N°60 Sulla via della pace

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SULL AVIA DELL APACE T R I M E S T R A L E

A S S O C I A Z I O N E

V I A

P A C I S

EDITORIALE

PROSSIMI AL DISTANZIAMENTO

- N°60 -

ALLA SCOPERTA DELLA PACIFICAZIONE INTERIORE Anno XV - n. 4 - Ottobre-Dicembre 2020 - Trimestrale Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi

- 2020 -


2 SULLA VIA DELLA PACE Trimestrale di in-formazione Anno XV - n. 4 ottobre-dicembre 2020 Registrazione n. 263 presso il Tribunale di Rovereto (TN) (19.01.2006) Direttore responsabile Paolo Maino Direttore di redazione Maria Luisa Toller Redazione Maria Luisa Toller Graziana Pedrotti Tiziano Civettini Collaboratori Marilena Brighenti Stefania Dal Pont Archivio Fotografico Marcello Cenedese Distribuzione e numeri arretrati Fausta Matteotti Editore Associazione Via Pacis onlus Direzione e amministrazione Via Monte Baldo, 5 38062 Arco (Trento) Italy mail@viapacis.info www.viapacis.info Tel. +39.0464.555767

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Editoriale • Prossimi al distanziamento Don Domenico - Ricordare - Un prete speciale Pacificazione Interiore - Intervista ad Eliana Aloisi - Pacificazione in America Latina - Attratta dal Volto di Dio - Testimonianze Famiglia - Fede cristiana e società - Servitori della speranza - Famiglia, patrimonio dell'umanità Solidarietà - Africa: Covid 19 e solidarietà - Ampliamento “Casa della pace” Charis • Il “riposo nello Spirito”: esperienza mistica? Testimonianza • Apertura Checkpoint • Accogliere l'handicap Quanto amo la tua Parola • L'ultima ora Carissimo • Carissimo... digiuno Appuntamenti

Grafica BENĀCUS benacus2015@gmail.com Illustrazioni Paola Bonometti Tiziano Civettini Ilaria Failo Stampa Antolini Tipografia - Tione (TN) Finito di stampare nel mese di settembre 2020 In copertina: “Famiglia” di Letizia Riccadonna”

L’Associazione Via Pacis è un’Associazione internazionale Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica di Diritto Pontificio.

Le attività di solidarietà promosse dall’Associazione Via Pacis sono gestite dalla Associazione Via Pacis onlus Via Monte Baldo, 5 - 38062 Arco (TN) - Italy Tel. +39.0464.555767 - mail@viapacis.info

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EDITORIALE

DI RUGGERO ZANON

22.000

morti al giorno, 821 milioni le persone colpite. Non è il bollettino della pandemia, ma quello delle persone afflitte dalla piaga del secolo: la fame e la malnutrizione (Rapporto FAO 2019). Numeri da cui abbiamo preso l’abitudine al distanziamento, senza bisogno di norme governative che ce lo imponessero. Numeri che rischiano di rimanere tali, e non volti, persone, vite spezzate, spazzate via dall’indifferenza di un mondo che, contemporaneamente, vede aumentare la sovralimentazione e le malattie “del benessere” ad essa collegate. Se abbiamo imparato qualcosa dalla pandemia, che sta continuando a colpire pesantemente soprattutto i più poveri e indifesi, è che “siamo ”, come ci ha tutti nella stessa barca”, ricordato Papa Francesco, che non ci salviamo da soli, che la fraternità e la solidarietà sono l’unica cosa che ci rimane, che ciò che conta nella vita sono le relazioni, il bene che abbiamo voluto, la speranza. Non vogliamo rischiare di disperdere un patrimonio che ci è apparso in modo così chiaro alcuni mesi fa, e tornare alla nostra vita di un tempo. Non vogliamo e non possiamo. Abbiamo sperimentato la forza della compassione, la forza del sacrificio a costo della vita, di cui hanno dato prova tanti medici, paramedici, personale addetto alle pulizie degli ospedali. Valori che pensavamo sopiti

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sono riemersi con prepotenza, a dimostrazione che la morte non ha più potere su di noi, che la vita va oltre, che l’amore non si ferma di fronte a nulla. Ci è stata consegnata un’eredità, che sta a noi condividere, trasmettere, moltiplicare. Stretti dalla paura della morte, abbiamo riscoperto il valore della vita. Preoccupati per la salute dei nostri cari più che della nostra, abbiamo sperimentato che è l’altro a donarci vita, a dare senso al nostro fare, a spingerci oltre i nostri limiti. Se non moriamo per dare la vita, la vita morirà con noi. Se non moriamo

a noi stessi, alle nostre chiusure, alla nostra indifferenza, quella vita cui cerchiamo di rimanere attaccati con tutte le nostre forze andrà perduta. Allora ripartiamo da qui, attingiamo alla forza di quell’amore che in questo tempo ci ha fatto fare cose impensabili, che ci ha fatto sentire vicini, fratelli, col resto del mondo. Quel povero, quel dimenticato, quell’emarginato, ha bisogno di noi, che ci facciamo prossimi, vicini, come non lo siamo stati mai. Non lasciamo che il distanziamento dettato dall’egoismo permetta al virus dell’indifferenza di assestarci una ferita mortale.

Prossimi al distanzia mento


DON DOMENICO

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Ricordare don Domenico DI TIZIANO CIVETTINI

DON DOMENICO PINCELLI, sacerdote di Arco, è nato 95 anni fa ed è morto 16 anni fa. È uno dei fondatori di Via Pacis. Lo ricordiamo tutti gli anni, ma non vogliamo che sia un fatto solo nostro, per questo abbiamo chiesto di onorarlo durante la normale Messa parrocchiale. Onorare la sua memoria non è semplicemente ritornare al suo passato. Questo è molto importante, ma si corre il rischio di chiuderlo come in un museo, o in un album di foto che diventano sempre più sbiadite. Io credo che ricordare davvero don Domenico sia ricevere il suo testimone per passarlo ad altri (il testimone è quel bastone di legno che si usa per la corsa a staffetta): ognuno fa una parte della corsa, ma si vince insieme. Questo testimone, in realtà, è un dono, un carisma, che rimane dono solo se si dona, e mentre si dona non rimane come prima, ma si trasforma, si abbellisce, si espande. Il dono che ci ha trasmesso è innanzitutto l’amore per la Parola del Signore: Don Domenico ci ha sempre mostrato che di essa ci si può fidare, che è viva, che è il Signore stesso. In essa tu puoi incontrare il tuo Dio, sempre, anche quando ti senti indegno o disperato. “Il Signore è al mio fianco come un prode valoroso”, scrive il profeta Geremia, e si fida e si affida. Don Domenico ha sperimentato il limite (della salute, della delusione, della disperazione) ed ha creduto nella bontà e tenerezza di Dio e nella Sua forza. Ed ha insegnato che è possibile fare altrettanto. Tutti siamo attaccati dal male e attaccati al male. Don Domenico ha preso sul serio il peccato e il perdono, stando giornate intere in confessionale, annunciando che la Grazia è più grande del peccato. Per questo si può sempre ricominciare.


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Un prete speciale DI DANILO BONOMETTI

I primi anni della mia vita, fino all’adolescenza, furono caratterizzati da pesanti conflitti all’interno della mia famiglia di origine. Cercavo di stare fuori casa il più possibile per stare lontano dalla tempesta, ma ricordo ancora la sensazione di profondo disagio al pensiero di rientrare la sera, con la paura di trovarmi di nuovo nel mezzo di qualche violenta lite. Avevo 16 anni, quando un amico coetaneo mi disse: “Sai, ho incontrato un prete, ma uno di quelli speciali, puoi andare a raccontargli qualsiasi cosa della tua vita!”. Un giorno presi coraggio e decisi di andare a parlare con questo “prete tanto speciale”, quasi con l’idea di metterlo alla prova, per vedere quanto fosse speciale. Mi ritrovai davanti un piccolo prete dai capelli color argento, che subito mi accolse con un sorriso ed una calorosa stretta di mano, chiedendomi come mi chiamassi. Ricordo che immediatamente sentii un vortice di sensazioni contrastanti: lo percepii subito come un grande uomo, la sua calma immobile mi diede l’idea di una grandissima forza ed il suo silenzio e la sua gentilezza trasmettevano una tranquillità a cui anelavo da tanto tempo. Non sapevo che quell’incontro avrebbe cambiato tutta la mia vita da quel momento in poi! Iniziai a raccontare: i conflitti in famiglia, le mie fughe da casa, ogni cosa venne fuori prima come un rivolo, poi come un fiume in piena. Il piccolo prete mi ascoltò annuendo, e quando terminai disse: “bene!” Rimasi stupito che, dopo tutto quello che gli avevo riversato addosso della mia vita, lui potesse avere il coraggio di dire una parola così! Ma lui proseguì: “Sai, Dio ha ogni cosa nelle sue mani e sa tutto, lui ti ama e sa cosa hai passato e non ti giudica, ti ama di amore infinito e basta”. Queste parole furono come un masso lanciato da una catapulta contro le mura del mio rifugio. “Vedi”, disse, “anche se tu fossi il peggiore assassino della terra, Lui non smetterebbe di amarti infinitamente, perché sei una sua creatura, Lui è Padre e Madre”. Questa frase è tuttora, a distanza di più di 35 anni, stampata nella mia mente e nel mio cuore: fu la “bordata” che aprì una grande breccia nel muro del mio castello, e mi fece capire che, nonostante quello che avevo affrontato con i miei genitori, Dio aveva continuato ad amarmi, senza interruzione, con un amore vero di padre e madre. Anche adesso, che don Domenico non è più su questa terra, nei momenti difficili ricordo la sua voce che mi diceva di stare tranquillo e di affidare tutto nelle mani di Dio, e questo mi aiuta a ritrovare stabilità e serenità.

