale della vecchia centrale. Ma gli sviluppi sono imprevedibili e le cifre in gioco così alte da sembrare incredibili: per esempio, Marsiglia dichiara che la gestione dei dati in arrivo attraverso i 16 cavi intercontinentali generi un giro d’affari di 18 miliardi l’anno. E si confida che a Genova possa accadere qualcosa di analogo. «È su questo obiettivo che siamo concentrati», dice Viglienzoni: «Abbiamo gli elementi essenziali per avviare una filiera. Qui ci sono due dei 13 supercalcolatori italiani: quello di Leonardo e quello dell’Iit. A settembre 2022 è stato realizzato il quinto Internet exchange point italiano che consente agli operatori telefonici lo scambio diretto delle informazioni, eliminando quello che viene definito effetto trombone». In pratica, lo snodo evita che una trasmissione dati faccia il giro d’Italia prima di arrivare a destinazione.

«La qualità della latenza è fondamentale per molte applicazioni, prime fra tutte quelle finanziarie e quelle per il gaming», continua Viglienzoni: «Ma anche per gli interventi chirurgici guidati a distanza, per i traffici portuali o per le riparazioni navali da remoto. Durante il lockdown, ad esempio, alcune navi erano rimaste bloccate a Genova a causa di guasti non riparabili perché il personale tecnico non poteva viaggiare. Con una connessione a bassissima latenza si sarebbe potuto intervenire in tempo reale da qualsiasi località del mondo evitando costi di fermo nave di 60 mila euro l’ora, equipaggio escluso». L’auspicio è che a Genova, come già a Marsiglia, decidano di insediarsi e investire grandi aziende specializzate in gestione dati: Ibm, Amazon, Kyndryl, ma anche operatori che scelgano la città per oceanici tornei di eSports.

Viglienzoni delinea la strategia: «Il Co-

mune sta facilitando la realizzazione di altri data center. Stiamo aumentando le infrastrutture Ict, il 5G, le microcelle, la banda licenziata. E vogliamo anche migliorare i servizi digitali per i cittadini e le imprese, cosa che sta accadendo. Sul sito del Comune si possono già concludere molte operazioni: dalle pratiche per aprire nuovi esercizi commerciali fino alla segnalazione delle buche nelle strade».

In città, tuttavia, gli scettici temono che la partita economicamente più interessante, come spesso è successo in passato, si giocherà poi oltre Appennino. Il Comune dice di aver pronte le contromisure. Spiega l’assessore allo Sviluppo economico, Mario Mascia: «Le imprese chiedono infrastrutture massicce nei territori in cui scelgono di insediarsi. Con i due cavi dati si aprono opportunità inimmaginabili per l’indotto, con potenziali ricadute occupazionali enormi e ottime prospettive di attrazione di nuove aziende. In quest’ottica sta lavorando la Genoa Business Unit, creata dal Comune nel ruolo di facilitatore, che vuole accompagnare nei percorsi amministrativi e far incontrare imprese, investitori e lavoratori. E per la prima volta in sinergia, le strutture comunali dello Sviluppo economico e dell’Urbanistica stanno realizzando il censimento delle aree disponibili per l’insediamento di nuove realtà produttive o l’espansione di quelle esistenti». Perché il rischio è che la città, ancora una volta, sia soltanto zona di transito.

I lavori per la posa del cavo dati marittimo

2Africa sulla spiaggia di Sturla

ECONOMIA I SERVIZI DEL FUTURO
La città non dev’essere solo zona di transito delle infrastrutture digitali. Si lavora per creare opportunità per l’indotto, con potenziali ricadute occupazionali enormi e la prospettiva di attrarre altre aziende
TECNOLOGIA MARINA
88 5 febbraio 2023

La transizione ecologica e la digitalizzazione impongono l’adeguamento del nostro apparato produttivo costituito prevalentemente da numerose piccole e medie imprese. Nel 2020, il 95,2% delle imprese è di piccole dimensioni con un massimo di nove addetti. Ed è lì che s’impiega il 43,2% degli addetti. Le imprese attive nell’industria e nei servizi sono 4,2 milioni di unità e occupano 16,9 milioni di addetti. La dimensione media è di quattro addetti per impresa e risulta più elevata nell’industria (6,3 addetti) che nei servizi (3,4 addetti). La distribuzione del valore aggiunto per area geografica evidenzia che il 37% è pro-

Un piano europeo per ammodernare le imprese italiane

dotto nelle regioni del Nordovest, il 25,5% nel Nordest, il 20,7% al Centro e il 16,8% al Sud e nelle isole. I dati dell’Istat forniscono un quadro complesso che impone una strategia adeguata ad affrontare le sfide imposte al nostro sistema produttivo per la sostituzione delle energie fossili, per il recupero delle materie secondarie, per l’innovazione di ciclo e di prodotto, per la formazione professionale e per la digitalizzazione. Il Paese ha necessità, in particolare in settori tecnologicamente avanzati, di imprese in grado di reggere le sfide sul mercato attraverso l’incremento della produttività, fattore essenziale anche per l’aumento delle retribuzioni. La questione è particolarmente rilevante tenuto conto dell’evoluzione delle politiche economiche che si stanno sviluppando a livello mondiale per affrontare le conseguenze del rovesciamento dei rapporti sulle energie fossili e per l’evoluzione della

tecnologia attraverso l’intelligenza artificiale (Ai) in Cina. Dovrà, pertanto, essere ammodernata la nostra struttura produttiva e dei servizi, che richiede di essere sostenuta da una programmazione concertata di azioni e strumenti, nonché da risorse finanziarie ben superiori ai 27 miliardi di prestiti e contributi del Piano di nazionale di Ripresa e Resilienza, inerenti la transizione. Per fare fronte a questa straordinaria quantità di investimenti materiali e immateriali appare necessaria la mobilitazione di una massa critica di risorse finanziarie in un quadro di decisioni definite a livello europeo. La proposta della presidente Meloni, avanzata in occasione dell’incontro con il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, di costituire un fondo sovrano europeo corrisponde a questa necessità. Nel nostro Paese, data la struttura del tessuto produttivo, i distretti manifatturieri, i piani di filiera e l’economia circolare dovranno essere il punto di riferimento di questo programma di trasformazione. Fondamentale sarà il coinvolgimento del mondo universitario, delle professioni, della finanza, della pubblica amministrazione, dei centri di ricerca, delle associazioni imprenditoriali e di quelle del lavoro. Obiettivo che dovrà essere vissuto da tutti i livelli istituzionali con un fine comune, perché le diverse competenze pubbliche marcino nella stessa direzione. Un simile programma non può che partire dai territori che hanno tante anime, ma tutte disponibili a migliorare le loro attività per dare continuità a quello che è stato creato con tanto lavoro e ingegno. È dalla realtà operativa che deve partire questa profonda trasformazione avendo presente che la rigenerazione del sistema industriale e dei servizi dovrà essere uniforme su tutto il territorio nazionale, utilizzando una pluralità di strumenti. Fondamentale sarà anche l’individuazione di idonee modalità capaci di impegnare su questo obiettivo l’interesse del nostro risparmio finanziario.

BANCOMAT
Molto piccole per dimensione, difficilmente possono competere su scala internazionale
5 febbraio 2023 89
Alberto Bruschini

Sesso e amore a fumetti

Relazioni tossiche, coppie aperte, scene esplicite. Nel solco di Fumettibrutti e Zuzu, emerge una nuova generazione di disegnatori decisi a raccontare le emozioni senza tabù. Ecco chi sono

L’ESORDIO

A destra: il disegno tratto da “Corpi”, il primo libro di Luana

Belsito, nome d’arte Wally Pain, in uscita il 14 marzo per Feltrinelli Comics

GRAPHIC NOVEL
CULTURA
90 5 febbraio 2023

CULTURA GRAPHIC NOVEL

Per approfondire o commentare questo articolo o inviare segnalazioni scrivete a dilloallespresso@ lespresso.it I nostri giornalisti vi risponderanno e pubblicheremo sul sito gli interventi più interessanti

Mani che si sfiorano, labbra che si toccano, lingue che si intrecciano. Donne e uomini che si cercano, si fondono, disegni forti che abbattono tabù, affossano il perbenismo e alzano l’asticella del comune senso del pudore, come si sarebbe chiamato un tempo. Non è ancora uscito “Corpi” (in libreria dal 14 marzo per Feltrinelli Comics), il libro che segna l’esordio editoriale di Luana Belsito, in arte Wally Pain, ma è destinato a far discutere. E non solo gli appassionati di graphic novel e fumetti. Settore che oggi, dati Aie (Associazione Italiana Editori) alla mano, si conferma la gallina dalle uova d’oro dell’editoria. E così, dopo Fumettibrutti, pseudonimo di Josephine Yole Signorelli, 31 anni, che ha conquistato l’attenzione del pubblico raccontando in maniera cruda la propria esperienza di donna transgender, ora Feltrinelli Comics punta sull’autrice calabrese, 30 anni e oltre 12mila follower su Instagram.

Si afferma oggi una nuova generazione di autori, donne e uomini tra i venti e i trent’anni, che raccontano l’amore e il sesso attingendo alle proprie vicende personali, al proprio corpo. Una corrente esplosa sui social e sulla carta sulla scia dell’autrice-attivista catanese e di Zuzu, nome d’arte di Giulia Spagnulo, salernitana, 27 anni, l’altra star dei fumetti che esplora sentimenti e relazioni difficili con tratto graffiante: il suo ultimo libro “Giorni felici” (Coconino Press), l’anno scorso era nella dozzina finale del Premio Strega.

Nulla sfugge alla matita dei nuovi fumettisti: legami tossici, romantici, ipersessualità, poliamore, coppie che si aprono ad altre coppie, emozioni profonde, asessualità. E relazioni Lgbtq+. Ogni anno la casa editrice Tunué organizza tra giugno e luglio il Tunué Pride, un mese di eventi e iniziative sui temi della diversità: con l’occasione uscirà il libro “La ragazza del mare” della fumettista americana Molly Knox Ostertag.

Per raccontare questa generazione abbiamo raccolto le voci di cinque giovani auto-

ri sparsi per l’Italia. «Nelle mie tavole parlo di cose scomode, racconto la stranezza dei corpi con naturalezza. Non disegno transgender per rispondere a un diktat politicamente corretto, ma perché è la normalità», riflette Wally Pain: «Spesso il giudizio estetico è viziato da pregiudizi e luoghi comuni, disegnare me stessa è stata una cura per accettarmi». Dopo aver vissuto a Firenze e Roma, Luana Belsito è tornata ad abitare nella sua terra, a Roggiano Gravina, vicino a Cosenza. Ma la provincia le sta stretta. «Parlare di sesso è un tabù, figuriamoci dalle mie parti. Una gabbia, non vedo l’ora di tornare a Roma», confessa.

Anche Arianna Melone vive in provincia, a Caserta. Classe 1996, dopo il diploma ha dato alle stampe due titoli per la casa editrice BeccoGiallo: il primo, “Gianna”, ispirato alla celebre canzone di Rino Gaetano, narra la storia di una ragazza che vive la propria ipersessualità nella Bologna di fine anni Settanta, tra pregiudizi ed emancipazione. Ha vinto il Gran Prix Artémisia 2022 in Francia ed è stato tradotto dalla casa editrice Albin Michel. Con il secondo, “Le ragazze di Saffo”, l’autrice indaga invece l’a-

Nulla sfugge alle nuove matite: legami complicati, romantici, ipersessualità, asessualità, poliamore. E relazioni Lgbtq+.
Con Instagram come fonte comune di ispirazione
92 5 febbraio 2023
EMANUELE COEN

I NUOVI AUTORI

In senso orario: Arianna Melone, Luana Belsito in arte Wally Pain, Giulio Mosca. Il disegno a sinistra è tratto dal libro “Gianna” (BeccoGiallo) di Melone. Quello in basso da “Ossitocina” (Feltrinelli Comics) di Mosca

more fra donne attraverso il mito greco, la più famosa poetessa dell’antichità. «La prima a raccontare in maniera forte ed esplicita amore, invidia, gelosia, superbia, paura di invecchiare. Sentimenti primordiali in cui è possibile rispecchiarsi anche oggi», afferma l’autrice. Cresciuta a forti dosi di manga giapponesi, Dragon Ball e Naruto, oggi Melone più che ai fumetti guarda alla pittura di Egon Schiele e Gustav Klimt. Tra gli autori di graphic novel ammira Gipi («per la caratterizzazione dei personaggi») e Manuele Fior («per le sue tavole oniriche e realistiche»).

