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CONSIDERAZIONI SULLA VITA E LE CONDIZIONI CARCERARIE

Partendo dal presupposto che ognuno di noi dovrebbe comunque fare il possibile per non finirci, sono comunque informato avendo conosciuto persone che per svariati motivi hanno passato diversi periodi della loro vita nelle carceri sia italiane che straniere. Bisogna, secondo me, prima di arrivare a parlare delle condizioni in cui si trovano le persone, analizzare la politica della considerazione di un reato. I cosiddetti reati minori dovrebbero avere una forma di detenzione sicuramente più improntata al recupero della persona, all’interno di strutture più adeguate e meno restrittive della vera e propria galera. Molto spesso sono giovani, o giovanissimi, appartenenti a realtà disagiate e non finiscono in carcere per diversi anni determinando in loro un senso di appartenenza che, crescendo, può solo che aumentare. Posso solo scrivere basandomi su quello che mi hanno raccontato, non essendo mai stato in carcere. Per lo meno penso che l’Italia dovrebbe adeguarsi alle norme dell’Unione Europea, invece, di continuare a pagare multe dissipando così fondi che potrebbero essere impiegati per strutture carcerarie e programmi di recupero mirati alla persona e alle famiglie delle persone detenute. Concludo riflettendo sul fatto che non ci sono solo prigioni con “sbarre di ferro” ma soprattutto per chi, come me, ha problemi di dipendenze porta con sé una libertà molto limitata.

ASPETTARE TUTTI INSIEME UN’ALTRA VITA MIGLIORE

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Buongiorno a tutti, sono Mass*** e mi trovo adesso in una comunità, in questo caso da libero, ma ne ho passati di giorni in carcere, che comunque servirebbe a persone che non ci sono mai state, ma non nel mio caso! Dovrei parlarne e ne direi di tutti i colori, come la prima volta che mi si sono aperte le porte del carcere: avevo solo 19 anni e, ahimè per spaccio sono stato sbattuto in una cella piccolissima 3,5 x 3,5 con altre 8 persone e già da lì ho capito che non sarebbe stato facile, per il poco spazio che dovevamo condividere e soprattutto convivere. Non è facile andare d’accordo con gli altri della cella, ma posso dire che per alcuni come me era la prima volta e di conseguenza i nostri discorsi erano molti similari, ma il problema comunque c’era, come andare d’accordo, sopportarci a vicenda e vivere nella speranza che arrivi presto quella volta a settimana, che vengano i genitori, magari con del cibo o dei soldini, e un poco d’amore.

G.M.

In Ogni Caso Nessun Rimorso

Tuttavia, noi crediamo che, abbattute le siepi e alzati mucchi di pietre attorno alle nostre terre, si sia posto il limite della nostra vita e deciso il nostro destino.

Mi chiamo E***, sono un Uomo, e sono anche un detenuto in affidamento e un tossicodipendente che si trova in una comunità terapeutica per liberarsi da quella che si può a tutti gli effetti definire una doppia prigionia. Questa è la mia condizione, oggi, quella di un essere umano a cui è stata sottratta la libertà e che si è privato della possibilità di vivere da uomo libero scegliendo le sbarre e i muri di cinta, costruendosi tutt’intorno a sé un fortino che lo ha difeso sì dalla crudeltà del mondo ma anche che non gli ha permesso di uscire a rimirar le stelle.

Possiamo parlare di gabbie fisiche e di gabbie interiori ma credo che in fondo non ci sia differenza. Il carcere ti costringe lontano dagli affetti, dalla possibilità di scegliere secondo i tuoi reali bisogni, di inseguire i tuoi sogni. Ti impedisce di progettare un futuro, ti annichilisce rendendoti straniero delle tue stesse emozioni. Ti aliena rispetto al tempo stesso che passa inesorabile. Ti congela il giorno dell’arresto per scongelarti il giorno del tuo rilascio. La tossicodipendenza fa esattamente la stessa cosa! Un tossico in carcere… non può esserci realtà più lontana da un Uomo.

Vivere in questa duplice gabbia per assurdo è una condizione quasi accettabile, l’oblio dato dalle droghe e dai farmaci ad uso contenitivo rende sopportabile l’invisibilità del reietto, del fallito, del disumanizzato “nemico pubblico”. Le soluzioni per cambiare lo stato delle cose passano attraverso revisioni e migliorie burocratiche, economiche, di servizio su cui non indugerò oltre poiché non ho i requisiti per farlo. So, però, che questi interventi devono essere inseriti, posati su basi salde, certe, e queste basi sono di natura sociale e culturale. È necessario dotare i giovanissimi di oggi, adulti di domani, di strumenti atti a conoscersi, a scoprire la bellezza e la potenza delle proprie emozioni e quanto queste possano essere anche potenzialmente pericolose se non riconosciute, accettate ed equilibrate. Nello stesso modo, educarli all’importanza del lavoro e della legalità. Formando le loro menti attraverso valori d’umanità, forti e saldi. Solo così si può evadere dalle tantissime gabbie che ci impediscono di essere liberi nella ricerca di noi stessi. Rispetto al carcere, quindi la detenzione coatta, punitiva e contenitiva ma non rieducativa, è l’espressione della società di oggi. Cambiando la società, il sentire comune, cambierà inevitabilmente il concetto di espiazione della pena e, con esso, gli strumenti da mettere in campo. L’esperienza comunitaria mi insegna che questo terreno fertile c’è già ed è nella visione aperta, nuova, delle persone che la comunità la vivono lavorandoci tutti i giorni, ma anche questo da solo non può bastare. La società civile, noi, dobbiamo fare fronte comune, unirci in questa visione del mondo che mette l’essere umano al “centro dell’universo”. In fondo, la parola “comunità” sottende il significato di -in comune-, -tutti insieme-, in un mutuo aiuto, in un’unione di intenti verso un obiettivo comune, e quest’obiettivo non può che essere la dignità dell’essere Umano, in tutte le sue forme.

L’Anima è la prigione del corpo.

EDUCATORI O PESSIMI ATTORI?

Io inizierei a mettere in luce l’illegalità che vi è nelle case circondariali create dal sistema, come delle agenti possono comportarsi da delinquenti e pretendere che le detenute non lo siano. L’aria educativa oppure le educatrici sono pessime attrici: chi entra per aiutare illude e non sa amare e, cosa più importante, creano abitudini dal quale il detenuto si arrende senza alternative, non essendoci collegamenti con l’esterno. Un detenuto non ha opzione oltre ad essere uno “spesino” o una “scopina”, non è una persona: basta sentire come ci rappresentano tramite i lavoretti che facciamo!! È tutto un modo per sminuire annullare ci sono troppi ostacoli che non permettono di fare un percorso, nemmeno una volta in libertà, non essendoci ditte o aziende coinvolte per poter dare possibilità di rendersi autonomi. Secondo me, bisogna uscire dalla concezione della punizione, perché diventa un circolo vizioso. Bisogna rendere l’uomo libero di accettare i propri errori e in carcere ciò non può avvenire!

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