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San Domenico di Imola. Vertice di classicità

di Maurizio Bertera

Se si deve a Gianluigi Morini l’affermazione del ristorante, è con Valentino Marcattilii e con Massimiliano Mascia, che vengono raggiunti i vertici attuali

Se gestire un ristorante di tendenza è già difficile, guidare un ‘monumento’ lo è ancora di più. E non di rado si finisce nel dimenticatoio, in mancanza di idee o quantomeno di una lucida successione. Ecco perché fa veramente piacere – da gourmet prima ancora che da giornalisti – raccontare storie come quella del San Domenico di Imola, un’istituzione della nostra cucina. Ci limitiamo per il passato a fissare solo la data di apertura di questa elegante luogo - 7 marzo 1970 – e a ricordare che la cucina era ‘supervisionata’ da un nume quale Nino Bergese: ‘il cuoco dei re e il re dei cuochi’, come veniva definito all’epoca. Era stato chiamato dal fondatore, l’eclettico imolese Gianluigi Morini, per sovraintendere la proposta culinaria: Bergese in cucina trovò un giovane di origini abruzzesi, Valentino Marcattilii, con cui si creò immediatamente un’intesa, un sodalizio che fece

crescere in pochissimo tempo la notorietà del posto e consolidò l’esperienza di quello che tuttora è lo chef del bistellato Michelin. Morini voleva «uno spazio per la felicità, dove i clienti diventano ospiti» e in effetti lo creò ‘su misura’, nei locali della casa paterna nel centro di Imola. Una bomboniera da venti tavoli, curatissima: le pareti ricoperte di tela di lino, i soffitti di tessuto decorato, con i quali ricopre i paralumi appesi su ciascun tavolo. Le tovaglie di lino pesante colore fucsia, i bicchieri di cristallo, i sottopiatti d’argento, come i candelieri, le posate e i vasi pieni di fiori freschissimi. L’impressione che il San Domenico, ancora oggi, suggerisce, è quella di un circolo, privato ed esclusivo. Il che rende di buon umore, pensando ai tanti locali-fotocopia dove la scarsezza di arredi e la prevalenza del nero vengono scambiate per minimalismo cool. Ai Marcattilii – Valentino e il fratello Natale in sala, impeccabile – va riconosciuto il grande merito di non

Massimiliano Mascia e Valentino Marcattilii

essersi fermati, semmai di aver trovato l’araba fenice: quella del rinnovamento nella tradizione, che a parole tanti sostengono di fare ma in concreto ben pochi realizzano. Partendo da un’ospitalità solare e attentissima al dettaglio,

con un servizio preciso e leggero, che ha due colonne in Giacomo, figlio di Natale, e nel sommelier Francesco Cioria. Mentre ai fornelli, con Valentino, c’è il giovane nipote Massimiliano Mascia nel cui curriculum spiccano le esperienze italiane a Casa Vissani e Romano, quella statunitense all’Osteria Fiamma di New York e quelle francesi prima alla Bastide Saint Antoine e infine a Parigi alla corte di Alain Ducasse al Plaza Athenée. E’ andato, giustamente, ed è tornato a dare un tocco nuovo, equilibrato, in cucina. «La mia crescita professionale - spiega - è iniziata molto presto, perché fin da bambino ho sentito una grande attrazione per questo lavoro. L’unica difficoltà che ho dovuto superare è stata, lavorando, dimostrare a tutti che ero soltanto uno che voleva fare questo mestiere al San Domenico, non il figlio o il nipote di qualcuno. Ecco perché ho voluto affrontare tutte le sfide, senza evitare tutta la fatica necessaria. Questo oggi mi permette, essendo diventato chef, di comprendere le difficoltà dei ragazzi più giovani che lavorano con noi e di aiutarli nel modo migliore». L’alchimia tra la storia e il presente funziona. C’è un menu Divertimenti, più provocatorio, a 180 euro, dove si sente maggiormente la mano di Massimiliano. E quello Della coppia a 160 euro, con i classici, a partire dal leggendario Uovo in raviolo con burro di malga, parmigiano dolce e tartufo bianco. Perfetto e attualissimo, nonostante sia una visione bergesiana del 1974… E ancora c’è l’intelligente idea di un moderno Sei portate, solo il mercoledì, che costa 100 euro, a patto di essere nati dal ’70 in avanti. Mischiamo i piatti tra i due menu, per farvi intuire che la buona cucina non è questione di tempo ma solo di mano: Ostrica al lime, in brodo di prosciutto e Parmigiano Reggiano; Ricciola marinata al sale di Cervia, gel di yuzu, quinoa croccante e gin spray; Scampi al vapore con emulsione di patate e caviale; Noci di cappesante alla plancia con riduzione di ostrica e Martini Dry, vongole veraci alle erbe; Risotto, quaglia, rapa rossa e polvere di caffè; Dorso di coniglio al tegame, con puntarelle, cavolo romanesco e olio alle acciughe del Cantabrico; Sella di maialino di Mora romagnola con carote gialle e salsa al rosmarino; Crostata di fichi alla saba con gelato allo squacquerone. Altro che (triste) effetto monumento: viene solo voglia di tornare presto. Il ricordo del passato, di una visione oggi impossibile da realizzare – basta scendere nella cantina da 800 mq con 2200 etichette tra vini e distillati da inginocchiarsi – è semplicemente un elemento di continuità, grazie (ancora una volta, in Italia) a una grande famiglia. «Qui dirlo non è semplicemente una questione di sangue. E’ il condividere uno stile, una tradizione che non è mai un punto nel passato, ma solide basi su cui continuare a creare a inventare, ad armonizzare sinfonie di gusto e passione» sottolinea Valentino Marcattilii. Lunga vita al San Domenico e al suo Uovo in raviolo, naturalmente. •