È un altro tratto che accomuna i nuovi autori: più che ai classici del fumetto erotico, Guido Crepax e Milo Manara, preferiscono attingere altrove. «I grandi maestri hanno un modo molto maschile di raccontare l’eros, a volte la figura della donna risulta oggettificata. Molti fumetti di un tempo oggi risultano offensivi agli occhi di molte persone», conclude l’autrice.

C’è anche chi come Giulio Mosca, 31 anni, genovese residente a Milano, quasi 600mila follower su Instagram, si ispira al mondo del cinema. Nel suo “Clorofilla” (Feltrinelli Comics), ad esempio, c’è una sce-

5 febbraio 2023 93

na ambientata in una stanza da letto che riecheggia il film “Quarto potere” (1941) di Orson Welles. «Nel mio racconto il letto matrimoniale diventa sempre più largo con lo scorrere del tempo, a simboleggiare il deteriorarsi della relazione, come in “Quarto potere” il tavolo da pranzo si allarga sempre di più e i coniugi si allontanano», racconta il fumettista. Nel suo ultimo volume, “Ossitocina”, per lo stesso editore, mette al centro una coppia «fin troppo consolidata», Alfonso e Martina, trentenni senza figli, che tenta di rilanciare la relazione aprendo l’intimità ad altri partner. «È una domanda che mi pongo spesso: cosa distingue il sesso in una relazione stabile dal sesso occasionale? Questa esclusività non mi sembra logica», riflette l’autore: «Se posso condividere un film o una birra con un amico perché non posso condividere un rapporto sessuale fuori dal-

Caterina

In basso: un disegno tratto dal suo libro “Tutte le cose che non posso dirti” (BeccoGiallo)

la coppia? Certo, bisogna fare i conti con i retaggi culturali e la parte più possessiva di noi stessi. Spesso è un gran casino». Nei loro graphic novel i nuovi fumettisti italiani mescolano elementi autobiografici e osservazione della realtà. La grande novità di questa “new wave”, tuttavia, è lo sguardo femminile. Ne è consapevole Alice Berti, 26 anni: il suo ultimo libro, “Calipso” (Bao Publishing), ha come protagonista un’agente segreta spietata che dà la caccia ai predatori sessuali. Le sue certezze cominciano a vacillare quando lascia spazio a nuovi incontri che per la prima volta le fanno provare ciò che non aveva mai immaginato: l’amore. “Calipso” è una spy story che parla di poliamore e asessualità. «Il mondo è basato su una visione maschile, ora finalmente le donne sentono la necessità di dire la loro soprattutto su questi temi. Sono femminista e promuovo la parità di genere», sottolinea l’autrice, che abita a Bassano del Grappa, vicino a Vicenza, ma appena può scappa a Londra, Roma, Copenaghen. Innamorata di concerti e dischi in vinile, ha una passione speciale per Andy Warhol. «Era un personaggio stranissimo, difficile da decifrare.

CULTURA GRAPHIC NOVEL
Giulio Mosca: “Che cosa distingue il sesso in una relazione stabile dal sesso occasionale?
Io me lo domando spesso. L’esclusività non mi sembra davvero una cosa logica”
PELLE E EMOZIONI
94 5 febbraio 2023
Costa.

Alice Berti. A sinistra: un disegno tratto dal suo libro “Calipso” (Bao Publishing). In alto: Tito Faraci

Ho letto i suoi diari, adoro le sue opere e il contesto in cui viveva, la New York degli anni Settanta e Ottanta».

I nuovi autori guardano al passato in modo imprevedibile e sono immersi nel presente. Nel flusso dei social si seguono a vicenda, traggono spunti, liberano energie. «Instagram è una grande fonte di ispirazione, anche se spesso mi sento sopraffatta dalla bellezza di alcuni lavori», dice Caterina Costa, 23 anni, nota sul web con il nome d’arte Cheit.jpg, che nei suoi disegni esplora sentimenti, paure, angosce, desideri tipici dell’adolescenza e post-adolescenza. In “Tutte le cose che non posso dirti” (BeccoGiallo), il suo secondo libro, l’illustratrice e fumettista, nata e cresciuta ad Abbiategrasso, vicino a Milano, racconta di solitudine, amicizia e amore, relazioni tossiche, dipendenze da cui liberarsi. «Prendo spunto dalle cose che mi accadono», conclude l’autrice: «Parlo della mia storia, come trasformare in positivo le emozioni negative. Ho attraversato un periodo molto difficile, creare arte è stato un grandissimo aiuto. E ora molti psicologi utilizzano i miei libri in terapia, per me è un onore gigantesco».

Tito Faraci, 57 anni, è uno dei più importanti sceneggiatori italiani di fumetti. Fondatore e curatore della collana Feltrinelli Comics, ha creato storie per “Topolino”, “Dylan Dog”, “Diabolik”, è stato uno dei primi scrittori italiani a lavorare anche per “Spider-Man”, “Devil” e “Capitan America”.

Da sempre amore e sesso attraversano il mondo dei fumetti. Dove sta la novità?

«Oggi le donne si riappropriano del fumetto, con un occhio femminile e femminista. Fino all’altroieri il pubblico e gli autori erano in maggioranza uomini, ora anche in Italia si afferma una nuova generazione di autrici di graphic novel che racconta il sesso senza strizzatine d’occhio e ammiccamenti».

C’era molto sesso anche nei fumetti di cinquant’anni fa.

«È vero, se pensiamo ai tascabili come “Isabella”, “Zora la vampira”, “Il camionista”. E poi Milo Manara, il più grande fumettista erotico del mondo, Crepax con Valentina, c’era sesso anche nel fumetto underground di Andrea Pazienza e Tanino Liberatore, nel mondo della rivista Frigidaire. Ma oggi c’è una visione nuova».

Fuori i nomi.

«Cristina Portolano, Alice Milani e poi Wally Pain. Si muove sulla linea di confine tra letteratura, fumetto e illustrazione pura. Un’antologia enciclopedica di tutti gli incontri sessuali possibili». Come guardano i nuovi fumettisti ai maestri del passato?

«La corrente non si è mai fermata. L’anno scorso mi è capitato di visitare la mostra di Guido Crepax, a Catania, insieme a Fumettibrutti. Guardava ogni tavola con rispetto colossale. Il fumetto è rock and roll, capita spesso che autori di generazioni diverse lavorino fianco a fianco».

Fumettibrutti veicola un messaggio “politico” sull’identità di genere. Anche gli altri autori?

«Tutto è politico. Il sesso può diventare la metafora dei rapporti di potere tra le persone. In questo senso ha un significato etico, culturale e politico». E.C.

“Eros dalla parte delle donne”
colloquio con Tito Faraci
SPY STORY
5 febbraio 2023 95
L’esperto

La parità?

Conviene a tutti

Abbattere il patriarcato. Non solo per una questione di giustizia: perché stroncare il maschilismo vuol dire disegnare una società più equa. Ma anche per far crescere l’economia. A beneficio di tutti: il Pil pro-capite dell’Unione europea aumenterebbe quasi del 10 per cento se si puntasse a ridurre il divario di genere. Entro il 2050, si aprirebbero posizioni lavorative nuove per 10,5 milioni di persone, sia uomini, sia donne. Si intensificherebbe la produttività e, quindi, la capacità del mercato interno di creare beni e servizi, favorendo le esportazioni. Sarebbe una soluzione anche per contrastare l’invecchiamento della popolazione visto che molti studi testimoniano come le pari opportunità nell’educazione, nella partecipazione al mondo del lavoro e nella retribuzione, portino a una crescita della natalità.

Lo assicurano femministe, sociologhe, economiste. E uno studio dell’Unione europea. «Soprattutto per Paesi come l’Italia, dove il gender gap è ancora profondo, scardinare il patriarcato porterebbe a una rilevante crescita economica perché il margine di miglioramento è ampio. E, quindi, all’aumento del benessere collettivo», dice l’economista femminista Marcella Corsi a proposito delle stime prodotte dall’ Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige), che evidenziano i benefici che la parità di

MASCHILISMO

TRA NOI

Potente anche se obsoleto, continua a condizionare la società

genere porterebbe all’Unione europea. Eige da anni calcola un indicatore composito, il gender equality index, con l’obiettivo di misurare il divario di genere nei paesi membri dell’Ue. Si tratta di un indicatore che copre più dominii, come l’accesso al mercato del lavoro, al sistema sanitario, all’istruzione, alle posizioni di potere, per offrire una mappa completa delle disuguaglianze generate dal patriarcato. L’Italia è al quattordicesimo posto, sotto la media europea, soprattutto a causa della scarsa partecipazione delle donne al mondo del lavoro.

«Siamo un Paese dove l’occupazione femminile è davvero inferiore a quella maschile. Succede perché le donne già fanno le madri, le figlie di genitori anziani, oppure lavorano in modo informale. Quando si dice che le donne non partecipano al mondo del lavoro bisognerebbe chiedersi il perché». Come spiega Corsi, la battaglia da portare avanti per l’emancipazione è duplice: «Da un lato per la redistribuzione del carico del lavoro di cura, sia dentro, sia fuori dai nuclei familia-

CULTURA IL LAVORO DELLE DONNE
CHIARA SGRECCIA illustrazione di Bianca Bagnarelli
Stereotipi sociali. Differenze nelle retribuzioni. Percorsi professionali penalizzanti.
Eppure gli studi dimostrano che la disuguaglianza ha un costo.
96 5 febbraio 2023
E fa male anche agli uomini

ri. Di questo filone fanno parte le battaglie per l’apertura di asili nido, per il prolungamento dell’orario scolastico, per il congedo di paternità obbligatorio. Dall’altro lato, affinché il lavoro di cura venga valorizzato anche economicamente, bisogna pensare a forme di contribuzione, che aiutino a liberare le donne dai condizionamenti dovuti agli stereotipi nell’educazione e nelle strutture familiari».

Perché, come sostiene la psicologa sociale Chiara Volpato, «il maschilismo è ancora chiaramente tra di noi. Potente e obsoleto, continua a condizionare la nostra vita. Rallentando il cambiamento, limitando la libertà delle donne che vivono in un Paese che non le considera, oppure che le considera troppo perché scarica su di loro tutto il peso del lavoro di cura che dovrebbe essere una responsabilità della collettività.

Ma la mancanza di pari opportunità porta anche gli uomini a pagare un prezzo alto. Restano ingabbiati nell'immagine tradizionale della mascolinità egemone che è

costrittiva: impedisce l’espressione dell’emotività, costruisce un limite nei rapporti interpersonali, assottiglia la qualità della relazione con i figli». Uomini che, cresciuti pensando che al centro delle loro esistenze dovesse esserci il lavoro, perdono parte della loro identità nel momento in cui questo si fa precario.

«Proprio il divario che si crea tra i desideri e la vita di tutti i giorni accresce il malessere sociale», spiega Rossella Ghigi, sociologa, responsabile del Centro di studi sul genere e l’educazione dell’Università di Bologna, che chiarisce: «C’è un gap sempre più grande tra ideale e reale. Che costa alle persone anche in termini di benessere psicologico. Ad esempio: la disparità di genere nella formazione ormai è più che colmata, il tasso di donne laureate ha superato quello degli uomini, tuttavia ci sono più uomini occupati, in ruoli apicali e con stipendi più alti. Le donne, invece, sono di solito demansionate oppure partecipano con intermittenza al mercato del lavo-

5 febbraio 2023 97

ro. Le conseguenze sono sia economiche: lo Stato ha speso per formare donne che non lavorano, o non lavorano come potrebbero. Sia in termini di mancata soddisfazione: di chi ha studiato ma resta fuori dal settore dell’occupazione. Il modello sociale non tiene il passo con i desideri delle persone che lo vivono». Per Ghigi oltre alle perdite a livello economico, il patriarcato costa alla società anche in termini di benessere e di salute. Come ha scritto nel libro “Fare la differenza. Educazione di genere dalla prima infanzia all’età adulta” (Il Mulino), è necessario agire in tutti quei luoghi dove pensiamo che vada fatta educazione alla cittadinanza, «dovrebbe essere posta un’attenzione speciale e precisa sui temi della differenza e delle pari opportunità, per contrastare gli stereotipi. Perché hanno a che fare con la cultura e, quindi, bisogna agire con la cultura per abbatterli».

