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Giovani e alcol. Vecchi vizi e nuove tendenze Maria Rita Bartolomei
GIOVANI E ALCOL
VECCHI VIZI E NUOVE TENDENZE
di Maria Rita Bartolomei
PAROLE CHIAVE: ADOLESCENTI, ALCOL, ALCOLISMO, BINGE DRINKING, ALCOLPOPS, DIPENDENZE.
Il ruolo diseducativo, corruttivo e mimetico esercitato dalla pubblicità nei confronti delle nuove generazioni insieme alla carenza di adeguati programmi di prevenzione sanitaria e culturale, creano i presupposti per forme preoccupanti di abuso di alcolici presso i giovani. Il progressivo passaggio da un “modello mediterraneo” a un “modello anglosassone” di consumo di alcol favorisce pratiche di binge drinking e la commercializzazione di alcolpops, bevande gassate alla frutta apparentemente innocue, che invece contengono tassi alcolici capaci di portare rapidamente all’ebbrezza, creare danni al cervello e indurre dipendenza. Purtroppo non si tratta di manifestazioni episodiche, qualificabili come devianti o patologiche, ma di un fenomeno strutturale particolarmente grave, nella misura in cui è connesso ad aspetti consumistici caratteristici della società globale e coinvolge un numero crescente di adolescenti e preadolescenti. Per creare un’inversione di tendenza e sensibilizzare i giovani rendendoli consapevoli dei rischi ai quali vanno incontro e delle responsabilità che devono assumersi nei confronti di se stessi e dell’intera collettività, appare indispensabile un intervento effettivo, efficace e congiunto di tutte le istituzioni politiche, civili e scolastiche.
I dati diffusi dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) attribuiscono ogni anno – direttamente o indirettamente – al consumo di alcol il 10% di tutte le malattie, il 10% di tutti i tumori, il 63% delle cirrosi epatiche, il 41% degli omicidi, il 45% di tutti gli incidenti, il 15% delle invalidità e delle malattie croniche. Un approccio antropologico al problema dell’alcolismo evidenzia il suo stretto legame con il concetto di devianza proprio di ogni società e, dunque, il suo carattere relativo e contestuale. Nell’Ottocento, per esempio, l’alcolista era considerato un criminale, nella prima metà del Novecento un malato mentale e, successivamente, un soggetto in qualche modo fragile e sofferente e, pertanto, bisognoso di un programma di recupero. Attualmente le strategie terapeuti“ Un approccio antropologico al problema dell’alcolismo evidenzia il suo stretto legame con il concetto di devianza proprio di ogni società e, dunque, il suo carattere relativo e contestuale. ”
che adottano soprattutto modalità di prevenzione e di promozione della salute, ovvero, cercano di contrastare la tendenza a considerare l’alcol esclusivamente come una sostanza alimentare o un passatempo, per soffermarsi sui comportamenti a rischio e sulle gravi conseguenze sanitarie e sociali derivanti dal suo abuso. Tuttavia, proprio la carenza di adeguati programmi educativi in questo senso, oltre ad altri aspetti tipici della società contemporanea, hanno portato la popolazione giovanile a ignorare tali problemi e a utilizzare il consumo di alcol come modalità trasgressiva, di socializzazione e di espressione della cultura del rischio. Infatti, sebbene sussistano differenze rispetto all’etnia, al credo religioso e alla religiosità, all’educazione ricevuta, alla presenza o meno di adulti di riferimento validi, e così via, le manifestazioni connesse all’alcolismo sono cambiate nel corso degli anni, e oggi si affrontano nuovi scenari oltremodo inquietanti, specialmente per quanto concerne il futuro delle nuove generazioni. L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda la totale astensione dal consumo di alcol fino ai 15 anni e, in Italia, la L. 189/2012 vieta la somministrazione e la vendita di bevande alcoliche ai minori di 18 anni, proprio per evitare qualsiasi comportamento a rischio in questo senso. Nonostante ciò, l’abuso di alcol fra i giovani, gli adolescenti e pre-adolescenti è un fenomeno estremamente vasto, diffuso e preoccupante, con diverse connotazioni