N°64 Sulla via della pace

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SULL AVIA DELL APACE T R I M E S T R A L E

A S S O C I A Z I O N E

V I A

P A C I S

EDITORIALE LIBERTÀ

MYANMAR

SPARI NELLA NOTTE - N°64 -

CARISSIMO

IL SECONDO PATTO Anno XVI - n. 4 - Ottobre-Dicembre 2021 - Trimestrale Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi

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2 SULLA VIA DELLA PACE Trimestrale di in-formazione Anno XVI - n. 4 ottobre-dicembre 2021

SOMMARIO

Registrazione n. 263 presso il Tribunale di Rovereto (TN) (19.01.2006)

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Direttore responsabile Paolo Maino

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Direttore di redazione Maria Luisa Toller

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Redazione Maria Luisa Toller Graziana Pedrotti Tiziano Civettini Daphne Squarzoni

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Collaboratori Marilena Brighenti Stefania Dal Pont Archivio Fotografico Marcello Cenedese Distribuzione e numeri arretrati Fausta Matteotti

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Editore Associazione Via Pacis onlus

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Direzione e amministrazione Via Monte Baldo, 5 38062 Arco (Trento) Italy mail@viapacis.info www.viapacis.info Tel. +39.0464.555767

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Grafica BENĀCUS benacus2015@gmail.com Illustrazioni Ilaria Failo Paola Bonometti Emmanuele Pepè Tiziano Civettini Stampa Antolini Tipografia - Tione (TN) Finito di stampare nel mese di settembre 2021

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Editoriale • Libertà • di Tiziano Civettini Convegno • Perchè ci sia futuro • di Paolo e Eliana Maino Intervista • In viaggio con Dio • di Reinier Blijleven Notizie dal paradiso • di Ruggero Zanon America Latina • Un'esperienza di sinodalità • di Julian Ramirez Uganda • Coraggio, popolo mio Filippine • L'istruzione al tempo del Covid • di Suor Rosanna Favero Myanmar • Spari nella notte Io cerco il tuo volto • di Elena Bonometti e Gabriele Pernici Approfondimenti - Non si va in paradiso con l'ascensore • di Paolo Maino Checkpoint • Punti di vista • di Daphne Squarzoni Presenti al presente • - A-socialmente • di Anna Cavedon - Essere dare rimanere • di Elisa Casarini Testimonianze - Basta chiacchiericcio! • di Ignazina Crociata - Collega-menti • di Comunità di Riva del Garda - A scuola di sapienza • di Paolo Vivaldi Quanto amo la tua Parola - Tutto è vanità... o tutto è novità? • di Lucia Romani Carissimo • Il secondo patto • di Eliana Aloisi

L’Associazione Via Pacis è un’Associazione internazionale Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica di Diritto Pontificio.

Le attività di solidarietà promosse dall’Associazione Via Pacis sono gestite dalla Associazione Via Pacis onlus Via Monte Baldo, 5 - 38062 Arco (TN) - Italy Tel. +39.0464.555767 - mail@viapacis.info

In copertina: “Paternità”

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EDITORIALE

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LIBERTÀ

DI TIZIANO CIVETTINI Sociologo e teologo

È una parola che appare sempre più spesso nella cronaca e nel convulso clima politico e civile in varie parti del mondo. È una buona notizia! - avremmo detto in coro solo qualche anno fa - solo che, nel frattempo, la parola libertà, pur rimanendo immutata nella forma, è cambiata radicalmente nella sostanza. Lo dico nella segreta speranza di sbagliarmi. Fino al secolo scorso, il termine “libertà” è stato compreso come nobile, degno delle più alte indagini filosofiche, religiose, sociali e politiche. Ma non è stato solo un interesse accademico, anzi, ha funzionato come un motore di vita, un ideale capace di suscitare slanci generosi e conquiste di civiltà. Le idee su di essa potevano essere diverse e sprigionare conflitti, ma una cosa risultava chiara: la libertà è tale se è un bene di tutti. Si è quindi lottato anche in modo cruento per superare dittature ed ingiustizie a vari livelli. Certamente, i risultati non sono stati sempre brillanti, costanti e coerenti; in molti settori si sono fatti passi avanti ed altri indietro, ma l’orizzonte condiviso rimaneva lo stesso: libertà come bene comune. Ma da qualche tempo mi sembra di scorgere qualcosa di inquietante. Parliamo ancora della stessa libertà? Mi ha fatto riflettere aver riletto in questi giorni la parabola del Vangelo che parla del cosiddetto “ricco epulone”, che tutti conosciamo. Il titolo, purtroppo, suona ormai semplicemente ridicolo, ma il dizionario Treccani informa che si tratta di “persona che si compiace di cibi abbondanti e raffinati” e non solo di cibi. Un mangione, un grande egoista e un arraffone, insomma.

Anche lui aveva un’idea di libertà: libertà di comprare le migliori stoffe e di farsele confezionare all’ultima moda, libertà di procacciarsi primizie da terre lontane, libertà di organizzare banchetti per centinaia di persone, vestite come si conviene al suo rango sociale. Il suo orizzonte di libertà finiva lì e neanche si accorgeva di un certo Lazzaro, che rovinava il suo paesaggio con il suo indisponente bisogno di miserabile libertà di sopravvivere. Per molti versi l’orizzonte della libertà che oggi spesso evochiamo assomiglia, temo, a quella del primo personaggio: libertà aggrappata a uno standard di vita che è solo di pochi nel mondo e facciamo sempre più fatica a condividere, libertà che si riduce alla mia intoccabile libertà di spostarmi in aereo per qualsiasi motivo o di assembrarmi con altre migliaia di persone per divertirmi, anche se poco distante si soccombe di Covid. Non mi sembra questa una libertà che merita barricate da rivoluzione francese. Magari si gridasse ancora “Liberté, égalité, fraternité!”. Sì, perché i rivoluzionari della Bastiglia sapevano che queste tre parole vanno tenute insieme: non c’è libertà senza riconoscimento che l’altro è come me e, soprattutto, che le prime due sono finalizzate alla terza, che è diventare fratelli e sorelle, reciprocamente responsabili degli altri e scontenti finché le risorse in mano mia (economiche, culturali, sanitarie, energetiche, tecnologiche ecc.) non saranno in mano di tutti gli uomini, le donne e i bambini nel mondo. C’è un modo più comprensibile per dire la stessa cosa. C’è una “libertà da”, necessaria per contrastare il male, una “libertà di”, che apre spazi di movimento sempre più ampi, e una “libertà per”, che permette di seguire Gesù, il Maestro, dando la vita per gli altri.


PERCHE’ CI SIA FUTURO Il 16 settembre scorso, nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano, si è tenuto un incontro delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, sul tema: La responsabilità di governo nelle aggregazioni laicali. Un servizio ecclesiale. Dopo l’intervento di Papa Francesco e le presentazioni dei relatori, i coniugi Paolo ed Eliana Maino, fondatori dell’Associazione Via Pacis, hanno raccontato l’esperienza del passaggio del governo dai fondatori alla nuova generazione di responsabili.

