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La Regione Piemonte per l'occupazione e investimenti nel Mezzogiorno
da pag. 5 a pag. 9
I lavoratori della Fiat verso il XIV Congresso del PCI a pag. 12
Un giudizio di base sulla linea della direzione aziendale Fiat
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La Regione Piemonte per l'occupazione e investimenti nel Mezzogiorno
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I lavoratori della Fiat verso il XIV Congresso del PCI a pag. 12
Un giudizio di base sulla linea della direzione aziendale Fiat
« Abito in Francia e percorro l'Europa per lavoro. Nei Paesi europei i mezzi di informazione danno l'immagine di un'Italia lacera e sconvolta dal caos, in preda -a scioperi immaginari ed alla violenza di piazza. A me non pare sia così.
Voi comunisti che ne pensate? ».
Queste parole sono di un giornalista americano che ha abbandonato gli Stati Uniti una decina di anni fa poiché gli era ormai insopportabile vivere in quella società, di passaggio a Torino alcuni giorni orsono per un servizio su alcuni problemi dell'auto.
Riflettiamo sulle cose dette da questo straniero. In effetti il nostro Paese attraversa una crisi molto grave e, poiché le difficoltà sono mondiali, rischia di trovarsi come un vaso di coccio tra vasi di ferro di essere stritolato dall'eccessivo affetto degli interessati vicini.
Ma il dato nuovo, essenziale, per comprendere la situazione italiana, sta in una classe operaia che a fronte delle manovre dell'awersario, rintuzza i colpi, tiene il fronte di lotta ed anzi lo estende. E' la capacità di reazione di lotta, la maturità politica del popolo italiano a stupire il visitatore, ad intimorire le forze politiche ed economiche straniere che ci vorrebbero succubi ed imploranti favori.
E' vero, i problemi che ci stanno di fronte sono molti e complessi. Inoltre la situazione è in continuo movimento e non sono pochi coloro che si lasciano intrappolare da manovre tattiche o da fatti apparentemente importanti.
La nostra struttura industriale va riformata a fondo.
Ma se la grande industria può trovare più facilmente la strada per la riconversione, la piccola e media impresa richiedono una maggiore capacità di programmazione economica, capacità che, a livello nazionale soprattutto, non è dato a vedere.
Il mutato rapporto con i Paesi del terzo mondo
impone la utilizzazione completa delle risorse, a partire dall'agricoltura. Per un rilancio produttivo qualificato da una vigorosa diversificazione che individui bisogni e mercati, interni ed efflteri, occorre un apparato statale modernò, efficiente, sgravato da clientele e parassitismi. Ed occorre difendere ed estendere l'occupazione, mantenere il potere di acquisto dei salari. Una politica estera indipendente ha un ruolo importante. Da una parte occorre lottare nella CEE per non subire la divisione internazionale del lavoro che Schmidt gli USA vorrebbero impor-_•,i, dall'altra allargare la nostra iniziativa verso i paesi socialisti e quelli del terzo mondo.
C'è il tentativo di limitare, di regolare la nostra politica internazionale per sgombrare il campo da una nostra scomoda concorrenza.
I nostri coinquilini della CEE non ci aiutano certo; ma il nostro impegno europeista non può voler dire subordinazione cieca. Abbiamo elencato, a grandi linee, solo i maggiori tra i problemi che ci sovrastano. Eppure confrontiamo questo quadro oscuro con la misera azione del governo misureremo da una parte l'incapacità delle forze politiche dominanti, dall'altra la capacità di intervento complessivo della classe operaia.
L'accordo FIAT, la forza e l'unità dello sciopero del 23 che ha piegato la Confindustria, chiariscono ulteriormente questa contraddizione profonda della crisi italiana.
A fronte di una classe operaia che costringe ad un confronto duro serrato il padronato sulle cause della crisi sulle prospettive complessive della società partendo dalla produzione, di una classe operaia che intreccia crescita politica crescita del potere sui fatti dell'economia della politica, superando ogni
corporativismo, sta un potere politico che bada solo ad autoconservarsi, che « dice » di voler cambiare ma rimane prigioniero della logica su cui ha costruito la sua fortuna e ha disgregato e corrotto larghi settori della società. La capacità delle masse lavoratrici di determinare scelte nuove sia per la produzione che per i consumi (andando oltre la difesa passiva dei propri interessi) si scontra con balordi giochi di potere della democrazia cristiana. Questo partito finge di voler cambiare per conservare tutto come prima. Questo atteggiamento del potere politico favorisce (al di là delle lamentazioni di Agnelli sui partiti) il gioco della Fiat e della Confindustria che mirano a ristrutturare l'industria italiana secondo criteri puramente aziendali e di mercato.
La Fiat vorrebbe un governo con cui poter programmare seriamente ma sa che oggi solo la presenza delle forze operaie può dare questa garanzia. Ma questa presenza vuole dire non potere più disporre liberatamente delle risorse, ma doversi confrontare a fondo a tutti i livelli. La Fiat preferisce un vuoto ad una direzione politica forte ed autonoma. L'accordo Fiat è quindi positivo poichè impedisce al padrone di avere mano libera con la cassa integrazione, ma anche in quanto mette ancor più in evidenza l'esigenza di cambiare indirizzo politico al paese. Non è pensabile un rilancio della nostra produzione su nuove basi, sia per riqualificare il mercato interno che per le esportazioni, senza che la classe operaia porti a livello politico la sua capacità di determinare scelte nuove.
E' principalmente su questo terreno che si gioca la gestione dell'accordo raggiunto alla Fiat
Ed esso è tanto più valido in quanto punta a collegare il fronte di fabbrica a quello politico. Ma soffermiamoci, per comprendere meglio il significato, sulla situazione del gruppo. La Fiat continua a parlare di crisi
congiunturale dell'auto e chiede di ridurre la produzione « per ora » in attesa di tempi migliori che proclama certi. Intanto chiede la riduzione del prezzo della benzina, agevolazioni creditizie per l'esportazione ed altre misure governative che consentano il rilancio dell'auto.
In coerenza con questa linea afferma il suo interesse per il settore dai fornitori: al momento del rilancio debbono trovarsi nelle condizioni di produrre a pieno ritmo.
In sostanza la Fiat sostiene la possibilità di aumentare la densità di auto nel nostro paese e di rilanciare l'esportazione.
La Fiat sostiene pure di essere l'industria automobilistica più diversificata che l'aumento produttivo nei settori autobus, materiale ferroviario, veicoli industriali dipende soltanto da una precisa programmazione in sede politica. Su queste questioni abbiamo letto, in questo periodo, molte dichiarazioni dei massimi dirigenti del monopolio abbiamo registrato posizioni diverse a volte nettamente .contrastanti. Non siamo profeti, ma ci sentiamo in dovere di dire con chiarezza il nostro parere ciò a nostro avviso si può e si deve fare. La crisi dell'auto non è passeggera ma è parte della crisi generale da cui si esce rivedendo a fondo criteri e consumi su cui basare progresso e sviluppo della società. Aumentare la denstità automobilistica significa ignorare totalmente il problema della utilizzazione razionale delle risorse del paese, peggiorare ancora la situazione dei trasporti pubblici, fingere di non vedere la realtà delle città italiane e dei loro centri storici.
Noi non sosteniamo che l'auto va punita che deve sparire, ma che il sistema dei trasporti deve funzionare e che, quindi, va ridimensionato il ruolo dell'auto, pur con la dovuta gradualità. Siamo, quindi, per la riduzione del prezzo della benzina, contro ulteriori aumenti dei listini dell'auto, ma conteinporaneamente per la chiusura dei centri storici alla circolazione privata per i piani immediati di sviluppo
Da questo numero è nostra intenzione dare spazio e sviluppare delle vere e proprie rubriche di vario carattere e dare loro un senso di continuità nella pubblicazione. Per questo però è necessario che tutti i compagni collaboratori al giornaie abbiano anche una particolare cura in questo senso. Promuovendo n'invio da parte di tutti i compagni e i lavoratori disponibili al contributo, di idee, valutazioni, perplessità, commenti, ad avvenimenti di carattere culturale come ad esempio spettacoli teatrali, cinematografici, oppure a letture da essi compiute, meritevoli di una riflessione. L'audace obbiettivo in questo modo, sarebbe di avere una gamma di giudizi e orientamenti da parte dei lavoratori del Gruppo FIAT, come espressione più avanzata della Classe Operaia, attorno a questioni di carattere formativi), informativo ed artistico. La Redazione dal canto proprio farà ogni sforzo possibile perchè auesto tavoro sia il frutto di discussioni e confronti, organizzando in misura reale incontri e tavole rotonde, ribadendo il carattere aperto del giornaie. Per l'invio di questo ed ogni altro tipo di materiale, spedire a: I DUECENTOMILA Redazione: Via Chiesa della Salute 47-10147 Torino. Tel. 215.715/95.
DISCORSI A TORINO DI TOGLIATTI
Ogni libro, sia di avventura, sia un saggio, contiene un messaggio da trasmettere.
Nel libro « Discorsi a Torino » di Togliatti « c'è un mosaico ». Come premette il titolo, sono raccolti i vari discorsi, gli interventi fatti a Torino e per Torino. Ciò che caratterizza i vari pezzi è la lucidità e lungimiranza del dirigente. Ogni pezzo, nonostante la diversità dei periodi in cui viene scritto non si limita ad essere solo un buon discorso, ma sembra in progressione legarsi agli altri interventi, come se per ognuno ci fosse la consapevolezza di essere elemento di un mosaico in proiezione nella storia ed espressione di una strategia politica concreta'
Il fatto che, ad iniziare dal 1945 « Discorsi ai quadri dirigenti torinesi » al 1963 « Agli elettori di Torino e*del Piemonte » c'è una continuità impressionante oggi può sembrare ovvia una certa scelta, costruirla 30 anni fa e in un
arco di tempo 'così ampio (18 anni) solo un grande dirigente come Togliatti poteva farlo.
Nel rivolgersi a « Torino città operaia » mai eccedono « mito » o « sconforto » sempre è presente nei discorsi, il richiamo al ruolo di questa città, alla sua responsabilità e quindi alla necessità di maturità nelle scelte degli operai della Fiat a partire dai comunisti. Dagli anni della Resistenza agli « anni bui » di Valletta, al risveglio della classe operaia torinese, il libro rappresenta una pagina di storia significativa di Torino e del Piemonte. Caratteristica infatti dei vari pezzi è anche il valore storico, che mai si astrae come spesso avviene dalla realtà concreta, così radicata nel passato e in proiezione per il futuro, che da la dimensione del valore e del ruolo storico della classe operaia e dei suoi possibili alleati.
Così è infatti caratterizzato il discorso tenuto alla « Galleria d'Arte Moderna » di Torino, sul passato risorgimentale del nostro popolo, dando il senso delle radici che hanno permesso la costruzione, prima geografica, ma poi e soprattutto culturale del popolo italiano. Questo pezzo oltre che significativo per il contenuto, permette di conoscere meglio il « personaggio » Togliatti, ma non solo; un grande dirigente di un popolo non può astrarsi dal conoscere le radici storiche di quel popolo, e Togliatti è stato questo, come Gramsci, spesso citato nel libro per le stesse capacità analitiche.
Il libro è consigliabile a tutti ma soprattutto ai giovani.
Al giovane studente che nel libro trova quel ricco documento storico.
Al giovane operaio che nel libro trova una consapevolezza e coscienza del suo ruolo nella storia.
Al giovane comunista per accrescere la sua conoscenza del Partito, sul suo ruolo storico, attraverso uno dei suoi più significativi e validi rappresentanti.
Ma anche chi non è più giovane può nel libro trovare quella pagina della sua -storia e magari com'è prevedibile riconoscere i propri errori ed avere dei ripensamenti.
La conoscenza dei fatti concreti è oggi di utilità estrema per capire, da dove veniamo e sapere dove andiamo.
dei trasporti pubblici urbani ed extra-urbani e del sistema ferroviario. Il governo ha fatto la cosa peggiore: ha bloccato l'auto e non ha avviato niente altro. Noi siamo per una parziale, graduale sostituzione con il trasporto pubblico, che garantisca l'occupazione ed apra prospettive di sviluppo per il Mezzogiorno. La Fiat in realtà punta a sollevare un polverone di supposizioni sulle intenzioni reali dell'azienda, a somministrare solo fette di realtà (le auto invendute, ecc...) per farle passare senza una visione complessiva Se questo gioco riuscisse la Fiat potrebbe portare avanti la sua ristrutturazione scaricandone il prezzo, totalmente, sui lavoratori. L'accordo di sabato 18 gennaio come già il precedente, è positivo, poichè impedisce questa manovra ed aumenta garantisce un potere di controllo nella ristrutturazione. Ma non dobbiamo illuderci: riusciremo ad imporre nuove produzioni, socialmente più utili, e lo sviluppo dell'occupazione al Sud, soltanto se in questi mesi sapremo estendere il controllo la lotta sui processi reali che avvengono negli stabilimenti. Non sarà facile intervenire punto per punto nelle officine, sulla ristrutturazione, poichè il monopolio tende ad imbrogliare le carte spostando, fornendo dati inesatti, rompendo l'organizzazione di classe. Con una prospettiva politica chiara oltre che necessaria, è possibile il pieno rilancio dei delegati. Contemporaneamente occorre investire Regioni, Parlamento, governo, affinché avanzino scelte nuove di politica economica. Ci sono oggi le possibilità e capacità nella classe operaia italiana di andare avanti pur in questa situazione molto difficile.
Il giornalista ha ragione: l'Italia non è il paese lacero e tremante descritto dalla propaganda di governi interessati. Ha poi pienamente ragione a chiedere a noi comunisti che ne pensiamo. A Fanfani no di certo.
Veduta dell'attivo FIAT nel salone della Federazione di Torino il 19/1/1975 a cui ha partecipato il compagno Giorgio Napolitano. Dall'attivo è scaturito il dibattito per la preparazione dei congressi delle Sezioni.
Iscritto al n. 15369 del registro "- impa del Tribunale di Roma in data rq-1-'74
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Pubblichiamo la lettera del Presidente della Regione Peimonte che invita tutte le Regioni del Sud ad un incontro sull'occupazione e sulla politica degli investimenti.
Riportiamo inoltre una nota del compagno Dino Sanlorenzo sul significato dell'iniziativa proposta dal gruppo comunista sin dal novembre 1974.
Ci pare importante sottoporre questa iniziativa all'attenzione dei lavoratori della Fiat poichè il recente accordo richiede, per una gestione piena, un movimento di lotta che si sviluppi a tutti i livelli, ed il pieno appoggio dei lavoratori stessi.
