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Bruno Barbieri: occorre un fisico bestiale
from BARtù 01-02 2020
by Edifis
di Maurizio Bertera
Il cuoco giudice “veterano” di Masterchef ci racconta tutte le tappe della sua lunga carriera
Bruno Barbieri, è partita da poco la nona edizione di Masterchef Italia: lei è il veterano, presente dalla prima edizione. Si è divertito ancora? Assolutamente. E’ una delle cose che mi ha permesso di vivere in modo diverso una professione che per oltre 30 anni è stata totalizzante nella mia vita. Fare il cuoco a tempo pieno ti regala un sacco di soddisfazioni ma ti toglie anche molto. E poi ero stufo di lavorare con l’ansia da prestazione.
Dovrebbe spiegarlo alle migliaia di persone che aspirano a diventarlo. A partire dai concorrenti di Masterchef. Guardi che a ogni intervista lo dico sempre. E quindi pure adesso lo ripeto: è un mestiere durissimo, occorrono un fisico bestiale e una testa raffinata. E come in ogni sport: non basta il talento, bisogna valorizzarlo e tenerlo allenato.
Cosa non abbiamo capito ancora di Masterchef? Raramente ho visto sottolineare quanto abbia dato al nostro mondo, non solo ai cuochi. E’ vero che è stata decisivo nel aumentare la dignità di una professione, già in crescita ma non ancora popolare come oggi. Ma soprattutto ha acceso una luce sulla ristorazione, sulle materie prime, sui luoghi del cibo dando anche un impulso economico. E ogni serie ha il merito di riaccendere questa luce, che
Tortellini in brodo di gallina con fonduta di parmigiano
in un paese come il nostro rischierebbe facilmente di spegnersi. Al di là della gara, molto più tirata di quanto si dica, per me questo è il senso di Masterchef.
E lei cosa ha imparato? Il piacere di un altro lavoro. O meglio di una parte del mio lavoro, quello in tivù che mi ha coinvolto anche in Quattro Hotel, dove in primavera ci sarà la nuova serie. È bello vivere a 57 anni questa seconda vita da cuoco, in modo informale e facendo cose diverse. Ma vedo che succede anche per i colleghi piu giovani e lo capisco: noi della vecchia guardia siamo cresciuti stando dentro i ristoranti dal mattino a notte inoltrata; adesso si cucina, si viaggia, si fanno eventi…
Ci sono molti che considerano negativa questa ecletticità. È cambiato il mondo, è cambiata la cucina. Mi preoccuperei molto di più di cosa finisce nel piatto, fatico a capire il senso di muschi, licheni, cetrioli di mare… E resto perplesso che i cuochi italiani li prendano a riferimento per il loro menu. Dovremmo provare a essere contemporanei partendo dalle nostre origini, non mi interessano le regole che arrivano dalla Francia, dalla Spagna, dal nord Europa. Devo raccontare chi sono io qui, nella mia terra, in questo momento.
Messaggio ai giovani? A quelli che inseguono la stella Michelin? Ho grande rispetto per il sogno: le stelle
Bruno Barbieri è un signor cuoco: dalle navi da crociera al record delle sette stelle Michelin in carriera, conquistate in quattro ristoranti: due alla Locanda Solarola di Castelguelfo, due al Trigabolo (leggenda per i gourmet italiani degli anni ’80) di Argenta, una alla Grotta di Brisighella e due ad Arquade-Villa al Quar di San Pietro in Cariano. Non male. Classe ‘62, da Medicina (Bo), ha iniziato a cucinare in famiglia e all’alberghiero. «Volevo viaggiare e imparare a fare il cuoco era la scelta giusta. L’educazione al cibo in casa era naturale, visto che vivevamo in campagna e in più avevo una nonna che invece di raccontarmi le favole, mi insegnava come utilizzare i prodotti per le ricette» ricorda. Poi dopo le navi da crociera, torna in Italia e inizia una grande carriera. «Prima ho lavorato in piccoli locali nella Riviera Romagnola, come facevano – e dovrebbero fare – tutti i giovani. Il nostro è un lavoro di sacrificio, al di là delle copertine: non si diventa ricchi e si fatica a creare famiglie normali». Ha scritto una dozzina di libri, ma la notorietà presso il grande pubblico è arrivata nel 2011 come giurato della prima edizione di Masterchef Italia: alla nona edizione, è il solo ad averle fatte tutte. Ma quale è stato il locale più importante nella sua storia «Detto che al Trigabolo di Argenta c’era una brigata eccezionale e abbiamo svolto un lavoro unico all’epoca e di cui si parla ancora, scelgo la Solarola che era all’interno di un agriturismo che forniva gran parte dei prodotti a un menu fisso che cambiavo a rotazione. Sette anni bellissimi, con la doppia stella. Tra i miei clienti c’era un giovane cuoco, Massimo Bottura». Una carriera stellatissima