Sella&Mosca il nuovo stile di Terra Moretti

di Theo Smith

L’azienda sarda ha festeggiato i suoi 120 anni dalla fondazione. Grandi obiettivi e una visione strategica ben delineata, targata Vittorio

Vittorio Moretti, già ideatore di modelli di successo in Franciacorta e in Toscana, con sua figlia Francesca, enologa e AD del Gruppo Terra Moretti, ha dichiarato ai giornalisti durante l’appuntamento in azienda, lo scorso autunno, per festeggiare i primi 120 anni della cantina: «Quando siamo arrivati qui, da Sella & Mosca, io e Francesca siamo rimasti così colpiti da quel vigneto a corpo unico da non poter resistere. Il nostro obiettivo è proprio rafforzare la vigna, fare tornare la cantina a essere quello che c’è sempre stato nel suo dna. Sella & Mosca è una realtà straordinaria e merita tantissimo, sia per la qualità dei vigneti che per le potenzialità di ulteriore crescita in chiave qualitativa». Francesca Moretti dal canto suo ha aggiunto: «Credo ci sia una responsabilità sociale nel promuovere e nel raccontare il territorio. Poi è un circolo virtuoso e ne beneficiamo anche tutti noi». Accanto all’impegno enologico infatti, il Gruppo Terra Moretti, nei tre anni dalla acquisizione, ha realizzato il recupero architettonico e funzionale del vecchio centro aziendale, comprendente anche una piccola chiesa dedicata alla Madonna dell’Uva e articolato in suggestive cantine storiche insieme a abitazioni d’epoca divenute oggi oggetto di attività agrituristica di livello. «Il perfezionamento dell’accoglienza, in chiave di ospitalità qualificata, resa ancor più affascinante da questa location straordinaria, è uno dei nostri obiettivi primari. Chi visita l’affascinante tenuta rivive in prima persona l’atmosfera dell’inizio del secolo, in un continuo caleidoscopio di profumi, odori e aromi che esprimono il carattere di questa terra assolata e forte e tanto contribuiscono alla personalità inconfondibile dei suoi vini», ha sottolineato Vittorio Moretti. Tutte le strutture sono immerse in un grande parco, circondate da oltre 550 ettari di vigneto, uno dei più grandi ed estesi d’Italia. L’obiettivo della famiglia Moretti è di completare e proseguire un progetto che, oggi come allora, fa onore alla Sardegna che la ospita, accogliendo nelle proprie tenute migliaia di visitatori e di wine lovers ogni anno. Oggi sono aperte al pubblico le cantine storiche, costruite nel 1903, l’enoteca

e il piccolo museo, diviso nella sezione aziendale e in quella archeologica legata alla necropoli di Anghelu Ruju, scoperta negli stessi anni nell’area della neonata azienda e da cui prende nome uno dei vini prodotti, straordinario vino “da meditazione”. Baciata dal sole e abbracciata dai venti, la Sardegna è una terra da sempre vocata alla viticoltura. Nell’isola, Sella&Mosca ha selezionato alcune delle aree vinicole più pregiate e interessanti. I Piani, a nord di Alghero, rappresenta la parte più consistente. Questa proprietà si estende per 650 ettari, in una piana soleggiata e accarezzata dal vento di maestrale, immersa in un incredibile parco botanico circondato da oltre 550 ettari di vigneto. Un luogo che non può essere confuso con nessun altro, puntellato da oleandri, pini marittimi, palme ed eucalipti. A queste terre si aggiungono i piccoli appezzamenti della Gallura, nella parte