Paolo

Siamo sposati da quasi cinquanta anni. L’avventura della nostra vita è stato l’incontro con Dio e la chiamata, assieme a don Domenico Pincelli, a dare inizio

alla comunità Via Pacis. Uno degli aspetti del carisma della Comunità è la condivisione con i poveri. Fin dall’inizio abbiamo avvertito una grande attenzione e attrazione al grido del povero, che

si è concretizzato nella scelta della “decima”. Questo gettito di denaro è diventato progetti di solidarietà in tante parti del mondo (ospedali, scuole, pozzi…). Il progressivo aumento delle entrate e la necessità di trasparenza, ci hanno fatto decidere per la fondazione di una Associazione di solidarietà di cui io, Paolo, ero fondatore e presidente. Per molti anni ho gestito le due presidenze: quella della Comunità e quella dell’Associazione di solidarietà. Poi ho avvertito la necessità di lasciare la presidenza dell’Associazione di solidarietà. Avevo la certezza che una persona giovane con nuove energie, nuove idee, nuovo entusiasmo avrebbe potuto fare meglio di me. Cosa che è avvenuta e sta avvenendo. La coscienza di essere fondatori è avvenuta nel tempo. Fin dall’inizio, in modo assolutamente naturale, avevamo la guida della Comunità. Il primo esempio di libertà dal ruolo e dal potere lo abbiamo ricevuto da Don Domenico. Egli avvertì da subito che il suo ministero era fare il prete: “Io voglio fare il prete, alla comunità ci pensate voi”. Eravamo giovani e inesperti.


5 Come in ogni nuova realtà, come in ogni famiglia, all’inizio facevamo un po’ tutto. Poi i compiti e i servizi sono stati sempre più decentrati, con ruoli e responsabilità sempre più chiare. La nostra indole è sempre stata quella di lavorare assieme ad altri, sia per l’aspetto spirituale - “dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt18,20) - sia perché consapevoli dei nostri limiti e carenze. Abbiamo sempre creduto che il lavoro in équipe, fatto di confronto, di decisioni condivise, di lasciarsi mettere in discussione, di tensioni, di scontri, è vincente sempre. Inoltre, il lavorare gomito a gomito con altri ha la capacità di evidenziare i nostri condizionamenti, difetti, manie, che si possono utilizzare per un continuo cambiamento e conversione personale.

Eliana

Conversione: questa è stata sempre una parola guida della nostra vita. Conversione intesa come cambiamento di atteggiamenti e comportamenti, assieme alla pacificazione interiore (essere in pace con la propria vita per poter essere più in pace con gli altri), alla ricerca della libertà personale e dell’essenziale. Ci ha sempre guidati il desiderio di cercare ciò che Dio voleva da noi e da Via Pacis. Per noi era importante accogliere e valorizzare le idee degli altri, anche se non secondo i nostri gusti. La nostra ginnastica è l’accettazione incondizionata dell’altro così come è, il pensare bene dell’altro sapendo che, a modo suo, sta facendo il meglio possibile. Siamo certi che in ciascuno c’è un tesoro: ci è sempre piaciuto ed affascinato contribuire a far emergere la bellezza, la ricchezza e i doni delle persone. Per quaranta anni (cifra di pregnanza biblica) abbiamo guidato la Comunità, che nel frattempo si ingrandiva, sentendolo il nostro compito e il nostro ruolo. Poi, cinque anni fa, Paolo avvertì un’inquietudine crescente. Sentiva l’urgenza di lasciare, di passare le consegne. Aveva la certezza che, in caso contrario, non ci sarebbe stato futuro per Via Pacis. Dopo un tempo di riflessione e preghiera, ne parlò con il consiglio generale e poi con tutta Via Pacis. Non ci

fu un accoglimento favorevole, anzi, questa decisione provocò un malcontento che lo interrogò profondamente. Mise e rimise quanto avvertiva nelle mani di Dio, ma emergeva sempre che il lasciare era necessario per il futuro di questa realtà. Cercò e favorì un passaggio morbido di consegne e avrebbe tanto voluto dare e lasciare quanto aveva imparato in tutti questi anni.

Paolo

Poi, due anni fa si svolse l’Assemblea generale e venne votato il nuovo consiglio generale e il nuovo presidente. Certamente non è stato facile e non è facile per il nuovo presidente assumere l’eredità di una persona che aveva fondato e guidato la Comunità per tanti anni e che nel frattempo era diventata internazionale. E non è stato facile e non è facile per noi capire ed entrare in un nuovo ruolo. Le difficoltà emersero subito. Il nuovo consiglio generale, forse per sacro zelo o per dare segno di autonomia, o di voler impostare le cose in modo diverso, o per “taglio del cordone ombelicale”, iniziò a prendere decisioni non solo non in continuità, ma in contrapposizione con quanto fatto fino a quel momento. Si creò confusione, divisione e rottura in seno al consiglio generale stesso. Abbiamo affrontato questa situazione di sofferenza, di delusione e incertezza come già collaudato altre volte: con la preghiera, il digiuno, il silenzio, lasciandoci lavorare da questa situazione e cercando di accoglierla ed integrarla nel nostro vissuto, e di usarla come un’occasione per crescere nella libertà personale, per non sentirci più bravi di altri, o “padroni” di Via Pacis. Abbiamo scelto di continuare a credere che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28), di credere che Dio ha a cuore il bene della Comunità più di noi. Abbiamo riposto la nostra fiducia in Dio e nelle persone votate dall’assemblea generale. Quando abbiamo lasciato, avevamo la consapevolezza che era un rischio, forse pericoloso ma indispensabile. Non avevamo assicurazioni che tutto sarebbe andato bene. Anche se si è lavorato

molto sulla formazione, non è certa la maturità umana, spirituale ed emozionale dei membri. È sempre in agguato la paura del cambiamento, la nostalgia del passato, le aspettative e i timori per il futuro. Come non è certa la fedeltà al carisma. Si possono verificare deviazioni o travisamenti per conseguire una presunta maggior fedeltà al carisma originale. Da noi è successo, e la spaccatura è stata evitata dall’azione potente di Dio che ha agito nel nuovo presidente. Ci viene da chiederci se questa difficoltà sia stata permessa da Dio per provocare un salto di qualità della comunità stessa.

