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I lavoratori Fiat verso il XIV Congresso del PCI
from I Duecentomila1
FERRIERE TORINO Giovani comunisti in fabbrica
Con la convocazione del XIV Congresso stazionale del Partito, si svolgono all'interno delle fabbriche ampi dibattiti con tutti i lavoratori e vi è una forte elargizione di note e di documenti, che vogliono essere un contributo di sintesi, su cui questi dibattiti si devono poi sviluppare; inoltre vogliono servire a dare un contributo a tutte le sezioni, per stendere un piano di lavoro da far scaturire durante e dopo i congressi di sezione. Quello che mi pare sia interessante sottolineare è che i giovani soprattutto, all'interno delle Ferriere, stanno dando un contributo notevole di orientamento, interpretando in modo chiaro e netto i compiti nuovi e più avanzati del nostro partito, una sua funzionalità, in sostanza, non intesa in senso efficientistico, ma anche e soprattutto in senso politico, diretto a realizzare una presenza del partito fra le masse, fra i lavoratori, che sia sempre più ampia e qualificata.
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In una assemblea tenuta alcuni giorni or sono, si è avuto un dibattito interessante per il modo con cui si è articolato, perchè giovani comunisti, nuovi iscritti e impegnati sindacalmente hanno preso la parola e hanno condotto il confronto sui problemi con vere coscienze da classe e spirito rivoluzionario.
Da interventi precedenti si era avuta la sensazione della presenza tra i lavoratori di un diffuso senso di impotenza, per il fatto di non riuscire a vedere sbocchi, rispetto alla soluzione della crisi del nostro paese; questo ovviamente pregiudicava la riuscita dello sciopero del 23 gennaio e paralizzava il movimento di lotta. Un giovane compagno in particolare, ha spiegato, con molta chiarezza, che lo scontro avviene su posizioni più avanzate, quindi più difficili da tenere; in sostanza le conquiste fatte ci hanno portato tendenzialmente ad andare avanti, il problema è di riuscire ad avere equilibri più avanzati che ci permettano poi di collocarci in una posizione di solidità politica. Non è possibile sottovalutare pur nelle difficoltà il livello di tenuta del movimento, il consenso popolare che attorno alle lotte operaie si è manifestato in vari modi, perchè costituisce la condizione di fondo per determinare nel paese un nuovo tipo di sviluppo.
La grande partecipazione alle lotte di autunno e d'inverno e alle grandi manifestazioni di piazza, indicano, dopo le difficoltà preferiali, come il movimento si sia rinsaldato, la cui forza ha consentito di resistere nei punti dove più duro è stato l'attacco portato dal padronato e dalle forze politiche ad esso legate.
Questo episodio che vede la funzione egemone del militante del partito, acquista maggiore consistenza se si sottolinea con forza, che questo giovane, come gli altri, si è iscritto alla nostra sezione da poco tempo ed è approdato al nostro partito, ricercando nei motivi ideali, la risposta alle sue esigenze di condizio- ni, di lavoro, di studio, di vita morale e civile.
Al congresso nazionale, la questione giovanile sarà elemento di approfondito dibattito ed è per questo che l'esempio del giovane citato ci rende ancor più consapevoli che l'opera di educazione politica, ideale e culturale di massa deve rappresentare l'ossatura delle iniziative del partito.
Immensa è la capacità di attrazione degli ideali comunisti. La politica del PCI ha radici teoriche e culturali in un patrimonio di pensiero e di lotta, che ha saputo dare concretezza storica e politica alle prospettive di una rivoluzione democratica e socialista in Italia.
Importante quindi la battaglia per il proselitismo ideale, che richiede un nuovo fervore di impegno ideale e culturale, suscitando nei compagni l'abitudine alla lettura e allo studio, stimolando 'n passione per il dibattito e il confronto delle idee, stimolando la volontà di approfondire la conoscenza della storia d'Italia e dei popoli di tutto il mondo, la conoscenza delle ragioni più profonde che sono a fondamento della nostra politica e delle lotte delle masse lavoratrici. Ciò d'altra parte è nelle aspettative di tanti giovani, ragazze, lavoratori in genere, che vengono oggi al partito con una passione carica di interrogativi sulle ragioni delle nostre lotte, degli obiettivi immediati, delle prospettive che indichiamo al movimento operaio e democratico. Per questo che le letture collettive, le conferenze, il breve corso devono diventare attività permanenti nella vita del partito comunista e i vari quadri politici devono dedicare più tempo e applicazione personale allo studio per dare il contributo necessario allo sviluppo e all'orientamento del lavoro educativo di massa.
