LE FOGLIE DI TRASTA
TRIMESTRALE VOCE DELLA COMUNITÀ DI TRASTA - CEIS GENOVA
N.ro 48 - FEBBRAIO 2023
Ragazzi dentro
Scaglie di vite incapaci di comporre un tutto, in un vortice di ottimismo, tentativi, sogni, fallimenti, ineluttabili derive.
Come recita il dispositivo dell’art. 94 del Testo unico sugli stupefacenti, se la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti di persona tossicodipendente che intenda sottoporsi ad un programma di recupero, l’interessato può chiedere di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere l’attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con una azienda sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata.
Oggi, quasi il 20% dei nostri ospiti è in misura alternativa alla detenzione, e di detenzione trattano gli articoli da loro redatti per questo numero. A parlare è spesso la voce di una dura disperazione, che talvolta di quell’educazione carceraria è ancora pregna. Voci autentiche, sincere ambizioni, desideri fatui, su sentieri sconnessi, di dolorose coazioni a ripetere. Non si tratta della proverbiale distanza tra il dire e il fare, quanto più della dura realtà del non potersi appartenere, perché la salita è troppo ripida, apparentemente compromessa in modo irrimediabile. Questa è l’essenza più profonda che gli affidati portano tra le nostre mura, e sul concetto di rimediabilità lavorano i nostri operatori. Anche i reati più crudeli celano l’inquietudine confusiva di vite al limite, per le quali nessuna risposta è stata adeguata. È questa la dimensione che gli educatori della Comunità toccano con mano, divenendo talvolta bersaglio, esponenti del mondo del fuori, che dunque giudicano, pretendono, sospingono verso traguardi socialmente accettabili; sono, costoro, investiti dal conflitto tra impotenza e desiderio in cui l’affidato si trova immerso, che lo porta a sviluppare un atteggiamento ambivalente: da un lato la richiesta di comprensione e sostegno; dall’altro la diffidenza e l’autodifesa, come verso chi fa parte, comunque, della macchina punitiva. Tutto si gioca tra due esseri umani che si incontrano e condividono un pezzo di vita in un momento angoscioso per l’affidato tossicodipendente, perciò non semplificabile attraverso categorie concettuali, che si mostra nell’immagine di una mano che si tende e di un’altra che si avvicina esitante e timorosa, ancorché travestita da pugno di ferro.
“Di respirare la stessa aria dei secondini non ci va E abbiam deciso di imprigionarli durante l’ora di libertà Venite adesso alla prigione state a sentire sulla porta la nostra ultima canzone che vi ripete un’altra volta Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”
Ai miei ragazzi dentro, con l’auspicio che prendano gusto nell’assaporare il mondo di fuori. Buona lettura.
Idealizzazione e realizzazione: i ragazzi della Comunità di Trasta
Direttori: Luca Pellegrini, Marco Ciccone e Federico Vulcanile
Caporedattore: Alessandro Censi Buffarini
Coordinatore: Marco Ciccone
Critico e correttore di bozze: Marco Ciccone, Alessandro Censi Buffarini e Federico Vulcanile
Fotografie: Immagini libere da copyright
EDITORIALE 2
COM’È IL CARCERE ADESSO E COME IO VORREI CHE CAMBIASSE
Vorrei che le carceri cambiassero, vorrei che le carceri non fossero affollate, vorrei che i detenuti vivessero in condizioni decenti. Oggi, come è sempre stato, viviamo dentro piccole celle in 6 o 8 persone. Vorrei che i detenuti avessero delle celle da massimo 4 persone. Vorrei che detenuti che hanno commesso reati gravi siano messi in sezioni a parte. Vorrei che il sistema penitenziario iniziasse a far lavorare i detenuti accusati di reati minori, per far sì che il periodo in carcere porti in loro dei cambiamenti. Poi, secondo me, tanti detenuti cambiano e altri peggiorano in realtà.
V.M.