Sella&Mosca è un’esplosione di natura, come si legge nel comunicato ufficiale dell’azienda, riservato alla stampa. Nasce ad Alghero, angolo incantato di Sardegna, nel 1899 per mano di due intraprendenti piemontesi che le danno il nome: l’ingegnere Sella, nipote del famoso statista Quintino Sella, e l’avvocato Edgardo Mosca. I due in quell’anno iniziarono un’importante opera di bonifica dei terreni della zona dove oggi sorge l’azienda. Sono passati oltre 120 anni da allora e quell’impresa suona ancora pionieristica, unica ed esemplare. Il progetto di Sella&Mosca era ambizioso: strappare la terra della località “I Piani” agli acquitrini e all’abbandono, per renderla uno dei più importanti vivai per la produzione di barbatelle; insomma, trasformare una zona della Sardegna incolta in un immenso vivaio. Dopo i 15 ettari della tenuta Nuraghe Majore si aggiungono i 600 ettari dei Planos de Sotzu. Fin dall’inizio furono necessarie imponenti opere di bonifica idraulica e spietramento per trasformare le vaste tenute de “I Piani” dallo stato incolto a un fiorente insediamento viticolo. Bisognava poi sviluppare competenze perché l’innesto tra vitis vinifera e vitis labrusca non era ancora pratica diffusa. Infine la Sardegna, in quanto isola, aveva tempi e costi di commercializzazione notevoli: ma nonostante questi limiti Sella&Mosca riuscì a vincere la propria sfida e avviare un’attività di successo. Così Sella&Mosca all’inizio del Novecento trasformò una terra lasciata al pascolo in fertili vigneti, avviando la più prestigiosa produzione di vini in Sardegna. Negli anni l’azienda ha continuato ad assolvere il ruolo pionieristico, introducendo con costanza nuovi metodi di lavorazione che hanno consentito la produzione di vini di stile contemporaneo, le cui caratteristiche rivelano la nuova tradizione dei vini sardi. Nel 2002 Sella&Mosca entrata a far parte del Gruppo Campari, ma è solo nel 2016, con l’acquisizione da parte del Gruppo Terra Moretti che guadagna un nuovo slancio verso l’innovazione e il rispetto del territorio. La storia secolare dell’azienda

I quattro chef che hanno guidato una grande cena in azienda: Christian Andreini, Stefano Deidda, Olivier Piras e Luigi Pomata

Antonio Marras con Francesca Moretti

In cantiere nuovi progetti

Ciò che da sempre contraddistingue il Gruppo Terra Moretti è la cura e la valorizzazione del territorio, per dare ai suoi ospiti un’esperienza il più possibile completa e stimolante. Con questo spirito, Vittorio Moretti prima e le figlie Francesca e Valentina poi, si sono mossi nello sviluppo di attività e servizi volti alla valorizzazione e al rispetto non solo del territorio, ma anche delle sue tradizioni, senza però dimenticare mai il futuro e l’innovazione. Per questa ragione lo sviluppo dell’ospitalità e dell’accoglienza ha da sempre rappresentato un punto fondamentale per il gruppo che il 1 agosto ha aperto un nuovo agriturismo all’interno della tenuta sarda.Il progetto è stato curato da Valentina Moretti vicepresidente esecutiva della Moretti Costruzioni e direttrice creativa di More, l’anima più innovativa di Moretti – Building on Human Values, un’impresa con oltre cinquant’anni di esperienza di progettazione e costruzione di grandi opere di architettura moderna. L’azienda inaugura l’apertura dell’Agriturismo Villamarina il cui nome deriva dalla zona su cui sorge. «Investire, partendo da ciò che offre la terra, per dare radici al futuro», afferma Valentina Moretti, che crede fermamente nei progetti che restituiscono valore alla terra e alla cultura a cui appartengono. Bellezza, qualità, innovazione e rispetto del territorio sono dunque le parole chiave, per un progetto che comprende a oggi un totale di 9 camere di cui 2 suite, 1 junior suite e le restanti superior, con un ulteriore ampliamento programmato nei prossimi anni. Il concept ispirazionale dunque è chiaro: il rispetto della natura ed il legame con il territorio.

nord orientale dell’isola (15 ettari) e di Giba, nel Sulcis, sulla costa sud occidentale, tra Capo Teulada e la catena montuosa dell’Iglesiente (6 ettari). Il terroir è diverso per ogni sito e caratterizzato da elementi ambientali unici: un suolo ricco di umori minerali e avaro d’acqua, dove l’aria è tersa e il clima caldo quanto ventoso. Pur nella loro unità geologica, le tenute presentano una grande varietà di terreni: argillosi, sabbiosi, calcarei, vulcanici. In ogni microarea, i vari vitigni danno risposte diverse, consentendo un’eccezionale pluralità di caratteristiche.

La Linea Marras

Lo stilista Antonio Marras, conosciuto nel mondo per il suo stile di grande sperimentazione, ha disegnato le etichette dei quattro nuovi vini di Sella&- Mosca prodotti dai vitigni più rappresentativi dell’azienda: vermentino, cannonau e torbato, proposto in due versioni: una classica e una Metodo Classico. L’ispirazione prende corpo dalla notte magica di San Giovanni (23-24 giugno) quando due marinai, un pugile, un eccentrico e un uomo ingiustamente accusato di essere un bandito si incontrano ad Alghero e saltando il fuoco diventano compari. I quattro vini portano il nome dei personaggi raccontati da Marras: Oscarì, il Metodo Classico da uve torbato; Ambat il Vermentino di Sardegna; Catore l’Alghero Torbato e Mustazzo il Cannonau di Sardegna. Ne nasce una storia di amicizia, di legami autentici, di valori e di territorio.

