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interrogano l’uomo

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Gli antifuffa

Gli antifuffa

a cosa c’entro io con queste opere? Che cosa voleva dire Lukas con i suoi insetti?” Ci si può anche mettere nei panni di un visitatore che per la prima volta approda a Villa Panza (nota anche come Villa Menafoglio Litta Panza), avendo poca o nulla frequentazione col minimalismo espresso dalle ultime 108 opere entrate nel circuito della villa e con le 46 dei 10 artisti scelti per questa particolare rassegna EX Natura, dedicata al tema “Natura e Forma”. Però passa comunque sottopelle, a chiunque, un’emozione se si osservano, nel candore luminoso delle sale, i sottilissimi steli di Christiane Löhr. Li avrà cercati nei boschi e nei prati vicini a casa, la si vede e la si sente nei giorni di luce e di vento camminare come una bambina, scegliere quei fili e rivestirli di amore, curiosità o forse di una calcolata, piccola ingordigia nel pensare “Ecco questo fa per me, per la mia opera lieve che s’inorgoglisce e cresce, per quella voglia di eternità che la ispira”. È un po’ quella stessa voglia di eternità che soffia nella villa, che di notte accoglie su di sé le stelle come in un catino rovesciato color cobalto. Te lo immagini, ma lo puoi anche vedere se la frequenti

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Arte Villa Panza

o assisti ai concerti nelle sere d’estate.

“Si riscopre la nostra vera natura. Siamo viventi come le erbe dei prati. Torniamo a conoscere le nostre origini lontane, ma che anche oggi ci danno nutrimento”. Sono parole di Giuseppe Panza, il dominus eterno di questa villa in cui ha vissuto e cresciuto, con la moglie Giovanna, figli e nipoti, ospitando artisti e incontrando persone. E dove lo si è celebrato per i 100 anni dalla sua nascita, il 23 marzo, aggiungendo l’ultima opera, alle 108 regalate dalla famiglia alla collezione varesina, così che diventerà la seconda collezione dopo New York del circuito Guggenheim.

Parole affidate alla sua autobiografia, “Memorie di un Collezionista”. Che s’accompagnano in mostra a ciascuno degli artisti (ne raccontiamo qui solo alcuni), le cui opere esposte sono in parte donazione (30), in parte provenienti dalla Panza Collection Mendrisio. Una dichiarazione di saggezza la sua, ci fa capire che il significato delle nostre radici è chiuso come un segreto nei gambi raccolti da Christiane, in quei semi nascosti in un ciondolo di palline. Soffici alla vista come i pon-pon delle cuffie in lana che i bambini indossano quando scivolano d’inverno sui pattini. Forse l’artista avrà pensato, mentre accomodava quel ciondolo di piccole sfere perfette, a Thomas Mann e ai suoi personaggi, Tonio Kröger e il biondo Hans, protagonisti del più bel racconto dello scrittore tedesco, alle loro corse d’inverno sull’Isar gelato, nella vecchia Monaco. E quei semi di denti di leone? Quanto tempo ci vuole per mettere assieme quella nuvola costruita su di una retìna con piccoli chiodi, così soffice e morbida a vedersi che ti fa venir voglia di metterne a prova la fragilità? Una mano calata e via, si distruggerebbe quel piccolo gioiello di arte e sentimento messo su con perizia certosina. Si pensa che Christiane sia una donna veramente appagata: vivere di un mondo in miniatura e farne un universo di

Sopra, Jene Highstein, Twelve Part Vertical Pipe Piece. Sotto, in primo piano, Richard Long, Cross of Sticks, 1983. A destra, veduta d’insieme delle opere di Christiane Löhr pensieri, di prospettive, di ambizione, che l’ha portata a entrare in un circuito del Guggenheim dev’essere il progetto di una grande donna. Presentiva che quei semini avrebbero scritto anche loro la storia dell’arte?