CONSIDERAZIONE DELLA SITUAZIONE ATTUALE
Io ne parlo basandomi su ciò che ho letto e visto in tv. Ritengo che l’Europa sia molto indietro e non fa nulla per migliorare la situazione, specialmente alla luce di alcuni dati: nei primi tre mesi dell’anno solo in Italia ci sono stati 18 suicidi, 105 persone nello spazio in cui dovrebbero stare in 100, in altre niente acqua oppure nel 42% delle carceri non c’è luce elettrica. Mi fermo qui perché la lista è ancora lunga e non voglio scrivere solo statistiche. Ritengo che un buon esempio arrivi dall’America che ha privatizzato le prigioni. Ritengo che certe persone debbano essere gestiti in modo migliore, non si possono mettere assieme ergastolani, o persone con reati relativamente gravi, con persone che sono alla loro prima esperienza detentiva. Bisognerebbe capire cosa li ha indotti al crimine e cercare di recuperarne il più possibile, mettere un numero di psicologi proporzionato ai carcerati, creare borse lavoro per dargli modo di uscire e avere qualche soldo per provare a ripartire. Scuole di tutti i tipi ma più indirizzati al lavoro, con attestati che garantiscano loro più possibilità di lavoro. Bisognerebbe lavorare molto sui giovani, più malleabili, e per questo sarebbe più facili da indirizzare sulla retta via. Fare in modo che abbiano la possibilità di sfogare le loro energie in esubero, indirizzandoli verso lo sport e non i soliti campetti scaberci di calcio, ma con la possibilità di usufruire posti adeguatamente curati. Insomma, bisognerebbe fargli sentire che fanno sempre parte del tessuto sociale e non abbandonati a loro stessi. Bisognerebbe prendere il problema sul serio investendo sulle strutture, ma soprattutto sulle persone. È troppo semplice condannarli e poi dimenticarli, bisogna dare loro una possibilità che, magari, nella vita non hanno avuto. Chissà, potrebbero darci delle piacevoli sorprese. Bisogna far vedere loro che il mondo non è solo violenza e soldi, ma fargli scoprire che c’è anche tanto altro, qualcosa di più normale ma che non è poi così male. Bisognerebbe scoprire con loro a cosa sono più adatti come tipo di lavoro, cosa li appassiona e cercare di fare uscire il loro meglio. Non dobbiamo dimenticarli, noi non sappiamo cosa li ha portati lì quindi, a prescindere dai reati commessi, ognuno deve avere diritto ad una giusta pena e ad una struttura adeguata.
L.M.P.
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Io quando sono stata in carcere mi sono sentita male perché una persona dopo 5 ore si è suicidata, le persone sono chiuse: quel posto non lo auguro a nessuno! Ci sono persone che sono entrate e uscite in situazioni peggiori, diventati peggiori e delinquenti più di quando stavano in carcere, non si sa perché. In quei giorni piangevo sempre e mi mancava l’aria e la mia famiglia; mi sentivo sbagliata e mi chiedevo perché fossi finita lì, con le porte che si chiudevano una dopo l’altra e dopo il vuoto. L’unica cosa da fare era contare giorno per giorno, ora per ora, ma il tempo non passava mai. Da quando ho sentito le storie degli altri, ho dimenticato la mia, perché la loro era più grave, peggiore e piangevo perché mi sentivo un uccellino dentro una gabbia. A volte, ridevo per non piangere e da quando sono uscita dal carcere non mi sono più fidata per colpa loro. Le cose che ho fatto però non le voglio più fare, mi ha dato troppo fastidio stare in prigione.
B.K.
LA MIA ESPERIENZA
Durante la mia esperienza carceraria, i primi sei mesi circa sono stati complicati a causa di mille dinamiche troppo complesse da spiegare. Poi sono stato chiamato a lavorare come previsto dalla turnistica dell’istituto. Ero avvantaggiato perché, per motivi familiari, ho dovuto lavorare molto presto con l’uomo di mia madre che aveva una piccola azienda edile e, perciò, fin da subito ho avuto una marcia in più. Dopo questa premessa, i sei mesi successivi ero aperto e lavoravo alla M.O.F., manutenzione ordinaria fabbricati, e le guardie, poco abituate a lavorare con professionisti, erano molto rispettose ed io anche nei loro confronti. In 5 anni e mezzo ho preso il metadone solo i primi 40 giorni. All’interno del carcere ho preso contatto con il Sert. ma senza concludere nulla. Tuttavia, nei sei mesi successivi mi sono fatto convincere da persone poco serie, le bisce di galera, a fare entrare droga per le persone come me. In cella usavo solo il sabato per non andare in astinenza, che sarebbe stato da stupidi. Dopo essere stato scoperto, mi hanno aumentato la pena di un anno e 8 mesi e trasferito a Vercelli. I primi mesi ero indiavolato ma poi, tornato a lavorare alla M.O.F., ero aperto ed ero il capitano della squadra del carcere. Venivano squadre da fuori, eravamo forti, e vincemmo per due anni il campionato. Avrei molto da dire: usanze, culture, abitudini… c’è molta ignoranza. D.R.