Eliana

Quale la nostra posizione oggi? Ci godiamo l’essere sposi, aspetto che abbiamo trascurato per tanti anni, e la grazia di poter invecchiare assieme. Il non avere ruoli di governo è determinante per interrogarci sul nostro ruolo di fondatori. È una riflessione ancora in atto, nella quale ci chiediamo come essere custodi del carisma sorgivo, delle sue radici, del suo fondamento. Come essere custodi della visione-chiamata originaria e lasciarci interrogare dai segni dei tempi. Come favorire che il seme possa continuare a portare frutto. Quali evoluzioni del carisma dobbiamo ancora scoprire. Come essere radicati nel passato e protesi verso il futuro. A livello pratico, in Comunità siamo defilati e un po’ spariti; desideriamo di cuore che sia il nuovo presidente e il consiglio generale ad avere luce e importanza. Non accogliamo nessuna critica e siamo allergici all’adulazione: “una volta era meglio…quando c’eravate voi…” Quando ci viene all’orecchio qualcosa che non ci piace, che non è di nostro gusto o nelle nostre corde, se non è contrario al carisma, lo affidiamo a Dio e lo sosteniamo. E quando si verificano errori, ci viene da pensare a quanti sbagli abbiamo fatto noi e come Dio e i fratelli abbiano continuato a darci fiducia. E guardiamo avanti con uno sguardo positivo. A livello pratico facciamo quello che ci viene chiesto di fare. Sosteniamo il nuovo governo con molto affetto, stima, preghiera. Teniamo ognuna di queste persone nel nostro cuore e nel cuore di Dio.


INTERVISTA

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I N T E R V I S TA A REINIER BLIJLEVEN DI DAPHNE SQUARZONI E F E D E R I C O V I VA L D E L L I

Che cosa è, perché e come nasce Y-WAM?

Reinier e Rianne e i loro 4 figli fanno parte del movimento missionario internazionale chiamato "Youth With A Mission" (YWAM). Dopo aver vissuto e servito con YWAM ad Amsterdam per circa 10 anni, sono stati incaricati di aprire la strada a una nuova base missionaria in Italia e, guidati dal Signore, hanno deciso di iniziare ad Arco, in Trentino. Qui hanno conosciuto Via Pacis e sono stati molto felici di instaurare con noi un’amicizia e una cooperazione per fare del bene.

Y-WAM significa “giovani con una missione” (Youth with a mission). È un movimento che ha più di 60 anni. Siamo in più di 25 mila persone di tutto il mondo e abbiamo squadre permanenti in 192 Paesi e squadre temporanee in tutto il mondo. L’idea di base è conoscere Dio e farlo conoscere. Lo facciamo in tanti diversi modi: attività, progetti nelle scuole… rivolgendoci a tutti. Noi siamo ecumenici: protestanti, ma anche cattolici. Ci sono molti giovani, ma non solo. Ad Arco stiamo solo iniziando: siamo in Italia da 3 anni e abbiamo la terza scuola attiva da sei mesi. La scuola prevede tre mesi di teoria (formazione, studio, condivisione) e tre mesi di pratica (evangelizzazione, servizio e volontariato). La nostra missione è portare il Vangelo e, qualche volta, per qualcuno la “buona notizia” è un pasto o una casa nuova.


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Perché la vostra famiglia è arrivata in Italia? In che modo vivete il vostro essere Y-WAM da qui? Come detto, siamo in tanti Paesi e in Italia ci sono 4/5 piccole squadre, ma non c’è ancora qualcosa di stabile. Prima, con la mia famiglia eravamo ad Amsterdam con una squadra di più di 100 persone, con diverse scuole e progetti locali. Proviamo ad iniziare qualcosa del genere anche in Italia, perché l’Italia ha una storia di cristianesimo e di missione, ma ora non ci sono tanti giovani che si dedicano a questo. Noi crediamo che ci sia sempre qualcosa nel cuore dei giovani, anche se nascosto: la voglia di viaggiare con il Vangelo e portare la buona notizia. Noi possiamo creare nuove opportunità per far sviluppare questo desiderio.

Che impressione avete avuto le prime volte entrando a contatto con Via Pacis? Avevo visto il Centro e avevo notato che è qualcosa di cristiano cattolico, ma anche di molto moderno. Avevo delle domande su chi fosse Via Pacis e cosa facesse. Un sabato di maggio 2018 ho visto qualcuno nel giardino – era Mirko - che stava lavorando: a lui ho domandato chi fosse e cosa facesse Via Pacis. Mirko mi ha invitato a pranzo per parlare di più. Lì ho incontrato anche Ruggero e Paolo Maino ed è stato un bel momento: abbiamo parlato di missione, preghiera e ho chiesto a Paolo come fosse cominciato il lavoro di Via Pacis. E lui, con un sorriso grande, mi ha risposto “È semplice: preghiera e Parola di Dio”. Questa frase mi è risuonata particolarmente nel cuore, perché è lo stesso per noi: cominciare con la preghiera ed ascoltare cosa dice il Signore. In quell'occasione abbiamo parlato anche di unità della Chiesa, non solo come struttura, ma come corpo unito di Cristo. Ho detto: “Unit in the major things, diversity in minor things and love in all things”. Paolo mi ha risposto con un’espressione di Sant’Agostino che suona simile: “Ama e fa’ ciò che vuoi”.

Come vivete a livello di famiglia questa esperienza? Cosa pensate possa dare di importante ai vostri figli? E a voi come genitori? (Chiede ai bimbi) Noélani dice che aver conosciuto Via Pacis è stata una nuova esperienza positiva. Da un anno aspettavamo di tornare nei Paesi Bassi e adesso è bellissimo essere qui in vacanza, ma la nostra casa e il nostro cuore ormai è in Italia. Gli amici e la nostra vita sono in Italia. Anche per loro (i bambini) è una bella esperienza. Noi abitiamo con la nostra squadra: ci sono persone diverse da diverse parti del mondo (Brasile, Sudafrica, Canada). Sono persone che sono sempre un’ispirazione anche per i nostri bambini, che ormai parlano tre o quattro lingue (olandese, tedesco, inglese e italiano). Ci sono tante sfide, però ne vale la pena: un passo alla volta e andiamo avanti con fede. Come genitori, è una scelta che ormai viviamo da parecchio tempo: già quando vivevamo ad Amsterdam avevamo una casa comunitaria, ma più grande. Specialmente all’inizio, l’unico ufficio era il nostro soggiorno: però ora che stiamo crescendo, sia come squadra che come famiglia, abbiamo più bisogno di spazio, e cerchiamo come fare.

Come comunità Y-WAM cosa date e cosa ricevete da Via Pacis? La cosa che portiamo (e anche riceviamo) è sempre la diversità. A noi piace essere diversi: persone diverse significa diverse prospettive. Ricordo quando dovevamo traslocare da Tenno ad Arco e non riuscivamo a trovare una casa; questa situazione difficile ci ha fatto dubitare qualche volta della nostra scelta e pensare che non dovessimo essere qui, che questo non fosse il posto giusto per noi. Ricordo che in quel periodo, in occasione di una serata di preghiera, Lorenzo mi disse: “Siediti al centro della sala” e tante persone hanno pregato per noi. Questa serata è stata molto speciale per noi, perché era il momento del benvenuto spirituale in questo posto: un grande passo avanti nella nostra relazione con Via Pacis.