Che la consapevolezza sia un passo necessario per ridurre il divario lo sostiene anche Scilla Signa, ideatrice di Hackher, un progetto, patrocinato dal Parlamento europeo, nato per colmare il gender gap tecnologico. «Non c’è mobbing o discriminazione che giustifichi una così scarsa presenza di donne nei settori high tech. È, invece, la conseguenza degli stereotipi che condizionano l’educazione dei bambini, per cui i maschi si dedicano alle materie scientifiche mentre le femmine agli studi umanistici». Eppure, si tratta di una mancata opportunità: visto che è uno dei settori che offre maggiori possibilità di impiego. E che le laureate in discipline Stem (dall’inglese: Scien-

IN RIUNIONE

Donne al lavoro. Un saggio in uscita, di Azzurra Rinaldi (Fabbri Editore), riflette sul rapporto tra donne e denaro e sulle riforme necessarie a una vera parità

ce, technology, engineering and mathematics) sono tra quelle con gli stipendi più alti. Guadagnano come gli uomini anzi, mettendo a confronto le fasce di reddito, come fa la ricerca sulla disparità salariale condotta da Acli, anche leggermente di più. «Fare la programmatrice offre, oltre a un buono stipendio, anche la possibilità di lavorare da remoto e con orari flessibili. Oltretutto più donne entreranno a fare parte del settore, meno maschile sarà l’organizzazione del lavoro e la realizzazione dei progetti. Contribuendo a generare una rivoluzione in uno dei campi che guida l’innovazione oggi e svolgendo un ruolo attivo per raggiungere le pari opportunità non solo sul lavoro ma a livello globale», conclude Scilla.

Per la founder del progetto Hackher come per Ghigi, Volpato e Corsi, è importante, per decostruire il patriarcato, ridefinire i ruoli e i carichi di lavoro all’interno del nucleo familiare. Che si ripercuotono e ripropongono anche fuori.

Per farlo c’è la necessità di riforme concrete, sostenute dalle istituzioni e dalla politica. Perché, come scrive l’economista femminista Azzurra Rinaldi nel suo ultimo libro “Le signore non parlano di soldi”, che uscirà il 7 febbraio (pubblicato da Fabbri), «Lo abbiamo capito: la parità conviene. Ma da dove iniziare per raggiungerla?».

Foto: G. Marks –Retrofile /
CULTURA IL LAVORO DELLE DONNE
GettyImages
Secondo il Gender equality index, indicatore che monitora le differenze causate dal patriarcato, l’Italia è al quattordicesimo posto. Sotto la media europea
98 5 febbraio 2023

CULTURA PROTAGONISTI

Cardinale più che libera indomabile

Le mani tempestate di anelli, la voce graffiata dalle immancabili sigarette, la risata sfoderata ad arte per beffarsi delle convenzioni, delle rigidità, delle mediocrità. C.C., la migliore invenzione italiana assieme agli spaghetti secondo David Niven, a 84 anni ancora si emoziona: «Cinecittà e il MoMA di New York mi dedicano uno splendido omaggio: sentire che sono ancora nei pensieri degli spettatori di tutto il mondo mi dona gioia e energia». Con queste parole Claudia Cardinale commenta il tributo di Cinecittà alla sua carriera: una mostra al Moma a lei dedicata fino al 21 febbraio, il restauro di tre suoi film (La ragazza di Bube, L’udienza e Atto di dolore) e il libro curato dalla figlia Claudia Squitieri dal titolo Claudia Cardinale, l’indomabile (edito da Cinecittà ed Electa).

Indomabile è l'aggettivo che la descrive di più?

«L'ha scelto mia figlia che mi conosce come nessun altro: mi fido».

Anche da ragazza era così?

«Altroché, ero un vero garçon manqué, quello che in Italia chiamiamo “ragazzaccio”. Mi divertivo a prendere i treni in corsa da Cartagine a Tunisi, facevo a botte con i maschi, rispondevo a tono a chi faceva qualcosa di scorretto. Una volta John Wayne mi disse: “Tu sei un uomo, non una donna”, aveva ragione».

Il tempo è riuscito a domarla?

«Niente affatto, non mi sento molto cambiata da allora. Ho sempre voluto dare ascolto

Il Museum of Modern Art di New York rende omaggio alla diva con una grande retrospettiva

alla mia indomabilità, perché mi ha permesso di vivere emozioni fortissime. Nella vita, come al cinema».

Il libro è firmato da sua figlia Claudia, con cui ha un legame forte già dal nome. «Siamo molto vicine, in effetti. Quando sono venuta a vivere in Francia, nel 1989, abitavamo insieme in un appartamento. In Italia era diverso, stavamo in una grande villa, ma io lavoravo tanto: mia figlia un giorno mi vedeva cucinare la pasta, un giorno prepararmi per il Festival di Cannes, la vita era piena. Più avanti ho potuto riprendere appieno il mio ruolo di madre e, con il tempo, l’ho vista diventare una donna e occuparsi lei di me, dei miei spostamenti, dei miei impegni, delle mie esigenze».

Come ha reagito quando ha saputo che avrebbe scritto un libro su di lei?

«Ho grande fiducia in mia figlia, mi conosce a fondo. Insieme abbiamo fondato, anche

OMAGGIO ALLA DIVA
100 5 febbraio 2023
colloquio con CLAUDIA CARDINALE di CLAUDIA CATALLI

con mio figlio Patrick, la Fondazione Claudia Cardinale per proseguire le mie lotte per la difesa delle donne con Unesco e dell’ambiente insieme a Green Cross Italia».

Si batte da sempre per i diritti delle donne: a che punto siamo, nel mondo e in Italia?

«Il movimento MeToo ha fatto cambiare le cose, portando al centro del dibattito la donna con la “d” maiuscola. Purtroppo nel mondo i nostri diritti vengono ancora negati e alcune vittorie ci vengono strappate. È una battaglia che va combattuta ancora oggi e andrà proseguita per tanto tempo, fin quando non avremo più motivo di lottare». Pensa sia arrivato il momento di una donna al Quirinale?

«Sicuramente. Vorrei che fosse una donna femminista, però. Altrimenti che senso ha?»

L’Italia è famosa nel mondo per la sua arte, per il cinema, eppure non si fa altro che tagliare fondi alla cultura. Come se lo spiega?

«Con grande tristezza. Che io ricordi l’Italia ha sempre avuto difficoltà a proteggere la sua cultura, e dire che ce n’è tanta!»

Un ricordo dell’amico Ennio Morricone?

«Che uomo. Che genio. Era pura energia, un amico splendido. Mi manca tanto». Cosa le resta degli incontri con Marcello Mastroianni, Marlon Brando, Alain Delon e Jean Paul Belmondo?

«Ricordi indelebili. Con Delon e Belmondo eravamo molto amici, con Marcello ci legava un rapporto di profonda stima e affetto. Con Brando c’è stato solo un incontro,

Foto: Donaldson Collection –GettyImages
Una rassegna al MoMA di New York, tre film restaurati e un libro, curato dalla figlia, che la racconta. “Il segreto del mio successo?
La libertà. E la mia fede nel destino: se una cosa deve accadere, accade”
5 febbraio 2023 101

ne rimasi molto impressionata». Perdoni, perché li rifiutò tutti quanti?

«Beh, anzitutto perché avevo un compagno, Franco Cristaldi!».

Che differenza c’è tra quegli attori leggendari e gli attori di oggi?

«Oggi ci sono tantissimi attori, prima erano molti meno e quelli che c’erano avevano raggiunto un livello altissimo. Ora mi pare ci sia un po’ di tutto, ma anche interpreti di grande talento».

Che opinione ha del nostro cinema, oggi? «Fluttuante. Ogni tanto ci sono delle folgorazioni».

Da chi le piacerebbe essere diretta?

«Sento la necessità di aiutare i giovani. È così difficile fare un primo film, trovare credibilità, muovere i primi passi. Mi è capitato di recitare in diverse opere prime, quando amo una sceneggiatura mi viene naturale sostenere certi progetti. I giovani portano un’energia bella, frizzante, piena di sogni. Ma per ora preferisco godermi un po’ di riposo».

Se le chiedessi il suo film preferito, tra quelli che ha girato?

«Sarebbe come chiedermi di scegliere tra i miei figli. Posso dire che La Ragazza di Bube, che Cinecittà ha appena restaurato, rappresenta bene quel lato “indomabile” del mio carattere».

Si sentiva la diva che tutti ammiravano e premiavano?

«Non tanto. Almeno non quel tipo di caricatura della “diva” a cui siamo abituati. La mia famiglia mi ha dato una base solida».

La figura pubblica è mai diventata ingombrante per la sua vita privata?

«Sì, certo. Quando lavoravo così tanto da girare quattro o più film l’anno di tempo privato ne avevo ben poco».

Ci racconta un momento di crisi, e come l’ha superato?

«Dopo l’incontro con Pasquale Squitieri e la separazione con Franco Cristaldi le cose sono state molto difficili. Ma ho sempre creduto nel destino, non mi sono preoccupata più di tanto e poi ero innamorata, il che mi ha molto aiutato. Nei momenti duri mi sono sempre affidata alla mia famiglia, a mia sorella Blanche e a Pasquale (Squitieri, Ndr).».

È fatalista?

«Da sempre. C’è un detto arabo che amo: “Maktub”. Significa: così è scritto, se una cosa deve accadere accade. Non sono nostalgica, non ho rimpianti né rimorsi e non temo il passare del tempo. Maktub».

Ha viaggiato ovunque, dov’è “a casa”?

«La Tunisia rimane per me la terra natale. Ho amato l’Italia e ora è in Francia, dove vivo da anni, che mi sento a casa».

Guardandosi indietro, qual è il segreto della sua carriera?

La mia professionalità. Sono sempre stata puntuale e concentrata sul lavoro.

E il valore che più l’ha aiutata?

«La libertà».

Chi sente di ringraziare per essere diventata l’indomabile?

«Franco Cristaldi, Fabio Rinaudo e tutti quelli che hanno investito tempo e pensieri su di me. L’indomabilità, però, la devo solo a me stessa».

