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RACCONTO DI UNA STORIA COMUNITARIA DI UN FRATELLO DI COMUNITÀ
Il 27/05/2021, all’arrivo alla casa circondariale di marassi, ho provato timore siccome la pena iniziale era di 5 anni e 8 mesi. Ho capito di aver perso la mia libertà nel momento in cui, entrando, sono stato denudato dei miei vestiti per essere sicuri che non avessi nulla addosso, come sostanze o oggetti atti a offendere. Nei primi giorni ho capito che la situazione era drammatica a causa del sovraffollamento delle celle: nella mia eravamo in sei dentro uno spazio di tre metri per due, una cosa inconcepibile per un essere umano. Questo credo sia uno degli aspetti più critici delle carceri italiane. Il mangiare, poi, è un altro punto critico: quello che passano loro è inaccettabile, cibo scaduto, quantità irrisorie. Per quanto mi riguarda fortunatamente ho potuto comprarmi il mangiare dalle liste, ma chi non ha questa possibilità fa la fame, sopravvivi. La mancanza di personale adibito ad un aiuto psicologico è sconcertante. Si poteva parlare con un prete per 10 minuti, solo di domenica quando c’era la messa. Uno dei pochi aiuti là dentro era l’associazione “Sant’Egidio” che, attraverso la scrittura di domandine, ti facevano contattare da avvocato e parenti. Un altro argomento spesso nascosto dalle autorità competenti è l’entrata e il consumo di sostanze introdotte da familiari e, addirittura, dal personale. Tutto questo genera un introito di denaro e un’omertà da parte pure del personale carcerario che sa benissimo le situazioni e l’uso delle droghe dentro queste strutture ma, per loro, è più conveniente avere detenuti lobotomizzati da droghe e terapie.
Vi ho parlato di questo perché ci sono tantissimi punti che bisognerebbe migliorare nelle realtà italiane; queste condizioni non sono più accettabili per un essere umano. Io vorrei, e mi auguro, che le cose cambino. Nell’ultimo anno passato lì ho visto una piccola luce di miglioramento: sono, infatti, stato introdotto nel mondo del lavoro, prima con mansioni interne al carcere del tipo spesino, porta vitto e M.O.F, che mi permettevano di avere un guadagno mensile, che fuori sarebbe stato irrisorio, ma all’interno di questa realtà, invece, era più che abbastanza. Ho potuto sperimentare anche corsi da muratore e di idraulica, sempre pagati. Questi sono solo piccoli miglioramenti che ho vissuto sulla mia pelle. Quello che penso che in Italia sarebbe necessario è, innanzitutto, la presenza di più personale nelle strutture e, soprattutto, più qualificato. Dovrebbero esserci più leggi e agevolazioni per persone come noi, tossicodipendenti. Dovremmo essere aiutati, non buttati in questi buchi senza un senso, solo per scontare e non riabilitare. Tornando alla mia storia, dopo un anno e rotti mesi, ho avuto il privilegio di uscire da quell’inferno e avere l’affidamento presso la Comunità Terapeutica di Trasta. Il solo uscire, vedere il cielo, le stelle la sera, le foglie cadere dagli alberi, il vento accarezzarmi la pelle è stato incredibilmente stupendo. Qua sicuramente ho un aiuto psicologico, fisico e rieducativo come dovrei avere, e ne sono felicissimo. Qui finalmente dovrei riacquistare la mia libertà, molto più consapevole di quello che posso fare di bello e pulito nella mia vita.
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M.T. e A.G.
Nessuna Piet
Mamma perdono? No, non chiedo perdono! I prigionieri politici non chiedono né riforme né sconti pena. Ritengo che a questo mondo nessuno debba aver fame e non aver da mangiare, di conseguenza “qualunque” cosa io faccia per sopravvivere è giustificabile o, perlomeno, sentenziabile come un reato politico. Pertanto, non chiedo pietà ma giustizia. Lasciate ogni speranza o voi che entrate.
