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La rondine e l'allocco, di Duilio Parietti
from Opera Nuova 2019-1
La rondine e l'allocco
di Duilio Parietti
Quel giorno quasi nessuno andò a lavorare: l'eclissi totale di sole era attesa per le quindici e trenta. Chi poté si prese la giornata libera, per godere in tutta calma di quel raro spettacolo che la natura stava per offrire. Molti caricarono familiari, cani e provviste e partirono per il Monte del Faggio, da lì la visione della luna in procinto di coprire il sole non avrebbe avuto paragoni.
Una gran folla, munita di occhiali da sole, era con il naso all'insù quando lentamente i due astri iniziarono a sovrapporsi.
Un cane iniziò ad abbaiare, un paio di altri guaivano sommessamen-
te.
Due gatti randagi si guardarono attorno, parvero annusare l'aria, poi scapparono chissà dove con la coda fra le gambe.
La luna, inarrestabile aveva ormai oscurato il sole per metà. La temperatura era scesa di qualche grado.
I più previdenti indossarono una maglia pesante.
Un pipistrello comparve nel cielo. Il suo volo era indeciso, titubante e incerto.
Una rondine, sorpresa da quell'improvviso imbrunire, era uscita dal piccolo stormo con cui sino a pochi attimi prima aveva volato, e ora disegnava nel cielo dei cerchi concentrici, abbassandosi pian piano verso il suolo. Un cavo elettrico sospeso tra due pali era sotto di lei. L'uccello vi si appoggiò, artigliandosi con le lunghe unghie.
Il sole era ora soltanto una mezzaluna luminescente. Lo scuro disco della luna, perfettamente visibile, sembrava in procinto di inghiottirlo.
Anche l'abbaiare del cane si era tramutato in sordo lamento.
Un allocco si staccò da un vecchio faggio.
Qualche tempo prima vi aveva trovato un grande buco, forse la tana di un altro animale, così se n'era impossessato e l'aveva trasformato nella sua dimora.
Il rapace avvertiva una sensazione strana. Gli pareva di aver riposato troppo poco, ma il richiamo del buio era più forte: doveva volare.
Si staccò da nido e volteggiò qualche istante, ma le ali gli facevano male. Forse era il caso di riposarsi qualche istante, prima di iniziare la quotidiana caccia.
Il grande volatile si lasciò così scivolare tra gli aliti di un vento freddo e leggero, e si posò sul cavo elettrico.
«E tu chi sei?» esordì l'allocco vedendo quello strano esserino nero posato al suo fianco.
«Una rondine, e tu?»
«Un allocco. Perché non ti ho mai vista?» ((Neppure io ti ho mai visto ... »
Ora il sole era ora solo una soffusa luminescenza, nascosta dal nero disco della luna. ((Perché i tuoi occhi sono così strani? Sono enormi!» continuò la rondine. ((Perché io vivo di notte, e quindi la natura mi ha dotato di due occhi grandi per poter volare anche con il buio ma, piuttosto, tu come fai a vederci? I tuoi occhi sono minuscoli.» (<Perché io vivo di giorno, sai c'è tanta luce e così la natura mi ha fornito di occhi piccoli piccoli.» ((Però hai le ali grandi, che te ne fai?» continuò, curioso, il rapace. <(Quando qui viene freddo io emigro insieme alle mie compagne. Con le mie ali posso volare anche per giorni interi senza stancarmi.» (<Che animali strani siete. Vivere di giorno, che ci sarà mai di bello ... »
«Voi siete animali strani,» rispose la rondine un poco risentita, «non hai idea di cosa ti perdi vivendo la notte.»
«Non credo proprio,» ribatté l'allocco in tono acido, «nulla è meglio del buio.»
Mentre i due uccelli erano presi nelle loro schermaglie il sole era intanto scomparso del tutto. <6enti,>> disse la rondine rabbrividendo e stringendo forte le ali contro il corpo per cercare di riscaldarsi, <(perché non facciamo una cosa?» ((Cosa?» il tono dell'allocco era annoiato. ((Visto che ormai sei qui perché non aspettiamo che torni il sole, e poi vieni a fare un volo con me, così ti mostro un po' di belle cose che di notte non vedresti mai?»

«Uhm,» rifletté il rapace, «si può anche fare, ma di certo non riuscirai a convincermi che il giorno è meglio della notte.»
