VARESEFOCUS 3/2023 - MAGGIO

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VIAGGIO NEL FUTURO di Varese

Negli ultimi cinque numeri del nostro magazine abbiamo raccontato la Varese del futuro, quella che sarà nel 2050. Lo abbiamo fatto partendo dal presente, dalle nostre potenzialità, dalle nostre vocazioni, dai nostri punti di forza. Abbiamo immaginato un territorio capace di invertire la rotta delle proprie debolezze e in grado di riposizionarsi sia competitivamente, sia a livello di immagine e narrazione sullo scenario nazionale ed europeo. In pratica, abbiamo trasformato in racconto giornalistico i contenuti e la visione del Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese.

Siamo partiti da Mill, passando per i cluster industriali, il nuovo mondo dell’innovazione, la realtà della logistica, dei trasporti e di Malpensa.

Chiudiamo il percorso con l’ultima tappa dedicata alla linea d’azione numero cinque: la trasformazione della nostra provincia in una wellness destination, sotto diversi punti di vista. Primo fra tutti, ovviamente, quello di far leva sulle nostre bellezze naturali, sulla nostra spiccata vocazione per lo sport, sui percorsi naturalistici e culturali per promuovere e far crescere sul territorio un turismo, non di massa ovviamente, ma concentrato su

alcune specifiche nicchie di mercato. Ma non è solo questione di investire nel settore turistico. Con wellness destination intendiamo anche la trasformazione di Varese in una provincia attrattiva di talenti. In grado di trattenere i famosi cervelli in fuga e, anzi, di saperne attrarre da tutta Italia e dall’estero. Per riuscirci serve certo un sistema di imprese in grado di garantire percorsi di crescita personale e professionale e di ciò abbiamo ampiamente parlato nelle altre tappe di questo lungo viaggio nella #Varese2050. Ma serve anche un ecosistema sociale ricco di opportunità, chiamiamole in generale ricreative, ma declinabili nel concreto in musei all’avanguardia, in una proposta culturale moderna, in opportunità di fare sport e movimento al passo con i tempi e, soprattutto, inclusive e sostenibili. Tutte caratteristiche che abbiamo già sul territorio e nel nostro Dna. Basta solo un dato ricordato anche in una delle recenti tappe del roadshow di presentazione del Piano Strategico #Varese2050 che, come Confindustria, stiamo portando avanti sul territorio. L’Italia è il primo Paese al mondo per siti Unesco (59). All’interno di questo primato la Lombardia è, a sua volta, prima tra le regioni del Paese (con 10 siti). E Varese è prima tra le prime. Con 4 siti stacca le altre province lombarde: Sacro Monte, Isolino Virginia, Castelseprio – Monastero di Torba,

Monte San Giorgio. Basterebbe solo questo per essere lecitamente ottimisti sulle nostre potenzialità. Come su molti altri fattori di crescita, però, è palpabile la ritrosia sul territorio di fare sistema. Ci sono tanti progetti interessanti, tante vocazioni, tante energie che disperdiamo in mille rivoli senza la volontà di fermarci a razionalizzare e di convogliare tutto questo fervore in un progetto comune che sarebbe in grado di moltiplicare le tante forze in movimento. È meglio vincere tutti insieme un campionato europeo e dividerci i meriti o essere primi in piccole competizioni di bassa categoria? Ecco, spesso a Varese preferiamo la seconda opzione: meglio soli ma vincenti a modo nostro, che emergere come squadra. Così, però, siamo destinati al declino. Così perdiamo posizioni nelle classifiche di competitività e attrattività. I dati lo certificano. Le cinque inchieste di Varesefocus che vi abbiamo proposto negli ultimi numeri speriamo siano servite anche a questo. A conoscere quante singole energie Varese è in grado di esprimere su moltissimi fronti d’impresa, economici, sociali e culturali. E ora? Ora non servono passi indietro, ma passi avanti in una nuova cultura della collaborazione. Obiettivo: il bene comune.

EDITORIALE

APERTURA 2 Maggio 2023

Da un antico cascinale lombardo dei primi del ‘900, immerso nel verde del Parco Alto Milanese, sorge Villa Sant’Uberto, il luogo perfetto per concedersi momenti di relax in assoluta riservatezza. Villa Sant’Uberto riaprirà il 2 Maggio con chiusura il 10 Settembre, dal martedì alla domenica, con piscina, ristorante e bar.

ORARI

Martedì - Giovedì: 11:00 -18:00

Venerdì - Domenica: 10:00 - 21:30

CONTATTI

Viale Toscana, 200 - 21052 Busto Arsizio

(VARESE) • www.villasantuberto.eu

RISTORANTE CON BUSINESS LUNCH

A Villa Sant’Uberto è possibile godere di un ottimo servizio ristorante, che viene offerto tutti i giorni, dal martedì alla domenica dalle ore 12.30 alle ore 15.00, in Club House o in veranda per godere della bella stagione.

MEETING CENTRE

Un luogo ideale per ogni evento aziendale. L’area meeting è composta da due ampie sale situate tra i due giardini interni e dotate delle più moderne tecnologie audiovisive (Videowall Samsung 300x200). Tutti gli spazi, sia interni che esterni, sono funzionali e modulabili a seconda delle necessità, con la possibilità, durante la stagione estiva, di richiedere allestimenti a bordo piscina.

CONVENZIONE RISERVATA

Confindustria Varese

Per usufruire della convenzione con sconto dedicato del 10% sui servizi sopra proposti è necessario esibire la dichiarazione di appartenenza a Confindustria Varese. Per ulteriori informazioni è possibile contattare la referente Sig.ra Paola, tel. 0331 07 59 60 o inviare una mail all’indirizzo club@villasantuberto.eu.

In copertina: l’atleta di salto in lungo Irbin Vicco della POLHA – Ph. Marco Mantovani per FISPES

SOMMARIO

FOCUS

Sport e turismo per una nuova competitività Varese wellness

destination

La vocazione per il cicloturismo

Le bellezze del Fai e l’identità culturale

Presidente : Roberto Grassi

Direttore editoriale: Silvia Pagani

Direttore responsabile: Davide Cionfrini

Direzione, redazione, amministrazione:

Piazza Monte Grappa, 5 21100 Varese

T. 0332 251.000 - F. 0332 285.565

M. info@varesefocus.it

reg. n. 618 del 16/11/1991 - Trib. Varese

Una casa lontano da casa Laveno è mondiale

Il primato paralimpico di Varese

Turisti in fabbrica

INCHIESTA

Varese fa scuola sulle Società Benefit

Perché diventare Società Benefit?

Progetto grafico e impaginazione:

Paolo Marchetti

Fotolito e stampa: Roto3 srl

Via per Turbigo 11/B - 20025 Castano

Primo (Mi) T. 0331 889.601

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Il numero è stato chiuso il 27 aprile

Il prossimo numero sarà in edicola con Il Sole24Ore il 3 luglio 2023

“Varesefocus” ospita articoli e opinioni che possono anche non coincidere con le posizioni ufficiali di Confindustria Varese. Valore di abbonamento annuo Euro 20,00 (nell’ambito dei servizi istituzionali dell’Editore).

UNIVERSITÀ

Sviluppo sostenibile?

Serve una laurea

La città a misura di donna

SCIENZA & TECNOLOGIA

È l’inizio di un nuovo mondo L’etica dell’algoritmo

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LUOGHI E BELLEZZA

Come nasce una borsa

In kayak tra i laghi varesini

Luci, motore… Varese! Quando arte e natura interrogano

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l’uomo Un
casa

FOCUS #VARESE2050 SARÀ wellness destination

Si chiude il viaggio di Varesefocus nelle linee di azione del Piano Strategico di Confindustria Varese per il riposizionamento competitivo del territorio. Sotto i riflettori, questa volta, le potenzialità della provincia all’ombra delle Prealpi (molto spesso ancora troppo poco sfruttate) in termini di attrattività di talenti e turisti. Prima vocazione su cui investire è quella sportiva, tra primati e grandi opportunità offerte agli atleti paralimpici. Ma anche cicloturismo, importanti progetti del Fai, una diffusa offerta museale, una cultura e un’identità industriale che possono trasformarsi in proposta turistica

SPORT E TURISMO PER UNA NUOVA competitività

Fare della #Varese2050 una “wellness destination” in grado di attrarre non solo turisti, ma anche talenti a cui il territorio possa offrire ottime qualità di vita e opportunità per la propria realizzazione professionale e personale. Un luogo ideale dove costruirsi una famiglia e un futuro.

na provincia accogliente, inclusiva e attrattiva. Un territorio in cui vivere sarà interessante e arricchente, il benessere sarà condiviso e diffuso, un luogo ideale dove vivere, crescere ed invecchiare”. È questo uno dei contributi emersi dagli stakeholder del territorio durante uno dei workshop di lavoro organizzati da Confindustria Varese, in collaborazione con il team di Strategique, preliminari alla stesura del Piano Strategico #Varese2050 ed in particolare ad immaginare il posizionamento strategico atteso per la provincia.

Ed effettivamente le premesse ci sono tutte. Una posizione territoriale e culturale strategica, una ricchezza

ed eterogeneità naturalistica, tra i caratteristici paesaggi montani e boschivi, separati da netti solchi vallivi, dell’Eremo di Santa Caterina del Sasso di Leggiuno, del Sacro Monte di Varese o del Monte Chiusarella nel parco del Campo dei Fiori (solo per citarne alcuni) e quelli lacustri, che l’hanno resa celebre come la “Provincia dei Sette Laghi” (Lago Maggiore, Lago di Varese, Lago di Lugano, Lago di Ghirla, Lago di Ganna, Lago di Monate e Lago di Comabbio). Le aree verdi protette coprono ben il 34% del territorio, tra parchi e giardini storici, riserve naturali, grotte e oasi. A completare il paesaggio, anche un patrimonio architettonico tra ville storiche, palazzi pubblici e privati, monumenti e storici edifici di archeologia

industriale, spesso tutelati oggi dal Fai - Fondo per l’Ambiente italiano. Il patrimonio culturale della provincia si rivela anche in un’importante concentrazione museale che la contraddistingue a livello non solo regionale ma anche nazionale. Varese ha, infatti, una densità di musei pari a 1,89 per km quadrato (dato Istat) che la rende seconda in regione solo a Milano e sedicesima in Italia.

La numerosità e la varietà delle risorse ambientali e naturalistiche hanno, negli anni, favorito la realizzazione di infrastrutture e l’organizzazione di iniziative legate allo svolgimento di un ampio ventaglio di attività sportive oggi a disposizione di cittadini, famiglie e turisti (dal canottaggio al ciclismo, dal golf al trekking). La forte vocazione

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Si chiude il viaggio di Varesefocus attraverso il Piano Strategico di Confindustria per il rilancio della provincia
FOCUS
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sportiva del territorio è sfociata negli anni anche in un forte impegno da parte delle istituzioni, in primis dalla Camera di Commercio di Varese che su questo tema ha da tempo promosso la creazione della Varese Sport Commission, nel realizzare strutture e spazi e nell’avvicinare la popolazione allo sport giovanile, dilettantistico e professionale. Tra le altre, la Pallacanestro Varese, da sempre realtà sportiva di respiro internazionale, tra le squadre più blasonate a livello italiano, nonché la principale del territorio per tradizione e seguito. A cui aggiungere, soprattutto quest’anno, la squadra di hockey dei Mastini. Ma anche la pallavolo femminile di Busto Arsizio, i numerosi medagliati paralimpici. Solo per fare alcuni esempi. A tal

proposito, Varese si conferma, nell’ultimo rapporto sulla Qualità della Vita 2022 pubblicato da Il Sole 24 Ore, tra le prime province in Italia per “Indice della sportività”, un indicatore calcolato su 32 parametri, tra cui atleti tesserati, enti sportivi, squadre, risultati, eventi e imprese per lo sport (Dati Pts Clas). E prima in assoluto per opportunità e successi nello sport per disabili.

Ecco cosa ha convinto Confindustria Varese dell’importanza di dedicare un’intera linea del Piano Strategico #Varese2050 a “fare della provincia varesina una ‘wellness destination’, valorizzando l’eccellenza nello sport, le risorse naturali e la qualità della vita del territorio”.

Un luogo non solo bello e dall’alta qualità della vita, ma anche dinamico

e competitivo, in cui possano convivere gli elementi tipici di una destinazione turistica con quelli dei contesti industriali più ricchi e produttivi, una potenziale “Silicon Valley” italiana in cui alla storica robustezza del sistema di imprese si sommi la piacevolezza del contesto ambientale, il fermento del contesto imprenditoriale, ben connesso e orientato al futuro ed una visione olistica di benessere lavorativo e famigliare, portando a regime il progetto “People, l’impresa di crescere insieme” già avviato da Confindustria Varese con l’obiettivo di promuovere iniziative di welfare aziendale e politiche di conciliazione vita-lavoro nelle imprese.

Questa linea strategica va, infatti, a chiudere il quadro di rilancio

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Il Lago di Varese

delineato nel Piano Strategico #Varese2050, completandolo con un tassello fondamentale per lavorare sull’attrattività del territorio. Destinazione, quindi, non solo dall’alta potenzialità per imprese ed individui, ma che può costruire una sua identità attorno al vivere bene, sia per la qualità del contesto, sia per la diffusa cultura e passione sportiva che lo caratterizza da sempre.

Come anche è stato nuovamente sottolineato da Confindustria Varese in dichiarazioni pubbliche e progetti recenti, lo sport è senza dubbio un tratto connotante del territorio, che vanta un sistema di imprese e di infrastrutture dedicate. Ciò rappresenta senza dubbio un elemento di valore da cui partire, lavorando sulla intuizione avuta dalla Camera di Commercio con la costituzione del suo tavolo di concertazione ad hoc e supportando la stessa nell’aggregazione di tutti gli stakeholder interessati a fare dello sport un elemento centrale per la competitività di Varese e per il turismo, valorizzando la vocazione

diffusa allo sport del territorio, codificando percorsi e pacchetti turistici dedicati, anche in relazione a grandi eventi (un esempio su tutti, le Olimpiadi invernali 2026).

Per supportare e migliorare l’attrattività del territorio affermandosi come “wellness destination” sui mercati nazionali e internazionali sarà importante investire sul miglioramento del benessere lavorativo e famigliare, promuovendo aiuti economici ai dipendenti-genitori o prossimi genitori, iniziative di welfare aziendale, progetti aziendali e interaziendali di conciliazione vita-lavoro, accesso agevolato ai servizi locali per le famiglie e i genitori (asilo nido, garderie/baby parking, campus estivi).

Dalla strategia all’azione: per rendere tutto concreto sarà necessario promuovere, di concerto con le istituzioni locali e gli altri soggetti della rappresentanza (a partire proprio dalla Varese Sport Commission della Camera di Commercio), lo sviluppo di una Destination Management Organization che funga da tavolo

permanente di lavoro multistakeholder per la promozione di Varese come una “wellness destination” (fondata su natura, sport, cultura e qualità della vita) e l’attrazione, anche di concerto con la cluster governance locale, di famiglie, talenti, startup e imprese nel territorio.

Grazie al tramite di questo nuovo organismo sarà più semplice anche contribuire in modo collettivo al disegno di un documento programmatico per, da una parte, consolidare, valorizzare e potenziare le eccellenze sportive della provincia (atleti, squadre, imprese, formazione terziaria, eventi e strutture) e, dall’altra, contribuire all’accrescimento dell’apporto del turismo incoming (privato, sportivo, naturalistico e business) al benessere economico, sociale e sostenibile del territorio attraverso la promozione della nuova identità e del rinnovato posizionamento della provincia. Turismo e sport, dunque, per completare i pilastri attorno a cui ridisegnare la competitività di Varese.

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Il Sacro Monte di Varese

VARESE WELLNESS destination

Il verde dei monti, l’azzurro dei laghi e il bianco delle montagne innevate che si vedono come prima immagine entrando nel capoluogo. Sono questi i colori della bandiera del “green living” di un territorio che, anche grazie alla riscoperta della bellezza dei luoghi di prossimità, alla sua vocazione sportiva, ai suoi laghi e alla sua ricca cultura artistica e industriale, può giocare nuove carte sul tavolo dell’attrattività

Wellness destination –wellbeing. Sta tutta qui, in queste tre parole, la formula di valorizzazione del territorio della provincia di Varese. Un luogo “bello da visitare”, in cui è “piacevole vivere”. Una formula che, per la tradizionale riservatezza e la proverbiale “parsimonia di sé” che caratterizza gli abitanti del Varesotto, è senz’altro poco valorizzata. Il Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese ha tra le sue azioni proprio quella di costruire una identità visibile e comunicabile del territorio che ne aiuti il riposizionamento a livello di immagine e attrattività. Chi conosce la provincia di Varese la ama. Però, purtroppo, la conoscono ancora in pochi sotto l’aspetto turistico e residenziale.

Diverso era all’inizio del ‘900 quando Varese era diventata il

giardino di Milano e numerose famiglie avevano costruito qui ville di delizie, di cui rimangono ancora numerosissime testimonianze liberty: l’hotel al Campo dei Fiori, tutto il colle verso il Sacro Monte, Villa Recalcati oggi sede della Provincia e della Prefettura, perfino una fabbrica di birra (la Poretti di Induno Olona, oggi Carlsberg). Non è un caso che proprio in quei tempi si sia realizzata la prima autostrada d’Italia, la Milano-Laghi per collegare il capoluogo di regione al territorio all’ombra delle Prealpi.

Oggi, con la rivoluzione nel mondo dei trasporti, dal treno ai voli low cost, la formula del turismo di prossimità è stata profondamente rivista. Sono aumentate le destinazioni raggiungibili in un identico arco temporale di circa 1 ora e 30 minuti. Attualmente nello spazio di tempo con cui da Milano si può raggiungere il Nord della provincia si può arrivare, partendo da Malpensa,

nelle principali capitali europee o nei luoghi più turistici di Spagna e Grecia e della stupenda Italia meridionale. Bisogna quindi trovare una diversa “reason why” per promuovere il territorio. Ben lo ha capito la Camera di Commercio di Varese che negli anni ha iniziato ad investire nella valorizzazione degli itinerari turistici legati a “esperienze”. Varese deve ritrovare il suo pacchetto identitario per poter essere valorizzata in un mondo in cui l’offerta turistica si è moltiplicata in maniera selvaggia.

Quale può essere la chiave di lettura giusta? Tra le molte esperienze possibili alcune sono più facilmente praticabili. Si pensi ai pacchetti di turismo lacustre, a quello sportivo, al turismo religioso, alla location per shooting fotografici sulle terrazze naturali sul lago, al turismo del liberty.

Oltre a tutte queste proposte, vale senz’altro la pena valorizzare la forte componente green del territorio varesino.

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FOCUS

FOCUS VARESE WELLNESS DESTINATION

Una componente che non vale solo per il turismo, ma è simbolo, soprattutto per uno stile di vita più rilassato, più immerso nella natura, più ecocompatibile, più vicino ad un “work-life balance” come quello che si ricerca oggi. Puntare sul cicloturismo va, ad esempio, in questa direzione.

Il Covid ci ha segnato anche in questo campo. Dopo il blocco forzato dei viaggi, è aumentata la domanda di uno spazio vitale sicuro e ciò ha aiutato a valorizzare e, in parte, a riscoprire la bellezza dei luoghi di prossimità. Non è un caso che siano aumentati i flussi turistici, ma anche che si sia ripreso il mercato immobiliare delle abitazioni con uno sfogo verde vicino ai laghi.

Una vita più compatibile con i ritmi della natura, più “green”, interpreta la ricerca di sostenibilità che caratterizza questi anni.

In questo ambito Varese ha grandi carte da giocare.

Un rapporto con la natura di tutto spessore: basti pensare che, solo per il suo capoluogo di Provincia, Varese si colloca al 27° posto a livello nazionale e 4° tra i capoluoghi lombardi per la densità di verde storico (ossia la superficie coperta da ville, giardini e parchi urbani di pregio storico-artistico per 100 metri quadrati di superficie urbanizzata), secondo i dati di Istat; per quanto riguarda l’intera provincia, secondo i dati del Ministero dei Trasporti, Varese è la prima in Lombardia nel

trasporto lacuale, con una flotta in esercizio (36 natanti) pari al 29% del totale regionale, una lunghezza delle linee esercitate (120 km) pari al 26% del totale regionale e una dotazione di posti passeggeri (13.451) pari al 35% del totale lombardo.

Un indice di sportività altrettanto significativo (sempre tra i primi 9 posti nelle rilevazioni de Il Sole 24 Ore degli ultimi anni), rafforzato dall’importanza di Varese nelle Olimpiadi di Tokyo tenutesi nel 2021, con un medagliere di tutto rispetto: un oro nel canottaggio di coppia pesi leggeri femminile per Federica Cesarini (assieme alla cremonese Valentina Rodini), un argento nel sollevamento pesi 64kg femminile per Giorgia Bordignon di

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Il Museo MA*GA di Gallarate

Gallarate, un bronzo nel 100 metri nuoto rana maschile per Nicolò Martinenghi di Varese. Un agonismo affiancato alla possibilità di praticare tanti sport a contatto con la natura: la vela lungo i laghi, il canottaggio, dove abbiamo uno dei campi gara più apprezzati al mondo, il volo, da quello a vela con alianti, a quello con parapendio e deltaplano di cui ospiteremo i campionati mondiali del 2025, il kitesurf praticato sopra Maccagno. Senza dimenticare il Nordic Walking nel Nord della Provincia, il recupero di cammini “religiosi” come quello del Ceresio che, grazie a tanti appassionati, si stanno rivalorizzando.

A fianco alle eccezionali potenzialità legate alla vocazione

sportiva, si stanno sviluppando anche iniziative di valorizzazione culturale. Dalla grande presenza del Fai, che proprio dal monastero di Torba ha preso avvio. Sino a Villa Panza con il suo museo, a quel piccolo gioiellino di Villa Bozzolo, un luogo di delizie nel mezzo della Valcuvia. Ai musei di arte come il MA*GA che proprio in questi giorni ospita la mostra di Andy Warhol. Ai musei del volo: da quello dell’elicotteristica di Augusta (ora Leonardo Elicotteri) a quello di Volandia che vanta una collezione di velivoli di tutto rispetto, alle raccolte di cimeli del volo come quella personale della Secondo Mona che ha recentemente recuperato anche Villa Hermann. Al museo della

cultura industriale legata al tessile di Busto Arsizio, alla raccolta di opere in “plastica” della Mazzucchelli a Castiglione Olona.

Senz’altro se ne sono dimenticati alcuni, considerata la ricchezza di offerta industriale locale. Ma è per dire che ci sono tutti gli elementi per costruire una piccola patria del “green living”, capace di conciliare vivibilità, rapporto con la natura ed interessi culturali, un luogo dove vivere con ritmi sostenibili in armonia con il contesto. Una “Repubblica” i cui colori bandiera sono il verde dei monti, l’azzurro dei laghi ed il bianco delle montagne innevate che si vedono come prima immagine entrando in Varese. Un territorio da vivere a dimensione di individuo.

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Germignaga

LA VOCAZIONE PER IL cicloturismo

I dati degli arrivi di turisti in provincia di Varese stanno ormai tornando sui livelli pre-Covid. Si allunga la permanenza media. E a trainare la crescita sono sempre di più gli eventi sportivi, la voglia di vivere su due ruote e in maniera sostenibile il territorio. Il Presidente della Camera di Commercio, Mauro Vitiello: “Siamo sulla strada giusta”. Quella delle piste ciclabili, ma non solo

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Foto di Alberto
FOCUS
La pista ciclopedonale del Lago di Varese

Il gap c’è ancora ma va assottigliandosi. Se in era pre-Covid il record storico di turisti era stato toccato nel 2019 con 1.446.672 arrivi in provincia di Varese, il 2022 è stato sicuramente l’anno della svolta. Del ritorno nel Varesotto ad un turismo sopra quota 1 milione di arrivi, per la precisione 1.075.442. Un balzo in avanti del +67,8% rispetto all’ancora difficile 2021 quando il pallottoliere si era fermato a quota 641.089. All’appello, rispetto a quattro anni fa, secondo i dati della Camera di Commercio di Varese, mancano ancora 370mila turisti, ma il territorio sembra aver imboccato la strada giusta. Soprattutto se si guarda ai giorni di pernottamento. Sotto questo aspetto la situazione è ancora migliore. Il dato del 2019 che registrava 2.333.948 notti negli alberghi della provincia è ancora più vicino. L’anno scorso, infatti, quelle che tecnicamente vengono definite “presenze” sono state 2.038.311, in crescita del +58,7% rispetto al 2021.

Il fatto è che si sta alzando la media dei giorni che un turista passa all’ombra delle Prealpi. Se nel 2019 il dato medio era di una permanenza di 1,6 giorni, nel 2022 si è saliti, in pratica, a quasi 2 giorni interi (1,9). Dati storicamente bassi, legati, spiegano dall’ente camerale “prevalentemente ai flussi turistici di passaggio dell’aeroporto di Malpensa”, ma che stanno pian piano risalendo grazie allo “sviluppo del turismo leisure, dei laghi e sportivo, che ha contribuito all’allungamento della permanenza media”. A fare da cartina di tornasole è, ad esempio, l’andamento dei pernottamenti nell’area specifica intorno al Lago Maggiore. Nel 2022 si è assistito ad un balzo in avanti del +43% arrivando a quota 367.880 presenze. Un numero, in questo caso, più alto anche del 2019 quando ci si era fermati a 312.126.