Come si sta sviluppando la collaborazione con Via Pacis?

In che modo vivete la sfida di parlare sempre lingue differenti?

Quest’anno è stato difficile condividere attività, a causa della situazione sanitaria. Però abbiamo partecipato a degli incontri di preghiera e i nostri bambini fanno parte della corale. Avevo parlato anche con Ruggero, riguardo una collaborazione all'estero: noi abbiamo, come parte integrante della nostra scuola, i viaggi all'estero, e abbiamo discusso su come poter collaborare con Via Pacis anche fuori dall’Italia.

È una sfida, è vero. Però crediamo che portare il Vangelo non sia una strada unidirezionale: quando noi possiamo imparare qualcosa dall’altro, l’altro può essere più aperto a ricevere qualcosa. Crediamo che possiamo studiare e imparare e nel frattempo condividere qualcosa. Non siamo mai arrivati nell’imparare; non si finisce mai di crescere. Le sfide della vita vanno accettate proprio perché possono creare opportunità di crescita.


VIA PACIS

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no tizie dal para diso DI RUGGERO ZANON Dottore in Diritto Canonico, Presidente dell'Associazione Via Pacis

Don Domenico è stato un dono per la Chiesa, per Via Pacis e per tantissime persone. E lo è tuttora. Cosa ha da dire don Domenico a noi oggi? Tre belle notizie. La prima: non arrendersi mai. Appena ordinato sacerdote, pieno di entusiasmo, dopo 6 mesi si ammala di Tbc. La Tbc era la pandemia dell’epoca, e colpiva soprattutto i giovani. Sembrava già tutto finito in partenza: sogni infranti, futuro compromesso per sempre. Eppure, quella malattia è stata la sua salvezza: gli ha donato un’attenzione e una sensibilità uniche nell’approccio agli ammalati, e la consapevolezza – lui che era così fragile – di poter contare solo sulla forza di Dio. Se vogliamo, le nostre debolezze possono diventare il nostro punto di forza. La seconda: arrendersi… alla misericordia di Dio.

Le ore interminabili passate a confessare non lo stancavano. Perché la gioia di poter essere strumento del perdono e della misericordia di Dio erano più grandi. Viveva appieno la parola “c’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte…”. Si meravigliava – ogni volta come fosse la prima volta – del miracolo del perdono, che – diceva – “è un miracolo più grande della creazione: perché nella creazione Dio ha creato il bene dal nulla, mentre nel perdono Dio crea il bene dal male”. Ed era questa fiducia incrollabile nell’amore infinito di Dio che gli dava la forza di accogliere chiunque, di non scandalizzarsi di fronte a nessun peccato. La terza: se tu dai tutto, Dio dà molto di più. Don Domenico non può certo vantare una carriera ecclesiastica: dopo un anno dalla sua ordinazione, era già fuori servizio, in prepensionamento. Era una persona schiva, timida, che ha sempre vissuto nel nascondimento. Ma che ha scommesso tutto sulla fedeltà nella quotidianità, sulla perseveranza del giorno dopo giorno, sul dare tutto e darsi tutto in quel che faceva. Ha vissuto quasi tutta la sua vita qui, ma ora il suo nome è conosciuto nel mondo, dove c’è Via Pacis c’è don Domenico: in India, in Colombia, in Uganda, in Kenya, nelle Filippine, nel Myanmar… Non è mai stato in Africa, ma dal 2007 in Congo c’è un ospedale costruito in sua memoria, dove ogni giorno trovano conforto e cura centinaia di malati. Signore, Ti ringraziamo per averci donato don Domenico. Fa’ che, come lui, possiamo essere persone che amano, pregano e perdonano.


AMERICA L ATINA

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un'esperienza di sinodalità Prima Assemblea Ecclesiale dell'America Latina e dei Caraibi

DI JULIAN RAMIREZ Insegnante, responsabile dell’Associazione Via Pacis in America latina

Il continente della speranza, come San Giovanni Paolo II ha chiamato l'America Latina, sta vivendo un tempo di grazia, un "Kairos": la prima Assemblea Ecclesiale, che avrà luogo tra il 22 e il 28 novembre 2021, nel santuario di Nostra Signora di Guadalupe in Messico e, contemporaneamente, in altri luoghi del continente. La Chiesa che cammina in questa parte del mondo ha vissuto con luci e ombre tutto il processo evangelizzatore e missionario per più di cinque secoli dall'arrivo delle prime missioni europee, che hanno gettato il seme del Vangelo. Negli ultimi 70 anni, il CELAM (Consiglio Episcopale Latino-americano), ha tenuto cinque conferenze generali dell'episcopato, e ha prodotto una serie di documenti contenenti orientamenti pastorali, che cercano di rispondere alle sfide ecclesiali e sociali generate dai processi di cambiamento accelerato degli ultimi tempi. L'ultima di queste conferenze si è tenuta nel Santuario di Nostra Signora di Aparecida in Brasile nel 2007, in cui è stata decretata la Missione Continentale, dichiarando la nostra terra in stato di “missione permanente”.

Quattordici anni dopo l'evento di Aparecida, viene convocata questa Assemblea Ecclesiale, nel contesto della pandemia, per rispondere alla seguente domanda: Quali sono le nuove sfide per la Chiesa in America Latina e nei Caraibi, alla luce dei segni dei tempi e del magistero di Papa Francesco? Per poter rispondere in modo coerente al Vangelo, l’Assemblea propone di: - dare vita alla Chiesa in modo nuovo, presentando una proposta riformatrice e rigeneratrice. - essere un evento sinodale, che coinvolge tutti i cristiani, e non solo i vescovi, con una metodologia rappresentativa, inclusiva e partecipativa. - rendere possibile una rilettura approfondita dell'evento Aparecida e di quanto è successo in esso, per gestire il futuro. - essere un evento ecclesiale che possa rilanciare i grandi temi ancora validi di Aparecida, perché da essi possano nascere molti frutti. - collegare il magistero latinoamericano al magistero di Papa Francesco, segnando tre tappe fondamentali: da Medellín ad Aparecida, da Aparecida a Querida Amazonía, da Querida Amazonía al Giubileo Guadalupano e a quello della Redenzione nel 2031-2033. I membri di Via Pacis in questa parte del mondo sono coinvolti in questa bella iniziativa e, insieme alle nostre chiese particolari, stanno partecipando con gioia e speranza a questo processo, fiduciosi che l'azione dello Spirito Santo porterà tante possibilità di crescita e di rinnovamento ecclesiale per i nostri popoli. Siamo grati per l'unità e la preghiera di tutti i fratelli e le sorelle di Via Pacis nel mondo e vi invitiamo a seguire l'evento sul sito asambleaeclesial.lat