Fotoper gentile concessione di: Angelo Frontoni –Cineteca Nazionale Museo Nazionela del Cinema, Archivio Luce –Cinecittà
CULTURA PROTAGONISTI
“Devo ringraziare Franco Cristaldi, Fabio Rinaudo e tutti quelli che hanno investito tempo e pensieri su di me. L’indomabilità la devo solo a me”
SCATTI IN MOSTRA
102 5 febbraio 2023
Due ritratti dell’attrice che andranno in mostra al MoMa di New York
€59,90 ABBONAMENTO ANNUALE 52 NUMERI a soli Abbonandoti a L’Espresso entro il 18/02/23 riceverai in esclusiva “Le Guide de L’Espresso Cioccolato - 100 Eccellenze italiane”. Telefono: 0864256266 | E-mail: abbonamenti@gedidistribuzione.it | ilmioabbonamento.gedi.it SCONTO 70% ABBÒNATI QUI Il regalo intelligente per San Valentino! La guida definitiva sul prodotto principe della festa dell’amore. Abbonamento annuale 52 numeri € 58,90 + Le Guide de L’Espresso Cioccolato - 100 Eccellenze italiane € 1,00. Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03 (conv.in legge 27/02/04 n.46) art.1comma 1-DCB Roma Austria Belgio Francia Germania Grecia Lussemburgo Portogallo Principato Monaco ovenia Spagna 5,50 Sfr. 6,60 Svizzera Sfr. 6,80 Olanda 5,90 Inghilterra 4,70 Gli altri giorni solo L’Espresso 15 gennaio 2023 L’ITALIA DI DOMANI

Un Festival moltiplicato per sei

Non fatevi fregare. Se mai qualcuno dovesse chiedervi cosa ne pensate di Sanremo, o peggio ancora: che cos’è Sanremo? Non rispondete, o meglio chiedete di definire meglio. Di quale festival si parla? L’inganno è tutto qui, il nome è sempre quello, ma di festival ce ne sono stati tanti, diversi e spesso neanche tanto conciliabili tra di loro. C’è quello degli esordi, tutto radio e languide presentazioni dove contavano davvero solo le canzoni e a cantarle erano solo in tre, tanto che nel 1952 fu possibile che Nilla Pizzi si piazzasse ai primi tre posti con tre diverse canzoni, c’è il misero inesistente Sanremo di metà anni Settanta, dimenticato da tutti e perfino dalla Rai, c’è la favola degli anni Sessanta, l’età dell’oro, quando c’erano le canzoni migliori, quelle che ancora oggi sono pezzi pregiati del nostro immaginario canoro, c’è quello degli anni Ottanta quando si votava con le schedine del Totip e vincevano sempre Al Bano e Romina e i Ricchi e Poveri, c’è stata l’era del baudismo e prima ancora quella di Mike Bongiorno, c’è stato il festival “modernista” di Fazio, quello distaccato e sarcastico di Raimondo Vianello, c’è stato l’unicum del festival 1967 dove uno dei cantanti in gara, Luigi Tenco, si è ucciso la notte in albergo dopo l’esibizione e la sera dopo la finale si è svolta ugualmente come se niente fosse, tanti diversi, opposti, incomunicabili Sanremo, compreso l’ultimo, quello di Amadeus, quello della missione che sembrava impossibile, ovvero riportare le canzoni al centro dell’attenzione, per assurdo l’unico risultato che ormai sembrava irraggiungibile pur trattandosi del sedicente, autoproclamatosi festival della canzone italiana.

all’estinzione, poi cominciò gradualmente a risalire, nel 1981, con attenzione ancora scarsa ma più vigile, la Rai ricominciò a investire sul festival, vinse Alice con una canzone firmata da Battiato e si percepì di nuovo il brivido della canzone da amare.

Che questo dato faccia scalpore la dice lunga sulla spuria, ingannevole e camaleontica natura della manifestazione più amata e odiata della storia dello spettacolo. Notiamo alcune coincidenze. Alla fine degli anni Settanta il festival era moribondo, prossimo

Ma il punto era un altro. La verità è che le canzoni non erano più così decisive. Era partita l’era della concorrenza, erano inziate le trasmissioni di Canale 5 che iniziò a rubare pezzi pregiati alla tv di Stato. Improvvisamente Sanremo diventò una risorsa da sfruttare e questo spiega perché per molti anni il festival è stato concepito essenzialmente come un programma televisivo. Di molte edizioni più che le canzoni ricordiamo gli exploit di Benigni, gli scandali, ricordiamo la pancia finta della Bertè, l’arrivo di Madonna, le irruzioni, il trio Marchesi-

CULTURA MUSICA
Si fa presto a dire Sanremo. Ma da Baudo ad Amadeus, da Bono a Mario Merola il festival non è mai stato uguale a sé stesso. Un critico che lo conosce bene ne ripercorre le evoluzioni
104 5 febbraio 2023

ni-Solenghi-Lopez. Altri tempi altri Sanremo. Nella sua infinita capacità di adattamento e sopravvivenza il festival è riuscito a mutare, a cambiare per rimanere se stesso, a cambiare ancora, fino a a ritornare al punto di partenza.

Al di là delle diverse conduzioni possiamo identificare almeno sei diverse fasi con sei diverse anime, la prima dal 1951 al 1957, ovvero quella melodica e radiofonica; dal 1958 al 1971, più o meno da Volare di Modugno a 4 marzo 1943 di Dalla, è l’età dell’oro; dal 1972 al 1981 la decadenza; dal 1981 al 2000 il festival della televisione; dal 2001 al 2016 gli anni di mezzo, interlocutori; dal 2017 a oggi, il ritorno delle canzoni. Da quando Amadeus, complice anche il trampolino delle precedenti edizioni firmate Baglioni, è riuscito a concentrarsi sulle canzo-

VOLARE

Domenico Modugno a Sanremo nel 1958, mentre canta la canzone “Nel blu dipinto di blu”

ni, è successo il miracolo: la mattina dopo al bar ci si accapiglia su chi ha cantato meglio, sulla canzone più interessante e sulla peggiore. A noi addetti ai lavori ci massacrano di domande. Dal negoziante abituale che conosce la nostra professione ora scatta implacabile la domanda: “dottò, ma che dice, ’sto Achille Lauro è un bluff? E Madame?”. Ovvio direte, e invece no, non succedeva da tempo immemore, casomai si parlava del pettegolezzo, del comico, delle papere, delle gaffe, dei retroscena, magari dell’ospite straniero che piratesco e altero passava e se ne andava senza alcun rischio.

Il festival è impossibile definirlo perché a Sanremo c’è stato tutto e il contrario di tutto, l’unico luogo in cui è stato possibile vedere Bruce Springsteen cantare in penombra The ghost of Tom Joad (era il 1996) e Toto Cutugno a cantare L’italiano col Coro dell’Armata Rossa (nel 2013), l’unico inimmaginabile luogo in cui negli anni hanno potuto convivere il più profondo provincialismo strapaesano ed eventi da leggenda del rock come quando i Placebo senza alcun preavviso si misero a sfasciare gli strumenti mettendo in serio imbarazzo la povera Carrà alla sua prima e unica conduzione.

Solo in quel teatro è stato possibile il verificarsi di un cortocircuito che se l’avesse pensato un fantasioso sceneggiatore gli avrebbero dato del matto, ovvero che Bono cantasse dal vivo accompagnato da The Edge alla chitarra, che decidesse di scendere in platea e attraversare il corridoio centrale cantando, proseguendo fino ad arrestarsi di fronte a Mario Merola che stava arrivando (in ritardo) in quel momento, e poi fargli un leggero inchino, un gesto di pura cortesia dovuto anche al fatto che Bono ignorava nella maniera più assoluta chi fosse lo spettatore ritardatario. Bono e Mario Merola nello stesso punto dello spazio-tempo? Possibile solo perché il festival è tutto e niente, perché è stato talmente tante cose diverse da poter contenere di tutto, festival, antifestival e controfestival e provate voi a metterlo in discussione.

Foto: Publifoto –LaPresse
5 febbraio 2023 105

“TRASFORMA LA TUA STORIA IN UN LIBRO”

“Un libro è il più potente strumento di marketing per farti conoscere, acquisire autorevolezza e aumentare il numero di clienti”

Giacomo Bruno

il papà degli ebook

WWW.BRUNOEDITORE.IT

Una vita in Blues

Èun pezzo importante di storia della musica, più che un’autobiografia, il libro “Nove vite e dieci blues” (Bompiani), di Mauro Pagani. Anche un tentativo di sprovincializzarla.

«Inizio a fare musica seguendo il blues e il primo rock americano, che nasce con la fine della guerra in Corea. La prima che gli Usa avevano perso. I soldati, soprattutto delle aree povere, venivano trattati male al loro ritorno. I giovani che avevano rischiato tutto senza avere nulla in cambio, reagirono: pretesero “tutto e subito”. La parte più conservatrice del Paese, che amava il country e detestava il rock perché nero, lanciò una campagna contro il movimento giovanile...».

Musicalmente l’America è ancora un punto di riferimento?

«Sì. Io ho sempre avuto passione per il blues che ci ha insegnato a improvvisare, a essere creativi, ad avere un rapporto personale con la musica. Nessuno ci insegnava il blues o il rock. Li imparavamo dai dischi. Con il blues abbiamo imparato a suonare con gli altri, ad ascoltare e interpretare. La musica classica lo consente poco». Alcuni vanno alla ricerca di altre tradizioni musicali.

«Sì, ma attenti. BB King diceva che il blues è la musica più facile da imparare, ma anche la più difficile da suonare. Il concetto vero di improvvisazione è “composizione momentanea. Anche il libero linguaggio ha bisogno di pratica e di ascolto».

È sempre stato aperto alle musiche del mondo.

«Sì, però sono figlio di una storia italiana. Negli anni ’70, tra i migliori per la musica, nasceva il progressive, genere che ci ha permesso di essere ascoltati con rispetto in tutto il mondo. C’erano la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Giovanna Marini, i Dischi del Sole, Lomax. Molti venivano a lavorare in Italia per raccogliere materiale. E poi gli Area, il Canzoniere del Lazio e di Napoli Centrale. Tutti bravi musicisti attenti alla cultura popolare. Molti definiscono Creuza de mä, uscito nell’84, il primo disco italiano di musica del mondo. Non è vero, l’Italia era avanti, sul

mercato erano già usciti dischi di world music. Peter Gabriel fondò la Real World nel 1988».

A parte la musica, ha avuto sempre a cuore la libertà.

«Mi sono iscritto in Statale nel 1964 vivendone tutte le contraddizioni degli anni a seguire. Ero e sono un uomo di sinistra».

Nel libro racconta l’esperienza di insegnante di musica nel centro sociale occupato di S.Marta a Milano. «Quando ho cominciato pensavo solo a fare il musicista. Poi ho trovato quattro bravi musicisti (la PFM), e dopo il primo disco finimmo primi in classifica: mi cambiò la vita. Ho imparato a suonare nei dancing e night club con musicisti di cultura jazz di una generazione più anziana. Sono stato fortunato, per questo sento di restituire qualcosa».

Cosa vede d’interessante nella musica d’oggi?

«C’è tanta bella musica, ma si fa fatica a trovarla. Escono duemila dischi a settimana: come si fa a starle dietro? A volte sembra difficile capire la musica di oggi. Ma anche noi facevamo musica che i nostri genitori non capivano». www.culturacommestibile.com

Foto: F. Grego –Olycom / LaPresse MUSICA CULTURA
Gli anni Settanta. Le influenze dal mondo. E le sonorità di oggi.
“Interessantissime. Ma con duemila uscite alla settimana, si fa fatica a coglierle”
colloquio con MAURO PAGANI di SIMONE SILIANI L’ANIMA DELLA PFM Il musicista e produttore Mauro Pagani.
5 febbraio 2023 107

Variazioni tedesche

Campagne deserte. Villaggi distrutti. Fiumane provocate dal disgelo che scorrono tra carcasse contorte di auto.

È tornato Philippe Claudel, con un libro che ancora una volta esplora cosa resta di un uomo quando la sua umanità è messa alla prova e il libero arbitrio soffocato da ruoli e funzioni che sembrano non consentirgli margini di scelta. E il parterre è completo e inconfondibile: la guerra e il nazismo, i soldati consunti, i sopravvissuti a lager o morti di fame, i testimoni innocenti. Claudel, insomma, nello stile delle “Anime grigie”, che scavava negli orrori bellici, nello sforzo di svelare il mistero di una bimba trovata morta in un canale, e anche del “Rapporto”, che indagava sul crimine collettivo di una comunità di montagna. Tutto secondo le attese, almeno fino alla fine del primo racconto. Quando il libro trascina il lettore nella mischia.

Philippe Claudel in cinque racconti. Un saggio per guardare “A sinistra, da capo”. Un emozionante memoir. E la Sicilia del capomafia

Da cosa è nata la sinistra? Cosa la contraddistingue ancora? Quale autocritica è necessaria per ritrovare credibilità e futuro? Con le consuete lucidità e passione, il politico Pd, tra i principali protagonisti della sinistra, riflette sul passato e sull’oggi, sulle ferite aperte e sulle sfide perse. E, su tutto, sulla necessità di restare in campo, avanzando proposte, invitando a ritrovare slancio e metodo. Per un rinnovamento, coi piedi saldati nella storia.