TESTIMONIANZA


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PACIFICAZIONE

alla scoperta della

PACIF (AZION INTER

Come hai scoperto la pacificazione? Torniamo agli anni in cui Via Pacis nasceva: erano anni di una forte esperienza e intimità con Dio, in cui iniziavo anche a prendere coscienza di alcuni miei problemi che, però, dal momento in cui avevo incontrato Dio, sembravano misteriosamente scomparsi. Era un’esperienza molto concreta, in cui Dio rispondeva a tutto! Nonostante questo, mi rendevo conto che c’erano delle problematiche che la preghiera non riusciva a risolvere.

E allora?

INTERVISTA AD ELIANA ALOISI D I F E D E R I C O V I VA L D E L L I

Cos’è la pacificazione interiore? È chiedere a Dio che faccia pace dentro di noi, nelle nostre zone d'ombra, nelle lotte che tutti abbiamo dentro. La prima forma di pacificazione è trovare una persona non giudicante, che si faccia grembo accogliente per noi, con cui potersi confidare. Nel mio caso questa persona è stata don Domenico.

Una mattina ricordo d’aver chiesto al Signore: “cosa facciamo in questi casi?” Stavo leggendo la Bibbia e ho trovato un versetto: “…avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento...” (Eb. 12,1-2). Ricordo poi di aver chiesto a Dio: “Cosa significa questo?” e immediatamente ho avuto la visione di un laghetto di montagna, molto limpido e trasparente; bastava però agitare leggermente le acque e diventavano melmose, come se dal fondo salisse del fango. Ho capito che quel laghetto ero io: il mio “fondo” era la mia vita passata che stava inquinando il mio presente. Questa è stata l’intuizione iniziale. Dall’intuizione iniziale siamo poi passati all’applicazione pratica, inizialmente molto artigianale. Solo in un secondo momento ci siamo


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FIC NE) RIORE

In che rapporto stanno l'azione di Dio e l’impegno della persona, la sua responsabilità e il suo desiderio di cambiare? Usando una metafora, lo descriverei così: se io mi rompo una gamba, cammino claudicante. Il Signore può, con un miracolo, guarirmi all’istante; ma se io continuo a camminare in modo scorretto - perché così mi sono abituato a fare - non cambierà niente. È necessario che io rieduchi la mia parte ammalata per poter camminare bene. Lo stesso si può dire per la pacificazione interiore: è necessario che io rieduchi la mia parte ammalata, in quella situazione di mancanza di libertà. E si tratta di una fatica che durerà tutta la vita; qualcuno faticherà di più, altri meno: non partiamo tutti dallo stesso punto. Un ulteriore aspetto che vorrei sottolineare è che pacificazione e conversione devono sempre procedere insieme: non è possibile fare un percorso di pacificazione senza una conversione a Dio, cercando, cioè, di vivere secondo il Vangelo, seguire la vita sacramentale, la preghiera e la comunità. È molto importante, in questa fase, la vita di comunità: se dopo aver fatto un’esperienza di questo tipo rimaniamo da soli, nel giro di brevissimo tempo veniamo ripresi dalla vita di prima.

Come inizia un percorso di pacificazione interiore? resi conto che anche in questo ambito eravamo come nani sulle spalle di giganti, che prima di noi avevano sperimentato la pacificazione di Dio, primo fra tutti sant'Ignazio di Loyola.

Qual è stata la tua esperienza personale di pacificazione? La mia pacificazione è stata molto “imparaticcia”, perché sono stata il prototipo da cui siamo partiti. C’era l’intuizione, ma non c’era la pratica. Condividendo con Paolo, ma soprattutto con don Domenico, ho cercato di fare quello che la visione mi diceva, ovvero lasciar emergere la parte inquinante della mia vita: all’epoca avevo già perso due figli, ero stata sterilizzata, per cui avevo tanti condizionamenti alle spalle. Questa è stata la prima cosa che Dio ha fatto nella mia vita: quando ho incontrato il Signore ero davvero angosciata dalla mancanza di figli e Dio mi ha tolto l’angoscia. Se Lui non avesse toccato questo aspetto della mancanza di figli, mi sarei attaccata morbosamente alle persone che man mano arrivavano in Comunità.

In che relazione sono pacificazione interiore e Carisma Via Pacis? Se vogliamo essere persone che portano la pace, è indispensabile essere in pace dentro. E, per essere in pace, dobbiamo intraprendere delle strade di pacificazione con noi stessi, con i nostri limiti, difetti, errori e peccati. C’è un profondo intreccio tra il carisma Via Pacis e la pacificazione interiore.

Nella pacificazione, è Dio stesso che fa emergere ciò che noi possiamo affrontare, non di più. Se la psicologia fa un lavoro d’introspezione, nella pacificazione interiore è Dio che lascia che emergano gli aspetti che vogliamo siano toccati o che siamo disposti a lascargli toccare. C’è libertà anche in questo! E scopriamo che spesso sono gli altri a farci prendere coscienza di cosa dobbiamo pacificare.

In questi anni sono nate diverse Comunità Via Pacis nel mondo, anche in Paesi con culture profondamente diverse dalla nostra; quali differenze ci sono nel proporre lì un percorso di pacificazione interiore? Abbiamo proposto la pacificazione interiore soprattutto in Colombia, e direi che è stato molto, ma molto più efficace che da noi. È come se la semplicità permettesse a Dio di agire meglio. Abbiamo visto situazioni di gravi dipendenze sbloccarsi, così da permettere alle persone di prendere la decisione di affrontare le proprie difficoltà e procedere perseveranti in un nuovo cammino.

La pacificazione interiore in una Parola? “…Trasformerò la Valle di Acor in porta di speranza...” (Os. 2,17): la pacificazione è saper trasformare - con Dio - il luogo della distruzione in luogo di speranza, perché quando integriamo le difficoltà e i lutti riusciamo a vedere come, da una situazione di male, nasce una situazione di bene.


PACIFICAZIONE

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pacificazione in

(AMERICA LATINA) riprendere il viaggio della vita in modo molto più leggero, perché dalle mie spalle erano stati tolti tanti pesi.

DI JULIAN RAMIREZ ZULUAGA

Il carisma “Via Pacis”, presente da alcuni anni in America Latina, ha portato molti frutti. In particolare, i percorsi di pacificazione interiore sono stati la risposta concreta alla sete di pace, di guarigione fisica e spirituale, di libertà interiore e di relazioni rinnovate. Ho conosciuto Via Pacis partecipando a un percorso di pacificazione. Voglio testimoniare come ha lavorato nella mia vita una delle “frasi” che vengono proposte in questi percorsi: "perdonarsi per poter donarsi”. Ho fatto esperienza dell’amore gratuito di Dio, che mi amava come un “prodigio”, senza chiedere nulla in cambio. Mi teneva sul palmo della Sua mano, mi voleva libero perché potessi vivere la mia vita in pienezza. Dio ha trapassato e inondato la mia storia col suo balsamo rivitalizzante. Ha pacificato e rinnovato la mia vita. Un’esperienza fatta alla luce della parola di Dio, dell’antropologia cristiana che ci fa conoscere un Gesù “che è lo stesso ieri, oggi e sempre” e si prende cura di ognuno di noi. Questo processo di pacificazione personale mi ha dato un nuovo sguardo su me stesso, sulle persone del mio ambiente, su Dio, sulla mia fede; mi ha aiutato a