“Non siamo certo una zona in grado di attrarre il turismo di massa o i pernottamenti lunghi del periodo di

Ferragosto”, commenta il Presidente della Camera di Commercio varesina, Mauro Vitiello. “La nostra è una vocazione che si concentra su specifiche capacità attrattive, che sono quelle sulle quali il nostro ente lavora da anni in termini di promozione. In primis, il cicloturismo e il turismo sportivo”. È a questo scopo che la Cciaa ha fatto nascere nel 2016 Varese Sport Commission, che nel corso di questi anni ha sostenuto economicamente e logisticamente oltre 100 eventi turistico-sportivi. È su questo filone che si stanno concentrano le principali risorse e gli sforzi del territorio. Con risultati tangibili e in crescita. Basti pensare, sottolinea Vitiello, che “i soli eventi internazionali di canottaggio e ciclistici che si sono tenuti sul territorio nel 2022 hanno fatto registrare 130.000 pernottamenti”.

Lo sport, dunque, come elemento strategico di attrattività turistica e creazioni di indotto. Non solo in occasione dei grandi o piccoli eventi agonistici. L’idea è quella di focalizzarsi sull’offerta cicloturistica spalmata su tutto l’anno e pensata per amatori e famiglie. “Pensiamo ad un nuovo modo di vivere le vacanze delle persone, testimoniato dal boom di vendita delle stesse

biciclette e dall’aumento dell’interesse per un turismo sostenibile”, spiega il Presidente dell’ente camerale.

Anche per questo è nato nel 2022, come costola proprio della più ampia iniziativa Varese Sport Commission, il progetto Varese #Doyoubike “il cui obiettivo – illustra Vitiello – è quello di realizzare un sistema diffuso di offerte e servizi integrati che promuovano un turismo sostenibile ed inclusivo, volto alla valorizzazione di percorsi e iniziative per il cicloturismo e il turismo slow”. Ciò su cui lavorare, oltre alla promozione, sono le infrastrutture, secondo Vitiello: “Siamo ancora carenti. C’è molto da fare. Anche solo a livello di servizi. Le potenzialità le abbiamo tutte. Una rete di piste ciclabili diffusa, paesaggi bellissimi, percorsi che nulla hanno da invidiare con altri parti del Paese. Dobbiamo, però, fare un salto di qualità e darci obiettivi precisi con un progetto che non sia solo della Camera di Commercio, ma di sistema”. Un esempio concreto su cui lavorare e migliorare? “Il trasporto delle bici sui treni. Oggi spesso impossibile o difficoltoso o a discrezione dei capitreno. Un servizio più a misura di escursioni su due ruote potrebbe permetterci di intercettare anche le potenzialità espresse dall’area metropolitana di Milano”.

Le sfide, così come le opportunità, nel prossimo futuro non mancano. Non solo le Olimpiadi invernali di Milano Cortina del 2026 “che possono attrarre sul territorio team internazionali di hockey sul ghiaccio e pattinaggio per allenamenti, ritiri pre e post eventi olimpici”. Guardando anche più oltre, in termini temporali, proprio Varese Sport Commission ha predisposto la candidatura che ha portato i territori di Varese, Como e Lecco ad ottenere l’assegnazione per il 2027 degli European Master Games. Un evento di rilievo internazionale polisportivo, una sorta di olimpiadi europee per atleti master, che porterà nell’area insubre oltre 10.000 atleti.

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Il Palace Grand Hotel di Varese

Sport, ma non solo. “Il turismo fieristico, quello wedding e quello d’affari legato alla fitta rete di imprese sono altri filoni su cui lavorare”, precisa Vitiello.

La domanda è se per sostenere una crescita del cicloturismo o di qualsiasi altra vocazione turistica ci siano abbastanza strutture ricettive sul territorio. Per Frederick Venturi, Presidente di Federalberghi Varese, la risposta sta nei numeri: “Attualmente la capienza media annuale delle nostre strutture si aggira tra il 50% e il 60%”. Tradotto: “L’attuale capienza è coerente con i flussi che oggi il territorio accoglie ed è in grado di far fronte ad una loro crescita. Ad ulteriori passi in avanti farà seguito un incremento dell’offerta”. Il messaggio è chiaro: ogni nuovo investimento deve essere ben pesato: “La realizzazione di un albergo moderno ha costi importanti che si aggirano mediamente intorno ai 100mila euro a camera. È anche per questo che il 50% degli investimenti

alberghieri in Italia oggi si concentrano in sole quattro città: Milano, Roma, Venezia e Firenze. Lì le camere possono essere messe sul mercato a prezzi maggiori, accorciando i tempi di rientro degli investimenti”. Per un albergo a cinque stelle, realtà, come spesso denunciato da più parti, completamente assenti in provincia di Varese, le cose si fanno ancora più difficili: “In questo caso l’investimento è triplo e i costi del personale si impennano se pensiamo che una struttura del genere deve garantire almeno un dipendente per ogni camera”. Il rischio potrebbe essere quello di fare il passo più lungo della gamba, secondo Venturi: “È vero che stiamo perdendo occasioni di importanti fiere a causa della mancanza di un albergo a cinque stelle. Ma dobbiamo pensare che non bastano pochi eventi per rendere sostenibile una struttura del genere. L’occupazione delle camere deve essere garantita per tutto l’anno”. Detto questo, secondo Federalberghi la strada indicata dalla

strategia della Camera di Commercio di Varese è quella giusta: “Il cicloturismo qui da noi può avere un futuro importante. Dobbiamo concentrarci su pochi e precisi filoni per colpire nel segno in maniera mirata”.

Fare le cose guardando i dati è il mantra anche di Uniascom Confcommercio Provincia di Varese e del suo Presidente, Rudy Collini: “Il turismo del Varesotto può essere rilanciato studiando e comprendendo le esigenze e le abitudini di chi visita il nostro territorio. Confcommercio provincia di Varese con Vodafone Analytics monitora le presenze nelle città: grazie a un sistema di rilevamento unico in Italia, sappiamo chi sono le persone, da dove vengono, la loro età. Abbiamo giornalmente dati precisi che possono essere il punto di partenza, o possono dare ulteriore forza, a progetti mirati che hanno come obiettivo quello di attirare i turisti e di trattenerli per periodi sempre più lunghi”.

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FOCUS CICLOTURISMO

e l’identità culturale

Ville e dimore storiche, recuperi industriali, beni da salvaguardare. La provincia all’ombra delle Prealpi racchiude in sé bellezze d’arte e natura in grado di attrarre turisti e visitatori da tutto il mondo. Parola di Marco

Magnifico, Presidente del Fondo per l’Ambiente italiano

In occasione dei 100 anni dalla nascita di Giuseppe Panza, festeggiata con l’allestimento di una nuova opera di Jene Highstein, aggiunta alle 108 già donate di recente dalla famiglia alla collezione di Biumo Superiore, il Presidente del Fai - Fondo per l’Ambiente italiano, Marco Magnifico, ha sottolineato l’ottima intesa raggiunta nel tempo dai varesini con la villa. La vivono non più come aristocratica residenza, ma come luogo di armonia aperto a tutti, orgogliosamente loro. E di internazionale importanza e richiamo.

Presidente Magnifico, è un buon momento, state raccogliendo i frutti di tanto lavoro. Che cosa si dovrebbe fare ancora per Villa Panza?

Chi semina bene raccoglie i frutti. E dunque abbiamo seminato bene. I visitatori sono arrivati e nessuno più, oggi, ignora Villa Panza. La

convinzione è che sia una tra le più importati dimore del territorio. Possiamo dire che è per i varesini una presenza identitaria. Adesso il compito del Fai è monitorare i gusti del pubblico, anzi dei pubblici, rispondendo a nuove esigenze. E sta poi a chi ci segue capire a propria volta lo stile del Fai, che è lo stesso da sempre.

I Beni Fai in provincia di Varese sono numerosi e di grande varietà, dalla Torre di Velate a Torba, a Villa Bozzolo, fino all’ultimo: Casa Macchi di Morazzone. Che significato ha per voi questa nuova acquisizione?

Casa Macchi è un momento felice e un frutto esemplare della nostra attività. Quando ho visto la casa ho avuto un attimo di perplessità, lo stato di abbandono richiedeva impegno, non custodiva opere o valori particolari. Ma mi sono poi convinto della peculiarità di una

grande casa borghese, fermatasi nel tempo, abitata da più generazioni, rimasta intatta nella sua semplicità. Soprattutto scrigno esemplare dei valori di una borghesia perbene. Semplice, benestante ma non ricca, molto attenta agli altri. L’entusiasmo e la collaborazione fattiva e concreta del Comune, della Regione, della Provincia, e il ricordo va anche a Roberto Maroni, ci hanno poi sostenuto e aiutato. E la risposta si è vista subito dall’interesse dei visitatori.

Da sempre siete un esempio virtuoso di come si guarda al territorio e ci si occupa del suo appeal turistico, rispettandone insieme le peculiarità. Oggi bisogna tenere insieme molte necessità: tutela del patrimonio artistico e storico, rispetto dell’ambiente, ma anche sviluppo economico e tecnologico. Quali sono le valutazioni del Fai? E il turismo può essere volano fondamentale?

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LE BELLEZZE DEL FAI
FOCUS

FOCUS BELLEZZE DEL FAI

Noi facciamo il nostro lavoro, siamo attivi su un certo tipo di offerta. Tocca agli altri operatori capire i tempi. Che oggi per fortuna sono migliori. In passato il consumo del suolo ha avuto

una tale accelerazione che dovrebbe ora conoscere uno stop. Pensiamo però al turismo che è in fase di risalita. Il Lago di Varese è tornato balneabile, si è lavorato e si vede. Ed è cresciuta in generale la sensibilità verso il paesaggio che è considerato patrimonio di tutti.

Resistono ancora tante ex fabbriche abbandonate, come nelle aree dismesse lungo l’Olona, sulle quali c’è da interrogarsi. L’esempio del magistrale restauro a opera di Aldo Rossi dell’ex cotonificio Cantoni, oggi sede della LIUC – Università Cattaneo, è stato proposto proprio nelle giornate Fai di primavera ai visitatori.

Nelle aree dismesse, le vecchie fabbriche sono identità storica del territorio. Se si può, ed è opportuno farlo, bisogna cercare di mantenerle. Hanno portato benessere e vita, e dunque sarebbe, altrimenti, cancellare un pezzo di storia. Il bell’esempio di LIUC depone a favore. Ma è importante, perché l’archeologia industriale torni ad avere un ruolo, la qualità architettonica del rispetto: ricostruire significa farlo con stile e anima. È una meta che dobbiamo porci. Non dobbiamo accettare voli pindarici per soddisfare le sperimentazioni degli architetti: Piano, Botta, Chipperfield, loro sì avrebbero senso del territorio.

Villa Panza a Varese (foto di Alberto Bortoluzzi)

Il Fai, le piace sottolineare, si occupa di monumenti e edifici storici, ma soprattutto delle storie degli uomini. State riscoprendo i paesi sopra i 600 metri di altezza, che si vanno spopolando. Nella nostra provincia ne conosciamo tanti. Da località della Valganna, come Boarezzo, alle valli del Luinese, penso a Curiglia. Non si potrebbe valutare di aprire luoghi in via di abbandono a chi ha bisogno di una casa e arriva da lontano in cerca lavoro e di una identità. Il Fai cosa ne pensa?

Il Fai ha un alpeggio in Valtellina e uno sul Montegrappa. Storie che

abbiamo adottato per far sentire alcune civiltà ancora fondamentali nella vita delle nazioni. L’Europa sta cambiando, il mondo è sempre cambiato del resto, i giovani, e non solo loro, si spostano. Per evitare abbandoni o accogliere chi arriva, ci vogliono però anche strutture a portata di mano, poste, scuole, ospedali e quant’altro. Penso anche a tanti paesi del Sud: sono necessarie, anche qui, importanti agevolazioni fiscali per far rinascere i luoghi in via di spopolamento. Nel mondo si affacciano sempre nuove necessità e responsabilità. E bisogna saper rispondere, ciascuno per la propria parte.

Presidente Magnifico, un ultimo messaggio.

Abbiamo bisogno del sostegno di tutti, è necessario che tutti si ricordino di noi. Io sono soddisfatto del lavoro del Fai, ma l’aiuto non deve mancare Noi ci consideriamo una forza utile alla società. Ognuno può contribuire a quest’opera di identità culturale. Il mio appello è di ricordare a tutti che il grado di qualità culturale di un territorio aiuta il territorio stesso.

UNA CASA LONTANO da casa

Per quale motivo atleti provenienti da un Paese tanto lontano dall’Italia come l’Australia, dovrebbero decidere di venire ad allenarsi proprio sulle sponde del Lago di Varese? A spiegarlo è la testimonianza diretta del centro di preparazione olimpica e paralimpica del governo australiano in Europa con sede a Gavirate, esempio lampante della vocazione sportiva del territorio varesino. Che si è confermato, anche nel 2022, ai primi posti nella classifica de Il Sole 24 Ore per indice di sportività

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FOCUS
Gli atleti dell’Australian Institute of Sport - European Training Center di Gavirate

L’arciere Michele Frangilli, la ginnasta

Romina Laurito, la sollevatrice

Giorgia Bordignon, tutti e tre di Gallarate. I canottieri

Federica Cesarini di Cittiglio ed Elia Luini di Gavirate, il nuotatore

Nicolò Martinenghi di Varese, lo schermidore Daniele Crosta di Busto Arsizio e poi ancora i nuotatori paralimpici Federico Morlacchi di Luino e Arianna Talamona di Varese, il paraciclista Fabrizio Macchi anche lui varesino. Cos’hanno in comune questi atleti nati e cresciuti nel Varesotto? Tutti, in diverse annate, discipline e sport hanno regalato alla provincia di Varese una medaglia olimpica o paralimpica. Non a caso nell’ultimo rapporto sulla Qualità della Vita 2022 pubblicato da Il Sole 24 Ore, tra le provincie più sportive d’Italia, quella all’ombra delle Prealpi risulta tra le prime 10, in nona posizione per l’esattezza. Prima in assoluto per sport paralimpici e molto ben posizionata anche per quello che riguarda il mondo dello sport femminile (6°). Ottimi i risultati varesini anche, nella categoria sport individuali, per il nuoto (7°) e gli sport indoor (10°) come ginnastica, judo, lotta, pugilato, scherma, taekwondo, tennis da tavolo e tiro a segno. Tra gli sport di squadra, bene il volley (11°). Il territorio di Varese, negli ultimi anni, ha sempre occupato le prime posizioni della classifica stilata da Pts (Profit to share) per Il Sole 24 Ore, calcolata su 32 diversi indicatori, confermando una vocazione sportiva decisamente al di sopra della media.

Tra gli esempi più significativi e curiosi quando si parla di sport made in Varese c’è di sicuro l’Australian Institute of Sport - European Training Centre (AIS) con sede a Gavirate, il centro di preparazione olimpica e paralimpica del governo australiano in Europa. Impossibile non domandarsi per quale motivo uno dei Paesi più lontani geograficamente

dall’Italia abbia deciso di aprire, precisamente sulle sponde del Lago di Varese, una base d’allenamento per atleti di primissimo respiro, dotata di palestra, laboratori, un centro ricerca e sale polifunzionali, insieme anche ad una lavanderia, una sala giochi, un bar e una mensa. A rispondere a questa domanda è Fiona de Jong, Direttrice dell’AIS, nonché componente dell’Australian Olympic Commitee da ben 12 anni: “Gavirate è una piccola realtà al centro dell’Europa con tutte le caratteristiche essenziali per l’allenamento dei nostri atleti. Poi c’è Malpensa che con il suo aeroporto garantisce di raggiungere tutte le principali destinazioni europee in poche ore. Ed è proprio in Europa che si svolgono gran parte delle competizioni mondiali. A questo si aggiungono le numerose eccellenze naturali, dal lago alle strade, i meravigliosi parchi e i percorsi per la corsa. E poi ancora le strutture sportive, come il Palazzetto dello Sport, senza dimenticare la nuova pista d’atletica e il Palaghiaccio. La chiave del successo della nostra presenza è la stretta collaborazione con il territorio, le attività locali e le associazioni sportive. Noi ci crediamo e ci sentiamo parte integrante della comunità locale”.

L’hub australiano in terra varesina, una vera e propria “casa lontano da casa”, ogni anno mobilita decine di centinaia di sportivi provenienti da tutto il mondo, non solamente dalla lontana terra dei canguri. “Quest’anno prevediamo di raggiungere il record di 10.000 pernottamenti e questo

solamente contando le 25 camere doppie della nostra struttura di Gavirate. Con il supporto di alloggi sparsi per la provincia, arriveremo ad ospitare fino a 120 atleti al giorno nel periodo estivo”, precisa de Jong.

Tra gli sportivi che trovano casa sulle sponde del Lago di Varese, la maggior parte sono canottieri, ma non sono i soli: “Per la prima volta nella storia abbiamo ospitato la nazionale australiana di calcio maschile, che ha già confermato di voler tornare proprio nel mese di maggio – spiega di nuovo la Direttrice dell’AIS –. Anche in questo caso il ruolo chiave lo gioca il territorio e la possibilità di organizzare partite amichevoli con i prestigiosi club locali e i grandi nomi come Juventus, Milan e Inter. E poi non possiamo dimenticare i grandi classici, come il basket, la canoa, il ciclismo e soprattutto la nuova spinta degli sport invernali verso i Giochi di Milano Cortina 2026, che ha portato e porterà diversi ragazzi e ragazze nell’hub di Gavirate. Di sicuro gli atleti australiani hanno la priorità per noi, ma siamo qui per lo sport e per aiutare gli sportivi provenienti da ogni parte del mondo a raggiungere il loro potenziale. Siamo sempre aperti a nuovi Paesi che abbiano voglia di sperimentare il sistema agonistico australiano”.

Ma quali sono le caratteristiche del territorio varesino che gli atleti di tutto il mondo trovano così performanti ed idonee per i loro allenamenti? “Qui abbiamo trovato un territorio molto fertile, ricettivo, aperto. Varese è terra di eccellenze, lo sport è solo una di queste. Dalle salite per il ciclismo, ai sentieri per la corsa, al lago grande e senza vento perfetto per il canottaggio, la canoa, il kayak e ovviamente il calcio, sport nazionale italiano. Non da ultimo il clima, né troppo freddo né troppo caldo per gran parte dell’anno”, chiosa Fiona de Jong.

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LAVENO È mondiale

Una sorta di “trampolino” verso l’infinito, tra cime e pendii da cui spiccare il volo e correnti ascensionali in grado di mantenere gli atleti in quota per ore, solcando i cieli per diverse decine di chilometri. La perla del Lago Maggiore si appresta ad ospitare nel 2025 i Campionati del Mondo di deltaplano

Osservano le cime delle montagne, l’inclinazione dei pendii, ma anche gli spigoli dei palazzi, la cima degli alberi o il tetto di una casa. Riconoscono la forma delle nuvole e soprattutto fiutano l’aria. Vedono ciò che le persone con i piedi ben piantati per terra non riesco a cogliere: le correnti ascensionali, che hanno punti di distacco ben precisi e sono veri e propri ascensori che gli consentono di stare in quota per ore e solcare i cieli per decine e decine di chilometri. Sono i deltaplanisti e Laveno è una dello loro “case” preferite. Sasso del Ferro e Monte Nudo i loro “trampolini” verso l’infinito. Punti di partenza mondiali visto che nel 2025 proprio la perla del Lago Maggiore ospiterà i Campionati del Mondo e a giugno dell’anno prossimo la competizione premondiale. Un assaggio di tutto questo lo si potrà avere nel mese di giugno con il Trofeo Valerio Albrizio,

una delle competizioni più longeve al mondo con alle spalle 35 primavere e che prevede il decollo da Poggio Sant’Elsa e l’atterraggio dei piloti in località Pradaccio. Una gara che richiama i migliori deltaplanisti di tutta Europa, mentre per gli appuntamenti iridati sono attesi i top

intercontinentali. È presto però per fare l’elenco dei partecipanti, anche se l’Italia è tra le nazionali favorite. Del resto, proprio a Laveno abita il pluricampione mondiale Christian Ciech.

I due appuntamenti mondiali sono già fissati in calendario nella prima decade del mese di giugno (2024 e 2025), perché quello è il periodo migliore per il volo libero. Per il resto bisogna confidare nel meteo:

“È l’aria che comanda”, spiega Andrea Parozzi, Presidente del Delta Club Laveno, realtà che raccoglie chi vola in deltaplano, ma anche con il parapendio.

Attenzione però a non confondere i due differenti modi di emulare il leggendario Icaro. “Per prima cosa – puntualizza Parozzi –, non è automatico che chi vola in deltaplano lo faccia anche con il parapendio. Inoltre, dove volano i deltaplani possono volare anche i

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Andrea Della Bella
FOCUS
Andrea Parozzi: “I pionieri del deltaplano dopo aver importato dall’America i prototipi, venivano proprio qui a volare. Erano gli anni della sperimentazione e questo angolo della provincia di Varese è uno dei posti ideali per questa disciplina”

‘para’, ma non è detto che possa avvenire il contrario. Il primo ha bisogno di spazi grandi per poter atterrare, al secondo basta un campo o uno spiazzo. Infine, il parapendio è molto più gestibile e facile da trasportare: ci sta in uno zaino. Il deltaplano pesa circa 30 chili e richiede un buon allenamento fisico anche solo per arrivare al punto di decollo”. L’evoluzione tecnica però ci ha messo lo zampino e nel corso degli anni le prestazioni dei parapendio si sono avvicinate a quelle del deltaplano: i “para” sono diventati qualcosa di più di un semplice paracadute che plana a 45 gradi fino a terra, oggi quelli bravi volano per centinaia di chilometri. Quasi come chi vola con il deltaplano.

Ma torniamo a Laveno. E per capire come mai la Federazione abbia scelto la cittadina che si affaccia sul Verbano quale sede di un Mondiale bisogna tornare agli anni ‘70.

Laveno è una delle prime sedi in Italia e in Europa in cui si è iniziato a praticare il volo libero. “I pionieri del deltaplano – racconta Parozzi –dopo aver importato dall’America i

prototipi venivano proprio qui a volare. Erano gli anni della sperimentazione e questo angolo della provincia di Varese è uno dei posti ideali per questa disciplina”.

Parozzi definisce Laveno una palestra eccezionale: “Qui si impara a volare. È perfetto per i principianti, ma continua ad avere il suo fascino anche per i piloti più esperti e ambiziosi. Chi è alle prime armi ha a disposizione un atterraggio comodo e vicino sia al Nudo che al Sasso del Ferro. Chi invece vuole misurarsi con cielo aperto e distanze più impegnative può varcare i confini provinciali e puntare su Lecco o il Piemonte oppure scegliere di solcare i cieli svizzeri”. Insomma, ottime sono le condizioni del cielo, ma anche quelle della terra: “Non va sottovalutato il territorio che teniamo sempre sotto controllo e che quando siamo in volo sta sotto di noi. Questo perché è la sua conformazione che

crea le condizioni aerologiche giuste e un pilota esperto le può sfruttare al meglio”.

Condizioni ottime, ma non stabili. Ovvero nessuno può prevedere cosa accadrà nel cielo nel periodo mondiale. E quindi? “Iniziamo col dire che l’evento è dedicato alla Categoria Sport – spiega Parozzi – e che l’edizione viene omologata se si disputano un certo numero di gare nell’arco temporale dell’evento”. E chi vince? “I piloti decollano e in volo attendono il via lungo una linea immaginaria di start. Poi – continua il Presidente del Delta Club che è tra gli organizzatori – ci sono delle boe virtuali che segnano il percorso e che sono fissate sul gps. Il pilota si deve avvicinare il più possibile per registrare il passaggio. Infine, c’è un algoritmo che calcola la posizione finale in base ai tempi di percorrenza, ma anche per quanto tempo un concorrente ha mantenuto la miglior posizione e così si assegna il vincitore della gara”. Un po’ arzigogolato il regolamento, ma le cose in cielo non funzionano come sulla terra: per vincere, infatti, non serve tagliare il traguardo per primo, “ma occorre dimostrare di essere il migliore per tutta la gara”.

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IL PRIMATO PARALIMPICO di Varese

È grazie a realtà come la Polha che la provincia varesina è prima nel Paese nell’indice di sportività per disabili stilato ogni anno da Il Sole 24 Ore. Un’Associazione polisportiva dilettantistica nata nel 1982 e guidata da Daniela Colonna-Preti, l’unica in Italia ad essere riuscita a portare i suoi atleti sia alle Paralimpiadi estive di Tokyo, nel 2021, sia a quelle invernali di Pechino nel 2022. È da qui che arrivano molti dei campioni che portano la nazionale italiana sui podi di tutto il mondo. Soprattutto nel nuoto, ma non solo

Conta 9 affiliazioni a Federazioni sportive, 140 atleti, di cui 80 agonisti, 48 convocati alle Paralimpiadi dal 1984 ad oggi, 45 tecnici, un’ottantina di volontari, oltre 260 soci tesserati. Questi i numeri della Polha: l’Associazione polisportiva dilettantistica per disabili di Varese.