psicologiche, sociologiche e culturali. Tanto che la dipendenza da alcol può essere oggi considerata un problema strutturale globale piuttosto grave, i cui effetti sono affatto sottovalutati. Invero, i dati statistici sono ovunque allarmanti e anche in Italia si prospetta un quadro piuttosto serio: l’età alla quale si inizia a consumare alcol si abbassa continuamente, dal 2015 al 2019, per esempio, si è passati dal 63,9% al 66,8% di popolazione di 11 anni che ha consumato almeno una bevanda alcolica durante l’anno (https://www.istat.it/it/archivio/ alcolismo); le fasce d’età a eccedere più frequentemente sono proprio quelle degli adolescenti tra gli 11 e i 17 anni (22,9% maschi e 17,9% femmine) e dei giovani di 18-24 anni (22,8% maschi e 12,2% femmine); la prima intossicazione alcolica si verifica di solito intorno ai 10-13 anni; l’abuso tende poi a intensificarsi durante l’adolescenza, mostrando un picco massimo tra i 18 e i 22 anni, con un tasso più elevato specie tra i giovani studenti universitari. (ISTAT 2016, 2019). Purtroppo, sebbene tra i ragazzi sia in diminuzione il consumo giornaliero di alcol, l’assunzione di bevande alcoliche fuori dai pasti risulta in crescita, e sale la percentuale di giovani che beve alcol in modo eccessivo fino a ubriacarsi. In particolare, sempre più spesso si manifestano comportamenti assimilabili al fenomeno che in letteratura viene definito “binge drinking”. Letteralmente “abbuffata di alcol”, il cosiddetto binge drinking – o bevuta compulsiva – si concreta nell’assunzione smodata di quantità elevate di alcol solitamente a stomaco vuoto, in un’unica occasione e in un ristretto arco di tempo, finalizzata al rapido raggiungimento dell’ebbrezza. Generalmente occorrono almeno sei unità alcoliche, ognuna corrispon-
dente a circa 12 grammi di etanolo: un bicchiere piccolo di vino con una gradazione media (125 ml); una lattina o bottiglia di birra di media gradazione (330 ml); o una dose da bar di superalcolico (40 ml) (Wechsler, Isaac 1992). Si tratta di una tendenza diventata ormai una moda, che interessa il sesso maschile più di quello femminile ed è diffusa soprattutto tra i ragazzi di età ricompresa tra i 15 e i 24 anni. I giovani di regola praticano il binge drinking durante il fine settimana, nei contesti della socializzazione e del divertimento collettivo – nelle discoteche e nei locali notturni, ma anche nei bar, nei pub, nei ristoranti, a casa di amici o di parenti – bevendo volontariamente per arrivare all’ubriachezza e all’intossicazione alcolica. Tra le bevande preferite ci sono la birra e gli aperitivi alcolici, ma anche il vino, i cocktail e i superalcolici. L’etanolo contenuto in queste bevande è una vera e propria droga: agisce sul sistema nervoso in maniera del tutto simile alle sostanze psicotrope e stupefacenti e determina dipendenza. Poiché esso permette di modificare illusoriamente la percezione di se stessi e della realtà, i suoi effetti disinibenti ed euforizzanti tendono a indurre con maggior facilità le persone a farne uso. Dal punto di vista psicologico, infatti, al di là della sostanza ingerita, lo scopo principale che i giovani intendono perseguire è la perdita di controllo – lo sballo – in questo caso attraverso l’ubriacatura. Spesso, dunque, qualsiasi sostanza utilizzata (alcol, droga, etc.) rappresenta solo un mezzo e non un fine, un modo per essere notati, per sentirsi parte di un gruppo, per vincere il disagio e la paura (Bastiani Pergamo, Drogo 2012). Secondo il modello di Fishbein la spinta al bere compulsivo sarebbe determinata dalla “pressione sociale”, a sua volta derivante dalle opinioni in merito alle aspettative di coloro da cui
