BARtù 01-02 2020

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Editoriale BARtù

Ordinari e straordinari è sempre attuale, considerate certe resistenze. Vedo, infatti, sempre più ristoranti in cui vige la “dittatura del cliente”, in una logica di totale liberismo, e altre strutture che, invece, avrebbero pretese didattiche, per non dire educative, verso il cliente insubordinato, portatore di richieste ritenute fuori luogo (dalla “carne ben cotta” fino alla “pasta e fagioli, ma senza fagioli”, sic!). Qual è dunque l’atteggiamento giusto da tenere di fronte a richieste demenziali? La materia è complessa, e spesso certi atteggiamenti potrebbero avere ripercussioni significative sui risultati economici di questo o di quel locale. Mi viene in aiuto Gualtiero Marchesi che, in una lectio magistralis all’Università di Parma, passata alla storia, disse: “La prima regola resta quella di accontentare il cliente, ed è abGualtiero Marchesi fra Daniel Canzian e Fabrizio Molteni bastanza facile nel caso di un cuoco ordinario, anche professionale. rapporto fra cliente e ristoratore, cliente Tuttavia, in presenza di cuochi straore chef o cliente e sommelier, si è scritto dinari, ciò può avvenire solo entro certi molto, anche su queste pagine. Ricordo limiti. Quando viene servito Riso e Oro un mio editoriale, che volutamente titolai (uno dei piatti iconici del Maestro) non “Il cliente (non) ha sempre ragione” che si può chiedere del formaggio grattugiami attirò consensi dall’universo dei proto, e comunque abbiamo il dovere di non fessionisti, ma anche critiche da parte del darlo”. Ci sono dei limiti invalicabili alla “popolo” dei clienti. Il quesito comunque, Parlando con conoscenti (non definiamoli amici, perché sarebbe troppo), si registrano spesso e volentieri espressioni di disagio, talvolta addirittura indignate, verso questo o quel ristorante. “E’ troppo caro!” o “Quello chef è insopportabile, si dà un sacco di arie” o “Una cucina con dei piatti insulsi e incomprensibili”. O, ancora: “Mi hanno addirittura chiesto il numero della carta di credito all’atto della prenotazione” e molte altre espressioni che evidenziano una forte contrarietà verso modi e comportamenti di un certo segmento di ristorazione. Sul difficile

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discrezionalità del cliente: i piatti tra cui scegliere sono diversi e vari, ma ognuno di questi lo finisce lo chef, sulla base di esperienza, tecniche, visione. “Un cliente che va in un grande ristorante deve sapere di non poter chiedere qualunque cosa” –continua Gualtiero. “Può ordinare una pasta semplice per un bambino, con il pomodoro, ma non può pretendere lo stravolgimento di un piatto. Si viene da me per mangiare in un certo modo, e io devo far gustare il mio piatto, frutto di una precisa ricerca”. Ho voluto citare Marchesi perché ritengo che ci debbano essere sempre delle regole, che non dovrebbero essere imposte ma, semmai, far parte del patrimonio comportamentale degli individui nel loro agire quotidiano. Non soltanto nell’alta ristorazione e nel mondo del fine dining. In quest’epoca di deregulation totale e consolidata, nel senso che ognuno tende a fare ciò che gli fa più comodo, disinteressandosi del prossimo (salvo poi ergersi a difensore globale dell’umanità afflitta) non farebbe male riscoprire antichi valori sempre attuali, come il rispetto, la correttezza, il riconoscimento dei ruoli, che non nascono a caso ma sono acquisiti grazie a cultura, esperienza, intuizione e molto altro. Insieme a valori come la conoscenza, la disciplina e il rispetto, sono i cardini fondamentali per vincere ogni sfida. Imparando finalmente a distinguere tra ordinari e straordinari. C’è una bella differenza.• Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


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