Nei vini Sella&Mosca è facile ritrovare i caratteri naturali del contesto in cui nascono: il sole, il vento, il mare, i terreni generosi e forti, la macchia e i suoi mille profumi. A prescindere dalle varietà e dalle pieghe territoriali, emerge in maniera netta il loro carattere mediterraneo, oltre alla capacità di mantenere le virtù della tradizione attraverso idee nuove. Energia ed eleganza, forza e finezza, calore e freschezza. Ogni vino cerca l’equilibrio virtuoso tra l’esuberanza che i frutti della natura portano in dote e il saper fare di chi li modella. Un connubio inscindibile, l’unico capace di forgiare una dimensione assoluta che rispetta lo spazio e va oltre il tempo. Dall’acquisizione della famiglia Moretti nel 2016, sono due le novità introdotte: il Torbato Brut ora prodotto ad Alghero e la linea di vini nati dalla collaborazione con Antonio Marras. Il Torbato Brut è prodotto con un’uva rara e preziosa, riscoperta e valorizzata da

Vittorio Moretti e signora

Sella&Mosca dopo anni di grande lavoro. L’uva torbato cresce su terreni ricchi di calcare provenienti da sedimentazioni marine millenarie. I grappoli sono accuratamente selezionati tra quelli che si distinguono per la spiccata acidità, in modo da conferire al mostro le migliori caratteristiche per la spumantizzazione. Un connubio unico, esaltato dal metodo cuvée close, capace di preservare al meglio gli aromi, conferendo al vino brillantezza e fragranza. •

Atene splende: merito di Angelos Lantos

di Nadia Afragola

Unico chef bistellato di tutta la Grecia, propone una cucina d’impronta francese, ma senza dimenticare le materie prime della tradizione locale

Ha quella gentilezza figlia del suo percorso francese. Come anche il rigore, la precisione, la calma. Pochi orpelli e due stelle cucite sul petto (è l’unico chef di tutta la Grecia ad aver raggiunto un simile traguardo), fanno di Angelos Lantos lo chef di punta di Atene, lui che da oltre sette anni guida una storica istituzione gastronomica greca: Spondi. “Un ristorante che merita la deviazione” a sentire gli ispettori della Rossa: sarà per via dei piatti eterei, quasi evocatori. Un ristorante che in realtà è una villa immersa nel verde per un ragazzo, Angelos, che ha scelto di fare il cuoco quando non c’era nulla di affascinante in questo. Il suo apprendistato lo ha portato in alcuni dei più famosi ristoranti greci, lavorando con Christos Tzieras, Herve Pronzato e Arnaud Bignon. E così il ragazzo si è fatto uomo, marito, padre di due figli, docente. È rimasto autentico, si è scoperto contemporaneo, pur rimanendo legato alla tradizione. A compimento dell’esperienza gastronomica fatta nel suo ristorante, una certezza: quando ci si alza dal tavolo del suo ristorante si torna a casa con una mappa dai sapori ben chiara in testa e nitida al palato.

Chi è Angelos Lantos? Sono uno a cui piace cucinare. Un cuoco con più di 20 anni di esperienza, dei

quali gli ultimi 14 trascorsi tra le mura di Spondi. Da 7 anni sono l’executive chef del ristorante.

È riuscito a far digerire la cucina francese ai greci. Ho avuto modo di vivere la Francia fino in fondo, ho fatto molta esperienza e ho imparato la sua storia ma soprattutto la sua tradizione culinaria. Ne ho acquisito la tecnica e i sapori, mi si sono impressi dentro fino a diventare un unicum con la mia cucina. Inoltre il nostro ex chef Arnaud Bignon, che per me è stato come un mentore, era di origini francesi. Il che ha naturalmente contribuito a tracciare la mia direzione.

Direi che pesano più su Spondi che su di me. La Michelin non attribuisce le Stelle agli chef ma al ristorante, anche nei casi in cui lo chef stesso sia il proprietario della struttura. Questo viene ripetuto spesso dalla Guida, ed è sempre bene ricordarlo. È la cucina e quindi il nostro operato a essere giudicato prima di tutto, ma anche il servizio, la cantina, l’architettura e il design del locale, hanno il loro peso.

Quando era bambino cosa voleva fare da grande? Ho dei ricordi vaghi della mia infanzia, immagini, piccoli flash, legati principalmente alla mia città e a mia nonna, da cui andavo spesso e che cucinava per me, come ogni nonna del mondo. Niente che potesse far presagire questa mia carriera gastronomica.

E adesso cosa vuole fare da grande? Vorrei avere la forza di continuare a fare questo lavoro. Ci vuole tantissima determinazione e una passione che non deve mai sfiorire, soprattutto se si vuole rimanere ai vertici. Se un giorno non dovessi più avere la giusta motivazione, sono certo che mi fermerei.

Cos’è etico per lei? Imparare tutto e da tutti. È riconoscere l’importanza della cucina italiana, francese o spagnola. È sapere che ogni tradizione può darti qualcosa. Oggi i social ci aiutano in questo, abbiamo una finestra sul mondo che è illimitata e va usata nel più responsabile dei modi.

Il fattore umano in cucina quanto conta? ho fatto un buon lavoro e va migliorato.

È estremamente importante. Qui siamo come una famiglia, e non potrebbe essere altrimenti. Lavoriamo insieme almeno per 12 ore al giorno, ci vediamo molto più che con le nostre mogli o con i nostri figli. Il rispetto reciproco è alla base di un rapporto duraturo.