Le esperienze vissute poi, negli anni, come animatore di questi seminari, guidati dai Fondatori, mi hanno fatto toccare con mano la grazia di Dio in azione nei fratelli. Le vite di molti di loro, con ferite molto profonde, in questa terra toccata da tanta violenza e conflitto, sono rinate. Fratelli che, prima, pur volendo seguire il Signore, a causa di queste ferite non riuscivano a vivere la fraternità nella pace e nella gioia. Dopo queste esperienze ho chiesto ai Fondatori di “prepararmi” per guidare io stesso questi percorsi, visto il bisogno urgente di perdono e pacificazione che c’è tra la mia gente. Da allora, sono già vari i percorsi che abbiamo fatto in Colombia ed Ecuador. In maniera speciale, in Colombia, dal 2017 abbiamo potuto realizzare nella nostra Diocesi di Armenia seminari aperti a tutta la popolazione, come un aiuto concreto della Chiesa alla necessità di perdono e riconciliazione tra i colombiani. La Chiesa della diocesi di Armenia, poi, ci ha chiesto di tenere questi percorsi di pacificazione anche ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose. Coloro che hanno partecipato al seminario di pacificazione possono chiedere, se lo desiderano, un tempo di accompagnamento personalizzato, nel quale la persona viene aiutata ad approfondire alcuni elementi che sono emersi durante il percorso, attraverso il dialogo e l'ascolto rispettoso. Si attinge alla misericordia di Dio proponendo l’accostarsi ai Sacramenti, in particolare al sacramento della Riconciliazione, fonte di perdono e guarigione. In alcuni casi si rende anche necessario l'appoggio di una direzione spirituale, o il supporto terapeutico di professionisti. Il percorso di pacificazione interiore è un tempo privilegiato e necessario che diamo a noi stessi e che Dio ci dona, per ricomporre la trama della nostra storia sotto il Suo sguardo misericordioso.


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ATTRATTA DAL VOLTO DI DIO D I I G N A Z I N A C R O C I ATA

Credo che tutti abbiamo bisogno di rifletterci in uno 'specchio', che è l’immagine di noi riflessa dagli occhi, dalle parole, dagli atteggiamenti degli altri, per scoprire chi siamo e chi è Dio. Ho incontrato tanta gente, più o meno saggia, nella mia vita e, senza consapevolezza, ho cercato il mio riflesso. Quanti disastri, delusioni, giudizi. Come fidarsi di qualcuno, se poi ciò che vedi senti che non ti corrisponde? perciò, pur desiderandolo, non ho mai intrapreso questo viaggio prima d’ora, poiché dentro di me pesava molto anche la mia storia. Cercavo Dio, ma ne avevo un'immagine distorta, principalmente dal mio vissuto. Credevo che Dio preferisse solo alcuni, che fosse un padrone al quale bisogna pagare pegno, che non accetta i difetti, che vanno superati con fatica e costanza per guadagnarci la sua simpatia. Quanta frustrazione e quanti giri su me stessa ho fatto! Eppure, il Volto di Dio mi attraeva lo stesso. Ho iniziato 2 anni fa questo percorso, suggeritomi da un amico sacerdote. All'inizio è stato principalmente psicologico, ma ben presto si è trasformato in psico-spirituale. Mi hanno sempre incuriosito gli aspetti psicologici della persona, e integrarli con la mia parte spirituale mi sembrava una cosa grandiosa. Ero appesantita da tanti dolori e ho fatto molta fatica a raccontare la mia storia. Ho consumato una quantità enorme di fazzoletti, a volte li dimenticavo anche, ma per fortuna li trovavo lì pronti, sul tavolo! Pian piano, grazie alla pazienza e alla benevolenza della persona che mi ha accolto, ho iniziato ad aprirmi e il dolore è riemerso con tutta la sua forza, sconvolgendo le parti profonde dove lo avevo seppellito. Mi sembrava di fare una scalata tremenda e stancante ogni volta, però provavo un senso di sollievo e gioia nel poter raccontare la mia vita davanti ad una persona che, con il suo sguardo e le sue parole, mi faceva sentire umana, non sbagliata o giudicata! Dio si è preso cura di me attraverso questo dialogo. Ho sacrificato l’immagine che avevo di Lui per un'immagine più veritiera, più fedele alla Parola: un Dio che è veramente misericordioso e mi ama, non perché sono giusta, ma perché sono io. Un Dio molto più attraente da conoscere! L'accompagnamento spirituale non è una sorta di guida per raggiungere chissà quale progetto nascosto al quale aderire (questa era più o meno la mia idea!). È un cammino con una persona di esperienza e fede, che fa la stessa strada; una persona che ti cammina accanto, qualche passo avanti, che non ha le soluzioni e non sa dove sto andando, ma che mi sprona a rimanere nella strada e a non smarrire la meta!

TESTIMONIANZA


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PACIFICAZIONE

MARGARITA Camacho

Calarcà (Colombia)

È stata un’esperienza unica e profonda. Durante la preghiera, attraverso la guida dell’animazione, ho potuto rivisitare la mia gestazione. Ho avuto la netta sensazione che mia madre avesse paura e non fosse pronta per una nuova gravidanza. Ho potuto perdonare mia madre e pacificare il rapporto con lei. Rivisitando la mia infanzia, Il Signore mi ha permesso di ricordare un evento che avevo completamente dimenticato. Mio padre usava punirci fisicamente, adoperando la frusta. Avevo circa 5 anni e per lo spavento mi ero fatta la pipì addosso, e questo aveva irritato ulteriormente mio padre. Mentre emergeva questo episodio non provavo dolore, ma il desiderio di perdonare mio padre e di ricordare con occhi e sentimenti nuovi. Ringrazio Dio per l’amore che ha per me, perché adesso mi sento meglio.

Nella mia vita ci sono state molte delusioni, tradimenti ed inganni, che mi hanno procurato molto dolore e riempito di rabbia. In particolare, una persona della mia famiglia mi ha ferito in modo profondo. Il dolore sembra quasi insopportabile, quando a farti del male è una persona molto vicina, dalla quale ti aspetteresti protezione. Passarono molti anni e, nonostante collaborassi attivamente in parrocchia, non ero mai riuscita ad esternare questo dolore. Mi trasformai in una persona silenziosa, inquieta, senza pace. Durante il seminario di pacificazione, avevo una difficoltà, quella di perdonare me stessa. Non capivo cosa avrei dovuto perdonarmi: non avevo fatto niente di male! Ma il Signore stava già toccando il mio cuore indurito, mentre gli animatori ci invitavano a presentare a Dio le nostre ferite, a guardarle in faccia, ad aprirle, perché Lui potesse entrare e guarirle. Ora posso testimoniare che Gesù non solo ha guarito le mie ferite, anche quelle più profonde, ma ha anche guarito la memoria, perché ora il ricordo non fa più male. Mi ha anche aiutato a comprendere il vero senso del perdono.

ROSA Matilde Montes Villamil Armenia (Colombia)


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ARIEL Jose Quintero Armenia (Colombia)

Sono docente di biologia, in pensione dopo 40 anni di lavoro. Sono marito e padre di famiglia. Il primo giorno, durante la recita delle Lodi, mi hanno colpito le parole del Salmo 139: ho capito con chiarezza alcuni miei comportamenti negativi, che a volte manifesto, quali aggressività, irritabilità, espressione poco gradevole del viso. Ripensavo alle volte che mi ero comportato così in famiglia o con i miei studenti. Durante la preghiera di guarigione mi sono lasciato guidare e ho chiesto a Dio che mi aiutasse a perdonarmi e mi guarisse da queste debolezze. Sono rimasto come “assopito” per 10 o 15 minuti, durante i quali mi sentivo in pace, felice, e avvertivo che “Qualcuno” mi aiutava a perdonarmi per i miei atteggiamenti, che hanno influenzato negativamente anche i miei figli. La mattina del secondo giorno, durante un momento particolare, ho rivissuto il tempo del mio concepimento, della gestazione e della nascita. Sono nato in una famiglia cattolica di origini molto umili, gente di campagna. Mia madre si sposò molto giovane, e visse nella paura e nella sottomissione tutta la sua vita matrimoniale. Una forza interna mi aiutò a capire che è per questo che io sono molto timido e nervoso, difficoltà che vedo presenti anche in due dei miei tre figli e li ostacolano nelle relazioni e nello studio. Ringrazio Via Pacis perché attraverso questo percorso Dio ha toccato la mia vita, dandomi la possibilità di vedere ciò che andava cambiato, di guarire ciò che andava guarito, per il mio bene ma anche per il bene dei miei figli e della mia famiglia.