«Vedremo ... » ribatté la rondine, aprendo il becco in un largo sorriso.
«Già, vedremo ... »
Lentamente il sole stava riprendendosi la scena.
La luna liberò il sole dalla sua morsa e la temperatura riprese a salire.
Orde di umani, muniti di macchine fotografiche, binocoli e occhiali scuri cominciarono a sciamare verso le rispettive occupazioni.
Lo spettacolo era finito.
«Ecco un altro motivo per cui non vivrei mai di giorno,» fece il rapace sbattendo le ali e preparandosi a levarsi in volo
«Cioè?»
«Troppi esseri umani in circolazione!»
«Basta fare come noi: voliamo in alto e li ignoriamo. Dai, smettila di brontolare e vieni con me.»
Di lì a pochi minuti un'insolita coppia, composta da una rondine e un allocco, volteggiava sopra i cieli della campagna.
«Guarda,» disse la rondine rivolgendosi alla sua compagna, «questi li hai mai visti di notte?»
L'allocco strabuzzò gli occhi, «Cosa sono?»
«Si chiamano girasoli, perché il loro fiore segue la direzione del sole. Ti piacciono?»
«Sì, sono bellissimi, ci possiamo abbassare per vederli meglio?»
Dopo aver sorvolato, quasi sfiorandolo, il grande campo di girasoli, i due uccelli ripresero quota.
«E adesso dove mi porti?» {{Un po' di pazienza e vedrai,» si limitò a rispondere la rondine compiendo un'ardita virata che l'altro vece fatica a imitare. {{Quanta acqua, e che bel colore azzurro,» fu il commento del rapace quando sorvolarono un piccolo lago, {<e quei grandi animali bianchi cosa sono?» <{Si chiamano cigni, e sono uccelli come noi, ma è meglio non andar loro troppo vicino perché hanno un brutto carattere. Adesso però devi volare senza far rumore, ti voglio mostrare un'altra cosa.»
I due volatili arrivarono ai bordi di un parco e si posarono sul ramo di un altro tiglio.

«Adesso seguimi,» ora la voce della rondine era un sussurro, «ma cerca di non farti vedere.»
Con dei piccoli voli, passando di ramo in ramo, e rimanendo sempre nelle fronde degli alberi più alti, giunsero ai bordi di una piccola radura. ((Guarda!» la rondine indicò sotto di sé (mon sono buffi?» ((Perché quegli uomini sono così piccoli? E perché gridano?»
La rondine sorrise a tanta ingenuità, ((Non sono uomini piccoli, ma bambini.» <d cuccioli degli uomini vuoi dire?» (<Esatto, e strillano così perché giocano. È il loro modo per esprimere la loro felicità.»
«Sono teneri ... »
«Sì, tanto. Peccato che poi la maggior parte di loro si guasti diventando grande ... »
I due uccelli volarono ancora a lungo.
La rondine mostrò al nuovo amico fiori, animali, piante e mille altre cose che l'altro non aveva mai visto, poi stanchi si posarono sulla cima di un alto pino. Lo sguardo rivolto a ovest.
«E adesso cosa mi fai vedere?» gli occhi del rapace brillavano.
«Aspetta ... » si limitò a rispondere l'altra.
Il sole all'orizzonte si stava abbassando. Il rossore del cielo era così forte che a un tratto l'allocco temette si incendiasse. Alcune piccole nuvole si muovevano come rosei vascelli trasportati da una brezza leggera. <(Non ... non ho mai visto nulla di più bello,» balbettò il rapace.
La rondine fissò lo sguardo del grande uccello, e in quegli immensi occhi neri scorse due lacrime. Era frutto della stanchezza dovuta all'inusuale luce del giorno, o si trattava di commozione? «Penso che sia ora che ritorni al tuo nido.» si limitò a dire.
«Sì, lo credo anch'io.»
«Allocco, posso chiederti una cosa?» <(Dimmi rondine» <(Perché domani notte non mi fai da guida nel tuo mondo, sono convinta che anche tu abbia mille bellezze da mostrarmi.»
L'allocco sorrise, aprendo il suo buffo becco adunco, «Sai che stavo per chiedertelo io? Però dovrai fare molta attenzione, perché con quei piccoli occhietti che hai ... potresti andare a sbattere contro un albero.»