Chi è un critico? Tutti: chiunque può esprimere il suo punto di vista sul cibo, perché mangiare è un atto che ci accomuna. Alcuni hanno alle spalle più esperienze gastronomiche e più formazione, e danno quindi un punto di vista su un piatto sicuramente più tecnico. Ma il cliente medio, anche senza una preparazione specifica, sta comunque spendendo i suoi soldi nel mio ristorante. Quindi se non è felice, significa che non

Di quante persone si compone il suo team? Sono 13 gli stabili, tra cui un panettiere che la mattina fa il pane. Ci sono tre ragazzi in pasticceria, e otto in cucina. Lavoriamo sette giorni a settimana, dalla domenica al sabato. Non abbiamo un giorno di riposo. Motivo per cui nel ristorante abbiamo tantissimo personale che si occupa di tutto ciò che non è far da mangiare e vi assicuro che il lavoro da fare è tanto.

Durante l’anno, chiudete mai per ferie? Lavoriamo tutto l’anno, 362 giorni per la precisione. Siamo chiusi solo 3 giorni, non di più. Esclusivamente durante la Pasqua.

Quali sono le coordinate della sua cucina? Siamo semplici. Non si vede che c’è tanta tecnica dietro, quando si guarda alla composizione. Non facciamo focalizzare il cliente sulla tecnica ma sul sapore. Il piatto “sembra” minimal, non troppo complicato ma solo in apparenza. Quando, al tavolo, vedono il piatto e dicono “wow” allora so di aver fatto un buon lavoro! Solo poi quando si assaggia, un palato allenato, percepisce che ci sono stati tanti passaggi per la preparazione di quel piatto.

Insegna anche ai cuochi del futuro. Come sono le nuove generazioni? È una domanda difficile. Ci sono dei talenti. Ma se ne ha e non ci lavora su, rimane sempre una dote buttata per il resto della vita. Quindi l’unica cosa che pretendo da quelli con un quid in più è di lavorarci su. Bisogna leggere, viaggiare, passare la maggior parte del tempo che si ha a disposizione in cucina, altrimenti non si è adatti a questo mondo. Ogni professionista dovrebbe fare così. Non importa se medico, calciatore, cuoco o giornalista. Bisogna avere passione se no, non si arriva da nessuna parte.

Spesso i giovani cuochi vogliono diventare delle star televisive. Questo ha degli aspetti positivi e negativi. Il positivo è che imparano le dinamiche della tv, a partire dallo show business ma non so cosa veramente dia alla vita di uno chef. È solo uno show anche se tante persone vogliono arrivare a quello stile di vita.

C’è un piatto che più di altri la rappresenta? L’anatra. E per quanto mi riguarda il momento migliore per creare un piatto nuovo è di inverno non d’estate. reso un uomo migliore ancor prima che uno cuoco preparato.

C’è uno chef italiano che stima? Massimo Bottura lo stimo non solo perché è un bravissimo chef ma anche perché è una persona con passione e fa tante cose che vanno oltre quello che è il suo lavoro di cuoco. Questo aspetto lo considero molto importante. Bellissimi i suoi discorsi su come non sprecare il cibo. È una di quelle persone che lascerà qualcosa in dono e in eredità a tutti, al di là della sua capacità di cucinare. Tutto questo è qualcosa di nuovo e di importante per me.

C’è un ingrediente che non entrerà mai nella sua cucina? Non ci sono degli ingredienti che non faccio entrare… a parte forse il serpente ma solo perché non ho nessuna esperienza a riguardo, o i ragni sempre per lo stesso motivo, anche se so che alcune persone li mangiano. Non ho esperienza con questi ingredienti, quindi non li utilizzo. Se in futuro li assaggerò e mi piaceranno, allora sì!

Quanto spesso cambia il menu? Almeno due volte all’anno nella sua interezza ma ogni volta che introduciamo un ingrediente, cambiamo inevitabilmente dei piatti.

C’è qualcosa che invidia alla cucina italiana? Tutti amano il risotto e la pasta dell’Italia. Personalmente vado spesso a mangiare in ristoranti italiani. Che dire… mi sento così bene quando mangio la pasta.

Parliamo di maestri, chi è stato il suo? Arnaud Bignon per me è stato non solo un amico ma anche un mentore. Mi ha insegnato come lavorare gli ingredienti, come averne cura e come rispettarli. Mi ha insegnato come comportarsi in cucina. Non ha mai urlato ma ha sempre dato il suo sostegno e una spiegazione per tutto. Questo mi ha aiutato a crescere e mi ha Ingrediente o tecnica, cosa conta di più? Gli ingredienti. Se l’ingrediente è buono, diventa difficile rovinarlo. Pensate al pesce grigliato, se non si sa cucinare è molto probabile che si rovini, ma se il pesce è fresco, anche se viene rovinato, rimane ancora gustoso.

Nel 2020 ha senso ancora parlare di km0? Certo. Ma il problema è che nessuno chef al mondo utilizza solo gli ingredienti locali. Anche se dicono il contrario, non stanno dicendo la verità a meno che non abbiano il loro orto e la loro serra e anche in quel caso non è detto. Dubito che nelle grandi città ci sia posto per un orto. Se un ingrediente è buono, non ci si deve preoccupare che sia locale o no. Ci sono tanti produttori di Parmigiano nel mondo ma non è il vero Parmigiano. Quindi meglio usare quello buono anche se non è locale.

