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Putin stravolge la memoria del popolo russo
from L'Espresso 5
by BFCMedia
Il
Putin si erge a dittatore anche della storia russa. Ciò che più lo innervosisce è che noi di Memorial mettiamo in discussione la visione mitologica del passato sovietico». Il 10 dicembre 2022, Irina Scherbakowa ha ricevuto, per i meriti politici e culturali dell’associazione russa Memorial, il Nobel per la pace. Nata a Mosca nel 1949 da genitori ebrei, con un nonno nel Komintern, Scherbakowa sa quali e quante tempeste di neve abbiano sconvolto il passato russo. Sin dagli anni 70 ha raccolto centinaia di testimonianze dei superstiti del Gulag. Ha organizzato mostre, scritto libri importanti. E ha fondato nell’89, insieme con Arsenij Roginskij, l’associazione Memorial per la ricostruzione degli orrori dello stalinismo.
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Partiamo dall’ultima “tempesta di neve”, scatenata da Putin contro l’Ucraina. Nella mente del dittatore cosa significa l’Ucraina?
«L’Ucraina era la più grande repubblica dell’Unione sovietica. Già come territorio occupava una parte rilevante della geopolitica sovietica. Per non parlare dei ricordi anche personali che ogni russo collega alla Crimea»
Si riferisce al fascino del Mar Nero nell’immaginario russo?
«Certo, per l’uomo sovietico la Crimea era ed è il fascino del Sud, la nostalgia delle vacanze. Su quelle coste stazionava la flotta russa, a cui tanti russi guardano con orgoglio nazionale. Ma questi sono solo i lati “positivi” della politica sovietica in Ucraina e in Crimea».
Quelli negativi sono le deportazioni di oltre 190 mila tatari evacuati dalla Crimea per ordine di Stalin nel maggio 1944?
«Sì, Stalin ordinò anche in Crimea una pulizia etnica, le deportazioni dei tatari verso l’Uzbekistan, dove a migliaia morirono di fame o in esilio».
Ma oggi cosa ha scatenato la guerra di Putin contro l’Ucraina?
«Dopo l’indipendenza nel 1991 e le varie elezioni in Ucraina, è stata la rivoluzione di Maidan nel febbraio del 2014 a spingere Putin a una politica sempre più aggressiva. Dopo la rivolta del 2014, gli ucraini hanno segnalato al Cremlino di voler ripristinare la costituzione, riprendersi la loro lingua e guardare all’Europa e non verso la “Madre Russia”. Il loro bisogno di libertà ha scatenato l’odio».
Il disegno è di ricostruire un nuovo impero russo?
«Nella mente di Putin coesistono costrutti mitologici, persino di idee del XIX secolo e non solo dell’era sovietica. In lui c’è una idea quasi razziale della superiorità della Russia». Ai suoi occhi il crollo dell’Unione sovietica è la peggiore catastrofe del XX secolo.
«È una delle frasi più citate di Putin, ma non per questo vera. Negli anni 90, dopo il
Deportati
Sosta dei prigionieri affamati per i rifornimenti durante la deportazione in Siberia negli anni Venti crollo dell’Unione sovietica, Putin era integrato nel nuovo sistema post-sovietico. Mai, all’interno dell’Urss, uno scialbo ufficiale del Kgb avrebbe potuto fare la sua carriera. Il balzo ai vertici del Cremlino si deve al crollo dell’Urss. Putin è il figlio del caos e dell’atmosfera criminale che ha dominato la Russia nei primi anni 90». I suoi nonni vengono dall’Ucraina. Si aspettava una reazione così decisa del popolo ucraino?
«La mia famiglia ha radici ucraine ed ebree come tante altre che vivono in Russia e i cui figli, come mio padre, hanno combattuto con l’Armata Rossa contro i nazisti. Torno lì ogni estate. Le posso assicurare che la resistenza contro il predominio russo si notava dai primi anni Duemila. È da 20 anni che vedo crescere una nazione che ha voglia di democrazia, che guarda all’Europa e ama la propria lingua».
Molta sinistra in Europa invece si inter-
Studiosa
Irina Scherbakowa, premio Nobel con Memorial, ha raccolto centinaia di testimonianze dei superstiti del Gulag

Carissimo Ex Nemico
Ese il «nemico» fosse solo un fratello o un altro me che conosco poco e con cui non ho mai parlato?
