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Mini dossier La Shoah Marco Labbate Donatella Giulietti Lidia Maggioli

LA DIDATTICA DELLA SHOAH: UN QUADRO INTERPRETATIVO

di Marco Labbate

PAROLE CHIAVE: SHOAH E MEMORIA, DIDATTICA DELLA SHOAH, VITTIME E TESTIMONIANZE, QUATTRO PUNTI CARDINALI PER LA RICERCA

Studiare la Shoah è una discesa verso l’inferno che la commemorazione rischia di banalizzare. Una didattica adeguata e specifica è parte della didattica della storia che deve pertanto utilizzare la testimonianza, l’esame del dato antropologico e la conoscenza della persecuzione ebraica attraverso l’uso delle fonti per diventare momento di riflessione sulla responsabilità individuale. La Shoah è conficcata nella storia del Novecento come il suo cuore di tenebra. Affrontarla in una classe significa prepararsi a un viaggio nell’inferno, un «inferno dei viventi» per dirla con la famosa citazione delle Città invisibili di Italo Calvino, che «esige attenzione e apprendimento continui». Lo compiono gli insegnanti e lo compiono gli allievi a cui si devono fornire strumenti adeguati. Sembrerebbe che in effetti questa consapevolezza ci sia da almeno un ventennio vedendo la mole di celebrazioni che accompagna il Giorno della Memoria. In realtà la «frenesia commemorativa» a cui allude giustamente Laura Fontana contiene il forte rischio di banalizzare l’inferno. 1

Ovvero di offrire una celebrazione svuotata che si limita a proporre l’allegoria di una grande narrazione etica sul bene e sul male, nella quale si smarrisce la sua radice nella storia (e forse la stessa espressione “inferno” si presta a questo rischio). Lo studente si trova sottoposto a una sovraesposizione emotiva, in larga parte preconfezionata, che può generare una saturazione e, infine, un rigetto. 2 Dotarsi di elementi specifici di didattica relativi alla Shoah è una

sorta di potente antidoto.

1 Fontana L., L’insegnamento della Shoah: le trappole e le buone intenzioni, in «La Ricerca», 23 dicembre 2019, www.laricerca.loescher.it, (online). 2 Robin R., La mémoire saturée, Editions Stock, Parigi 2003.

“ Lo studente si trova sottoposto a una sovraesposizione emotiva, in larga parte preconfezionata, che può generare una saturazione e, infine, un rigetto. ”

La didattica della Shoah è uno degli aspetti più approfonditi del più ampio ambito della didattica della storia: all’ Insegnare Auschwitz di Enzo Traverso, una sorta di pietra miliare, hanno fatto seguito altre ricerche fondamentali, come quelle di Alessandra Chiappano, Georges Bensoussan, Bruno Maida, Laura Fontana (un elenco rappresentativo, ma tutt’altro che esaustivo). Per chi volesse trovare spunti la pagina di Laura Fontana propone seminari, convegni pubblicazioni. In particolare suggerisco di seguire l’attività svolta nell’ambito del progetto di «Educazione alla Memoria» nel comune di Rimini. Di fronte a una materia così vasta, che richiede di essere adattata a ordini di età diversi, questa introduzione non può che essere una bussola orientativa alle due proposte didattiche che seguiranno, costruita attorno a quattro punti cardinali. La testimonianza può essere un punto di partenza, di passaggio o di arrivo 3 . Deve tuttavia essere inserita in un contesto predisposto dall’insegnante, non evocata come un rimedio dall’effetto taumaturgico. L’ascolto dell’esperienza delle vittime cala in una solennità, in cui ci si è stati preparati allo sforzo, anche emotivo, di percepire e comprendere il dolore e la difficoltà di riportarlo a galla. L’ascolto del sopravvissuto è tuttavia una dimensione fondamentale, in cui si compie la rivincita del testimone. Pende su tutti noi la maledizione lanciata dai nazisti che Primo Levi riporta nei Sommersi e salvati. «In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi: nessuno di voi rimarrà per testimoniare, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme con voi. Ma se anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che la vostra testimonianza è troppo mostruosa per essere creduta: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi e non a voi. Saremo noi a dettare la storia». Queste parole ci indicano che la sconfitta del nazismo va perpetrata giorno per giorno, proprio dando voce ai testimoni: dal vivo o attraverso un supporto digitale. È chiaro che il contenuto va adattato all’età: per i bambini delle elementari è importante che la narrazione contenga elementi di ottimismo. Oppure può passare attraverso gli occhi di un bambino di allora (su questo aspetto si focalizzano entrambe le proposte didattiche). Si deve tenere però presente l’avvertenza di Bruno Maida, di non scivolare in una «pedagogia del dolore o di una identificazione attraverso il trauma». 4