PaperFirst, pp. 315, € 18

Si incontrano per caso su una panchina, nei mesi della pandemia. E lui, ingegnere bolognese di 90 anni, consegna a lei, scrittrice e illustratrice, una storia emozionante e vera che interroga sul bene e sul male, sul destino e la fortuna, sulla libertà di ognuno. La storia di una famiglia ebrea messa in salvo dalle persecuzioni da una donna chiamata Edvige Mussolini: proprio la sorella del Duce.

Philippe Claudel

Ponte alle Grazie

pp. 139, € 15,90

Perché con questo romanzo generato da una sequenza di short stories e testimonianze narrative, scritte in tempi diversi e legate l’una all’altra da connessioni successive, lo scrittore nato in Lorena compie un’operazione nuova, affidando a chi legge il canovaccio di una storia volontariamente lacunosa e il compito di ricucirne i frammenti: spezzoni di esistenze diverse, che ruotano tutte intorno a un simbolico “Viktor”, nazista che assomma vendetta, giustizia, impossibilità di un perdono.

E con lui un prisma spiazzante di uomini e donne che, incorporando verità opposte, lasciano di volta in volta col dubbio di composizioni mancate, di simmetrie non colte, di significati forzati. E reclamano l’impegno di riempire i vuoti improvvisando: come si addice a una fantasia musicale. E come evocato dal più suggestivo titolo in francese del libro, “Fantaisie allemande”, diventato in italiano “Dopo la guerra” (Ponte alle Grazie). Un libro di tragedia e malinconia, pietà e cattiveria, che esplodono nel testo intitolato “Irma Grese”: racconto perfetto di un vecchio inerme e di una ragazza senza scrupoli, aguzzino che diventa vittima e carnefice che ignora il destino che l’attende. In un meccanismo implacabile: dove morte e vita si tendono agguati.

Cristina Petit - Alberto Szegö

Solferino, pp. 448, € 20

On the road per la Sicilia, non per un giro turistico ma sulle tracce di quell’uomo che è stato latitante per trent’anni: Matteo Messina Denaro. Un viaggio per la Sicilia occidentale compiuto nel 2021 e ora riproposto in un podcast in dieci puntate che immerge nei luoghi dove il mafioso ha vissuto. Dove il mestiere di giornalista è complicatissimo. E dove una bellezza senza tempo tutto pretende di avvolgere e di nascondere.

Matteo Caccia e Giacomo Di Girolamo

Audible Original

DOPO LA GUERRA A SINISTRA DA CAPO Goffredo Bettini A CASA DI DONNA MUSSOLINI L’ISOLA DI MATTEO
5 febbraio 2023 109 BOOKMARKS Sabina Minardi

TEATRO Francesca De Sanctis

Opinioni di un clown

Bastano poche e semplici scelte – ma azzeccatissime, certo - , per fare di uno spettacolo teatrale un piccolo gioiello. Cosa? Intanto un bel testo, che sia nuovo e ben scritto, e poi degli attori che abbiano “stoffa”, in questo caso “La stoffa dei sogni”, come titola lo spettacolo scritto da Armando Pirozzi e diretto da Massimiliano Civica prendendo in prestito un verso da “La tempesta” di Shakespeare («noi siamo fatti della stessa stoffa dei sogni»), e che ha per protagonista un moderno Prospero interpretato da un grande maestro come Roberto Carpentieri. Testo e attori dicevamo, plasmati da uno sguardo sapiente capace di valorizzarli, in questo caso quello di Civica. La sua regia è essenziale, scarna, in perfetto stile Civica, uno dei pochi registi rimasti fedeli a se stessi pur essendo diventato direttore di un teatro, il Metastasio di Prato, che ha prodotto lo spettacolo. Dunque, davanti a voi troverete un rettangolo arredato con pochi oggetti: una poltrona, un tappeto e poco altro. Lo spazio viene riempito però da una magica atmosfera (poesia?) in cui aleggia il senso stesso della vita, in bilico tra sogno e realtà. Protagonista della pièce è Carmine Sirignano (un magnifico Renato Carpentieri), attore che ha dedicato una vita al teatro. E poco importa se con gli anni ha dovuto ripiegare sul cabaret («L’arte è un mestiere intenso, pieno di alti e bassi. È bello però. Sempre bello. Recitare, stare lì»). Lui le sue magie continua a farle indossando un naso rosso

Un momento dello spettacolo “La stoffa dei sogni”, regia di Massimiliano Civica da un testo di Armando Pirozzi

Scenografia essenziale e bravi attori per “La stoffa dei sogni”: omaggio di Civica e Pirozzi all’eterna magia del palcoscenico

come quello dei clown e tentando in tutti i modi di conquistare un abbraccio della figlia Barbara (Maria Vittoria Argenti, una scoperta inaspettata). Interviene per aiutarlo anche il giovane Rocco (Vincenzo Abbate, anche lui all’altezza del ruolo), che vede in Carmine il suo maestro. Proprio l’intreccio di reazioni fra loro tre tiene in equilibrio lo spettacolo, che altro non è se non un grande omaggio al teatro. Queste riflessione attorno al gesto dell’artista mi ricordano un’altra pièce: “Boccascena” di César Brie e Antonio Attisani, un gioco provocatorio sulla necessità del teatro. Ma sposare l’arte della recitazione significa anche portarsi dietro il dolore di quella scelta. Eppure – sembra dirci Civica - dobbiamo vivere la vita modellandola proprio come se fosse un pezzo di stoffa da cucire, seguendo i contorni della nostra fantasia, abbracciando i sogni e la vita di tutti i giorni. Non a caso il testo di Pirozzi ci ricorda la preghiera indiana un tempo pronunciata alla fine di ogni spettacolo: “Possano sempre tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore”.

“La stoffa dei sogni” di Armando Pirozzi regia di Massimiliano Civica

Torino, Teatro Astra, fino a 5 febbraio Roma, Teatro India, dal 7 al 12 febbraio Sarzana, Teatro Comunale, 18-19 febbraio

APPLAUSI E FISCHI

Buon compleanno al Teatro delle Moline di Bologna! Lo storico spazio, fondato il 9 febbraio del 1973 da Luigi Gozzi, festeggia i suoi primi 50 anni di vita riportando in scena “Freud e il caso di Dora” dello stesso Gozzi, scomparso nel 2008. Il riallestimento, in scena fino al 12 febbraio, è a cura di Marinella Manicardi.

Centinaia di firme, da Massimiliano Gallo a Lina Sastri, e un appello: «Giù le mani dal Teatro San Carlo». Eh sì, perché l’ente lirico partenopeo sta facendo una gran brutta figura. Il motivo? Lo scontro aperto tra la Regione Campania (che ha votato contro il bilancio della Fondazione) e il Comune di Napoli. Deponete le armi, please.

110 5 febbraio 2023
Foto per gentile concessione di: D. Burberi

Una balena in aeroporto

La più nota è quella di Melville che «sotto la quiete apparente nascondeva un uragano», ma chiunque sa che la balena, che ci dice quanto è profondo il mare e quindi quanto è grande il mondo, è più minacciata che minacciosa (nonostante la letteratura ci suggerisca il contrario). Abbiamo fatto di tutto per addossarle ruoli da antagonista, stravolgendo la Bibbia che nel libro di Giona ci racconta del profeta inghiottito da quello che pare un mostro marino primordiale, o la favola più nota al mondo, Pinocchio, che finisce nel ventre di un pesce cane dove ritrova il padre: nella narrazione contemporanea queste sono diventate balene. E chissà che queste mistificazioni non siano arrivate per giustificare la caccia ai cetacei, che ha almeno 8.000 anni e incredibilmente continua anche oggi nonostante dal 1986 ci sia una moratoria internazionale per vietarla. Se ne infischia il (civilissimo?) Giappone che anche quest’anno ha fissato una quota di quasi 400 balene per i cacciatori, che per evitare gli assalti delle associazioni spesso vanno in mare travestiti da ricercatori.

È bello allora vedere che l’aeroporto di Fiumicino abbia scelto proprio una balena come opera per accogliere i milioni di viaggiatori che passano di lì ogni anno: è la Grande Anima dell’artista e designer Marcantonio. Un’installazione di 12 metri nella piazza principale dell’aeroporto, che pesa parecchi quintali ma sembra leggera come una nuvola appesa al soffitto del terminal. Una balena volante, che svetta e ci trasporta in una fia-

Sospeso nella hall di Fiumicino, il cetaceo pieno di luce di Marcantonio ci parla di miti, di favole. E soprattutto di ecologia

“Grande anima”, installazione di Marcantonio all’Aeroporto

Leonardo da Vinci di Roma

ba, perché a vederla sopra di noi sembra davvero di camminare in fondo al mare. Al suo interno migliaia di luci tutte diverse tra loro: vecchie lampade, lumini, lampadari, lampioni, insegne luminose che Marcantonio ha recuperato e sono cariche di storie personali, perché hanno illuminato le notti e le vite di tante persone. Siamo noi a tenere viva la Grande Anima, a permettere che questa si possa vedere anche da lontano. E se da una parte quello scheletro ci fa credere che per un attimo ci abbiano consegnato una vista a raggi X, perché quella balena è viva e la sentiamo nuotare, dall’altra ci fa sentire di avere fallito, di essere in pericolo perché in pericolo è il Pianeta. E speriamo sarà una promessa mantenuta questa operazione che è presa di posizione dell’aeroporto più grande d’Italia, che si è dato l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2030, in netto anticipo rispetto ai target internazionali di un settore che vale da solo il 2% delle emissioni di CO2 del Pianeta. La balena è un simbolo anche per questo, perché il suo contributo alla lotta contro il cambiamento climatico è molto utile proprio perché questi enormi animali sono in grado di sequestrare grandi quantità di carbonio: contributo che noi ricambiamo con le microplastiche che le mettono in pericolo più della caccia, se si pensa che le balene azzurre arrivano a ingerirne fino a 40 kg al giorno.

Marcantonio è una superstar del design (da Armani a Natuzzi, da Qeeboo a Seletti, ha lavorato per giganti del settore) che però riesce ad abbattere la linea di confine tra questa disciplina e l’arte, con un’ibridazione della quale entrambi i comparti hanno un disperato bisogno. Per i nativi americani la balena rappresenta il principio e la memoria della creazione: tra sogno magico e visione drammatica, l’equilibrio tra questi aspetti nella Grande Anima di Marcantonio sarà diverso per ognuno. E nessuno sarà sbagliato.

5 febbraio 2023 111 smART
Nicolas Ballario

L’era del copio ergo sum

Copio, ergo sum. Non se ne può fare a meno, intrappolati come siamo nell’epoca dell’eterno ritorno, del riciclaggio, della ri-composizione. Ogni cosa sembra la copia della copia della copia. Ma anche il plagio non è più come quello di una volta, non è più il tempo in cui accusavano Ivana Spagna di aver copiato la sua “Gente come noi” da “Last Christmas” di George Michael e lei candidamente ci teneva a precisare che non aveva niente a che vedere con quella, casomai si era ispirata a “Insensitive” di Jann Arden. Non è più il tempo delle leggendarie dispute legali tra Sergio Endrigo e Bacalov, con tanto di perizia in tribunale di Ennio Morricone, oppure di quella clamorosa che oppose nella pretura di piazzale Clodio a Roma niente di meno che Al Bano e Michael Jackson. Non c’è neanche più la possiblità che uno come George Harrison pubblichi la sua più bella e deliziosa hit, “My sweet lord”, ammettendo poi, con la onestà che lo contraddistingueva, di aver inconsapevolmente copiato un precedente pezzo delle Chiffons intitolato “She’s so fine”, ammettendo la colpa e pagando il dovuto. Le leggi sul plagio sono strane, e per certi versi antiche, concepite per un’epoca in cui il plagio aveva un sen-

UP & DOWN

Classe 1945, Sir George Ivan Morrison, meglio noto come Van, pubblica un singolo intitolato “Worried man blues”, che potrebbe essere uscito indifferentemente nel 1958, nel 1974, oppure oggi. Ma l’unico a non essere preoccupato sembra proprio lui perché a dispetto di ogni evidenza, nel pezzo c’è vita.

Classe 1947, Sir Elton Hercules John, nato Reginald Kenneth Dwight, meglio noto come Elton, si è imbarcato per il più lungo tour d’addio della storia della musica, iniziato nel 2018 e non ancora completato, fruttando cifre sbalorditive. Un addio talmente lungo che si fa fatica a credere che sia veramente un addio.