È nata nella provincia nei primi anni ‘80 sotto l’acronimo “Pol.Ha.82”, per volontà di un fisioterapista e di un gruppo di persone con disabilità che oltre a frequentare la piscina per la riabilitazione, sognavano di poter trasformare la passione per l’acqua in attività agonistica. Una vera e propria sfida per quei tempi, ma completamente vinta. Tanto che oggi la Polha costituisce l’unico centro di avviamento allo sport paralimpico della Lombardia: il più grande

pluridisciplinare a livello nazionale e la sola società italiana ad essere riuscita a portare i suoi atleti sia alle Paralimpiadi estive di Tokyo, nel 2021, sia a quelle invernali che si sono svolte a Pechino nel 2022. Da qui arrivano i campioni che portano la nazionale italiana in alto nel mondo.

Ma andiamo con ordine. Perché, come racconta il Presidente dell’Associazione, Daniela ColonnaPreti, “la storia della Polha è un po’ quella di tutto il movimento sportivo per disabili in Italia. Sembra assurdo, ma una volta non era possibile far fare sport alle persone con disabilità nelle società sportive tradizionali.

L’obiettivo, quindi, era quello di costruire attorno a loro la credibilità di atleti positivi e vincenti”. Un desiderio, questo, che è stato uno sprone a molteplici sfide: la ricerca di spazi e allenatori; la lotta all’abbattimento delle

barriere architettoniche presenti negli impianti; l’individuazione di sponsor che credessero in un’associazione di disabili. “Il tempo e la tenacia ci hanno dato ragione tanto che oggi – aggiunge il Presidente –, riceviamo chiamate di ragazzi che vogliono essere supportati da noi da tutta Italia”.

Atletica leggera, bocce, calcio balilla, handbike, kayak, nuoto, para ice-hockey, sitting volley, snowboard e tennis tavolo: è il ventaglio di discipline proposte che fa della Polha un punto di riferimento un po’ per tutti gli sportivi. Non solo varesini. Sì, perché, le richieste di tesseramento arrivano anche da Milano, Como, Cremona, Bergamo e ancora, dal Piemonte, dal Veneto e dal Trentino. Un raggio di azione che fa della Polisportiva una colonna portante dello sport paralimpico a livello nazionale. A confermalo è anche

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FOCUS

la classifica sull’indice di sportività svolta, lo scorso anno, da Il Sole 24 Ore: Varese si è posizionata in testa superando le altre 106 province italiane proprio nello sport paralimpico. “È un risultato grandioso – commenta Colonna-Preti –. Conferma che Varese è un polo di eccellenza. La Polha è una società sportiva storica e stimata. C’è una grande fiducia nei nostri confronti, tanto che dobbiamo declinare molte richieste di atleti che desiderano tesserarsi. Questo perché preferiamo dare la possibilità ai ragazzi e alle ragazze che seguiamo già da tempo, di crescere offrendo loro gli attrezzi, gli spazi e gli spostamenti

necessari per fare allenamenti e gare, piuttosto che accettare tutti e non poter garantire i servizi. Al contempo, però, stiamo aprendo una sede operativa anche a Milano proprio per cercare di rispondere alle domande, soprattutto per fare nuoto, che arrivano da quella zona”.

È proprio nel nuoto, oltre che nell’hockey, nell’atletica e nello snowboard, che gli atleti della Polha vanno più forte. Federico Morlacchi, Simone Barlaam, Alberto Amodeo, Alessia Berra, Arianna Talamona, Giulia Terzi e Arjola Trimi: questi i nomi dei campioni del nuoto paralimpico che, quasi tutti, con

molta probabilità, saranno convocati per i mondiali di Manchester 2023. “Si tratta di un’eccellenza assoluta”. Così il Presidente sulla “sua” squadra di nuoto: “È stata campione d’Italia per tre anni consecutivi. Siamo decisamente la più titolata in questo momento. Dalle Paralimpiadi di Tokyo i nostri nuotatori hanno portato a casa 10 medaglie individuali e 7 di staffetta. Sono loro che hanno contribuito a far sì che la squadra italiana paralimpica vincesse i campionati del mondo l’anno scorso”. Ma non è finita qui. La Polha vanta anche quattro atleti nella nazionale azzurra di para ice-hockey, che si stanno preparando ai Giochi di Milano Cortina 2026: Alessandro

Andreoni, Bruno Balossetti, Roberto Radice, Santino Stillitano. Quattro in nazionale nell’atletica leggera: Fabio Bottazzini, Bashar Madjid, Alina Alexandra Simion, Irbin Vicco. Due nello snowboard: Riccardo Cardani e Emanuele Perathoner. E altri due nel calcio balilla: Lorin Bagdasar e Paolo De Fiorio che, in agosto, parteciperanno ai Mondiali.

“L’ideale, ora – aggiunge il Presidente –, sarebbe riuscire a integrare all’interno del consiglio direttivo persone giovani che si impegnino a portare avanti l’attività e il nostro obiettivo”. Ciò di cui parla Daniela Colonna-Preti è il ricambio generazionale all’interno del gruppo dirigenziale della Polisportiva. La speranza è che la Polha continui a offrire l’opportunità di fare sport a tanti giovani con disabilità e a portare in alto nel mondo il nome sia dei suoi atleti, sia della provincia. Sì, perché, come sottolinea il Presidente “tantissime persone hanno imparato a conoscere il nostro territorio tramite le competizioni della Polha. Ci sono ragazzi della zona di Milano e Como, ad esempio, che vengono ad allenarsi intorno al Lago di Varese. Hanno conosciuto quell’anello di quasi 25 chilometri di provinciale proprio grazie alla nostra gara ‘Tre ruote intorno al lago’”.

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Armata Brancaleone Ice Sledge Hockey (foto Marco Guariglia). Sotto, Alberto Amodeo (foto Augusto Bizzi)

TURISTI in fabbrica

Patrimonio industriale e cultura di impresa possono essere elementi trainanti per nuove forme di attrattività che in Italia faticano ancora a decollare, ma che possono rappresentare un’occasione di sviluppo di un turismo più esperienziale, soprattutto in territori particolarmente legati ad un’economia fortemente manifatturiera come Varese

Il termine “turismo industriale” sembra contenere al suo interno una sorta di contraddizione che scaturisce dall’unione del termine “industria”, spesso associato a un’idea di interesse economico che si impone con violenza a qualsiasi altro valore e quello di “turismo”, che, invece, nell’immaginario collettivo si sposa con l’idea di una fruizione di bellezze naturali incontaminate o di manufatti artistici perfettamente conservati nel loro stato originale. Si tratta di un pregiudizio particolarmente forte in un Paese come l’Italia che detiene il primato della maggiore concentrazione di siti iscritti nella Lista del patrimonio mondiale Unesco (ben 58) e che vede la propria identità turistica definita soprattutto da elementi del paesaggio o da testimonianze di un primato artistico e culturale riconosciuto come incontrastato durante diversi secoli della storia.

Si tratta di una “cultura turistica”

che ha radici profonde. La Guida d’Italia edita dal Touring Club del 1914 (le mitiche “guide rosse”) andava a snocciolare i minimi dettagli del glorioso passato di tutte le regioni della Penisola, mentre la legge numero 1497 del 1939 sulla Protezione delle bellezze naturali, particolarmente innovativa per la sua epoca, introduceva l’idea di tutela applicata alle opere dell’uomo, ma considerava degni di conservazione solo edifici e oggetti rispondenti a caratteri di eccezionalità e valore estetico estremamente tradizionali. Antichità e unicità dell’oggetto (la possibilità di riconoscere al suo interno la “mano” dell’artista) furono gli elementi guida che definirono anche le mete del turismo di massa nella seconda metà del ‘900. Gli oggetti e i luoghi della produzione industriale, per sua natura moderna e serializzata, trovarono invece difficoltà a essere riconosciuti come oggetti di valore culturale e vennero

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FOCUS
LIUC-Università Cattaneo (foto A. Monachello)

abitualmente considerati “vecchi” prima che “antichi”. Stimoli nuovi si svilupparono nel corso degli anni ‘60 del ‘900 a partire dall’Inghilterra, patria della Rivoluzione industria e, all’epoca, alle prese con una profonda metamorfosi del proprio modello economico. Autori come Michael Rix e Ken Hudson resero familiare al mondo accademico e all’opinione pubblica il termine di “archeologia industriale” e ispirarono campagne per la tutela di edifici e manufatti simbolo di un’epoca in cui la Gran Bretagna veniva considerata “l’officina del mondo”. Si tratta di un fenomeno che si è rafforzato e cresciuto nei decenni successivi: tra il 2001 e il 2010 i principali 124 musei e siti industriali britannici hanno registrato un totale di 103 milioni di visitatori (nello stesso decennio, gli scavi di Pompei ed Ercolano hanno accolto circa 29

Durante le Giornate del Fai di primavera 2023 il sito CantoriLIUC ha accolto 1.100 visitatori (foto A. Monachello) LIUC-Università Cattaneo (foto D. Pozzi)

LA RETE DEI MUSEI INDUSTRIALI DELLA PROVINCIA DI VARESE

Giuseppe Nigro (Direttore del Museo delle Industrie e del Lavoro Saronnese)

È del novembre del 2020 l’accordo che diede vita alla rete dei Musei Industriali della provincia di Varese con l’acronimo Miva (Musei Industriali della Provincia di Varese). La proposta del Museo del Tessile di Busto Arsizio (capofila) fu accolta dai musei Bertoni di Somma Lombardo, Fisogni di Tradate, Agusta di Cascina Costa, Museo delle Industrie e del Lavoro del Saronnese, Museo della Motocicletta Frera di Tradate, Museo della Pipa di Brebbia. Gli estensori dell’accordo erano animati dal convincimento che le rispettive realtà museali ne avrebbero tratto vantaggio e la cultura industriale della provincia di Varese anche. Alcuni dei musei in questione preservano reperti industriali famosi realizzati da imprese ancora attive, altri conservano manufatti di aziende che hanno concluso il loro ciclo produttivo. Il merito più grande di entrambe le tipologie di musei è quello di aver salvato dall’oblio una storia materiale, secolare, alla base della ricchezza accumulatasi in Lombardia. Messi in rete i musei locali rappresentano a pieno titolo la complessità e la ricchezza della storia industriale del territorio, un patrimonio

milioni di turisti). L’interesse per la tutela e valorizzazione del patrimonio industriale si è, inoltre, esteso a livello globale con la creazione di entità come The International Committee for the Conservation of the IndustriaI Heritage (Ticcih, 1973) e l’European Route of Industrial Heritage (Erih), un progetto internazionale avviato a partire dal 1999.

In Italia, nonostante la precoce nascita di una Società Italiana per l’Archeologia Industriale (1977), il movimento attecchì con un certo ritardo: un clima ideologico e culturale

culturale che affiancato a quello artistico e naturalistico contraddistingue la provincia di Varese. L’accordo nato con l’ambizione di sviluppare le potenzialità dei musei industriali della provincia di Varese ha come finalità la valorizzazione e l’integrazione delle singole realtà in un percorso comune. Il condizionamento imposto dai lunghi mesi della pandemia degli anni scorsi ha impedito, purtroppo, alla rete di perseguire pienamente gli obiettivi a suo tempo delineati.

La prima fase della storia delle singole istituzioni museali, tesa alla salvaguardia della civiltà industriale del passato, alla conservazione di oggetti e macchine, oggi, non è più sufficiente per attirare visitatori.

I musei della rete dotati di maggiori mezzi, non a caso, stanno provvedendo a rendere la loro proposta culturale più attraente, in particolare per gli studenti e le famiglie, destinatari privilegiati della loro offerta.

Per fare un vero salto di qualità i musei hanno necessità di risorse per riorganizzare le collezioni, renderle fruibili in una nuova dimensione che si avvalga di innovative strumentazioni digitali. Negli ultimi anni in paesi come il Regno Unito, i musei industriali sono diventati destinatari di importanti investimenti pubblici e privati che hanno consentito di riorganizzare

l’offerta, di attrezzare luoghi pensati per la diffusione della cultura scientifica e tecnica. Valgano i casi dei musei della scienza e dell’industria di Manchester e Liverpool, diventati centri formativi e di rigenerazione della cultura industriale del territorio che contribuiscono anche al rilancio economico delle realtà urbane messe in crisi dalla deindustrializzazione. Fra i temi discussi nell’ambito della rete non è mancato quello riconducibile al cosiddetto turismo industriale, in gran voga in alcune realtà europee dove i musei industriali svolgono un ruolo importante per il successo turistico del paese. I musei della provincia di Varese già oggi attirano numerosi visitatori, talvolta provenienti anche dall’estero. Sotto questo profilo assolvono a un compito di tenuta della memoria della storia e della cultura tecnica del nostro Paese conservando scrupolosamente le macchine/reperti frutto dell’ingegno creativo di imprenditori e tecnici. Per tradurre questo movimento spontaneo in un’occasione di ulteriore marketing territoriale e di sviluppo economico è, però, arrivato il momento di passare dalla fase “spontanea” ad una maggiormente pianificata e raccogliere la sfida che la mobilità globale pone alle realtà locali.

(il villaggio operaio di Crespi d’Adda) nella Lista dell’Unesco mentre è solo con il nuovo Codice dei Beni culturali del 2008 che si riconosceva la rilevanza culturale di testimonianze

che difficilmente riconosceva un valore sociale positivo ai fenomeni industriali si sommava al primato dei “monumenti” tradizionali. È del 1995 l’inserimento del primo sito industriale

italiano (il villaggio operaio di Crespi d’Adda) nella Lista dell’Unesco mentre è solo con il nuovo Codice dei Beni culturali del 2008 che si riconosceva la rilevanza culturale di testimonianze

30 FOCUS TURISMO INDUSTRIALE
È del 1995 l’inserimento del primo sito industriale italiano
“della scienza, della tecnica, dell’industria”

“della scienza, della tecnica, dell’industria” (D. Lgs. 62/2008, art. 10, c. 2D).

Il concetto di turismo industriale, tuttavia, va ben oltre una semplice cooptazione dei manufatti industriali in una prospettiva che ha al centro la cristallizzazione di un “monumento” come oggetto di pura conservazione e ammirazione passiva.

È sicuramente vero che i primi musei aziendali nacquero a imitazione dei musei tradizionali, per esporre al pubblico oggetti dotati di un intrinseco valore artistico o con caratteri di eccezionalità e unicità (è questo il caso, ad esempio, dell’esposizione di ceramiche aperto da Wedgewood nel 1906 o del museo Daimler inaugurato nel 1911).

Oggi, tuttavia, musei e siti industriali sono tra le tipologie di attrazione turistica dove più chiaramente si osserva un nuovo orientamento, attivo ed esperienziale, da parte del pubblico. Il turismo industriale è infatti uno dei molteplici rivoli “settoriali” in cui si è suddiviso il vecchio modello monolitico del turismo di massa. Il quadro è reso ancora più dinamico e complesso dal fatto che gli “oggetti” del turismo industriale sono estremamente vari e si dispongono su uno spettro continuo che va da realtà che hanno una funzione esclusivamente “museale” (talvolta separate dalle imprese che le hanno generate) ad aziende per le quali la visita è una parte integrante del modello di business. Un moderno concetto di “cultura d’impresa” si è quindi affiancato, a partire dagli anni 2000, a quello di “patrimonio industriale”, concetto con cui l’Italia aveva iniziato a prender dimestichezza nel decennio precedente.

L’associazione Museimpresa, creata su stimolo di Confindustria e Assolombarda nel 2001, si è dimostrata ad esempio particolarmente attiva nel diffondere l’idea dell’archivio e del museo aziendale come elemento vivo e partecipe della strategia attuale delle

imprese promuovendo, tra l’altro, la prima Guida Touring Turismo Industriale in Italia (2003, rivista e ampliata nel 2008).

Una realtà complessa e tuttora molto vitale come il progetto Terra dei Motori – Motor Valley esprime bene le molteplici sfaccettature del turismo industriale: dal 2005 la Regione Emilia-Romagna differenzia la propria offerta turistica con iniziative legate al tema dell’automobilismo che coinvolgono musei e imprese attive, esperienze sportive, itinerari artistici ed enogastronomici.

Quest’ultima commistione di piani è probabilmente l’elemento di specificità che rappresenta la maggiore potenzialità del turismo industriale made in Italy: in un Paese dove il settore manifatturiero ha ricevuto e riceve costanti stimoli dall’appartenenza a territori e tradizioni culturali ricche e diversificate, il turismo industriale non costituisce un “surrogato” di attrazioni “più nobili”, ma si inserisce in un continuum artistico e culturale dove abbondano le sinergie realizzate o potenziali.

IL COTONIFICIO CANTONI–LIUC NELL’ERIH

L’European Route of Industrial Heritage (Erih) è un’iniziativa nata nel 1999 dallo stimolo del Consiglio d’Europa che invitava gli Stati membri a presentare progetti relativi alla comune identità culturale del Continente. La valorizzazione in prospettiva turistica delle testimonianze della produzione è stata la chiave con cui Erih ha affermato il valore dell’esperienza industriale come elemento unificante per comunità anche

molto distanti sia geograficamente sia per tradizioni culturali. Dall’aprile 2023 il sito dell’ex Cotonificio Cantoni, oggi sede della LIUC – Università Cattaneo, è stato inserito nella lista dei siti Erih su stimolo del LIUC Heritage Hub, il progetto speciale con cui l’Università intende promuovere l’idea di una valorizzazione della storia come elemento di vantaggio competitivo per il territorio e le attività produttive.

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Area ex Cantoni a Castellanza (foto L. Massi)

VARESE FA SCUOLA SULLE Società Benefit

L’industria varesina è seconda in Lombardia, dopo la sola provincia di Milano, per numero di aziende che hanno abbracciato la nuova forma giuridica che certifica l’impegno per la responsabilità sociale. Uno spaccato imprenditoriale che fa ora da apripista a un modello formativo pronto a essere replicato in tutta Italia. Punto di partenza: un progetto di Fondirigenti e Univa Servizi

La provincia di Varese è seconda in Lombardia per numero di Società Benefit, dietro alla sola Milano. Medaglia d’argento per il territorio varesino che conta 37 di queste realtà, ovvero il 5,6% del totale a livello regionale (Elaborazione Confindustria Varese su dati Cciaa Varese e Aida ottobre 2022). Questo il risultato che emerge dal progetto promosso da Fondirigenti e affidato a Univa Servizi, la società di servizi di Confindustria Varese, che ha coinvolto, dal mese di giugno 2022 fino a marzo 2023, imprese e dirigenti del Varesotto sul tema, per l’appunto, delle Società Benefit. Scopo principale dell’iniziativa: partire dallo spaccato industriale varesino (particolarmente sensibile al tema) per sviluppare modelli formativi capaci di accrescere le competenze

dei manager delle imprese di tutta Italia necessarie ad accompagnare le aziende su percorsi di trasformazione in Società Benefit e aumentare l’impegno del sistema produttivo sui fronti della responsabilità sociale. Il tutto attraverso la realizzazione di una ricerca in grado di restituire una fotografia dello stato dell’arte e dell’evoluzione del fenomeno anche grazie alla somministrazione di una survey e di assessment svolti su un campione di imprese.

“Dalla ricerca svolta da Univa Servizi insieme a Fondirigenti –commenta Roberto Grassi, Presidente di Confindustria Varese – la provincia varesina appare come un terreno fertile per quanto riguarda il tema delle Società Benefit. Molte delle aziende intervistate, infatti, sono risultate in linea con i valori fondanti di questa forma giuridica. E il motivo è semplice: svariate realtà sono

Benefit di fatto senza esserlo sulla carta. Serve dunque fare un passo in più, prima di tutto sul fronte della formazione e delle competenze. Da tempo, il valore di un’impresa non si misura più solamente attraverso il suo fatturato o la sua produzione, ma anche con ciò che restituisce in termini di benessere sociale alla comunità e al territorio. Lo dico come rappresentante dell’industria varesina, ma anche come imprenditore che ci crede in prima persona, tanto da averlo messo in pratica nella mia azienda. Grazie a questo progetto, Varese fa da apripista per modelli formativi di cui potrà avvantaggiarsi tutto il sistema nazionale delle imprese e con esso l’intera società”.

Il contesto in Italia

Partiamo dal principio. Quando si parla di Società Benefit in Italia si fa riferimento oggi a 2.626 realtà

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che impiegano 138.355 addetti per un valore totale della produzione pari a 19.651 milioni di euro (dati aggiornati al IV trimestre 2022 su Servizio di InfoCamere). Uno spaccato in forte crescita. Solo in termini di numero di aziende Benefit il balzo in avanti tra il 2021 e il 2022 è stato +54,7%. Con una concentrazione della maggior parte delle aziende in Lombardia: 34,54%, seguita da Lazio (11,12%) e Veneto (10,05%). Ma cosa significa per un’impresa decidere di passare alla forma giuridica di Società Benefit? Significa integrare strutturalmente finalità di bene comune all’interno della propria missione aziendale, operando in modo responsabile. Per dirla come Massimo Folador, Docente di Business Ethics della LIUC Business School e Ceo di Askesis Società Benefit Srl: “Il passaggio a Società Benefit è di tipo strategico e prima ancora culturale. Su questo tema ci giocheremo l’effettiva

capacità di operare all’interno della transizione ecologica e lo faremo tanto più e tanto meglio se coglieremo l’importanza e la convenienza di questo passaggio”. A fare da eco al pensiero di Folador, sono le parole di Marco Bodini, Presidente di Fondirigenti: “Con questa ricerca, che rientra tra le cosiddette ‘Iniziative strategiche’, Fondirigenti pone un altro importante tassello nel consolidamento di una moderna cultura manageriale nel nostro Paese. Il tessuto imprenditoriale italiano cambia continuamente pelle: cambia il modo di vedere sé stesso, il proprio sistema di valori, il modo di rappresentarsi e anche il modo di interagire con il proprio ecosistema di riferimento. E per farlo ha bisogno di manager formati e costantemente capaci di adeguarsi a questa continua trasformazione competitiva. Con questi approfondimenti, e con un utilizzo mirato delle risorse per la formazione continua, Fondirigenti si

candida a svolgere un ruolo sempre più centrale in questa trasformazione”.

I risultati della ricerca

I risultati della survey, a cui hanno risposto 59 imprese del Varesotto, mostrano come il modello di Società Benefit sia largamente conosciuto sul territorio varesino ma, allo stesso tempo, quanto sia ancora necessario investire nella costruzione delle competenze e delle conoscenze necessarie al management delle aziende affinché questo istituto giuridico possa risultare realmente un vantaggio competitivo. La ricerca di Univa Servizi e Fondirigenti sottolinea l’importanza della creazione di una conoscenza di base in grado di inquadrare gli aspetti della Società Benefit nelle prospettive del diritto societario, dell’economia aziendale e della finanza, per approfondire questioni ancora poco chiare nel sistema imprenditoriale come, ad esempio, la differenza tra

34 INCHIESTA SOCIETÀ BENEFIT

Società Benefit e B-Corp.

Sulla base dei risultati delle analisi effettuate, Univa Servizi ha creato un prototipo di corso per la formazione manageriale per lo sviluppo delle competenze necessarie alle aziende per la transizione verso la forma di Società Benefit. Modello che ora è a disposizione delle imprese della provincia di Varese e che attraverso Fondirigenti potrà essere replicato anche in altri territori. Un progetto scalabile, dunque, che mira a coltivare nelle aziende competenze di tipo amministrativo, finanziario, legale, inerenti la comunicazione, le relazioni esterne e competenze trasversali.

Il percorso per diventare Benefit

È Eligio Trombetta, Presidente di Federmanager Varese, a parlare di esempi virtuosi in ambito di Società Benefit: “Il nostro Paese ha avuto esempi di indiscusso rilievo nell’ambito delle Società Benefit, molti anni prima che il Legislatore raccogliesse lo spunto per formalizzarne la natura giuridica, nel 2016: un esempio illuminato è la Olivetti, con la guida visionaria di Adriano Olivetti. Oggi sono oltre 2.000 le aziende che hanno deciso di formalizzare l’impegno sociale e a tutela dell’ambiente e una formazione manageriale adeguata è necessaria ed importante. L’iniziativa strategica promossa da Fondirigenti è la dimostrazione di come Federmanager voglia impegnarsi in questo ambito, sempre più rilevante per la società odierna”.

In provincia di Varese, a cogliere la sfida Benefit, partecipando all’assessment di Univa Servizi, sono state quattro aziende: La Termoplastic F.B.M. Srl di Arsago Seprio, la Gnodi Service Srl di Somma Lombardo, la SPM Spa di Brissago Valtravaglia e la Cibitex Srl di Solbiate Olona. Ed è Milena Cortiana, Ceo di Cibitex, impresa del settore delle macchine per il finissaggio tessile, coinvolta nel

progetto e che ha iniziato il percorso di trasformazione in Società Benefit, a condividere le motivazioni di questa scelta aziendale: “Il desiderio di partecipare a questa iniziativa nasce dal fatto che la sostenibilità, sia essa intesa come economica, sociale o ambientale, è sempre stata tra i valori fondanti della nostra azienda. Con il diffondersi del concetto di

Società Benefit ci siamo resi conto che, inconsapevolmente, stavamo già portando avanti molte delle attività che rientrano tra quelle ritenute valide per la certificazione ufficiale. Da lì è nata la curiosità di sapere come ci saremmo posizionati rispetto ai criteri di valutazione, sottoponendoci ad un assessment portato avanti da Univa Servizi”.