gli adolescenti desiderano approvazione; essa sarebbe causata anche dall’aspettativa che l’assunzione alcolica possa contribuire a un miglioramento del proprio stato emotivo e affettivo (Baiocco, D’Alessio & Laghi, 2008). Secondo la prospettiva della Social Cognition, l’abuso di alcol da parte degli adolescenti sarebbe legato all’utilizzo di strategie di coping disadattive. Cioè, a una serie di comportamenti che, nell’intento di cercare di tenere sotto controllo, affrontare e/o minimizzare conflitti, situazioni o eventi stressanti, invece di utilizzare meccanismi di adattamento e di risposta validi ed efficaci, in definitiva porta a accrescere ulteriormente il disagio. Come già detto, i giovani binge drinkers attribuiscono erroneamente all’alcol la capacità di ridurre le tensioni e di favorire le prestazioni sociali. Di conseguenza, vi ricorrono nelle situazioni percepite come stressanti, per esorcizzare ansia, rabbia, paura, sensi di colpa, etc., ma anche come diversivo sociale, per vincere la noia o la monotonia quotidiana. Occorre distinguere i binge drinkers, i quali utilizzano uno stile basato sull’analisi e sulla valutazione delle situazioni come “modificabili” e ricorrono all’alcol per attutire l’ansia e lo stress, dagli heavy drinkers – o bevitori incalliti – i quali, invece, considerano gli eventi stressanti come “immodificabili” e

ricorrono costantemente all’alcol attribuendogli la capacità di evitare o persino di negare tali stress. In questo caso gli schemi interpretativi spiegano l’abuso alcolico anzitutto come strategia per colmare un vuoto affettivo ed esistenziale piuttosto profondo e radicato. Tuttavia, l’aspetto che si intende sottolineare in questa sede non riguarda l’abuso di alcol quale aspetto deviante o patologico, piuttosto, il suo carattere strutturale. Vale a dire, la sua correlazione con alcune caratteristiche della società globale contemporanea, in specie lo sfruttamento economico da parte di molte multinazionali delle difficoltà di acquisire e/o di mantenere una forte identità individuale e/o collettiva da parte delle fasce più indifese e vulnerabili della popolazione mondiale, soprattutto i giovani. Alimentando l’illusione di ridurre o di eliminare tali problemi, compresa la paura della morte e della sofferenza e il disagio esistenziale che caratterizza la condizione umana, e identificando il benessere, il successo e la realizzazione personale con il consumo sfrenato di beni e di alimenti, si utilizza la pubblicità e la sua capacità manipolatoria e di induzione di comportamenti mimetici per produrre dipendenza (e quindi maggiore consumo) e creare gravi problemi fisici e psicologici (che a loro volta alimentano un mercato farmaceutico e terapeutico non indifferente). Sorvolando sull’abuso di alcol da parte dei popoli indigeni e degli strati sociali ovunque più poveri ed emarginati, ci sembra opportuno insistere sul ruolo diseducativo, corruttivo e di assoggettamento psicologico dei più giovani esercitato dalla pubblicità diffusa in televisione, nei social media, nelle app di gioco, e così via, e dagli aspetti commerciali che la sottendono. A questo proposito, ci soffermeremo brevemente sui cosiddetti alcolpops: bevande gassate solitamente alla frutta (limonata o altri gusti), che sono presentate come innocue e vengono servite ghiacciate. Viceversa, esse contengono vodka e rhum o, comunque, una quantità di alcool con una gradazione tra i 4 e i 7 gradi … più di una birra. Per lo più sconosciuti agli adulti, gli alcolpops sono diventati la bevanda preferita dai giovanissimi: undicenni o dodicenni – che a quell’età non dovrebbero bere, perché il loro organismo non è in grado di metabolizzare l’alcool – ne fanno un uso esagerato. In effetti gli alcolpops, chiamati anche ready to drink, hanno avuto un enorme successo proprio tra i più giovani: uno spot tira l’altro, le sponsorizzazioni di concerti si moltiplicano, il mercato cresce del 15-20% all’anno e i consumi di oltre il 46%. Il gusto fresco inganna, cinque o sei bottiglie nel giro