Commuove anche Gregory Mahoney, con i suoi catini sbrecciati e tornati a vivere, come naufraghi arrivati dal mare, con le sue lastre di acciaio di recupero, trattate con cemento e sali alcalini, che sembrano le mappe geografiche del terreno lunare. “La natura è madre e padre nello stesso tempo, amorevole e severa, non dimentica le offese che noi facciamo alla sua verginità. Un giorno dovremo pagare il conto delle nostre trasgressioni e delle nostre offese”. Lattine di recupero, pittura a olio e sali alcalini. Quanto lavoro e ricerca per dimostrare com’è bello il mondo, anche se le forme piatte e tonde di Gregory, impossibili da comprendere in una mano, restituiscono l’idea dell’immensità cosmica. Potrebbe essere un grande viaggiatore e la sua biografia ne dà conferma. Le parole di Panza, accanto alle sue opere, collezionate con competenza e amore, ammoniscono, ci chiamano in causa, si fanno profezia. E realtà. Stiamo già pagando trasgressioni e offese. Come aveva capito così bene immensa, totalmente spiazzante. Come in un film di Fellini, “La strada”, nel dialogo tra il Matto e Gelsomina. “Ogni cosa ha un senso, credimi”, la consola lui. “Se questo sasso è inutile, tutto è inutile. Anche le stelle”. il collezionista? I segni erano già nei semi, nei cocci, nelle venature dei metalli o erano il riflesso che lui coglieva in loro? La luce, ecco, erano nella luce che lui trovava. Un piccolo marchio, un sigillo di fuoco. In questo viaggio per le sale della villa, si entra e ci si perde, smarriti in un benessere vitale e spirituale, come tante volte è capitato. Che incanta e fa venire la voglia di fermarsi, affacciati alla “finestra” senza vetri e imposte di Turrell. Come altri si sentono quando entrano qui. Affidandosi a questi linguaggi così diversi tra loro eppure universali. E dove a scandire il ritmo della vita è il frusciare di un leggero vento tra gli alberi del parco. In fondo al parco, la casa minimalista di Wilson è un piccolo mondo a sé. È la casetta dove tutti sentono la presenza del padrone di casa, il conte Panza, il collezionista un po’ folle di questi reperti di vita da favola. Reperti che piano piano sono sbarcati alla villa, come i piatti naufraghi di Mahoney, che pensa al vecchio amico dalla sua roulotte sbrecciata e, ogni notte, guarda un nuovo cielo. E, mentre esce a guardare luna e stelle, e intanto raccoglie ferri vecchi, pensa. Pensa in fondo come Emil Lukas. Perché anche Lukas dialoga con la natura, ma quella che quasi sempre sfugge. La sua arte è piccola e nascosta. Ma la risposta è

Vale anche per la piccola foglia di Emil, fissata in mezzo a una pagina, a memoria perpetua per chi la vorrà vedere: segno minimalista dell’universo attende l’incontro, quando qualcuno verrà ad osservarla. E allora saprà se quel qualcuno vedrà solo la sua insignificanza oppure scorgerà la sottolineatura della potenza divina nel suo minuscolo essere. La discesa nel parco, dopo l’incontro con i 10 artisti, è l’ultima tappa, per vedere Twelve Part Vetical Pipe Piece, l’opera di Jene Highstein che più rimane d’ora in poi legata al regista di questo progetto infinito che è Villa Panza. C’è sole e vento, intorno brillano le nuove fioriture di primavera. Ecco là in fondo i 12 cilindri d’acciaio alti più di 5 metri, disposti verticalmente in sequenza. Ci viene spiegato che “formano una linea retta divisa in due parti”. E che “questa linea consente un’indagine dello spazio circostante e crea un ritmo. L’osservatore la percepisce come un’unica massa fatta di pieni e di vuoti”.

A svelarci tutto sono dunque ancora le parole del sognatore di questo progetto meraviglioso che è Villa Panza: pubblicate nel 2006, ma è come se fosse oggi. Perché risuonano come le parole udite da Gelsomina, quasi che, invece di cilindri, si parlasse ancora di sassi: “È un salto nel passato, in un passato remoto e inconoscibile e onnipotente. Nessuna cosa può esistere se non ha una massa, per piccola che sia. La massa è la presenza di ogni cosa. Solo la coscienza di esistere, la volontà, il pensiero, la bellezza non hanno massa, ma hanno bisogno della massa per manifestare la loro presenza”.

A cura di Anna Bernardini e Marta Spanevello

Villa e Collezione Panza, Piazza Litta 1, Varese

Dal 10 novembre 2022 al 1° ottobre 2023

Da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 18.00 (chiusura biglietteria 17.15) www.villapanza.it www.fondoambiente.it per FAI

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