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Scopo principale dell’iniziativa: partire dallo spaccato industriale varesino per sviluppare modelli formativi capaci di accrescere le competenze dei manager delle imprese di tutta Italia necessarie ad accompagnare le aziende su percorsi di trasformazione in Società Benefit e aumentare l’impegno del sistema produttivo sui fronti della responsabilità sociale

PERCHÉ DIVENTARE Società Benefit?

Dal ripensare il rapporto con i dipendenti al rendere il proprio core business etico e sostenibile. Le motivazioni che spingono sempre più imprese a scegliere di adottare la forma giuridica che attesta un concreto e costante impegno per la responsabilità sociale sono molte e diverse. Non solo in termini di valori e principi. Ecco alcuni esempi varesini virtuosi: Grassi, Lasi e LATI

C’è chi lo è diventato da poco, formalmente, ma lo era di fatto da una vita. C’è chi punta sul rapporto con i collaboratori e chi si impegna in maniera attiva a sostenere la comunità in cui si trova. In provincia di Varese le Società Benefit si stanno, pian piano, moltiplicando, con progettualità ed iniziative sempre più sostenibili, che mettono al centro le “people” e il territorio.

Ma facciamo un passo indietro. Cosa vuol dire essere una Società Benefit? Si tratta di aziende che scelgono di integrare nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulle persone e sull’ambiente. Come nel caso della Grassi Spa, impresa familiare tessile di Lonate Pozzolo nata nel 1925 e specializzata nel confezionamento di capi di

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abbigliamento tecnico, Benefit dal gennaio 2023. “Diventando Società Benefit abbiamo messo nero su bianco, nel nostro statuto, l’impegno ad agire in modo responsabile, sostenibile e trasparente. Credo che questo sia il modo migliore di fare impresa, oggi”, commenta Roberto Grassi, Presidente della società storicamente conosciuta come Alfredo Grassi Spa, da non molto diventata Grassi Spa, e Presidente di Confindustria Varese.

L’esperienza Benefit per l’azienda di Lonate Pozzolo è iniziata in modo insolito. Ovvero dalla creazione, circa 6 anni fa, di una società partecipata al 100%, la GR10K, nata con l’intento di realizzare abbigliamento da tessuti dead stock, cioè fondi di magazzino, a cui dare una seconda vita. Quella società, con una spiccata connotazione sostenibile e con nel Dna una grande attenzione all’ambiente, ha spinto la Grassi nella medesima direzione.

“Con il passare del tempo – precisa Roberto Grassi –, ci siamo accorti che le stesse prassi e gli stessi valori fondanti di GR10K erano presenti anche nelle azioni della casa madre. Da lì l’idea di apportare le necessarie modifiche allo statuto aziendale per diventare, a tutti gli effetti, una Società Benefit”. Un percorso, ancor prima che sostenibile, culturale, coerente con lo stile di conduzione aziendale familiare portato avanti nel corso degli anni da diverse generazioni di imprenditori, per quasi dieci decadi.

“Non bastano le parole, servono gesti concreti: la sostenibilità negli ultimi anni è diventata molto di moda, ma il rischio è che resti un elemento di facciata. Con questo cambio societario abbiamo voluto dare un segno tangibile del nostro impegno in questo senso. Il consiglio più importante che posso cercare di dare agli imprenditori che intendono diventare Società Benefit è di pensare ad un benessere diffuso, capace di rendere i nostri luoghi di lavoro

più attrattivi per i giovani e, di conseguenza, in grado di attrarre e mantenere talenti. Perché questo significherebbe che le persone si trovano bene e riescono ad esprimere al meglio le proprie ambizioni professionali all’interno di un luogo di lavoro sano, con dei principi e dei valori condivisibili”, conclude il Presidente della Grassi Spa.

Ed è proprio la cura dei collaboratori il core delle attività Benefit messe in campo dalla Lavorazione Sistemi Lasi Spa di Gallarate, impresa specializzata in produzione di elettronica (schede e assiemi elettronici) e servizi integrati (EMS) dal 1986. “Il punto su cui dobbiamo lavorare di più – spiega

il Ceo Giuseppe Boggio –, al di là degli aspetti ambientali e della governance sui quali ci siamo già ampiamente adoperati, è proprio la cura per le nostre risorse. Da sempre collaboriamo molto con le scuole del territorio, abbiamo realizzato nel corso degli anni progetti dedicati ai disabili e per quanto riguarda l’ambiente e la sicurezza, poi, siamo certificati, ma sull’avere cura delle persone che lavorano con noi c’è tanto ancora da fare. Ed è forse questa la parte che ci ha motivato maggiormente a diventare Benefit”. L’impresa gallaratese ha completato il passaggio a Società Benefit nel mese di luglio 2022, portando così a termine una lunga attività

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Una lavorazione Lasi

INCHIESTA SOCIETÀ BENEFIT

cominciata molti mesi prima proprio sul tema della sostenibilità aziendale. E arrivati ad un certo punto il passaggio è sembrato inevitabile. Per usare le parole di Boggio: “Perché no? Qual è il motivo ostativo per non farlo? È semplicemente la naturale conclusione di un percorso già avviato: in realtà eravamo Benefit fin dall’inizio, ne abbiamo solo preso consapevolezza”. E poi “perché è bello!”, tiene a precisare con una semplicità disarmante il Ceo di Lasi. Tanto entusiasmo ma anche molto impegno. Alla spinta e alla volontà di miglioramento iniziali, infatti, sono seguite azioni concrete, come una serie di colloqui, realizzati faccia a faccia con tutto il personale Lasi della sede di Gallarate (125 persone in totale) con lo scopo di mappare problematiche e richieste dei collaboratori, a cui dare ascolto e porre rimedio, dove necessario. “Quello che è emerso – precisa Giuseppe Boggio – è una difficoltà nel rapporto con i responsabili: la nostra risposta è stata, quindi, la predisposizione di un corso di formazione dedicato

specificatamente a queste figure. Non è facile, c’è sicuramente molto lavoro da portare avanti, ma noi abbiamo deciso di affrontare questo passaggio perché, ad un certo punto, ci siamo resi conto che nella Società Benefit c’era il futuro della nostra azienda”.

Futuro che anche LATI Industria Termoplastici Spa, impresa di Vedano Olona che produce compound termoplastici per uso ingegneristico dal 1945, ha intravisto chiaramente e scelto di perseguire. Come racconta la Ceo aziendale Michela Conterno: “Il desiderio di affermare che l’impresa, nel suo piccolo, abbia lo scopo di contribuire a migliorare il mondo: questo ci ha spinti nella direzione di diventare Società Benefit, finalizzata nella seconda metà dello scorso anno. Eravamo già maturi, avevamo la consapevolezza che il capitalismo tradizionale non ci soddisfacesse più. Il motore delle nostre attività non è e non deve essere la semplice creazione di valore economico, ma anche e soprattutto di valore sociale”. In altre parole, il profitto non basta più e non è il fine ultimo, ma piuttosto un

mezzo per garantire il bene comune. Nel corso degli anni LATI si è impegnata a generare valore attraverso importanti investimenti, la riduzione degli impatti sull’ambiente e la creazione di benessere per le persone, la comunità e il territorio. “Questo modo di fare impresa –ci tiene a precisare Conterno – è frutto della decisione dell’azienda di mettere al centro di strategie e processi di business, la sostenibilità, largamente intesa. Un’ispirazione che, per noi, è molto trasversale. Si può dire, infatti che la sostenibilità sia il beneficio comune che dà coerenza a tutte le nostre attività”. Ed era fondamentale per LATI che tutto partisse dal core business aziendale, ovvero dalle materie plastiche. “È ormai imprescindibile impiegare processi sostenibili nelle fasi produttive. La differenza che abbiamo scelto di mettere in campo è nella definizione dell’utilizzo dei nostri materiali. Il nostro core business, ad esempio, è rappresentato dalle plastiche autoestinguenti per il settore elettrico ed elettronico che evitano gli incendi in caso di cortocircuito. Sono le applicazioni sicure, buone e con un impatto positivo quelle su cui vogliamo investire. Invece, vogliamo assolutamente evitare quelle che potrebbero mettere a repentaglio la vita delle persone, come nel caso degli impieghi per scopi bellici”, spiega Michela Conterno.

Ma non basta, LATI sta anche portando avanti una sorta di campagna informativa sulle materie plastiche, fin troppo spesso demonizzate: “Ci siamo dati nel nostro beneficio comune l’obiettivo di fare attività di sensibilizzazione sul corretto uso della plastica, non solo nei confronti dei nostri clienti, ma anche per esempio nelle scuole, aiutando gli studenti a smistarla e riciclarla, in ottica di economia circolare”, chiosa Conterno.

I compound LATI

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HOME floating HOME

C’è il determinante contributo del know-how della Mario Carnaghi

Spa di Olgiate Olona nell’industrializzazione dell’idea d’impresa della startup H2O Design: la produzione e vendita in tutto il mondo di una innovativa generazione di case sull’acqua. Per i pionieri di una diversa idea di residenzialità o per chi vuole investire nello sviluppo di una nuova ricettività turistica di lusso su mare, fiumi e laghi

La notizia, insegnano nelle scuole di giornalismo, sta nell’uomo che morde il cane e non viceversa. Ci vuole l’eccezione alla regola. Va di conseguenza il clamore, la storia che può dare significato a un nuovo fenomeno emergente, l’esempio in grado di invertire una tendenza che si pensava ineluttabile. Così di fronte ad un territorio che, come hanno rilevato i dati del Piano Strategico #Varese2050 della Confindustria varesina, perde di fermento imprenditoriale e cioè di capacità di dar vita a nuove startup, un’azienda di un settore manifatturiero tradizionale come quello delle macchine utensili che investe le proprie competenze per alimentare l’idea d’impresa di creare innovative house boat per il mercato

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internazionale prende il sapore dell’epico. Della notizia.

E, dunque, clamore, eccezione, capacità di un’industria di creare altra industria. Ci sono tutti gli elementi della storia imprenditoriale che va oltre se stessa nella nuova avventura che vede protagonista Mario Carnaghi, titolare dell’omonima Spa (Società per Azioni) di Olgiate Olona, che da 90 anni opera nel campo della produzione di macchine per la tornitura e la fresatura industriale. E che da inizio anno è parte integrante del progetto della startup H2O Design. Tra acqua e capacità di lavorazione del metallo. Tra nuovo concetto di residenzialità su mari, fiumi e laghi e abilità di industrializzare un’intuizione architettonica moderna.

“Con questa startup stiamo dando vita ad una visione avveniristica di sviluppo immobiliare sull’acqua”, racconta Mario Carnaghi: “Nella tradizione olandese le house boat sono zattere con sopra delle case.

In quella francese ci sono le barche con sopra delle stanze da letto. Noi facciamo invece case galleggianti di lusso, realizzate con tutti i canoni di una vision industriale green, materiali completamente riciclabili. Siamo partiti da dove gli altri erano arrivati”.

Un’avventura imprenditoriale che mette insieme diversi attori, ognuno con il proprio ruolo. C’è chi è esperto nello sviluppo commerciale e amministrativo di startup. Chi da decenni è progettista di barche e yatch da diporto. Chi contribuisce con la propria passione per la nautica. Chi è esperto di mercato luxury. “Noi –spiega Mario Carnaghi – abbiamo reso possibile l’industrializzazione dell’idea, grazie al nostro know-how storico nella lavorazione del ferro e della ghisa”.

Le house boat di H2O sono costituite da 6 moduli che una volta montati tra di loro danno vita ad una “barca-villa” di 3,6 metri per 9,9, con pareti costituite esclusivamente da vetrate per permettere il massimo

contatto con l’acqua e la natura. Più una terrazza di 36 metri quadrati al piano superiore, dove è posizionata anche la postazione di guida. Si tratta, infatti, di un natante sotto i 10 metri a tutti gli effetti che può viaggiare ad un massimo di 10 nodi e, per queste caratteristiche, essere pilotato da chiunque.

“Il mercato di riferimento di un Le house boat di H2O sono costituite da 6 moduli che una volta montati tra di loro danno vita ad una “barca-villa”

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di 3,6 metri per 9,9, con pareti costituite esclusivamente da vetrate per permettere il massimo contatto con l’acqua e la natura

prodotto del genere può essere il più vario”, precisa Carnaghi. “Il cliente può essere ad esempio un entry level che vuole avere una casa sul mare, non è un navigatore esperto e vuole fare da precursore di un nuovo modo di vivere la vacanze”. La house boat, però, può essere anche l’occasione per un investimento privato da mettere a reddito con l’affitto o per operazioni di alberghi sulla costa che vogliono offrire la possibilità di suite non semplicemente vista mare o lago, ma proprio sul mare o sul lago. O per un’operazione di più ampia portata gestita da fondi. “Le nostre house boat sono pensate per progetti scalabili. Possono essere uno strumento per sviluppare business ad alta redditività con locazioni che permettono rapidamente il rientro dell’investimento”. Il prezzo di una house boat H2O finita è intorno

ai 160mila euro, a cui va aggiunto poi ovviamente l’affitto del posto barca. Certo, molto dipende poi dalla personalizzazione e dalla finitura degli spazi composti da area soggiorno-cucina, camera da letto, bagno. “Quanto costano, però, – chiede in maniera provocatoria Carnaghi – gli stessi metri quadrati in Sardegna o in Liguria?”

Ma quella della casa è solo una delle possibili configurazioni. Le house boat possono anche trasformarsi in palestre galleggianti, temporary shop, perché no, uffici di pregio.

“La nostra produzione attuale – precisa Carnaghi – è di 5 house boat al mese”. Alcune di queste si trovano già oggi ormeggiate sul Lago Maggiore, nella Marina di Stintino in Sardegna. Ma anche all’estero: Indonesia, Malesia, Singapore. “Ci aspettiamo – prevede Carnaghi –che il nostro mercato si sviluppi

per il 90% all’estero e per il 10% in Italia. In pratica puntiamo al mondo”. Lo sguardo va più che altro al Mediterraneo, all’Est asiatico, agli Stati Uniti. “Non vogliamo perdere l’opportunità dei Paesi arabi, ma per quel tipo di clientela dobbiamo studiare come elevare lo standard delle finiture”. Ancora più luxury.

Ad agevolare il presidio dei mercati esteri è anche il “concetto di modularità reversibile delle house boat” che permette l’abbattimento dei costi di trasporto anche per le location più remote. Possono essere infatti spedite smontate nei diversi moduli. Caricate su due container e, all’arrivo, assemblate in 48 ore. La distribuzione globale, a partire da Olgiate Olona, è così garantita.

“Registriamo grandissimo interesse e diversi riscontri positivi”, chiosa Carnaghi. Il floating hotel è pronto a lasciare gli ormeggi.

ECONOMIA HOUSE BOAT
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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

La bellezza

DEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI

Da Saronno a Luino. Passando da Varese, Gallarate, Busto Arsizio, Castellanza. L’offerta formativa per i ragazzi e le ragazze che sognano di diventare operatori del benessere è spalmata su tutto il territorio. Ecco dove si formano e cosa studiano i futuri acconciatori ed estetisti. Varesefocus prosegue il viaggio all’interno degli IeFP della provincia

osa facciamo oggi?” É con questa semplice domanda che estetisti e parrucchieri ogni giorno accolgono nei propri centri centinaia di clienti, pronti a dedicarsi qualche ora di coccole. Dal rinnovare il taglio di capelli, al dare un po’ di vivacità e colore alle proprie unghie, nel momento in cui si decide di riservare del tempo alla cura del proprio aspetto estetico, è fondamentale affidarsi a mani capaci ed esperte. Ma vi siete mai chiesti come nascano queste figure professionali?

Dagli IeFP (Istruzione e Formazione Professionale) ad esempio, percorsi scolastici della durata di tre anni, al termine dei quali lo studente può ottenere la qualifica di “Operatore del benessere: erogazione dei servizi di trattamento estetico” oppure quella di “Operatore del benessere: erogazione di trattamenti di acconciatura”. Come

tutti i corsi di questo tipo, è anche prevista la possibilità di frequentare un quarto anno aggiuntivo, per ottenere la qualifica di Tecnico dell’acconciatura o Tecnico dei trattamenti estetici.

Questi percorsi permettono agli studenti di imparare sul campo cosa vuol dire lavorare in uno specifico settore. A partire dal secondo anno, i ragazzi e le ragazze passano circa il 30% delle ore scolastiche in vari centri estetici o di acconciatura per apprendere il mestiere da professionisti del comparto bellezza. “In generale sul territorio – racconta Salvatore D’Arrigo, Direttore Agenzia Formativa della Provincia di Varese – questi sono corsi che hanno un grande successo sia tra gli studenti sia tra gli esercenti che accolgono i giovani. Nonostante i corsi di acconciatura ed estetica siano quasi interamente frequentati da ragazze, nell’ultimo periodo stiamo notando un interesse crescente anche da parte dei ragazzi che si appassionano al mondo

dell’acconciatura, merito dei barber shop che stanno prendendo sempre più piede, diventando veri e propri luoghi di aggregazione”.

In provincia, oltre all’Agenzia Formativa di Varese, che offre i percorsi di acconciatura ed estetica sia a Varese sia a Luino, i corsi sono erogati anche da altri centri per la formazione professionale come L’Accademia, centro di formazione a Gallarate, dalla Dorsi Art School di Varese, dall’Istituto Olga Fiorini di Busto Arsizio, dal centro Ciofs FP di Castellanza e dall’ente di formazione IAL a Saronno. Questa dislocazione permette a tutti i giovani della provincia di avere accesso a questo tipo di formazione, ovunque siano residenti.

Nonostante la maggior parte delle ore venga trascorsa in tirocinio, studenti e studentesse sono tenuti anche a frequentare in aula le lezioni di natura più culturale, come italiano,

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storia ed inglese, con un’attenzione particolare alle materie legate all’indirizzo scelto. Infatti, per quanto riguarda i corsi legati all’estetica “si sconfina quasi nell’ambito sanitario – racconta Paola Ramonino, Tutor di settore di estetica e coordinatrice al Ciofs FP – perché gli alunni sono tenuti a studiare materie come anatomia, cosmetologia o igiene, imparando anche a gestire i clienti. Nei lavori in cui si ha a che fare e si è a contatto con il corpo delle altre persone è fondamentale l’aspetto relazionale per far sentire a proprio agio la clientela”.

Da qualche anno, proprio per fare pratica su questo fronte, è presente in diversi centri l’Impresa Formativa, una sorta di centro estetico situato all’interno della scuola che consente di apprendere e mettere in pratica processi e procedure reali, ricreando un contesto lavorativo realistico

direttamente all’interno delle mura scolastiche. I clienti sono quasi tutti esterni alla scuola, che approfittano dei prezzi favorevoli e della possibilità di far imparare un mestiere agli studenti, per potersi dedicare un cambio di look o un bel massaggio. Anche grazie alla supervisione di un tutor, gli studenti possono così iniziare a imparare l’approccio ai clienti e a tutta la gestione del back office che un’attività comporta.

Solo in Lombardia, con la frequentazione del quarto anno integrativo, è possibile ottenere l’abilitazione alla professione, avendo poi così la possibilità di rilevare o aprire da zero una propria attività. Tutto ciò, ovviamente, solo dopo aver superato due esami, uno di carattere pratico e l’altro di carattere tecnico, in cui si verificano le conoscenze gestionali di un’attività.

I ragazzi, inoltre, non solo

si formano dal punto di vista accademico ma anche dal punto di vista umano. Non è difficile, infatti, che vengano coinvolti in attività di volontariato sul territorio. “Ci teniamo che i nostri studenti siano partecipi nel fare del bene, e nel nostro caso del bello, anche socialmente – conclude Stefania Panzeri, Responsabile D’Ente della Dorsi Art School di Varese – lavorando con persone meno fortunate, ad esempio. Durante l’anno infatti raccogliamo fondi per varie associazioni, ci occupiamo di raccolte di generi alimentari e organizziamo momenti di truccabimbi in diversi reparti pediatrici. I ragazzi per noi, prima ancora che studenti, sono giovani adulti da formare e noi abbiamo il compito e l’onore di accompagnarli nel cammino della loro crescita interiore per diventare capaci e consapevoli”.

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SVILUPPO SOSTENIBILE?

Ser ve una laurea

Capitale naturale, biochimica, biologia cellulare, processi chimici e produzioni agroalimentari green. Queste alcune delle materie previste dal nuovo corso magistrale in Biologia e sostenibilità dell’Università dell’Insubria di Varese. Obiettivo: formare professionisti a tutto tondo della transizione verde. Sia per le imprese, sia per gli enti pubblici

erché tutti parlano di sostenibilità e noi che ci occupiamo di biologia non lo facciamo?” È da questa domanda che è nato il nuovo corso di Laurea magistrale in Biologia e sostenibilità dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese. Queste le parole del professore del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della

Vita, Bruno

Cerabolini: “Si parla sempre più di tematiche green, tanto che le aziende, così come gli enti pubblici, avranno via via maggior bisogno di figure preparate sul fronte della conservazione della

natura e dell’utilizzo sostenibile delle risorse”. È proprio da questa riflessione che il corpo docenti dell’Insubria ha colto la necessità di pianificare un nuovo corso. Biologia e sostenibilità:

ambientale dell’uso delle risorse biologiche”.

Si tratterà di un percorso di due anni che prenderà avvio nell’anno accademico 2023/2024 nella sede dell’ateneo a Busto Arsizio. Una collocazione di carattere strategico oltre che di opportunità:

questo il nome previsto, dove la prima è essenza dell’altra, perché come tiene a sottolineare Cerabolini, “lo sviluppo sostenibile inizia con una visione ecologica-

“Da un lato, cogliamo l’occasione della disponibilità di aule sulla sede bustocca, data la congestione a Varese – spiega il professore del Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate, Adriano Martinoli –. Dall’altro, completiamo il quadro formativo con un’offerta di carattere ambientale anche nella città di Busto Arsizio, dopo il corso di Scienze dell’ambiente e della natura erogato a Varese e quello di Scienze ambientali a Como”.

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Adriano Martinoli Bruno Cerabolini

La nuova Laurea in Biologia e sostenibilità è quindi figlia, in parte, dello stesso Dipartimento coinvolto nelle altre due offerte, e, in parte, del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita che invece già eroga corsi di biologia magistrale a Busto Arsizio (Biomedical Sciences), ma, allo stesso tempo, vuole costituire una proposta totalmente differente. Sia in termini di contenuti, sia di percorso formativo, sia di vision sul futuro. “Si tratta di un corso pensato prevalentemente per i laureati triennali in biologia, con cui si vuole concentrare l’attenzione sulle nuove tematiche sotto i riflettori in ambito ambientale. Dal Pnrr alle politiche sul tavolo europeo – continua Martinoli –. L’obiettivo è formare professionisti con un expertise sia sotto l’aspetto gestionale, sia sul fronte più pratico delle realtà imprenditoriali, così che siano pronti per lavorare in enti pubblici, ma anche in aziende che vogliono inserire o affinare l’uso di risorse biologiche all’interno della propria attività”.

Capitale naturale, biochimica, biologia cellulare, processi chimici e produzioni agroalimentari sostenibili: queste alcune delle materie previste dal corso, tra lezioni frontali ed esercitazioni. Senza dimenticare gli insegnamenti più teorici come, ad

esempio, biodata science, antropologia, storia della biologia, uso sostenibile delle piante, della fauna, ma anche delle biomasse vegetali e animali.

“Abbiamo voluto dare al corso un taglio più moderno, al passo con le sfide di oggi sul fronte della transizione green, rispetto a quello che offrono le altre lauree magistrali in biologia sul panorama nazionale, improntate maggiormente sugli aspetti ambientali, a livello cellulare e molecolare – sottolinea il professor Cerabolini –. Ciò che desideriamo prenda avvio è un percorso in grado di preparare al mondo del lavoro figure esperte delle regole della sostenibilità, sotto tutti i punti di vista”.

A dare l’idea più pratica di questo mondo lavorativo, ai futuri studenti, saranno le attività laboratoriali. Non solo in Università, ma anche su veri e propri campi di sperimentazione, pubblici e privati. Dalle aziende che operano nella gestione di sistemi naturali a quelle che desiderano migliorare la compatibilità ambientate dei loro processi e prodotti, fino agli enti coinvolti nella risoluzione di specifiche problematiche dell’ambiente, passando per i laboratori di ricerca e sviluppo. Sono proprio realtà attive su questi fronti, che hanno aiutato il team di docenti a pianificare il corso e saranno costantemente consultati in modo

da indirizzare l’offerta formativa nella stessa direzione delle sfide che la modernità porrà via via di fronte. “Abbiamo lavorato, fin dall’inizio, fianco a fianco, con le imprese, per incastonare all’interno del corso i contenuti più giusti in relazione alle esigenze del territorio – sottolineano i professori –. Gli attori che hanno collaborato in questa fase progettuale sono gli stessi con cui l’Università sarà in contatto per gli stage e i tirocini degli studenti”. Un’interazione, quella che si cercherà di mantenere, tra giovani e mondo del lavoro, da cui, perché no, potranno nascere collaborazioni lavorative o veri e propri contratti.