di un’ora e ci si ubriaca quasi senza accorgersene. Il fenomeno dell’abuso di alcol tra i giovani rappresenta un vero e proprio flagello sociale, anche perché manca la consapevolezza delle conseguenze negative di questa ricerca dello “sballo” a tutti i costi. Invero, gli adolescenti, insieme alle donne e agli anziani, sono fisiologicamente più vulnerabili agli effetti nefasti dell’etanolo e, dunque, più esposti ai suoi rischi, come quello di rallentare lo sviluppo mentale (Baiocco et al. 2008). Inoltre, il pericolo della dipendenza è inversamente proporzionale all’età: chi inizia a bere sotto i 15 anni è quattro volte più a rischio di chi lo fa dopo i 21 anni. Per non parlare del fatto che sia in Italia che in Europa l’abuso di alcol alla guida rappresenta la prima causa di mortalità, di morbilità e di disabilità per gli under 30. Grazie alla personale e complessa esperienza di madre, di insegnante, di antropologa e di counselor ho appreso che gli adulti spesso sono totalmente ignari del fenomeno, compresi gli insegnanti e i genitori. Proprio perché si è gradualmente passati da un “modello mediterraneo” di consumo di alcol ad un “modello anglosassone”, e quindi i giovani, come già detto, non bevono durante i pasti o nel corso della giornata, gli stessi genitori di ragazzi che praticano il binge drinking anche più volte alla settimana (e magari iniziano a manifestare fenomeni da carving, disturbi del comportamento alcol correlati o dipendenza “ Il fenomeno dell’abuso di alcol tra i giovani rappresenta un vero e proprio flagello sociale, anche perché manca la consapevolezza delle conseguenze negative di questa ricerca dello “sballo” a tutti i costi. ”
fisica e psicologica), sono convinti che i propri figli siano addirittura astemi! Ciò significa che non sospettano alcunché, né si preoccupano minimamente del fenomeno: spesso non lo conoscono o, comunque, pensano che non riguardi in maniera diretta i loro figli. Ovviamente un atteggiamento equilibrato da parte dei genitori sia nei confronti del consumo di alcol, sia rispetto alle modalità di gestione dello stress, dei conflitti e delle situazioni problematiche, è importante. La coerenza tra comportamento promosso e atteggiamento mantenuto nella vita ordinaria, infatti, è fondamentale per assicurare credibilità a qualsiasi tipo di messaggio educativo proposto. Tuttavia, data l’entità del fenomeno e il suo carattere ormai strutturale, l’esempio positivo degli adulti significativi è di certo rilevante, ma non è sufficiente. Per concludere, è necessario e fondamentale indagare ulteriormente il fenomeno, per comprenderne le radici profonde e combattere la sua espansione, anche attraverso stra- tegie diffuse, volte a rendere maggiormente consapevoli i giovani dei rischi ai quali vanno incontro, capaci di intercettare il loro disagio al fine di convincerli ad adottare stili di vita più sani, utili a se stessi e all’intera società. Non si tratta di realizzare interventi sporadici e occasionali di prevenzione e/o di recupero, ma di un vero e proprio progetto educativo a lungo termine, comprensivo di ampie campagne di conoscenza e di sensibilizzazione, promosse soprattutto dalle istituzioni preposte alla formazione e all’educazione, e alle quali deve essere chiamata a partecipare e a contribuire tutta la collettività.
Bibliografia
• ISTAT, Report sul consumo di alcol in Italia 2016, https://www.istat. it/it/archivio/198903; Indagine Multiscopo 2019, https://www.istat.it/it/ archivio/230479. • Baiocco R., D’Alessio M., Laghi F., I giovani e l’alcol. Il fenomeno del Binge Drinking, Carocci, Roma 2008. • Bastiani Pergamo A., Drogo G.M., I giovani e l’alcol, Armando Editore, Roma 2012. • Wechsler H., Isaac N., ‘Binge’ drinkers at Massachusetts colleges: Prevalence, drinking style, time trends, and associated problems, The Journal of the American Medical Association 267, 21, 1992, pp. 2929-2931.
MARIA RITA BARTOLOMEI

È Dottore di ricerca in Sociologia delle istituzioni giuridiche e politiche, avvocato e counselor per l’orientamento interpersonale integrato. Ricercatrice indipendente di Antropologia giuridica e culturale, ha svolto numerose ricerche sul campo, oltreché in Italia, anche in India (Kerala) e in Africa (Costa d’Avorio, Tanzania e Zambia). Già professore a contratto presso le Università di Macerata, Messina e Catania, ha partecipato come relatrice a numerosi convegni nazionali e internazionali e è autrice di più di quaranta pubblicazioni scientifiche.