Sono nata in una famiglia di aborigeni di questa zona. I miei genitori non erano andati a scuola e si affidavano alle tradizioni ancestrali, impregnate di maschilismo: la donna è poco considerata e difficilmente può studiare. Attraverso il percorso, ho rivisitato la storia della mia famiglia, della mia infanzia; ho perdonato, guardando con più benevolenza alle mie radici, non giudicando i miei genitori per le loro scelte, ma imparando a stimarli per i numerosi sacrifici fatti per portare avanti la famiglia. A ringraziarli, anche, per la possibilità che mi hanno dato di studiare: io sono stata l’unica della famiglia a poterlo fare. La pacificazione mi ha anche aiutata a superare un pesante lutto per la perdita del mio bambino durante la gravidanza, e a trasformarlo in amore per gli altri miei figli. Avere una vita più pacificata e dedicare tempo alla preghiera ha portato benedizioni speciali nella mia casa, soprattutto nella relazione con mio marito, che si è convertito, ha abbandonato il consumo di alcool, ed è diventato un marito presente e affettuoso con me e i nostri figli.

LIGIA Huatatoca

Cotundo (Ecuador)

TESTIMONIANZA TESTIMONIANZA


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FAMIGLIA

DI ROMOLO ROSSINI

si potrà ancora ritenere che il matrimonio sia tra un uomo e una donna? che ogni bambino ha diritto a un papà e a una mamma?

Come è noto in Italia, il disegno di legge Zan contro l'omotransfobia ha suscitato discussioni e polemiche e ancora ne

susciterà al momento della discussione in Parlamento, prevista per questo autunno. In particolare, nel mondo cattolico si è distinta una nota della Presidenza della Conferenza Episcopale (Avvenire, 10.06.2020) che, oltre ad affermare la non necessità di questa legge, dato che ogni persona, proprio in quanto persona, è già efficacemente protetta dall'ordinamento giuridico del nostro Paese, ritiene effettivo il pericolo che in nome di questa legge si possa bloccare il


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della donna, proprio nella differenza, manifesta un senso orientato all'incontro d'amore, al matrimonio e alla generazione? O si potranno ritenere idee potenzialmente discriminanti e quindi passibili di essere valutate come veri e propri reati? Il relatore, on. Zan del PD, in una intervista al quotidiano cattolico Avvenire, aveva a suo tempo assicurato che non era questa l'intenzione della legge e che essa avrebbe certamente rispettato la libertà di pensiero. Tuttavia, poiché ogni sentenza è una interpretazione della legge e non una mera applicazione, il giudice interpreterà il dettato effettivo della legge, non l'intenzione del legislatore. Le parole per definire una legge non sono certo né neutre né ininfluenti, e proprio questo può dare il fianco a quanto paventato dalla nota della CEI e anche da altri studiosi e costituzionalisti. C'è chi vede poi in questa proposta di legge il tentativo di affermare e di legalizzare una ideologia di astratta uniformità – il cosiddetto ‘pensiero unico’ - in cui il corpo e le sue differenze sono liberamente manipolabili dall'individuo, in nome di una libertà che trova il suo senso nella possibilità di scelta, dilatata quanto possibile. Potrebbero inoltre seguire iniziative scolastiche, previste dalla medesima legge, capaci di plasmare una forma mentis, una forma sociale che tutti debbono assumere. Ecco, le leggi non hanno questo compito. Esse non sono a servizio di ideologie, ma di tutta la società, e il modo migliore di tutelare anche i membri più deboli, o comunque più facilmente discriminabili, non è solo quello di una legge, ma prima di tutto quello di una cultura condivisa, senza che le due cose si escludano. Anzi, le leggi migliori nascono proprio da una cultura condivisa. Non è compito del nostro breve intervento entrare nei dettagli di questa proposta. Molte e opportune informazioni si trovano su Avvenire. Ci interessa soprattutto svolgere alcune osservazioni di natura antropologica e sociale. Innanzitutto, appare fondamentale chiarire il valore della differenza. Possiamo dire che, nell'unità del genere umano, uomini e donne vivono di molte differenze, a partire dalla differenza fondamentale tra uomo e donna. La storia e la cultura umana hanno vissuto e vivono di differenze: lingue, popoli, religioni, culture. Non ci nascondiamo che, storicamente, le differenze sono state e sono tuttora occasione di discriminazione e di ingiustizia, a partire dalla discriminazione e sottomissione della donna, che il testo biblico di Genesi coglie con lucidità e riporta, non al disegno buono e bello del Creatore, ma alla superbia e cattiveria umana.

nell'unità del genere umano, uomini e donne vivono di molte differenze, a partire dalla differenza fondamentale tra uomo e donna

diritto alla libertà di pensiero. Sembra, infatti, che il dettato dell'attuale proposta di legge possa dar adito a interpretazioni che potrebbero ritenere discriminatorio chi ha un pensiero, certamente non offensivo, ma diverso, a riguardo del senso della sessualità umana, della famiglia, della generazione. In altre parole, si potrà ancora ritenere che il matrimonio sia tra un uomo e una donna? che ogni bambino ha diritto a un papà e a una mamma? che il corpo dell'uomo e


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FAMIGLIA Ma è da annullare la differenza, o sono i rapporti umani da vivere sempre più come giustizia, in una società capace di valorizzare le differenze e non di omologarle? I moralismi sono del tutto inutili e inopportuni, ma la riflessione sulla natura del rapporto sociale appare sempre più importante, non solo a riguardo di questa legge, ma anche di altre possibili future leggi. Ormai, il pluralismo delle convinzioni, delle idee e delle forme di vita, e il diffondersi, proprio come forma di rapporto e forma di vita, dell'utilizzo dei social, che sono vissuti da molti come modo spontaneo e immediato di relazionarsi agli altri, anche in forme di odio, di prevaricazione, di fake news, possono favorire e rafforzare forme distorte di relazione. In verità, ogni rapporto sociale ha una legge di vita al suo interno. L'altra persona è indisponibile ai nostri progetti e alle nostre scelte. Rispetto significa riconoscere nell’altro una persona come me, eppure altra da me, il cui bene non viene dal mio riconoscimento, ma impone ed esige il mio riconoscimento, il mio rispetto. In altre parole, il fondamento di ogni rapporto sociale manifesta una prossimità, una umanità che la legge civile è chiamata a custodire, ad esplicitare.

il fondamento di ogni rapporto sociale manifesta una prossimità, una umanità che la legge civile è chiamata a custodire, ad esplicitare

Prima che rapporto legale, il rapporto umano è sempre rapporto di prossimità, o che invoca/impone il farsi vicino, il condividere, il comprendere e, nello stesso tempo, il richiamare alla verità di questa legge intima ad ogni relazione. Legge di prossimità, che la società è chiamata a esplicitare in forme di vita, in norme, in azioni, a favore della comune umanità di cui tutti siamo ospiti, non padroni.

A questa avventura politica siamo chiamati tutti a partecipare, animati e sollecitati da una fede che ha di fatto costruito, in Occidente e non solo, una civiltà in cui la persona è il centro

Occorre dire che, di fronte ai cambiamenti sociali che viviamo, quando toccano aspetti che ci riguardano tutti da vicino, si nota, da parte di persone e gruppi cattolici, un atteggiamento di netta opposizione, di assoluta intransigenza. Non pensiamo che questo sia condivisibile. Il fatto è che non viviamo più nella societas christiana, in cui le leggi molto dovevano alle forme di vita plasmate dal cristianesimo. Ora occorre cercare il consenso con gruppi e persone che non condividono la medesima visione del mondo, alla ricerca di possibili convergenze su leggi che favoriscano forme sociali di inclusione e di maggiore giustizia. Possiamo parlare di un atteggiamento critico- propositivo e di una capacità culturale di persuasione, di dialogo, di iniziativa volta

a mettere in luce il fondamento umano di proposte che vengono spesso escluse come confessionali o religiose ma che, proprio in quanto umano, appare condivisibile da chi si affida ancora a una ragione non ideologica ma che cerca, anche con fatica, il senso effettivo del nostro vivere insieme. Tutto questo si chiama politica, attuata in diversi modi e ambienti, ma senza la quale non è possibile una città degli uomini. A questa avventura politica siamo chiamati tutti a partecipare, animati e sollecitati da una fede che ha di fatto costruito, in Occidente e non solo, una civiltà in cui la persona è il centro. Occorre comprendere come un segno dei tempi e non come una iattura il fatto che i cattolici e i cristiani tutti non sono chiamati a costruire la città dei cristiani qui in terra, ma la città degli uomini in cui tutti, favoriti dalle leggi e dalle istituzioni, possano riscoprirsi partecipi di una società dal volto umano.