“Sappiamo che non rivoluzioneremo il mondo, ma vogliamo offrire la possibilità di fare un passo avanti sul fronte della sostenibilità – tiene a precisare Martinoli –. Da un lato, preparando figure professionali con una maggiore sensibilità al tema che non è solo estetico, ma funzionale e che, quindi, deve basarsi su un approccio scientifico-quantitativo. Dall’altro, dando ai nostri giovani l’opportunità di rimanere in Italia e trovare impiego in un settore che in altri contesti europei, forse, è partito con qualche anno di anticipo, ma in cui il nostro Paese non può rimanere indietro”.

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LA CITTÀ A MISURA di donna

Si sentono poco coinvolte nelle decisioni. Insoddisfatte sulle possibilità offerte nell’avvio di un’attività in proprio. Ancor meno ottimiste sulle opportunità di carriera. Deluse sulle politiche ambientali. È così che il mondo femminile vive la propria qualità della vita nei grandi e piccoli centri del Paese. Servono smart city più inclusive secondo Soroptimist International che a questo obiettivo lavora insieme al Centro di Eccellenza ExSuf della LIUC – Università Cattaneo

Sei donne su dieci in Italia desiderano una città che sia vicina ai cittadini e che li coinvolga nei processi di cambiamento. Il 67% crede che sia importante investire sull’educazione e sulla formazione. Il 66%, invece, ritiene necessario valorizzare i propri territori, attraverso processi di digitalizzazione e sostenibilità, per renderli più attrattivi e pronti ad accogliere talenti. Sette donne su dieci credono in una città che sia “green”, vivibile e resiliente, capace di riqualificare il proprio patrimonio culturale ed edilizio, donando nuova linfa alle aree verdi. Un altro aspetto da non sottovalutare è quello della sicurezza. Nei centri di medio-grandi dimensioni, secondo il 71% delle donne, c’è l’esigenza di rafforzare l’illuminazione, aumentare il numero di telecamere e incrementare

l’efficienza energetica e la mobilità sostenibile. Sono le caratteristiche che, idealmente, dovrebbe avere una city per essere a misura di donna. A

scattare questa fotografia è l’indagine svolta da Soroptimist International, un’organizzazione senza fine di lucro che riunisce quote rosa con differenti

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professionalità e che opera attraverso progetti diretti all’avanzamento della condizione femminile, la promozione dei diritti umani, l’accettazione delle diversità, lo sviluppo e la pace. “Partendo da questi dati e dalla ricerca che abbiamo svolto a livello nazionale –afferma Marina Re, Presidente per l’Associazione Soroptimist bustocca –vogliamo porre le basi per mettere in campo azioni volte a costruire smart cities, intese come realtà in grado di ottimizzare le infrastrutture e i servizi, rendendoli più efficienti”. L’iniziativa si pone come obiettivo quello di realizzare comunità inclusive, partecipative e sostenibili. “Bisogna sfruttare i fondi previsti dal Pnrr, che rappresentano un’opportunità unica e irripetibile e progettare infrastrutture tecnologicamente avanzate da poter lasciare in eredità alle generazioni future – continua Re –, considerando anche che dalle città proviene l’80% del Pil e del lavoro”.

Questo il pretesto che ha dato vita alla collaborazione con il Centro di Eccellenza ExSuf della LIUC –Università Cattaneo di Castellanza per contribuire alla realizzazione di smart cities sostenibili tramite partnership tra attori pubblici e privati, attraendo capitali finanziari privati. “Lavoriamo da tempo su queste tematiche –dichiara Anna Gervasoni, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese dell’ateneo di Castellanza –. Sono tre i principali filoni che portiamo avanti: ricerca, formazione e divulgazione, attraverso convegni e incontri, di questi argomenti”. Una delle maggiori difficoltà da risolvere è quella di rendere fruibile ai cittadini, di qualsiasi età e fascia sociale, i servizi offerti dalle città. “Il 30% della popolazione europea non è ancora

pronta ad avere una nuova mobilità –sottolinea Gervasoni –. Questo perché la cittadinanza non è totalmente abile se pensiamo ai bambini, agli anziani, alle persone con disabilità oppure ai turisti che non conoscono benissimo la lingua. Bisogna creare, nell’ambito di queste comunità innovative del futuro, interfacce che possano facilitare l’utenza”. Il concetto, in altre parole, è: non esistono città smart e moderne dal punto di vista urbanistico senza integrazione ed inclusività tra le varie fasce della popolazione, partendo dai più giovani fino ad arrivare agli stranieri.

L’Italia ha ancora molto su cui lavorare. “Abbiamo circa 8.000 comuni, sono città di piccole, medie o grandi dimensioni, con esigenze e dinamiche diverse. Ognuna di queste traccia il proprio percorso”. Bisogna unire le forze e lavorare tutti insieme. Avere una visione comune, che concili la partnership tra pubblico e privato. Perché, come sottolinea Anna Gervasoni, “i capitali per investire ci sono”.

Non c’è tempo da perdere, quindi. È indispensabile mettersi subito al lavoro. Ad oggi, il livello di soddisfazione rispetto alla qualità della vita nella propria città, secondo la lente di Soroptimist, risulta appena sufficiente. Su una scala da 1 a 10, la media è del 6,05. “Il 34% delle donne intervistate non si sente soddisfatta della qualità della vita nella propria comunità – afferma il Presidente

dell’Associazione Soroptimist bustocca –. Il 62% lamenta di non sentirsi coinvolta nelle decisioni”. Anche in ambito lavorativo ci sono alcune carenze da colmare: “Il 62% del campione è insoddisfatta riguardo alla possibilità di avviare un’attività in proprio – prosegue Re –. Il 59%, invece, nutre una scarsissima soddisfazione sulle opportunità di carriera e sulla qualità del lavoro. Percentuali che, da Nord a Sud, variano in positivo o negativo”.

Sostenibilità ambientale e servizi per la comunità: questi altri due aspetti dolenti su cui bisogna intervenire tempestivamente. “Il 66% delle donne, considerando le grandi città, si ritiene insoddisfatta delle azioni di contrasto all’inquinamento e alla qualità dell’aria – precisa ancora Marina Re –. Scarsa attenzione anche per la manutenzione delle aree verdi (51%)”. Sui servizi offerti alla comunità, invece, i punti deboli sono: frequenza del trasporto pubblico, pulizia delle strade, scarsa sicurezza e una disponibilità limitata per l’acquisto o l’affitto di case a prezzi ragionevoli. “Sull’offerta educativa e culturale e la qualità e accessibilità dei servizi per la salute, invece, le performance sono meno critiche – conclude Re –. Per l’educazione, solo il 33% non si ritiene soddisfatta dell’offerta”. Questo il quadro che emerge e da cui Soroptimist vuole iniziare a lavorare. Con un traguardo da raggiungere: ascoltare la voce delle donne per costruire città del futuro che diano loro un ruolo attivo e partecipativo, coinvolgendo tutti gli attori sociali: territori, istituzioni pubbliche e private, per creare benessere diffuso e una qualità di vita rispettosa delle generazioni future e del pianeta. “Il tempo per agire è ora”: è la convinzione del Presidente Marina Re.

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Marina Re Anna Gervasoni

È L’INIZIO DI UN nuovo mondo

Di sistemi artificiali intelligenti si parla ormai da oltre 50 anni. Quali sono allora i motivi del grande interesse nato negli ultimi mesi intorno a diversi chatbot, potenzialmente in grado di operare come comunicatori o persino artisti? Varesefocus inizia un viaggio sugli utilizzi e le funzionalità di ChtatGPT, tra miti da sfatare e cambi di paradigma in atto —prima puntata

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Professore e ricercatore Scuola di Ingegneria Industriale LIUC – Università Cattaneo

La vicenda dei sistemi artificiali progettati per dialogare in lingue naturali, come l’italiano e l’inglese, ha ormai oltre 50 anni, da quando, nel 1966, Joseph Weizenbaum sviluppò Eliza, quello che pare sia il primo chatbot della storia, cioè un (ro)bot capace di chat e di dialogo. Da allora questi sistemi sono stati parte del panorama dell’Intelligenza artificiale, per altro con un ruolo modesto nella percezione sociale. Anche per questo, quanto sta succedendo dal 30 novembre scorso, con l’annuncio della possibilità di interagire liberamente con ChatGPT, appunto un chatbot, merita un’attenta considerazione e non solo per il fatto che a fine gennaio 2023, dunque solo due mesi dopo la sua apertura, pare che questo sistema fosse stato usato già da oltre 100 milioni di persone, arrivando ad essere il sistema digitale che ha raggiunto più velocemente nella storia questo traguardo.

Ciò ha colto di sorpresa molti, anche perché il nucleo del chatbot (chiamato GPT, ovvero Generative Pre-trained Transformer, inizialmente in versione 3 e da metà marzo 2023 anche in versione 4) era disponibile dal 2020 e già nel settembre di quell’anno un quotidiano inglese aveva pubblicato un articolo, intitolato “A robot wrote this entire article. Are you scared yet, human?” (“Un robot ha scritto integralmente questo articolo. Sei spaventato ora, umano?”), scritto per l’appunto da GPT. Se poi si aggiunge che le fonti da cui ChatGPT attinge si fermano tuttora a settembre 2021, e quindi che il sistema non è in grado di fornire informazione su eventi recenti, ci si ritrova davvero a chiedersi quali siano le cause dell’estremo interesse che si sta manifestando. D’altra parte, quello che sta succedendo non è il risultato di una campagna pubblicitaria di massa da parte di una grande azienda: fino a qualche settimana fa, infatti, in pochi conoscevano OpenAI,

l’organizzazione, un po’ azienda e un po’ no-profit, che ha sviluppato GPT e ChatGPT (e Dall-E, un sistema per generare immagini a partire da descrizioni testuali, che ha raggiunto una certa popolarità dallo scorso autunno).

Dunque, la domanda sulle ragioni di tutto questo fervore rimane. Cominceremo a esplorarne qui il senso, cercando di giustificare la congettura che quanto sta succedendo intorno a ChatGPT segnala che stiamo plausibilmente vivendo un cambio di paradigma.

A tal proposito, proponiamo quella che ci sembra ormai una constatazione: per la prima volta nella storia, è ampiamente diffusa nella società umana un’entità nonumana che mostra di essere in grado di dialogare con noi nelle nostre lingue con proprietà lessicale e semantica, grande eloquenza, abilità argomentativa e accesso a una enorme quantità di informazione.

52 SCIENZA
& TECNOLOGIA CHATGPT

Insomma, sappiamo quanto sia socialmente rilevante la capacità di una conversazione contestuale, specifica e colta, e, per la prima volta noi Sapiens abbiamo la prova di non essere gli unici ad avere questa capacità.

C’è già qui una prima indicazione delle ragioni che potrebbero spiegare l’interesse per ChatGPT rispetto a GPT, che rimane lo strumento alla base di ChatGPT. GPT è capace di interazioni singole (una richiesta, una risposta) e quindi ogni volta che una richiesta produce una risposta, brillante o sbagliata che sia, può rimanere il dubbio che questo sia il risultato di una causa estrinseca e contingente, per esempio che la richiesta fosse semplice da soddisfare o, al contrario, non fosse sufficientemente chiara. Ma ChatGPT è in grado di dialogare, mantenendo il contesto dei contenuti precedenti. L’impressione che il sistema stia comprendendo ciò di cui si sta scrivendo è evidente già al primo uso. Concretamente, ecco un breve e semplice dialogo, realizzato con ChatGPT:

Vorrei che mi aiutassi in una questione di aritmetica. Cominciamo supponendo che x=5, ok?

Certo, posso aiutarti con la tua domanda di aritmetica. Ora che abbiamo stabilito che x=5, quale operazione o problema vorresti risolvere?

Vorrei sapere quanto fa x*2. Sicuro, posso farlo per te. Se x=5, allora x*2 è uguale a 5*2. Quindi, il risultato è: 5*2=10. Quindi x*2=10 quando x=5.

Prima che ChatGPT fosse reso disponibile, un dialogo come questo (o come quello contenuto nell’articolo “Quando è l’Intelligenza artificiale a scrivere l’articolo”, pubblicato nel numero di febbraio 2023 di Varesefocus, o come quelli che stiamo realizzando e raccogliendo nella pagina web lmari.github.io/

chatting) sarebbe stato considerato irrealizzabile (notando tra l’altro che è in italiano e non in inglese), se non forse mediante sistemi accessibili solo a pochi ricercatori. Da qualche mese, invece, è diventata la quotidianità per chiunque abbia avuto anche solo la curiosità di provare.

Ci stiamo dunque forse affacciando a un mondo nuovo e ciò grazie al fatto (concettualmente semplice ma dalle conseguenze che solo ora si sta cominciando ad intuire) che queste reti neurali artificiali sono sì sistemi software, ma di un genere completamente diverso da quello a cui siamo abituati: sono sistemi il cui comportamento dipende non dall’esecuzione di regole imposte mediante programmazione, ma da un addestramento realizzato su grandi quantità di dati.

Un comportamento di questo genere sarebbe possibile se ChatGPT non pensasse, capisse, ragionasse. Se siamo abituati da tempo ad agenti artificiali che risolvono specifici problemi complessi, come giocare a scacchi o convertire testi pronunciati in testi scritti, siamo con ciò arrivati a sistemi dotati di Intelligenza artificiale generale, quella che in inglese si chiama AGI, cioè Artificial General Intelligence? Le posizioni al proposito sono diverse. Nell’introduzione di un ampio rapporto tecnico, pubblicato alla fine di marzo 2023 con il significativo titolo “Sparks of Artificial General Intelligence: Early experiments with GPT-4” (“Scintille di Intelligenza Artificiale Generale: primi esperimenti con GPT-4”), un gruppo di ricercatori di Microsoft ha scritto che ChatGPT “dimostra notevoli capacità in vari ambiti e in vari compiti, tra cui l’astrazione, la visione, il coding, la matematica, la medicina, la giurisprudenza, la comprensione di motivazioni ed emozioni umane”. D’altra parte, altri hanno sostenuto che questi chatbot non sono altro che splendidi sistemi di auto completamento e “pappagalli statistici” e che qualsiasi espressione

antropomorfa per parlare di essi e del loro funzionamento è inadeguata: la loro non può che essere una “falsa promessa”, perché sono entità capaci di operare ma senza intelligenza.

Queste controversie da decenni accompagnano lo sviluppo dei sistemi cosiddetti di Intelligenza artificiale (per altro senza contribuire in modo così significativo a un chiarimento), tanto che sono spesso trascurate. Infatti, la domanda “Un agente artificiale può pensare?” può tranquillamente essere paragonata alla domanda “Un sommergibile può nuotare?”: si tratta di un quesito mal posto, che potrebbe avere una risposta del tipo “I sommergibili non nuotano, ma fanno qualcosa di funzionalmente analogo”. Non stiamo dunque sostenendo che ChatGPT e i suoi fratelli pensino, comprendano, siano intelligenti “davvero”, anche considerando che non abbiamo dei criteri sufficientemente oggettivi per stabilire cosa debba accadere perché un’entità pensi, capisca e sia intelligente “davvero”. Solo constatiamo che le entità che sono tra noi, spesso mostrano un comportamento che fino a qualche mese fa sarebbe stato considerato proprio dei Sapiens. Il suggerimento, perciò, è minimizzare i pregiudizi e partecipare attivamente a quello che sta succedendo, cercando di capire, sperimentando e confrontandoci (con i chatbot) e tra di noi.

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ChatGPT è in grado di dialogare, mantenendo il contesto dei contenuti precedenti.
L’impressione che il sistema stia comprendendo ciò di cui si sta scrivendo è evidente già al primo utilizzo
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etica DELL’ALGORITMO

L’Intelligenza artificiale è influenzata dalla cultura e dai valori di chi la sviluppa, così come la selezione dei dati, la definizione degli obiettivi e le decisioni relative alla progettazione e all’implementazione degli algoritmi, sono frutto di decisioni prese da esseri umani. Ciò significa che il procedimento può essere condizionato da pregiudizi, stereotipi culturali, discriminazioni. Come utenti è bene saperlo, con l’auspicio di un approccio inclusivo da parte di chi progetta e implementa i sistemi di AI

a notizia è arrivata tra fine marzo e inizio aprile a sorpresa: il Garante della Privacy ha bloccato l’accesso a ChatGPT dall’Italia. Fake news. Il blocco di accesso ad un sito web è un provvedimento che un’autorità amministrativa non può prendere. Quello che è realmente successo, invece, è stata la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti di OpenAI, predisposto fino al pieno rispetto della normativa europea (Regolamento Ue 2016/679).

ChatGPT ha dunque deciso in qualche modo di “autosospendersi” in Italia. Tre le questioni fondamentali evidenziate dal Garante: l’assenza di qualunque informativa agli utenti e agli interessati i cui dati sono stati raccolti da OpenAI e trattati tramite

55 SCIENZA & TECNOLOGIA
Professore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Immagini realizzate da Lisa Aramini Frei con Midjourney

SCIENZA & TECNOLOGIA CHATGPT

il servizio di ChatGPT; l’assenza di idonea base giuridica in relazione alla raccolta dei dati personali e al loro trattamento per scopo di addestramento degli algoritmi sottesi al funzionamento di ChatGPT; l’assenza di qualsivoglia verifica dell’età degli utenti in relazione al servizio ChatGPT.

Le questioni toccate dal Garante sono effettivamente nodali, dal

momento che i dati di addestramento utilizzati per creare questo specifico modello di linguaggio sono stati raccolti da una varietà di fonti, come libri, articoli di giornale, conversazioni online e altro ancora. È possibile accedere a queste fonti? Come sappiamo che sono sicure?

I dati di addestramento utilizzati per creare ChatGPT provengono principalmente da fonti pubbliche,

come ad esempio i sopracitati libri, articoli di giornale e altri testi disponibili online. Il processo di raccolta dei dati e la loro origine non sono però sotto il controllo di ChatGPT o del team di sviluppo che ha creato il modello. Di conseguenza, non è possibile essere certi che tutti i dati di addestramento siano sicuri o privi di errori o di contenuti inappropriati.

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La rappresentazione che ChatGPT ha di se stesso

Inoltre, il team di sviluppo di ChatGPT utilizza una varietà di modelli di apprendimento automatico avanzati per migliorare l’addestramento del modello e la qualità delle conversazioni generate. Questi modelli includono tecniche di elaborazione del linguaggio naturale, reti neurali artificiali, algoritmi di apprendimento supervisionato e non supervisionato e altro ancora.

Non va però dimenticato che l’Intelligenza artificiale (AI) è influenzata dalla cultura e dai valori di chi la sviluppa. L’AI è il risultato dell’elaborazione di dati e informazioni da parte di algoritmi e modelli matematici, ma la selezione dei dati, la definizione degli obiettivi e le decisioni relative alla progettazione e all’implementazione degli algoritmi, sono prese da esseri umani. Pertanto,

particolarmente delicata sotto il profilo del safeguarding (misure volte a proteggere la salute, il benessere e i diritti umani delle persone), oggi considerato via maestra per evitare ogni forma di abuso.

In mancanza di un controllo effettivo sul trattamento e sulla correttezza dei dati di addestramento, così come di norme etiche chiare, capaci di evitare ogni forma di discriminazione, il rischio principale dei modelli di linguaggio fondati sull’Intelligenza artificiale è quello di creare gravi pericoli per il rispetto dell’identità personale.

rappresentazione sociale della personalità” dell’individuo (Trucco), “specificamente, nell’interesse a che la proiezione della propria personalità non venga travisata tramite l’attribuzione non veritiera di determinati fatti o qualità” (De Cupis).

le scelte che vengono fatte durante il processo di sviluppo dell’AI possono essere influenzate dalle convinzioni culturali e dai valori di chi le fa. Ciò significa che l’Intelligenza artificiale può essere condizionata da pregiudizi e stereotipi culturali, come il razzismo, il sessismo e altre forme di discriminazione. Per evitare che ciò accada, è necessario adottare un approccio etico e sensibile alla diversità nella progettazione e nell’implementazione dei sistemi AI.

Inoltre, la mancanza di forme di tutele specifiche verso i soggetti vulnerabili, ed in particolare i minori, rende la questione

Autorevolmente definita come “una cornucopia in cui si tutelano la dignità, il credo religioso, le opinioni politiche e sindacali, l’etnia, il sesso e l’orientamento sessuale, la lingua, la disabilità, le origini genetiche” (Alpa), l’identità personale rappresenta oggi per il giurista “il modo di essere della persona” (Del Prato), l’insieme dei caratteri e dei connotati che differenziano un soggetto dall’altro e che, nello stesso tempo, ne costituiscono l’essenza unica e irripetibile. Si tratta di un insieme di peculiarità che hanno una dimensione anagrafica, biologica, sociale, psichica, relazionale, affettiva: alcune di esse sono immutabili e connesse al patrimonio genetico, altre vengono imposte dal contesto familiare o sociale e possono essere mutate solo con una certa complessità e dopo una presa di coscienza. Altre ancora, soprattutto entro la sfera psichica e relazionale, sono frutto di uno sviluppo dei propri sentimenti e del proprio modo di intendere la vita e la realtà, della risposta alle grandi domande di senso, del proprio vissuto personale e professionale.

La giurisprudenza, anche su sollecitazione delle considerazioni di autorevole dottrina, ha spesso enfatizzato come il diritto all’identità personale si realizza, in primo luogo, nell’interesse a vedersi rappresentati all’interno della relazione sociale in modo corretto: interesse alla “corretta

In questa prospettiva, il diritto all’identità costituisce prima di tutto un limite all’etero narrazione relativa ad un determinato individuo: nel senso che qualunque soggetto che si trovi a rappresentare quell’individuo è obbligato a tratteggiarne un’immagine corrispondente alla sua vera identità, senza possibilità di modificare, offuscare o comunque alterare il “patrimonio intellettuale, ideologico, etico, professionale quale già estrinsecatosi o destinato, comunque, ad estrinsecarsi, nell’ambiente sociale, secondo indici di previsione costituiti da circostanze obiettive ed univoche” (Cassazione 978/1996).

Ecco, uno dei più gravi rischi connessi a ChatGPT e a qualunque forma di linguaggio fondato sull’AI è quello di costruire etero narrazioni false e fuorvianti, che possono avere gravi conseguenze sotto il profilo delle relazioni personali, dei rapporti professionali e financo nella dimensione più intima delle caratteristiche personali connesse al principio di uguaglianza e al pieno godimento dei fondamentali diritti di libertà.

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Uno dei più gravi rischi connessi a ChatGPT e a qualunque forma di linguaggio fondato sull’AI è quello di costruire etero narrazioni false e fuorvianti, che possono avere gravi conseguenze sotto il profilo delle relazioni personali
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RUBRICHE SU LUOGHI E BELLEZZA

TERRITORIO

Come nasce

una borsa

GITA A... In kayak tra i laghi varesini

ARTE Un amore di casa

COME NASCE una borsa

Parte il viaggio per immagini di Varesefocus alla scoperta dei mestieri della manifattura varesina. Prima tappa: un’azienda tessile che produce accessori moda, zaini e borsoni dal 1945, esportando il made in Varese nei lontani mercati asiatici, fino in Giappone e Corea. La Bonfanti Borse

Tutto parte da una modellista che collabora con un ufficio stile e, seguendone le indicazioni, crea da zero un nuovo modello di borsa. Inizialmente disegnando sagome e forme su dei cartoncini per creare un cartamodello che diventerà, poi, un primo prototipo realizzato con materiali di seconda scelta. Dopodiché, una volta definite le misure del prodotto, viene realizzato il modello definitivo che la modellista, insieme ad una macchinista che lavora su macchine da cucire, assembla. Lo step successivo è la lavorazione al banco, per le operazioni di finitura, come ad esempio l’aggiunta di componenti in metallo oppure in pelle verniciata. Una volta terminato il prototipo, è tempo della produzione “di massa”: seguendo la scheda tecnica del prodotto, realizzata dalla modellista con tutti i componenti di tessuto e di pelle, gli addetti tagliano le singole componenti che vengono, successivamente, cucite insieme. Ecco come nasce una borsa. Dall’idea al prodotto finito, dal tessuto tagliato al metro all’accessorio con cui affrontare avventure in giro per il pianeta. U n esempio di creatività e manualità made

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Foto di Lisa Aramini Frei
TERRITORIO
Andrea Bonfanti
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TERRITORIO COME NASCE UNA BORSA

in Varese è la Bonfanti Borse Srl, azienda tessile di Gorla Minore che dal 1945 esporta in tutto il mondo, specialmente in Asia tra Giappone, Cina e Corea, creazioni realizzate con i materiali più disparati. “Si parte dai canvas, quindi tessuti 100% cotone di diverse grammature, per quanto riguarda le collezioni estive, per arrivare a materiali più tecnici come il dacron, che viene utilizzato nel mondo della veleria per realizzare la classica vela spinnaker. Fortunatamente, nella provincia di Varese, sono presenti molte tessiture e stamperie, che ci permettono di poter personalizzare e mettere un po’ di fantasia nel realizzare i tessuti per le nostre borse. Passando al mondo invernale, a prevalere sono invece la lana, i velluti, gli Shetland e gli scozzesi”, spiega il Direttore Commerciale aziendale, Andrea Bonfanti, nipote dei fondatori Ermogene Bonfanti e Anita Paganini e oggi anche Presidente della Piccola Industria di Confindustria Varese, in azienda insieme alla sorella Anna, responsabile dell’ufficio stile e il cugino Stefano Bonfanti, responsabile della produzione.