Il secondo elemento che possiamo tenere presente è il dato antropologico della Shoah, che l’empatia con la vittima non esaurisce. La Shoah come crimine del secolo presenta significati etici e sociali estremi. Questa sua impossibilità a essere addomesticata a fatto della storia ne fa un punto di riferimento nella costruzione della cittadinanza. La vittima si accosta alle altre figure della famosa triade di Raul Hilberg: i carnefici e gli spettatori. A questi vanno aggiunti i giusti che hanno rischiato o perso la vita per salvare gli ebrei. La riflessione sulla Shoah, come «un paradigma dell’annientamento dell’altro, del diverso» 5 , può divenire dunque momento di riflessione sulla responsabilità individuale. Il terzo aspetto fondamentale è la

conoscenza della persecuzio

ne ebraica. Può sembrare un dato scontato, ma purtroppo non lo è. La vulgata della Shoah con cui ci confrontiamo non significa cognizione di un meccanismo complesso. L’empatia generata dalla testimonianza, la dimensione etica della responsabilità non sono storia. Se non viene ancorata agli eventi storici, la Shoah diventa una parabola moraleggiante sul bene e sul male. In tempi di revisionismo andante è un passaggio pericoloso: proprio nel momento in cui la si vuole commemorare, la si trasforma in quella «tragedia confiscata» di cui ha parlato Bensoussan. La Shoah deve essere dotata di una profondità. Non è una parentesi, una follia improvvisa e inspiegabile, ma l’esito di un processo lungo che si cala nei meccanismi novecenteschi della società di massa. L’invenzione dell’immagine disumanizzata dell’ebreo affonda le radici in una tradizio

“ Non è una parentesi, una follia improvvisa e inspiegabile, ma l’esito di un processo lungo che si cala nei meccanismi novecenteschi della società di massa. ”

3 Cfr. Chiappano A., Minazzi F. (2007) L’uso della testimonianza nella didattica on line, in

www.yadvashem.org (online). 4 Maida B., Raccontare i bambini ai bambini, in «La Ricerca», 26 gennaio 2019, www. laricerca.loescher.it (online). 5 Chiappano A., La didattica della Shoah in Italia, in «Conoscere la Shoah in Italia e in Europa», Crema, 2005 (online).

ne secolare di stereotipi, amplificata dai nuovi mezzi di comunicazione. La Shoah deve dunque essere presentata nel percorso graduale di discriminazione a cui nazismo e fascismo sottopongono la popolazione ebraica. Lo sterminio ne è l’ultimo passo. La profondità ci insegna che gli elementi di discriminazione che si generano in un tempo storico, all’apparenza controllabili, possono esplodere all’indomani, quando la sorveglianza su di essi diventa inefficace. Al tempo stesso permette di penetrare nel suo congegno di macchina moderna della morte, che volge la burocrazia statale e la catena di montaggio della fabbrica all’eliminazione di esseri umani. Il carnefice, il nazista, non è una figura standardizzata, ma svolge ruoli diversi nella policrazia nazista. Infine la profondità ci aiuta a cogliere la Shoah nella sua unicità, ma anche a correlarla, senza annacquarla, con gli altri crimini nazisti o fascisti e con la costruzione di una società che fa della violenza un mezzo per reprimere il dissenso e una mitologia. Un approccio complesso ci permette infine di non schiacciare l’ebreo in una narrazione solo vittimistica, ma di riappropriarci della valenza di una cultura millenaria. Infine, il quarto elemento è l’utilizzo delle fonti. La ricerca, l’indagine rappresentano un momento di coinvolgimento importante del bambino o del ragazzo. Le fonti sono moltissime: vi sono i documenti ufficiali prodotti da nazisti o fascisti, documenti degli alleati, documenti personali di ebrei (o non ebrei), le testimonianze del dopoguerra, come gli atti dei processi a criminali nazisti e fascisti. Per un bambino come per un adolescente il documento originale affascina 6 . Attorno al documento si può discutere e riflettere assieme sull’ente produttore e sul destinatario. Una pista importante è la ricerca nell’archivio di Stato del proprio territorio, o quando possibile, nell’archivio scolastico. Ci si può infine appassionare a una figura dimenticata e adoperarsi per recuperare le labili tracce ancora presenti. Ricostruire la vita di una persona che il nazismo voleva cancellare significa trasformare la