UGANDA

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Coraggio, popolo mio Mi chiamo Tumwekwase Jassy, ho 43 anni, sono cattolica, ho tre bambini e sono vedova. Attualmente non lavoro. Prima del lockdown lavoravo in un ristorante, il mio datore di lavoro mi trattava male, mi faceva lavorare duro e mi pagava poco. Purtroppo, non avendo studiato non avevo alternativa. Ora sono disoccupata. Adesso sono ospite di mia sorella, non so però fino a quando, perché la stanza è troppo piccola per tutti e mi rendo conto di essere di peso. Non abbiamo servizi igienici, ci laviamo come possiamo in quella stessa stanza. C'è poca igiene, inoltre viviamo vicino ad una discarica. Ringrazio Dio di aver incontrato Via Pacis in Uganda. Non penso che saremmo sopravvissuti durante l’ultimo lockdown, se Via Pacis non ci avesse aiutato, donandoci cibo e beni di prima necessità come sapone, zucchero, sale ecc., ma anche incoraggiandoci ad andare avanti e a non mollare. Sono anche molto preoccupata perché sono HIV positiva: se dovessi morire, cosa succederebbe ai miei figli? Via Pacis mi ha sempre fatto coraggio, sostenuta con le preghiere, chiedendomi di fidarmi di Dio, che ha cura di ognuno dei suoi figli. Confido nell'aiuto di Via Pacis per il cibo, il vestiario e per le tasse scolastiche dei miei bambini. Se loro non potranno studiare, difficilmente potranno crearsi un futuro dignitoso.

Mi chiamo Asio Norah, ho 46 anni, sono cattolica, madre di sei figli e vivo a Katwe. Mi guadagno da vivere vendendo uova sode e facendo la lavandaia. Mio padre ha avuto 12 mogli, durante la mia infanzia ho sofferto molto. Speravo di sistemarmi sposandomi, ma dopo la nascita del primo figlio mio marito morì. Mi sono sposata con altri 4 uomini che sono morti e mi hanno lasciata con i figli. Ero talmente disperata che ho pensato di morire facendomi investire da una macchina, che per fortuna mi ha evitata. Mentre ero ancora confusa, ho incontrato una donna che mi ha dato un po’ di soldi per comprare qualcosa da mangiare. Poi ho conosciuto Via Pacis che ha cambiato la mia vita, ho ricevuto sostegno umano e materiale. In Via Pacis ho incontrato molti amici e mi sento incoraggiata e supportata.


FILIPPINE

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l’istruzione al tempo del Covid Quanto mi manca la scuola!

D I S U O R R O S A N N A FAV E R O L'anno scolastico 2020-2021 si è concluso da poco: un anno che sarà ricordato da tutti come l'anno COVID-19, l'anno dell'istruzione a distanza, iniziato con tanta speranza di poter ritornare presto sui banchi di scuola, rivedere gli amici e gli insegnanti, riprendere le attività scolastiche e i giochi all'aperto. Non è stato così, e anche il nuovo anno scolastico che inizia a settembre sarà a distanza. In questi ultimi mesi c'è stata una forte crescita del numero di contagi e purtroppo di decessi. Attualmente le Filippine sono il secondo paese del sud-est asiatico con il numero più alto di casi e decessi COVID-19 e quello che spaventa è la rapida diffusione delle varianti. Questo ha portato il governo ad instaurare nuove misure restrittive, riducendo l'opportunità di lavoro e limitando gli spostamenti delle persone. L'istruzione a distanza ha incontrato molte difficoltà, prima fra tutte la comunicazione online. In Mindoro la ricerca di provvedere connessioni internet ha coinvolto i responsabili dei villaggi che hanno cercato di collaborare anche in modo creativo per agevolare lo studio a distanza.

Ad esempio, nel villaggio di Paclolo non è ancora arrivato internet, ma sono arrivati i cellulari; solo che il segnale è debole e bisogna spostarsi nella parte più alta del villaggio per ricevere e inviare messaggi. Per facilitare la ricezione sono stati installati dei pali di bambù vicino alle case, con dei sacchettini di plastica e una corda per far salire i telefonini fino alla cima del bambù durante le ore convenute, per ricevere messaggi e indicazioni dagli insegnanti.

Mi vergogno di non avere apprezzato sempre ciò che ricevevo, di aver dato tutto per scontato. Ma ora ho capito, ho tanta nostalgia di poter tornare a scuola e ho deciso che sarò più responsabile. La possibilità di studiare è un dono immenso, la pandemia mi ha insegnato questo valore e anche a pensare agli altri, a pregare e conoscere la realtà di tanti Paesi che, come il nostro, sono stati bloccati dal virus.


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L'anno scolastico 2020 2021 rimarrà indimenticabile con le sue tante novità, sacrifici, incertezze, ma anche per aver affermato in tanti modi che l'educazione rimane un pilastro importante nella vita di ogni persona e società. Genitori impegnati a fare i compiti insieme ai figli; insegnanti instancabili nel far giungere lezioni, messaggi e compiti da fare anche nei villaggi più lontani, affrontando fatica e rischio di contagio; studenti desiderosi di tornare a scuola… queste sono immagini che emergono dagli scritti dei nostri ragazzi ai quali abbiamo chiesto di raccontare le loro esperienze di studio a distanza.

Tutti hanno cercato di contribuire per favorire l'apprendimento, anche in una situazione tanto povera e instabile. Sembra impossibile aver vissuto già 16 mesi in un clima di incertezza e chiusura che purtroppo non sembra lasciarci. Contagi nelle famiglie o nel vicinato hanno richiesto l'isolamento totale. Mancando i centri di isolamento sono state

A nessuno piace portare la mascherina, ma so che dobbiamo farlo per salvaguardare il bene di tutti. Quando non c'era più riso, le nostre mamme lo hanno messo in comune e diviso fra tutti: non avevo mai sperimentato questo, ho capito che dobbiamo imparare ad affrontare le difficoltà insieme.

circoscritte le aree infette con dei cordoni, obbligando le famiglie a rimanere chiuse in casa e segnalando con delle bandiere rosse la presenza di ammalati o di decessi per Covid. Speriamo che questa situazione passi presto perché sta diventando sempre più difficile, specialmente per i più poveri. Molte famiglie che seguiamo hanno perso dei loro cari a causa del Covid, fra i nostri ragazzi è aumentato il numero degli orfani e tante sono state anche le morti a causa del lockdown, che non ha permesso di viaggiare e ricevere gli aiuti medici necessari. Questa la ragione per cui tre dei nostri ragazzi del SAD ci hanno lasciato: un ricovero ospedaliero avrebbe potuto salvare la loro vita.

A volte mi chiedo perché non ho saputo vedere l'importanza di tutti i momenti trascorsi a scuola e mi chiedo come ho fatto a viverli in fretta e a volte con il broncio.

Grazie ai vostri contributi abbiamo continuato a dare un sostegno alimentare alle famiglie, affinché potessero ricevere aiuto per affrontare questa lunga pandemia.