Il plagio non è più quello di una volta. Tutti copiano tutti. Con la stessa sensazione diffusa di déjà-vu. Le leggi andrebbero riscritte

Un frame tratto dal video della canzone di “Mille”, con Achille Lauro, Orietta Berti e Fedez

so, e il meccanismo più diretto: si doveva solo valutare se qualcuno aveva deliberatamente copiato da qualcun altro. E agivano con molta severità: quando gli Stones fecero causa ai Verve perché nella base di “Bitter sweet symphony” avevano utilizzato un tema strumentale di un loro pezzo, i Verve sono stati costretti a cedere interamente le royalties anche se c’era una cospicua parte originale scritta da loro.

Oggi è tutto cambiato. Assecondando un processo graduale di perdita di originalità le canzoni tendono ad assomigliarsi, e al prossimo festival di Sanremo proveremo di nuovo quella strana sensazione di déjà-vu. Qualcosa di già sentito c’è sempre, un’aria di familiarità, di conosciuto. Un esempio per tutti: ricordate la mega-hit “Mille” di Fedez featuring Achille Lauro e Orietta Berti? Lì non è questione di plagio, casomai di bricolage. Scomponendo la canzone potremmo rintracciare un’infinità d frammenti riconducibili a qualcosa di precedente. Ma è solo un caso eclatante di un procedimento abituale. Lo fanno tutti. Come se le combinazioni si fossero esaurite e oggi scrivere una canzone voglia dire usare i materiali del passato come fossero tanti piccoli mattoncini di un gioco di costruzioni che alla fine porta a qualcosa di inedito ma che ci sembra altamente familiare. Ovvio che anche le leggi del plagio andrebbero riscritte. Se tutti copiano tutti, alla fine chi è il colpevole?

Foto: Kikapress
5 febbraio 2023 113 LE GAUDENTI NOTE Gino Castaldo

HO VISTO COSE Beatrice Dondi

Buoni esempi marziani

La nota più aliena di Pierfrancesco Diliberto detto Pif è la sua voce. Un tono infantile, vagamente stridulo, a tratti stralunato neanche fosse un tratto somatico, siciliano sì ma a modo suo, immediatamente riconoscibile in una televisione che tende ad affastellare suoni generalmente tutti uguali. Pif invece no, passa ogni sera su Rai Tre col ritorno del suo “Caro Marziano” e la visione distratta perde la sua vaghezza catturando un’attenzione curiosa, che si tiene stretta per le inedite corde dell’ottimismo. Perché le sue cartoline all’extraterrestre che cade sulla Terra distillano gocce che raccontano un Paese apparentemente nascosto, una serie di note buone che sbucano da una sinfonia generalmente stonata, personaggi per cui tifare, sparpagliando qua e là tratti di entusiasmo e briciole di commozione.

"Caro Marziano" è un programma di Pierfrancesco Diliberto e Luca Monarca, prodotto da Fremantle per Rai Cultura.

Pif è tornato su Rai Tre con le sue piccole storie di ordinario ottimismo. Che sono i veri alieni nel confuso cinismo terrestre

menti. Nelle piccole grandi storie in quindici minuti, c’è il piccolo Genny, che a soli undici anni ha creato una comunità energetica rinnovabile e solidale in un quartiere di Napoli. Ci sono gli studenti che vanno a scuola di pace, c’è Gherardo Brami, che si prende cura di quaranta uccelli, ci sono i ragazzi che giocano a Basket Integrato tutti insieme, maschi e femmine, disabili e normodotati. E c’è anche Piero Nava, il gigante col passamontagna, testimone oculare dell’omicidio Livatino, che per rendere giustizia al magistrato ucciso dalla mafia ha rinunciato al suo nome, al suo lavoro, alla sua famiglia, e che non ha mai rimpianto neppure per un secondo di averlo fatto. Alla fine, puntata dopo puntata, fa capolino un sospetto che rischia di diventare certezza, ovvero che il vero marziano a cui si rivolge il programma non sia il Kunt del racconto di Flaiano, che vorrebbe tornare su Marte sempre che gli albergatori romani non gli abbiano pignorato l’aeronave. Ma che al contrario siano proprio loro, i protagonisti dei buoni esempi, che, come alieni piovuti dal Pianeta rosso, cercano di trovare il giusto spazio qua e là, tra indifferenze e cinismi terrestri. Praticamente, un po’ come Pif.

DA GUARDARE MA ANCHE NO

Regista, scrittore, conduttore radiofonico, doppiatore di pinguini e portatore sano di incazzature a fin di bene, Pif si concede anche fisicamente, indossa caschetti, gattona nelle grotte, guarda aerei casalinghi, abbraccia, domanda, si appassiona alle storie che mostra e regala con generosità, si muove con gli auricolari col filo, contro le diavolerie moderne, e la telecamera a spalla, perché che quel conta, fa strano solo a dirlo, è più il contenuto della forma. Così se ne va in giro a catturare piccole pietre preziose e a restituirle, con fare semplice, come in un sano baratto di senti-

Va avanti da dodici anni, stesse dinamiche, i grembiuli, i test, la balconata, le esterne, le baruffe tra giudici, le pacche sulle spalle, gli sguardi truci, le lacrime, le eliminazioni, i mestoli dei concorrenti e così via. Eppure l’effetto comfort food che regala “Masterchef” (Sky) è sempre garantito. Altro che torta al cioccolato.

Ennesima lezione di stile nel pacatissimo studio di Paolo Del Debbio “Dritto e rovescio”. Un senatore di Forza Italia urla a più non posso: «Tu non sei povero, non fare il povero, si vede che non sei povero!». Mai sbagliare un outfit in un talk show di Rete 4, che altrimenti si capisce subito che stai mentendo.

114 5 febbraio 2023

Dentro l’onda del male

Premiato a Venezia e ora candidato a ben nove Oscar (film, regia, sceneggiatura, quattro attori, musica, montaggio), “The Banshees of Inisherin” è una specie di summa dell’arte di McDonagh, il drammaturgo e regista inglese di origini irlandesi noto per “In Bruges” e “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Una commedia nero pece sull’orgoglio (e l’amore) ferito. Ma anche una scoperta metafora della nostra incapacità di vivere in pace. Animata dalla vera specialità di McDonagh: dialoghi lievi ma densi, sferzanti, esplosivi. Come tutto questo film ambientato su un’immaginaria isoletta irlandese nel 1923, in piena guerra civile. Anche se i cannoni rombano in lontananza e a Inisherin tutto procede come sempre. Fino al giorno in cui il massiccio Colm (Brendan Gleeson) decide di chiudere col vecchio amico Pádraic (Colin Farrell). Di colpo, senza ragioni. Se non quella, dura da digerire, che il tempo passa, Colm non è più un ragazzo e anziché cianciare al pub vuole pensare, suonare il violino, scrivere canzoni.

Questo l’avvio di un film che procede di sorpresa in sorpresa muovendosi tra pochi ambienti e un pugno di personaggi

ENTUSIASTI E PERPLESSI

Mentre gli autori dell’Anac chiedono che in sostegno alle lotte contro il regime iraniano la Rai trasmetta “Il male non esiste” di Mohamad Rasoulof, appena scarcerato, Fuoriorario (Raitre) propone tra il 10 e l’11 febbraio due Panahi inediti in tv, “Taxi Teheran” e “Tre volti”. Sperando che nel frattempo il grande regista torni libero.

Certo, sono le leggi del mercato, come no. Ma far uscire solo dal 12 al 14 febbraio il Leone d’oro “Tutta la bellezza e il dolore” di Laura Poitras, docu sulla grande fotografa Nan Goldin, la sua arte e le sue lotte, è davvero inaccettabile. E se poi vince un secondo Oscar dopo quello di “Citizenfour”? Sarebbe una bella nemesi.

Dialoghi intensi, lievi, esplosivi. Quella di McDonagh, candidata a ben nove Oscar, è una commedia nero pece sull’orgoglio ferito

suggestivi. Siobhàn, la sorella di Pádraic (Kerry Conlon), bellezza solitaria e amareggiata. Dominic (Barry Keoghan), figlio del poliziotto locale, meno tonto di quanto sembri. E le tipiche figure di un posto simile, il padrone del pub, la bottegaia pettegola, il prete, una vecchia forse un po’ strega. Più un cane e un’asinella, decisivi. Tutti capaci di “suonare” una musica familiare e insieme nuova, dai toni via via più allarmanti.

Con qualche nota brusca (“Tre manifesti” era più fluido, la mitologia del poliziesco offre appigli più solidi e condivisi), ma la stessa capacità di tuffarci dentro l’onda lenta del male che si propaga. Per capriccio, per partito preso, perché così va il mondo. Senza perdere lo humour tipico di questo autore che qui gioca a carte scoperte, spingendo verso la parabola il suo gusto per i microcosmi mèta-storici. Trainato da questi due amici-nemici costruiti per incarnare esigenze opposte e complementari. Che qui sono l’isolamento e la semplicità, la ricerca interiore e la vita quotidiana, l’ambizione personale e la semplice bontà. Ma potrebbero anche essere differenze sociali, etniche o religiose. Lettera o metafora, dunque? Amicizia tradita o allegoria della guerra civile (di ogni guerra civile)? McDonagh giustamente non si scopre. Ma le Banshees, annunciatrici di sventura nella mitologia celtica, avranno il loro bel da fare.

Foto: Xxxxxxxx xxxxxxxx
GLI SPIRITI DELL’ISOLA di Martin McDonagh Gb-Irlanda-Usa, 114’
5 febbraio 2023 115 BUIO IN SALA
Fabio Ferzetti

Il dilemma della pettorina

Collare o pettorina. Cosa sarà meglio per il nostro cane? Il mondo cinofilo su questo tema si divide. Sui social le polemiche imperversano. Per un neofita, diventa un dilemma insormontabile. Il collare farà male al cane? Alla fine è una striscia di cuoio intorno al collo. Aiuto. Già la sensazione di smarrimento pervade il neofita che è nel negozio per animali e non sa cosa scegliere. Poi si trova di fronte a scaffali pieni di collari di ogni foggia e colore e alla fine, stremato dal dubbio, si fa consigliare dal negoziante. Cerchiamo di fare luce sull’atroce dilemma. Il collare, così come il guinzaglio, sono strumenti o “aiuti”, importanti per la sicurezza del cane e del prossimo.

L’ordinanza Martini all’art. 83 D.P.R. 320/54, prevede che il cane nelle aree urbane, nei luoghi pubblici e nei luoghi aperti al pubblico deve essere sempre condotto mediante un guinzaglio di 1,5 metri di lunghezza massima.Il guinzaglio si aggancia ad un collare. E qui arriva la scelta. Il collare va applicato al collo del cane, dovrà essere della giusta lunghezza in base alle sue misure. Non deve essere né troppo stretto, tanto da soffocarlo, né troppo largo, tanto da permettergli con una mossa veloce di liberarsene. Ce ne sono di tanti modelli e materiali. Certo un collare di stoffa non andrà bene per un pastore tedesco così come un grosso collare in cuoio non sarà adatto ad un bolognese. Se poi ci sembra che, un collare sia un oggetto terribile, possiamo optare per la pettorina. At-

CAREZZE E GRAFFI

Due cani Golden Retriever con la pettorina

Di stoffa o di cuoio, con maniglia o da retriever. A ogni cane il suo guinzaglio. E ai padroni il compito di utilizzarli bene

Per scegliere il collare occorre rivolgersi a un buon educatore cinofilo. Anche il collare va saputo usare perché non si trasformi, come tutti gli altri aiuti, in uno strumento coercitivo.