classe in un detective, che entra in contatto con istituti di ricerca italiani e stranieri, allargandone a dismisura il suo sguardo. Altre esperienze, dalla semplice visione dei film o di una performance artistica a quella segnante di un viaggio della memoria possono intervenire solo come atto finale di un percorso di questo tipo, dove si hanno gli strumenti per valorizzare l’esperienza 7 . Come ripete più volte Laura Fontana la visita a un campo di sterminio non sostituisce la lezione di storia. Rappresenta l’approdo di un percorso lungo e difficile, dove già si è scesi nell’inferno, con gli strumenti dell’empatia, della responsabilità e della storia.

6 Sull’uso delle immagini si rimanda a: Fontana L., Immagini e immaginario della Shoah, tra tirannia del visibile e cecità dello sguardo, «Historia Magistra», n. 21 (2016) (online). 7 Fontana L., I viaggi collettivi ad Auschwitz tra idealismo, militanza politica e deriva della pedagogia della Shoah: l’esempio dei Treni della Memoria, in Bissaca E., Maida B., «Noi non andiamo in massa, andiamo insieme. I treni della memoria nell’esperienza italiana, 2000-2015», Mimesis, Milano-Udine 2015.

MARCO LABBATE

È dottore di ricerca in Storia dei partiti e dei movimenti politici e assistente di storia contemporanea presso l’Università “Carlo Bo” di Urbino. Collabora con l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, con l’Istituto di Storia contemporanea della provincia di Pesaro e Urbino e con il Centro studi “Sereno Regis” di Torino. Ha pubblicato Un’altra patria. L’obiezione di coscienza nell’Italia repubblicana (Pacini, 2020) e Là sotto nell’inferno. Da Pesaro a Marcinelle (Ediesse, 2016)

È POSSIBILE PARLARE DELLA SHOAH AI BAMBINI?

LE MOTIVAZIONI PEDAGOGICO-DIDATTICHE DENTRO UN PERCORSO DI RICERCA 1

di Donatella Giulietti

PAROLE CHIAVE: BAMBINI E SHOAH, PERCORSO DIDATTICO, RICERCA, SAPERE STORICO, PSICOEMOTIVITÀ.

È possibile insegnare la Shoah ai bambini? E possibile utilizzando il registro narrativo, la biografia, la memoria, la ricerca delle fonti, tutti elementi che suscitano curiosità e interesse avendo cura di tenere sotto controllo la dimensione emotiva senza sacrificare il rigore dell’analisi che è richiesto, sul piano cognitivo, dal spere storico.

Negli ultimi anni come responsabile della sezione didattica all’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino, insieme a insegnanti e ricercatori, abbiamo progettato e sperimentato percorsi di ricerca storico-biografica con l’intento di rendere significativa la “narrazione” della Shoah a partire dai più piccoli. Gli esiti positivi sul piano della costruzione della competenza e della conoscenza storica, rafforzano la convinzione che la storia della Shoah può essere insegnata anche ai bambini. Ma è necessario un approccio adeguato che utilizzi gli strumenti più adatti alle loro capacità cognitive ed emozionali, quelli che servono ad alimentare la conoscenza e la competenza interpretativa. «Non si può mostrare ai bambini Treblinka perché è una memoria troppo pesante, troppo dura da portare e finisce per colpevolizzarli. Si può, anzi si deve, insegnare loro cosa c’è intorno alla Shoah, cosa sono il razzismo o l’intolleranza. Alle elementari

puoi parlare di Anna Frank. Delle camere a gas, no». Le parole dello storico francese Georges Bensoussan, in un’intervista rilasciata a «La Stampa» in occasione del Giorno della Memoria 2013, pongono l’accento su questioni importanti che hanno ac

Protagonisti di storie familiari. Immagini realizzate da alunni di Classe 4°

compagnato tutto il nostro lavoro di ricerca e sperimentazione. In sintonia con la riflessione del professor Bensoussan, abbiamo privilegiato la costruzione graduale di quei concetti che stanno “intorno alla Shoah” (inclusione-esclusione, razza-razzismo, pregiudizio, discriminazione, legge-legge razziale, diritti-persecuzione dei diritti, cittadinanza…) che consentono, in una prospettiva curricolare, di affrontare conoscenze storiche via via sempre più complesse. L’ingresso violento e traumatico nei campi della morte non è necessario. Si è evitato di affrontare il percorso didattico come il susseguirsi in ordine cronologico di eventi storici, politici e militari inseriti nel contesto della seconda guerra mondiale, così come il modello manualistico ci propone da

1 Cfr. È possibile parlare della Shoah ai bambini? Le motivazioni del percorso didattico, in Giulietti D. (a cura di), Eri sul treno per Auschwitz? Strumenti per raccontare la Shoah ai bambini, pp. 73-86, Fulmino, Savignano sul Rubicone 2013.