LA MIA ESPERIENZA RIASSUNTA DEL CARCERE
Quello che mi viene da raccontare della mia esperienza nella Casa Circondariale di Pontedecimo e di una persona che si è tagliata le vene; se avessero chiamato l’ambulanza subito probabilmente sarebbe ancora vivo; invece, prima sono arrivati gli assistenti sociali, poi l’infermiere in un secondo momento e infine il dottore del carcere e in tutto questo tempo nessuno ha fatto niente ed è morto dissanguato, essendo che è arrivata l’ambulanza che era troppo tardi. Poi ho visto un compagno tagliarsi le vene ferocemente, con il braccio tagliato e con il sangue da tutte le parti; un’altra volta ho visto un ragazzo minacciare di tagliarsi il collo e anche lì le guardie non hanno fatto nulla, così io e un altro detenuto cercavamo di togliergli la lametta di mano, mentre gli assistenti guardavano. Comunque ora sono qua al CEIS, ho ancora tanto da scontare, sono una persona diagnosticata con disturbo bipolare e borderline; mi auguro che ora la cassazione decida di farmi restare qua: spero proprio di non dover tornare in carcere, perché anche per la mia patologia mi crea troppo stress e ansia, visto che in carcere sei lasciato solo a te stesso mentre qua sei aiutato da tante persone brave che si interessano di noi. In carcere ci si ammala e si peggiora, altro che reinserimento!! In un anno e mezzo ho visto lo psichiatra una volta, ho visto tanta gente malata curata male e lasciata a sé stessa. Chiudo dicendo che il carcere è un bruttissimo posto da non tornarci mai.
MATRIOSKE
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D.G.
CONSIDERAZIONI SULLA VITA E LE CONDIZIONI CARCERARIE
Partendo dal presupposto che ognuno di noi dovrebbe comunque fare il possibile per non finirci, sono comunque informato avendo conosciuto persone che per svariati motivi hanno passato diversi periodi della loro vita nelle carceri sia italiane che straniere. Bisogna, secondo me, prima di arrivare a parlare delle condizioni in cui si trovano le persone, analizzare la politica della considerazione di un reato. I cosiddetti reati minori dovrebbero avere una forma di detenzione sicuramente più improntata al recupero della persona, all’interno di strutture più adeguate e meno restrittive della vera e propria galera. Molto spesso sono giovani, o giovanissimi, appartenenti a realtà disagiate e non finiscono in carcere per diversi anni determinando in loro un senso di appartenenza che, crescendo, può solo che aumentare. Posso solo scrivere basandomi su quello che mi hanno raccontato, non essendo mai stato in carcere. Per lo meno penso che l’Italia dovrebbe adeguarsi alle norme dell’Unione Europea, invece, di continuare a pagare multe dissipando così fondi che potrebbero essere impiegati per strutture carcerarie e programmi di recupero mirati alla persona e alle famiglie delle persone detenute. Concludo riflettendo sul fatto che non ci sono solo prigioni con “sbarre di ferro” ma soprattutto per chi, come me, ha problemi di dipendenze porta con sé una libertà molto limitata.
ASPETTARE TUTTI INSIEME UN’ALTRA VITA MIGLIORE
Buongiorno a tutti, sono Mass*** e mi trovo adesso in una comunità, in questo caso da libero, ma ne ho passati di giorni in carcere, che comunque servirebbe a persone che non ci sono mai state, ma non nel mio caso! Dovrei parlarne e ne direi di tutti i colori, come la prima volta che mi si sono aperte le porte del carcere: avevo solo 19 anni e, ahimè per spaccio sono stato sbattuto in una cella piccolissima 3,5 x 3,5 con altre 8 persone e già da lì ho capito che non sarebbe stato facile, per il poco spazio che dovevamo condividere e soprattutto convivere. Non è facile andare d’accordo con gli altri della cella, ma posso dire che per alcuni come me era la prima volta e di conseguenza i nostri discorsi erano molti similari, ma il problema comunque c’era, come andare d’accordo, sopportarci a vicenda e vivere nella speranza che arrivi presto quella volta a settimana, che vengano i genitori, magari con del cibo o dei soldini, e un poco d’amore.
G.M.
IN OGNI CASO NESSUN RIMORSO
Tuttavia, noi crediamo che, abbattute le siepi e alzati mucchi di pietre attorno alle nostre terre, si sia posto il limite della nostra vita e deciso il nostro destino.