FAMIGLIA

D I S A R A E S A M U E L E C AV E D O N

Nella nostra Via Pacis, il Sacramento del Matrimonio occupa un posto privilegiato, in quanto presente sin dal momento fondante dell’Associazione: infatti i nostri fondatori, assieme ad un sacerdote, sono due sposi. Appare chiaro, dunque, l’amore che Dio ha per il matrimonio tra uomo e donna, e quanto sia connesso alla missione di Via Pacis. Come leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, “avendo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa un’immagine dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’uomo. È cosa buona, molto buona, agli occhi del Creatore”.

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Da più di due anni, mia moglie Sara ed io facciamo parte dell’équipe formativa nei weekend in preparazione al Matrimonio della Zona pastorale. Le tematiche affrontate sono il rapporto di coppia, il rapporto con Dio, la relazione con le famiglie d’origine, la relazione con i figli, la sessualità, la conflittualità. Il nostro obiettivo è quello di aiutare i partecipanti al corso a intraprendere un viaggio dentro sé stessi e come coppia, non rimanendo ascoltatori passivi, ma partecipanti fattivi; il tutto vissuto in un clima di condivisione e di preghiera. Da questa esperienza, io e Sara, come coppia, ogni volta ci rendiamo conto che i primi beneficiari siamo proprio noi. Il weekend ci aiuta a riscoprire, sotto sfaccettature diverse, la bellezza del matrimonio che da sette anni stiamo vivendo, ritornando all’essenziale nel nostro rapporto e rispolverando i pilastri, il cui valore ci tiene insieme. Da quando abbiamo iniziato, abbiamo conosciuto circa una cinquantina di coppie. Quello che ci stupisce ogni volta, è notare la sete e la ricerca di pienezza che ognuna di loro trasmette attraverso lo sguardo, le parole, le riflessioni e gli interrogativi che si pongono e che ci presentano. Ogni parola detta e ogni gesto da noi fatto vengono da loro carpiti come perle preziose. Siamo quindi felici di poter fare questo piccolo, grande servizio. Purtroppo, spesso appare evidente che le grandi domande della vita e le grandi promesse non trovino più tempo e che risulti più semplice accantonarle. Quando infatti qualcosa non è più come prima, quando insorgono i problemi e le difficoltà, tutto si sgretola, tutto crolla. Invece che combattere e ripartire, ci si arrende, travolti dalla delusione personale e di coppia. A livello antropologico, certe culture relativistiche cercano di minare le fondamenta del cristianesimo, compreso il matrimonio, ma la speranza non è finita e non deve mai finire. Speranza che troviamo ogni volta negli sguardi e negli interrogativi delle coppie che abbiamo avuto la fortuna di conoscere. È molto chiaro il desiderio che si trova in ognuno di loro di dare corpo al progetto di costruire qualcosa di grande e duraturo. Il matrimonio, come ce lo ha insegnato Gesù, è una di queste grandi risposte. E anche noi, che ci troviamo dalla parte di chi questa risposta l’ha trovata, vediamo in chi la sta cercando che Dio è ancora all’opera e che non ha abbandonato la sua famiglia umana.


FAMIGLIA

Famiglia, patrimonio dell' umanità

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con la formazione qualificata”. Nella nostra professione di insegnanti, in questi anni, abbiamo incontrato tanti casi difficili. Ci siamo resi conto che la famiglia, in questa società post-moderna, va difesa perché continuamente attaccata, per essere destabilizzata e distrutta. Abbiamo diverse opportunità nelle quali Dio ci permette di parlare e testimoniare la bellezza dell’essere famiglia: Nella scuola: Parlando di fidanzamento, matrimonio, paternità, maternità, possiamo testimoniare l’importanza e la bellezza dell’amore sponsale dal punto di vista cristiano, sensibilizzando all’amore come progetto di vita, stabilendo dialoghi aperti e sinceri di fronte a dubbi e pregiudizi dei nostri giovani.

Nella pastorale: Nella nostra Diocesi abbiamo avuto l'opportunità di partecipare ogni anno alla programmazione che da maggio a giugno porta il titolo: "Tempo di Famiglia". Questo ci ha permesso di presentarci come Via Pacis a diverse parrocchie, portando un annuncio di perdono e riconciliazione nella coppia e nella famiglia. Usando un linguaggio semplice e dinamico, abbiamo parlato di aspetti spirituali, temi di formazione, pacificazione interiore, esercizi per migliorare la relazione e la comunicazione nella famiglia. Da queste esperienze è nato uno spazio per l'ascolto delle coppie che vogliono approfondire alcune tematiche o essere aiutate nelle problematiche delle dinamiche famigliari. Su invito di alcuni sacerdoti abbiamo organizzato alcune giornate di formazione, in particolare con le famiglie dell’esercito nazionale e della polizia locale.

DI JULIAN E BIBIANA RAMIREZ

Dopo vari anni di cammino in Via Pacis, possiamo testimoniare come Dio, attraverso il carisma e i fratelli nella fede, ha salvato, riorientato e rinvigorito la nostra vita di coppia e di famiglia. Nelle difficoltà abbiamo contato sull’aiuto di alcuni fratelli “maggiori” nel carisma che, con molto rispetto, hanno saputo aiutarci ed accompagnarci nelle nostre problematiche di coppia e di giovani genitori. Il nostro servizio in Via Pacis Colombia, e il nostro desiderio di essere ambasciatori del carisma del perdono e della riconciliazione, ci ha spinto a portare a molte famiglie della nostra Diocesi un messaggio di consolazione, riconciliazione, speranza e formazione. Le famiglie hanno bisogno di essere ascoltate e accompagnate, con lo stile che ci hanno trasmesso i nostri Fondatori: “Quando ci avviciniamo ad una famiglia e alle loro situazioni personali, è come entrare in un sacrario, toccare un 'terreno sacro', che noi dobbiamo rispettare e curare, attraverso la tenerezza, la chiarezza e

Attraverso la radio, che in Colombia continua ad essere un canale molto importante di informazione e comunicazione. Arriviamo in molte case, grazie all'appoggio di una stazione radio regionale, che ci ha dato uno spazio settimanale chiamato “La via della Pace”. Trattiamo tematiche riguardanti la vita e le relazioni famigliari. In Colombia ci sono molti problemi latenti come il maltrattamento familiare, l'inadeguata educazione alla sessualità, l'abbandono dei figli, l'improvvisazione nella formazione di nuove famiglie etc. Questo ci ha permesso di partecipare al programma della radio: “La famiglia tutto un racconto”, per testimoniare e condividere la bellezza del matrimonio e della famiglia alla luce del carisma Via Pacis e della dottrina cristiana.

Nelle Comunità Via Pacis, attraverso l’organizzazione di varie iniziative di carattere sociale per promuovere la dignità delle famiglie, attraverso i progetti di Via Pacis Onlus: solidarietà concreta, sempre accompagnata dall’ascolto, dalla formazione e dall’accoglienza.

Attraverso queste esperienze possiamo davvero testimoniare che la famiglia è patrimonio, fondamento dell'umanità e tesoro della Chiesa.


SOLIDARIETÀ

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Africa: Covid 19 e solidarietà

DI NANCY OWAK

Grazie davvero per la vostra gentile donazione per l’acquisto di cibo da distribuire alla nostra comunità in Utawala. Diverse famiglie ora possono mangiare e sorridere grazie al vostro generoso gesto. Desidero condividere alcune parole dette dalle famiglie che abbiamo visitato. “Possa Dio benedirvi molto e accrescere le vostre finanze così che molte persone possano mangiare” – ha detto nonna Eliza, che è priva di qualsiasi risorsa. Durante gli scontri dopo le elezioni del 2017, tutti i suoi figli sono stati uccisi e la sua casa bruciata; lei è completamente sola. “In un villaggio, una madre è arrivata a bollire delle pietre in modo che i bambini potessero addormentarsi senza aver mangiato; un ragazzo ha ucciso un gatto e lo ha cucinato perché non poteva acquistare nessun altro cibo. Vi ringrazio molto per aver pensato a me in questo momento di prova”. Queste parole sono di nonna Esther. Esther è vedova. Si cura dei nipoti, figli di una defunta nipote. Soffre di una malattia cronica alla schiena e non può camminare in posizione eretta. Settimanalmente ha bisogno di fisioterapia, che attualmente non è in grado di pagare. “Possa Dio benedire la persona che ha avuto l’idea di condividere il poco che aveva con altre persone” - ha detto Pasaka mentre stavamo lasciando la sua casa. Pasaka è un volontario e con la moglie si prende cura di bambini orfani e vulnerabili. “Abbiamo passato dei brutti momenti: niente medicine per i nostri figli, niente denaro, niente terapie per loro.