Le vicende della famiglia Finzi rappresentate su una linea del tempo da alunni di Classe 5

sempre perché la storia della Shoah è soprattutto una storia che parla di persone, uomini e donne, vittime o carnefici, collaborazionisti o osservatori passivi, delatori o salvatori. È una storia che deve cercare di capire e conoscere la psicologia degli esseri umani e di far comprendere la nostra collocazione dentro un mondo imprevedibile. Auschwitz, come sottolinea lo storico Enzo Traverso, è un laboratorio privilegiato per studiare l’immenso potenziale di violenza umana esistente nel mondo contemporaneo. Il ricorso agli strumenti legati alla pratica della ricerca e un lavoro attento di mediazione didattica sono stati elementi fondamentali per favorire il passaggio dalla conoscenza esperta alla costruzione graduale della competenza e del sapere storico da parte degli alunni. Ma con i bambini, e non solo, è necessario oltrepassare i confini della disciplina storica attraverso il coinvolgimento di linguaggi e codici narrativi in grado di trasmettere quello che solo con le parole è quasi impossibile fare. L’arte, la letteratura per l’infanzia, la filmografia, la geografia, la statistica, sono stati di grande aiuto. Ma quale è l’età giusta per iniziare ad affrontare il tema sul piano storico? Gli esiti dell’attività di ricerca e di sperimentazione ci portano a formulare due riflessioni intorno all’età cronologica degli allievi, una di ordine cognitivo e una di natura psico-emotiva. Sul piano cognitivo il sapere storico nasce quando l’alunno comincia a porsi degli interrogativi; la problematizzazione rappresenta la base cognitiva indispensabile per entrare nella conoscenza del passato. Ma le domande vanno alimentate e orientate a partire da quello che i bambini già sanno. Quando si affronta una storia complessa come la storia della Shoah, gli alunni, a partire dalle classi terminali della scuola primaria (9-10 anni), si trovano già immersi in una moltitudine di informazioni e rappresentazioni, quasi tutte veicolate dai mezzi di comunicazione in modo spesso disordinato e di frequente stereotipato. Una storia, quella della persecuzione del popolo ebraico, rappresentata dai bambini senza confini topografici e cronologici misurabili, una storia tragica, ma tuttavia percepita distante da noi, che poco o nulla ha a che vedere con la nostra storia nazionale. Tuttavia, partire dalla riorganizzazione di un sapere confuso permette di individuare problemi, definire temi, descrivere contesti; insomma circoscrivere i primi contorni del ragionamento storico e del percorso conoscitivo. A partire dalle conoscenze pregresse, come dice il Prof. Antonio Brusa storico e docente di didattica della storia all’Università di Bari, i bambini devono essere messi in grado di distinguere quelle di origine scientifica da quelle di altra provenienza se si vuole accedere a un racconto problematico del passato che insegni a interrogare la storia a partire dal presente 2 . Con bambini di 9-10 anni, questa è un’operazione possibile. Sul piano più strettamente psico-emotivo, come sottolinea lo storico Bruno Maida, non dobbiamo dimenticarci che la Shoah ha rappresentato lo sterminio sistematico dell’infanzia perpetrato anche con la collaborazione di medici, insegnanti, vicini di casa, cioè di quelle figure educative di grande fiducia per il bambino. Spesso gli stessi genitori, a partire dalle leggi razziali, non erano più in grado di trasmettere sicurezza e protezione e persero quel ruolo di onnipotenza che ogni bambino vede nel proprio padre e nella propria madre 3 . Questi sono gli aspetti più forti e drammatici da far comprendere ad alunni troppo piccoli, e secondo il pedagogista Raffaele Mantegazza, solo quando i bambini sono in grado, attraverso l’esperienza, di rappresentare il mondo degli adulti fatto di “buoni e cattivi”, questo è il momento

