IL FANTASTICO
Lo smemorato di Federico A. Realino
E
ra una pallida serata di fine novembre, quando Cesare decise di interrompere per qualche minuto la redazione della sua ultima fatica, un articolo commissionato da «Le Philarète», per osservare il cielo inquieto, tipico di quei giorni in cui spirava una brezza mediterranea, intensa e piacevole.
Cesare Vinci era un uomo maturo dall'aspetto di eterno ragazzo, dal vestire sapientemente trascurato e dalla chioma folta che si dispiegava in un naturale groviglio di riccioli neri. Viveva a Saint-Denis da ormai dodici anni, dopo essersi trasferito da Torino per inseguire il suo sogno di diventare ricercatore alla Université Paris 8, ma per ora, in attesa di meglio, si manteneva facendo il giornalista free-lance per le pagine culturali di qualche rivista. Quella sera percorse il lungo corridoio che dal suo studio, un angolo di mansardato in Rue Guy Mòquet, conduceva fino alle scale, e con queste giunse al porticato del piano inferiore. Appena si trovò sul pianerottolo sentì suonare alla porta, che in quel momento era di fronte a lui. Si avvicinò e scrutò dallo spioncino: era Théophile Girard. L'ospite era atteso poiché, oltre a collaborare spesso insieme, entrambi amavano confrontarsi sul proprio lavoro, e durante i loro ritrovi si accendevano autentiche dispute. Girard si diresse sicuro verso lo sgabello di legno del salotto, preferendolo alle più comode poltrone di pelle nera, procedendo con il suo inconfondibile incedere dinoccolato e con gli occhi come sempre un po' assenti. Dopo essersi entrambi seduti, espose i motivi della sua visita. Come Vinci si aspettava, era venuto per chiedere il suo parere sul suo ultimo lavoro, un articolo sull'«urgenza del gotico» nella narrativa di Guy de Maupassant. Vinci iniziò a leggere con attenzione e curiosità mentre Girard seguiva con le proprie pupille le sue, tanto che questi era costretto, di tanto in tanto, ad alzare gli occhi per lanciargli sguardi di rimprovero. Un passo del lungo articolo riguardava il racconto le Horla: Non c'è alcun dubbio, le Horla vive non nel terrore ma del terrore, se ne ciba e invigorisce con il suo intensificarsi. Egli conduce la sua vittima a sé attraverso un doloroso rituale allucinatorio, che mediante innominabili
O PERA NUOVA 2019/ 1 •
65