Il collare a strozzo o retriever è sconsigliato per i proprietari neofiti e per cani che tirano al guinzaglio. Di solito viene usato solo da chi ha il cane perfettamente educato e agli ordini. Non andrà bene per chi è alle prime armi.

tenzione. Quelle pesanti e con la maniglia non sono adatte per i cani che vanno a passeggio ma per quelli da ricerca ad esempio, che vengono condizionati a questo tipo di pettorina. Sanno perfettamente che quando la indossano, il loro compito è cercare qualcosa o qualcuno. Per il cane di casa optiamo per quelle leggere. Se di grossa taglia, con il gancio sul petto piuttosto che sulle scapole. Siccome ad ogni forza ne corrisponde una uguale e contraria, meglio non dare adito al cane di appoggiarsi sulle cinghie poste sul petto e tirare sempre di più. Il gancio posizionato sul davanti impedirà al cane di prendere la pessima abitudine di spingere e portarci a spasso. Ma, come tutti gli strumenti e gli “aiuti”, il collare non risolverà il problema del cane che tira. Una menzione speciale va al così detto guinzaglio retriever. È stato creato per toglierlo velocemente ai cani da riporto. Di solito è un cordone o un tubolare in cuoio che scorre in un anello e forma un cappio. Non usatelo se il vostro cane non è perfettamente in sintonia.

Collare e guinzaglio servono per la sicurezza del cane e degli altri, non certo per impedirgli di portarci a zonzo per i giardinetti. Pensate sempre che questi strumenti siano immaginari e impalpabili. Quello che conta è la relazione. Se quella è solida, qualsiasi aiuto sarà solo una formalità.

Foto: C.A.
5 febbraio 2023 117
BESTIALI
Saersten –EyEm / GettyImages
AMICI
Viola Carignani

Rivoluzionari globali, unitevi

Avocado, Kiwi, Coriandolo. Lasciamo le maiuscole per questa declinazione del verde secondo Carlo Cracco e Luca Sacchi. Paradigmi vegetali, luminosità e lucentezze contemporanee, lavorazioni su un gusto che corre verso orizzonti nuovi, anzi nuovissimi. Pensiamo, per esempio, che in pasticceria il kiwi è sempre stato visto con sospetto a causa di ossidazioni repentine. Le cose cambiano e questo piatto è divenuto il simbolo del diciottesimo Congresso di Identità Golose che guarda caso è intitolato: “la Rivoluzione è servita”. Così come gli ingredienti di questo piatto un tempo erano esotici e ora sono divenuti italianissimi, così Paolo Marchi e Claudio Ceroni – gli ideatori della kermesse - hanno voluto dare tramite questa immagine una dimensione di svolta. Il periodo è quello giusto, di tempo sennò ce ne rimane poco. Concetto che ha sottolineato il colto e raffinato Davide Rampello nella sua lectio d’apertura: «Rivoluzione in cucina è innanzitutto quella dei grandi cuochi del Rinascimento italiano che fanno la forza di principi, duchi, conti e dei loro singoli casati. L’esaltazione del territorio italiano nasce proprio in quegli anni e con quei cuochi che non sapevano solo fare un piatto ma anche metterlo in scena. Nasce la grande cultura del sapere che si era persa nel Medioevo». Si parte da lì per arrivare a una serie di cambiamenti epocali che han-

Sopra: lo chef brasiliano Alex Atala, tra i protagonisti di Identità Golose

no segnato la cucina. Pensiamo alle ultime partendo ovviamente dalla Nouvelle Cuisine creata ufficialmente da Christian Millau e Henri Gault, giornalisti fondatori della omonima guida (che ebbe proprio una joint venture con la nostra Guida Espresso all’inizio della sua storia), la locuzione emerse pubblicamente tra il 1960 e il 1970 quando designò un approccio radicalmente differente alla pratica culinaria. Era nuova perché nuova era la sensibilità che la edificava, permeata dal rifiuto delle complicazioni, dall’esigenza del nitore, dalla diminuzione dei tempi di cottura e dall’utilizzo di alimenti freschi e di stagione rispondenti a specifiche esigenze di ordine estetico e parallelamente nutrizionale. Da questo momento in poi si sono avvicendate - per germinazione spontanea o costruite con precisi concetti di marketing perfettamente applicati – una lunga teoria di movimenti che hanno coinvolto il globo in lungo e in largo. Poi pandemia e crisi assortite hanno fatto comprendere che tutto quello che era certo ora non lo è più. Occorrono nuove idee, nuovi approcci umani e nuove sensibilità che possano coniugare etica ed estetica in un concetto di coerenza che stia al passo con questo momento storico. Per questo appunto bisogna essere rivoluzionari senza paura.

DOLCE E AMARO

LA SNELLEZZA DELLE CARTE

Finalmente si sta comprendendo che il valore delle carte, che siano dei vini o dei piatti, non è proporzionale alla lunghezza ma alla qualità, alla personalità e alla pertinenza. Della serie poco ma buono e soprattutto, intelligente.

LA VOCE “COPERTO” NEI PERCORSI A DEGUSTAZIONE

Passi l’esigenza di tenere la voce in questione nella cosiddetta “carta” che sa un po’ di vecchio ma salvaguarda il ristoratore da chi consuma poco, ma tenerla in un percorso che ha un costo e una programmazione ben definita proprio non ci sta.

Foto: Brambilla –Serrani / Identità Golose Milano
Nulla è più certo in cucina. Ma se sapori e tecniche cambiano rapidamente, servono sensibilità e idee per coniugare etica a estetica
118 5 febbraio 2023 GUIDE DE L'ESPRESSO A TAVOLA
Andrea Grignaffini

GUIDE DE L'ESPRESSO IL VINO Luca Gardini

Biologico d’Abruzzo

La Valentina è una di quelle realtà di cui è un piacere parlare, rarissimo caso di sintesi perfetta tra vocazione territoriale e lungimiranti intendimenti aziendali. Siamo a Spoltore, sulle colline che circondano la città di Pescara, a una dozzina di chilometri appena dal mare. Una Regione, l’Abruzzo, che rappresenta, nella storia pur recente del vino italiano, una riscoperta, capace di regalare espressioni avvincenti, rimaste tuttavia per anni un patrimonio strettamente locale. Tutto, o quasi, cambia una trentina di anni fa, quando diversi piccoli ma raffinati produttori si mettono in luce, con l’intento di trasformare la Regione in un’eccellente modellizzazione a livello di approccio agricolo sostenibile. Fattoria La Valentina nasce proprio nel 1990, assumendo la forma attuale nel 1994, quando i fratelli Sabatino, Roberto e Andrea Di Properzio ne prendono in mano le redini. Due corpi aziendali, uno a 150-200 metri slm, con suolo limoso-argilloso di medio impasto, e uno ai piedi della Maiella, a 350 metri slm, un microclima collinare, tuttavia allietato dalle correnti che provengono dalla costa. Il fulcro è fin da subito la campagna, da cui nasce l’iter verso la conversione al biologico che, anche grazie alla consulenza di Luca D’Attoma, si trasforma in un produttivo percorso di ascolto attivo delle piante. Poi c’è una cantina moderna, capace di assecondare gli intendimenti aziendali, con grande attenzione dedicata alla digeribilità del prodotto finito. Pecorino, Trebbiano e Montepulciano (ovviamente anche in versione Cerasuolo) le etichette, che rappresentano un vero poker d’assi. Si inizia con il Montepulciano d’Abruzzo Riserva DOC Spelt 2019, naso di cassis e mentolato, con chiusura su note di rabarbaro, bocca croccante e profonda, tannini salmastri e ritorno balsamico-fruttato sul finale. Poi il Trebbiano d’Abruzzo DOC Spelt Oro 2020, naso di susina gialla, con tocchi di salvia selvatica e biancospino, piacevole alla beva, con richiami di macchia mediterranea, limpida fotografia delle potenzialità territoriali.

Sulle colline di Pescara tre fratelli producono Pecorino, Trebbiano, Montepulciano e Cerasuolo: un poker d’assi di sapori

La vendemmia nella Fattoria La Valentina di Spoltore (Pescara). A destra: Sabatino Di Properzio nella cantina

MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC RISERVA BELLOVEDERE 2019

PUNTEGGIO: 97/100

Una linea di etichette minimale, segno di idee cristalline, Fattoria La Valentina asseconda la vocazione territoriale producendo rossi e bianchi ugualmente distintivi. L’apice è questo Riserva da una parcella di soli due ettari. Un vino dal naso sfaccettato; mora di rovo, maggiorana, tocchi di caffè tostato e note di iris. Al palato è ricco, con richiami di frutti rossi e un piacevole finale mentolato, di grande persistenza. Da provare in abbinamento ai classici arrosticini abruzzesi.

FATTORIA LA VALENTINA SRL

Via Torretta, 52 - 65010 Spoltore (PE) 085 4478158

info@lavalentina.it

5 febbraio 2023 119

E VOI Stefania Rossini

Antonella Viola e il vino stellato

Cara Rossini, la dottoressa Antonella Viola ha voluto avvisarci: anche chi beve un solo bicchiere di vino al giorno espone la propria salute a rischi altissimi e, per non farci mancare niente, ha detto anche che chi beve alcol ha il cervello più piccolo degli astemi. Ora, nessuno ha mai negato che l'abuso di bevande alcoliche faccia male, anzi malissimo, e che gli alcolizzati vadano incontro a disastri fisici inevitabili, però, millenni di cultura enologica hanno dimostrato che un buon bicchiere di vino di qualità ha poteri organolettici non indifferenti. Innanzitutto i polifenoli, contenuti specialmente nel vino rosso, aiutano a combattere l'indurimento dei vasi sanguigni, ma ancora più importante è la capacità di sviluppare endorfine naturali che il piacere di gustare un bicchiere di quello buono, stimola in maniera significativa (provare per credere). C’è poi una cosa che mi lascia perplesso: ci sono stuoli di medici ed esperti che passano la loro vita ad ammonirci su quanto ci nuoccia ogni alimento, sostanza o pratica che ci dà piacere, ma ce ne fosse qualcuno che ci mette in guardia dalla nocività delle attività lavorative che si è costretti a svolgere. A dirci di non bere c'è un vero e proprio esercito, a avvisarci di quanto faccia male al nostro fisico l’attività lavora-

DIRETTORE RESPONSABILE:

Alessandro Mauro Rossi

CAPOREDATTORI CENTRALI:

Leopoldo Fabiani (responsabile), Enrico Bellavia (vicario)

CAPOREDATTORE: Lirio Abbate

UFFICIO CENTRALE:

Beatrice Dondi (vicecaporedattrice), Sabina Minardi (vicecaporedattrice)

Anna Dichiarante

REDAZIONE: Federica Bianchi, Paolo Biondani (inviato), Angiola

Codacci-Pisanelli (caposervizio), Emanuele Coen (vicecaposervizio), Vittorio Malagutti (inviato), Antonia Matarrese, Mauro Munafò (caposervizio web), Gloria Riva, Carlo Tecce (inviato), Gianfrancesco Turano (inviato), Susanna Turco

ART DIRECTOR:

Stefano Cipolla (caporedattore)

UFFICIO GRAFICO: Martina Cozzi (caposervizio), Alessio Melandri, Emiliano Rapiti (collaboratore)

PHOTOEDITOR:

Tiziana Faraoni (vicecaporedattrice)

RICERCA FOTOGRAFICA: Giorgia

Coccia, Mauro Pelella, Elena Turrini

SEGRETERIA DI REDAZIONE: Valeria Esposito (coordinamento), Sante Calvaresi, Rosangela D’Onofrio

CONTROLLO DI QUALITÀ: Fausto Raso

OPINIONI: Ray Banhoff, Fabrizio Barca, Francesca Barra, Alberto Bruschini, Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo, Franco Corleone, Maurizio Costanzo, Carlo Cottarelli, Virman Cusenza, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Luciano Floridi, Enrico Giovannini, Nicola Graziano, Bernard Guetta, Sandro Magister, Bruno Manfellotto, Ignazio Marino, Ezio Mauro, Claudia Sorlini, Oliviero Toscani, Sofia Ventura, Luigi Vicinanza

COLLABORATORI: Simone Alliva, Erika Antonelli, Viola Ardone, Nicolas Ballario, Giuliano

Altre lettere e commenti su lespresso.it

tiva che svolgiamo ce ne sono pochi o punto.