Mi chiamo E***, sono un Uomo, e sono anche un detenuto in affidamento e un tossicodipendente che si trova in una comunità terapeutica per liberarsi da quella che si può a tutti gli effetti definire una doppia prigionia. Questa è la mia condizione, oggi, quella di un essere umano a cui è stata sottratta la libertà e che si è privato della possibilità di vivere da uomo libero scegliendo le sbarre e i muri di cinta, costruendosi tutt’intorno a sé un fortino che lo ha difeso sì dalla crudeltà del mondo ma anche che non gli ha permesso di uscire a rimirar le stelle.
Possiamo parlare di gabbie fisiche e di gabbie interiori ma credo che in fondo non ci sia differenza. Il carcere ti costringe lontano dagli affetti, dalla possibilità di scegliere secondo i tuoi reali bisogni, di inseguire i tuoi sogni. Ti impedisce di progettare un futuro, ti annichilisce rendendoti straniero delle tue stesse emozioni. Ti aliena rispetto al tempo stesso che passa inesorabile. Ti congela il giorno dell’arresto per scongelarti il giorno del tuo rilascio. La tossicodipendenza fa esattamente la stessa cosa! Un tossico in carcere… non può esserci realtà più lontana da un Uomo.
L.M.
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Vivere in questa duplice gabbia per assurdo è una condizione quasi accettabile, l’oblio dato dalle droghe e dai farmaci ad uso contenitivo rende sopportabile l’invisibilità del reietto, del fallito, del disumanizzato “nemico pubblico”. Le soluzioni per cambiare lo stato delle cose passano attraverso revisioni e migliorie burocratiche, economiche, di servizio su cui non indugerò oltre poiché non ho i requisiti per farlo. So, però, che questi interventi devono essere inseriti, posati su basi salde, certe, e queste basi sono di natura sociale e culturale. È necessario dotare i giovanissimi di oggi, adulti di domani, di strumenti atti a conoscersi, a scoprire la bellezza e la potenza delle proprie emozioni e quanto queste possano essere anche potenzialmente pericolose se non riconosciute, accettate ed equilibrate. Nello stesso modo, educarli all’importanza del lavoro e della legalità. Formando le loro menti attraverso valori d’umanità, forti e saldi. Solo così si può evadere dalle tantissime gabbie che ci impediscono di essere liberi nella ricerca di noi stessi. Rispetto al carcere, quindi la detenzione coatta, punitiva e contenitiva ma non rieducativa, è l’espressione della società di oggi. Cambiando la società, il sentire comune, cambierà inevitabilmente il concetto di espiazione della pena e, con esso, gli strumenti da mettere in campo. L’esperienza comunitaria mi insegna che questo terreno fertile c’è già ed è nella visione aperta, nuova, delle persone che la comunità la vivono lavorandoci tutti i giorni, ma anche questo da solo non può bastare. La società civile, noi, dobbiamo fare fronte comune, unirci in questa visione del mondo che mette l’essere umano al “centro dell’universo”. In fondo, la parola “comunità” sottende il significato di -in comune-, -tutti insieme-, in un mutuo aiuto, in un’unione di intenti verso un obiettivo comune, e quest’obiettivo non può che essere la dignità dell’essere Umano, in tutte le sue forme.
L’Anima è la prigione del corpo.
EDUCATORI O PESSIMI ATTORI?
Io inizierei a mettere in luce l’illegalità che vi è nelle case circondariali create dal sistema, come delle agenti possono comportarsi da delinquenti e pretendere che le detenute non lo siano. L’aria educativa oppure le educatrici sono pessime attrici: chi entra per aiutare illude e non sa amare e, cosa più importante, creano abitudini dal quale il detenuto si arrende senza alternative, non essendoci collegamenti con l’esterno. Un detenuto non ha opzione oltre ad essere uno “spesino” o una “scopina”, non è una persona: basta sentire come ci rappresentano tramite i lavoretti che facciamo!! È tutto un modo per sminuire annullare ci sono troppi ostacoli che non permettono di fare un percorso, nemmeno una volta in libertà, non essendoci ditte o aziende coinvolte per poter dare possibilità di rendersi autonomi. Secondo me, bisogna uscire dalla concezione della punizione, perché diventa un circolo vizioso. Bisogna rendere l’uomo libero di accettare i propri errori e in carcere ciò non può avvenire!
E.D.I
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H.L.
PENSIERI DI UN MAI CARCERATO
Per me le carceri dovrebbero essere meno sovraffollate e i detenuti trattati in modo migliore, dando veri aiuti per ricostruirsi una vita, con formazione al lavoro. Per i tossicodipendenti la situazione si complica a causa del fatto che le droghe entrano con molta facilità all’interno del carcere e, in tal modo, una persona rischia di uscire di galera ed essere peggio di quando era entrato. Inoltre, per il costo elevato dei beni alimentari non tutti possono permettersi una spesa, quindi dei pasti decenti, rendendo la permanenza ancora peggio di quello che già è. Io non sono mai stato in carcere ma i racconti di amici e conoscenti mi hanno fatto capire quanto sia difficile e tutti sperano di non tornarci mai più.