M ade in Varese che vive praticamente solo di made in Italy, tra pelli, che in gergo si chiamano conciate al vegetale, ovvero tinte in botte e provenienti dalla zona della Toscana di Santa Croce oppure pelli con effetto martellato, cioè stampato, che arrivano dal Veneto.

“ Cosa viene riconosciuto nel made in Italy all’estero? Sicuramente la nostra originalità e la continua voglia di fare ricerca e di innovare. Il made in Italy racchiude tutto questo: la capacità italiana di saper fare e sapersi mettere in gioco”, tiene a precisare Bonfanti, mentre, passeggiando tra moderne macchine per la cucitura e ritagli di tessuti, rivela la sempre crescente difficoltà nel reperire figure professionali formate per la sua azienda. “Realizzare borse è di sicuro un mestiere che piace, perché

è vario e quasi mai monotono: ne sono la riprova i molti ragazzi arrivati da noi nel corso degli anni che, dopo essersi appassionati, non se ne sono più andati – spiega ancora Andrea Bonfanti –. Però purtroppo i tecnici sono pochi ed è per questo che, grazie alla collaborazione con l’associazione di categoria Assopellettieri e Aslam, abbiamo realizzato un percorso per la formazione di figure idonee al mondo della pelletteria”.

P assione, fantasia e soddisfazione, insomma, non mancano nella realizzazione di una borsa. Parola di Samuela, modellista in Bonfanti Borse da oltre 20 anni.

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Tutto parte da una modellista che collabora con un ufficio stile e, seguendone le indicazioni, crea da zero un nuovo modello di borsa
Donailtuo 5x1000aFondazioneRenatoPiatti. Peribambinicondisabilitàeautismo latuafirma diventerà assistenza,terapieeriabilitazione. Quandofailadichiarazionedei redditiportaconteil nostro codicefiscale e firma nel primoriquadrodedicatoal ViaFrancescoCrispi,4Varese|Tel.0332833911|sostenitori@fondazionepiatti.it| 5x1000.fondazionepiatti.it 5x1000 Faiiconti conilcuore. Firmaescriviilnostrocodicefiscale perdestinareiltuo5x1000 aibambiniconcondisabilitàeautismo. SOSTEGNODEGLIENTIDELTERZOSETTOREISCRITTIALRUNTS...
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In kayak

TRA I LAGHI VARESINI

Vista dall’acqua, dagli specchi lacustri oppure dei fiumi, la provincia di Varese regala la possibilità di vivere un’esperienza affascinante e immersiva nella natura. Tra percorsi acquatici e turismo sostenibile, ecco alcuni consigli su dove e come organizzare gite in canoa, Sup

e non solo, alla scoperta delle bellezze naturalistiche del Varesotto

Ci sono le vie verdi, le strade bianche, le ciclabili e gli itinerari sospesi tra lago e cielo. Ma tra gli innumerevoli percorsi che la provincia di Varese permette di vivere, un posto d’onore lo meritano le vie sull’acqua. Non a caso chiamata anche la provincia dei Sette Laghi, il Varesotto è da sempre vivaio di campioni degli sport acquatici, in particolare la canoa. Le canottieri sono veri e propri monumenti del paesaggio, con le loro architetture, i loro ritmi di allenamenti sull’acqua, i loro atleti che scivolano sulle superfici lacustri.

Vivere Varese in canoa

Non chiamatelo solo sport: che sia canoa, kayak, a cui ora si sono aggiunti anche sempre più amanti del Sup (stand up paddle), per molti è un vero e proprio stile di vita. Diversi atleti confidano candidamente di passare il loro tempo libero in canoa, magari scoprendo un posto particolare o lasciandosi

cullare dal silenzio, anche terminati gli allenamenti. Diverso è convincerli a svelare i loro angoli del cuore, che custodiscono gelosamente, come se volessero proteggere luoghi ed emozioni da occhi indiscreti. La buona notizia è che numerose realtà della provincia offrono, non solo ad aspiranti sportivi ma anche a semplici turisti, corsi e tour guidati per avvicinarsi a queste affascinanti attività acquatiche e scoprire la provincia da un punto di vista differente.

“Per me il canottaggio è lo sport più bello del mondo”, assicura Giulio Dressino, l’atleta più storico del Circolo Sestese di Sesto Calende, ex campione delle Fiamme Gialle, che ha partecipato alle Olimpiadi di Rio arrivando in finale. Ma ancora oggi non rinuncia al suo allenamento a Sesto o tra i laghi vicini. Il Circolo Sestese, attualmente con sede al Parco Europa, organizza corsi sia sportivi sia per avvicinarsi a questa disciplina dal punto di vista turistico.

Giulio si allena tra il Lago Maggiore e il fiume Ticino, due ambienti diversi che offrono panorami e esperienze uniche: più movimentata e vivace verso il fiume, più placida e panoramica verso il lago, con vista sul Monte Rosa. D’estate, si allena anche sui laghi di Comabbio o Monate, noti per essere esenti dal traffico di barche a motore. “Questi luoghi offrono pace e tranquillità, permettendo di vivere l’acqua in maniera

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GITA A...
Giulio Dressino

5 consigli per una gita in canoa o kayak

La canoa e il kayak sono attività che offrono la possibilità di vivere un’esperienza affascinante immersi nella natura, circondati dall’acqua e dalla bellezza del paesaggio. Come ogni attività all’aperto, però, richiedono una pianificazione adeguata e un’attenzione particolare alla sicurezza. Ecco perché è molto utile frequentare un corso o partecipare a un tour guidato. Per una gita sicura e piacevole, infatti, bisogna prendere in considerazione diversi fattori, tra cui la scelta della destinazione giusta, l’abbigliamento adatto, l’attrezzatura necessaria e il rispetto dell’ambiente circostante. Ecco 5 consigli utili da seguire:

La destinazione: prima di partire, è importante scegliere la destinazione giusta e assicurarsi che la zona sia adatta alla propria esperienza e alle proprie capacità. Cercare informazioni sulle condizioni meteorologiche, le correnti e le maree prima di entrare in acqua è fondamentale.

L’attrezzatura: quando si noleggia o acquista una canoa oppure un kayak, bisogna scegliere l’attrezzatura giusta in base all’esperienza e alla destinazione, assicurandosi che il mezzo sia adatto alle condizioni del mare o del fiume e che abbia tutti gli accessori necessari.

L’abbigliamento: assicurarsi di indossare l’abbigliamento giusto per una gita in canoa o kayak, che sia leggero, comodo e traspirante, evitando tessuti pesanti o sintetici che possono impedire la traspirazione e causare irritazioni cutanee. Anche il giubbotto di salvataggio non deve mai mancare.

L’ambiente: durante una gita in canoa o kayak, è sempre bene rispettare l’ambiente. Non lasciare tracce di rifiuti, rispettare la fauna e la flora, non disturbare gli animali.

Le norme di sicurezza: è importante seguire le norme di sicurezza, non superare le proprie capacità, evitare di avventurarsi in zone pericolose e rispettare le regole del mare o del fiume. Se si è alle prime armi, sarebbe meglio affidarsi ad una guida preparata e non partire in solitaria all’avventura.

66 GITA A... LAGHI VARESINI IN KAYAK

autentica e senza distrazioni – spiega di nuovo Dressino –. Ogni percorso ha le sue caratteristiche che lo rendono speciale e offre un’esperienza diversa. Il fiume Ticino è più movimentato, sia per la vita che brulica alle sue sponde sia per le correnti e i mulinelli, mentre verso il Lago Maggiore le acque si fanno più tranquille e i panorami sono mozzafiato. E poi ci sono i laghi dove è vietata la circolazione di barche a motore che regalano una pace speciale, come il Lago di Monate, animato dai locali e dalle spiagge durante la bella stagione o il Lago di Comabbio, speciale per gli amanti della natura”. E poi c’è anche il Lago di Varese, che dallo scorso anno è diventato balneabile in diversi punti. “È una bella scoperta e conoscerlo dalla canoa è un’emozione in più per viverlo”, racconta il campione olimpico, aggiungendo che per iniziare questo tipo di attività basta solamente saper nuotare: “È adatta a tutti, adulti e bambini. Dopo il corso, terminate le prove e i risultati idonei, gli adulti hanno anche la possibilità di accedere al nostro parco barche per fare le uscite: si può diventare soci e ogni qualvolta si vuole ci si può mettere sull’acqua”.

Turismo sostenibile e a chilometro zero

Le vie sull’acqua sono un modo perfetto per scoprire la natura della provincia di Varese. E anche per destagionalizzare i flussi turistici. Ne è convinto Marco Pollo, che assieme a Gaia Gavioli e Andrea Sala, ha creato Pollo Surf Experience Asd, un’associazione che si propone di far scoprire i laghi tutto l’anno, attraverso canoa canadese e stand up paddle soprattutto. La particolarità della canoa canadese con le sedute rialzate, permette infatti di “cavalcare” l’acqua senza bagnarsi, rendendola una soluzione perfetta per scopi ricreativi o per “navigare” anche in inverno.

“Il nostro obiettivo è proprio quello di destagionalizzare l’offerta turistica nella

provincia di Varese, offrendo attività che possono essere svolte tutto l’anno, non solo per turisti ma anche per i locali. D’altronde, siamo cresciuti insieme – precisa Pollo –. Perché i locali del posto ci hanno fornito, negli anni, piccoli segreti, luoghi speciali, storie e curiosità. Una ricchezza che ci sentiamo in dovere di custodire e tramandare, perché scoprire un luogo, significa viverlo certo, ma anche rispettarlo e conoscerlo. È bella questa collaborazione ed è bello vedere non solo turisti ma anche persone del posto che scelgono di scoprire queste bellissime vie d’acqua”. Ma quali sono i percorsi acquatici più belli, secondo il parere degli esperti navigatori? “Sono tutti da scoprire, ognuno con un’anima diversa. Pensate solo al Lago di Varese. Nonostante i paesi attorno, regala una natura incredibile e, navigando in mezzo al lago, è possibile godersi una pace assoluta e a mezzogiorno sentire solo l’acqua e i rintocchi dei campanili dei borghi che lo circondano. Il Maggiore regala scenari da prospettive diverse, ad esempio Santa Caterina del Sasso vista dall’acqua. Il Lago di Comabbio poi è un cinema a cielo aperto, dove ammirare la fioritura del loto, il cambio dei colori delle stagioni”, conclude il team di Pollo Surf Experience Asd.

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LUCI, MOTORE ... Varese!

Alberto Sordi, Dario Fo, Franco Nero e Burt Lancaster tra gli attori. E poi ancora Luca Guadagnino e Paolo Virzì come registi: il Varesotto è da sempre terra di cinema e di serie televisive, dalle piccole produzioni locali a quelle hollywoodiane di grande richiamo. Varesefocus va alla scoperta dei luoghi, nella provincia all’ombra delle Prealpi, che hanno reso celebri pellicole e scene in tutto il mondo, tra location in ville d’epoca, in riva al lago oppure in centro città

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GITA A...
Lisa Aramini Frei Elisabetta Pellini durante le riprese del film L’amore spezzato (foto Blitz)

he cosa si guarda stasera?” Domanda che quasi ogni giorno attanaglia migliaia di spettatori alla disperata ricerca di un film da condividere in compagnia o da tenere come lontano sottofondo, una volta che Morfeo ha preso il sopravvento. Capita però certe volte, fortunatamente, che il film lo si riesca a guardare per intero e fino alla fine. Riuscendo anche ad apprezzare le interpretazioni degli attori, le musiche presenti nella colonna sonora, la fotografia e i costumi. Frasi come “Certo che lui non sbaglia mai” oppure “Attori così non ne fanno più”, si alternano alle battute degli interpreti, finché non arriva l’esclamazione che nessuno si sarebbe mai aspettato: “Ma questa scena è stata girata a Varese?” Ebbene sì. Nel corso degli anni sono centinaia i film e i prodotti televisivi filmati nel Varesotto. Magari solo per qualche scena o per le riprese dell’intera pellicola, Varese è da sempre teatro, anzi set, di grandi produzioni cinematografiche che hanno scelto i nostri scorci e i nostri palazzi come luogo rappresentativo per dare forma a quelle storie poi mostrate sul grande schermo.

Il caso celebre più recente è senza dubbio “Suspiria”, remake del 2018 dell’omonimo film di Dario Argento del 1977, diretto da Luca Guadagnino, regista italiano lanciatissimo sul mercato statunitense. Per le atmosfere tetre e cupe necessarie alla storia, Guadagnino ha trovato meta perfetta l’Hotel Campo dei Fiori. Diego Pisati, giornalista de La Prealpina e autore del libro Varese Hollywood, racconta: “Oltre al nostro Hotel c’erano in gara anche altri palazzi in Lombardia come location del film, ma il fascino tetro che avvolge il Campo dei Fiori ha colpito in maniera positiva il regista. Dakota Jhonson, attrice protagonista del film, diceva che le stanze dell’albergo così opprimenti le permettevano di immedesimarsi meglio nella storia”.

Scendendo giù dalle montagne e dirigendosi verso il Lago Maggiore, invece, ci si può imbattere nei luoghi utilizzati nella serie televisiva del 1989 “I promessi

A destra l’attore Renato Pozzetto (foto Macchione editore)

Sposi” di Salvatore Nocita. Il prodotto che vede protagonisti attori del calibro di Alberto Sordi, Dario Fo, Franco Nero, Burt Lancaster, Danny Quinn e Delphine Forest ha impiegato diverse ambientazioni del lago per ridare vita all’opera manzoniana. La Rocca di Angera, ad esempio, era stata scelta per interpretare il castello di Don Rodrigo, usando sia gli spazi esterni del castello sia quelli interni e i cortili. Spostandoci poi sulla sponda opposta del lago, arrivando a Leggiuno,

Dalle ville alle vie del centro, al cinema e alla televisione, è sempre piaciuto ai registi di tutto il mondo il Varesotto come ambientazione di sfondo delle proprie storie.

Da Luca Guadagnino a Paolo Virzì, centinaia sono i cineasti che hanno scelto il nostro territorio come luogo in cui ambientare film e serie televisive di grande successo

70 GITA A... HOLLYWOOD VARESE
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Il regista Giorgio Serafini in Corso Matteotti a Varese (foto Blitz).

Nocita aveva pensato all’Eremo di Santa Caterina del Sasso per rappresentare il convento di Fra Cristoforo.

Oltre ad offrire il proprio territorio per dare forma a svariati film, Varese è stata anche culla di attori e personaggi famosi in tutta Italia. Renato Pozzetto è uno degli esempi più conosciuti tra tutti. Nato a Milano, ma cresciuto a Gemonio, nel corso della sua carriera Pozzetto ha sempre inserito nelle sue opere i territori varesini, a lui molto cari. In “Io tigri, tu tigri, egli tigra”, film del 1978 diretto dallo stesso Pozzetto per il primo episodio e da Giorgio Capitani per gli altri 2, molti sono i luoghi del Varesotto inseriti nella pellicola facilmente riconoscibili. Meta di culto dei fan di questo film, è una piccola cappella sita appena fuori il paese di Gemonio che compare come fantomatico box di Formula Uno in cui meccanici e gommisti, con il cameo del pilota Vittorio Brambilla, trasformano il mezzo del protagonista in una vera macchina da corsa. Oltre alle roccaforti e agli scenari da ragazzi di campagna, la provincia di Varese ha condiviso con il mondo del cinema diverse delle proprie ville, apparse in altrettante storie. Nel 1979, ad esempio, Varese ha ospitato Adriano Celentano ed Eleonora Giorgi a Villa Esegrini Montalbano, apparsa in “Mani di velluto” di Castellano e Pipolo. Protagonista della storia è un ricco ingegnere che, per fare colpo su una ladra di cui si è innamorato, si finge ladro anch’egli e la convince a fare un colpo a se stesso: obbiettivo della rapina è proprio Villa Montalbano che, ai fini della narrazione, indossa le vesti di residenza del personaggio di Celentano e per una buona decina di minuti appare, per interno, all’interno della scena della rapina. Spostandosi poi dalle stanze delle ville fino al centro vivo della città, diversi sono i prodotti cinematografici che hanno scelto Varese come luogo d’ambientazione delle proprie storie. Un caso tra tutti è quello de “Il capitale Umano”, film di Paolo Virzì del 2013. Tra gli attori protagonisti Valeria

Bruni Tedeschi che, in una lunga sequenza, percorre in auto le vie principali del centro di Varese: partendo dalla centralissima Piazza Monte Grappa si dirige in via Volta, passando per Corso Moro finendo poi in via Foscolo. Altri sono i luoghi che ogni varesino doc può riconoscere durante la visione del film: si passa dal Caffè la Cupola in zona Brunella, alla Piazza della Repubblica per finire tra i palazzi storici di Via Vetera. Il Varesotto si trasforma così in un territorio polivalente, capace di dare vita a sceneggiature e copioni di cinema e televisione, diventando per pochi giorni o qualche mese, un po’ come Hollywood: terra di sogni, opportunità e storie.

DUE SECOLI DI OSPITALITÀ E LA NUOVA BALLROOM LIMONAIA

Affacciato sul Lago Maggiore e protetto nell’intimità del Golfo di Colmegna, Villa Porta è un luogo incantevole che accoglie i suoi ospiti in una cornice di grande charme.

I riflessi del sole creano intensi giochi di luce sulle acque del lago, che lambiscono il parco secolare per custodire gelosamente le tappe fondamentali di un percorso iniziato nel 1820. Edificata nel tardo Settecento come tenuta di caccia, la dimora viene convertita in locanda da Leopoldo Casnedi e man mano impreziosita con piante rare collezionate dall’albergatore nei suoi viaggi.

Sono poi numerosi i personaggi illustri che nel tempo si innamorano del luogo e si legano alla proprietà con interventi capaci di esaltarne la bellezza: il parco di 10.000 mq, la serra liberty, il porticciolo e il mosaico “Villa Porta” che ancora svetta sulla parete di roccia.

La storia della famiglia Luz inizia nel 1971 quando l’Ingegnere di Stoccarda Lothar intraprende un importante processo di trasformazione e realizza un albergo luxury sotto il nome di Camin Hotel Colmegna, pensando al camino della suite 107.

La posizione nella piccola Colmegna diviene presto meta apprezzata dagli ospiti dell’hotel e del ristorante che ne riconoscono qualità e stile.

L’ultimo trentennio prosegue sotto la guida di Lara, figlia dell’Ingegnere, che dal 1994 è cuore e leader della proprietà. A lei si deve la scelta di tornare al nome Villa Porta.

Qui esperienza e professionalità si fondono in un concetto di ospitalità moderna, che ambisce a standard d’eccellenza e, al tempo stesso, preserva il suo carattere spontaneo ed accogliente.

Un crescendo di bellezza e comfort che si è affermato negli anni grazie alle 28 camere confortevoli del Relais, le deliziose case vacanza Charming Moment, l’intima Torretta e l’elegante Tiffany Restaurant con vista mozzafiato sul Golfo di Colmegna.

E proprio qui si alza oggi una leggera brezza di novità, con l’apertura della Ballroom Limonaia: nuovo scintillante gioiello nel parco secolare della dimora.

La Limonaia con il suo Skyline a cielo aperto è lo scenario ideale per occasioni dal tocco elegante. Sospeso tra lago e cielo, questo luogo rappresenta un unicum esclusivo nel settore dell’ospitalità e valorizza con orgoglio la destinazione del Lago Maggiore.

L'esperienza gastronomica gourmet completa la bellezza dello scenario con un connubio di piatti tradizionali e sapori più ricercati, sempre fortemente legati al territorio.

I NOSTRI HIGHLIGHTS

•Posizione spettacolare a fil di lago

•Scenario esclusivo dal fascino naturale

•Ospitalità tailor-made per momenti privilegiati

•Prodotti del territorio per sapori decisi e ricercati

•Professionalità à la carte con stile, passione e grande esperienza

Imprenditrice determinata e vitale, la Signora Lara è una padrona di casa premurosa. Il suo sorriso ci accoglie e gli occhi luminosi ci raccontano di una forte emozione per l’inaugurazione della Ballroom Limonaia: “la magia di questo luogo è un privilegio che desidero condividere con i miei ospiti, affrontando questo nuovo inizio con la passione di sempre. Anzi, persino maggiore perché questa location si merita il meglio!”

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interrogano l’uomo

a cosa c’entro io con queste opere? Che cosa voleva dire Lukas con i suoi insetti?” Ci si può anche mettere nei panni di un visitatore che per la prima volta approda a Villa Panza (nota anche come Villa Menafoglio Litta Panza), avendo

poca o nulla frequentazione col minimalismo espresso dalle ultime 108 opere entrate nel circuito della villa e con le 46 dei 10 artisti scelti per questa particolare rassegna EX Natura, dedicata al tema “Natura e Forma”. Però passa comunque sottopelle, a chiunque, un’emozione se si osservano, nel candore luminoso delle sale, i sottilissimi steli di Christiane Löhr. Li avrà cercati nei boschi e nei prati vicini a casa, la si vede e la si sente nei giorni di luce e di vento camminare come una bambina, scegliere quei fili e rivestirli di amore, curiosità o forse di una calcolata, piccola ingordigia nel pensare “Ecco questo fa per me, per la mia opera lieve che s’inorgoglisce e cresce, per quella voglia di eternità che la ispira”. È un po’ quella stessa voglia di eternità che soffia nella villa, che di notte accoglie su di sé le stelle come in un catino rovesciato color cobalto. Te lo immagini, ma lo puoi anche vedere se la frequenti

73 QUANDO
NATURA
ARTE E
ARTE
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Allestita nel parco di Villa Menafoglio Litta a Varese, per i 100 anni dalla nascita di Giuseppe Panza, l’imponente opera di Jene Highstein, composta da 12 cilindri d’acciaio alti più di 5 metri, disposti verticalmente in sequenza. In mostra nelle sale varesine anche 46 nuovi lavori di 10 artisti raccontati dalle parole profetiche del conte collezionista
Luisa Negri Foto Michele Alberto Sereni, Magonza, FAI Piero Fogliati, Quartetto ad acqua, 1988. Con dipinto a parete di Allan Graham

ARTE VILLA PANZA

o assisti ai concerti nelle sere d’estate.

“Si riscopre la nostra vera natura. Siamo viventi come le erbe dei prati. Torniamo a conoscere le nostre origini lontane, ma che anche oggi ci danno nutrimento”. Sono parole di Giuseppe Panza, il dominus eterno di questa villa in cui ha vissuto e cresciuto, con la moglie Giovanna, figli e nipoti, ospitando artisti e incontrando persone. E dove lo si è celebrato per i 100 anni dalla sua nascita, il 23 marzo, aggiungendo l’ultima opera, alle 108 regalate dalla famiglia alla collezione varesina, così che diventerà la seconda collezione dopo New York del circuito Guggenheim.

Parole affidate alla sua autobiografia, “Memorie di un Collezionista”. Che s’accompagnano in mostra a ciascuno degli artisti (ne raccontiamo qui solo alcuni), le cui opere esposte sono in parte donazione (30), in parte provenienti dalla Panza Collection Mendrisio. Una dichiarazione di saggezza la sua, ci fa capire che il significato delle nostre radici è chiuso come un segreto nei gambi raccolti da Christiane, in quei semi nascosti in un ciondolo di palline. Soffici alla vista come i pon-pon delle cuffie in lana che i bambini indossano quando scivolano d’inverno sui pattini. Forse l’artista avrà pensato, mentre accomodava quel ciondolo di piccole sfere perfette, a Thomas Mann e ai suoi personaggi, Tonio Kröger e il biondo Hans, protagonisti del più bel racconto dello scrittore tedesco, alle loro corse d’inverno sull’Isar gelato, nella vecchia Monaco. E quei semi di denti di leone? Quanto tempo ci vuole per mettere assieme quella nuvola costruita su di una retìna con piccoli chiodi, così soffice e morbida a vedersi che ti fa venir voglia di metterne a prova la fragilità? Una mano calata e via, si distruggerebbe quel piccolo gioiello di arte e sentimento messo su con perizia certosina. Si pensa che Christiane sia una donna veramente appagata: vivere di un mondo in miniatura e farne un universo di

Sopra, Jene Highstein, Twelve Part Vertical Pipe Piece. Sotto, in primo piano, Richard Long, Cross of Sticks, 1983. A destra, veduta d’insieme delle opere di Christiane Löhr

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pensieri, di prospettive, di ambizione, che l’ha portata a entrare in un circuito del Guggenheim dev’essere il progetto di una grande donna. Presentiva che quei semini avrebbero scritto anche loro la storia dell’arte?