Luisa Bianco Impiegata (Ferriere) (TO)
Compromesso Storico
Necessario
l'ampliamento della partecipazione operaia
E' evidente che nel dibattito congressuale noi Comunisti, sulla questione del « Compromesso storico » non possiamo fermarci — così come hanno invece fatto gli avversari di ogni tendenza — alla discussione ed al confronto intorno alla formulazione « volutamente provocatoria » ma dobbiamo invece compiere tutto io sforzo di analisi necessario per legarlo alla realtà del momento e farne diventare una necessaria « proposta e strategia dei Comunisti al Paese per uscire dalla crisi ».
Tale analisi deve necessariamente compiersi intorno alle questioni relative alle cause che hanno determinato l'attuale crisi, che ribadiamo essere sia economica e politica che ideale e culturale, sulla portata dello scontro di classe in atto da anni nel nostro Paese, sulla capacità del movimento di lotta nel suo insieme di far tesoro delle esperienze di questi anni, sulla capacità di formulare proposte concrete sul piano rivendicativo intorno alle quali realizzare l'aggregazione di vasti strati sociali e una sostanziale unità del movimento anche sul piano politico — organizzativo.
In concreto ritengo che, soprattutto nelle nostre organizzazioni di fabbrica — ma contemporaneamente tra queste ed i lavoratori più in generale — il dibattito ed il confronto debba avvenire sulla questione, per dirla con Ariemma sul n. 48 di Nuova Società, dell'ampliamento necessario della base partecipativa e dello sviluppo della democrazia in tutti i campi che faccia passare la democrazia in fabbrica e nella società, un ampliamento ed uno sviluppo tendente alla ricerca di scelte politiche precise intorno alla questione del diverso modello di sviluppo, scelte che abbiano già alcuni contenuti di socialismo e che realizzino, già nella costruzione di tale partecipazione, un reale potere dei lavoratori fondato soprattutto su di una reale unità politica oltrechè sindacale.
Parto intanto dal registrare la denuncia che nei numerosi interventi in dibattiti di Partito ad ogni livello viene fatta, da un paio di mesi a questa parte da Compagni della FIAT e della INDESIT di Torino, della esistenza di una profonda crisi di identità e di ruolo ma soprattutto di rapporto con i lavoratori, dei delegati, dei Consigli di Fabbrica e delle assemblee.
Vi è contemporaneamente da parte dei lavoratori una crescente partecipazione alla lotta e una maggiore consapevolezza che le questioni sul tappeto oggi richiedono obiettivi e risposte su un piano più politico, una crescente domanda di confronto e di proposte alle forze politiche contemporaneamente una dichiarata impotenza da parte degli strumenti della democrazia di fabbrica a rispondere a tali esigenze: sostanzialmente si stà restaurando un rapporto di delega tra lavoratori e sindacati, tra lavoratori e strutture democratiche di fabbrica.
Come mai tutto questo avviene in questo momento, momento nel quale anche l'uso strumentale della crisi in atto da parte del padrone tende a rendere più pericoloso l'attacco alla democrazia ed alla partecipazione e dovrebbe invece perciò vedere tali strumenti crescere e legarsi più strettamente ai lavoratori?
Vi è un nesso diretto tra crisi del modello di sviluppo e crisi di identità e di ruolo, crisi di rapporto con i lavoratori dei delegati e dei Consigli di fabbrica?
Se si, quale ne è la ragione principale?
La prima ragione può essere che vi è scarsa consapevolezza, o tale consapevolezza è in taluni assente, che a mettere in crisi il modello di sviluppo esistente nel nostro Paese non hanno giocato soltanto questioni di carattere internazionale energetiche ma, in particolare per il nostro Paese, il ruolo e la portata dello scontro di classe che la partecipazione ha messo in movimento in questi anni; mi spiego meglio: in particolare alla FIAT, ma più in generale nelle grandi fabbriche torinesi, ci siamo posti — dopo la sconfitta degli anni 50 — il problema di riconquistare il rapporto di fiducia perduto con i lavoratoni, facendo un esame critico delle cause che anche nostri comportamenti oltrechè ovviamente del padrone potevano essere stati determinanti nella divisione politica e sindacale dei lavoratori; ci siamo posti il problema di capire cosa in quegli anni era avvenuto di mutamenti nella fabbrica, nella mentalità e nelle reali esigenze dei lavoratori.
Abbiamo iniziato e svolto cioè una politica «della concretezza» che, attraverso lo sbandieramento e la denuncia dei problemi di cui venivamo a conoscenza di volta in volta intorno alle questioni dell'autoritarismo e del falso paternalismo, della qualificazione, dei ritmi delle condizioni di lavoro, ha teso dapprima a destare interesse e poi rapporto di delega nei confronti del sindacato su tali problemi.
Abbiamo poi compreso che di per se stesso tutto ciò non bastava e che la sola conoscenza dei problemi, e di qui anche le proposte di soluzione più valide, non potevano determinare unità e lotta tra i lavoratori se tali proposte non scaturivano direttamente da un confronto reale da coloro che vivevano e subivano direttamente tali problemi, e abbiamo quindi orientato la nostra iniziativa per fare nascere questo tipo di partecipazione.