VITA IN CARCERE
Da quello che mi hanno raccontato, la vita in carcere non è tanto semplice. In una cella ci possono stare anche 10 persone e la convivenza non è così facile. Si possono mangiare i pasti del carcere o si può avere un fornelletto in cella. Inoltre, in carcere la droga gira molto. Mio nipote, per esempio, aveva un compagno che inalava il gas del fornelletto e, una volta scoperto, hanno sequestrato a tutta la cella la bomboletta così che sono stati costretti a mangiare il pasto della casanza. All’interno delle carceri gira un codice di omertà e l’infame non viene accettato, così come le persone che hanno commesso reati sessuali, e per questo vengono tenuti in sezioni separate. Inoltre, all’interno del carcere c’è il grosso problema della droga. Infatti, le droghe in carcere girano perché viene inserita tramite qualche colloquio e per evitare tutto questo sarebbe meglio avere più controllo sui detenuti mentre, purtroppo, ci sono anche i secondini immischiati su questi affari. Succede, spesso, che quindi entri pulito ed esci tossico. Dentro ci si droga perché si vuole un po’ uscire fuori dal sistema. Parlando con amici e ascoltando le loro storie, io cambierei tante cose: starei più vicino ai ragazzi che hanno figli e famiglia. Anche se si sbaglia siamo sempre essere umani. Ci sono ragazzi che hanno moglie e figli e vengono lasciati dalla compagna perché non riesce più a reggere lo stato di vita in cui si trova. La diversità che c’è tra una persona “normale” ed un tossicodipendente è che il tossico la prigione la ha già in testa. Siccome ci sono troppe persone chiuse dentro una cella, io darei più spazio ad ogni persona in modo che si possa vivere con serenità la convivenza. Le regole ci sono e bisogna conviverci… facciamo i bravi che fare sta vita non è bello. C.B.
D.C.
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L’UGUAGLIANZA
Io non sono mai stato in carcere, la conosco attraverso i film e quello che mi ha raccontato mio padre, che si è fatto anche quello degli altri suoi “amici di compagnia”. Per paradosso posso dire che io mi sto facendo una comunità per disintossicarmi, ma sono passati 36 anni tra strutture, collegi e comunità di vario tipo. Dunque, posso solo dire che ci sono delle similitudini tra quelli che sono stati in carcere e quello che ho vissuto io nelle strutture, sono quasi alla pari; per quel che mi riguarda, c’era molto solitudine, oppressione, gerarchie da rispettare. Forse quello che sono ora è dato dall’esperienza che mi ha reso una persona educata, rispettosa, sincera e umile verso il prossimo. L’importante era rispettare le regole che m’importavano per vivere quieto e tranquillo nella vita odierna e nel sistema giuridico, dove si dice “la legge è uguale per tutti” ma è una legenda metropolitana. Questo sarebbe il sistema che vigila ora nelle carceri e nelle strutture che non loro modo ci aiutano a reintegrarsi nella società?
QUELLO CHE PENSO
Bisognerebbe creare nuovi carceri e aumento del personale del carcere ed un nuovo e rivoluzionario regolamento del carcere: questo è quello che penso. Serve più umanità e cura per i detenuti che sono esseri umani alla fine dei conti e hanno bisogno di molta cura medica e psichiatrica: questo è quello che penso. H.M.
LE CARCERI E I LORO ABITANTI
Io mi chiamo Alessandro e grazio a dio ho fatto solo due carcerazioni, di cui una di tre mesi per maltrattamenti in famiglia e una di circa un mese per lesioni. Ricordo molto bene però quando andavo a trovare mio fratello Giuseppe mi racconta e mi scriveva cose assurde, parlava di quanto fosse facile procurarsi eroina, cocaina ecc. Oggi mio fratello non c’è più, il cancro chiamato AIDS lo ha portato per sempre via da me. Detto ciò, sono convinto che un’amnistia potrebbe risolvere un po’ di problemi: le carceri sono troppo colme e prima o poi una rivolta farà smuovere le situazioni, spero.