2 Brusa A.,

Piccole storie, Edizioni la meridiana, Molfetta 2012. 3 Maida B., La Shoah dei bambini. La persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia 1938- 1945, Einaudi, Torino 2013. 4 Mantegazza R., Nessuna notte è infinita. Riflessioni e strategie per educare dopo Auschwitz, FrancoAngeli, Milano 2012.

per poter affrontare il tema storico 4 . A partire quindi dalle classi terminali della scuola primaria esistono le condizioni per entrare in una conoscenza significativa, per costruire un racconto storico focalizzando l’attenzione maggiormente sull’aspetto della persecuzione dei diritti anziché sulla fase finale dell’assassinio di massa. In una prospettiva curricolare, la storia del sistema concentrazionario verrà affrontata negli anni successivi quando gli alunni saranno in grado di compiere operazioni cognitive più complesse, sui testi e sulle fonti, necessarie alla comprensione di scenari storiografici più articolati. Per avvicinare i bambini al racconto storico abbiamo privilegiato le esperienze di vita. Tutto il percorso di ricerca utilizza, infatti, le biografie come vie di accesso alla storia; vissuti che ci permettono di transitare nelle vicende politico-istituzionali e della cultura sociale dell’Europa e dell’Italia degli anni ’30 e ’40 e di “far vedere” e “far sentire” quella storia per poterla caricare di senso. Ma la storia della Shoah, proprio perché storia che parla di persone, deve tenere in equilibrio due aspetti indispensabili all’apprendimento: da un lato il coinvolgimento emotivo, dall’altro l’interesse, la motivazione a conoscere, a indagare il passato con gli strumenti della storia. Per riuscire in questa operazione abbiamo adottato due modalità di ingresso nella storia: da un lato il recupero, più fortemente empatico,

“ Per avvicinare i bambini al racconto storico abbiamo privilegiato le esperienze di vita. ”

della narrazione di storie individuali attraverso testi di autori per l’infanzia 5 o racconti biografici scritti dagli stessi testimoni 6 ; dall’altro il lavoro di ricostruzione storico-biografica che privilegia un approccio laboratoriale e utilizza le fonti di archivi privati e pubblici per ricomporre gradualmente il vissuto di cittadini ebrei che hanno subito la discriminazione e la persecuzione razziale. In entrambi i casi, l’attenzione rivolta alla vita dei protagonisti prima della guerra e della persecuzione è fondamentale per ridare alle vittime lo status di persone nella loro complessità e nella loro normalità. La presa d’atto che il potere e la violenza umana possono spezzare la felicità e la normalità della vita degli individui, è un passaggio fondamentale che permette a bambini e ragazzi di rappresentare l’orrore della Storia senza il bisogno di ricorrere a “immagini di repertorio” alle quali troppo spesso ci siamo abituati. Le storie scelte sono sempre storie di salvezza raccontate da protagonisti che potremmo definire testimoni parziali della Shoah; sono storie di “salvati” che lasciano però aperta, nel finale, una finestra verso il mondo dei “sommersi”. Quel mondo che si aprirà alla conoscenza degli studenti nelle fasi successive del curricolo, quando saranno in grado, attraverso gli strumenti interpretativi e concettuali, di entrare nella comprensione della fase finale della persecuzione delle vite. La presenza di figure di salvezza di cittadini non ebrei, con i vari comportamenti che ebbero in quell’epoca, ci permette inoltre di focalizzare l’attenzione su gesti di solidarietà e coraggio che qualcuno decise di compiere. È una scelta e una raccomandazione pedagogica che, oltre a rassicurare i bambini, ci riconduce a riflessioni di ordine etico e alla possibilità che, anche in tempi drammatici, compiere atti di resistenza civile orientate al bene altrui è una operazione possibile. E quando i protagonisti delle vicende si muovono nello scenario dei luoghi della storia locale (gli stessi luoghi che si intrecciano con il vivere quotidiano dei bambini), questo contribuisce alla costruzione del senso di appartenenza, all’idea di stare dentro il processo storico. La scala locale permette di avvicinare gli alunni direttamente alle fonti e ai luoghi di conservazione della memoria e rende lo studio della storia più concreto e vicino alla loro realtà. Per questo riesce a sollecitare effetti conoscitivi, formativi e metodologici potenti, necessari a comprendere la complessità della “grande storia”.

5 Russo M. S.,

Always remember me. How one family survived world war II, Atheneum Books for YoungReaders, New York 2005. 6 Finzi C. M., Qualcuno si è salvato ma niente è stato più come prima, a cura di Maggioli L., Il PonteVecchio, Cesena 2006.

