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Il silenzio del verbo, di Tiziano Uria

Il silenzio del verbo

di Tiziano Uria

Attendere il proprio destino, sospesi in una dimensione indistinta fatta di menzogne e chimere, può alterare le capacità intellettive di chiunque. Tuttavia ciò che mi appresto a raccontare non è frutto di allucinazioni, quanto il fedele resoconto dei fatti.

Se per questo mi aspetta l'incredulità, la derisione, l'emarginazione, affronterò la mia condanna per amore di verità. Di una verità che potrebbe manifestarsi camuffata da sortilegio, da magia, da profezia. Della verità che trascende le credenze e congetture che i nostri idola pretendono infallibili. A voi il compito di accettarla, ma non sarà facile, perché essa viola la nostra percezione dell'universo: quello che sto per raccontarvi non appartiene a questo mondo.

Sarebbe tuttavia da sciocchi gettarsi in una battaglia che si sa di non poter vincere. Dunque preparatevi, perché l'eccezionalità della circostanza mi indurrà ad agire per Jas et neJas.

Ecco dunque i fatti. Durante il piovosissimo febbraio 1966 soggiornavo a Roma, impegnato per i miei studi alla biblioteca Vaticana. Trascorrevo interminabili giornate nelle sale dedicate alla Patristica e in un'occasione, complice la stanchezza, mi accorsi di avere scambiato il De utilitate credendi di Agostino d'lppona con un manoscritto che non avevo mai visto prima, su cui faceva bella mostra, al posto della normale segnatura, il simbolo di un serpente bicefalo a forma di esse.

Il fatto mi colpì. Certo non mancavano le leggende a proposito di volumi esoterici marchiati con simboli oscuri, ma non mi era mai capitato di tenerne tra le mani un possibile esemplare.

Mentre tentavo di leggerne le prime righe, un impulso incontrollabile e diabolico mi costrinse a nasconderlo e a portarlo via con me.

Dopo cinque mesi di indagini accurate riuscii ad allestire una prima edizione, nella quale venivano emendate alcune pagine perché frutto di interpolazioni posteriori.

Qui terminano le mie parole. Allego una copia del manoscritto da me tradotto e che lascio spoglio di ogni ulteriore commento.

••tz .... no tTO < ... > a.D. cc•cJI

Affido a Voi, uomini devoti e pii, la mia storia, affinché con la Vostra fede intercediate presso l'Onnipotente, e che la Sua infinita bontà perdoni colui che ben due volte in una sola vita si macchiò dell'orrendo peccato del suicidio.

Innumerevoli furono le mie debolezze, ma sempre sorrette dalla Santa Carità.

Possa la Giustizia Divina preservare per ••• il più oscuro e remoto anfratto delle regioni dell'oblio, mentre per me, nessun contrappasso temo che possa essere più eterno e insopportabile di questa pena.

Attendo ora la sorte, che compirò di mia mano, clandestinamente ascoso nel remoto monastero di •••.

Spoglio e umido, vanta una sola miniatura, corrispondente alla parete settentrionale, composta di una teoria di immagini della Santa Passione. L'architettura dell'opera risponde ai rigorosi canoni della simmetria: sette rettangoli disposti orizzontalmente in catena, di altezza doppia rispetto alla base; il rettangolo centrale, più ampio, costituisce il perno d'equilibrio geometrico e la chiave interpretativa dell'opera. Ogni rettangolo è diviso in due quadrati da una linea orizzontale, eccettuato il rettangolo centrale della fila superiore, sviluppato in altezza. Come fotogrammi incorniciati di una pellicola bloccata e ingrandita, l'opera è utile catechesi iconografica per il fedele incolto: sopra i toni dominanti del rosso, il bianco del Cristo spicca come artificio armonico, colpo di luce.

Riconosco raffigurata la cacciata dal tempio, la folla ostile, le tuniche sanguigne dei farisei, la cena del tradimento, l'orto degli ulivi. Si alternano sfondi naturali, composti da rocce aguzze e rupi scoscese e inospitali anse, con architetture cittadine, in cui è abbozzata la tridimensionalità dei luoghi, mentre sempre rigorosamente su un singolo piano sono i corpi. Nella celletta centrale della catena superiore è inserita la rappresentazione topica della crocifissione: la croce del Verbo è centrale, ampia, rifinita; il corpo è curato, il capo chino sul lato destro, gli occhi spenti. Ai due lati, i due ladroni. Ai piedi delle rispettive croci spettatori e parenti in lacrime, a grappoli. [ ... ]

Per la facoltà concessami dal mio stato prevedo che tra molti secoli un fiorentino illustre parlerà di me, e il poco che dirà sarà menzogna ma menzogna sublime-; mentre solo nel vigesimo secolo di Nostro Signore, in occasione del Giubileo Santo, il primo Vescovo di Roma riconoscerà la verità delle mie parole, e forse mi eleverà a Santo; ma

quanto è il mio destino non mi è concesso sapere. Perché la mia anima sia salvata, sono necessarie le Vostre preghiere, o uomini di tutti i tempi.