ESSERE UN CARCERATO NON È UNA SCELTA
Ho fatto molti errori nella mia vita, ho vissuto sopra ogni limite, il carcere era un posto che neanche mi si avvicinava. Poi un giorno, anzi, una notte ho esagerato e ci sono andata troppo vicino, c’ero dentro. Non ero sola, c’era una donna in cella insieme a me, è stata cordiale. Io non avevo niente con me… o meglio, non avevo quello che mi poteva servire per “stare bene” in carcere. Avevo paura, mi chiamavano “La Bimba”, avevo il visino d’angioletto…ci sono stati dei momenti in cui quella cella era troppo piccola e mi sembrava di essere in una giungla, ho cercato di tenermi lontana dai guai. A volte il carcere può aiutarti a stare chiusa, a volte hai bisogno di sbarre per fermarti. A volte non ci si entra più per il primo sbaglio ma, piuttosto, per abitudine, ci ritrovi una casa, ormai è il tuo mondo. A volte ti manca perché non c’è altro posto dove potresti andare, non hai nessuno fuori che ti aspetta. Mi feci leggere le carte che dissero che la mia galera sarebbe stata fuori, non dentro al carcere. Infatti, una volta fuori dal carcere, non riuscivo ad uscire di casa, avevo attacchi di panico, avevo paura delle sirene. Non ho parlato con mia sorella per tre anni, ho perso occasioni lavorative, gli amici… loro mi guardavano sorpresi, non mi hanno più chiamato ed io feci la stessa cosa con loro, il lavoro e la mia famiglia. Avevo 23 anni, ero marchiata, diversa, ma non perché fossi “più alta del solito” ma perché ero stata in galera. Come dissi all’inizio ho vissuto sopra ogni limite perché non avevo paura di fare quella vita, ma c’è un detto che mi disse la mia compagna di cella: “Quando esci da quel cancello non voltarti indietro perché se ti giri a guardare il carcere ci rientri”. Io andai dritta, non mi voltai indietro, sentii che avevo paura. Sì, penso di non essermi mai girata perché ho conosciuto la paura… S.S
M.A.
T.A.
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RACCONTO DI UNA STORIA COMUNITARIA DI UN FRATELLO DI COMUNITÀ
Il 27/05/2021, all’arrivo alla casa circondariale di marassi, ho provato timore siccome la pena iniziale era di 5 anni e 8 mesi. Ho capito di aver perso la mia libertà nel momento in cui, entrando, sono stato denudato dei miei vestiti per essere sicuri che non avessi nulla addosso, come sostanze o oggetti atti a offendere. Nei primi giorni ho capito che la situazione era drammatica a causa del sovraffollamento delle celle: nella mia eravamo in sei dentro uno spazio di tre metri per due, una cosa inconcepibile per un essere umano. Questo credo sia uno degli aspetti più critici delle carceri italiane. Il mangiare, poi, è un altro punto critico: quello che passano loro è inaccettabile, cibo scaduto, quantità irrisorie. Per quanto mi riguarda fortunatamente ho potuto comprarmi il mangiare dalle liste, ma chi non ha questa possibilità fa la fame, sopravvivi. La mancanza di personale adibito ad un aiuto psicologico è sconcertante. Si poteva parlare con un prete per 10 minuti, solo di domenica quando c’era la messa. Uno dei pochi aiuti là dentro era l’associazione “Sant’Egidio” che, attraverso la scrittura di domandine, ti facevano contattare da avvocato e parenti. Un altro argomento spesso nascosto dalle autorità competenti è l’entrata e il consumo di sostanze introdotte da familiari e, addirittura, dal personale. Tutto questo genera un introito di denaro e un’omertà da parte pure del personale carcerario che sa benissimo le situazioni e l’uso delle droghe dentro queste strutture ma, per loro, è più conveniente avere detenuti lobotomizzati da droghe e terapie.