Mio fratello è morto perché non si poteva uscire a causa della quarantena. Non aveva il virus, non aveva la febbre, solo male agli orecchi, ma è morto. La mamma ha detto che ora è in cielo, ma io so che lui voleva stare qui con noi. Spero che presto qualcuno riesca a distruggere il virus.

Ricordo quando la mamma mi svegliava al mattino presto ed ero contenta di iniziare il lungo cammino verso la scuola, anche se era buio e pioveva. Con i miei amici potevamo vedere le piante crescere e dare frutti e anche gli effetti della siccità o dei tifoni. Potevamo giocare e raccontarci tante cose. La scuola era come essere a casa…


MYANMAR

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S C R I T T O N E L L A C A S A D E L L A PA C E A L O I K A W, M YA N M A R Come state? Io non posso dirvi che stiamo bene, perché da tanti mesi c'è la guerra che non ci permette di vivere come prima. Le scuole sono chiuse, ma noi siamo fortunate perché le suore continuano ad insegnarci e possiamo studiare. Io sto imparando a suonare il violino e ho migliorato in matematica. Quando i soldati sono vicini alla nostra casa dobbiamo nasconderci e non fare rumore. Preghiamo. Il rumore degli spari fa tanta paura e ancora di più quando è notte. Perché c'è la guerra? Sono morte tante persone, distrutti i villaggi, la gente deve fuggire lontano e non ha da mangiare. E adesso c'è anche il virus che uccide e fa stragi. Ora non ho più sogni. Prima desideravo tanto diventare insegnante, ma non abbiamo più scuole, ci sono tanti ammalati ma non ci sono medicine e ospedali, non ci sono più cimiteri per i morti. I nostri bei monti sono il luogo dove la gente cerca rifugio, ma i soldati li inseguono anche lì. Siamo tristi, ma le suore ci incoraggiano sempre. Anche loro hanno paura, ma non ci lasciano soli e aiutano anche altra gente. Forse un giorno diventerò anch'io una come loro per portare speranza anche quando tutto è buio. Certo che è difficile sperare in questo tempo così difficile! Ringrazio tutti quelli che ci aiutano a continuare a vivere.


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o c r e Io c volto il tuo acis P a i V i stive d

ane e

le settim

Se ti guardo vedo Dio DI ELENA BONOMETTI Io cerco il Tuo volto, Signore; io cerco la gioia piena; io cerco la vera felicità. Questo il tema della Settimana estiva Via Pacis 2021, svoltasi a Castelfondo dall’11 al 18 luglio, per i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie. E’ stata una vera e propria esperienza di vita per tutti quelli che hanno partecipato, non solo per i bambini ma anche per noi animatori: una settimana di condivisione, di gioco, di amicizia, di scoperta della bellezza della natura. In queste giornate abbiamo avuto la possibilità non solo di fare esperienza di amicizie vere, di relazioni profonde e di vero gioco di squadra, ma anche di affrontare tematiche fondamentali per la vita di ognuno di noi. Il tema del campeggio, Io cerco il Tuo volto, è stato infatti declinato in varie riflessioni, che rispondevano alla domanda “dove possiamo cercare il volto di Dio?” E, di conseguenza, dove possiamo trovare la gioia vera? La felicità che Dio desidera per noi, per la nostra vita, e che riempie i nostri cuori se noi incontriamo il Suo volto? Nei sacramenti, nella preghiera, nella Bibbia, nel silenzio e nella scoperta dell’ascolto di noi stessi e del nostro cuore, negli errori e nella forza del perdono; nella natura, questo meraviglioso creato che ci circonda e, infine, nella fondamentale risorsa delle relazioni. La soddisfazione più grande? Vedere i volti di tutti noi trasformarsi man mano che i giorni passavano: anche il più timido dei bambini sorrideva e faceva gioco di squadra, il più esuberante aiutava gli altri e si metteva a disposizione per ogni servizio… È proprio vero che, quando due o più sono riuniti nel Suo nome, Lui è in mezzo a loro: Dio c’era, vivo e presente, ha agito con dolcezza, con potenza, con semplicità, per toccare i cuori dei bambini, dei ragazzi, di noi animatori.


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Clima d'amore DI GABRIELE PERNICI Le settimane estive di Via Pacis sono state e sono ogni volta un’esperienza indimenticabile e insostituibile. Ognuna di quelle settimane mi ha insegnato qualcosa, mi ha aiutato a crescere e migliorare. I momenti di preghiera permettono ai bambini e ai ragazzi di sperimentare cosa significa veramente interagire con Dio, e sono un tempo per imparare nuovi modi per pregare. Il secondo elemento sono gli interventi degli animatori, in cui si parla ai bambini di argomenti specifici, che sono suggerimenti per raggiungere la felicità: la fiducia (di solito come rimedio alla paura), gli sbagli e il perdono, le relazioni, l’importanza del grazie... Col campeggio di quest’anno ho dovuto anch'io preparare uno di questi insegnamenti, e posso garantire che ricercare il materiale e leggere gli interventi passati sullo stesso tema è un’esperienza di crescita anche per l’animatore. Le gite in montagna sono sempre state i miei momenti preferiti quando ero un ragazzino. Il clima di aiuto reciproco, sostegno e amicizia che è presente tutta la settimana è moltiplicato durante le gite. La natura stupenda che ti circonda e la fatica della camminata sono uno stimolo incredibile per fare nuove amicizie o approfondire quelle già esistenti. Le gite sono, inoltre, un ottimo momento per mettere in pratica molti degli insegnamenti della settimana, oltre al rispetto per la natura. I momenti di gioco organizzato sono le occasioni per ognuno dei bambini di divertirsi e sfogarsi al massimo, oltre che fare gioco di squadra, imparare a perdere e capire l’importanza della sportività. Dal punto di vista di un animatore, il gioco è il tempo in cui si conosce meglio il carattere dei ragazzi, in quanto ogni “maschera” che possono aver tenuto fino a quel momento scompare. Tutto ciò avviene in un clima “protetto”, nel senso che gli animatori cercano di far sentire accolti i bambini e di spingere questi ultimi ad accogliersi a vicenda per come sono, superando chiusure e prese in giro. Gli ultimi tre campeggi li ho fatti da animatore, e sono state esperienze meravigliose. Ovviamente è più faticoso, anche per la responsabilità, però è anche un’esperienza più profonda. Oltre ad essere più grande (con la conseguenza di poter cogliere sfumature più profonde negli interventi degli altri animatori e dei momenti di preghiera), c’è l’esperienza di far gruppo per poter gestire la settimana. Questo gruppo, per poter funzionare, deve essere affiatato e ognuno deve aver fiducia negli altri, potendosi così affidare a loro nei momenti più difficili. Questo clima di aiuto reciproco è per me un’esperienza unica di crescita.