Michelin per un cuoco sono come gli Oscar per chi lavora nel cinema. Una volta ricamate sulla giubba, costituiscono un riconoscimento importante e indelebile in carriera. Poi è evidente che non sia facile saperle portare, i problemi per molti iniziano in quel momento. Ma luzione. La ricetta storica e il tocco in più. I tortellini in brodo e quelli con il fior di panna: buoni entrambi. Nessuna provocazione fine a se stessa, l’obiettivo è il gusto che soddisfa il cliente. Poi, in questo periodo storico, noi dobbiamo riempire i ristoranti e non pensare a po
Quattro spaghetti a Bologna...
Per il ritorno sulla grande scena culinaria, Bruno Barbieri ha scelto Bologna, ristrutturando una storica locanda per farne un concept che non stonerebbe all’estero. Scelta coraggiosa, pensando che il motto latino ‘nemo propheta in patria’ si presta facilmente al giudizio di chi abita sotto le Due Torri, dove la ristorazione è ancora molto classica. Fourghetti (ossia ‘quattro spaghetti’ ma anche ‘forget it’ in uno slang inventato) è un concept moderno: bancone bar – anima del Bar Bieri, sempre giocando con l’ironia – dove bere un drink della brava Francesca Lolli o mangiare un piatto, salette interne (piacevolmente separate senza essere lontane), un piccolo spazio esterno. Domina il nero, l’essenzialità, la linearità. Il menu, curato dal talentuoso Erik Lavacchielli, è stringato a pranzo (quattro portate, dall’antipasto al dolce, acqua e caffè compresi a 28 euro) e articolato per il servizio serale dove una carta non banale spazia dalla tradizione locale – soprattutto i primi piatti – sino all’originale ramen di mare e montagna, passando per il Tortino di granchio reale, milleuova di Mare, fondente di zucchine e pancotto. C’è un piccolo menù degustazione a 65 euro con tre portate e un petit dessert, scelto dallo chef. Infine, al Bar Bieri si può sempre chiedere un hamburger, una selezione di salumi con piadina fatta al momento, una selezione di ostriche. Al piano superiore rivive la locanda di un tempo, con poche camere ma di design. Si sta molto bene. Non è poco. chi fortunati che spendono troppo. Ecco perché ho pensato a Fourghetti: puoi fare tutto, sentirti libero, anche solo rilassarti dieci minuti. Bere un drink, mangiare qualcosa, cenare proprio. In una saletta o al bancone. Restando mezz’ora o per tutta la serata.
la mia è una riflessione più ampia su dove stiamo andando.
Prego. Negli ultimi anni abbiamo costruito un modello gastronomico per pochi eletti, non comprensibile a tutti, talvolta troppo complicato. Mi piacerebbe invece che la ristorazione fosse più libera, meno presuntuosa, di basso profilo e alta qualità, in grado di dare la possibilità di esprimersi in modo differente, distante dalle esasperazioni che spesso vedo in giro. Molti grandi chef hanno il loro locale di rappresentanza, ma poi si divertono e divertono con locali come i bistrot dove la cucina è alla portata di tutti.

Bignè fritti e caramellati
una cantina che abbia buona bottiglie e pure quelli che giocano a carte. Osteria per me è poter spendere quanto vuoi, serenamente.
C’è un ritorno dei ristoranti classici, borghesi, confortevoli: cosa ne pensa? Ne sono strafelice. E’ giusto che ci siano posti di alta cucina, pochissimi in Italia e sostanzialmente all’interno di un sistema come quello della Fifty Best, che esige costantemente una cucina d’avanguardia, sperimentale persino. Ma dietro questi locali e il mare di stellati è fondamentale trovare ristoranti dove si stia bene, si mangino piatti comprensibili e si spenda il giusto.
Hanno ancora senso i ‘monumenti’? Certo: andare al San Domenico di Imola o dal Pescatore a Canneto sull’Oglio è come seguire una lezione di storia culinaria. Sedersi dai Cerea a Brusaporto
Pappardelle con intingolo di lepre


vuol dire assaggiare i migliori prodotti di un Paese intero dal musetto fatto a pochi km dal locale sino ai crostacei siciliani. Mi auguro e credo siano eterni.
Parliamo di osterie? Magari ci fosse un vero ritorno… Oggi è pieno di trattorie moderne o di locali che giocano sulla tradizione, succede persino nella mia Bologna dove quelle che molti definiscono osterie a me paiono ristoranti, dove manca il tocco che fa la differenza, il contesto. Sarò nostalgico ma lì voglio trovare due salumi buoni,
‘Domani sarà più buono’ è il titolo del suo ultimo libro. Curioso. È la voglia di raccontare le emozioni che nascono dal nostro rapporto con il cibo e dal modo che abbiamo di consumarlo. Ho suggerito qualche spunto per guardarlo sotto una luce diversa Ma è anche un riallacciarsi alla storia della cucina italiana, che è fatta di recuperi fantasiosi e intelligenti, quelli che chiamo ‘i doppi piatti’ È un’educazione alimentare che tutti dobbiamo apprendere e insegnare ai nostri figli, perché in cucina non si butta via nulla. Non è solo una questione di economia, di risparmio. Semmai una filosofia gastronomica, un modo di interpretare il cibo.
Barbieri, lei è un grande viaggiatore, non solo per eventi o lavori vari. Alla fine, le è rimasta dentro quella ‘fissa’ di girare il mondo che ha sempre raccontato, sin da quando studiava all’Alberghiero di Bologna? Penso di sì. Nel 1979 mi imbarcai come terzo cuoco su una nave da crociera, battente bandiera panamense: sembra un racconto umoristico ma in realtà si è rivelata un’esperienza preziosissima durata un paio di anni che mi ha permesso di entrare in contatto con le culture culinarie di molti paesi stranieri In cucina conta il viaggio, attraverso il quale vivi sensazioni, scopri gente, materie prime e prodotti che, senza visitare la zona d’origine, non avresti mai conosciuto. •