Grazie molte perché ora abbiamo il cibo per nutrire i nostri bambini”. Queste parole sono state dette dalla mamma di George, 16 anni, e Angel, 13, che vivono in un sobborgo di Nairobi, con i genitori e altri tre fratelli più piccoli. George e Angel sono affetti da Fenilchetonuria, una rara malattia genetica ereditaria. Se non diagnosticata alla nascita, come viene fatto comunemente in Europa, e adeguatamente trattata con una dieta speciale, questa patologia comporta disabilità intellettiva, microcefalia, deficit motori, disturbi dello spettro autistico, epilessia, deficit di accrescimento e sintomi psichiatrici. I due ragazzi necessitano di cure e sorveglianza continua, devono essere imboccati, lavati, vestiti e accuditi in tutto. Per questo motivo il padre, James, ha lasciato il lavoro per aiutare la moglie nel prendersi cura di loro e sostiene la famiglia allevando polli e altri volatili nel cortile di casa. Le entrate della famiglia non sono stabili e, purtroppo, a causa della pandemia da Covid 19 la vendita degli animali è crollata. Il guadagno non è sufficiente nemmeno per l’acquisto delle loro medicine, del cibo speciale e dei pannoloni, la cui spesa ammonta a oltre 550 euro al mese. Anche Jeff e Andrew, Wafula, Wairimu e i suoi fratelli, Jemimah, Caroline, Christine, Okoma, Emmaculate e molti altri, che vivono in situazioni di precarietà, acuita dall’epidemia di Covid 19, stanno ricevendo sostegno nel tempo dell’emergenza. Tante vite sono state toccate grazie al vostro aiuto. Avete davvero fatto la differenza per noi e vi siamo estremamente grati.


SOLIDARIETÀ

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il progetto Dopo un’accurata fase preliminare di studio, è stato individuato un progetto che prevede l’aggiunta di una nuova ala, di due piani, all’edificio esistente. Oltre alle stanze per il riposo, vi saranno spazi adeguati per lo studio, una piccola infermeria, una stanza di “isolamento” in caso di malattie contagiose, una per le bambine con bisogni particolari legati a una qualche disabilità, un guardaroba ed un deposito per i materiali didattici. Cucina e refettorio sono già presenti nella struttura precedente ed i pasti saranno suddivisi in due turni. L’ampliamento permetterà di raddoppiare la ricettività della “Casa della pace” portandola da 70 a 140/150 posti.

A beneficiare di questo progetto non saranno solo le nuove bambine accolte ed alcune famiglie. Allargando lo sguardo, si intravvedono altri aspetti positivi legati alla realizzazione dell’opera, che saranno potenziati:

Nel mese di luglio 2020 è stata posta la prima pietra del nuovo edificio e sono iniziati i lavori di realizzazione.

• Le ragazze presenti aiutano le suore e diventano custodi delle più piccole con il sostegno nello studio, compagnia nel gioco, aiuto nelle piccole incombenze, in modo tale che anche le nuove arrivate possano gradualmente aprirsi all’altruismo ed alla riconoscenza; • La coltivazione di un piccolo terreno intorno alla casa, oltre a procurare ortaggi per le residenti, consente l’apprendimento graduale di un’attività manuale che potrà essere utile anche in futuro; • La Casa della Pace ospita le bambine, ma le sue porte sono aperte anche all’esterno, con la possibilità

Era dicembre del 2014, quando il fondatore di Via Pacis Paolo Maino e la presidente dell’omonima Onlus, Roberta Riccadonna, inauguravano a Loikaw, Myanmar, la Casa di accoglienza per ragazze che, fin da subito, la gente del posto ha chiamato “Casa della pace”. Si trattava di una struttura in grado di accogliere 70 ragazze e bambine di varie età, provenienti da villaggi

remoti delle montagne al confine con la Thailandia, zone lontane anche dalle amministrazioni locali, senza i servizi fondamentali, come l’istruzione. Luoghi pericolosi, battuti da ribelli contrari al governo centrale. Luoghi poco adatti a bambine e ragazze, spesso orfane, dove la violenza, il commercio di droga e, soprattutto, la tratta di esseri umani, sono merce quotidiana.


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Sr. Rosanna scrive Sono lieta di informarvi che stamattina – 27 luglio – c’è stata la benedizione dell’inizio dei lavori e, com’è tradizione nei nostri paesi, sono state messe nelle fondamenta della costruzione alcune immagini religiose tra le quali quella di sant’Antonio… Poter procedere alla realizzazione di questo progetto ci riempie di stupore e gratitudine: anche in questo tempo di pandemia, carico di difficoltà ed incertezze economiche, la tenerezza di Dio si manifesta attraverso il vostro lavoro di informazione, sensibilizzazione e solidarietà...

per bambini dei villaggi vicini di usufruire delle sale per il doposcuola del pomeriggio; • La casa accoglie le ragazze senza distinzione di razza o di religione. Seppure gestita da un ordine religioso cattolico, è molto apprezzata anche dai buddhisti, che sono la maggioranza in Myanmar. Non è raro che i più benestanti dei villaggi vicini portino doni per le bambine (vestiti, alimenti, ecc.) e persino dalla pagoda di Loikaw vengono offerti alimenti dai doni portati per il Buddha. Possiamo quindi affermare che questo nuovo progetto non potrà che portare riflessi di pace, convivenza armoniosa e reciproco apprezzamento fra le religioni e le etnie presenti a Loikaw.

Una particolare forma di sopruso è attuata proprio nei confronti di giovani donne e bambine, schiavizzate da organizzazioni criminali per comparire – come animali di uno zoo – nei villaggi delle “donne giraffa”, creati come attrazione per i turisti occidentali. Da quel giorno di dicembre sono trascorsi più di 6 anni, la casa si è riempita oltremisura e gli spazi esistenti non

bastano più. Si sono resi necessari dei lavori di rinforzo dei soffitti sotto il dormitorio, per reggere il peso di tante nuove ragazzine. Le suore, che gestiscono la casa, hanno esposto la situazione a suor Rosanna Favero, che ha inviato una richiesta di sostegno a Via Pacis per verificare la possibilità di ampliare la capacità ricettiva della casa.


CHARIS

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Il riposo nello Spirito: esperienza mistica?

D I PA O L O M A I N O

Un fenomeno caratteristico e quasi esclusivo del Rinnovamento Carismatico (RC), è il “riposo nello Spirito”. Si tratta di un argomento intrigante e inquietante sia per la poca conoscenza, sia per la curiosità che produce. Si manifesta normalmente durante la preghiera: le persone cadono per terra, con effetti vari di pianto, di riso, di pace, di tremore, manifestazioni sempre difficili da codificare. È un’esperienza misteriosa: la persona, lucida nelle proprie facoltà mentali, sembra che, “toccata dallo Spirito”, abbia una specie di “abbattimento”. È un fenomeno che sembra avvicinarsi alla mistica, ma una mistica semplice, È un fenomeno che dove anche le sembra avvicinarsi dimensioni di tempo e spazio alla mistica, ma una vengono alterate mistica semplice o superate, in una visione che incorpora passato e futuro nel presente, e dove si vive un momento di esperienza unica ed irripetibile. Dalle molte testimonianze, che in tanti anni ho potuto

raccogliere, quasi sempre emerge che, durante il “riposo nello Spirito”, avviene la visualizzazione di una luce, che sembra identificarsi con Dio, con lo Spirito, con Gesù. Questa luce fa sorgere sentimenti di pace, di conversione, di rinnovo del senso la presenza di Dio della vita, di in me era così forte attrazione che “calamitava” verso il divino, di benessere ogni mia facoltà generale. Il modo in cui viene sperimentato lo Spirito è da sempre descritto come un “fluire, un fondere e uno splendere” e si presenta come “energia vitalizzante” o come “sorgente luminosa”. Lascio la parola a due testimonianze che descrivono l’esperienza fatta e gli effetti prodotti. “Era l’estate del 1985, avevo 18 anni… Durante la preghiera avvertii una grande pace, un senso di calore pervadere tutto il mio corpo dalla testa fino ai piedi e le forze venire a mancare. Mi accasciai sul pavimento. Sentivo una forte presenza di Dio. Ero perfettamente