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NON SI VA IN PARADISO CON L'ASCENSORE

D I PA O L O M A I N O Teologo, fondatore dell'Associazione Via Pacis

Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. (Gv 15,10.12) Pur riferendosi a dei comandamenti, in realtà Gesù proclama una sola regola, un solo precetto: “che vi amiate gli uni gli altri”. Non ci ha chiesto di amare lui, ma di amare gli altri. Come dicesse: non preoccuparti di amare me, ama gli altri… (il tuo coniuge, i tuoi parenti, i tuoi colleghi, i tuoi vicini). È la grande verità. Il comando evangelico ci dice che l’amore fraterno è teologale, cioè che l’altro, il fratello, è Dio alla portata del nostro amore. Nessuno può controllare l’amore che abbiamo per Dio, ma tutti possiamo verificare se ci amiamo al di là di quello che ci separa. “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Dobbiamo avere i piedi per terra. Si fa presto a parlare di amore, di volersi bene, di fraternità, ma sappiamo che ogni giorno siamo in relazione con tante altre persone e queste relazioni sono segnate dalla tensione, dal conflitto, dalla rabbia, da divisioni, da preconcetti. Esiste il mio mondo, tutto è incentrato sull’io, sulle mie esigenze, sui miei desideri. Anche non volendo, respiriamo questo clima e siamo contagiati da questo tipo di mentalità. Allora cosa fare? Ci è richiesta una conversione radicale del nostro modo di pensare, come dice san Paolo nella lettera ai Romani: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare …”. In pratica, significa eliminare il pretendere di avere ragione, di essere il metro di ogni comportamento,

di accettare pettegolezzo e calunnia, di prestarsi a gelosia e invidia, di alzare barriere e muri, di giudicare tutto e tutti. Solo così potremo essere “testimoni credibili”, come ci chiede Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate”. (EG 99) Viviamo in tempi difficili, al di là della pandemia: regna la legge del mercato, del profitto, dell’immagine, dell’io; l’ego viene innalzato a valore supremo, tutto è basato sulla competizione. Sembra aver valore solo l’uomo forte, l’uomo-potere, l’uomoimmagine. Grazie ai social, siamo bombardati da informazioni e continuiamo a comunicare, tanto che quasi non sappiamo più distinguere l’importanza di una comunicazione da un’altra. In questo clima, dove sembra che i cuori siano anestetizzati, è importante prendere coscienza che è grazia e dono poter camminare assieme, in Comunità, in gruppo. E questo è già testimonianza. Amatevi “come io ho amato voi”. (Gv 13,34). Lui ha amato fino alla croce. “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. (Mt 16,24) La decisione di seguire Gesù, prima o poi, porta a camminare sul sentiero del Golgota: il Golgota è una tappa obbligata. Non si va il paradiso con l’ascensore.


C HEC KPOINT

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QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA

DI DAPHNE SQUARZONI Studentessa in Studi storici e filologico-letterari

Nell’analisi di un testo narrativo è molto importante il punto di vista con cui vengono esposti i fatti. Ancor più nello svolgersi della nostra storia il punto di vista è una chiave di lettura tanto importante quanto potente; ha la capacità di creare una visione d’insieme coerente, ma anche un conflitto irreparabile a causa della sua incomunicabilità. E quindi? In che modo bisogna rapportarsi coi diversi punti di vista? La risposta più immediata a questa domanda ce la danno probabilmente il cinema e la letteratura, dove un meccanismo narrativo permette di mettere in scena e raccontare i diversi POV (Point of view) dei personaggi, ognuno portatore della sua verità. Lo spettatore ed il lettore, attraverso l’esposizione delle varie parti, riescono a ricostruire la realtà dei fatti. Ma basta questo? Spesso mi capita, aprendo Instagram, di trovare commenti e opinioni su qualsiasi cosa. Tanti punti di vista disordinati che pretendono di avere tutti la stessa autorità. Ma è davvero così? Il mio punto di vista su un vaccino può avere lo stesso peso di quello di un

medico? Il mio punto di vista su come costruire una casa può pesare tanto quanto quello di un ingegnere? Posta in questi termini la risposta appare evidente: il parere degli esperti è sempre il più autorevole. Ma quanto siamo disposti ad ascoltare? Quanto siamo disposti a lasciare da parte il nostro punto di vista? Il mio punto di vista è la lente con cui mi rapporto alla realtà. Una lente che si compone del mio vissuto, delle mie esperienze, delle mie opinioni, della mia professione e del mio studio. Nei suoi diversi aspetti la realtà richiede diversi sguardi, per questo è necessario dare un’autorità diversa ai diversi POVs. Si potrebbe dire che la nostra vita somiglia ad un romanzo giallo: siamo come l’ispettore che deve trovare la Verità tra tanti testimoni. Sta a noi decidere di chi fidarci. Possiamo scegliere di dare lo stesso peso a tutti i testimoni, possiamo scegliere di confidare negli esperti, possiamo scegliere di non fidarci di nessuno ecc. L’unica cosa certa, per ogni ispettore, è che l’unico modo per arrivare alla Verità è ascoltare attentamente. Ma questa è un’arte da imparare: invece di subire il brusio assordante di voci che ci seducono o che ci minacciano, saper dare ascolto al nostro punto di vista, a quello degli altri e – come cantava De Andrè – al “punto di vista di Dio”.


PRESENTI AL PRESENTE

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SECONDA PARTE

A-SOCIAL MENTE?

D I A N N A C AV E D O N Psicologa

“Internet è un mondo fantastico”: ”: l’ho sentito spesso dire dai miei compagni di università, ed io sono d’accordo. Mi pare però che sia una macchina troppo veloce per una società che ha appena preso il “foglio rosa”. Internet e social media sono diventati uno strumento fondamentale per accedere ad informazioni importanti: sanità (specialmente durante questi tempi di pandemia di Covid-19), notizie aggiornate, possibilità di ampliare la propria conoscenza… Ma, attenzione: qual è il confine tra uso e abuso? L’umanità continua ad evolvere e con essa le nuove forme di comunicazione: nuove possibilità ma anche nuovi problemi riguardanti l’etica, la privacy, la veridicità (o falsità) delle informazioni e, ovviamente, nuovi tipi di dipendenza. Vorrei portare l’attenzione su questo ultimo aspetto: è noto a tutti l’utilizzo problematico da parte di molti preadolescenti e adolescenti di smartphone connessi ai social network. La socialità è un bisogno primario dell’uomo: la necessità di comunicare e comunicarsi, essere visti ed ascoltati, costruire la propria identità attraverso relazioni significative. Le possibilità relazionali date dai social media sono incredibili (giusto qualche tempo fa mio papà ha ritrovato l’amico che aveva fatto il servizio militare

con lui, parliamo degli anni ‘70) ma oggi ha dei connotati differenti: il social media è diventato un nuovo modo di essere e di mostrarsi agli altri. Marshall McLuhan, sociologo canadese, già nel 1967 affermava che “il canale è il messaggio”: le caratteristiche del media, ovvero il canale che trasmette il messaggio da emittente a ricevente, modifica la natura stessa del messaggio. Questo principio è più attuale che mai: il nostro modo di presentarci sui social tramite foto, post, commenti, video ecc. non rappresenterà mai esaustivamente chi siamo e cosa facciamo, almeno non come una chiacchierata a quattr’occhi. Pensate che in America si è verificata un’impennata di operazioni di chirurgia plastica su ragazze giovanissime: hanno modificato la realtà del loro volto per rendersi simili alla propria immagine “filtrata” sullo schermo.