M.P.
Persone In Carcere
Io, per quel poco che ho passato in carcere, posso dire che pensavo molto peggio, essendo la prima volta che ci andavo, ma perché non avevo paura? Perché sono un tossicodipendente e, quindi, tutto quello che facevo, tutti i reati, li fai senza pensare alle conseguenze. Quindi quando mi hanno arrestato sono entrato prevenuto, già pensando al peggio, pensando a cosa mi sarebbe capitato.
Per la mia poca esperienza devo dire che sono stato molto fortunato a fare solo pochi mesi. Pochi mesi mi sono bastati per demoralizzarmi, per destabilizzarmi psicologicamente poiché, essendo entrato, per la prima volta in galera secondo me ci sarebbe voluto maggiore aiuto morale e psicologico, qualcuno con cui parlare di come stai, di come ti senti, come te la stai vivendo, qualcuno con cui sfogarti veramente. Secondo me ci vorrebbe uno psicologo e, cosa più importante, un mediatore per lingue straniere ed io questo non l’ho visto. Ci sono tanti problemi che nascono proprio per questo motivo qui, perché quando arrivi ti mettono nella prima cella disponibile con altre persone che non conosci, ognuna da un paese diverso e tanti che non parlano manco italiano tant’è che gli assistenti e i brigadieri sono i primi ad avere difficoltà e problemi a capire queste persone.
J.J.
Finalmente Libero
Sono un ex detenuto di 31 anni. Ho fatto in passato molti errori, entrando in carcere a 24 anni. Mi hanno fatto pagare giustamente in galera una condanna di 5 anni e 7 mesi di cui mi è rimasto un solo ricordo bello e forte che ancora adesso sento a distanza di quasi un anno. Posso sentire ancora l’emozione che si prova quando vedi davanti a te aprirsi quel cancello che per lunghi anni mi ha tenuto lontano dalla mia libertà e dalla mia famiglia. Quando ti ritrovi carcerato la vita ti si ferma davanti, le giornate sembrano non passare mai, ti ritrovi quasi sempre sdraiato su un lettino scomodo a fissare il soffitto o fissare i tuoi compagni, uno più sofferente dell’altro, che cercano di passare il tempo giocando a carte o facendo disegni, scrivendo lettere o altre cose per ingannare il tempo, pensando solo che, se avessero saputo prima che stare lì dentro faceva così male, certi errori non li avrebbero commessi. La vita lì dentro è difficile, devi imparare a convivere con persone che non conosci e devi accettare che nella tua stessa cella ci siano persone che condividono con te tutto. Le giornate sono suddivise in tante parti dove, in certe ore, puoi andare all’aria e finalmente riesci a vedere a malapena una sfera di sole e guardandolo pensi a quanto sia bella la libertà. Poi c’è la saletta dove ti raduni a giocare a carte, calcetto, pingpong o semplicemente a scambiare due parole con gli altri. Allo stesso tempo, però, questa saletta può essere pericolosa: è lì che succedono risse, prepotenze e molte volte anche accoltellamenti. Insomma, in saletta ci si va più che altro per fare scambi di stupefacenti, quando ti devi picchiare o quando devi parlare con i capi sezione se c’è qualche problema da risolvere, perché in carcere le sezioni sono sempre comandate da qualcuno. Il più delle volte si tratta di persone anziane con ergastoli, gente che si è fatta anni ed anni di galera e che, per le regole che ci sono lì dentro, sono funzionali e quello che dicono loro è legge, sono sempre nel giusto e vanno sempre rispettate, nonostante abbiano ucciso un altro essere umano. Ma poi, come ogni giorno, arriva la sera e, con questa, arriva anche la tristezza perché ti ritrovi solo che insieme ai tuoi compagni di cella, prepari la cena, si fanno tutti insieme la pulizia della cella, e non ti resta che scegliere un film insieme a loro. Quasi mai si è d’accordo