Quando non vestiva i panni dello chef, cosa avrebbe voluto fare? Volevo diventare un medico. Quando ho terminato il liceo, la prima cosa che volevo fare era l’università. In Grecia abbiamo dei test di ammissione che ti portano via un anno intero di studio. Da giovane ero un po’ particolare, decisi che nel caso in cui non lo avessi superato avrei fatto lo chef. Quell’anno il livello era molto alto ed eccomi qui... Adesso vorrei darmi una seconda opportunità. Dite che sono ancora in tempo?

Per Yannick Alleno le donne in cucina non arrivano al top perche sono portate a fare le mamme. Lei cosa ne pensa delle donne in cucina? No. Non esiste un simile ragionamento. Le donne possono essere mamme insieme a un sacco di altre cose. Sono gli uomini che non riescono a fare semmai più cose insieme. Gli uomini possono solo

fare carriera. Le donne possono avere una carriera, un marito, dei bambini e comunque avere tutto quanto sotto controllo. Le tante donne chef nel mondo sono la dimostrazione di questo.

Progetti futuri? Non so cosa mi riserverà il futuro. Se pianifico qualcosa può essere che poi non si realizza, e rimango deluso. Quindi ogni giorno faccio qualcosa per il giorno dopo. Sperando che sia migliore di quello appena passato. •

La Tavola di Riccardo, una storia italiana

di Alberto P. Schieppati

Il giovane chef di Laveno, sul lago Maggiore, esprime nei piatti una passione fuori del comune

Quando si parla di storie italiane, quella della famiglia Bassetti è certamente da inserire tra le meglio riuscite. Il loro hotel, il Porticciolo, si trova a Laveno Mombello, sulle rive varesine del lago Maggiore, arroccato tra collina e lago, dove si staglia con le facciate di un colore rosso vivo. Non appena si raggiunge l’Hotel, si parcheggia praticamente a sbalzo sul lago; l’impatto scenico è fortissimo ed è il primo contatto con l’acqua, che vi accompagnerà per tutta la durata del vostro soggiorno. Dal parcheggio si scendono i tre piani e si raggiunge il ristorante La Tavola, una stella Michelin, fiore all’occhiello della struttura e riferimento gastronomico per tutta la zona; è il regno dello chef Riccardo Bassetti, classe 1982, che ha ereditato da papà Giovanni la passione per la cucina e dalla mamma Elisabetta Ballerini l’amore per il vino ed il gusto estetico. Riccardo ha imparato dai migliori, ha lavorato con Davide Oldani al D’O, con Sergio Mei al Four Seasons di Milano, poi sugli Champs-Elysées nell’Atelier di Joel Robuchon e nel mentre si è rimboccato le maniche anche nelle cucine del Meurice, sotto la guida di Yannick Allenò. Al

Sur Mesure del Mandarin Oriental Palace di Parigi ha avuto l’onore di far parte della squadra di monsieur Thierry Marx. Infine, dopo tutto questo peregrinare, è tornato a casa con un bagaglio di esperienze e di tecniche pronto a lasciare l’ impronta. Si è dato una scadenza precisa, una volta tornato nella sua Laveno Mombello: «Ho deciso di tornare in Italia perché avevo voglia di prendere in mano le redini dell’attività di famiglia; arriva un momento in cui ti senti pronto, e così mi sono dato al massimo quattro anni per dimostrare a me stesso che valevo una stella Michelin. Così è stato, e nel 2016 è arrivato l’ambito riconosci

mento». Seduti al ristorante La Tavola non si perde mai il contatto con il paesaggio, ci si rilassa fronte lago e ci si perde guardando i colori che cambiano e la vita su questo specchio d’acqua, mentre alle spalle si sente che qualcosa ferve, che la brigata in cucina ha terminato l’impiattamento, e che è giunto il momento della nostra esperienza gastronomica. La predilezione dello chef per il pesce è ben visibile fin dai primi amuse bouche, ma è nello sviluppo del pasto che esce la sua vera passione per quello di lago.

D’altro canto qui puoi pescare direttamente dal molo, contando sulla presenza di un’ottima materia prima a km zero, come anche tutti gli altri ingredienti che vengono selezionati tra i piccoli produttori e mercati locali: «Il pesce di lago è difficile da lavorare – prosegue lo chef - e da trasformare, ma non per questo deve essere bistrattato. Se preparato nel modo giusto e valorizzato correttamente, ha un sapore davvero speciale e da ricordare». Il cestino del pane è una delizia per gli occhi e per il palato. È curata dal papà Giovanni, come tutti i lievitati, ed è davvero quel punto in più che fa la differenza, accompagnato poi da una selezione di sali aromatizzati e di oli che esaltano ogni boccone. Si va dal croissant salato,

