RICERCHE SPERIMENTAZIONI ESPERIENZE
COOPERATIVE LEARNING IN CARCERE di Anna Draghetti
PAROLE CHIAVE:
COOPERATIVE LEARNING, CARCERE, RIEDUCAZIONE, DETENUTI, STRANIERI. L’autrice descrive la sua attività didattica d’insegnamento dell’italiano in una classe di studenti detenuti. Presenta le difficoltà dell’ambiente carcerario, evidenziando il ruolo istituzionale dell’insegnante, denso di responsabilità in quanto deve affrontare diverse sfide e problemi con strategie educative funzionali al coinvolgimento dei detenuti.
1. Premessa La valorizzazione dei legami relazionali è il presupposto fondamentale di qualsiasi paradigma educativo e anche l’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 27 della Costituzione, deve essere progettato come opportunità di rieducazione e risocializzazione. In tale contesto, la funzione del docente non consiste solo nel realizzare, mediante una didattica flessibile e modulare, gli obiettivi propri dell’ordinamento scolastico, ma deve, con un indispensabile impiego di empatia, aiutare il detenuto a rielaborare il proprio vissuto in modo da re-impostare il proprio futuro e riacquistare una consapevolezza etico-sociale. Così la finalità della scuola in carcere diventa soprattutto «una rieducazione alla convivenza civile», come la finalità della pena è «la rieducazione del condannato», specificato nell’art. 13 dell’Ordinamento penitenziario (L.354/’75). All’art. 15, lo stesso Ordinamento configura l’istruzione come fondamentale elemento di risocializzazione inserendola - assieme al lavoro, alle attività culturali, ricreative e sportive - fra gli interventi attraverso i quali «principalmente» si attua il trattamento rieducativo1. In tale prospettiva, a partire dall’ 74
anno scolastico 2014-15 sono stati attivati i CPIA e relativi corsi di istruzione per adulti con percorsi di primo livello di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana, di secondo livello realizzati nelle istituzioni scolastiche presso le quali funzionano corsi di istruzione tecnica, professionale e artistica. Del resto, queste riorganizzazioni si attuano nell’ambito di un cambiamento notevole della popolazione detenuta, dove i cittadini non italiani rappresentano il 34% del totale, con provenienze da più di cento paesi. Di qui la necessità di tenere in considerazione le diverse identità e bisogni specifici che discendono da ogni singola nazionalità oltre che dalla stessa esperienza migratoria2. In classi per lo più frequentate da studenti stranieri, soggetti adulti, ma di varie età e provenienza geografica, con differenti caratteristiche individuali, naturali e sociali, l’individuo detenuto, spesso analfabeta o con scarsa alfabetizzazione in lingua
madre, necessita di specifici percorsi linguistico-comunicativi, che tengano conto dei propri bisogni formativi, stante la sua consapevolezza che l’apprendimento dell’italiano rappresenta una componente essenziale del processo d’integrazione. L’offerta formativa, svolta in un clima il più possibile democratico, dovrà allora essere flessibile e adeguata a ogni singolo livello di lingua, mentre, anche alla luce della teoria di Malcolm Knowles (2008)3 centrata sul concetto di andragogia, risulta di estrema importanza la riflessione su ciò che si è appreso per rafforzare, con la percezione del percorso che si sta facendo, la motivazione alla frequenza. 2. Quale metodologia? Una risposta convincente agli interrogativi dei docenti circa le strategie didattiche più funzionali da adottare nei confronti dell’utenza può essere fornita dal cooperatve-learning, che promuove le potenzialità di ciascu-
www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_3_8_1.wp (consultato il 30 novembre 2019) https://openmigration.org/analisi/cosa-ci-raccontano-i-dati-sui-detenuti-stranieri-in-italia/ (consultato il 25 novembre 2019) 3 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/25/criminalita-in-italia-i-veri-dati-sui-detenuti-stranieri-e-sulle-nostre-paure-2/5264415/ (consultato il 25 novembre 2019) 1 2