Signor Presidente,
il grave problema occupazionale, motivo insieme di produzione e di reddito, in grande misura legato alla realirzdziotre degli impegni governativi, per la creazione di circa 120 mila posti di lavoro nel Mezzogiorno, è di alto e diretto interesse delle Regioni meridionali.
Ma non lo è di meno per la Regione Piemonte, come in più occasioni si è avuta l'opportunità di rilevare; e come viene ora sottolineato, se pur ve ne fosse bisoggno, dall'aggravarsi al Nord, con inevitabili riflessi indotti, della situazione, quale emerge dalle trattative in corso tra i Sindacati e la FIAT: Queste, pur avviate con molta responsabile reciproca comprensione, in un clima teso a raggiungere conclusioni positive, lasciano chiaramente intendere, prima ancora di essere chiuse,
L'iniziativa della Regione Piemonte, 'propdsta dal Gruppo Comunista sin dal1'11 novembre 1974, di arrivare quanto Prima ad una verifica sulla attuazione di quegli impegni di politica economica che hanno per oggetto il Mezzogiorno va valutata in tutta la sua portata politica na,zionale da tutte le forze democratiche in'teressate a combattere la linea dello sviluppi ' zero, ad ottenere nel concreto il rispetto degli impegni assunti dai gruppi industriali privati e pubblici, e del governo.
Nessuno ignora la gravità e la drammaticità della crisi e il suo carattere internazionale ed' i limiti di una azione solo nazionale. E' perfettamente presente l'inutilità (e la pratica- impossibilità) di, una iniziativa di politica economica che abbia carattere autarchico a livello locale, nazionale e persino europeo. Si conoscono i pericoli dei meccanismi che possono incrementare la spinta inflazionistica. •
Ma contro il catastrofismo imbelle di chi disserta e spinge sulle sorti del mondo e si consola della situazione italiana rilevando che anche in America ci 'sono sette milioni di disoccittpati, contro chi vuole la riapertura del Credito per appropriarsene a fini settoriali, contro la linea dei rinvii nella attuazione degli impegni solennemente presi, contro una pratica concreta che produce recessioni senza salvare dall'inflazione, di fronte al fatto che la crisi nel Sud è arrivata con un anno di anticipo, le Regioni non devono e non sono state a guardare.
Ora occorre far sentire il peso politico delle loro decisioni concrete, con i bilanci 1975, e delle loro volontà politiche anche con l'incontro Nord/Sud per imporre una svolta nella politica economica.
Si tratta allora di fare il punto, chiedere i conti precisi, verificare i calendari, e passare dalle parole ai fatti avendo certo presente tutte le conseguenze anche internazionali delle decisioni locali in termini di investimenti e insediamenti ma senza alibi e rinvii per nessuno.
Intanto da due anni non si crea un posto, di lavoro nel Sud. Ma questo non è altra cosa dalla minaccia per il calo dell'occupazione al Nord che infatti non è solo una minaccia, è un fatto in Piemonte come in Lombardia.
Se -la Basilicata vuole sapere la fine che hanno fatto gli impegni degli investimenti Pirelli, ANIC, Ferrosud e altri nelle sue terre, il Piemonte vuole sapere tra
che resteranno ancora aperti pesanti e preoccupanti aspetti della politica occupazionale.
Ciò costituisce motivo di attenta responsabile valutazione da parte di tutti, ma, in questo momento, soprattutto da parte delle Regioni direttamente interessate.
La Giunta Piemontese, conscia della gravità della situazione e dell'urgenza di affrontarla realisticamente e lucidamente, denunciata anche da Gruppi Consiliari, si propone di convocare una riunione a Torino, entro la seconda decade di Febbraio, con tutte lei Regioni del Sud.
Una commissione di Assessori sta - predisponendo quanto necessario perchè l'incontro riesca in termini concreti e, per quanto possibile, positivi,. dando modo di fare i passi necessari a livello di Governo centrale.
l'altro come si risolveranno gli accordi del 7 aprile 1973 fra Montedison e Sindacati in Piemonte per gli impiegati di Mergozzo per i quali Sindacati, Comuni e Regioni hanno fatto quanto dovevano. Se i lavoratori della FIAT non si accontentano di conoscere la quantità di macchine invendute e calendario della riduzione di orari e di giorni di lavoro ma interrogano e chiedono conto di cosa si vuol fare da parte della FIAT e del governo per « attuare » in concreto una riconversione produttiva, le forze democratiche della Sicilia e della Calabria vogliono sapere che cosa sia successo dei due pacchetti per la Sicilia e la Calabria che prevedono investimenti per oltre 2.000 miliardi di lire e la creazione di 40.000 nuovi posti di lavoro. A Pozzuoli e a Marcianise in Campania si tratta di fare una verifica con l'Olivetti, nel Casertano con la Indesit si tratta dii vedere se va avanti l'incremento dell'occupazione che doveva portare entro il 1976 ad un increinento dell'occupazione di circa 4.000 unità.
In tutto il Mezzogiorno a Priolo, a Crotone-Girò, a Brindisi, Busci, Asco i Piceno, Casoria, e Acerra sono stati sottoscritti impegni della Montedison per incrementi occupazionali di 8.050 unità e altri 2.000 posti di lavoro erano previsti per investimenti in Sardegna, ancora a Ascoli Piceno, e Licata.
In complesso le lotte dei lavoratori e delle forze politiche democratiche di cui le Regioni! si sono fatte sovente coerentemente interpreti a livello politico avevano ottenuto impegni per 125.000 posti di lavoro.
In ootnicreto cosa sta succedendo invece? La FIAT dice niente stabilimenti a Grottaminarda, rinvio delle assunzioni all'OMECA e alla Ferrosud, la Montedison parla di una esuberanza di personale valutabile attorno alle 7.700 unità e denuncia l'impossibilità di tenere fede agli impegni sottoscritti con i sindacati mentre 30.000, lavoratori del settore chimico e tessile sono armai in cassa integrazione. E il governo non si trova agli appuntamenti.
Nell'intreccio a volte inestricabile di manovre, di scarico di responsabilità, di arrembaggio al credito disponibile, di ipoteche su quello da strappare nell'immediato futuro (che rischiano tra l'altro dl emarginare tutto il complesso delle piccole e medie industrie al Nord come al Sud) accorre fare chiarezza, chiamare a
Sarei grato, prima di scendere nei dettagli dell'organizzazione concettuale e operativa dell'incontro se Lei volesse farmi conoscere il Suo pensiero sull'opportunità dell'iniziativa, sulla data che potrebbe stare, per la durata di un giorno e mezzo, tra il 17 e 21 Febbraio, (indicando eventualmente la preferenza), sulla possibilità della Sua partecipazione personale oltre a quella di Assessori e Consiglieri, fornendo tutti i suggerimenti e proposte che ritenesse utili.
Non sottolineo l'urgenza della questione, tanto essa è evidente.
La ringrazio del rapido cortese riscontro, e mi auguro di poter avere il piacere d'incontrarLa di persona, anche per ringraziarLa della collaborazione che sono certo non mancherà.
Con i migliori, cordiali saluti.
f.to (avv. Gianni Oberto)
rispondere il governo nel suo complesso il Ministro del Tesoro in particolare, e soprattutto spingere a decidere e « attuare » passando dalle troppe parole ad alcuni fatti che siano indirizzo di una diversa linea rispetto alla accettazione complice e passiva della recessione.
Si è fatta una crisi di governo apparentemente motivata dalla divergenza sul tetto invalicabile dell'indebitamento fissato in 7.400 miliardi. Ora qualunque sia l'interpretazione dei dati, è un fatto che il 1974 si chiude con una cifra assolutamente al di sotto di tale tetto.
Potremmo considerarlo tutti un fatto positivo se il « dettaglio » non fosse che nel frattempo non si è affatto operato per evitare altre centinaia dii migliaia di disoccupati all'interno da aggiungersi a quelli che ritornano dall'estero.
Lincontro delle Regioni non deve essere però un polverone o un rito. Va preparato seriamente. Non è una conferenza di studi, è una riunione politica di lavoro.
L'incontro dovrà avvenire fra le Regioni dove è auspicabile e possibile arrivate ad una piattaforma comune. Il confronto dovrà essere fra Regione e grandi imprese pubbliche e private e fra Regione e governo, in sedi distinte, con ritmi serrati con una intesa con i sindacati come la situazione richiede.
I comunisti piemontesi quando hanno proposto l'iniziativa, hanno cercato di interpretare la sintesi politica delle conquiste e delle lotte della classe operaia che nelle piattaforme rivendicative e nelle sue manifestazioni indica la necessità che Nord e Sud siano uniti nella lotta e su questa parola d'ordine hanno lavorato, lottato ed ottenuto impegni precisi. E poichè quello che sta scritto negli Statuti regionali non deve solo esprimere approdi culturali ma linee dii' azione concreta, si sono ricordati che l'articolo 73 della Regione Piemonte dice che: « La Regione, nella politica di piano, opera per superare gli squilibri territoriali, ecoritmici, sociali e culturali esistenti nel rio ambito e fra le grandi aree ckl Paese, con particolare riferimento allo sviluppo del Mezzogiorno ».
Una politirn di piano non c'è ancora ma nessuno deve sfuggire a una verifica che tende a ricrearne i presupposti, anche perchè ad una politica di programmazione non c'è alternativa se si vuole uscire dalla crisi.
Lo stabilimento della FIAT OSA situato nei quartiere NIZZA-LINGOTTO, fu inaugurato nel 1921. Costruito allora con criteri modernissimi, rappresenta oggi una delle fabbriche più vecchie ed inadatte alle esigenze di moderni criteri di lavoro.
Lo stabilimento è costruito su due ali di sei piani, uniti tra di loro con traverse, e non è adatto a trasformazioni radicali per mancanza di spazio. La FIAT nei confronti dello stabilimento, ha sempre portato avanti una linea di massima utilizzazione degli impianti, con le minor modifiche possibili. Dire che non si sia mai investito per ristrutturazioni, sarebbe errato: sta di fatto che le modifiche apportate sono sempre state volte al minor costo possibile di produzione, e mai verso una seria politica di mi-. glioramento dell'ambiente di lavoro. Prova ne siano i grossi investimenti fatti in verniciatura, che è rimasta però essenzialmente una lavorazione con criteri quasi artigianali e superati. La struttura edilizia, lo spazio per l'immagazzinaggio sono assolutamente insufficienti per grandi lavorazioni a linea meccanizzata, tant'è che tutte le produzioni automobilistiche che superano un certo livello di produzione vengono regolarmente trasferite ad altre Sezioni, mentre molte produzioni in via di estinzione vengono trasferite all'OSA. Ciò nono-
stante la FIAT ha continuato a puntare su cicli completi di produzione su autovetture, che hanno sì un numero limitato di produzione, ma che comunque comportano esigenze di spazio di strutture che rendono il lavoro impossibile o molto disadagiato. Molte lavorazioni di accessoristica negli ultimi anni, sono state ridotte o addirittura eliminate. Le uniche produzioni nate, e rimaste all'OSA sono attualmente il 128 coupè ed il Furgone 238, che sono arrivati a livelli abbastanza elevati di produzione, ma che per questo comportano cicli di lavoro inverosimili e massima parcellizzazione.
La carenza ambientale più grave che si riscontra oggi all'OSA è la mancanza di spazio. Centinaia di pinze-saldatrici, o lavorazioni ad acidi agglomerate in spazi ridotti, rendono l'aria irrespirabile, a causa anche della quasi nullità degli impianti di climatizzazione; vasche contenenti acidi, scoperte, o fornetti di fusione non protetti, non sono che alcuni dei gravi disagi ambientali a cui sono sottoposti i lavoratori.
Tutto questo nonostante che, specialmente negli ultimi anni, in Direzione si siano accumulate centinaia di lettere di- richieste e di proposte di modifiche ambientali; a niente sono serviti scioperi di protesta, e persino denuncie pubbliche ai giornali.
A nostro avviso comunque, il problema non è risolvibile solo a livello di modificare o migliorie su lavorazioni od impianti già esistenti; che comunque devono essere fatte, per eliminare almeno gli aspetti più disagevoli ed inumani che presenta lo stabilimento; è necessario un cambiamento radicale delle scelte produttive: sostituire i cicli completi su autovetture, con cicli ridotti (accessoristica in genere, motori, pompe di iniezione, ecc.). Non lavorazioni a catena meccanizzata, ma a isole di montaggio e a banco singolo. Questo perchè impensabile continuare su scelte che comportano estremi disagi per i lavoratori, e non sono ragionevolmente adatte alla struttura lo stabilimento„ come d'altronde non è pensabile di trasformare lo stabilimento in magazzino, o comunque in una sezione improduttiva. La Sezione OSA deve continuare ad esistere, sia per ciò che rappresenta nella storia del quartiere, sia nelle tradizioni torinesi. Deve comunque ristrutturarsi profondamente, ma nel senso di renderla il più possibile a misura dell'uomo; ma questo è possibile solo attraverso una giusta contrattazione con i lavoratori ed il sindacato.
LEO ROTA operaio FIAT OSA-LINGOTTOCon il piocesso di crisi irreversibile del mondo capitalistico, si aprono nel dibattito politico precongressuale, spazi nuovi ed originali di analisi e di discussione politica.
Impegno della cellula di fabbrica deve essere quello di avviare un franco e aperto dibattito, anche con lavoratori non comunisti, sui temi e le proposte contenute nella relazione del compagno Berlinguer.
La proposta di un nuovo modello di sviluppo, avanzata nella relazione, apre ampi spazi di dibattito, nuche alla luce dell'ultimo accorci,: Fiat, che non può e non deve vedere i! mnvimen-
to impegnato in una pura e semplice gestione collegiale della crisi, ma deve vedere la partecipazione dei lavoratori nella determinazione del nuovo tipo di produzione che si intende avviare alla Fiat.
Tale produzione non può più avere degli indirizzi di tipo consumistico, con la conseguente massiccia distruzione delle risorse, ma deve avviare, in sintonia con la riforma dei trasporti, un programma di potenziamento dei servizi pubblici.
La sensibilità che i lavoratori mostrano a questo tipo di problematica lascia prevedere positivi sviluppi. E' importante che la cellula porti a livello territoriale questi problemi, coinvolgendo altre componenti sociali nella lotta che, a livello provinciale e regionale, stiamo conducendo per avviare a soluzione il problema dei trasporti. zio hanno creato nell'intero tessuto industriale della provincia di Bari, formato di piccole e medie aziende, una profonda crisi, con gravi conseguenze per l'occupazione e lo sviluppo.
Questa strategia, portata avanti dal monopolio pubblico e privato, rischia quindi di travol-
gere, con gravi conseguenze, tutta la già debole struttura industriale.