Riccardo Bassetti insieme ai suoi genitori Giovanni e Elisabetta

alla focaccina, alla mini baguette, preparata con impasto con autolisi e fermentazione indiretta con poolish. Il risotto con la zucca è ormai un must per chi conosce il ristorante, tanto che lo chef ha dovuto creare una versione alternativa per i mesi in cui la stagione

non ne consente il reperimento. È nato così un piatto, realizzato con la zucca fermentata, che si può gustare anche in primavera. Il concetto di “evoluzione di una ricetta” è molto forte nella cucina di Bassetti, dove si predilige un approccio che non stravolga il menù, ma

che proponga una evoluzione del piatto, con l’aggiunta, la sostituzione o l’eliminazione di un ingrediente, o di una salsa. Dietro c’è l’idea che il piatto cresca insieme agli stimoli ricevuti, alle influenze o ai sapori i con cui si entra in contatto: «Naturalmente ci sono sempre delle novità in menu, la stagionalità viene sempre rispettata - prosegue lo chef -, ma una cosa che mi piace molto e che gradiscono anche i clienti, è giocare con ricette note e vedere come reagiscono quanti magari abbiano già assaggiato diverse versioni di quel piatto». Tra i primi, interessantissima e originale, anche nel nome, la versione della Bouillabaisse, la zuppa di pesce tradizionale francese, che alla Tavola diventa BouillaBassetti, fatta con pesce di lago e ravioli ripieni di rouille. Qui si mette in gioco anche l’aspetto estetico, che in certe preparazioni si fa quasi fumettistico grazie all’uso di stampi che ricreano le forme stilizzate dei pesci. La maggior parte del pescato del lago infatti risulta ricco di spine e va quindi deliscato in maniera meticolosa, rischiando di perdere o modificare la sua forma iniziale e la riconoscibilità una volta nel piatto. La ricostruzione delle sue fattezze originarie è certamente una nota non solo gustosa ma anche in un certo senso ludica. Si ritrova lo stesso accento estetico anche negli Spaghetti con alici nelle tre versioni, dove una di queste è proprio la lisca dell’alice fritta, che dona croccantezza al palato e rompe l’armonia compositiva dello spaghetto. Tra i secondi, la Trota con provola, crescione e lardo e il Luccioperca con chorizo ed acqua di cozze, convivono con proposte di terra come la Quaglia e suoi satelliti, con foie gras, salsa di soja e verza. In questi piatti è tanto visibile l’esperienza francese dello chef, quanto allo stesso modo la capacità di farla sua e di calzarla su un territorio da sempre votato ai prodotti che il lago offre. L’attenzione alla stagionalità e alla scelta delle materie prime, reperite quasi esclusivamente tra le aziende agricole e gli allevamenti locali, sono le note che ricorrono nelle 4 proposte annuali. Le tecniche di cottura e le preparazioni dello chef Riccardo Bassetti, maturate alla corte dei più grandi maestri nazionali e internazionali della cucina, sono gli accenti che contraddistinguono ogni ricetta. Sono tre le combinazioni possibili da scegliere alla carta: 3, 5 o 7 portate, con prezzi a partire da 64 euro. Ogni percorso è scandito dagli abbinamenti di Elisabetta Ballerini che, oltre al ruolo di sommelier, ricopre il ruolo anche più importante di mamma di Riccardo e moglie di Giovanni. Come si diceva all’inizio, una vera storia di famiglia. Il tocco di Elisabetta, oltre che nella scelta dei vini che compongono una cantina di oltre 600 etichette, è ben percepibile anche nel resto della struttura, dove sono collocati oggetti di design, opere d’arte e collezio

ni d’autore, selezionati per impreziosire tutti gli ambienti. Con la bella stagione poi, viene aperta la terrazza esterna che si protrae a sbalzo sulle acque del lago, il vero fiore all’occhiello della struttura. Qui d’estate e in primavera ci si può rilassare godendosi un’esperienza gastronomica cullati dal suono delle onde. Importanti novità poi sono all’orizzonte. In fase di costruzione ci sono infatti la nuova piscina posizionata sul tetto dell’hotel, la sauna, la palestra e restyling di tutte le camere. •

Novità a Lisbona, Anunciada di lusso

di Gualtiero Spotti

Sempre in crescita le aperture alberghiere nella capitale portoghese, come la recente inaugurazione di questo albergo di fascia alta

La crescita di Lisbona come città turistica, avvenuta negli ultimi anni, ha in qualche modo cambiato la geografia della capitale lusitana. In poche stagioni si sono moltiplicati i ristoranti di pregio, ma soprattutto è cresciuto esponenzialmente il numero degli alberghi, in una corsa compulsiva all’ospitalità che ha portato nuovi indirizzi, in particolar modo nell’ambito dell’hotellerie di alto profilo. Al punto che è davvero difficile oggi, tra ristrutturazioni e nuove aperture, restare al passo con le novità che si susseguono a scadenza quasi mensile. Solo poco più di un decennio fa i nomi cui affidarsi tra gli alberghi cinque stelle si contavano forse sulle dita di due mani e, in alcuni casi, le strutture mancavano del necessario appeal per restare al passo con le esigente del viaggiatore moderno. Oggi tutto è cambiato e sia le grandi compagnie di hotel, ovvero i brand internazionali, che le strutture a conduzione familiare, si sono velocemente adattate alla nouvelle vague portoghese con la rinascita di una città che è percepita come una delle più importanti destinazioni turistiche internazionali. Uno tra i nuovi alberghi apparsi a caratterizzare il centro cittadino è il Palacio Da Anunciada, facente parte del brand The One che vanta un hotel anche in Spagna, a Barcellona. Discretamente nascosto in una via che collega agilmente il vivace quartiere di Rossio con la più celebrata via dello shopping di qualità, Avenida da Liberdade, il Palacio Da Anunciada è stato inaugurato nel febbraio dello scorso anno e sin dai primi giorni ha fatto parlare di