DONATELLA GIULIETTI

È docente di scuola primaria e membro di Clio ’92. Dal 2003 al 2014, come responsabile della sezione didattica presso l’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro-Urbino si è dedicata alla ricerca e alla sperimentazione didattica su temi di Storia Contemporanea. Ha pubblicato insieme a L. Gualtiero, “Fragheto,7 aprile 1944: il tempo e la storia che il luogo ricorda”, Fulmino Edizioni, Savignano sul Rubicone, 2010; e ha curato il testo Eri sul treno per Auschwitz? Strumenti per raccontare la Shoah ai bambini, Fulmino Edizioni, Savignano sul Rubicone 2013.

SOGNANDO IL CAVALLUCCIO MARINO: UNA PROPOSTA DIDATTICA

di Lidia Maggioli

PAROLE CHIAVE: LEGGI RAZIALI, IL ROMANZO DI RICERCA, LA VACANZA, LA DEPORTAZIONE, LETTURA DELL’INSEGNANTE.

L’autrice del libro Sognando il cavalluccio marino rivela le ragioni del racconto. Le vicende biografiche narrate come chiavi di comprensione del fenomeno della Shoah. La mediazione dell’insegnante mette l’allievo in grado di entrare nella storia del novecento attraverso l’identificazione con i protagonisti.

Destinato idealmente alla fascia dei ragazzi dai dieci ai dodici anni e sperimentato sia nelle classi quinte della scuola elementare che nella scuola media, il romanzo 1 è stato realizzato dopo oltre un decennio di ricerca storica, con pubblicazioni a quattro mani sul tema della persecuzione razziale anche nelle forme dell’internamento di polizia. 2 Le vicende biografiche ricostruite, molto spesso sepolte nell’oblio, hanno fatto emergere il vissuto reale, materia prima del romanzo e scuola di vita in senso lato, non solo per lo studente. L’uscita in libreria di Sognando il cavalluccio marino per l’80° anniversario del varo delle leggi razziali da parte del Governo fascista italiano, non è casuale. Mi sembrava importante ricordare una legislazione che colpiva scientemente sia i cittadini di origine o fede ebraica conviventi anche da lungo tempo con la restante popolazione – e a essa legati da vincoli matrimoniali o professionali – sia gli ebrei stranieri presenti sul territorio nazionale per studio, lavoro o turismo. “ Un racconto nel racconto che parte dal presente per suscitare interesse e favorire l’identificazione del lettore con i protagonisti ”

Non era mia intenzione realizzare un’opera didascalica che spiegasse gli eventi storici, bensì una narrazione in cui questi fossero presentati nel loro farsi entro l’esistenza dei singoli, sulla base di una verità autentica e documentabile. La scelta è caduta su un doppio binario temporale, un racconto nel racconto che parte dal presente per suscitare interesse e favorire l’identificazione del lettore con i protagonisti. In secondo luogo, mi sono astenuta dal presentare in forma esplicita gli aspetti più brutali della persecuzione razziale, lasciando che la violenza anche estrema a cui furono sottoposte persone incolpevoli fosse intuita senza bisogno di descriverla apertamente nella sua crudezza. Ci sono storie che attendono solo di essere raccontate e spesso a farlo devono essere degli estranei. Si potrebbero portare molti esempi di sopravvissuti alla deportazione o ai campi di sterminio incapaci di comunicare, a voce o per iscritto, quanto ebbero a subire e a conoscere. Alcuni invece parlarono molto tardi dopo aver riscontrato con sconcerto la rinascita di movimenti violentemente antisemiti, se non neo-nazisti. Nel mio caso è stata la ricerca d’archivio a farmi trovare tra le mani una lista di persone presenti a Riccione nell’agosto 1938 e censite come ebrei. Tra questi, una famiglia di origine turca residente a Milano e composta da genitori e tre figli dei quali solo la piccola Graziella si salverà, nascosta nel retrobottega di un negozio di tessuti gestito da piccoli commercianti lombardi. Perché se la Shoah rivela l’aspetto più brutale dell’essere umano - basti pensare al tradimento del bambino da parte dell’adulto - fa emergere al suo interno anche le condotte di chi per un senso di responsabilità personale non volle farsi complice, attivo o passivo, dello sterminio. Fin dalle prime pagine si entra in un contesto particolarmente apprezzato dagli studenti, la fine delle lezioni – in questo caso di prima media – e l’inizio delle vacanze. Vacanze al mare sulla costa romagnola con le molte lingue che si accavallano e ritmi travolgenti che risuonano alla