Il rischio che la classe operaia si chiuda su posizioni difensive e accetti fatalisticamente la riduzione degli orari di lavoro, è molto forte.
E' indispensabile a questo punto, che i comunisti nelle fabbriche propongano al movimen-
La stretta creditizia e l'inflato sindacale e, più in generale, al movimento politico democratico, soluzioni alternative.
A mio avviso, l'intero movimento deve farsi carico del problema di una diversa distribuzione del credito che agevoli e favorisca la cooperazione e l'associazione.
Andremmo così a rompere il vecchio blocco politico sociale della città e sottrarremmo il' ceto medio produttivo e imprenditoriale al ricatto economico-olitico dei settori più retrivi della D.C., portando su un terreno più avanzato di gestione democratica, lo sviluppo della provincia.
L'avvicinarsi della scadenza Congressuale, deve vedere impegnate tutte le organizzazioni del Partito in un più largo approfondimento e nella chiarificazione di tutti i punti della tematica Congressuale, inizialmente esposta ,dal ,Rapporto Berlinguer al C.C. del dicembre scorso. In primo luogo le cellule e le sezioni di fabbrica, per quanto ci riguarda più da vicino della FIAT. Questo dibattito che deve scavalcare le nostre organizzazioni e i nostri compagni, deve andare al coinvolgimento del più grande numero possibile di lavoratori e necessita quindi, al nostro interno della massima precisione nell'entrare nel merito delle questioni, cosa che finora non siamo ancora riusciti pienamente a realizzare. Coscienti che il nostro impegno deve andare in questa direzione dobbiamo compiere questo tipo di sforzo soprattutto nella preparazione dei nostri Congressi di Sezione. Sul Giornale abbiamo dato spazio ad una vera e ,propria Tribuna Congressuale che coinvolgendo nel concreto con: tavole rotonde, interviste, articoli, lettere; tutte le realtà del Gruppo FIAT a livello del paese vada a dare un contributo sostanziale in questo senso.
Hanno partecipato: Luigi Ferrero, operaio, segretario della sezione Fiat Nord; Attilio Garziera, impiegato Fiat Ricambi; Nicolangelo Damiani, impiegato Fiat Spa Stura; Stefano Rollero, operaio Fiat Spa Stura; per « i Duecentomila » Primo Greganti, responsabile dell'organizzazione di Fabbrica del P.C.I. della zona Torino Nord.
DUECENTOMILA
Il Comitato Centrale del 10-12-1974 con la relazione del compagno Berlinguer ha dato avvio al dibattito congressuale che si concluderà con il 14° Congresso Nazionale del PCI a Roma dal 18 al 23 marzo 1975.
Molti giornali si sono interessati a questo dibattito, fino al punto in cui si può dire senza tema di smentita che tutti ne hanno sentito parlare, anche se con giudizi evidentemente diversi, come se ne discute tra gli operai e impiegati Fiat?
GARZIERA
Non se ne parla direttamente, specie tra gli impiegati, è però oggetto di discussioni anche vivaci la gravità dei problemi del paese, e quindi si sente sempre con maggior forza la necessità di individuare nuovi punti di riferimento sia politici che economici, anche se il dibattito risente di elementi di sfiducia nella lotta. Bisogna tenere conto che nel nostro servizio vi è una condizione particolare, basta dire che su mille impiegati ve ne sono solo una decina iscritti al nostro partito.
DAMIANI
Concordo con Garziera, sottolineo però che sui problemi generali del paese sulla situazione economica e politica, non si può dire che tra gli impiegati la relazione di Berlinguer non abbia avuto qualche riscontro, In quanto la vecchia logica impiegatizia che tendeva a rifiutare la realtà del mondo operaio, oggi tende velocemente ad essere superata, questo è successo certo perchè il movimento operaio ha condotto rivendicazioni e lotte sempre con spirito unitario, ma anche perchè la drammaticità della crisi ed il dibattito sulle possibili soluzioni è diventato talmente forte da superare la vecchia impermeabilità impiegatizia.
ROLLERO
Gli operai si rivolgono la domanda « dove andremo a finire? », le proposte del PCI vengono accettate, ma raramente sono oggetto di valutazione critica anche se vengono generalmente difese con forza davanti agli attacchi che conduce • La Stampa » e gli altri organi di Informazione. Si nota • però una eccessiva timidezza nel discutere dei • grandi problemi » nazionali ed internazionali, e quindi, alle volte ci si ferma davanti alle pure enunciazioni, ad esempio si parla della casa, iI cui dibattito è venuto fortemente alla ribalta a Torino per le re-
centi occupazioni, si parla della cassa integrazione, e della necessità di riconversione industriale, ma si stenta a legare questi temi alla esigenza di una nuova politica nazionale ed internazionale.
FERRERO
Il livello di coscienza non è quello che vorremmo che fosse anche se negli ultimi anni vi è stata una grande maturazione. La grande maggioranza degli operai legge poco, o è influenzata da organi di stampa padronale. Va detto comunque che anche i più restii alla lotta capiscono che le difficoltà derivano da scelte sbagliate del padronato e del governo. Da questa situazione si può uscire soltanto con una nuova pr41itica degli investimenti, del credito, dell agricoltura, dell'edilizia, del trasporto pubblico, della scuola, ecc... Se si va su questa strada l'operaio anche il più freddo ci capisce.
I problemi attuali necessitano comunque di un più alto livello di maturità, capace di porsi anche obiettivi relativi alla direzione politica del paese. Le indicazioni del PCI da sole non possono risolvere tutto, quindi vi è l'esigenza che i problemi vengano affrontati in uno stretto rapporto unitario con altre componenti ideali, rapporto che già sul terreno sindacale è stato realizzato, anche se con limiti.
Alla Fiat si vivono come già avete detto problemi drammatici: cassa integrazione, qualche licenziamento, trasferimento, incertezza per il posto di lavoro, ecc., quale nesso si individua fra questi problemi specifici e le proposte del PCI?
ROLLERO
E' vero, gli operai pongono domande al PCI anche su temi specifici, e si ha la sensazione che ormai tutti credano nelle nostre indicazioni, ad esempio vi è coscienza generalizzata che se non si va ad una nuova politica dell'edilizia e dell'agricoltura non solo l'auto ma anche il veicolo industriale ed altri rami produttivi non avranno prospettive.
Così come gli operai sono coscienti che le ristrutturazioni non possono essere lasciate in mano all'azienda, infatti le riorganizzazioni fatte dall'azienda dal '70 in poi, investimenti all'estero, accordi con altre multinazionali, ecc. non hanno affatto tenuto conto dei gravi problemi del paese.
GARZIERA
Cassa integrazione, trasferimenti, licenziamenti, di questi problemi tra gli impiegati se ne discute in modo diverso, perchè finora ne sono stati meno colpiti, anche se di riflesso nell'orientamento e nel dibattito sono presenti. In occasione di un recente licenziamento si è scioperato compatti e spontaneamente, questo fatto dimostra una nuova sensibilità, solo un anno fa non si sarebbe verificato.
Si parla del problema del petrolio e della crisi dell'auto ma si dice anche che questo non può essere risolto soltanto facendo autobus, anche perché questa scelta vorrebbe comunque dire riduzione
di manodopera alla Fiat. Quindi la domanda di riconversione viene a mio avviso vista nel giusto rapporto con le complessive proposte di riforma avanzate dal PCI, anche se è ancora presente tra gli impiegati un certo qualunquismo e timore che impedisce di riconoscere pubblicamente questo merito al nostro partito.
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FERRERO
Certamente fra gli operai è presente un certo disorientamento e timore per l'occupazione, la garanzia del posto di lavoro, ecc. Le prospettive del veicolo industriale che a giugno era ancora indicato come un settore forte, oggi costringono anche la Fiat a riconoscerne la crisi e ne subordina l'avvenire alle scelte governative rivendicando commesse pubbliche e sostegno all'esportazione. Pur avendo presente gli aspetti internazionali della crisi non si può pensare di risolverla senza una nuova politica economica del nostro paese, di questo oggi ne sono tutti coscienti e tutti respingono le tesi, in particolare della DC, ma non solo, secondo le quali • possiamo fare ben poco, e non ci resta che attendere », giustificando così la propria inerzia. Credo inoltre che alcune considerazioni critiche dobbiamo farle, alla Spa Stura quando è scoppiato il problema degli organici, come lo abbiamo affrontato? Quale è stata la nostra capacità di proposta? Il problema degli organici, dello straordinario, dell'utilizzazione degli impianti, ecc. ha investito non solo la Spa, e non solo la Fiat, ma tutta l'area torinese. Si prevedeva già la crisi, e il problema del petrolio era già presente. nonostante ciò, il movimento ha segnato il passo sia nelle rivendicazioni relative all'orario, al terzo turno, al lavoro festivo, all'utilizzo degli impianti, ecc., sia nella gestione di accordi firmati precedentemente.
DAMIANI
Oltre alla riconosciuta esigenza di una nuova direzione politica, sono presenti specie tra gli impiegati anche se in forma nettamente minoritaria coloro che pensano che le attuali difficoltà possono essere superate dalla nuova strategia multinazionale della Fiat e da nuovi sviluppi internazionali che possano riequilibrare il costo del petrolio.
DUECENTOMILA
La relazione di Berlinguer, pur sottolineando la peculiarità della crisi italiana, analizza con forza le novità che si sono verificate a livello mondiale negli ultimi anni (Vietnam, Terzo mondo, consolidata presenza socialista, sviluppo di movimenti di liberazione e progressisti, la Grecia, il Portogallo, crisi del mondo occidentale), tutte novità che rendono impossibile pensare di risolvere i problemi con vecchie strategie, manovre monetarie, ricatti militari ed economici propri dell'imperialismo, ecc.. Il PCI propone nuovi rapporti di cooperazione, distensione, integrazione economica, superamento dei blocchi militari, queste proposte assumono un valore tanto più grande, quanto più sono presenti elementi e tentativi conservatori e reazionari che se non vengono battuti rendono sempre viva la possibilità di una catastrofe atomica mondiale. Di questo pericolo di catastrofe, delle possibilità di superamento della crisi con la politica di coesistenza pacifica, così come viene proposto dal nostro partito, se ne parla tra i lavoratori?
FERRERO
Questo è il nodo, purtroppo di queste cose se ne parla molto poco, emergono con facilità giudizi che dimostrano molta confusione. Devo però dire che questi argomenti hanno cominciato a far breccia ed esser dibattuti in modo anche molto impegnativo tra i nostri compagni, nelle nostre sezioni, nei consigli di fabbrica.
Si nota anche quando si entra nel merito di queste proposte, posizioni, e interpretazioni della relazione di Berlinguer che non sempre coincidono. Quando si parla ad esempio del superamento dei blocchi militari si riconosce il valore di questa proposta, ma si tende nello stesso tempo a riprendere la vecchia posizione della - Nato fuori dall'Italia » e Italia fuori dalla Nato ». A mio avviso una posizione del genere oggi non sarebbe rispondente alla nuova realtà che è venuta a crearsi, specie nell'ultimo anno (accordi di distensione, limitazione concordata del potenziale bellico, lacerazioni tra i paesi appartenenti alla Nato, Grecia e Turchia che si guerreggiano tra loro, processo di distensione economica politica fra occidente e paesi socialisti, peso della crisi che rende sempre più difficile destinare come nel passato grandi risorse agli organismi militari). Tutte queste questioni oggi rendono possibili mutamenti del ruolo e dei compiti della Nato, che sarebbe assurdo non cogliere con proposte capaci di aggregare forze non solo interne al nostro paese ma di tutta l'Europa, che noi vogliamo svolga un ruolo di pace, e diventi contemporaneamente amica dell'URSS e degli USA.
GARZIERA
Concordo con Ferrero aggiungendo che questa nuova funzione dell'Europa, è ancora tutta da conquistare, per questo è importante che nel nostro paese si sviluppi un movimento capace di far assumere le proposte del PCI al nostro governo per sviluppare un'azione che crei i presupposti per quel tipo di Europa che noi desideriamo, ed oggi vi sono le condizioni che consentono di realizzare questo movimento. Quando si è parlato del Cile infatti siamo riusciti grazie alle grandi manifestazioni svoltesi nel paese a far sì che il nostro governo condannasse e non riconoscesse la giunta fascista cilena.
ROLLERO
Nei nostri congressi dovremmo a mio avviso sottolineare di più le novità, mi sembra che noi dimentichiamo troppo sovente fatti che hanno un'enorme importanza, ad esempio il Vietnam. Se oggi i paesi del terzo mondo e i movimenti di liberazione svolgono un ruolo nuovo, molto del merito è certamente da far risalire all'eroica e vittoriosa lotta di liberazione del popolo vietnamita. Un piccolo popolo ha dimostrato al mondo che può essere sconfitto l'imperialismo, che può essere battuto un grande esercito che oltre ad essere dotato di ingenti mezzi, non ha esitato ad usare anche le atomiche tattiche, vi ricordate. Questa vittoria ha incoraggiato tutti i movimenti di liberazione, e nello stesso tempo ha aperto lacerazioni nel campo occidentale, dimostrando che i problemi aperti nel mondo non possono più essere risolti facilmente con i mezzi usati dall'imperialismo finora.
DAMIANI
In occasione dei fatti elleni molte responsabilità ricadono sugli Stati Uniti ma un ruolo non sottovalutabile di aiuto ai golpisti è anche stato delle compagnie multinazionali che avevano visto nazionalizzare le proprie attività produttive, va poi aggiunto che il colpo di stato è riuscito anche perchè la politica di Unidad Popular non era riuscita a conquistare a fianco del movimento operaio la maggioranza del ceto medio. Di qui ne scaturisce un insegnamento di cui dobbiamo fare tesoro. A me sembra che nelle nostre proposte di lotta per la soluzione dei problemi interni- ed esterni al nostro paese dobbiamo approfondire l'analisi del ruolo negativo delle multinazionali e della costante necessità di uno stretto rapporto tra lotte di fabbrica lotte nella società, tra la classe operaia ed altri ceti sociali per impedirne appunto l'isolamento.
L'8 e il 9 febbraio è stata fissata la data per il Congresso della nostra Sezione. Il clima politico che esiste oggi in fabbrica per i tanti problemi che attanagliano i lavoratori, impone una attenta analisi e un impegno maggiore di tutto il quadro dirigente della Sezione del Partito, per fare in modo che dal Congresso vengano avanti indicazioni di lotta su obiettivi capaci di costruire un movimento che contribuisca a spostare l'asse politico del paese su un terreno di democrazia più avanzata.