L'ultima neve
di Roberta Plebani
Nel Regno delle Terre Miti vivevano due principesse. Sorelle gemelle, identiche nell'aspetto, non fosse stato per il colore delle loro iridi: verde marino quelle di Ignes e blu pervinca quelli di Ridanna. Le principesse erano però consapevoli del fatto che soltanto chi non le conoscesse molto bene, poteva correre il rischio di scambiare l'una per l'altra, e non solo a causa del colore dei loro occhi.
Infatti, mentre Ignes amava la luce, il caldo e le acque profonde del mare della Terra del Sole, Ridanna amava la neve, il freddo e i cieli grigi della Terra del Ghiaccio.
La principessa dagli occhi verde marino amava andare a cavallo e non perdeva occasione per viaggiare con suo padre, il Re delle Terre Miti. Con lui e i suoi alti funzionari, partecipava ai banchetti che i sudditi di tutto il regno offrivano in loro onore. Si racconta che in breve tempo la ragazza arrivò a superare la Regina madre, in eleganza, grazia e cortesia, e il Re suo padre non poteva far altro che andarne fiero.
La principessa dagli occhi blu pervinca amava leggere e, ai frequenti viaggi della sorella, preferiva, di gran lunga, i campi e le foreste del suo regno, dove spesso vagava in compagnia dei suoi unici amici: folletti burloni, fate dai magici poteri, e svariati animali parlanti da portare con sé nella torre più alta del castello.
Quando, per accontentare i genitori e la sorella che amava tanto, partecipava alle feste di corte, cercava un luogo in disparte dal quale osservare Ignes danzare, sorridere e chiacchierare amabilmente con tutti gli invitati.
E, se da principio, le capitò di provare dell'invidia nei suoi confronti, col tempo, osservandola, sempre da lontano, e scoprendola ogni giorno più bella, si convinse di poter vivere nel suo riflesso.
Questo sino al giorno in cui il Principe Galar del Regno delle Terre del Ghiaccio, non si presentò ufficialmente al castello per chiedere in sposa una delle due sorelle. Il giovane, dagli occhi verdi come solo i primi steli di primavera possono essere, misteriosi come le acque di un lago, leggermente increspate dal vento, e i capelli castani, raccolti in una morbida coda che gli ricadeva sulle larghe spalle, suonava il clavicembalo, gareggiava nei tornei e aveva letto così tanti libri, da incuria-

sire, in ugual misura, entrambe le gemelle. Durante il periodo che si trattenne al castello per decidere di quale delle due avrebbe dovuto chiedere la mano, la riservatezza che lo caratterizzava e che non sempre riusciva a celare, fu allo stesso tempo, un deterrente per lgnes che andò via via considerandolo un poco pedante, e un motivo di sempre maggior interesse per Ridanna che sentiva una profonda comunione con i suoi lunghi silenzi. Ciononostante, mentre lgnes continuò a danzare, passeggiare e a instaurare conversazioni con lui, come si conveniva ad una principessa del suo retaggio. Ridanna seguitava a osservarlo silenziosamente, da lontano, nel riflesso dorato della sorella.
Il giorno in cui il Re mandò a chiamare il Principe, il giovane era ancora indeciso.
Se da un lato egli riconosceva che con le sue qualità, lgnes sarebbe stata sicuramente una buona regina per il suo regno, dall'altro lato, nonostante la sua ritrosia, egli si sentiva più attratto da Ridanna e dai suoi silenzi che egli sapeva appartenergli molto di più della cordialità della sorella. Tuttavia, penosamente convinto di non essere di alcun interesse per la principessa triste, chiese in sposa la principessa allegra.
I giorni al castello trascorrevano nell'allestimento di un matrimonio che doveva superare in magnificenza tutti gli eventi del regno. Lusingata dalla scelLa, eccitata dai preparativi, fiduciosa nel suo futuro di Regina, lgnes modificò, seppur di poco, il proprio parere riguardo al Principe Calar.
Intanto Ridanna, si allontanava sempre di più, non solo dagli altri, ma anche da se stessa.
Non era ancora inverno e anche se capitava di rado, quel giorno nel Regno delle Terre Miti nevicò. Incominciò in sordina, come in un Adagio per archi, e Ridanna, che da giorni non provava più stupore per nulla, si lasciò andare alla contemplazione dei primi fiocchi portati dal vento, sporadici e schivi, cui seguirono gli altri, più fitti e determinati nel loro intento di ammorbidire linee e confondere contorni.