Commuove anche Gregory Mahoney, con i suoi catini sbrecciati e tornati a vivere, come naufraghi arrivati dal mare, con le sue lastre di acciaio di recupero, trattate con cemento e sali alcalini, che sembrano le mappe geografiche del terreno lunare. “La natura è madre e padre nello stesso tempo, amorevole e severa, non dimentica le offese che noi facciamo alla sua verginità. Un giorno dovremo pagare il conto delle nostre trasgressioni e delle nostre offese”. Lattine di recupero, pittura a olio e sali alcalini. Quanto lavoro e ricerca per dimostrare com’è bello il mondo, anche se le forme piatte e tonde di Gregory, impossibili da comprendere in una mano, restituiscono l’idea dell’immensità cosmica. Potrebbe essere un grande viaggiatore e la sua biografia ne dà conferma. Le parole di Panza, accanto alle sue opere, collezionate con competenza e amore, ammoniscono, ci chiamano in causa, si fanno profezia. E realtà. Stiamo già pagando trasgressioni e offese. Come aveva capito così bene

immensa, totalmente spiazzante. Come in un film di Fellini, “La strada”, nel dialogo tra il Matto e Gelsomina. “Ogni cosa ha un senso, credimi”, la consola lui. “Se questo sasso è inutile, tutto è inutile. Anche le stelle”.

Vale anche per la piccola foglia di Emil, fissata in mezzo a una pagina, a memoria perpetua per chi la vorrà vedere: segno minimalista dell’universo attende l’incontro, quando qualcuno verrà ad osservarla. E allora saprà se quel qualcuno vedrà solo la sua insignificanza oppure scorgerà la sottolineatura della potenza divina nel suo minuscolo essere. La discesa nel parco, dopo l’incontro con i 10 artisti, è l’ultima tappa, per vedere Twelve Part Vetical Pipe Piece, l’opera di Jene Highstein che più rimane d’ora in poi legata al regista di questo progetto infinito che è Villa Panza. C’è sole e vento, intorno brillano le nuove fioriture di primavera. Ecco là in fondo i 12 cilindri d’acciaio alti più di 5 metri, disposti verticalmente in sequenza. Ci viene spiegato che “formano una linea retta divisa in due parti”. E che “questa linea consente un’indagine dello spazio circostante e crea un ritmo. L’osservatore la percepisce come un’unica massa fatta di pieni e di vuoti”.

il collezionista? I segni erano già nei semi, nei cocci, nelle venature dei metalli o erano il riflesso che lui coglieva in loro? La luce, ecco, erano nella luce che lui trovava. Un piccolo marchio, un sigillo di fuoco. In questo viaggio per le sale della villa, si entra e ci si perde, smarriti in un benessere vitale e spirituale, come tante volte è capitato. Che incanta e fa venire la voglia di fermarsi, affacciati alla “finestra” senza vetri e imposte di Turrell. Come altri si sentono quando entrano qui. Affidandosi a questi linguaggi così diversi tra loro eppure universali. E dove a scandire il ritmo della vita è il frusciare di un leggero vento tra gli alberi del parco. In fondo al parco, la casa minimalista di Wilson è un piccolo mondo a sé. È la casetta dove tutti sentono la presenza del padrone di casa, il conte Panza, il collezionista un po’ folle di questi reperti di vita da favola. Reperti che piano piano sono sbarcati alla villa, come i piatti naufraghi di Mahoney, che pensa al vecchio amico dalla sua roulotte sbrecciata e, ogni notte, guarda un nuovo cielo. E, mentre esce a guardare luna e stelle, e intanto raccoglie ferri vecchi, pensa. Pensa in fondo come Emil Lukas. Perché anche Lukas dialoga con la natura, ma quella che quasi sempre sfugge. La sua arte è piccola e nascosta. Ma la risposta è

A svelarci tutto sono dunque ancora le parole del sognatore di questo progetto meraviglioso che è Villa Panza: pubblicate nel 2006, ma è come se fosse oggi. Perché risuonano come le parole udite da Gelsomina, quasi che, invece di cilindri, si parlasse ancora di sassi: “È un salto nel passato, in un passato remoto e inconoscibile e onnipotente. Nessuna cosa può esistere se non ha una massa, per piccola che sia. La massa è la presenza di ogni cosa. Solo la coscienza di esistere, la volontà, il pensiero, la bellezza non hanno massa, ma hanno bisogno della massa per manifestare la loro presenza”.

A cura di Anna Bernardini e Marta Spanevello

Villa e Collezione Panza, Piazza Litta 1, Varese

Dal 10 novembre 2022 al 1° ottobre 2023

Da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 18.00 (chiusura biglietteria 17.15)

www.villapanza.it

www.fondoambiente.it per FAI

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NATURA. NUOVE OPERE DALLA COLLEZIONE DI GIUSEPPE PANZA DI BIUMO

110 ANNI PER IL PALACE GRAND HOTEL VARESE: GRANDI NOVITA’ IN ARRIVO

Aperto nel 1913, il Palace Grand Hotel, il 5 luglio 2023 è pronto a festeggiare i suoi 110 anni di attività. Un albergo situato sul Colle Campigli, immerso in un parco secolare, con un panorama straordinario che spazia dal centro città al Sacro Monte, dal Lago di Varese alla catena del Monte Rosa. Un edificio storico, dichiarato bene culturale con vincolo monumentale, da sempre punto di riferimento per la vita sociale e culturale della città, che mantiene intatte le caratteristiche del progetto iniziale di Giuseppe Sommaruga, uno degli architetti più illustri del periodo Liberty italiano.

Ed è proprio questa consapevolezza del valore inestimabile del gioiello Liberty, da preservare all’interno della città di Varese, che ha spinto Elisabetta Gabri e Mauro Morello, che se ne sono fatti custodi, ad avviare un’opera di riqualificazione volta a proiettare la struttura nel futuro con un aspetto più contemporaneo e ad aumentarne i comfort e i servizi offerti, mantenendo comunque lo stile che lo contraddistingue da sempre. Un luogo destinato non solo al turismo, ma anche alla collettività locale che desidera vivere la struttura come un punto di incontro della società varesina per un aperitivo, una cena o semplicemente coglierne la bellezza.

Si sono da poco concluse le opere di riqualificazione energetica per l’abbattimento dei consumi e delle emissioni, con nuovi impianti per il caldo e il freddo con pompe di calore a tecnologia HVAC e caldaie a condensazione in sistema ibrido.

La grande novità sarà l’inaugurazione della nuova piscina esterna di 25 metri, caratterizzata da un design moderno, da arredi a bordo piscina firmati Roda per un tocco elegante e sofisticato e da un servizio bar esterno sempre a disposizione. Un gigante specchio d’acqua collocato proprio sul colle Campigli in grado di ospitare i bagnanti e regalare relax con una vista inappagabile, in una cornice da favola.

Come secondo step, l’evento vero e proprio di festeggiamento per l’anniversario: un’occasione per far rivivere la magia Liberty e per rendere omaggio allo staff che, con impegno e dedizione, quotidianamente è in prima linea per fare in modo che tutto sia perfettamente organizzato al fine di regalare soggiorni ed esperienze unici a tutti, amici e ospiti.

Una stagione tutta da scoprire: lo storico hotel è pronto a stupire!

Le imprese associate Confindustria possono usufruire di quotazioni preferenziali sui pernottamenti, rispetto a quelle pubblicate presso le strutture del gruppo alberghiero I PALAZZI – Historic Experience Hotels di Varese, Venezia

varese.ipalazzihotels.com | 0332 327 100 | info@palacevarese.com | Via Luciano Manara 11, 21100 Varese
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e Siena.

UN AMORE di casa

L’ultimo Bene acquisito dal Fai in provincia di Varese è Casa Macchi, una grande dimora nel cuore di Morazzone dove il tempo si è fermato. Tra pizzi, ricami, fotografie e vecchi arredi, rivive l’esempio di una borghesia lombarda, benestante e virtuosa, modello di un’economia nascente, vissuta tra l’800 e il ’900

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ARTE

Un’antica dimora, rimasta ferma nel tempo, è l’ultimo Bene acquisito dal Fai - Fondo per l’Ambiente italiano in provincia di Varese. Si tratta di un’abitazione con più di 20 stanze, distribuita su due piani. È stata donata dalla discendente di una famiglia lombarda agiata, Maria Luisa Macchi, morta senza eredi. Nel 2015 la “signorina Macchi”, come tutti l’hanno sempre chiamata, ha lasciato al Fai anche una cospicua somma da utilizzare, secondo espresso desiderio, per una parziale ristrutturazione della casa in cui era cresciuta e aveva abitato per anni, perché diventasse un museo vivo. Unitamente al lascito è arrivato il sostegno decisivo di Comune, Regione e Provincia. “Casa Macchi – sottolinea Marco Magnifico, Presidente Fai –rappresenta un momento felice per il Fai, che si è basato su di un progetto esemplare, costruito in fattiva collaborazione e totale sinergia con gli enti pubblici coinvolti nel recupero della proprietà”.

Il progetto può ben contribuire alla rianimazione di un paese che, per non estinguersi, ha assoluto bisogno di nuove prospettive. Volontà di Maria Luisa era che la storia della sua famiglia potesse continuare a vivere, nel godimento di chi ha il piacere di visitare la casa penetrando nell’intimità delle numerose stanze, in un’atmosfera che sarebbe piaciuta a Gozzano. Si tratta di una grande e solida dimora, che ha attraversato diverse epoche e conosciuto il passaggio di più generazioni. Abitata anticamente dalla famiglia Viani di Pallanza, era stata poi acquistata da due famiglie, un’ala ciascuna.

I Macchi avrebbero poi goduto entrambe le proprietà, dopo l’acquisto della seconda ala e l’accorpamento in un’unica dimora. La sorpresa, per chi la visita oggi, è scoprire che intento e merito del Fai è stato proprio quello di aprire la casa al pubblico, dopo i necessari lavori di messa in sicurezza e consolidamento, senza stravolgerne il vissuto che trasuda da ogni angolo. Costosi e imponenti lavori sono stati necessari per sistemare innanzitutto il

tetto e poi i pericolanti soffitti in cannucciato. Alcuni pezzi erano crollati sui letti delle camere, seppellendo le trapunte di raso. Si sono dovuti poi risanare con vespai anche i pavimenti ammalorati dall’umidità, conservandone però le irregolarità di posa originarie. Sono stati poi catalogati e mantenuti tutti gli oggetti di arredo conservati di generazione in generazione, dai mobili alla biancheria, ai tendaggi e tessuti, alle suppellettili della cucina.

L’impressione dei visitatori è quindi di potersi muovere in un mondo rimasto intatto, perché conservato nel tempo da famiglie borghesi abituate a mantenere la memoria, orgogliose del loro mondo e dalle piccole storie di ciascun membro della famiglia. A illustrare e introdurre il visitatore, nella scuderia della casa è un ricco filmato immersivo, che rende anche l’idea di come la proprietà Macchi fosse stata ritrovata dopo la lunga chiusura, avvolta dalla polvere e dalle ragnatele. Dopo averci vissuto per anni, accompagnando le vite dei genitori e dell’affezionato zio, che l’aveva adottata, Maria Luisa aveva infatti deciso improvvisamente di chiudere la proprietà, per ritirarsi presso la Casa di cura La Quiete di Varese. Troppi ricordi vivevano in quell’antica casa, tanti affetti si erano dispersi per sempre.

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ARTE CASA MACCHI

Proprio il particolare di una casa, chiusasi ad un certo punto della propria storia, ha convinto Marco Magnifico a non cancellare i segni del tempo, ma a sottolinearne piuttosto il significato di storia e di vita vissuta. Così è possibile attraversare i due piani della casa, camminando sugli antichi pavimenti in coccio, dopo aver risalito la scala in granito, concedendosi l’opportunità di visitare salette, sale da pranzo e salotti, camere matrimoniali e singole. Dove spiccano gli abiti da ragazza di Maria Luisa o la biancheria del corredo di Adele Bottelli, la nonna materna, che si occupava di un’attività artigianale di ricamatrice, attestata da pizzi e lini che ancora si conservano negli armadi. E forse la culla imbottita di raso bianco al secondo piano è stata il primo letto dell’ultima proprietaria. La vita dei protagonisti è raccontata anche dai quadri a olio, con ritratti e paesaggi, da fotografie dei familiari, poggiate sui trumeau o appese alle pareti. Con papà Luigi pronto alla caccia, passione dei maschi di casa, accanto ai cani, anche loro immortalati in alcuni dipinti. Ci sono in vista ancora libri e vecchi giornali d’epoca, riviste e quotidiani come il Corriere. Tutto è stato catalogato dal Fai (si tratta di migliaia di pezzi) e risanato. Pur lasciando a volte le tracce del passato, laddove sembrava utile a dimostrare il trascorrere del tempo. Magnifico ha parlato di una Pompei del XX secolo, perché così lui l’ha scoperta, non senza emozione, tra polvere e ragnatele. Interessante è anche l’evoluzione nel tempo delle cucine e dei bagni. Da vedersi il “prototipo” di sedile igienico, davvero datato, eppure conservato a memoria perpetua dalla famiglia. O la cucina economica alimentata a legna, utilizzata per cuocere le vivande, scaldare la casa e fornire acqua calda, sempre pronta. Sulla superfice in ghisa c’erano cerchi concentrici da spostare alla bisogna, aggiungendo o sottraendo giri per allargare o stringere la fiamma in uscita, a seconda della grandezza della pentola. Altre grandi stufe in maiolica erano utilizzate dai proprietari per riscaldare i salotti. Dal locale per la ghiacciaia al frigorifero, dalla vasca per lavare i panni a mano alla lavatrice. Di stanza in stanza scorre anche il senso di un’evoluzione che molto ha contato soprattutto per un mondo femminile gravato da incombenze quotidiane allora davvero pesanti: come il bucato e la cottura dei cibi, che richiedevano l’impiego continuo della legna e della stufa per riscaldare l’acqua. Acqua che arrivò a Morazzone solo negli anni ‘50 e fu allora una festa di paese.

All’esterno si può percorrere un vasto giardino, con palmizio e canneto, il pozzo per l’acqua e la torretta, cara alla proprietaria, che svetta in alto. Dove un tempo nidificavano i rondoni. Oggi, dopo il restauro, certo ritorneranno anche i rondoni. Si esce ripassando dallo stesso antico emporio da cui si entra, che è rimasto in vita ed era già frutto di una precedente, antica attività collegata fisicamente alla casa. E oggi è una bottega meravigliosamente restaurata, con legni di mobili di arredo già appartenuti ad altri empori e biglietteria del Fai.

In un paese che si stava spopolando, Villa Macchi, ultimo bene del Fai, potrebbe essere, e già lo è, un’ottima attrattiva per il visitatore in cerca di emozioni. Che ne scoprirà anche la storia di paese glorioso, dove si era combattuto strenuamente contro gli austriaci. Come ricorda il monumento in cima al paese. Ma testimoniato anche per iscritto da chi c’era, come la scrittrice e patriota varesina Felicita Morandi, che si occupò personalmente, nel ’48, di curare i feriti di entrambi i campi avversi, senza distinzioni tra garibaldini e austriaci. Il sindaco, amico entusiasta di un’operazione che sta molto giovando al suo paese in termini di rigenerazione, porta il cognome illustre del pittore Pierfrancesco Mazzucchelli. Era uno dei più noti discepoli del cavalier d’Arpino e si faceva chiamare, con orgoglio, Morazzone. Dal nome, appunto, del paese nativo.

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CASA MACCHI Piazza Sant’Ambrogio 2, Morazzone Dal giovedì alla domenica, dalle 10.00 alle 18.00 faicasamacchi@fondoambiente.it tel. 03321821610

ENERGIA SOLARE PER LE IMPRESE ITALIANE: IMPIANTI CRESCIUTI

In occasione dell’evento “Imprese [meno] Sole”, Elmec Solar ha presentato alle aziende italiane un quadro sul tema dell’energia e sulle opportunità per realizzare l’autoconsumo altrove e le comunità energetiche rinnovabili (CER). All’interno del Campus Tecnologico di Elmec (VA), i relatori d’eccezione provenienti dal mondo accademico, istituzionale e aziendale hanno raccontato i vantaggi ambientali ed economici dell’approvvigionamento sostenibile attraverso il fotovoltaico.

La crisi dei costi dell’energia del 2022 ha generato un aumento critico del PUN (Prezzo Unico Nazionale) con un picco di +490€/MWh nello scorso settembre. Le imprese italiane hanno dovuto affrontare la sfida di adottare soluzioni di approvvigionamento energetico sostenibile a breve termine: secondo i dati di Italia Solare, nel settore Commercio & Industria, nel 2022 si è verificato un ulteriore incremento del 6,7% degli impianti solari, dopo aver registrato una crescita del 5,3% nel 2021. Ma come è possibile mettersi al riparo a lungo termine dalle fluttuazioni dei mercati dei combustibili fossili e garantirsi stabilità e resilienza della propria azienda?

Elmec Solar, l’azienda del gruppo Elmec che si occupa di installare e manutenere impianti fotovoltaici residenziali e industriali, ha dedicato a questa domanda l’evento “Imprese [meno]

Sole”, che si è tenuto il 28 marzo, presso il Campus varesino di Elmec Informatica.

“Con l’evento Imprese [meno] Sole abbiamo voluto coinvolgere istituzioni, università e operatori del settore per trasmettere alla aziende italiane due importanti messaggi: i benefici legati all’approvvigionamento sostenibile e l’importanza dei fenomeni dell’autoconsumo a distanza, detto “autoconsumo altrove” e delle comunità energetiche”, afferma Alessandro Villa, Amministratore Delegato di Elmec Solar. “Durante il convegno è emersa l’importanza per le aziende di inserirsi all’interno di una comunità energetica sia perché consente di migliorare il rapporto tra consumo di energia proveniente dalla rete elettrica e quella generata in loco dal fotovoltaico diffuso scambiando energia con gli aderenti alla comunità, sia perché permette di creare valore comune. Le aziende sono chiamate a cogliere questa opportunità, traendo esempio dalle altre realtà che già stanno sperimentando questo approccio e che hanno toccato con mano il valore economico e sociale dell’essere sostenibili attraverso le energie rinnovabili”.

L’evento è stato moderato dalla giornalista Cristina Ceresa, tra le Top Voices di Linkedin in temi di sostenibilità, e si è aperto con l’opening speech di Adrian Fartade, divulgatore e scrittore scientifico, che ha illustrato la relazione fondamentale del nostro pianeta con l’astro che ne garantisce la vita: il Sole. “Come umani abbiamo tanti talenti, il più grande è continuare a immaginare innovazioni che consentano di affrontare le sfide climatiche sapendo valorizzare la risorsa principale che

abbiamo, il Sole”, così ha iniziato il suo intervento Adrian Fartade.

Durante le tavole rotonde, in cui si sono confrontati Raffaele Cattaneo, Fabio Tarocco, Roberta Pezzetti, Antonio De Paola, Salvatore A. Casa, Sergio Olivero, Michela Conterno e Filippo Arcioni, sono emersi quattro fattori che rendono le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) una soluzione di sistema in grado di mettere al riparo le aziende a lungo termine dalle criticità legate ai combustibili fossili o ai cambiamenti climatici che inficiano l’idroelettrico. Anzitutto, consentono di ridurre i costi energetici senza dipendere dalle fluttuazioni di mercato delle materie prime.

In secondo luogo, unirsi a una CER permette alle PMI di condividere con altre realtà del territorio risorse e tecnologie per la produzione e lo scambio di energia pulita, rendendo più conveniente e accessibile l’uso delle energie rinnovabili e in particolare del fotovoltaico e rendendosi partecipi di progetti concreti di sostenibilità sociale. In terzo luogo, le CER possono offrire opportunità di business a livello locale, aumentando la competitività delle imprese coinvolte e favorendo lo sviluppo economico sostenibile. Le CER possono favorire la nascita di nuove attività economiche come, ad esempio, la realizzazione di impianti fotovoltaici o la fornitura di servizi di efficienza energetica, che contribuiscono alla creazione di posti di lavoro e al rafforzamento dell’economia locale. Infine, la partecipazione ad una CER può rappresentare un vantaggio competitivo per le imprese coinvolte, in quanto la promozione della sostenibilità ambientale è sempre più un fattore determinante per i consumatori e per i clienti aziendali. L’adesione a una Comunità Energetica Rinnovabile rappresenta, così, una scelta vantaggiosa per le PMI italiane che desiderano ridurre i costi energetici, promuovere la sostenibilità ambientale e migliorare la propria competitività.

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
elmecsolar.com
DEL 6,7% NELL’ANNO DELLA CRISI ENERGETICA MA IL FUTURO APPARTIENE ALLE COMUNITA’ ENERGETICHE RINNOVABILI

In cucina

TAGLIOLINI AL TUORLO D’UOVO, BURRATA

PUGLIESE E TARTARE DI GAMBERI

Ingredienti (per 4 persone)

Pasta

200 gr farina 00

50 gr semola

175 gr tuorlo

8 gr olio evo

5 gr sale

rema di burrata

200 gr burrata

30 gr panna

10 gr olio evo

Salsa

10 gr burro

1 testa d’aglio

Gusci di gamberi

Decorazioni

80 gr di gamberi

Germogli di senape

Dalla vigna Lirano, il quasi scomparso Nascetta

Dagli inizi del ‘900 la famiglia Rivetto interpreta e racconta il territorio di Alba e delle Langhe, producendo da quattro generazioni vini espressione di una filosofia che ha saputo stare al passo con i tempi. Al centro di tutto, la vigna che viene condotta verso l’autoregolazione, utilizzando tecniche minimaliste, niente chimica per diserbo, difesa e concimazione. Si seminano graminacee e leguminose per la rivitalizzazione del terreno e la riduzione del compattamento del suolo.

A Lirano, collina tra Sinio e Serralunga d’Alba, Enrico Rivetto coltiva viti, alberi da frutto e cereali in agricoltura biodinamica, in questo ecosistema complesso la vite convive con siepi, erbe officinali, campi di grano, tra i filari trovano spazio alberi ad alto fusto, orti e frutteti in perfetta armonia tra di loro. Il suolo è caratterizzato da strati di marna grigia e sabbia gialla, ideale per trattenere acqua anche in periodi particolarmente siccitosi.

Proprio sulla collina di Lirano, in un vigneto esposto a Nord, Enrico produce la Nascetta, un vitigno autoctono originario del comune di Novello, quasi completamente scomparso. Nel calice si presenta di colore giallo paglierino, al naso si percepiscono note fruttate e floreali come mela, agrumi e frutti tropicali e dopo alcuni minuti si può percepire anche la mineralità.

In bocca è secco, sapido e armonico, nel retrogusto ritornano tutti gli aromi percepiti al naso. Ottima freschezza e prospettiva di invecchiamento, ideale con primi di pesce e formaggi morbidi delicati.

Sommelier Bruno Bottazzi

Procedimento

Iniziare dal tagliolino impastando tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto omogeneo, infine tirare al mattarello e tagliare. Per la crema di burrata, emulsionare la burrata con la panna e l’olio evo a filo e tenerla bella fredda in modo da creare l’emulsione nel tagliolino. Nel frattempo, sgusciare i gamberi e con il carapace, fare un fumetto veloce e con il corpo del gambero creare una tartare. Per concludere, in una padella calda rosolare burro e aglio, scolare i tagliolini e con l’aggiunta della burrata creare una salsa cremosa, grazie anche all’acqua di cottura. Impiattare e decorare.

Enoteca Bottazzi 1957, Besozzo enotecabottazzi.it info@bottazzi1957.com Rubrica in collaborazione con

Motori

NUOVA AUDI Q8 E-TRON: UN RESTYLING AL PASSO COI TEMPI

Alle 21.00 di sera del 17 settembre

2018, nel Tech Park dell’auditorium

Bill Graham di San Francisco, faceva il suo debutto internazionale Audi e-tron, la prima vettura elettrica premium della Casa dei quattro anelli. In totale 5 anni che hanno permesso ad Audi di allargare la gamma full electric a ben 8 modelli per un totale di 150.000 unità full electric commercializzate. Il 2023 vede il rinnovo della prima elettrica che proprio per il suo successo e per

differenziarsi dalle altre cambia nome in Audi Q8 e-tron. Cambiamento che viene esteso anche alla configurazione di carrozzeria Sportback.

Lato estetico: cambia la calandra ottagonale che adotta un nuovo design inedito, la sua cornice si estende sino alla base dei proiettori. Ulteriori novità sono rappresentate dai paraurti, ristilizzati e dalla corporate identity del brand, caratterizzata dal design bidimensionale (2D) dei quattro anelli. Soluzioni che garantiscono una riduzione del coefficiente di resistenza aerodinamica (CX) da 0,26 a 0,24 per la variante Sportback e da 0,28 a 0,27 per la configurazione SUV. Inedita anche la

denominazione del modello con lettering Audi in corrispondenza dei montanti B. Lato powertrain rimane la configurazione con un motore per assale; salgono a tre i motori di cui due montati sul posteriore per le versioni SQ8 e-tron. Per quanto riguarda le potenze si passa dai 340 CV e 664 Nm della versione 50 ai 408 CV e 664 Nm della 55, fino a toccare i 503 CV e 973 Nm della versione SQ8. Lo stacco 0-100 km/h si completa in 5,6 secondi, mentre la velocità autolimitata a 200 km/h. L’autonomia aumenta passando da un minimo di 491 km a un massimo di 600 km WLTP della versione Q8 e-tron Sportback. Un risultato che dipende sia da un’evoluzione dell’elettronica, sia dai nuovi tagli di batteria. Audi Q8 e-tron, infatti, può contare sulla collaudata batteria da 95 kWh oppure effettuare l’upgrade all’accumulatore da 114 kWh, cioè 19 kWh nominali in più rispetto al vecchio modello. Audi Q8 e-tron nelle due varianti SUV e Sportback si ricaricano in corrente alternata fino a 22 kW, mentre in corrente continua si toccano i 170 kW di potenza. Essendo la flagship delle elettriche Audi, questa nuova Q8 e-tron adotta il meglio della tecnologia dei quattro anelli. Salgono a 40 le soluzioni di assistenza alla guida. Tra questi il Remote Parking Pilot Plus per le manovre automatizzate in ingresso e uscita dagli stalli di sosta e i LED Digital Matrix evoluti che illuminano l’autostrada con la luce di corsia e quella di orientamento. Senza dimenticare che Audi Q8 e-tron Audi Q8 Sportback e-tron sono vetture prodotte e certificate carbon neutral e adottano componenti sostenibili derivati dal riciclo. Il listino delle due configurazioni parte rispettivamente da 79.900 e 82.200 euro.