Un tale fronte di lotta ci dovrà vedere impegnati in un dibattito che sia il più ampio, profondo e democratico possibile. Per questo il Congresso sarà aperto, oltre ai nostri iscritti, a tutti i lavoratori, alle forze politiche presenti in fabbrica, leghe sindacali, associazioni contadine, per confrontarci con loro sulle proposte del nostro Partito.
I temi che verranno approfonditi nel Congresso dovranno tenere conto della attuale fase politica, dello stato del movimento operaio, visto in riferimento al quadro politico generale, dalle esperienze di lotta che sono state fatte, per cogliere tutti quei fattori di novità che le lotte hanno espresso e che tutt'ora sono presenti nel dialogo con i lavoratori.
Un punto di partenza che dovrà essere approfondito con il movimento in fabbrica è quello della crisi che ha travolto il nostro Paese, dai fattori che l'hanno determinato e dalla politica portata avanti dai governi DC; il nostro sforzo dovrà essere volto a questi avvenimenti sgombrando il terreno da tutto quel clima di sfiducia che esiste tra i lavoratori, su mesto terreno dovremo portare tutti a confrontarsi con le nostre proposte in merito alla riconver-s sione produttiva su un modo diverso di governare e sulle alleanze che si devono ricercare per uno spostamento reale dei rapporti di forza nel Paese; questo nei prossimi giorni dovrà essere il tema dominante tra i lavoratori.
Dobbiamo ancora tener presente la crescita politica e culturale fatta da un movimento operaio dal '69 ad oggi e sapere che siamo di fronte a un movimento più cosciente, ma questo non ci deve far cessare nemmeno per un momento la nostra opera rivolta alla crescita politica e numerica degli aderenti al nostro Partito; infatti quando si afferma che siamo di
fronte a un movimento più avanzato in fabbrica è dovuto soprattutto dalla nostra capacità di inserire elementi qualificanti nelle piattaforme rivendicative, cercando in questo di inserire elementi di potere reali in fabbrica e l'aver fatto acquisire una dimensione nuova sulle rivendicazioni di carattere generale che andavano a stabilire nuovi rapporti con i disoccupati del Nord e del Sud, con i pensionati, con i contadini.
Se si tiene conto anche dell'ultima esperienza fatta nella nostra zona dove il nostro ruolo è stato determinante sia per le argomentazioni che per il movimento che abbiamo saputo costruire insieme alle organizzazioni sindacali; per bloccare la realizzazione dell'autostrada To-Pinerolo, la quale non solo non avrebbe risolto i problemi dei pendolari ma avrebbe contribuito al dissesto di molti ettari di terreno coltivabile (mentre nella zona mancano servizi essenziali come: case, scuole, asili, e attrezzature sanitarie).
Questo momento di lotta ha permesso di ricercare alleanze con le organizzazioni contadine (ACLITerra, Coldiretti, Alleanza Contadini), e con le forze politiche della zona, fino ad arrivare ad uno sciopero dove insieme con gli operai sono scesi in lotta i contadini, impiegati comunali, personale della scuola, i Sindacati della zona, forze politiche come PSI e la DC.
Sono obbiettivi questi che contribuiscono a una reale crescita del movimento operaio e democratico perchè tendono ad unire insieme ai problemi di fabbrica una visione più generale fino a porsi l'obiettivo del controllo democratico sugli investimenti, se si assomma a questo il grande sciopero politico dopo la strage fascista di Brescia ci si può rendere conto della forza e della combattività della classe operaia italiana.
Una analisi corretta dello stato del movimento operaio deve partire da questa esperienza per collegarsi a quello che oggi si può riscontrare in fabbrica; se la crisi ha messo in discussione un modello di società fondato sullo sfruttamento della mano d'opera a basso prezzo e sulla rapina al Mezzogiorno (vittima questo di uno sviluppo distorto) è compito dei comunisti indirizzare i lavoratori verso scelte più avanzate su un terreno di lotta che abbia come obiettivo fondamentale uno
Lavoratori, il nostro Paese sta attraversando una crisi di tali proporzioni da investire non soltanto l'apparato economico produttivo ma anche l'intera vita sociale, con conseguenze ormai insostenibili per quanto riguarda l'attacco ai livelli occupazionali e al tenore di vita delle masse lavoratrici e degli strati popolari.
Nel nostro Paese gli effetti della crisi che investe l'intero mondo capitalistico, sono più gravi perché è il Paese dove maggiori sono i guasti provocati da errate politiche economiche condotte avanti dai governi e dai gruppi monopolistici industriali e finanziari.
Da sempre il Partito Comunista Italiano ha combattuto queste
scelte economiche; ma non solo, si è dimostrato forza organizzativa e politica in grado di favorire la lotta unitaria delle masse lavoratrici a sostegno del profondo rinnovamento economico e sociale necessario al Paese.
Lavoratori, è urgente lottare per cambiare qu9sta situazione attraverso l'avvio di un meccanismo di sviluppo economico che partendo dal soddisfacimento dei bisogni sociali, utilizzi in pieno le risorse umane e materiali. Dia priorità allo sviluppo dell'agricoltura, imponga una riconversione produttiva secondo gli attuali bisogni delle masse popolari, risani le istituzioni politiche ed amministrative, sviluppi un nuovo modo di vivere ci-
sviluppo razionale, valorizzando le risorse naturali del nostro paese (l'agricoltura ad es.) e con la creazione di una nuova domanda di consumo che vada in direzione delle esigenze più immediate della popolazione (trasporto, scuola, case); come grandi momenti per rilanciare l'economia nel nostro Paese, e per garantire la piena occupazione.
Il nostro compito deve essere anche quello di diventare sempre più un Partito di massa in fabbrica, cercare con le altre forze politiche alleanze che vadano a costruire l'unità politica dei lavoratori, come momento di confronto su problemi unificanti di lotta.
La costituzione di un Comitato Antifascista in fabbrica potrebbe essere un primo momento unificante dove tutte le forze antifasciste si riconoscono. Una verifica dovrà essere fatta anche per quanto riguarda il nostro ruolo in fabbrica, per correggere i limiti e i difetti che ci sono stati durante la nostra azione nell'orientamento del movimento, e sulle posizioni che come comunisti abbiamo avuto su tutti i problemi che il movimento operaio ci ha posto. L'organizzazione del lavoro in fabbrica, l'ambiente di lavoro, i trasferimenti e verificare se su questi problemi si è riusciti a strappare al padrone dei risultati sostanziali.
Quest'anno ci presentiamo al Congresso della Sezione con un primo risultato positivo che è quello di aver superato il cento per cento degli iscritti, questo deve servirci per dare ancora più slancio alla nostra azione rivolta a costruire in fabbrica un Partito sempre più grande. Sapendo che, la nostra presenza organizzata stimola altre forze politiche ad organizzarsi. Altro obiettivo di rilevante importanza è stato la realizzazione del giornalino di fabbrica « Rivalta rossa », perchè oltre a impegnare il quadro dirigente della Sezione ad uno sforzo di analisi e di ricerca dei problemi della fabbrica; questa iniziativa suscita un grande interesse tra i lavoratori per il dibattito aperto nelle squadre sui temi trattati, perciò il contributo che dà per la crescita ideologica politica e di lotta, deve impegnarci ancora dì più al rafforzamento di queste iniziative.
Vittorio Federico Operalo Fiat Rivalta (TO)
vile e democratico che sbarri con forza la strada al pericolo fascista. Per fare questo occorre lottare per modificare i rapporti politici dando al Paese un quadro politico nuovo fondato sull'incontro e sulla lotta unitaria delle componenti popolari comuniste, socialiste e cattoliche. L'appello che i comunisti della Fiat meccanica riuniti a congresso rivolgono ai lavoratori è quello di rafforzare con l'adesione militante e di lotta il Partito Comunista Italiano a sostegno delle proposte per rinnovare il Paese ed avviarlo sulla strada di una trasformazione socialista della società.
La Sezione del PCI Meccanica Miraflori
La reale portata della situazione politica ed economica internazionale e dei problemi interni al nostro paese deve essere al centro del dibattito congressuale nelle cellule e sezioni del nostro partito per creare il massimo orientamento, l'unità di azione e di lotta necessari per far fronte agli attacchi dei grossi monopoli interni e internazionali.
Negli ultimi mesi, l'economia italiana e più in generale quella dei paesi capitalistici « del cosiddetto occidente » ha subito scosse tali da far supporre il tracollo, il cosiddetto « strozzamento » a tempi brevi se non si cercano e si attuano misure che vanno nella giusta direzione.
I paesi capitalisti si trovano di fronte ad una crisi che non è ciclica (tale che basta la classica politica deflattiva attuata da sempre dai vari governi borghesi che hanno diretto i vari stati) ma è la crisi stessa del capitalismo, della sua logica imperialista, di sfruttamento della classe operaia e oppressione dei paesi del terzo mondo.
Cosa significa questo. I grossi monopoli e le compagnie multinazionali con l'appoggio diretto dei paesi imperialisti, primi fra tutti gli USA hanno sempre rapinato le materie prime ai paesi sottosviluppati del « terzo mondo ». Tutto questo in vari modi: colonialismo, asservimento della borghesia del luogo agli interessi delle compagnie, oppressione della classe operaia e contadina. In definitiva queste compagnie hanno sempre preso le materie prime a questi paesi pagandole a basso costo facendo enormi fortune mentre hanno tenuto nella miseria (condizione essenziale della logica imperialista) milioni di uomini. Ora cosa è successo: negli ultimi anni abbiamo assistito ad un grande e profondo risveglio dei popoli oppressi, primo fra tutti il popolo del Vietnam, i quali hanno alimentato questo sentimento, questa volontà di riscatto, di spezzare le catene dell'oppressione e di appropriarsi delle ricchezze nazionali e sottrarle alla rapina dei monopoli internazionali. L'Angola, il Mozambico, la Guinea Bissau, I paesi Arabi, il Venezuela, Messico, Perù, ecc., tutti popoli che hanno ottenuto la loro indipendenza nazionale ed economica, rivendicando alle imprese straniere il giusto prezzo delle materie prime, per avere così un livello di vita più giusto e più umano. In questo contesto va dunque vista la posizione dei paesi Arabi produttori di petrolio; paesi che non hanno più permesso che venisse rapinata l'unica ricchezza che possiedono, il petrolio. Vanno dunque respinte e ostacolate dalla classe operaia, da tutte le forze sane, le minacce di Kissinger e degli Stati Uniti lanciate contro i paesi Arabi, di « un sicuro intervento bellico americano nel caso di uno strozzamento dell'economia occidentale ». Noi comunisti, all'opinione pubblica internazionale, additiamo il tentativo americano di mettere in pericolo la pace nel mondo, alimentando la politica espansionistica di Israele ed intervenendo diretta-
mente in Indocina. Ricordiamo pure a tutti i popoli che l'imperialismo, il capitalismo, quando è in difficoltà, tenta sempre la guerra per assicurarsi più ampi spazi di mercato e risolvere così una crisi che è al suo interno. Lo ha fatto nella guerra del 1915-18; in quella del 1939-45 e cerca di farlo anche adesso. E' necessario, dunque, un niusto orientamento fra le masse tale da evitare ogni equivoco o consenso alla politica americana contro i paesi arabi.
Quindi una crisi profonda dei paesi capitalisti dovuta al mutare dei rapporti economici con i paesi sottosviluppati.
Come si trova l'Italia, sul piano interno, a fronteggiare questa crisi? Noi comunisti diciamo che l'Italia affronta questa crisi in condizioni più drammatiche degli altri paesi occidentali. Da circa trenta anni assistiamo ad un tipo di sviluppo (promosso dai governi della D.C.) abnorme, distorto, irrazionale che si è mosso verso due obiettivi di fondo: spopolamento delle campagne nel Sud e rapida industrializzazione del Nord della penisola. Invece di risolvere la « questione meridionale » la D.C. l'ha esasperata. Creando così, da un lato, l'abbandono totale dell'agricoltura (sei milioni di ettari di terra incolti) dall'altro il congestionamento delle grandi città dei Nord (Milano, Torino, Genova) dando vita a problemi di natura sociale di enorme portata (case, trasporti, ospedali, ecologia, scuole, ecc.). Tutto questo al solo sco- di creare un esercito di manodopera dequalificata, spoliticizzata e soprattutto disposta a ricevere salari bassi. Quali sono stati i settori prevalenti in cui si è mossa l'industria? L'industria italiana ha posto al centro del suo sviluppo la costruzione di macchine ed autostrade; due settori collegati. Si è voluto creare il mito dell'automobile, delle belle strade e cioè, del consumismo fittizio, non essenziale. Milioni di italiani lavorano direttamente e per conto di questi settori. Ora, però questi settori sono in crisi. Le automobili non si vendono più come prima e le industrie del settore mettono i lavoratori a cassa-integrazione. I comunisti hanno sempre denunciato questo tipo di sviluppo tendente ad esasperare i consumi lo spreco, mentre si mortificavano le esigenze di una politica delle riforme, di una collettivizzazione della produzione. In definitiva, i comunisti hanno sempre sollecitato un tipo di industrializzazione collegata alla politica delle riforme -iù urgenti (casa, sanità, edilizia npolare, agricoltura, ecc.). Abbiamo sempre rivendicato l'esigenza di uno sviluppo dei trasporti pubblici che portasse al contenimento, alla dissaturazione del settore auto e a prezzi più giusti per i lavoratori per recarsi sul lavoro. Dall'altra parte gli Agnelli, e i padroni in genere, gioivano di quel miracolo economico degli anni '60, durante i quali si ebbe il boom delle vendite di auto. Ora però questi meccanismi sono in crisi; la politica del consumo privato è stata sconfessata, occorre cambiare strada. Il compagno Enrico
Berlinguer poneva una questiona di fondo nella sua relazione al C.C. del Partito. Egli ha parlato di un « duro sforzo del popolo italiano per uscire dalla crisi e avviarsi ver-) un superiore assetto politico 3 sociale. Ma a quali condizioni e verso quali obiettivi si deve articolare questo duro sforzo che il P.C.I. chiede al popolo lavoratore. Vi sono tre punti essenziali:
1) la necessità di una dura lotta della classe operaia e dei suoi alleati per costringere i monopoli alla necessaria riconversione produttiva che si inserisca nel discorso delle riforme. In questa direzione deve andare la lotta dei lavoratori FIAT; In questo momento la classe operaia deve più che mai uscire fuori dalla fabbrica; vi è la necessità che essa stessa in prima persona si faccia carico dei problemi della società investendo e coinvolgendo tutte le istituzioni proposte alla soluzione reale delle cose.