Russi e ucraini sono gli ultimi arrivati. «Ti preparo un’insalata, come la fanno nel mio Paese». Chi si offre di cucinare non ce la fa a pronunciare «insalata russa». I ragazzi della World House a tavola sorridono. «La guerra mette in ridicolo il quotidiano, che invece è il bello. Ma grazie a Dio qui si riesce ad avere un po’ di umorismo, ad alleggerire la tragedia», spiega Franco Vaccari mentre ravviva il fuoco del camino, nella saletta della presidenza. Aretino, 72 anni, psicologo e docente di Scienze della Pace alla Pontificia Università Lateranense, una famiglia i cui due rami si incontravano in piazza della Libertà a Firenze «per leggere Mazzini e il Vangelo» e una vita vissuta nel segno dell’Altro. Rondine Cittadella della Pace l’ha fondata esattamente su questo: dal 1997 «cop- pie di nemici» ci vengono per parlarsi, impararsi, anche litigare, per poi tornare a casa e cambiare il mondo. Ogni anno esce un bando per studenti tra i 22 e i 28 anni da Paesi in guerra o con conflitti etnico-religiosi e sociali: israeliani e palestinesi, bosniaci e serbi, armeni e azerbaigiani. Anche Africa e America Latina. I ragazzi tornano dalle lezioni e vivono in venti case a strapiombo su un’ansa dell’Arno, tra Arezzo e Firenze. Ci sono anche le rovine di una torre millenaria: «Praticate l’impossibile», sussurra loro anche lei.
Rondine è un «metodo» che risolve i «conflitti» basato sulle parole «relazione, persona, comunità, politica, festa». E un luogo dove di dolore ne transita parecchio: le bombe, la notizia di un amico che non c’è più, dove va il futuro. «I ragazzi dicono: il mondo conosce Rondine fino alle 18 di sera, noi conosciamo Rondine dopo. Quando spegniamo le luci, ce ne andiamo via e loro rimangono, senza lo sguardo esterno creano finalmente un habitat di intimità disarmata - spiega Vaccari -. Si consolano. E vengono fuori tutti i dolori, le fatiche, la parte fragile, dolente dell’umanità e però condivisa: è l’inizio della roga su questa guerra, sui motivi del pacifismo, se continuare ad armare l’esercito ucraino.
«Un popolo invaso ha il pieno diritto di difendersi. Curioso è solo che, nel caso dell’Ucraina, gli argomenti della sinistra estrema si equivalgono a quelli dell’estrema destra. E ciò non ha a che fare solo con il fatto che gli estremismi si somigliano, ma con la circostanza che Putin, da voi in Italia o in Francia, ha sempre sostenuto i partiti sovranisti. O credete davvero che l’amicizia fra Putin e Berlusconi sia solo un caso di simpatia fra due machos?».
I valori delle nostre democrazie stanno in piedi o crollano con l’indipendenza dell’Ucraina?
«Questa è la posta in gioco, la stabilità del sistema democratico e della Ue. Ed è il messaggio che, come storica di “Memorial” vado ripetendo. Oggi in Germania, in Italia o in Francia percepiamo questa guerra male- detta attraverso il flusso dei migranti, l’inflazione o i costi del riscaldamento. La maggior parte dei cittadini europei la guarda come un conflitto regionale. Ma è una guerra europea, in cui Putin vuole sottomettere l’Ucraina perché Kiev oggi si orienta all’Europa e ai suoi valori».
Lei vive in Germania e lavora al memoriale di Buchenwald. È possibile paragonare i lager di sterminio del nazismo ai Gulag di Stalin?
«Il nocciolo che unisce tutti i totalitarismi è il disprezzo della dignità della singola persona. Sono questi elementi di terrore comuni alle dittature che spiegano come anti-utopie come quelle nel romanzo “1984” di Orwell siano famose in tutto il mondo». E quali sono le differenze fra il terrore staliniano e gli orrori del nazismo?
«Quella iniziata da Hitler nel settem- sua trasformazione in speranza. Ognuno di noi, è il suo “dopo le 18”, da conciliare con il volto sociale, performativo. C’è sempre un ponte rigenerativo dentro di noi, con noi e con gli altri». Ecco il segreto del dialogo, l’antidoto al «veleno del nemico». Come tra Russia e Ucraina: «Perché le guerre finiscano bisogna che i nemici si parlino, e nella ricostruzione dopo le guerre è bene che ci siano persone meno avvelenate dall’idea del nemico. Noi in Europa abbiamo ancora i veleni della Seconda guerra mondiale, sono lì pronti a rinascere, basta un po’ di tensione e l’Europa traballa - spiega-. Se non ci sono persone già riconciliate come si fa a fare una riconciliazione dei popoli? Scommettere sui giovani è fondamentale».