Il 69 è stato l'anno nel quale tale obbiettivo ha cominciato a concretizzarsi; i delegati e le assemblee dapprima in forma più o meno spontanea di verifica di controllo delle condizioni salariali di lavoro e poi come strumenti di contrattazione sono diventati un fatto reale riconosciuto.
Negli anni successivi l'accresciuto rapporto con i lavoratori, la coscenza dell'intreccio tra le questioni affrontate e il tipo di organizzazione della produzione dapprima e della società poi — alimentata anche dai tentativi delle forze pa- dronali e delle forze politiche conservatrici e reazionarie di ricacciare indietro il movimento, hanno messo in moto un processo di iniziative di partecipazione e di lotta e di conquiste intorno alle questioni del come produrre, quanto produrre e dove produrre nella fabbrica e del come vivere nella società.
Se è reale questa sommaria analisi se è vero — come affermiamo da anni — che nel nostro paese non è possibile governare e programmare senza o contro i lavoratori, quale peso ha avuto questa crescita questo raggiunto livello di partecipazione nel determinare la crisi dell'attuale modello di sviluppo?
Se è vero che questo tipo di crescita della partecipazione — che è stato in grado in questi anni di aggregare in fabbrica e nella società, insieme alla classe operaia, un numero sempre crescente di tecnici della produzione, della medicina, della cultura, altri strati sociali — è una delle cause determinanti della crisi dell'attuale modello di sviluppo, quae peso hanno vauto certe illusioni pansiindacalii, certi rifiuti ad un confronto più streto con altre forze sociali, con le forze politiche, con gli strumenti tradizionali — istituzionali della democrazia, nel determinare l'incapacità o l'impossibilità di prevedere il momento di caduta, le proposte la lotta e la conquista fin da quei momenti di alcuni obiettivi di graduale trasformazione del modello di sviluppo attuale?
Se è vero tutto questo quale peso hanno avuto mal pretese, mal imposte, mal interpretate esigenze di autonomia dei sindacati, dei delegali e dei Consigli di Fabbrica nel determinare, nei fatti concreti, un rifiuto a promuovere una partecipazione politica maggiore (anche parEtica) dei lavoratori e a ridurre il ruolo delle strutture della democrazia in fabbrica e nella società a ruolo di « organizzazione del dissenso » all'interno dello attuate modello di sviluppo?
Se è vero tutto questo, sono o no cresciuti all'interno di un abito che si stà restringendo addosso, sono o no l'esigenza di cambiare rapidamente metodi, obiettivi e ruoli prima che lo spazio politico che hanno raggiunto sia cosl stretto da soffocarli?
Ritorno quindi alla questione iniziale: l'ampliamento necessario della base partecipava e l'ulteriore sviluppo della democrazia in tutti i campi che faccia passare la democrazia nella fabbrica e nella società, l'ampliamento e lo sviluppo necessario e tendente alla ricerca di precise scelte politiche intorno alla questione del diverso modello di sviluppo, scelte che abbiano già alcuni contenuti di socialismo e che realizzino, già nella costruzione di tale partecipazione, un reale potere dei lavoratori fondato su di una reale unità politica oltrechè sindacale può essere possibile, a mio avviso, se intanto queste strutture della democrazia e della partecipazione in fabbrica, rispondendo anche alla domanda politica dei lavoratori, assumono il ruolo di «'struttura portante dell'unità politica dei lavoratori » oltrechè di «struttura portante dell'unità sindacale ».
Ciò significa proporre, a cominciare dalla fabbrica, l'instaurazione di un diverso metodo di confronto tra le diverse forze politiche costituzionali, tra esse ed i lavoratori ed all'interno delle altre forze politiche i rapporti di direzione e di gestione del potere.
D'altra parte non può essere in quesa direzione che dobbiamo muoverci per garantire il successo dell'obiettivo che, con la conferenza degli operai Comunisti di Genova, ci siamo proposti per il riconoscimento del diritto di cittadinanza in fabbrica delle forze politiche?
Personalmente ritengo che oggi vi siano almeno due occasioni in più per porre nel nostro partito ed al lavoratori questa questione: la prima è che, lo ripeto, riconosciamo esservi una domanda nuova che viene dagli stessi lavoratori; l'altra è che, seppure in modo strumentale e demagogico, qualcosa in questa direzione si sta muovendo, o può essere sollecitato, a cominciare da certe sortite organizzative venute dal congresso della D.C. sarda.
Questo impone anche a noi delle scelte organizzative e politiche diverse? Stà al congresso rispondere, soprattutto stà alla capacità dei Comunisti dare risposte che rispondani alle reali esigenze di questo momento dei lavoratori, confrontando con essi le ipotesi di proposta.
A. Panosetti ex operalo Miraflori Meccanica