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cosciente di ciò che mi succedeva intorno, ma la presenza di Dio in me era così forte che “calamitava” ogni mia facoltà. Un senso di grande quiete e di pace pervadeva ogni cellula del mio essere e del mio corpo. Sperimentavo un senso di benessere nuovo… Mi sembrava tutto bello, tutto facile, tutto possibile: per la prima volta vedevo la vita e la mia vita con occhi nuovi. Questo stato di grazia durò alcuni minuti, poi mi rialzai. Nei mesi e negli anni a seguire ho ricevuto ancora molte volte il dono del riposo nello Spirito. A volte sentivo Gesù parlare al mio cuore, a volte avvertivo che qualcosa in me stava succedendo – senza però rendermi conto di cosa – e il senso di pace nel quale ero mi sembrava quasi “un’anestesia”, altre volte rimanevo semplicemente abbandonata nell’abbraccio di pace che mi avvolgeva. Ciò che ho potuto constatare a distanza di tempo, guardando indietro, è stata in La morte molti casi improvvisa e una potente guarigione drammatica di mia interiore di madre mi aveva situazioni confermato come che mi bloccavano ed la vita fosse solo ostacolavano il un’attesa della mio cammino morte verso Gesù…” Nella seguente testimonianza sembra che, oltre al “mancamento” fisico, alla presenza luminosa dell’esperienza diretta con Dio, e ad un ritorno al passato come processo di guarigione interiore, venga messa in risalto anche la visione di un contatto con una terza persona:

spazio. Qui sono in gioco i sentimenti, la soggettività, l’emotività, i sensi, la profondità nascosta del cuore, la visione, la luce, le profezie, le lingue; e cadono i mediatori, esclusi dal rapporto diretto con il divino. Il fenomeno del “riposo nello Spirito” era prassi comune nella tradizione protestante, ed è ben documentato. Nella tradizione cattolica ed anche nel RC, si nota un controllo molto rigoroso, giustificato dal timore - come scrive J. Vernette - di confondere la dimensione spirituale con quella emotiva, il misticismo con l’intimismo, il divino con l’irrazionale. Spesso, al solo nominare questo tipo di esperienza, emerge un mondo visionario e onirico, di trasgressione, quasi di magia, di trance, di esaltazione, di esperienze limite, di tecniche per raggiungere stati superiori di coscienza. La linea di demarcazione tra queste esperienze e il riposo nello Spirito è molto sottile. È sempre difficile cogliere dove inizia l’impulso spirituale e dove entrano elementi di suggestione, anche perché è facilmente sorpassabile il limite tra quello che il fedele riceve in dono dallo Spirito e quello che lui stesso produce. Sottolineo che il “riposo nello Spirito” non significa in alcun modo perdita di coscienza, interruzione del libero arbitrio o della propria volontà, ma solo una specie di “mancamento di forze”. Se vi è una concreta iniziativa da parte di Dio, la persona conserva sempre l’esercizio della propria libertà e delle proprie capacità intellettuali. Ho cercato di riassumere alcune riflessioni su questo fenomeno, non tanto per concentrare l’attenzione su di esso, ma soprattutto per aver toccato con mano, nella mia esperienza e nella testimonianza di molte persone, i frutti di bene che ne derivano. Quando è genuino sarebbe un errore impedirlo, anche se non mancano i rischi, quali la ricerca del sensazionale, l’autosuggestione psicologica, il ripiegamento su se stessi con il privilegiare il sentimento e l’emozione gratificante, una religiosità disincarnata ed una ricerca esagerata dell’esperienza, facendo scivolare in secondo piano i mezzi offerti dalla spiritualità della tradizione della Chiesa.

“I miei studi mi avevano portato ad avere come unica fede quella della scienza sperimentale, credevo solo in ciò che si poteva dimostrare. La morte improvvisa e drammatica di mia madre mi aveva confermato come la vita fosse solo un’attesa della morte. Durante la preghiera ho avvertito un rilascio fisico generale e mi sentivo cadere, ma avevo anche la consapevolezza di poter rifiutare “quella cosa” e di poter resistere… Avvertivo la È da ricercare il giusto equilibrio presenza di una luce esterna a me, che È da ricercare il senza scivolare in un misticismo mi era di fronte e contemporaneamente teologico, attribuendo ad un’azione giusto equilibrio mi avvolgeva. Percepivo chiaramente trascendente di Dio tutto quello in questa luce la presenza di Dio, senza scivolare che accade nella preghiera e come se la presenza evidenziasse in un misticismo nella vita, e osservare il fenomeno l’assenza in me. Successivamente, teologico nella sua complessità e con uno con molta commozione, mi sono visto studio interdisciplinare, che va dalla appoggiare sul grembo di mia madre: fenomenologia alla antropologia, dalla e la chiara sensazione che mia madre teologia spirituale alla psicologia. mi avvicinava a Dio”. Forse la sfida sta nello sviluppare la “costruzione di una antropologia soprannaturale che osservi L’indagine su queste esperienze, così fortemente storicamente e criticamente la visibilità del fenomeno soggettive, è irta di difficoltà, e può essere fuorviante, spirituale senza manomettere l’azione di grazia che Dio se poggia unicamente su argomenti intellettuali, dal opera nell’uomo”. momento che, in questo campo, la razionalità ha poco


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Apertura Riportiamo qui la testimonianza, poetica e toccante, di una donna aggredita dal cancro a 51 anni e quasi vinta da esso. Poi, il suo affidarsi alla preghiera di alcune persone: preghiera semplice di chi ha imparato che di Gesù ci si può fidare sempre. E l’esito gioioso, che le permette di aprirsi alla speranza e alla fede.

La malattia devasta, squilibra. Lacera. Divide, angoscia. Scuote e spaventa. Entra come un ladro nella casa del tuo corpo. Si sposta silente di stanza in stanza. Occupa i tuoi spazi mentre abiti ignaro e non ti accorgi di nulla. Attacca i tuoi organi, tesori che ti appartengono dalla nascita. Un carico fisico e psicologico micidiale. Un individuo da solo non riesce ad affrontare il mostro. In due la battaglia è comunque gravosa e sbilanciata. Serve di più. Tu tremi, vacilli. Hai un passato ormai trascorso, un presente disperato. Il futuro è un buco nero. Preghi in solitudine. Guardi la croce. Gesù appeso. Gli gridi in silenzio: perché. Quale il senso. Lo sfidi nella gara del dolore. Lo provochi pesantemente. Tu l’hai fatto per noi. Io per chi? Quale senso ha il mio calvario infecondo? A chi giova? E quanti come me? Lui tace. Poi, un giorno smetti. Hai toccato il fondo. Non preghi più. Sei allo stremo. Lasci fare agli altri. Lo facciano loro al posto tuo. Tanti generosi, dispiaciuti, partecipi si offrono. Sinceri, lo percepisci. È rimasta la domanda sul senso della sofferenza, frulla nel cervello come il criceto nella ruota. Cerchi, leggi, le parole restano fiato in una bolla, prive di suono. Scoraggiamento. Poi un incrocio, un incontro casuale. La proposta di una preghiera in gruppo. Poche persone. Accetto. Scopro di conoscerle tutte, da tempo, da vicino, c’è anche un’amica. Stupore. Mi lascio trascinare. Mi sposto dal pantano cupo dello stagno in cui sono invischiata verso l’acqua limpida, lenta e tiepida di un placido fiume che mi accoglie. Insieme a loro percepisco la presenza di Gesù, dello Spirito Santo. Chiudo gli occhi. Apro i sensi, il cuore, la mente. Poco a poco faccio la pace con Lui. Mi parla tramite la Sua Parola. Eccolo. Dov’eri? Non mi hai mai lasciato? Non ti sentivo e tu c’eri? Lacrime, brividi, sudore. Hai detto va, prendi la tua barella e torna a casa. L’ospite intruso e sgradito si sta dileguando. La terapia funziona. Il dolore è diminuito. L’animo rinfrancato. Interminabili volte dico grazie. A Lui, a queste persone creatrici del ponte di dialogo. Hanno sanato una lite a senso unico, dato voce al mio Fratello maggiore. Convinta mi avesse abbandonato, mi custodiva e seguiva, un passo dietro le mie spalle.


CHECKPOINT

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Accogliere l'handicap Per i credenti ci sono ulteriori domande. Come vivere la fraternità se non ci si può neanche toccare? Bisogna favorire l’accesso alle chiese o limitarlo, per non mettere in pericolo il prossimo? Il Signore vuole da noi atti eroici o attesa paziente? E se questa incertezza si protraesse per mesi o per anni? Sono domande inquietanti, che non si possono liquidare superficialmente.