Vi ho parlato di questo perché ci sono tantissimi punti che bisognerebbe migliorare nelle realtà italiane; queste condizioni non sono più accettabili per un essere umano. Io vorrei, e mi auguro, che le cose cambino. Nell’ultimo anno passato lì ho visto una piccola luce di miglioramento: sono, infatti, stato introdotto nel mondo del lavoro, prima con mansioni interne al carcere del tipo spesino, porta vitto e M.O.F, che mi permettevano di avere un guadagno mensile, che fuori sarebbe stato irrisorio, ma all’interno di questa realtà, invece, era più che abbastanza. Ho potuto sperimentare anche corsi da muratore e di idraulica, sempre pagati. Questi sono solo piccoli miglioramenti che ho vissuto sulla mia pelle. Quello che penso che in Italia sarebbe necessario è, innanzitutto, la presenza di più personale nelle strutture e, soprattutto, più qualificato. Dovrebbero esserci più leggi e agevolazioni per persone come noi, tossicodipendenti. Dovremmo essere aiutati, non buttati in questi buchi senza un senso, solo per scontare e non riabilitare. Tornando alla mia storia, dopo un anno e rotti mesi, ho avuto il privilegio di uscire da quell’inferno e avere l’affidamento presso la Comunità Terapeutica di Trasta. Il solo uscire, vedere il cielo, le stelle la sera, le foglie cadere dagli alberi, il vento accarezzarmi la pelle è stato incredibilmente stupendo. Qua sicuramente ho un aiuto psicologico, fisico e rieducativo come dovrei avere, e ne sono felicissimo. Qui finalmente dovrei riacquistare la mia libertà, molto più consapevole di quello che posso fare di bello e pulito nella mia vita.
M.T. e A.G.
NESSUNA PIETÀ
Mamma perdono? No, non chiedo perdono! I prigionieri politici non chiedono né riforme né sconti pena. Ritengo che a questo mondo nessuno debba aver fame e non aver da mangiare, di conseguenza “qualunque” cosa io faccia per sopravvivere è giustificabile o, perlomeno, sentenziabile come un reato politico. Pertanto, non chiedo pietà ma giustizia. Lasciate ogni speranza o voi che entrate.
M.P.
PERSONE IN CARCERE
Io, per quel poco che ho passato in carcere, posso dire che pensavo molto peggio, essendo la prima volta che ci andavo, ma perché non avevo paura? Perché sono un tossicodipendente e, quindi, tutto quello che facevo, tutti i reati, li fai senza pensare alle conseguenze. Quindi quando mi hanno arrestato sono entrato prevenuto, già pensando al peggio, pensando a cosa mi sarebbe capitato.
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Per la mia poca esperienza devo dire che sono stato molto fortunato a fare solo pochi mesi. Pochi mesi mi sono bastati per demoralizzarmi, per destabilizzarmi psicologicamente poiché, essendo entrato, per la prima volta in galera secondo me ci sarebbe voluto maggiore aiuto morale e psicologico, qualcuno con cui parlare di come stai, di come ti senti, come te la stai vivendo, qualcuno con cui sfogarti veramente. Secondo me ci vorrebbe uno psicologo e, cosa più importante, un mediatore per lingue straniere ed io questo non l’ho visto. Ci sono tanti problemi che nascono proprio per questo motivo qui, perché quando arrivi ti mettono nella prima cella disponibile con altre persone che non conosci, ognuna da un paese diverso e tanti che non parlano manco italiano tant’è che gli assistenti e i brigadieri sono i primi ad avere difficoltà e problemi a capire queste persone.
J.J.
FINALMENTE LIBERO
Sono un ex detenuto di 31 anni. Ho fatto in passato molti errori, entrando in carcere a 24 anni. Mi hanno fatto pagare giustamente in galera una condanna di 5 anni e 7 mesi di cui mi è rimasto un solo ricordo bello e forte che ancora adesso sento a distanza di quasi un anno. Posso sentire ancora l’emozione che si prova quando vedi davanti a te aprirsi quel cancello che per lunghi anni mi ha tenuto lontano dalla mia libertà e dalla mia famiglia. Quando ti ritrovi carcerato la vita ti si ferma davanti, le giornate sembrano non passare mai, ti ritrovi quasi sempre sdraiato su un lettino scomodo a fissare il soffitto o fissare i tuoi compagni, uno più sofferente dell’altro, che cercano di passare il tempo giocando a carte o facendo disegni, scrivendo lettere o altre cose per ingannare il tempo, pensando solo che, se avessero saputo prima che stare lì dentro faceva così male, certi errori non li avrebbero commessi. La vita lì dentro è difficile, devi imparare a convivere con persone che non conosci e devi accettare che nella tua stessa cella ci siano persone che condividono con te tutto. Le giornate sono suddivise in tante parti dove, in certe ore, puoi andare all’aria e finalmente riesci a vedere a malapena una sfera di sole e guardandolo pensi a quanto sia bella la libertà. Poi c’è la saletta dove ti raduni a giocare a carte, calcetto, pingpong o semplicemente a scambiare due parole con gli