E l'iniziativa del Consiglio di fabbrica della FIAT di Cassino nel mese passato è andata in quella direzione. Si è sollecitata ed ottenuta una seduta del Consiglio Regionale del Lazio proprio a Cassino ed al centro del dibattito sono stati posti problemi quali:
un confronto con la FIAT, anche in contatto con le regioni interessate, per valutare le prospettive ed i programmi di investimento dell'azienda in relazione alla crisi del settore auto; affrontare con interventi urgenti i problemi della casa, o dei trasporti e dei servizi in generale.
una necessaria ridistribuzione dei redditi che lumini le ingiustizie retributive, le enormi differenze di compenso che esistono tra la classe operaia da una parte e professionisti e burocrati dall'altra.
E' necessario, quindi, dare rapida attuazione ai 'problemi posti dalla attuale vertenza sindacale, che vada nella direzione di un recupero salariale per i lavoratori.
la sicurezza e la consapevolezza che questi sforzi del popolo vadano nella direzione di un cambiamento profondo delle strutture economiche italiane e verso un superiore assetto della società.
Ma è chiaro che per raggiungere l'obiettivo di un nuovo sviluppo economico e sociale è necessario 'Alla svolta profonda, un cambiamento democratico della direzione politica nel paese; occorre in sostanza che una forza nuova, più ana, più legata al popolo abbia la giusta responsabilità del paese. Le forze che attualmente governano l'Italia non bastano, anche se lo volessero, a farci uscire dalla crisi. Quindi il Partito Comunista P! governo. Non si tratta, come dice il nostro segretario generale, di raggiungere in tempi brevi il socialismo perchè per esso non ci sono le condizioni interne e internazionali, ma di fare una nuova tappa della rivoluzione democratica e antifascista con la conquista nel nostro paese di elementi di socialismo che non sono propri di una società socialista ma che senza dubbio vanno nella sua direzione.
SILVIO ANTONELLIS operaio FIAT di Cassino
Per noi comunisti, rottura e distacco tra cultura e politica non possono esistere, perché lo sviluppo delle nostre posizioni ideali non può essere separato mai dalla nostra attività pratica. (P. Togliatti, dal rapporto al VI Congresso del PCI)
AA.VV. Trattato marxista di economia politica (2 voli.)
Amendola Fascismo e Mezzogiorno
Battaglia La seconda guerra mondiale
Battaglia Breve storia della Resistenza
Garritano italiana
Cervi I miei sette figli
Dobb Teoria economica e socialismo
Engeis L'evoluzione del socialismo
Gramsci Ouaderni del carcere (6 voll.)
Gramsci Scritti politici (3 volli
Lenin I giovani e il socialismo
lenin Un passo avanti e due indietro
Lenin Stato e rivoluzione
Lenin Che fare?
Lenin Lettera al Congresso
Lenin L'emancipazione della donna
Luxemburg Riforma sociale o rivoluzione?
Marx Salario prezzo e profitto
Marx Lavoro salariato e capitale
Marx Le lotte di
Con la convocazione del XIV Congresso stazionale del Partito, si svolgono all'interno delle fabbriche ampi dibattiti con tutti i lavoratori e vi è una forte elargizione di note e di documenti, che vogliono essere un contributo di sintesi, su cui questi dibattiti si devono poi sviluppare; inoltre vogliono servire a dare un contributo a tutte le sezioni, per stendere un piano di lavoro da far scaturire durante e dopo i congressi di sezione. Quello che mi pare sia interessante sottolineare è che i giovani soprattutto, all'interno delle Ferriere, stanno dando un contributo notevole di orientamento, interpretando in modo chiaro e netto i compiti nuovi e più avanzati del nostro partito, una sua funzionalità, in sostanza, non intesa in senso efficientistico, ma anche e soprattutto in senso politico, diretto a realizzare una presenza del partito fra le masse, fra i lavoratori, che sia sempre più ampia e qualificata.
In una assemblea tenuta alcuni giorni or sono, si è avuto un dibattito interessante per il modo con cui si è articolato, perchè giovani comunisti, nuovi iscritti e impegnati sindacalmente hanno preso la parola e hanno condotto il confronto sui problemi con vere coscienze da classe e spirito rivoluzionario.
Da interventi precedenti si era avuta la sensazione della presenza tra i lavoratori di un diffuso senso di impotenza, per il fatto di non riuscire a vedere sbocchi, rispetto alla soluzione della crisi del nostro paese; questo ovviamente pregiudicava la riuscita dello sciopero del 23 gennaio e paralizzava il movimento di lotta. Un giovane compagno in particolare, ha spiegato, con molta chiarezza, che lo scontro avviene su posizioni più avanzate, quindi più difficili da tenere; in sostanza le conquiste fatte ci hanno portato tendenzialmente ad andare avanti, il problema è di riuscire ad avere equilibri più avanzati che ci permettano poi di collocarci in una posizione di solidità politica. Non è possibile sottovalutare pur nelle difficoltà il livello di tenuta del movimento, il consenso popolare che attorno alle lotte operaie si è manifestato in vari modi, perchè costituisce la condizione di fondo per determinare nel paese un nuovo tipo di sviluppo.
La grande partecipazione alle lotte di autunno e d'inverno e alle grandi manifestazioni di piazza, indicano, dopo le difficoltà preferiali, come il movimento si sia rinsaldato, la cui forza ha consentito di resistere nei punti dove più duro è stato l'attacco portato dal padronato e dalle forze politiche ad esso legate.
Questo episodio che vede la funzione egemone del militante del partito, acquista maggiore consistenza se si sottolinea con forza, che questo giovane, come gli altri, si è iscritto alla nostra sezione da poco tempo ed è approdato al nostro partito, ricercando nei motivi ideali, la risposta alle sue esigenze di condizio-
ni, di lavoro, di studio, di vita morale e civile.
Al congresso nazionale, la questione giovanile sarà elemento di approfondito dibattito ed è per questo che l'esempio del giovane citato ci rende ancor più consapevoli che l'opera di educazione politica, ideale e culturale di massa deve rappresentare l'ossatura delle iniziative del partito.
Immensa è la capacità di attrazione degli ideali comunisti. La politica del PCI ha radici teoriche e culturali in un patrimonio di pensiero e di lotta, che ha saputo dare concretezza storica e politica alle prospettive di una rivoluzione democratica e socialista in Italia.
Importante quindi la battaglia per il proselitismo ideale, che richiede un nuovo fervore di impegno ideale e culturale, suscitando nei compagni l'abitudine alla lettura e allo studio, stimolando 'n passione per il dibattito e il confronto delle idee, stimolando la volontà di approfondire la conoscenza della storia d'Italia e dei popoli di tutto il mondo, la conoscenza delle ragioni più profonde che sono a fondamento della nostra politica e delle lotte delle masse lavoratrici. Ciò d'altra parte è nelle aspettative di tanti giovani, ragazze, lavoratori in genere, che vengono oggi al partito con una passione carica di interrogativi sulle ragioni delle nostre lotte, degli obiettivi immediati, delle prospettive che indichiamo al movimento operaio e democratico. Per questo che le letture collettive, le conferenze, il breve corso devono diventare attività permanenti nella vita del partito comunista e i vari quadri politici devono dedicare più tempo e applicazione personale allo studio per dare il contributo necessario allo sviluppo e all'orientamento del lavoro educativo di massa.
Luisa Bianco Impiegata (Ferriere) (TO)
E' evidente che nel dibattito congressuale noi Comunisti, sulla questione del « Compromesso storico » non possiamo fermarci — così come hanno invece fatto gli avversari di ogni tendenza — alla discussione ed al confronto intorno alla formulazione « volutamente provocatoria » ma dobbiamo invece compiere tutto io sforzo di analisi necessario per legarlo alla realtà del momento e farne diventare una necessaria « proposta e strategia dei Comunisti al Paese per uscire dalla crisi ».
Tale analisi deve necessariamente compiersi intorno alle questioni relative alle cause che hanno determinato l'attuale crisi, che ribadiamo essere sia economica e politica che ideale e culturale, sulla portata dello scontro di classe in atto da anni nel nostro Paese, sulla capacità del movimento di lotta nel suo insieme di far tesoro delle esperienze di questi anni, sulla capacità di formulare proposte concrete sul piano rivendicativo intorno alle quali realizzare l'aggregazione di vasti strati sociali e una sostanziale unità del movimento anche sul piano politico — organizzativo.
In concreto ritengo che, soprattutto nelle nostre organizzazioni di fabbrica — ma contemporaneamente tra queste ed i lavoratori più in generale — il dibattito
ed il confronto debba avvenire sulla questione, per dirla con Ariemma sul n. 48 di Nuova Società, dell'ampliamento necessario della base partecipativa e dello sviluppo della democrazia in tutti i campi che faccia passare la democrazia in fabbrica e nella società, un ampliamento ed uno sviluppo tendente alla ricerca di scelte politiche precise intorno alla questione del diverso modello di sviluppo, scelte che abbiano già alcuni contenuti di socialismo e che realizzino, già nella costruzione di tale partecipazione, un reale potere dei lavoratori fondato soprattutto su di una reale unità politica oltrechè sindacale.
Parto intanto dal registrare la denuncia che nei numerosi interventi in dibattiti di Partito ad ogni livello viene fatta, da un paio di mesi a questa parte da Compagni della FIAT e della INDESIT di Torino, della esistenza di una profonda crisi di identità e di ruolo ma soprattutto di rapporto con i lavoratori, dei delegati, dei Consigli di Fabbrica e delle assemblee.
Vi è contemporaneamente da parte dei lavoratori una crescente partecipazione alla lotta e una maggiore consapevolezza che le questioni sul tappeto oggi richiedono obiettivi e risposte su un piano più politico, una crescente domanda di confronto e di proposte alle forze politiche
contemporaneamente una dichiarata impotenza da parte degli strumenti della democrazia di fabbrica a rispondere a tali esigenze: sostanzialmente si stà restaurando un rapporto di delega tra lavoratori e sindacati, tra lavoratori e strutture democratiche di fabbrica.
Come mai tutto questo avviene in questo momento, momento nel quale anche l'uso strumentale della crisi in atto da parte del padrone tende a rendere più pericoloso l'attacco alla democrazia ed alla partecipazione e dovrebbe invece perciò vedere tali strumenti crescere e legarsi più strettamente ai lavoratori?
Vi è un nesso diretto tra crisi del modello di sviluppo e crisi di identità e di ruolo, crisi di rapporto con i lavoratori dei delegati e dei Consigli di fabbrica?
Se si, quale ne è la ragione principale?
La prima ragione può essere che vi è scarsa consapevolezza, o tale consapevolezza è in taluni assente, che a mettere in crisi il modello di sviluppo esistente nel nostro Paese non hanno giocato soltanto questioni di carattere internazionale energetiche ma, in particolare per il nostro Paese, il ruolo e la portata dello scontro di classe che la partecipazione ha messo in movimento in questi anni; mi spiego meglio:
in particolare alla FIAT, ma più in generale nelle grandi fabbriche torinesi, ci siamo posti — dopo la sconfitta degli anni 50 — il problema di riconquistare il rapporto di fiducia perduto con i lavoratoni, facendo un esame critico delle cause che anche nostri comportamenti oltrechè ovviamente del padrone potevano essere stati determinanti nella divisione politica e sindacale dei lavoratori; ci siamo posti il problema di capire cosa in quegli anni era avvenuto di mutamenti nella fabbrica, nella mentalità e nelle reali esigenze dei lavoratori.
Abbiamo iniziato e svolto cioè una politica «della concretezza» che, attraverso lo sbandieramento e la denuncia dei problemi di cui venivamo a conoscenza di volta in volta intorno alle questioni dell'autoritarismo e del falso paternalismo, della qualificazione, dei ritmi delle condizioni di lavoro, ha teso dapprima a destare interesse e poi rapporto di delega nei confronti del sindacato su tali problemi.
Abbiamo poi compreso che di per se stesso tutto ciò non bastava e che la sola conoscenza dei problemi, e di qui anche le proposte di soluzione più valide, non potevano determinare unità e lotta tra i lavoratori se tali proposte non scaturivano direttamente da un confronto reale da coloro che vivevano e subivano direttamente tali problemi, e abbiamo quindi orientato la nostra iniziativa per fare nascere questo tipo di partecipazione.
Il 69 è stato l'anno nel quale tale obbiettivo ha cominciato a concretizzarsi; i delegati e le assemblee dapprima in forma più o meno spontanea di verifica di controllo delle condizioni salariali di lavoro e poi come strumenti di contrattazione sono diventati un fatto reale riconosciuto.
Negli anni successivi l'accresciuto rapporto con i lavoratori, la coscenza dell'intreccio tra le questioni affrontate e il tipo di organizzazione della produzione dapprima e della società poi — alimentata anche dai tentativi delle forze pa-
dronali e delle forze politiche conservatrici e reazionarie di ricacciare indietro il movimento, hanno messo in moto un processo di iniziative di partecipazione e di lotta e di conquiste intorno alle questioni del come produrre, quanto produrre e dove produrre nella fabbrica e del come vivere nella società.
Se è reale questa sommaria analisi se è vero — come affermiamo da anni — che nel nostro paese non è possibile governare e programmare senza o contro i lavoratori, quale peso ha avuto questa crescita questo raggiunto livello di partecipazione nel determinare la crisi dell'attuale modello di sviluppo?
Se è vero che questo tipo di crescita della partecipazione — che è stato in grado in questi anni di aggregare in fabbrica e nella società, insieme alla classe operaia, un numero sempre crescente di tecnici della produzione, della medicina, della cultura, altri strati sociali — è una delle cause determinanti della crisi dell'attuale modello di sviluppo, quae peso hanno vauto certe illusioni pansiindacalii, certi rifiuti ad un confronto più streto con altre forze sociali, con le forze politiche, con gli strumenti tradizionali — istituzionali della democrazia, nel determinare l'incapacità o l'impossibilità di prevedere il momento di caduta, le proposte la lotta e la conquista fin da quei momenti di alcuni obiettivi di graduale trasformazione del modello di sviluppo attuale?
Se è vero tutto questo quale peso hanno avuto mal pretese, mal imposte, mal interpretate esigenze di autonomia dei sindacati, dei delegali e dei Consigli di Fabbrica nel determinare, nei fatti concreti, un rifiuto a promuovere una partecipazione politica maggiore (anche parEtica) dei lavoratori e a ridurre il ruolo delle strutture della democrazia in fabbrica e nella società a ruolo di « organizzazione del dissenso » all'interno dello attuate modello di sviluppo?
Se è vero tutto questo, sono o no cresciuti all'interno di un abito che si stà restringendo addosso, sono o no l'esigenza di cambiare rapidamente metodi, obiettivi e ruoli prima che lo spazio politico che hanno raggiunto sia cosl stretto da soffocarli?