1 Maggioli L., Sognando il cavalluccio marino, Panozzo editore, Rimini 2018. 2 www.archiviomaggiolimazzoni.it

radio. Con i gemelli undicenni Paolo e Danila Lombardo c’è nonno Elia David Minerbi, vedovo e prossimo a compiere 81 anni. E poiché i più giovani abitano a Milano con i genitori, mentre l’anziano vive da solo in un piccolo centro dell’Emilia, non si conoscono a fondo. Diversamente dai ragazzi, cresciuti in una sorta di religiosità laica più conciliabile con una famiglia in cui la madre è stata educata nell’ebraismo e il padre nel cattolicesimo, il nonno ha mantenuto forte attaccamento per la religione dei padri e ne rispetta i riti. Ma se è vero che tutte le fedi hanno regole proprie, il tempio che accomuna gli esseri umani abita nella coscienza di ciascuno. Libertà di coscienza, dunque, come condizione imprescindibile per la convivenza fra diversi in un mondo variegato e multietnico. A rompere la routine della vacanza, un fatto imprevisto, la necessità di contattare il medico locale che abita in una singolare villetta “in stile” con tanto di ambulatorio. Stupore e tur

bamento per Elia. Come un lampo gli balza davanti agli occhi qualcosa che non ha dimenticato, una cocente umiliazione subita all’età di otto anni. Per ricostruire quel momento e quella scena deve tornare indietro nel tempo fino all’avvio della macchina persecutoria che avrebbe travolto migliaia di vite umane, comprese quelle dei suoi genitori Regina e Daniel. I nipoti in merito sanno soltanto che il nonno è rimasto orfano precocemente ed è cresciuto con un congiunto. Troppo forte la lacerazione per poterne parlare apertamente, occorre una presa di distanza spaziale e temporale e sarà il terrazzino dell’albergo in faccia al mare, su al quinto piano, a consentire a un ottantenne di ripescare in fondo al proprio io il bambino di allora. Ritornano così il paese, le arrampicate sugli alberi, l’amicizia con Vittorio, la loro collezione scientifica e il sogno di trovare un cavalluccio marino. E ritorna, oscura e incomprensibile, l’esclusione dalla scuola e dagli sva

“ E ritorna, oscura e incomprensibile, l’esclusione dalla scuola e dagli svaghi con gli altri ragazzi. ”

ghi con gli altri ragazzi. Piccoli semi vengono gettati sul terreno in un gioco di anticipazioni. «Tutto faceva paura a quei tempi», preannuncio della dittatura e della guerra che sancirà l’alleanza tra Mussolini e Hitler. È il nonno-testimone, consapevole del valore del messaggio che sta per trasmettere, a uscire dalla riservatezza per rendere i nipoti partecipi di un’esperienza vissuta che non può e non deve essere cancellata. La “razza ebraica” annotata sui documenti – anche retroattivamente – li rendeva delle bestie rare. La loro era una «Carta di indegnità» guardata con disprezzo quando veniva esibita, disprezzo per il nome e per il titolare, di cui la propaganda fascista stravolgeva persino l’aspetto fisico.

E finalmente si capirà perché non gli piace il mare. «Mi ricorda delle brutte cose», osserva il protagonista ancora sconcertato per quanto accadde in quel giorno di giugno del 1943 quando con sua madre Regina venne scacciato dalla pensione Stella Maris, che altro non è se non la villa “in stile” del dottore. 3

Il sogno di trovare un cavalluccio marino sarebbe rimasto una meta irrealizzabile. Ho ritenuto di dover rimarcare questo aspetto della macchina persecutoria, peraltro di immediata comprensione da parte dei ragazzi e capace di suscitare il loro giusto sdegno, essendo meno noto rispetto ad altre violenze. Tuttavia non ho sottaciuto l’escalation di misure via via più invasive, dall’arresto per l’internamento alla perdita del lavoro, dalla caccia all’ebreo – adulto o bambino che fosse – alla deportazione per i campi di sterminio. La lettura anticipata del romanzo da parte dell’insegnante favorisce senz’altro la comprensione di passaggi storici cruciali quali il Governo Badoglio e l’armistizio dell’8 settembre ’43, richiamati tra le righe per le ripercussioni sulla vita dei personaggi. Come accade a Elia, sopravvissuto al genocidio, altri protagonisti di romanzi per ragazzi vedono perpetuata un’eredità morale nei figli e nei nipoti che grazie a loro imparano a giudicare con occhi nuovi i comportamenti umani. Entro il panorama della letteratura, che pure non tocca solo le corde cognitive ed è capace di travalicare il suo tempo, la narrazione che si rifà alla storia offre nella fruizione scolastica anche l’opportunità di accostarsi alla fonte. I documenti sottesi o evocati nel testo possono diventare reali in