Lascerei da parte i danni che il lavoro può procurare al fisico perché ovviamente dipende dal tipo di lavoro. Io, per esempio, mentre le rispondo sto lavorando ma dubito che mi stia procurando dei danni al dito medio o al pollice battendo sulla tastiera. Sono invece interessanti le piccole battaglie che periodicamente nascono tra quelli che amano il vino e quelli che lo giudicano dannoso (probabilmente tutti astemi) e che ritengono doveroso far aderire gli altri alle proprie convinzioni. La dottoressa Viola, che è competente, è bella e non disdegna la visibilità, non ha dubbi e dichiara: «il vino fa male in qualsiasi quantità». E per farci capire meglio conia uno slogan che è quasi un comandamento: «la dose giusta di alcol è zero». Ma, recuperando la benevolenza che ci ha dimostrato con consigli e rassicurazioni nei periodi più difficili del Covid, aggiunge: «Io sono astemia, ad eccezione di quando mangio nei ristoranti stellati». È una consolazione per tutti, una scappatoia pratica per goderci il vino senza incertezze e rimorsi. Dobbiamo solo fare attenzione al numero di stelle all’ingresso della nostra trattoria del sabato sera.

Battiston, Marta Bellingreri, Marco Belpoliti, Caterina Bonvicini, Ivan Canu, Viola Carignani, Gino Castaldo, Giuseppe Catozzella, Manuela Cavalieri, Stefano Del Re, Francesca De Sanctis, Cesare de Seta, Roberto Di Caro, Paolo Di Paolo, Fabio Ferzetti, Alberto Flores d’Arcais, Marcello Fois, Luca Gardini, Wlodek Goldkorn, Marco Grieco, Andrea Grignaffini, Luciana Grosso, Helena Janeczek, Gaia Manzini, Piero Melati, Donatella Mulvoni, Matteo Nucci, Eugenio Occorsio, Massimiliano Panarari, Simone Pieranni, Sabrina Pisu, Laura Pugno, Marisa Ranieri Panetta, Mario Ricciardi, Gigi Riva, Stefania Rossini, Evelina Santangelo, Elvira Seminara, Chiara Sgreccia, Francesca Sironi, Leo Sisti, Elena Testi, Chiara Valerio, Stefano Vastano

PROGETTO GRAFICO: Stefano Cipolla e Alessio Melandri I font Espresso Serif e Espresso Sans sono stati disegnati da Zetafonts

L’Espresso Media SPA Via Melchiorre Gioia, 55 20124 Milano P. IVA 12262740967 Iscr. Reg. Imprese n. 12546800017

N. REA MI - 2649954

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

PRESIDENTE: Denis Masetti

AMMINISTRATORE DELEGATO:

Marco Forlani

DIRETTORE GENERALE:

Mirko Bertucci

CONSIGLIERI: Maurizio Milan, Massimiliano Muneghina, Margherita Revelli Caracciolo, Alessandro Mauro Rossi

DIREZIONE E REDAZIONE ROMA:

Via in Lucina, 17 - 00186 Roma

Tel. 06 86774111

E-mail: espresso@lespresso.it

REDAZIONE DI MILANO: Via Luigi

Galvani, 24 – 20124 Milano

Un numero: € 4,00

copie arretrate il doppio

PUBBLICITÀ: BFC Media spa info@bfcmedia.com - Via Melchiorre Gioia, 55 - 20124 Milano

ABBONAMENTI: Tel. 0864 256266 Fax 02 26681991 abbonamenti@gedidistribuzione.it Per sottoscrizioni www.ilmioabbonamento.it

SERVIZIO GRANDI CLIENTI:

Tel. 0864 256266

DISTRIBUZIONE:

GEDI Distribuzione S.p.A. Via Nervesa, 21 - 20139 Milano Arretrati e prodotti multimediali: Tel. 0864 256266 Fax 02 26688669 arretrati@gedidistribuzione.it

STAMPA E ALLESTIMENTO: Rotolito S.p.A Via Sondrio, 3 - 20096 Pioltello (MI)

TITOLARE TRATTAMENTO DATI (REG. UE 2016/679): L’Espresso Media SPA info@lespresso.it Soggetto autorizzato al trattamento dati (Reg. UE 2016/679): Alessandro Mauro Rossi

NOI
stefania.rossini@lespresso.it
via in Lucina, 17 - 00186 Roma n. 5 - anno LXIX - 5 febbraio 2023 L’ESPRESSO MEDIA SRL è una società del gruppo BFC MEDIA bfcmedia.com Certificato PEFC (18-32-94) Prodotto realizzato con materia prima da foreste gestite in maniera sostenibile e da fonti controllate. www.pefc.it Certificato ADS n. 8855 del 05/05/2021 Codice ISSN online 2499-0833 Registrazione Tribunale di Roma n. 4822 / 55 TIRATURA COPIE 178.800 PEFC/18-32-94 CertificatoPEFC Questoprodottoè realizzatoconmateria primadaforeste gestiteinmaniera sostenibileedafonti controllate www.pefc.it
120 5 febbraio 2023

Basta lavorare, non ha più senso nel 2023. I lavoratori dipendenti italiani sono tra i meno pagati d’Europa e tra quelli che stanno più ore alla scrivania con uno stipendio medio che è circa la metà di quanto guadagna Chiara Ferragni con un singolo post su Instagram: 25 mila euro scarsi contro i 40-80 di un’inserzione dell’influencer. Un anno di sbattimento = Un post. Dopo una notizia così come fai a dire che il lavoro dipendente sia moralmente accettabile? Una Repubblica fondata sul lavoro, sì, ma di noi poveracci. L’illuminazione l’ho avuta parlando con un’amica. Sua figlia frequenta un asi-

Abbiamo bisogno di dare aria al nostro cervello

lo nido di provincia, una specie di eccellenza dell’educazione, e l’altra mattina mi ha girato un video montato dalle maestre (montato dalle maestre!) in cui si alternavano immagini dei nanerottoli impegnati in attività come: cantare una canzone con un vero microfono e registrarla, indossare delle pettorine e dipingere con le tempere sporcandosi tutti (che bello sporcarsi), fare dei riposini (paghereste per questo, lo so). Osservando estasiato quella pace ho pensato: stiamo sbagliando tutto. Penso ai volti devastati dalle occhiaie e ai burnout dei miei coetanei dagli uffici di Palermo alle redazioni e alle agenzie di Roma e capisco: perché relegare queste piccole fughe di svago solo all’infanzia o alla vecchiaia? Dove sta scritto che anche un adulto sano non possa concedersi tempere, riposini e svaghi? È inutile che infiliamo la parola «resilienza» ovunque, se poi

non siamo resilienti. L’evento traumatico è la vita adulta!

L’ozio è necessario. Serve dare aria al cervello e dedicarsi a sé stessi. Se lavori tutti i giorni dalle 9 alle 18 ti atrofizzi, la tua creatività viene meno, non rendi più. Il lavoro è diventato la nostra malattia, la definizione di chi siamo, c’è gente che invece del buongiorno ha preso l’abitudine di augurarti buon lavoro. Ma vaffanculo.

Fuori c’è il sole e anche noi adulti dovremmo essere filmati mentre ci divertiamo, con degli inservienti che si occupano di noi. Così con la mia amica, che è un’affermata psicoterapeuta, ci siamo messi a fantasticare di creare una struttura per quarantenni esauriti o semplicemente scontenti, dal cassiere senza prospettive di carriera al povero a partita Iva.

Niente locali sanitari o a norma, ma un bel posto affrescato e accogliente rivolto alle persone comuni. Le attività? Nessuna. Si gioca a calcio, si affonda nelle vasche di palline, si chiacchiera. Senza scopo, senza dover migliorare il proprio corpo o l’aspetto fisico, senza essere competitivi o prestanti. Uno svago che non c’entra niente con quelle missioni paranoiche degli adulti tipo andare in palestra a puzzare e sudare con gli altri per diventare quadrati e non dover più trattenere la pancetta, così come non c’entra con frequentare gli insulsi locali che sono solo dei piccoli lager di networking. Come fanno gli svedesi che lasciano degli slittini nei parchi e alla prima neve, in pausa pranzo, vanno a lanciarsi in discesa anche se hanno settant’anni. Il motivo? Perché li rende felici.

Poi a un certo punto un brivido. Mi sono accorto che l’entusiasmo verso la struttura stava nel fatto che avrei guadagnato da questa attività e che quindi sarebbe diventato il mio lavoro. Lì sì che ho avuto paura. L’idea sbagliata è radicata salda in noi come la spada nella roccia. Aspettiamo un Artù che ci liberi da questa fobia.

Il lavoro è diventato una malattia Una mania radicata come la spada nella roccia. Ma l’ozio è necessario
122 5 febbraio 2023
BENGALA

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook

Articles inside

Abbiamo bisogno di dare aria al nostro cervello

1min
pages 122-123

Antonella Viola e il vino stellato

3min
pages 120, 122

Biologico d’Abruzzo

1min
page 119

Rivoluzionari globali, unitevi

2min
pages 118-119

Il dilemma della pettorina

2min
page 117

Dentro l’onda del male

2min
page 115

Buoni esempi marziani

2min
page 114

L’era del copio ergo sum

2min
pages 113-114

Una balena in aeroporto

2min
page 111

TEATRO Francesca De Sanctis Opinioni di un clown

2min
page 110

Variazioni tedesche

2min
page 109

Una vita in Blues

2min
page 107

Un Festival moltiplicato per sei

3min
pages 104-105

CULTURA PROTAGONISTI Cardinale più che libera indomabile

4min
pages 100-103

La parità? Conviene a tutti

4min
pages 96-99

Sesso e amore a fumetti

6min
pages 90, 92-95

Un piano europeo per ammodernare le imprese italiane

1min
page 89

La nuova via dei dati passa per Genova

4min
pages 87-89

ECONOMIA TECNOLOGIA E LIBERTÀ

2min
page 84

ECONOMIA TECNOLOGIA E LIBERTÀ TikTok ci spia Linea dura negli Usa Morbida in Europa

2min
pages 82-83

ARTIFICIALE,

3min
pages 79-80

Google, Meta & Co Tra errori e bugie non fidarsi è meglio

2min
pages 78-79

Per un pugno di clienti Traffico voce e web ora i ricavi vanno giù

3min
pages 76-77

A chi il presidente? A noi! Spoils system in orbace

3min
pages 74-75

Valzer di poltrone e il sì dell’Economist

1min
page 73

NON SARÀ FACILE MA SEMPLIFICHEREMO

3min
pages 71-73

ECONOMIA CAOS FISCALE

1min
page 70

ECONOMIA CAOS FISCALE

2min
pages 68-69

Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900

2min
page 65

POLITICA LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA

2min
pages 64-65

Lo zar di Mosca va abbattuto

3min
pages 62-63

Putin stravolge la memoria del popolo russo

8min
pages 56-60

Welfare criminale dove si ignorano le disuguaglianze

1min
page 55

POLITICA RIFARE L’UCRAINA

2min
pages 54-55

Imprese italiane alla fiera dell’est per la ricostruzione

2min
page 53

Parlamentari Il taglio c’è ma non si vede

1min
page 51

DiventaPodcaster de

1min
pages 49, 51

La meglio gioventù e l’ex pm garante

2min
page 48

Passaggio a Nordio

4min
pages 46-48

POLITICA XXX ARGOMENTOPRIGIONI FRANCESI

6min
pages 42-45

È LO SLALOM DI FERLAINO JR

2min
page 39

Tutta salute Il voto regionale vale 33 miliardi

4min
pages 36-39

IL PUÒMALATO ATTENDERE

11min
pages 30-35

Un’oasi da tutelare nel cuore di Roma nata dallo scempio

4min
pages 13-14, 16-17, 19, 21, 23-24, 26-27, 29

PROTAGONISTI SU OGNI STRADA

1min
pages 12-13

L’amore vietato ha sempre avuto grande successo

1min
page 11

Il vero superpotere è sopravvivere all’orrore mafioso

2min
pages 9, 11

Il “Piano Mattei” non può che essere europeo

2min
pages 7, 9

La coda pubblica porta verso la sanità privata

4min
pages 3, 5-7

UN ANNO IN FILA PER UNA TAC

1min
pages 1, 3
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.