Lui aveva 24 anni quando nel 76, sulla scia del Concilio Vaticano II progettava una comunità: quattro famiglie avrebbero accolto ragazzi e i più poveri in un borgo medievale abbandonato. Mentre con gli amici svuotava le cantine e ripuliva le stalle di quelle case diroccate venne l’Abbé Pierre, il fondatore di Emmaus. Era il 1987, benedisse un progetto che aveva i bordi indefiniti ma l’anima lunga. Una lunghezza che intuì l’accademico e dissiden- te russo Dimitri Sergeevic Lichacev, tra i padri della libertà e della coscienza europea: «Ci disse: qui tra la Verna e Camaldoli, se fate venire i popoli, faranno la pace», ricorda Vaccari. E indicò loro la guerra in Cecenia. Era il 1995, Groznyj era distrutta e la pace la uccideva la retorica già più dei cannoni. Sei mesi di guerra e tre viaggi dopo, al Cremlino i russi dettarono ai quattro della delegazione di Rondine la prima tregua di 72 ore. Non resse, ma nel 1997 due ragazzi ceceni e due russi erano già al borgo per parlarsi: «I ceceni se ne vollero andare perché non volevano lavare mutande e calzini nella stessa acqua dei russi: o due lavatrici o ce ne andiamo. Se ne andarono. Poi invece ho trovato sempre gente disposta a lavarsi mutande e calzini nella stessa acqua». Oggi le nazionalità ospitate sono venticinque. E passano in visita diplomatici, capi di Stato, reali. Il sogno è ricevere Papa Francesco. Candidata al Nobel per la Pace nel 2015, Rondine durante il 70° anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo all’Onu ha lanciato la campagna “Leaders for Peace”: sottrarre dai bilanci della Difesa i soldi per borse di studio che formino mediatori di pace.
Fondatore
bre del 39 fu una guerra totale, scatenata non solo contro gli eserciti nemici, ma contro le società civili e che causò la morte di milioni di persone in tutta Europa. Il sistema dei lager nazisti era costruito come un’assoluta “fabbrica della morte”, con l’obiettivo di liquidare milioni di ebrei. Per questo ciò che vediamo nella Russia di Putin possiamo definirlo come una “forma inusuale di fascismo”».
In che senso?
«L’aggressiva retorica nazionalista di Putin, la sua guerra contro Paesi considerati satelliti sottomessi, è di fatto una forma di fascismo. Certo, gli ideologi di Putin non citano Goebbels. Ma nella loro feroce propaganda sostengono che Putin oggi è la Russia, e senza Putin la Russia non esiste. Un Paese solo, uno Stato solo e un solo leader: questa è l’ideologia proto-fascista che risuona al Cremlino».
Putin ha chiuso i battenti di Memorial. Per il ministero della Giustizia voi storici siete agenti stranieri, pagati dall’estero.
«Quel che infastidisce il regime è che Memorial pubblichi anche i nomi degli aguzzini che hanno commesso crimini in nome dello Stato sovietico e del partito comunista. È un’accusa che in Russia non era mai stata sollevata in questa forma».
Come mai, nonostante il vostro capillare lavoro, non siete riusciti a convincere la popolazione?
«Perché lavoriamo su documenti. L’interpretazione di atti e testimonianze non è mai bianca o nera, esige un giudizio complesso. Molto più semplice per Putin e i suoi ideologi inventare miti, costruire leggende su Stalin e la gloriosa “guerra patriottica”, e martellare la gente con una propaganda che si riversa non solo sul passato russo, ma nelle varie fake news contro Occidente e Europa. Oggi Mosca è una fucina di miti e menzogne».
Prove di pace
Nell’ottobre 2020 invece Liliana Segre ha scelto di tenere qui il suo ultimo evento pubblico. «È per me una “maestra interiore”. Laicissima, autentica, non c’è un briciolo di retorica in lei e testimoniare Auschwitz nella sua trasformazione di vita è un dono di grazia», dice Vaccari. Da qualche anno accanto allo studentato internazionale c’è il progetto “Quarto anno di Rondine”: una classe di trenta studenti da tutta Italia impara una cittadinanza globale viva. Ma ci sono già le “sezioni Rondine” in tredici scuole e altrettante ne verranno aperte, 300 i docenti formati. Presto il “metodo” arriverà anche in un carcere. «Con David Sassoli avevamo un’idea: aprire il quarto anno a tutti gli studenti europei. Chiederemo di farlo nel suo nome». Il 25 aprile scorso Rondine invece era a New York e ha invitato il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. «Ora spero che qualcuno dei giovani che si sono formati cominci ad occupare posti molto significativi di leadership nel mondo. Perché nei bivi della storia fa la differenza prima di tutto un cretino da una persona intelligente, ma sopratutto chi non costruisce il nemico».