sul film da guardare, ma poi lo guardi anche se non ti piace, finché non arriva la terapia, finisce il film, si spegne tutto e ti ritrovi solo nel buio a pensare a tua mamma, tuo figlio e, chi ce l’ha, alla moglie, e pensi al dolore che gli hai causato e alla delusione che gli hai dato e ti si stringe lo stomaco, senti il desiderio di averli a fianco e ti perdi in questi pensieri addormentandoti. La vera forza, per chi ha la fortuna come ho avuto io, è sapere che una volta alla settimana puoi vedere la tua famiglia, e ti fai forza aspettando quel giorno, contando le ore e i minuti… poi finalmente quel giorno arriva, la mattina ti svegli presto, ti prepari, ti fai i capelli e la barba e cerchi i vestiti più belli. Aspetti di sentire il tuo nome per il colloquio, metti il profumo e parti con il sorriso per non farti vedere triste dalla tua famiglia. Cerchi di non farti vedere sofferente dicendo sempre che va tutto bene e facendoli credere che non è così male stare lì chiuso. In quel momento ti scordi che sei lì dentro. Ma quell’ora passa troppo veloce e quando senti quelle maledette chiavi, vieni riportato alla realtà e diventi più triste del solito, sapendo che è arrivato il momento di salutare chi ami, ma con la speranza che tra sette giorni ritornino e che questi giorni passino in fretta.
Poi corri su ad aprire i pacchi con lenzuola, vestiti e, per lo più, da magiare, facendo felici anche i compagni che per pochi giorni sanno che mangeranno bene, cose fresche e di casa e tu sei felice e triste allo stesso tempo perché per un’ora hai sentito amore e respirato aria di casa e di libertà. Posso aggiungere che, basandomi su ciò che ho vissuto io, lì dentro ci vorrebbero più attività a cui i detenuti sono obbligati a partecipare, dando loro l’opportunità di imparare a fare cose diverse da quello che hanno fatto in passato, facendoli imparare un mestiere che li potrebbe aiutare ad un eventuale reinserimento nella società. Riguardo al sovraffollamento si dovrebbero costruire più padiglioni nelle strutture e, di conseguenza, offrire l’opportunità, ai detenuti che si comportano bene e frequentano con continuità ed impegno le attività, di ricevere una liberazione anticipata. Dovrebbero esserci, poi, dei premi annuali che riducano la condanna, per far sì di diminuire il sovraffollamento. Anche se è difficile, ritengo possa essere un modo per ridurre la percentuale di condannati in esubero e, allo stesso tempo, i detenuti avrebbero un motivo in più per comportarsi bene e passare le giornate con la mente più impegnata. Sarebbe anche un modo per evitare tante risse e tante violenze determinate dalla noia che spesso porta le persone anche a spegnersi con le sostanze. Inoltre, ho notato che, stando chiusi per tanti anni, chi ha mogli o compagne finiscono il più delle volte a separarsi anche perché vengono a mancare momenti di intimità. È veramente difficile gestire quella situazione in cui pensi sempre se la tua compagna riuscirà, o meno, ad aspettarti tutti quegli anni rimanendo fedele. Per questo credo sia necessario avere, almeno due volte al mese, la possibilità di fare colloqui privati, che servirebbero sia alla donna che all’uomo per evitare che possa temere cose che, magari, non esistono neanche. Questa breve storia di un carcerato vorrei che arrivasse a tutte quelle famiglie che si ritrovano in quelle condizioni e vorrei dire loro di non mollare mai e di essere forti, di lottare ogni giorno. A tutte le mamme e mogli voglio dire che senza di voi là dento la vita sarebbe finita. Auguro una presta libertà a tutti i detenuti che, come me, hanno sofferto e a tutte quelle donne che non hanno esitato ad aspettare il proprio compagno o figlio.