Ritorno quindi alla questione iniziale: l'ampliamento necessario della base partecipava e l'ulteriore sviluppo della democrazia in tutti i campi che faccia passare la democrazia nella fabbrica e nella società, l'ampliamento e lo sviluppo necessario e tendente alla ricerca di precise scelte politiche intorno alla questione del diverso modello di sviluppo, scelte che abbiano già alcuni contenuti di socialismo e che realizzino, già nella costruzione di tale partecipazione, un reale potere dei lavoratori fondato su di una reale unità politica oltrechè sindacale può essere possibile, a mio avviso, se intanto queste strutture della democrazia e della partecipazione in fabbrica, rispondendo anche alla domanda politica dei lavoratori, assumono il ruolo di «'struttura portante dell'unità politica dei lavoratori » oltrechè di «struttura portante dell'unità sindacale ».
Ciò significa proporre, a cominciare dalla fabbrica, l'instaurazione di un diverso metodo di confronto tra le diverse forze politiche costituzionali, tra esse ed i lavoratori ed all'interno delle altre forze politiche i rapporti di direzione e di gestione del potere.
D'altra parte non può essere in quesa direzione che dobbiamo muoverci per garantire il successo dell'obiettivo che, con la conferenza degli operai Comunisti di Genova, ci siamo proposti per il riconoscimento del diritto di cittadinanza in fabbrica delle forze politiche?
Personalmente ritengo che oggi vi siano almeno due occasioni in più per porre nel nostro partito ed al lavoratori questa questione: la prima è che, lo ripeto, riconosciamo esservi una domanda nuova che viene dagli stessi lavoratori; l'altra è che, seppure in modo strumentale e demagogico, qualcosa in questa direzione si sta muovendo, o può essere sollecitato, a cominciare da certe sortite organizzative venute dal congresso della D.C. sarda.
Questo impone anche a noi delle scelte organizzative e politiche diverse? Stà al congresso rispondere, soprattutto stà alla capacità dei Comunisti dare risposte che rispondani alle reali esigenze di questo momento dei lavoratori, confrontando con essi le ipotesi di proposta.
A. Panosetti ex operalo Miraflori Meccanica
Radio, stampa padronale, televisione, anche durante questo ultimo periodo di forzato riposo, fine anno, non hanno cessato di riversare in mezzo all'opinione pubblica una serie di notizie, di Informazioni, di previsioni, sempre difficili, minacciose; dense nubi all'orizzonte, il futuro incerto.
Non è in discussione certamente la presenza di una crisi, non ciclica, crisi diversa che investe ed è insita nella struttura stessa del capitalismo, che è sfruttamento, oppressione del lavoratori, delle masse popolari, negazione di libertà e democrazia per i popoli e le Nazioni. Indubbiamente un bombardamento psicologico di tale natura e ampiezza crea tra i lavoratori incertezza, disorientamento, confusione, crea preoccupazioni, timori, interrogativi. Quale, il domani, come si presenta II futuro per il posto di lavoro, per il pieno orario, per la garanzia del salario? Intanto alcune riflessioni si pongono: l'automobile è in crisi in tutto il mondo, ma questa crisi dell'auto come viene affrontata negli altri Paesi?
In Germania, in Inghilterra, nella stessa America la crisi dell'auto è affrontata con una drastica riduzione di personale, con licenziamenti.
In Italia le lotte condotte dal '68 in poi certamente hanno determinato un mutamento, e lo avvertiamo. I•n altri paesi in momenti di difficoltà fl padrone riduce, licenzia, determina e decide senza concordare o discutere col Sindacato; in Italia, in altro periodo della nostra storia il padrone, sicuramente di fronte a prospettive difficili per un settore produttivo, sarebbe intervenuto decisamente sui livelli di occupazione, sull'orario, avrebbe licenziato.
La crisi del settore tessile, le scelte padronali, le conseguenze negative sono già chiari esempi. Oggi invece il padrone, e non certo per bontà sua, si incontra con i Sindacati dei lavoratori, discute sul numero di auto invendute, decide con le organizzazioni sindacali come ridurre la produzione senza riduzione degli occupati nell'industria del settore.
Non è trascurabile certo II merito delle strutture sindacali per questo mutamento dei rapporti tra padronato e rap-
Innanzi tutto penso sia giusto dare un giudizio largamente positivo di tutta la relazione del compagno Berlinguer, positiva la sua analisi così profonda in tutto e per gli elementi nuovi che vi sono a confronto di altre relazioni congressuali. In particolare voglio soffermarmi su due passaggi inseriti nel Il punto (per uscire positivamente dalla crisi italiana), al paragrafo 5 e 6. Qui Berlinguer dice (testuale) « li paese ha l'impressione di essere lasciato alla deriva da una classe dominante che non sa proporre obiettivi e prospettive che siano capaci di suscitare le energie migliori e di dare fiducia ».
Anche nell'attività di certi settori dell'amministrazione pubblica cosi come nella scuota, si constata un affievolimento di impegno che non giustifica la svogliatezza dei singoli ma la cui causa principale sta nel fatto che la direzione politica del paese niente fa per rendere consapevoli i cittadini delle ragioni sociali e personali di un severo impegno nel lavoro e nello studio non sa infondere
presentanti dei lavoratori, ma indubbiamente II merito maggiore di questa situazione che evolve, è legato al movimento operaio, alle lotte a vdlte lunghe e dure, estenuanti, condotte in questi anni: sono la conseguenza di un livello di maturità di coscienza politica che volge sempre più al positivo. Questa coscienza che ogni giorno evolve pone però problemi anche difficili: gestione delle lotte, gestione degli accordi acquisiti, direzione politica del movimento in un sempre più ampio e democratico rapporto di presenza, di partecipazione, di dibattito. In un paese, come l'Italia, dove si costruisce solo «d'auto » e dove per questa • divinità » si sono sacrificati settori produttivi in attivo e con prospettive positive, dove per decenni a questa divinità si sono offerte tutte le risorse economiche del paese, in questa Italia la crisi è più evidente e anche più grande, più profonda.
Ma questi elementi di valutazione che denunciano le cause e le responsabilità di governi e di partiti devono essere oggetto di seria riflessione: • l'auto • è responsabile della drammaticità dei problemi Nord-Sud, dell'abbandono delle campagne, della distruzione dell'agricoltura e zootecnia, dell'abbandono del mezzogiorno e della emigrazione forzata di massa, del congestionamento delle città, delle difficoltà e carenze dei servizi.
Uscire dalla crisi generale significa uscire anche da situazioni di difficoltà a livello locale.
Come uscire da questa crisi?
La bilancia dei pagamenti è in deficit, causa l'elevata quantità di prodotti alimentari importati; la situazione della nostra agricoltura qual'è?
Si impongono certo opere di trasformazione quali irrigazioni, sistemazioni fondiarie, bonifiche; al lavoratore che intende tornare alla terra occorre trovare aperta e facile la strada per il credito agevolato, per attrezzarsi, per ricostruire il patrimonio zootecnico, occorre capitale liquido per garantire alla famiglia il necessario per un periodo di tempo ragionevole.
Uscire dalla crisi significa rilancio della politica del Credito selezionato. li ri-
lancio dell'edilizia: l'edilizia è un settore fortemente trainante in Italia, nelle grandi città mancano scuole, ospedali, case a prezzo d'affitto equo, ma manca anche la volontà politica di agire nella direzione di superare questi limiti.
Il d'anelo del settore edile non solo allevierebbe i problemi urgenti e gravi di chi aspetta e cerca una casa a prezzo giusto, ma sarebbe occasione di rilancio di iniziative in una serie di settori collegati.
Il nodo di fondo per uscire dalla situazione difficile è il rilancio e lo sviluppo dell'agricoltura, blocco della stretta creditizia, rilancio settore edilizia, diversificazione produttiva, ma è anche rapporto stretto, sempre più stretto tra lotte di fabbrica e lotte sociali.
E' Indubbio che per portare avanti questi problemi occorrono anche strutture adeguate, con capacità politica di elaborazione di sintesi, capaci di rilanciare il movimento, e queste strutture sono I consigli intercategoriali di zona come strumenti strettamente legati ed emanazione dei Consigli di Fabbrica.
Non è certamente facile costruire i Consigli di Zona, occorre anche qui volontà politica, grande ferma coscienza politica della validità di questi strumenti, occorre superare quella visione, che an-
In tutta la collettività il senso dello Stato perchè essa stessa non lo ha, non sa insomma indicare una nuova prospettiva di sviluppo a tutta la nazione.
E più avanti riferendosi alle lotte in corso per la occupazione, il salario, le pensioni, dica ancora:
La lotta per questi obiettivi potrà farsi anche molto dura. Vi è però un orientamento che va tenuto fermo: evitare che i contenuti e le forme di lotta creino divisioni fra i lavoratori e suscitino incomprensioni od ostilità nella popolazione ».
Questi due passaggi legati insieme ci danno la possibilità di valutare ciò che sta avvenendo all'interno del movimento operaio oggi e nelle singole realtà in cui noi comunisti operiamo. Infatti questa mancanza di senso dello Stato e di sfiducia, si fa sempre più diffuso fra i lavoratori che oggi dopo tre mesi di lotta non hanno ancora visto uno sbocco positivo agli obiettivi posti e non hanno ancora toccato con mano risultati concreti.
A questa situazione si fa sem-
pre più, frequente la tendenza di accusare il sindacato di immobilismo e scarsa incisività, si tende a non distinguere il ruolo del sindacato da quello dei partiti e pertanto non capire che il sindacato giusto ad un certo livello si scontra con chi detiene il potere e che le riforme non le fanno le O.O.S.S. ma i partiti politici che dirigono il paese. Confusione, ed esasperazione portano a delle reazioni negative. Una di queste reazioni è ii ricercare la soluzione nei problemi individualmente, con le ore straordinarie, oppure il doppio lavoro, un'altra è quella delle forme di lotta corporative e settarie che invece di coinvolgere la partecipazione più ampia ed unitaria, alterano i contenuti delle proposte che oggi stanno alla base della vertenza in atto.
Lotte come l'autoriduzione, scioperi come sono avvenuti in alcuni ospedali a Roma ove si abbandonano i malati a se stessi oppure gli scioperi di ripicco alla RAI ove non si fa trasmettere la partita e altre trasmissioni e poi non si informa e sensibilizza l'opi-
cora esiste, limitata e troppo stretta dai problemi, quella stessa concessione di superiorità delle proprie forze, occorre puntare sull'unità delle forze date masse lavoratrici e popolari, sull'avvicinamento, sull'incontro, sull'unità delle forze politiche e democratiche e antifasciste che più si ritrovano e organizzano le masse popolari.
Nel '68-'69, problemi come • organizzazione del lavoro • si sarebbero affrontati senza uno schieramento unitario?
E' assurdo e utopistico pensare o credere di • sfondare » puntando solo sulle proprie forze. Il domani per il movimento, l'avvenire per le masse popolari è fondato e passa inevitabilmente attraverso l'incontro delle tre grandi componenti storiche, Comunista, Socialista e Cattolica. L'incontro di queste forze è l'elemento basilare che solo permette di partire per attaccare e sconfiggere la logica capitalistica, che solo permette di affrontare i problemi che sono crisi della società in cui viviamo — e la crisi dell'auto, è un solo elemento concorrente —, che permette di affrontare con serietà e grande volontà politica problemi sociali che da decenni pesano e travagliano il paese.
Luigi Ferrero Operaio Fiat Spa Sturanione pubblica dei contenuti e della loro vertenza in atto, non possono certo essere giudicate positive, non lo sono perchè in questo modo ci creiamo degli avversari nella cittadinanza, e questo non ce Io possiamo permettere in una situazione come la attuale, noi in questo momento abbiamo bisogno del consenso della gente, un consenso che sia il più largo possibile. Possiamo dire che non sempre il Sindacato è presente a superare ed evitare queste situazioni, questo però a mio avviso deve essere un motivo in più ad aumentare l'impegno di noi comunisti per operare e fare capire con chiarezza le cose, noi dobbiamo evitare che certe starture si manifestino nel movimento e riuscire a recuperare ove ve ne sia bisogno se vogliamo realizzare gli obiettivi che ci prefiggiamo e che la tematica congressuale indica con sufficiente chiarezza.
Ancora un aspetto della SpA Stura esterno Gianni Bertuzzi Operaio Fiat - Trattori ModenaGià nelle recenti vertenze aziendali ii movimento operaio delle Industrie aerospaziali, come alla Fiat e Fn altri grandi complessi, aveva saputo porsi obiettivi di lotta quailficanti quali: li controllo degli investimenti, lo sviluppo al sud, e nel caso della Aeritalla Il contratto unico delle partecipazioni statali.
Con II convegno tenuto recentemente si è fatto un altro passo in avanti ed il successo di partecipazione e di Interventi sta a garantire che non si tratta di acqui*Word di una avanguardia Illuminata, separata dal movimento, ma di un processo di maturazione che tende a coinvolgere tutti gli addetti del settore.
Nutrita è stata la presenza dei lavoratori dell'Aeritalia e di altri settori del trasporto, folte delegazioni da altre regioni, qualificate presenze di ricercatori, studiosi ed esponenti di altri partiti, numerosi e buoni sono stati gli interventi.
Le due relazioni introduttive presentate a nome della cellula del P.C.I. della Aeritalla di Torino dal sottoscritto Giovanni Papero e da Pier Luigi Gentile, hanno documentato abbondantemente le caratteristiche del settore aerospaziale.
E' questo un settore che ha conosciuto un grande sviluppo in seguito alle spese militari e per la corsa allo spazio.
L'anno di massima espansione è stato il 1968 al culmine dell'impegno americano nel Vletnem. Allora gli occupati nei paesi del mondo occidentale arrivarono alla cifra di circa due milioni e le vendite si aggiravano sul 20.000 miliardi di lire, circa il 40% del Reddito Nazionale lordo di quell'anno.
All'interno dl questo settore fa spicco l'assoluto predominio delle Industrie americane che in quell'anno occuparono ben 1.502.000 addetti (contro poco più di 400.000 in Europa) e vendettero da sole per circa 18.000 miliardi di lire. A seguito del disimpegno nel Vietnam, e delle riduzioni nelle spese governative per la difesa e lo spazio, le industrie americane si trovarono a dover fronteggiare una crisi di domanda di ingenti proporzioni. Esse reagirono ristrutturando radicalmente le aziende, gli occupati scesero a 922 mila nel 1972, accentuando la diversificazione ed incrementando le esportazioni, in ciò aiutate dalle due successive svalutazioni del dollaro del dicembre 1971 e del febbraio 1973.
id quasi monopolio del costruttori americani di velivoli civili si è pertanto accresciuto in questi ultimi anni passando dal 90,5% del mercato nel 1970 al 93,4% nel 1973. Le imprese degli USA hanno fatto sostanziali progressi soprattutto in Europa passando dal 69,9% nel
1970 811'81,0% nel mercato civile europeo nei 1973, mercato che in quell'anno era pari al 26,3% di quello complessivo del mondo occidentale.