una visita all’Archivio di Stato più prossimo dove lo studente potrà trovare con relativa facilità, come nell’esperienza appena descritta, la lista degli ebrei censiti nell’agosto ’38, la cui sorte in molti casi è immortalata nel Libro della memoria di Liliana Picciotto.

3 Il tema dell’esclusione degli ebrei dalle località di soggiorno e cura definite “di lusso”, è stato affrontato per il territorio costiero riminese, da Bellaria a Cattolica, in: Maggioli L., Mazzoni A., Spiagge di lusso, antsemitsmo e razzismo in camicia nera nel territorio riminese, Panozzo editore, Rimini 2017.

LIDIA MAGGIOLI

Già insegnante di storia e filosofia e dirigente scolastico, si dedica ora alla ricerca storica e alla narrativa. È curatrice dell’autobiografia di Cesare Moisè Finzi (vedi bibliografia). Coautrice con Antonio Mazzoni di pubblicazioni sulla politica razziale in territorio pesarese/riminese durante la seconda guerra mondiale e del sito sull’internamento di ebrei italiani e stranieri in provincia di Pesaro, ha pubblicato nel 2018 Maggiorenni nel Sessantotto e Sognando il cavalluccio marino, opera che le è valsa l’invito del Presidente della Repubblica per la Giornata della memoria 2019.

Bibliografia

• Bacchi M., Goffetti F., Storia di Luisa. Una bambina ebrea di Mantova, Gianluigi Arcari Editore, Mantova 2011. • Bensoussan G., L’eredità di Auschwitz. Come ricordare?, Einaudi, Torino 2004. • Bissaca E., Maida B., «Noi non andiamo in massa, andiamo insieme. I treni della memoria nell’esperienza italiana, 2000-2015», Mimesis, Milano-Udine 2015. • Brusa A., Piccole storie, edizioni la meridiana, Molfetta 2012. • Chiappano A., Minazzi F., (a cura di), Il ritorno alla vita e il problema della testimonianza. Studi e riflessioni sulla Shoah, Giuntina, Firenze 2007. • Cohen-Janca I., Quarello M., L’ultimo viaggio, Orecchio acerbo, Roma 2015. • Finzi C. M., Qualcuno si è salvato ma niente è stato più come prima, a cura di Maggioli L., Il Ponte Vecchio, Cesena 2006. • Giulietti D. (a cura di), Eri sul treno per Auschwitz? Strumenti per raccontare la Shoah ai bambini, Fulmino, Savignano sul Rubicone 2013. • Levi L., Una valle piena di stelle, Milano, Mondadori 2010. Maida B., La Shoah dei bambini. La persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia 1938-1945, Einaudi, Torino 2013. • Maggioli L., Sognando il cavalluccio marino, Panozzo editore, Rimini 2018. • Maggioli L., Mazzoni A., Spiagge di lusso, antisemitismo e razzismo in camicia nera nel territorio riminese, Panozzo editore, Rimini 2017. • Mantegazza R., Nessuna notte è infinita. Riflessioni e strategie per educare dopo Auschwitz, FrancoAngeli, Milano 2012. • Meir T., Il gelataio Tirelli. “Giusto tra le nazioni”, Gallucci Roma 2018. • Sarfatti A., Sarfatti M., L’albero della memoria. La Shoah raccontata ai bambini, Mondadori, Milano 2013. • Scognamiglio C., Insegnare la catastrofe: discorso sulla didattica della Shoah, Stamen, Roma 2017. Traverso E., Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio, Bollati Boringhieri, Torino 1995.

Sitografia

• www.archiviomaggiolimazzoni.it. • www.cdec.it • www.clio92.it • www.fontana-laura.com • www.historialudens.it • www.laricerca.loescher.it • www.memorialdelashoah.org • www.miur.gov.it/-/linee-guidanazionali-per-una-didattica-dellaShoah-a-scuola • www.novecento.org • www.yadvashem.org

Werner Drewes - Central Density (1976)

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