Nell'ombra di una giornata tanto inconsueta, le pupille dilatate a seguire quell'incanto capace di rallentare il tempo, attutire i suoni e cullare la sua anima, Ridanna restò per ore ed ore seduta accanto al focolare, lassù, nella torre più alta del castello. Poi sentì, sotto la pelle, tendersi e guizzare i muscoli, nella smania di violare lo spazio intonso ricoperto dalla neve. Allora scese di corsa le scale a chiocciola della torre e uscì. Solo a notte fonda rientrò. Quel che accadde nel mezzo, sul momento, non lo ricordò.

Il giorno dopo, quando sul Regno delle Terre Miti era tornato a splendere il sole, la ragazza notò sulla coltre bianca, oltre alle sue orme, le tracce di un animale e di una lotta misteriosa che sentiva averla prima fiaccata e poi rinvigorita. Allora si ricordò dei passi felpati dell'animale alle sue spalle, nel momento in cui la sera pareva lottare con tutte le sue forze per non arrendersi al buio. Fu così che, pur avendo riconosciuto nell'animale, un lupo, non ne ebbe paura. Si avvicinarono invece, l'uno all'altra, e comunicarono in un linguaggio che non appartiene agli uomini, se non ai pochi designati dal volere divino, fatto di sole sensazioni. Nel suo caso, un profondo senso d'angoscia e di prostrazione che gradualmente lasciò spazio alla forza della speranza. Prima di andarsene il lupo avvicinò il capo alla sua mano e lei si chinò. Il suo viso sul manto innevato del lupo che sapeva di gelo e di bosco. Il muso dell'animale sul petto di Ridanna, sul sentore esclusivo della sua pelle, intensificato dall'emozione.
Ormai era tutto chiaro. Quando da lontano scorse lgnes e il Principe Calar, Ridanna si rese conto di non poter affatto vivere nel riflesso della sorella perché tra loro esisteva uno scarto, lo stesso che intercorre tra un corpo e la sua anima, tra un'immagine riflessa e una reale.
Allora fece quel che non aveva mai nemmeno sognato di poter fare, avvicinò il Principe Calar e gli disse quanto l'aveva riempita di gioia ascoltarlo o anche soltanto osservalo da lontano. Il giovane la guardò negli occhi e trovò che quelle iridi azzurro pervinca nascondevano al tempo stesso la meraviglia per il mondo e il timore di non esservi adeguata, e poi parole, montagne di parole per esprimere tutto il suo amore per lui.
Da principio il Re non la prese molto bene, ma poi acconsentì alla richiesta del principe di sposare l'altra figlia. In fondo al suo cuore, anch'egli era convinto che il giovane e lgnes condividessero ben pochi interessi.

Per anni ed anni, nelle Terre del Ghiaccio, il Re Calar e la Regina Ridanna regnarono saggiamente, amati dai loro sudditi. Non ebbero figli, ma fecero di tutto per portare felicità agli orfani che al pari loro, mancavano degli affetti più importanti.
Trascorse molto tempo e i capelli della regina, un tempo dorati, diventarono bianchi come la neve che, da sempre, faceva da padrona nel suo regno. Anche i suoi occhi, un tempo blu pervinca, cambiarono colore, virando al grigio e contornandosi di tante rughe, solchi scavati nel-
la pelle da gioie e dolori, speranze e delusioni, odio e amore. Quel che non cambiò fu la sua abitudine di camminare nella neve.
Così una sera, in mezzo al bosco, le accadde di udire nuovamente quei passi felpati alle sue spalle. Al pari della regina, anche il lupo era invecchiato, il suo manto diradato proprio là, dove le ferite avevano segnato più profondamente la pelle. Gli occhi, un tempo severi, illuminati dalla luna, apparvero a Ridanna più umili e acquosi.
Nel momento in cui si avvicinarono, entrambi compresero il significato di quell'incontro, ma non si rattristarono perché sapevano che si sarebbero incontrati di nuovo, magari sotto forma di neve, di pioggia o di vento, di clorofilla, di terra o di roccia.
Ancora insieme e questa volta per sempre, come due stelle binarie.