altri. Allo stesso tempo, però, questa saletta può essere pericolosa: è lì che succedono risse, prepotenze e molte volte anche accoltellamenti. Insomma, in saletta ci si va più che altro per fare scambi di stupefacenti, quando ti devi picchiare o quando devi parlare con i capi sezione se c’è qualche problema da risolvere, perché in carcere le sezioni sono sempre comandate da qualcuno. Il più delle volte si tratta di persone anziane con ergastoli, gente che si è fatta anni ed anni di galera e che, per le regole che ci sono lì dentro, sono funzionali e quello che dicono loro è legge, sono sempre nel giusto e vanno sempre rispettate, nonostante abbiano ucciso un altro essere umano. Ma poi, come ogni giorno, arriva la sera e, con questa, arriva anche la tristezza perché ti ritrovi solo che insieme ai tuoi compagni di cella, prepari la cena, si fanno tutti insieme la pulizia della cella, e non ti resta che scegliere un film insieme a loro. Quasi mai si è d’accordo sul film da guardare, ma poi lo guardi anche se non ti piace, finché non arriva la terapia, finisce il film, si spegne tutto e ti ritrovi solo nel buio a pensare a tua mamma, tuo figlio e, chi ce l’ha, alla moglie, e pensi al dolore che gli hai causato e alla delusione che gli hai dato e ti si stringe lo stomaco, senti il desiderio di averli a fianco e ti perdi in questi pensieri addormentandoti. La vera forza, per chi ha la fortuna come ho avuto io, è sapere che una volta alla settimana puoi vedere la tua famiglia, e ti fai forza aspettando quel giorno, contando le ore e i minuti… poi finalmente quel giorno arriva, la mattina ti svegli presto, ti prepari, ti fai i capelli e la barba e cerchi i vestiti più belli. Aspetti di sentire il tuo nome per il colloquio, metti il profumo e parti con il sorriso per non farti vedere triste dalla tua famiglia. Cerchi di non farti vedere sofferente dicendo sempre che va tutto bene e facendoli credere che non è così male stare lì chiuso. In quel momento ti scordi che sei lì dentro. Ma quell’ora passa troppo veloce e quando senti quelle maledette chiavi, vieni riportato alla realtà e diventi più triste del solito, sapendo che è arrivato il momento di salutare chi ami, ma con la speranza che tra sette giorni ritornino e che questi giorni passino in fretta.
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Poi corri su ad aprire i pacchi con lenzuola, vestiti e, per lo più, da magiare, facendo felici anche i compagni che per pochi giorni sanno che mangeranno bene, cose fresche e di casa e tu sei felice e triste allo stesso tempo perché per un’ora hai sentito amore e respirato aria di casa e di libertà. Posso aggiungere che, basandomi su ciò che ho vissuto io, lì dentro ci vorrebbero più attività a cui i detenuti sono obbligati a partecipare, dando loro l’opportunità di imparare a fare cose diverse da quello che hanno fatto in passato, facendoli imparare un mestiere che li potrebbe aiutare ad un eventuale reinserimento nella società. Riguardo al sovraffollamento si dovrebbero costruire più padiglioni nelle strutture e, di conseguenza, offrire l’opportunità, ai detenuti che si comportano bene e frequentano con continuità ed impegno le attività, di ricevere una liberazione anticipata. Dovrebbero esserci, poi, dei premi annuali che riducano la condanna, per far sì di diminuire il sovraffollamento. Anche se è difficile, ritengo possa essere un modo per ridurre la percentuale di condannati in esubero e, allo stesso tempo, i detenuti avrebbero un motivo in più per comportarsi bene e passare le giornate con la mente più impegnata. Sarebbe anche un modo per evitare tante risse e tante violenze determinate dalla noia che spesso porta le persone anche a spegnersi con le sostanze. Inoltre, ho notato che, stando chiusi per tanti anni, chi ha mogli o compagne finiscono il più delle volte a separarsi anche perché vengono a mancare momenti di intimità. È veramente difficile gestire quella situazione in cui pensi sempre se la tua compagna riuscirà, o meno, ad aspettarti tutti quegli anni rimanendo fedele. Per questo credo sia necessario avere, almeno due volte al mese, la possibilità di fare colloqui privati, che servirebbero sia alla donna che all’uomo per evitare che possa temere cose che, magari, non esistono neanche. Questa breve storia di un carcerato vorrei che arrivasse a tutte quelle famiglie che si ritrovano in quelle condizioni e vorrei dire loro di non mollare mai e di essere forti, di lottare ogni giorno. A tutte le mamme e mogli voglio dire che senza di voi là dento la vita sarebbe finita. Auguro una presta libertà a tutti i detenuti che, come me, hanno sofferto e a tutte quelle donne che non hanno esitato ad aspettare il proprio compagno o figlio.
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R.J.G.
LE FOGLIE DI TRASTA