L'Europa di fronte alla sempre più accanita concorrenza americana si trova con una gamma di ve-
livoli civili tecnicamente validi, costati anni di studi e ricerche e migliaia di miliardi di lire, che non trovano adeguati sbocchi sul mercato. Un enorme potenziale produttivo rimane sottoutilizzato (nel 1972 il fatturato per addetto era di 14 milioni e 100 mila lire negli USA contro i soli 7 milioni e 500 mila nella CEE) e rischia di venire definitivamente compromesso. L'industria aeronautica della CEE si trova in una situazione drammatica, i suoi oltre 400 mila occupati vedono ogni giorno di più minacciati I loro posti di lavoro. Ad aggravare la situazione vi è lo stato di dissesto economico di numerose compagnie di trasporto aereo a causa dell'aumento generale dei costi, esaltato dalla recente crisi petrolifera, ed a causa di una crescita del traffico inferiore _a quanto Incautamente previsto negli anni di euforia generale, quando fu dato il via all'acquisto eccessivo di velivoli a grande capacità. E' ora tempo di ridimensionamento in parecchie compagnie di trasporto con conseguenze sulla occupazione del settore stesso e di quello delle costruzioni per. il calo degli ordini di velivoli nuovi.
Venendo a parlare della situazione italiana la seconda relazione mette in evidenza come la politica nazionale aeronautica impostata a cavallo degli anni '70, mostri anche a distanza di breve tempo tutti i suoi limiti.
Ciò a causa della scarsa competenza nel settore da parte degli organismi governativi incaricati di elaborare le linee di sviluppo. Basti come esempio ricordare che la Commissione Lavori incaricata dal CIPE di esaminare le prospettive di sviluppo dell'industria aeronautica italiana, aveva Indicato come molto promettente il campo dei velivoli civili a decollo ed atterraggio corto per i quali in realtà non esiste e probabilmente non esisterà per ancora molti anni una seria prospettiva di mercato.
La relazione denuncia inoltre la incoerenza e le incapacità a livello governativo perché dopo avere definita una politica aeronautica, le cui carenze tecniche sono appena state accennate, le ha fatto poi mancare il necessario supporto finanziario.
Molto critica è anche la situazione della stessa Aeritalla: passivo dichiarato a tutto il 1973 di 25 miliardi, per id 1974 si prevede una ulteriore perdita di una trentina di miliardi. Anche in questo caso si denuncia il caos amministrativo e commerciale, l'irresponsabilità del management, la situazione di stallo di potere che ha già fatto cambiare 4 direttori generali ed ha già richiesto tre anni per l'introduzione di una nuova struttura organizzativa non ancora completata.
L'accordo Aeritalla-Boeing, che di fatto costituisce una spina nel piano di una auspicabile cooperazione europea e che si innesta in una tradizione di asservimento dell'industria aerospaziale italiana a
quella degli USA, in funzione sovente di ostacolare un possibile coagulo di forze europee, viene criticato non tanto per questi motivi che possono apparire di principio, quanto per i contenuti concreti.
Le vie di uscita da questa situazione che è stata sovente de' finita drammatica non sono né semplici né indolori. E' chiaro che sebbene si ritenga che l'industria aeronautica europea ed in essa quella italiana vadano salvate, ciò ,non può awenire senza una risoluta ristrutturazione del settore con la creazione di poche imprese o consorzi di imprese, capaci: di criticare la eccessiva proliferazione di progetti che si elidano a vicenda, di concentrare le energie su soluzioni che abbiano preventivamente garantito _uno sbocco, almeno sul mercato europeo, e capaci pertanto di avere gestioni economistiche.
Di fronte al gran numero di bisogni sociali ancora insoddisfatti nella maggior parte d'Europa sarebbe infatti grave distogliere ingenti risorse per coprire deficit di imprese gestite in maniera antieconomica, anche se di grande importanza industriale e strategica.
Altra via da percorrere è quella della diversificazione produttiva e della applicazione delle capacità sviluppate nel settore aerospaziale per la soluzione dei problemi più urgenti della collettività, quali: lotta agli Inquinamenti, automatizzazione degli ospedali, controllo del traffico urbano e simili.
Dei numerosi ed interessanti Interventi che speriamo vengano presto pubblicati con gli atti del convegno,' ricordiamo alcune importanti osservazioni del professor Giovanni Jarre del Politecnico di Torino,' il quale riallacciandosi a quanto rilevato nelle relazioni introduttive ha ricordato come gli europei abbiano sperato ottime occasioni di sviluppare autonoma. mente tecnologie di avanguardia quando gli USA, per gravosi impegni nel Vietnam e per la corsa alla lu,na non potevano competere In tutti I settori. Gli USA infatti sono riusciti ad, ostacolare gli sviluppi autonomi europei nel campo nucleare ed elettronico e ci hanno bloccato nel campo spaziale in cui, per il loro stesso massiccio impegno non temevano di perdere li primato.
Il professor Jarre ha dato anche atto al P.C.I. di aver maturato in questi ultimi anni una linea molto più evoluta sulla realtà del mondo industriale, comprendendo come la salvaguardia del patrimonio industriale del paese sia un problema di estrema rilevanza per la classe operaia. Neppure una lacrima fu versata nel 1964 quando la Generai Electric comperò il settore del calcolatori elettronici della Olivetti unicamente per chiuderlo e soffocare cosi sul nascere un possibile concorrente.
Per ultimo Jarre, pur rilevando il successo del convegno, ha osservato come la sua mancata caratterizzazione di partito può aver
nuociuto ad una più ampia partecipazione di competenza. Ha auspicato che riesca a riprendere il discorso in un ambito più vasto che veda le forze del sindacato, dei partiti, della ricerca, della scuola, farsi promotrici di un altro Incontro che sappia sviluppare l'ottimo lavoro fino ad ora svolto.
Nella sua ampia conclusione il compagno Lucio Libertini ha delineato iI quadro dei problemi che la nostra società deve affrontare e superare In questo periodo di grave crisi strutturale mondiale. All'interno dl questo ambito generale ha celato il problema nella ristrutturazione del settore aerospaziale che rappresenta un patrimo-
nio nazionale di mezzi e di esperienza che non deve andare perduto.
II P.C.I. non ha voluto né vuole monopolizzare il discorso sul settore aeronautico ed è ben disponibile a concorrere con altre componenti all'approfondimento dei temi trattati.
Il presente convegno ha voluto assolvere ad una funzione di richiamo e di stimolo per tutte le forze popolari che operano in Italia. sui temi della struttura industriale Italiana e delle necessarie riconversioni.
L'accordo FIAT è stato salutato positivamente nello stabilimento di Termini Imerese e nei comuni che prestano la mano d'opera a tale stabilimento.
Tutta la vicenda dalla prima fase (rottura delle trattative-cassa integrazione) a quest'ultima fase è stata seguita attentamente dagli operai e dalla popolazione della zona, non salo attraverso la stampa ma con iniziative specifiche. Nel Termitano si è riuscito a realizzare un vasto schieramento unitario, che accanto ai lavoratori FIAT, vedeva i numerosi edili rimasti disoccupati nello stesso tempo per la crisi del settcre, le forze sindacali, il nostro partito e come grande novità la presenza dei sindaci democristiani (fanfaniani) della zona, ed il loro leader sen. Carollo (anche se costui ha cercato di strumentalizzare l'iniziativa rimanendo schiacciato ed isolato dal movimento). Nella sala consiliare del comune di Termini su iniziativa del F.L.M., si è tenuta una conferenza, in cui è stata discussa la grave situazione che si era determinata nella zona, con la messa in cassa integrazione degli operai, con il ritardo del iompletamento della diga sul S. Leonardo e con la chiusura dei cantieri edili.
La classe operaia della FIAT è stata la protagonista di questa lotta, nella quale ha dimostrato la sua accresciuta maturità, facendo un salto di qualità, uscendo dal-
la fabbrica e trovando i temi su cui collegarsi alla popolazione della zona.
Su questa strada è possibile portare avanti la vertenza di zona varata dalla Conferenza indetta dalla FLM e tenutasi nel .giugno 73 a Termini.
Oggi assieme alle preoccupazioni più generali (crisi economica, caro-vita, etc...) permane quella legata al tipo di produzione dello stabilimento (FIAT 500 R); ed in questa direzione gli operai e i sindacati sono convinti che si debba aprire un discorso con la FIAT per vedere cosa si deve produrre.
Ora gli operai si apprestano a portare avanti quell'altra grande battaglia di democrazia, rinnovamento e progresso collegata ai decreti delegati sulla scuola. Le difficoltà sono dello stesso tipo di quelle per la cam-na del Referendum sul divorzio: non conoscenza del oblema, esclusione dei ceti più poveri dalla scuola, etc...
In questa direzione si è già mossa la FLM, che ha indetto un'assemblea dei genitori. Si è deciso di marciare sulla piattaforma proposta nel palermitano dalla Federazione CGIL-CISL-UIL, esistono le possibilità per realizzare liste unitarie, che vedano assieme le stesse forze che si sono impegnate nella lotta contro la cassa integrazione. Si può dire unità nella lotta, unità nelle elezioni. ITALO
La decisione di mettere in cassa integrazione circa 70.000 operai del settore auto, presa dalla Fiat nel mese di ottobre ha dato l'inizio anche nel nostro stabilimento, in precedenza adibito alla fusione di particolari per il settore auto, oltre che per i veicoli industriali e diversificati, ad una seconda fase di ristrutturazione e anche ad un inizio di riconversione produttiva nel giro di pochi anni.
La fonderia di Borgaretto prima del 1970 produceva fusioni: in ghisa, in alluminio pressofuso nonchè getti in leghe speciali per esperienze varie, era di proprietà dell'Aspera Frigo e occupava circa 900 operai che ruotavano 'sui tre turni; la situazione ambientale non era delle più brillanti (vi erano alte percentuali di operai affetti da silicosi); la classe operaia era in prevalenza proveniente dal Sud, ed in parte formata da operai licenziati da altri stabilimenti durante gli anni '50.
Dopo il passaggio alla Fiat avvenuto nel 1970 si verificò la prima ristrutturazione che causò la riduzione degli operai a circa 800 (attuando trasferimenti in altre sezioni). Furono prese decisioni che portarono all'eliminazione della fusione di particolari in ghisa e in pressofusione, potenziando invece la fusione di getti in conchiglia ed in terra. Da una produzione di pochi getti per tipo si passò quindi ad una produzione ín serie specie di particolari per il settore auto (condotti di aspirazione per quasi tutti i tipi di auto — scatole sterzo), inoltre anche il reparto produzione getti speciali (aereonautici) subì una trasformazione e venne potenziato.
Con dure lotte si costrinse la Fiat ad intervenire per il miglioramento della situazione ambientale ed in questo campo si registrarono interessanti risultati.
Indubbiamente tale ristrutturazione comportò dei problemi al movimento:
i mutati rapporti di forza tra le strutture sindacali e l'azienda (il passaggio alla Fiat significò maggior difficoltà nell'incidere con le lotte, inoltre un certo riflusso del movimento almeno all'inizio dovuto al miraggio: « E' arrivata la Fiat e staremo bene », nonchè il trasferimento da altre sezioni Fiat di attivisti idel Sida che in un primo momentS riuscirono ad inserirsi in mezzo ai lavoratori con metodi clientelari);
l'incidenza della dequalificazione che la ristrutturazione comportò, passando da una produzione quasi artigianale ad una produzione in serie.
Dopo alcune conquiste fatte dal -movimento operaio in gene-
rale, anche a Borgaretto la situazione iniziò a migliorare, si avanzarono proposte e richieste alla Direzione che portarono con la lotta al recupero del movimento, si riuscì quindi a respingere la logica Fiat di decidere da sola anche l'ubicazione di macchinari in uno spazio che si faceva già troppd stretto, i metodi autoritari di alcuni capi provenienti da altre sezioni subirono dure risposte dagli operai.
La qualificazione affrontata con l'inquadramento unico migliorò sensibilmente: si riuscì a costringere l'azienda alla contrattazione con il Consiglio di fabbrica arrivando a concordare dei profili professionali in ogni area di lavoro, respingendo tutte le strumentalizzazioni fatte dalle
Fiat durante la trattativa con degli scioperi interni, che hanno sempre visto una partecipazione pressochè totale, riuscendo ad impegnare la azienda su questo punto ad una verifica mensile dei passaggi di categoria, passaggi che dal mese di aprile 1974 al dicembre 1974 sono stati per gli operai 362 su una forza di 747 (36 dal 4° al 5° livello, 102 dal 3° al 4° livello, 224 dal 2° al 3° livello).
Indubbiamente su questo punto ancora molto resta da fare, alcuni ritardi come quello dell'applicazione dell'inquadramento unico per gli impiegati vanno recuperati, ma nel complesso proprio per la partecipazione che vi è stata da parte degli operai su questo tema, il giudizio sia sul metodo adottato che sui risultati ottenuti è senz'altro positivo.
La seconda fase di ristrutturazione ebbe inizio pochi mesi fa, subito dopo le ferie dell'agosto '74 si iniziò poco per volta a smantellare un reparto adibito a lavori di grandi serie (condotti aspirazione), reparto che era stato impiantato solo da 3 anni, ci dissero in un primo tempo che bisognava trovare spazio per allargare il reparto « fusione getti in terra » (adibito particolarmente a produzioni per il settore veicoli industriali) per far fronte alle enormi richieste che vi erano in tale settore.
Solo in un secondo tempo, cioè all'annuncio unilaterale della Fiat di mettere a cassa integrazione migliaia di addetti al settore auto tra cui anche centinaia di operai delle fonderie di Carmagnola venne recepito il vero motivo: trasferire quelle produzioni a Carmagnola per ridurre in quello stabilimento gli operai da mettere ín cassa integrazione e creare un clima di minaccia del'loccupazione anche a Borgaretto.
La manovra è tutt'ora in atto, dopo il trasferimento di quei particolari, gli operai vennero
spostati alla produzione di « getti fusi in terra » senza che nei reparti smantellati avvenissero delle iniziative atte a far credere l'immissione di altri particolari.