sé per la bellezza della struttura. Ospitato all’interno di un edificio risalente al Sedicesimo Secolo, il palazzo unisce in un sol colpo, nelle sue 83 camere e negli spazi comuni, il piacere di una sosta in stile old fashion, unita a convincenti sprazzi di minimalismo contemporaneo. Che si avvertono nella cura dei dettagli, nella ricerca del bello non ostentato ma naturale, come se si dovesse tornare ai tempi in cui l’edificio era residenza privata. In più c’è il valore non indifferente della discrezione e della tranquillità vissuta a due passi dalla rutilante area dei teatri e del passeggio urbano. All’interno il mondo dell’hotel è invece ovattato e rilassante, con la piacevole sala da lettura che ospita un’ampia scelta di volumi da consultare, con l’esposizione di quadri e sculture (in vendita) a caratterizzare la sala relax al pianterreno, con l’area benessere Despacio, perfetta e contenuta per chi vuole concedersi una sauna finlandese, una doccia sensoriale o, semplicemente, un tuffo in piscina. Oppure il Boemio cocktail lounge, situato nell’ampia hall che una volta, tornando indietro nei secoli, ospitava botteghe, negozi e scuderie, mentre oggi raccoglie l’atten

po nascosta per il mondo delle verdure e della materia prima che arriva dalla terra, come evidenzia bene una sezione del menu dedicata a piatti vegetariani. Meno entusiasmante, forse, la carta dedicata ai dolci, ma si può puntare l’attenzione sui piatti di formaggi visto la qualità, tra gli altri, di due cavalli di battaglia della produzione casearia locale come il Serra da Estrela o l’Azeitão. Infine, in un hotel di grande fascino e gusto come il Palacio Da Anunciada, non si può trascurare il piacere intimo di concedersi una sosta

zione di chi vuole togliersi uno sfizio gastronomico a base di tapas, oppure concedersi una full immersion tra etichette di vino portoghese e qualche cocktail. Ma se si parla di ristorazione, il punto di forza del Palacio da Anunciada rimane il ristorante principale Condes de Ericeira. Qui, in una piccola sala con meno di venti coperti, si incontra la cucina del giovane cuoco (appena trentenne), Bruno Fradeira. Un nome ben noto per chi frequenta la ristorazione d’albergo lusitana e in particolare quella di Lisbona, visto che Fradeira, formatosi alla scuola professionale di Chaves, è transitato prima al Caldas da Rainha di Obidos per poi passare al Vidago Palace e, quattro anni fa, allo Skyna hotel di Lisbona. Ma anche all’Azul e Branco, il ristorante dell’Hotel H10. Nella sua più recente avventura prima di occuparsi del Condes de Ericeira, dove è giunto con l’ambizione di combinare due mondi diversi, quello della cucina dal respiro internazionale e quella portoghese più classica. Così nel menù, dalle porzioni generose, la Terrina di foie gras incontra il Porto di Quinta do Noval, i fichi e il crumble di pistacchio, e il Risotto ai funghi di stagione, con croccante di Parmigiano Reggiano, si spinge fino in Asia inserendo i funghi shimeji, preparati sautèe, mentre l’immancabile baccalà (e il suo lombo) vengono presentati in versione molto vegetale, con rosmarino, un purè di ceci, lo scalogno caramellato e i broccoli. Ma in questo caso non c’è da stupirsi visto che la mano del cuoco rivela una passione neanche trop

nel patio interno, caratterizzato da una grande fontana. È la corte sulla quale si affacciano le stanze dell’albergo e il ristorante, e dove è possibile anche osservare il magnifico albero del drago (Dragon Tree) che ha più di 100 anni di vita ed è stato gelosamente custodito nel corso dell’imponente ristrutturazione che ha portato l’edificio a diventare uno degli alberghi di maggior prestigio in città. •

Serata benefica in occasione dei 180 anni della Fondazione Istituto dei Ciechi e dei 100 anni dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli ipovedenti, a sostegno del Centro Diurno per ragazzi non vedenti con disabilità complesse.

lunedì 23 marzo 2020 - ore 20

Budapest Festival Orchestra Iván Fischer direttore Patricia Kopatchinskaja violino

Prevendita telefonica 02 465 467 467 (lunedì - venerdì 10/13 e 14/17) Costo dei biglietti da 15 a 170 Euro (esclusa prevendita)

Richard Strauss Der Rosenkavalier - Walzerfolge n. 1 Jean Sibelius Concerto in re min. op. 47 per violino e orchestra Gustav Mahler Adagio della Sinfonia n. 10 Richard Strauss Till Eulenspiegels lustige Streiche op. 28

Coordinamento generale

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