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Un leggero maquillage per migliorare l’aerodinamica, batterie più capienti per aumentare l’autonomia e un nuovo nome per incoronare la regina delle full electric premium della Casa dei quattro anelli
Matteo Dall’Ava

Il "Palaghiaccio 4.0" di Varese

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Grazie al recente restauro, che lo ha completamente rinnovato, il nuovo Palaghiaccio è il centro polisportivo di riferimento per agonisti e non.

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AUDI Q4 E-TRON, LA PIÙ VERSATILE

Un abitacolo spazioso, un’autonomia fino a 540 km e soluzioni tecnologiche da prima della classe: queste le caratteristiche del modello Q4, soglia d’ingresso al full electric dei quattro Anelli. Un vero e proprio primo piano nella transizione del brand verso la mobilità elettrica

Audi Q4 e-tron e Audi Q4 Sportback e-tron ricoprono un ruolo di primo piano nella transizione del brand verso la mobilità elettrica e costituiscono la soglia d’accesso al mondo BEV (Battery Electric Vehicle) dei quattro anelli. Queste due vetture sono i primi SUV compatti Audi a zero emissioni. Sono quindi nativi elettrici basati sulla piattaforma modulare MEB del Gruppo Volkswagen. Una caratteristica che porta loro vantaggi competitivi determinanti quali l’abitabilità degna di un modello di due categorie superiori. Ciò significa una maggiore manovrabilità in ambito urbano e un comfort assicurato per i viaggi più lunghi. A ciò si aggiunge una marcata duttilità tecnica: alla trazione posteriore o integrale si accompagnano uno o due motori elettrici, con potenze da 204 a 299 CV e la disponibilità di batterie 82 kWh nominali. Soluzioni che nel complesso consentono ad Audi di confermarsi punto di riferimento tra i SUV elettrici premium di segmento C grazie a un’autonomia massima di 540 chilometri WLTP.

Un’autonomia migliorata anche nelle versioni 4, con i due propulsori a zero emissioni, uno in corrispondenza di ciascun assale. In condizioni di marcia ordinarie, la trazione è affidata al solo motore al retrotreno. Qualora il conducente richieda il massimo

delle prestazioni, viene attivato in pochi centesimi di secondo anche il propulsore elettrico anteriore. Lo stesso accade predittivamente rispetto all’insorgere del sottosterzo o del sovrasterzo in presenza di fondi a ridotta aderenza o in caso di guida spiccatamente sportiva.

Agevole è anche la ricarica perché oltre a reggere i 135 kW di potenza delle colonnine a corrente continua HPC, quelle veloci, per intenderci, il caricatore interno assorbe fino a 11 kW di potenza cioè il massimo dello standard offerto oggi dalla maggioranza delle colonnine pubbliche. E per rendere la ricarica ancora più semplice, arriva la nuova funzione Plug & Charge. Le Q4 ottengono l’autorizzazione automaticamente alla colonnina e

avviano l’operazione senza bisogno di alcuna scheda o app. La fatturazione è altrettanto automatizzata, senza strumenti di pagamento fisici.

Audi Q4 e-tron nelle due carrozzerie SUV e Sportback amplia i servizi connessi. Il nuovo portfolio dei servizi Audi connect consente agli utenti di creare profili personalizzati, salvando sia i dati di navigazione sia le destinazioni recenti e schiude la possibilità di utilizzare il pianificatore degli itinerari e-tron route planner da remoto, mediante l’app myAudi, così da definire un percorso, ricariche incluse, e inviarlo direttamente alla vettura. Il listino parte dai 56.650 euro della Q4 40 e-tron ai 71.950 euro, chiavi in mano, della versione Q4 50 e-tron Sportback nell’allestimento S line Edition.

Matteo Dall’Ava Audi Zentrum Varese Viale Belforte 151, Varese Via dei Combattenti 1, Solbiate Olona informazione pubblicitaria

Lunedì 17 aprile si è tenuta la Masterclass di IWC Watches in collaborazione con la nostra orologeria e il Gruppo Auto Torino. L’evento è iniziato alle ore 9.00 presso l’autosalone di Legnano del Gruppo Auto Torino, dove i nostri clienti sono stati accolti dal titolare dell’orologeria Andrea Paternostro insieme al Responsabile dell’autosalone Federico Sartirana e all’agente IWC Daniela Solzi. Successivamente al discorso di benvenuto, i partecipanti si sono recati presso villa Jucker, complesso di proprietà della famiglia Legnanese. Qui è iniziata la Masterclass IWC: Ferdinando Mavellia, Sales Administration Manager, insieme a Daniela Solzi hanno presentato le origini del marchio, i modelli più iconici e alcune curiosità sul brand. Ogni partecipante disponeva di una box IWC contenente il calibro e gli strumenti per smontare e montare il meccanismo.

L’esperto orologiaio Paolo Goldaniga ha iniziato spiegando le componenti principali del movimento e altre interessanti specificità. Una volta terminata la spiegazione, i clienti con l’aiuto dell’orologiaio hanno iniziato step- by-step a smontare i meccanismi e una volta terminato il lavoro hanno rimontato il calibro. Terminata la Masterclass, i partecipanti si sono recati presso l’orologeria Paternostro per visionare le collezioni IWC e per l’occasione ammirare alcuni pezzi in edizione limitata.

La stessa Masterclass si è ripetuta anche il pomeriggio e a dare il benvenuto questa volta è stato Thomas Perini, Brand Director Italy.

Al termine dell’evento gli ospiti si sono recati presso l’autosalone del Gruppo Auto Torino a Legnano, dove il direttore Federico Sartirana ha organizzato un apericena per concludere la giornata

CORSO GIUSEPPE GARIBALDI, 2/B - 20025 LEGNANO (MI) - TEL. +39 0331 452307 GIOIELLI@ANDREAPATERNOSTRO.IT - WWW.ANDREAPATERNOSTRO.IT - INSTAGRAM: PATERNOSTRO1972

RUBRICHESU ECULTURADIGITALE

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Terza pagina

LA VITA SPERICOLATA di Carlo Zanzi

Camminatore, ciclista, giornalista e scrittore, diventato uno dei primi blogger varesini con il suo seguitissimo “Pensieri & Parole Tre”. L’autore di una quarantina di libri, tra romanzi e raccolte di racconti, ma anche testi varesini a corredo delle fotografie di Carlo Meazza e un volumetto di poesie, racconta la nascita della sua passione letteraria. Dai banchi del Cairoli alle passeggiate in montagna

L’appuntamento quotidiano con il mondo, Carlo Zanzi ce l’ha da 16 anni, da quando nel febbraio 2007 aggiunse l’ennesima tessera al mosaico delle sue passioni, sommandola a quelle di papà, camminatore, ciclista, giornalista e scrittore, diventando uno dei primi blogger varesini, con il suo “Pensieri & Parole Tre”, seguitissimo con oltre 300 accessi al giorno. Zanzi è uomo di fede, anzi “ragazzo casa e chiesa, oratorio e sport”, come ama ricordare e questa gli dona l’entusiasmo e la volontà del fare, il credere in sé stesso (cosa non sempre facile anche per lui) e la capacità di affrontare sempre nuove sfide, provando a scardinare resistenze e diffidenze.

Nato a Varese il 15 giugno 1956 da generazioni varesine, vari traslochi negli anni, da via Ugo Foscolo al Quartiere

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CULTURA E DIGITALE

Garibaldi, da via Vico a Sant’Ambrogio alla nuova casa ancora da arredare dalle parti dell’ex Campus, “era dei suoceri e mi sono trovato 800 metri quadrati di giardino da gestire”, Carlo Zanzi, zazzera grigia tagliata corta e “düü occ de bon” (“due occhi da buono”), è anche una memoria storica della città, perché da 10 anni cura il “Calandari do ra Famiglia Bosina”, del quale possiede tutto il pubblicato dal 1956, guarda caso anno della sua venuta al mondo e della nascita della rivista, alimentando una certa invidia in chi scrive. Un uomo dalle molte passioni, ma anche inquieto, un po’ sognatore, orgoglioso del suo essersi inventato scrittore, intanto che diventava padre per la prima volta e insegnava educazione fisica alla “Vidoletti”, dove ha resistito 34 anni, prima del pensionamento 5 anni fa.

“Ho fatto il classico, ‘cairolino’ nella sezione C, ma allora la mia passione predominante era lo sport.

Facevo ginnastica artistica alla ‘Varesina ginnastica e scherma’ e volevo partecipare alle Olimpiadi di Mosca del 1980, un sogno come un altro, ma ero troppo alto per quella disciplina. Non pensavo alla scrittura, anche se alle elementari facevo dei bei temi, ma nessun insegnante mi aveva incoraggiato a continuare. A fine liceo avevo tre opzioni:

l’Isef, medicina o giornalismo. Scelsi la prima, avevo già il lavoro mentre ancora studiavo, volendo metter su famiglia era la cosa migliore. Mi riscoprii scrittore quando da militare inviavo lettere d’amore alla mia futura moglie, Carla Bambozzi, che fa la psicologa. Poi la svolta, del tutto casuale”, racconta Carlo.

Carlo e Carla hanno la prima figlia, Valentina, nata nel 1985, e la madre ha un’offerta di lavoro, così il neo papà decide di prendersi quattro mesi di aspettativa e fare il “mammo” a tempo pieno. “Tenevo un diario, scrivevo

delle mie varie occupazioni con la neonata e la casa e alla fine mi decisi, proposi lo scritto alle case editrici cattoliche, tra cui le edizioni Paoline. Che incredibilmente mi risposero, dicendo che il libro si sarebbe potuto fare. Ero diventato uno scrittore e la pubblicazione, distribuita in tutta Italia, mi diede una spinta eccezionale, facendo lievitare la mia autostima”.

“Papà a tempo pieno”, uscito nel 1988, è il titolo del primo della quarantina di libri pubblicati da Zanzi, tra romanzi e raccolte di racconti, ma anche testi varesini a corredo delle

fotografie di Carlo Meazza e un volumetto di poesie, l’unico, intitolato “Un anno” ed edito da Gabrieli “come le liriche di Silvio Raffo”, dice orgoglioso Carlo. Che però non ha mai smesso di fare sport e battere i suoi record personali: “Lo scorso anno sono salito in bicicletta 207 volte al Campo dei Fiori, ma nel 2013 andai al Sacro Monte ben 323 volte in un anno e alla trecentesima c’era ad attendermi mio fratello Marco, scomparso a 56 anni, con una crostata e la scritta 300! È stata un’impresa realizzata in vari modi: camminando,

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Da scrittore, il colpo Zanzi lo fece con un instant book, la prima biografia autorizzata di Roberto Maroni, nel 1994 astro nascente della Lega, ministro degli Interni e Vicepremier

correndo e in mountain bike lungo il Viale delle Cappelle, in bicicletta e con gli ski-roll lungo la strada per Santa Maria del Monte. Mi piace andare in bici dove c’è pochissimo traffico, il mattino e da marzo a ottobre. Il resto dell’anno cammino in montagna, un’altra delle mie grandi passioni, che entra quasi sempre nei miei romanzi e nei miei racconti”. Zanzi ha anche la passione per la musica, suona la chitarra e strimpella il banjo: “L’ho preso perché lo suonava mio fratello Marco, il vero musicista di casa, che fondò il gruppo di musica country ‘The Piedmont Brothers Band’. Nostra madre Ines Ravasi, sorella di Bruno, noto architetto varesino, era diplomata in pianoforte al conservatorio, fece un unico concerto al Salone Estense nel 1953, poi si dovette dedicare alla famiglia, con quattro figli maschi. Quando suono il banjo mi sembra di abbracciare Marco”. C’è poi il Carlo giornalista, collaboratore del “Luce” fino alla sua chiusura, poi per “La Prealpina”, dove inventò la rubrica “Pensieri & Parole” ora diventata blog.

“Al ‘Luce’ mi presentai nel 1989 chiedendo di poter collaborare. C’era Fulvio Monti che mi fece incominciare. Facevo la cronaca del consiglio comunale e intanto nascevano le altre due figlie, Maddalena nel 1987

e Caterina nel 1991. Mi alzavo alle 4 del mattino per scrivere, facevo anche pezzi di cronaca e cultura. Anche in ‘Prealpina’ tentai la sorte, memore del detto di un mio insegnante alla ‘Varesina’: ‘Chi vuole va, chi non vuole manda’. Gianni Spartà mi pubblicò il primo raccontino, la storia della Dama Bianca di Fausto Coppi che andò un giorno alla pasticceria Marcolini, dove mio padre lavorava, a chiedere una torta a forma di montagna con piccoli ciclisti di zucchero che la scalavano”. Da scrittore, il colpo Zanzi lo fece con un instant book, la prima biografia autorizzata di Roberto Maroni, nel 1994 astro nascente della Lega, ministro degli Interni e Vicepremier. “Lo incontravo a Varese in consiglio comunale, era assessore alla Polizia urbana, così gli feci la proposta di un libro. Non

disse né sì né no, ma io non mollai. Lo intervistai alle 3 di notte dopo un comizio, per telefono, fui in via Bellerio la notte del trionfo leghista del ‘94 e alla fine buttai giù il libro, intitolato ‘Maroni l’arciere’ in due mesi, pubblicandolo per Lativa con la distribuzione di Longanesi. Lui me lo dedicò scrivendo: ‘E vedrai quando sarò Presidente della Repubblica’”. Carlo ha da poco pubblicato

“La strada per le stelle” edito da Robin e ha pronto un altro romanzo, dal titolo provvisorio, “Fuggiaschi”: “È una storia che va dal 1917 al 1918, si parla, come spesso nei miei libri, di famiglia, figli, della sofferenza e della morte ma anche dell’amore e del sesso, una parte fondamentale di noi. Non mancano spunti sulla religione e naturalmente sullo sport e la montagna.

Lo scrivere mi dà un grande senso di libertà e la possibilità,

attraverso i personaggi dei libri, di esprimere me stesso e dire cose che normalmente non direi, perché sono di poche parole e riservato.

L’ho fatto soprattutto in un romanzo, ‘Nudo di uomo’, che amo molto. I miei libri, in fondo, sono parte di un unico lungo racconto”.

La chiacchierata con Carlo nella luminosa nuova casa dove il bianco quasi acceca, termina con il racconto di un’altra passione, quella per la fotografia. Zanzi, alle mostre o alle presentazioni di libri, arriva sempre armato di Canon con cui documentare l’evento per poi postarlo suo blog, ma lo fa anche durante le lunghe escursioni in montagna. “Galeotta fu una Ferrania 6x6 di mio padre, poi passai a una Yashica FX3 e finalmente al digitale con una bella Nikon che mi regalò don Adriano Sandri, parroco di Velate”.

90 CULTURA E DIGITALE CARLO ZANZI
Zanzi ha da poco pubblicato “La strada per le stelle” e ha pronto un altro romanzo, dal titolo provvisorio, “Fuggiaschi”

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In libreria

Salvatore Benvenga

Fotografia: la vestale della memoria Prodigi, 2022

Elisa Malvoni

C’è un sacco di spazio

Che cos’è la fotografia? Cosa definisce una fotografia bella, buona e utile? Alla ricerca delle (possibili) risposte in un volume che non è libro di fotografie, ma dedicato “alla” fotografia, come custode della memoria. Un testo che la ritrae e omaggia, attraverso diversi aspetti: storici, artistici, filosofici, tecnici e culturali, con spazio per personaggi, aneddoti, avvenimenti e comparazioni. L’autore, presidente del fotoclub Il Sestante di Gallarate, ha all’attivo un ricco curriculum di mostre, libri e pubblicazioni fotografiche, tra cui un manuale per un corso di fotografia adottato in vari fotoclub italiani. Una scrittura pensata per la saggistica ma rivolta a tutti.

bensaver.it

Dal cuore della terra alla civiltà umana. I metalli hanno accompagnato e accompagnano il cammino dell’umanità: che siano preziosi o comuni, legati alla nobiltà o sacralità o all’uso quotidiano, antichi o moderni, sono fondamentali con la loro concretezza e simbolismo. Molto della storia (così come anche i nomi dei periodi testimoniano) si basa sull’evoluzione delle conoscenze e delle tecnologie necessarie per estrarli e lavorarli,

permettendo alle civiltà di progredire ed evolversi. Questo libro introduce alcuni dei metalli e delle leghe più importanti per l’uomo, tratteggiandone storia, caratteristiche, usi e proprietà, con curiosità, leggende e considerazioni sull’impatto ambientale. Un viaggio anche nel tempo, con le illustrazioni di Marco Sandreschi. Per l’editore bustocco un nuovo lavoro nella Collana Bambini, che presenta una ricca proposta dedicata a temi della natura, dagli insetti all’acqua, dagli alberi ai fiori selvatici.

nomosedizioni.it

A un decennio dall’istituzione del Premio Strega Giovani e del Premio Strega Europeo si aggiunge un nuovo tassello: il Premio Strega Poesia. L’autrice emergente bustocca, votata alla poesia, è candidata proprio alla prima edizione di quest’ultimo. Un riconoscimento davvero prestigioso, ma non l’unico. Le sue opere sono state pubblicate in 30 antologie di letteratura contemporanea, in riviste e blog specializzati. Ha vinto anche numerosi concorsi e premi di riconoscimento. La silloge, ancora inedita, aveva ricevuto menzione di merito al concorso Scaramuzza 2021. Un talento per la poesia cui va il nostro in bocca al lupo.

edizionibette.com

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CULTURA E DIGITALE
sul fondo Edizioni Bette, 2022 Petra Paoli Metallo Nomos, 2023

Tel: 0332.251000. Email: biblioteca@confindustriavarese.it

Spazi fisici e digitali di produzione. Il volume, inserito nella collana “Scienze geografiche”, vuole fornire alcuni spunti sul tema della geografia dell’impresa, affrontando argomenti come: lo spazio in cui le imprese vanno a insediarsi; la transizione dal fordismo al post-fordismo; le dinamiche di interazione tra imprese localizzate in prossimità geografica reciproca; i sistemi di trasporto come fattori centrali nei condizionamenti della geografia dell’impresa; le dinamiche di internazionalizzazione delle imprese; l’innovazione e il digitale nell’evoluzione, nelle esternalità e nella morfogenesi della geografia dell’impresa.

francoangeli.it

Paolo Costa

Sorrisi e fantasia: il ciclismo di Silvano Contini Sunrise Media, 2023

Le vicende di un corridore che ha saputo distinguersi in un decennio di grandi nomi come Hinault, Saronni e Moser. Oltre 40 vittorie, 14 maglie rosa e una classica monumento come la LiegiBastogne-Liegi. Contini da Leggiuno “potrebbe avere tanti e buoni motivi

per tirarsela... Ma lui non è fatto così, non è mai stato così”. Ecco allora l’idea di un libro sulla sua straordinaria carriera, concretizzato solo dopo un patto tra autore e protagonista: che il ricavato fosse destinato ad una causa benefica. Con Costa, nome noto del giornalismo, autore di biografie, tra cui Binda e Bartali, ha collaborato un gruppo di colleghi appassionati di ciclismo.

sunrisemedia.it

Con i suoi sette laghi e le fertili valli, nate dallo scioglimento dei ghiacciai, la provincia di Varese è al centro di un’area molto vasta, detta Insubria, che, oltre ad essere ricca di bellezza racchiude una storia eccezionale. Custodisce anche le leggende, le visioni e i miti che hanno accompagnato questo lunghissimo percorso e che si sono radicati nell’animo della gente al punto da essere ritenuti possibili tutte le volte in cui la logica e la scienza non soddisfa. Così è per i draghi, ad esempio! Una lettura affascinante tra storia e leggenda.

Un nuovo tassello per l’editore-scrittore per valorizzare le preziosità del territorio.

macchionepietroeditore.it

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I libri di queste pagine sono consultabili, anche in prestito alla Biblioteca “Mauro Luoni” di Confindustria Varese.
De Falco Elementi di geografia dell’impresa Franco Angeli, 2023 Pietro Macchione Draghi e laghi Pietro Macchione, 2023
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Dal web

NUOVE ENERGIE

Le ultime notizie sulle #ImpresediVarese dal web e dai social network. Solo su varesefocus.it

Buongiorno Impresa: la storia di RODA

Nel nuovo podcast di Varesefocus raccontiamo la storia di RODA e, in particolare, delle strategie dell’impresa per la valorizzazione delle persone. Un vero mantra su cui il marchio fonda la propria identità. Il racconto è stato realizzato grazie all’intervista al Ceo Andrea Azzimonti.

A MalpensaFiere nasce una CER

Ancora in fase di progettazione, la Comunità Energetica ha già raccolto grande interesse. BTSR International, Sport Service Mapei, Sommese Petroli, Fogliani, Double Tree Hilton, Giardineria, Centrocot, Its Incom, Riscaldamento Sant’Anna sono le prime realtà che hanno già scelto di supportare l’iniziativa di CCIAA di Varese.

SPII: Silvio Zuffetti è il nuovo AD

L’azienda di Saronno dal 1947 è attiva nella progettazione e produzione di sistemi meccatronici per vari settori come quello dei veicoli ferroviari e della mobilità elettrica. “Sarà una grande sfida: una di quelle che vale la pena affrontare”, ha commentato così il nuovo incarico Zuffetti.

Cassioli: anche in azienda vince il team

I fattori comuni tra sport e impresa: questi i temi dell’incontro del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese, che ha visto la partecipazione di Daniele Cassioli, atleta paralimpico, lo sciatore nautico più medagliato di sempre. Al centro, i valori da allenare per realizzare organizzazioni positive.

La strada da percorrere è digitale

Proseguono gli incontri per far conoscere agli studenti dell’ITS Incom le attività dei Digital Innovation Hub di Confindustria Lombardia e l’assessment per misurare il grado di digitalizzazione delle imprese. Alla nuova tappa hanno portato la propria esperienza: Cibitex, Centro Style e Tecniconsult.

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Comunicare

Gli antifuffa

I deinfluencer, gli antieroi dei social, sulla carta, sono la nemesi degli influencer e nascono per contrastarne appunto l’influenza. Attraverso critiche, prove alla mano, di consigli e suggerimenti solo all’apparenza veritieri. Il tutto in difesa del consumo consapevole e dei consumatori. Un vero e proprio cambiamento culturale in corso, che parte da una messa in discussione degli stimoli digital e non solo, ma che essenzialmente indica un bisogno di autenticità

Debunking, detox, deinfluencer.

Ciclicamente, per chi vive in maniera attiva anche la vita digitale, ecco riaff iorare il mantra del “de”. Un “de” che non ha il sapore del lessico delle nuove generazioni, ma che era già un classico quando Cicerone andava

a scuola, che ha una storia autorevole e ci allerta quando arriva il momento di togliere qualcosa e non di aggiungere. Less is more, per dirla alla maniera della moda, senza niente togliere al dibattito sul lessico made in Italy. Togliere, ecco il verbo che ritorna: insieme a sfatare e a fare luce.

nota catena di profumeria che spiegava come mai alcuni prodotti venissero restituiti dai clienti. O, dello “smascheramento” di una mamma, che aveva centrato la sua narrazione su una storia familiare non del tutto vera.

Approfondire, distogliendo lo sguardo dal dettaglio per osservare il generale, possibilmente cercando di stare fuori da quella bolla informativa che ciascuno di noi si è costruito e che si è

Gli esempi non rendono giustizia ad un cambiamento culturale più sottile, che parte da una critica forte ma costruttiva (non si tratta di azioni da haters), da una messa in discussione degli stimoli digital e non solo, che essenzialmente indica un bisogno di autenticità. Piace pensare che fenomeni come questo possano portare ad un

lasciato costruire attorno. Il “de” del momento? Il fenomeno sul digitale, e in particolare su TikTok, è quello del deinfluencer. Sulla carta, la nemesi dell’influencer nasce per contrastarne appunto l’influenza, criticando, prove alla mano, i suoi consigli: celebre la rivelazione del bluff di una creatrice di contenuti che promuoveva gli eff etti di un mascara, mentre in realtà si era applicata le ciglia finte o di un ex commesso di una

consumo consapevole, anche più sostenibile. Per chi comunica non si può nascondere che si tratta di una nuova sfida: più il consumatore è sveglio, più la strategia deve tenerne conto. Grazie al cielo, verrebbe da dire! In pratica però in un mondo in cui la comunicazione è personalizzata, chi si aff ida a testimonial non potrà più valutarne solo i numeri, ma sceglierli con un preciso criterio: la coerenza etica. Facile solo in apparenza.

96 CULTURA E DIGITALE
Non haters ma spiriti critici che rivendicano un bisogno di autenticità. Una nuova sfida per i comunicatori

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