Alle precise richieste avanzate alla Direzione del personale dal Comitato ambiente sul futuro dello stabilimento, che oggi fa parte del GAD (gruppo attività diversificate) il 9/1/75 il capo personale sig. Lisa rispose dicendo: « Per tutto il 1975 vi è lavoro garantito con commesse in corso, per il futuro stiamo attrezzando lo stabilimento per produzioni di alto contenuto tecnologico, vi sarà un potenziamento del reparto fusioni terra e di esperienze ».
A questa risposta abbastanza evasiva necessita una presa di posizione sia del Consiglio di fabbrica che del movimento per chiarire alcuni dubbi:
vi è la garanzia del lavoro per il 1975, ma non la garanzia di sostituire gli operai che vanno in pensione o si ho _alano durante tale periodo; le produzioni di alto contenuto tecnologico vanno bene, certamente non quelle di cui si vocifera nei reparti interessati, cioè nuove fusioni per mezzi militari (carri armati o aerei da cambattimento).
Ad una presa di posizione delle Organizzazioni sindacali alla necessaria risposta operaia è indispensabile che si accompagni una risposta politica.
Non possiamo accettare che mentre il paese sta attraversando un'a pesante crisi economica dovuta agli indirizzi produttivi sbagliati sostenuti dalle forze politiche che in questi ultimi 25 anni hanno avuto responsabilità di Governo, sta ancora ehi pensa che la riconversione produttiva vada fatta potenziando la costruzione di armi o materiale bellico!
Dobbiamo quindi lottare affinchè vengano considerate in primo luogo le reali necessità della gente e quindi del paese: trasporti, casa, scuola, sono le prime esigenze per l'inversione di tendenza e che da anni attendono di essere soddisfatte. Per questo il nostro stabilimento può svolgere un ruolo importante nella fornitura di particolari per i 30.000 autobus richiesti dalle Regioni.
Occorre quindi un. Governo che anzichè stanziare miliardi per settori che vanno contro il necessario soddisfacimento dei bisogni, sposti tali stanziamenti e inizi una politica in settori che soddisfino le esigenze dei lavoratori, di settori che vadano verso le esigenze del paese e nel'linteresse collettivo.
La valutazione di Wiler Manfredini, operaio, segretario della Sezione PCI Mirafiori Meccanica su un intervista rilasciata a NUOVA SOCIETA' da Gianmaria Rossignolo, direttore della « Sezione Sviluppo Aziendale
Sul numero 47 di « Nuova Società è apparsa un'intervista a Gian Mario Rossignolo, responsabile dello sviluppo aziendale della Fiat, nel quadro di una discussione sul destino dello sviluppo della Fiat alla luce dei problemi del settore auto inseriti nel contesto della crisi automobilistica mondiale.
Se si possono osservare, le novità di alcune proposte e la spregiudicatezza con cui respinge strategie economiche dei massimi dirigenti ed economisti Fiat, noi possiamo rilevare come alcune sue affermazioni dimostrano nei fatti le grandi contraddizioni che hanno caratterizzato il comportamento della Fiat.
Una prima constatazione che occorre fare è che se possono intimorirci le affermazioni critiche sulla politica dei governi che hanno diretto la politica economica italiana, non possono fare a meno di ricordare che la Fiat è stata l'industria che ha costantemente subordinato investimenti produttivi e lo sviluppo economico sempre più legati alla logica del suo -sviluppo industriale automobilistico. Ancora oggi le posizioni della Fiat si muovono in questa direzione. Fa ricadere sul potere politico incapacità politiche e mancanza di linee economiche adeguate (il che è vero) solo per giustificare la reale non volontà di cambiare produzione, e soprattutto di investire in produzioni e in luoghi da lungo tempo espressi dal movimento operaio e dalle OO.SS.
Ora non si può dire che la Fiat vuole affrontare la questione vitale dell'economia mondiale e nazionale attraverso un confronto dialettico con la controparte, sostenendo per quanto riguarda l'accordo di novembre, che è importante affrontare insieme la riconversione e la scelta dei nuovi settori di attività e poi tergiversare al tavolo delle trattative, con cifre e numeri, per giustificare la volontà politica di fare esattamente il contrario.
Nella logica del sistema capitalistico moderno, s'è Inserita anche la ex Sezione Fiat Direzione Ricambi, diventata con l'inizio del corrente anno una HOLDING internazionale a tutti gli effetti, con capitale misto nazionale-tedesco, e di innumerevoli altre nazionalità.
Ma non è di questo che in questa sede vogliamo parlare, pur se l'argomento meriterebbe ampia trattazione e dibattito, bensì di alcuni dati e fatti oggettivi che formano la realtà giornaliera di una fabbrica con la quale noi comunisti, dobbiamo ogni giorno scontrarci e misurarci, per valutare criticamente le nostre capacità politiche e di lotta volte a mutare metodi, stili e modi di sviluppo capitalistici ancorati al passato, privi comunque di un effettivo contatto con la realtà presente, rappresentata soprattutto dalle grandi istanze delle masse operaie, sulla quale è indispensabile si sviluppi un ampio dibattito.
Primo fra tutti spicca denso di contenuti socio-politici e con una sua grande emblematicità questo fatto: la mano d'opera ricambi che assommava precedentemente a 1.200 lavoratori, a causa del trasferimento nell'area di Volvera di tutto il settore immagazzinaggio ricambi autoveicoli, il cui organico dovrebbe raggiungere le 1.700 unità, in massima parte già coperto con operai provenienti da svariate sezioni in particolare del gruppo Moto, risulta attualmente composto di 837 unità in forza al G.V.I.. Premesso che questa zona dista da Torino una quarantina di chilometri va rilevato che non si è provveduto da parte della Fiat all'apprestamento del servizi necessari, vedi trasporti, scuole, case, ecc., per venire incontro ai bisogni della collettività, attuando come di consueto una politica di speculazione sulle aree fabbricabili del luogo, vero e forse unico scopo del trasferimento di cui sopra.
Dobbiamo quindi rifarci all'accordo stipulato fra le organizzazioni sindacali e la Fiat in data 6-7-1973 il quale pur se con qualche limite, dovuto alla scarsa incisività della lotta, rappresentava comunque un punto qualificante e di sbocco della rivendicazione in oggetto, in cui si individuavano concordemente i limiti delle aree trasferibili, i casi di incompatibilità (vedi anziani, donne 45 e uomini 50 anni, invalidi, ecc.) e lo spazio riservato ad un ulteriore dialogo fra le parti.
Ma nel momento in cui veniva siglato l'accordo si scopriva la doppia faccia della Direzione Ricambi, la quale con decisioni
Non si può dire che per quanto riguarda il problema della direzione produttiva che l'azienda ha diversificato investimenti più di quanto non si creda. Il dott. Rossignolo sa benissimo che cosa intendiamo noi per diversificazione produttiva e non è certamente dimostrandoci operazioni finanziarie, il controllo sul mercato del settore veicoli industriali, incorporando due aziende estere, e attraverso il controllo del pacchetto azionario della Allis americana, che si dimostra la volontà politica di diversificare il tipo di produzione, e di sviluppo aziendale.
La direzione Fiat sa benissimo che cosa chiediamo (e si lotta ancora oggi) per diversificazione prodcttiva, investimenti per costruire stabilimenti nuovi, nel mezzogiorno, per produzioni diverse da quella automobilistica ,e non comuni operazioni finanziarie per diventare sempre di più una industria multinazionale e sempre meno vincolata allo sviluppo occupazionale del nostro paese. Certo che l'Italia ha bisogno di instaurare rapporti economici, commerciali e politici in modo autonomo con altri paesi, soprattutto con i paesi del terzo mondo. Ma questi rapporti presuppongono una autonomia politica, prima di tutto dagli Stati Uniti (ma ancre dalle multinazionali), oltre al superamento di quella divisione del mercato del lavoro, che tanta fortuna fece fare alla Fiat.
Se poi teniamo conto che stanno mutando i rapporti economici e politici in favore di questi paesi oltre che dei paesi socialisti, non• si riesce a capire a quali fini la Fiat può fornire un contributo decisivo con la sua preziosa esperienza di organizzazione del lavoro. Non dimentichiamo che questa organizzazione del lavoro è contestata ogni giorno dai lavorator,i e che in quei paesi dove la Fiat ha stipulato accordi per impiantare stabilimenti, il modo come è organizzato il lavora è profondamente diverso.
unilaterali e provocatorie in spregio agli accordi precedentemente sottoscritti, dava inizio all'operazione trasferimento coinvolgendo anziani, invalidi, persone fuori dai limiti di confine, seguendo la sua logica pianificata di sfruttamento della forza lavoro; e qui è bene rimarcare almeno un episodio: la farsa delle dimissioni in blocco per i fatti citati (per non prendere posizione contro la direzione) del Consiglio Direttivo Anziani Fiat (organismo voluto e creato dall'azienda ancora sotto la gestione vallettiana, per perpetuare i miti del lavoro, dell'obbedienza alle gerarchie, della collaborazione).
In questo contesto si è inserita la battaglia degli organi sindacali, all'esterno e all'interno del luogo di lavoro, primo fra tutti il Consiglio di fabbrica, il quale con responsabilità e chiarezza, unitariamente ha rintuzzato tutti i tentativi direzionali di debordare dagli accordi precedentemente stipulati.
Vogliamo qui ricordare la lunga e dura battaglia del reparto traslatori durata ben 30 giorni, che pur tra contrasti e dibattiti ha portato ad una grande vittoria della classe operaia, con l'accordo sulla qualificazione per il quale beneficiano attualmente 30 lavoratori che hanno acquisito per la prima volta alla Ricambi, il diritto ad una formazione veramente professionale; lotte queste che hanno visto in primo piano, responsabilmente i comunisti. Non bisogna però scordare la realtà presente, I problemi connessi alla ristrutturazione in corso nelle officine e negli uffici; la dequalificazione, la parcellizzazione del lavoro, i nuovi metodi di sfruttamento comuni ad operai ed impiegati.
In questo quadro si colloca il problema della manodopera ricambi che raggiunge punte altissime di dequalificazione dovute in parte all'effettivo tipo di lavoro svolto nella sezione e che apre sbocchi importantissimi per ciò che riguarda una politica rivendicativa d'organizzazione e di valorizzazione del posto di lavoro, specie per quello che riguarda la condizione della donna all'interno dello stabilimento.
Infatti la più alta percentuale delle sala-. riate femminili esistenti alla Ricambi è da collocarsi in categorie, certamente non corrispondenti alle prestazioni svolte: pari al 2" ed in casi eccezionali al 3° livello. Tale situazione è anche dovuta al fatto che alla Ricambi non vi sono lavori di produzione tipo linee di montaggio, inoltre la maggior parte degli operai proviene da sezioni pro-
E' disposta la Fiat ad inserire nella logica, come « industria di produzioni metalmeccaniche » di una economia italiana finalmente programmata, in modo democratico, dove programmati sono anche i rapporti commerciali con paesi del terzo mondo, rapporti stipulati su basi di parità? Per arrivare a questo, occorre, da una parte un potere politico adeguato (noi comunisti rappresentiamo una valida alternativa al governo attuale) e dall'altra una economia che abbia introdotto nella sua pianificazione quegli elementi di socialismo, che sono alla base di una nuova politica economica, per cui quali intenzioni nuove può dimostrare la Fiat a sostegno di questo necessario interessamento?
Non crediamo siano realizzabili due cose, prospettate da Gian Mario Rossignolo. La prima è quella della assoluta necessità di abbandonare la CEE per sfuggire dallo stato di « vassallaggio » che l'Italia subisce dagli altri paesi europei come la Germania, per avere così matematicamente rapporti commerciali con altri stati, partendo da posizione di presunta neutralità. La seconda riguarda le aspirazioni della Fiat di contribuire a risolvere i problemi del vivere civile offrendo al potere politico, piani e contributo tecnico scientifico, per la costruzione di città, di ospedali, per organizzare in modo diverso i territori.
Perchè? Non è più pensabile risolvere problemi creati dalla stessa Fiat, e dal servilismo dei governi DC, «offrendo » contributi al potere politico, le cose non sono cambiate solo socialmente, ma anche politicamente, per cui la Fiat avrà sempre meno possibilità di « offrire » qual cosa, al potere politico, ma deve sempre di più « obbedire » al potere politico. Anche di questo, soprattutto di questo, stanno discutendo i comunisti della Fiat nei loro congressi.
duttive ad alti livelli di sfruttamento, con una cartella sanitaria voluminosissima per ciò che riguarda le malattie cosidette professionali: silicosi, TBC, tra le più correnti, per non parlare di traumatizzati ai vari arti.
E' nostra certezza comunque che il Consiglio di fabbrica, come d'altronde già nel passato, affronterà la questione in oggetto, per dare luogo a forme di lotta che porteranno alla soluzione del problema specifico.
Per ciò che concerne la condizione impiegati, oltre alle considerazioni generali di cui sopra, siamo in presenza di fattori vasti e complessi, comuni a tutte le categorie; ma presenti in modo macroscopico nella nostra sezione.
Un punto importante da evidenziare è quello della scarsa o quasi nulla qualificazione, impiegati (al 90% del casi) ridotti al ruolo di passacartg o di amanuensi copisti, ne consegue una mortificazione fortissima di tutto ciò che è stato il bagaglio pur limitato acquisito a livello scolastico, la dispersione di energie intellettive rilevanti.
In questa situazione s'inserisce il problema della cassa integrazione in atto in vasti settori della Fiat, la quale pur se nei momenti attuali non coinvolge la Ricambi, non è da sottovalutare come fattore di forte presa psicologica sui lavoratori, quindi questo deve essere oggetto di attenzione e di dibattito da parte di noi comunisti nell'interno degli uffici e delle squadre.
Non va sottaciuto infine Il tentativo padronale, nel quadro dell'attuale crisi internazionale, di portare avanti in modo massiccio i suoi disegni di ristrutturazione e di rivalsa sulla classe operaia, di cui alla Ricambi abbiamo alcuni esempi significativi, vedi l'aumento dei carichi di lavoro, il taglio dei tempi, la mobilità indiscricninata della mano d'opera, il tentativo nella nostra sezione da parte di alcuni notabili molto vicini a determinati ambienti politici e Imprenditoriali, di inserire nel movimento unitario elementi provocatori e di frattura.
Sta a noi quindi come lavoratori e come comunisti, tenendo ferma l'attenzione alla realtà politica ed economica del momento, far scaturire dai fatti nelle fabbriche, nella Ricambi, tutti quei fattori di dibattito e di analisi per individuare concreti momenti unitari di lotta, che coinvolgano operai e impiegati pure sui grandi obiettivi individuati dalle grandi lotte sindacali in corso.
La Cellula Ricambi del P.C31.