DI TIZIANO CIVETTINI

La società civile e anche la Chiesa si trovano a fare i conti con questa novità epocale: il virus, un male che sembra spezzare tutte le nostre sicurezze. Non eravamo abituati a problemi che non si possano risolvere in poco tempo, e ne siamo scandalizzati. Eppure, abbiamo il dovere di dare un senso alla realtà che ci ha colto di sorpresa, un senso esistenziale e un senso credente. Cosa stiamo vivendo? Come lo stiamo vivendo? Cosa siamo chiamati a fare? Mi sembra che, consapevoli o no, sia cambiato l’orizzonte davanti a noi. Parlo di un orizzonte interiore che non è più sconfinato, libero, aperto e inebriante: monti, pianure e cieli blu. È un orizzonte limitato, insopportabilmente limitato. Non ci siamo abituati, nega i presupposti della nostra illusoria onnipotenza (qualcuno ci ha definiti società post-mortale). Come, non si può far tutto? Ci privano della libertà! E allora si protesta, si trasgredisce, si nega l’evidenza (il Covid non esiste, o può essere debellato con diete che promettono di superare di gran lunga la quota cento in senso anagrafico…).

Ma se fosse che la società e la Chiesa sono sfidate da questo segno dei tempi ad accogliere non una fragilità, ma un vero e proprio handicap? Siamo pronti a rinunciare all’illusione del ‘vivere al massimo’ e ad accettare questa prospettiva? Come ci hanno dimostrato tante persone che conosciamo, che vivono il loro handicap fisico o psichico (non solo nello sport, ma anche nella normale quotidianità), è possibile dare il meglio di sé, accettando il limite, riplasmando la propria vita nella ricerca di nuove modalità di essere dono e cura per gli altri. Possiamo e dobbiamo ‘guarire il mondo’, ma - come ha affermato papa Francesco all’udienza del 12 agosto - “La pandemia ha messo in risalto quanto siamo tutti vulnerabili e interconnessi. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da coloro che sono maggiormente colpiti, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo”. Ma credo sia necessario non venire travolti dall’ansia, che si traduce in aggressività e intolleranza. Proprio oggi mi ha toccato e dato pace una preghiera, scritta su un segnalibro che mi è saltato fuori da un volume: “Quello che tu vuoi Signore, solo quello che tu vuoi. Non so se mi chiami a essere un grande fiume, che irriga intere pianure, o solo una piccola goccia di rugiada, che tu invii nel deserto a una pianta sconosciuta. Non so se mi chiami ad essere un grande albero dai frutti vistosi, o una piccola semente nascosta nella terra e che vi muore per far nascere la spiga. Quello che tu vuoi Signore, solo quello che tu vuoi…”.


QUANTO AMO LA TUA PAROLA

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L'ultima ora

DI MARIA LUISA TOLLER

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò". Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna". Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi". Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano

contro il padrone dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. (…) Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi. (Mt 20,1-16)

Ma che logica è? Davanti a questa parabola ho sempre provato un senso di irritazione e di frustrazione. Finchè, un giorno, come se fosse caduto un muro o dissipata la nebbia, ha iniziato a parlarmi in modo personale. Dio mi ha chiamata all’alba, quando lo avevo appena incontrato, e mi ha mandata nella sua vigna promettendomi la paga, perché non potevo comprendere nessun’altra logica. La sua chiamata si è rinnovata più volte. Il Padrone della vigna approfondisce la chiamata, cerca di coinvolgere la mia vita in modo totale. Man mano che le ore passano, sembra proprio che a Lui


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interessino le persone, più che la vigna stessa…tanto che, sovvertendo la regola dell’uscita ogni tre ore, esce ancora verso le cinque. Questa uscita di Dio l’ho sentita come inaspettata, imprevedibile. Ormai la giornata è quasi finita, quello che è fatto, è fatto. Quello che ho perduto, l’ho perduto. Ormai non rimane che un’ora, “un’ora soltanto” … Proprio quell’ora benedetta, quell’ora che è kairòs, tempo di grazia. Quell’ora in cui non dovrò fare tanta fatica sotto il sole, perché c’è già la brezza della sera, quell’ora è riservata alla mia debolezza, a me, che non ho avuto il coraggio di mettermi in gioco, che sono stata “tutto il giorno oziosa”, che pensavo di non essere adatta. È l’ora riservata a me, che sto invecchiando, a me, che ho perso tante occasioni, a me, che ho sbagliato strada, che ho sprecato i miei doni, che, “ormai” … Quell’ora è OGGI.

Oggi Dio esce e mi offre l’ora in cui mi darà ciò che è giusto, cioè la sua misericordia, solo misericordia. Ed ecco, la parte di me che è stata chiamata all’alba si irrita e non capisce. Sono io, quando rivendico quello che ho fatto, che elenco i miei meriti, che enumero le mie fatiche, che cerco attenzione, riconoscimento e visibilità. Ma, proprio attraverso la misericordia che mi viene usata nell’ultima ora, ho la possibilità di convertirmi alla logica di Dio, riconoscere l’invidia che mi muove e accogliere la Sua bontà. Anche per me c’è un “oggi”, una chiamata, ogni giorno nuova e sorprendente. Allora, chiamata ed educata dalla misericordia, posso accogliere ogni parte di me con tenerezza e compassione, e fare mia la gioiosa danza che porta i primi ad essere ultimi e gli ultimi ad essere primi.


CARISSIMO

DI ELIANA ALOISI MAINO

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arissimo, mi piace proprio tanto questo nostro Papa che, in momenti drammatici, indice un digiuno per tutta la Chiesa cattolica e non solo. E mi sembra di “giocare in casa” e di sentire un linguaggio noto, una musica conosciuta. Come ti raccontavo, abbiamo “scoperto” il digiuno all’inizio della nostra avventura comunitaria, quaranta anni fa. Eravamo rimasti affascinati e provocati da una Parola del Vangelo, nella quale Gesù spiega il potere della preghiera e del digiuno per qualsiasi difficoltà e necessità. Spinti dall’entusiasmo e da un po’ di sana incoscienza, avevamo digiunato nove giorni a pane ed acqua per intercedere per una situazione impossibile. E … l’impossibile era diventato possibile: quella situazione, proprio all’ultimo momento, si era risolta. Da allora il digiuno è diventato la nostra strategia di combattimento, il nostro potente alleato, uno strepitoso strappagrazie, un sistema collaudato per affrontare ogni genere di difficoltà, incomprensioni, divisioni, malattie. Importante mezzo di fraternità comunitaria. Oggi mi chiedo: è ancora importante? È superato e démodé? È sostituibile con altre forme ascetiche? È legato alla nostra storia degli inizi? Un aspetto che trovo uguale, oggi come allora, è la reazione della “gente”: se si digiuna per la fede si è fanatici; se lo si fa per motivi salutistici si è “fighi”. A parte questo. E se fosse più importante oggi di allora? Oggi più di allora siamo un po’ tutti sotto la tirannia dei sensi, con la parola d’ordine: fa quello che senti, sazia ogni tua fame, obbedisci ad ogni tuo impulso, lasciati guidare dall’istinto. E se il digiuno fosse anche un mezzo per imparare a “disciplinarci”, a conoscerci meglio, a distinguere fra fame e gola, tra nutrirsi e ricerca di affetto e gratificazione? Se fosse una forma estremamente efficace per rendere la nostra fede meno evanescente e più concreta e tangibile, nella quale è il nostro stesso corpo, tutto il nostro corpo, a pregare? Se fosse un aiuto per passare dal “dire preghiere” al pregare? Se fosse la risposta ad un grido che viene dal nostro corpo: “Se mi vuoi bene qualche volta dimmi di no”? Se avesse la capacità di ammorbidire il nostro cuore, di

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Carissim digiuno


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renderlo meno “roccioso” e di aprirci o spalancarci alle necessità di chi è meno fortunato di noi, di chi il digiuno non lo fa per scelta, ma per necessità? Se la sgradevole sensazione dello stomaco vuoto ci facesse toccare da vicino la fame dei due terzi dell’umanità? Se ci aprisse alla misericordia, al non pensare solo a noi stessi, ad aprire il nostro portafoglio e il conto in banca per essere cibo, perché ci sia cibo per ogni uomo? Se fosse un mezzo usato da Dio per formarci “un cuore nuovo e uno spirito nuovo”? Se ci aiutasse a far ordine nella nostra vita, a capire di cosa possiamo fare a meno, che cosa è indispensabile e cosa è superfluo? Se ci aiutasse ad avere fame di ciò che non perisce, ad avere lo stimolo per ciò che sazia per davvero? Se fosse la possibilità di “aprire una via dove sembra non ci sia”? Tutta fatica? Rinuncia? Disciplina? “C’è un piacere nel dire no a quelle voglie e a quei desideri che formano i tre quarti della nostra personalità…”. Che Dio ci doni questo piacere e faccia della nostra vita un piacere per quanti incontriamo. Ti abbraccio e ti penso. Sempre tua Eliana


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