Il Padre Divino ha voluto che in vita avessi in dono la donna più incantevole che un uomo potesse sognare: biondo il sorriso, candide le gote, labbra rosee, timidi e puliti gli occhi. Raffinata poetessa, era d'indole inquieta. M'amava, ma la sua sensibilità percepiva una condanna che verteva su di noi. lo stesso vidi il colore dell'arte e della morte tra le sue iridi palpitanti di verde.

Ed esse furono profetesse: un vile mercante, uomo infame e lontano da Dio, cercò di irretirla, sedotto dal viso angelico e umile, dal corpo materno ma carnale, scrigni appariscenti di più raro e prezioso contenuto. Ella resistette, ma tale era il fuoco scatenato in quel demonio affamato, che per vendicare il rifiuto minacciò di privarla del bene al suo cuore più caro. In non molto, trasformò le parole in sangue. Quel bene ero io.

La sottile perfidia e l'ispirazione dell'Anticristo gli suggerirono un metodo di delitto così raffinato da ingannare Dio stesso (non mi è dovuto sapere quale maledettissimo veneficio causò la mia morte. La condizione di dannato mi rivela il futuro che non potrò vivere, forma sottile di contrappasso, mi chiarisce ciò che è oscuro e contraddittorio della vita dei nostri padri, mi nega tuttavia ogni conoscenza riguardante la mia propria vita. Mal comprenderà questa pena il vostro vate).

La magia di questo demonio fu tanto potente che la mia morte a Dio stesso parve un suicidio: fui pertanto destinato al girone dei violenti contro sé stessi. Un altro errore dei nostri teologi è il considerare Dio indifferente all'umana scelta, in virtù dell'apparente contraddittorietà del libero arbitrio. Tale assunto è promosso dall'habitus di non utilizzare per ogni impresa l'adatto strumento. È ostinazione di villani usare buoi per arare il cielo. Non si può utilizzare la ragione per conoscere Dio. L'errore che l'Onnipotente sembra aver compiuto fa parte dei suoi imperscrutabili disegni. Così anche il mio assassino ebbe in sorte gli inferi, nella bolgia dei simoniaci.

Da quell'ora l'odio che provava verso di me inspiegabilmente si acuì. Riuscì con la magia a fuggire la sua pena e mi raggiunse per perseguitare la mia anima, per sussurrare bestemmie su di Lei, strisciando tra le mie grevi radici. Correva, si nascondeva, si contorceva, mutava sé stesso in orrende immagini di empietà inenarrabili, in oscenità incestuose. Riproduceva la forma di Lei a sé sordidamente congiunta, la Sua candida figura mutata in un laido incubo.

Ignoro quale Luce allora mi percorse, cosa rivestì la mia anima di corpo. Immediatamente fuggii da quella prigione. Aiutato dall'ingente centauro Chirone, attraversai il crudele Flegetonte. Vidi il busto affiorare vermiglio, ma fiero, di Alessandro, scorsi le cruente fattezze di Dionisio. Sempre in groppa al saggio veicolo raggiunsi le porte di Dite. Solo, ma non solo, attraversai schiere di eretici empi, fiumi di iracondi, accidiosi e bui prodighi, avari di tutti i secoli, scarnificati lussuriosi. Uscii infine dalla città dell'eterno dolore.

Trovai rifugio nel Santo Altare da cui ora scrivo, in anni che non sono anni, in luogo che non è luogo. Tuttavia nella dimensione umana, perché soggetta al tempo e allo spazio, ma in una regione del tutto disabitata, dove per volere di Dio è destinato colui che fugge dall'inferno. Ma neppure ora posso avere pace dal mio tormento. L'empio, mosso da inumano odio, come me fuggì dal proprio girone, come me ripercorse l'inferno, come me attraversò teorie di maledetti. E ora è sulle mie tracce.

A voi che è oscura la verità, ma che la cercate con occhi missionari, sappiate che è orribile quanto l'uomo assomigli a Dio. Ebbene, è questa la verità: egli si nutre della mia sofferenza, del mio dolore, della mia paura. Qui siamo soli, e lui non può fare a meno di me. Per questo la mia vendetta contro di lui sarà il suicidio. Non scordate l'antico oracolo: Eri.tis sicut Deum scientes bonum malumque.

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