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Quasi che la realtà virtuale possa rendere perfetto ciò che nel mondo reale è imperfetto. Gli esperti affermano che la condivisone di selfie è una delle attività più frequenti. Possiamo ben comprendere perché: soddisfa il proprio bisogno di essere visti, di essere soggetto di curiosità, di sentirsi parte di una comunità globale. Ma, soprattutto, ci tiene incollati allo schermo: vogliamo monitorare la nostra popolarità. Più aumentano i feedback degli (like)) più sentiamo di essere approvati. altri utenti ((like Questo è ormai diventata una dipendenza. Sia per le dipendenze da sostanze che per le dipendenze comportamentali (es. gioco d’azzardo) svolge un ruolo fondamentale il “circuito di ricompensa” che ha sede nel cervello. Questo sistema orienta la persona a ricercare stimoli che in passato hanno portato ad una gratificazione (nel nostro caso, il numero di like)) rinforzando la motivazione a ricercarne quantità sempre maggiori. Ciò potrebbe spiegare il passaggio da uso ad abuso dei social network. Nonostante ci sia bisogno di un maggiore approfondimento, possiamo ammettere che i social letteralmente ci catturano. Avevo già pensato all’uso problematico del tempo, ma ora vado più in profondità: perché Internet mi cattura? Qual è il vuoto che riempio, navigando ossessivamente in rete? Di recente ho visto un interessante docufilm prodotto da Netflix: “The social dilemma” dove alcuni “pentiti” ingegneri di Twitter, Facebook, Instagram, Pinterest, Google… denunciano i danni sociali provocati dall’abuso dei social e di internet. Viene proposta una tesi inquietante: “se non paghi per il prodotto, il prodotto sei tu”. I prodotti gratuiti, come Facebook ed Instagram, catturano la nostra

attenzione, continuando a raccogliere dati sulle nostre preferenze, le nostre attività, le posizioni geografiche ecc… per poter influenzare le nostre idee e condizionare le nostre scelte. Un’infinita possibilità di connessione e uno sconfinato accesso all’informazione ci rendono soggetti liberi? Quanto siamo padroni della nostra attenzione? Quanto riusciamo a rimandare il momento in cui controlleremo la nuova notifica? Senza un utilizzo che sia sobrio e pensato, con molta probabilità paghiamo il contrappasso: interpersonali, l’impoverimento delle relazioni interpersonali l’alterazione della percezione del tempo, la confusione tra mondo virtuale e mondo reale ((qual è quello più importante?), le modificazioni dell’umore in base al successo derivante dai contenuti che abbiamo condiviso. La dimensione psicologica va a pari passo con quella spirituale, e mi chiedo: se la mia attenzione è occupata da questi contenuti così seduttivi, che spazio può trovare Dio per parlarmi? Ho discusso spesso con persone che mi hanno detto che non sentono Dio, dubitando della sua esistenza. Mi domando se Gli hanno mai dato la possibilità di parlare, mi chiedo se hanno mai preso in mano la Parola perché parlasse al loro cuore. Per tutto questo c’è bisogno di attenzione! “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5): Dio abita nel tuo cuore, lascia che ti metta “mi piace” sul cuore, che te lo dica, che te lo faccia sentire. Ti assicuro che tutti gli altri like impallidiranno davanti alle parole di tuo Padre: “Tu sei il figlio mio, l’amato: in Te ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,17).


PRESENTI AL PRESENTE

ASCOLTO:

ESSERE DARE RIMANERE orecchie giungono suoni che con una buona quota di successo riusciamo a decifrare e comprendere, ma è molto di più: ascoltare è essere, dare e rimanere.

DI ELISA CASARINI Psicologa clinica dell’età evolutiva

In grammatica, il verbo rappresenta una parte del discorso variabile, che indica un'azione che il soggetto compie o subisce, l'esistenza o uno stato del soggetto, il rapporto tra il soggetto e il nome del predicato. Il verbo restituisce senso alla frase, ne è il centro. Alla luce di questa introduzione possiamo comprendere la grande portata dei tre verbi posti come sottotitolo al la parola chiave di questo articolo: ascolto. Si è soliti pensare che tutti siano capaci di ascoltare. Una volta una parrucchiera mi disse: “Sai Elisa, sono sempre qua dalla mattina alla sera ad ascoltare persone che parlano e parlano ininterrottamente dei loro problemi; senza offesa, ma mi sento anche io un po' psicologa”. Lì per lì ci si scambia sorrisi e sguardi complici, accompagnati dall’ironia di chi sa che le cose, in realtà, sono un po' più complesse di così. L’ascolto è una vera e propria arte e, se è vero che potenzialmente saremmo tutti capaci di ascoltare, pochissimi la affinano. Ascoltare non è semplicemente un’azione passiva, per cui alle nostre

Essere in ascolto: per ascoltare bisogna prima di tutto “essere”, riconoscendosi beneficiari di un tesoro prezioso, ovvero la consapevolezza che la propria vita ha una dignità ed un valore intrinseco inestimabile. Anche gli eventi avversi e le situazioni più buie che possono accaderci non scalfiranno mai il nostro valore. Accettarsi per come si è, tollerare la frustrazione di non poter essere perfetti, perdonarsi e perdonare, accogliere, costruire, dialogare. Solo allora l’arte dell’ascolto potrà farsi strada in noi e diventare dono per l’altro. Ecco che allora il dare ascolto allarga la prospettiva e assume una dimensione relazionale viva e profonda, perché è frutto di una consapevolezza originaria per cui ri-conosco di essere degno e valevole e desidero donare all’altro quanto ho ricevuto. L’ascolto, dunque, mi obbliga ad uscire dai miei schemi, dal mio modo di pensare, sentire e comportarmi per accogliere il mondo dell’altro senza pretesa e senza giudizio. Per compiere questo difficile passo è fondamentale rimanere in ascolto. Uno tra i prerequisiti fondamentali per rimanere in ascolto è fare silenzio. La frenesia con cui tendiamo a vivere il nostro quotidiano sta limitando di gran lunga questa capacità; siamo portati a pensare che ci siano cose più importanti da fare, mestieri da sbrigare, impegni inderogabili a cui non poter rinunciare. Si perde il senso. Si perde tempo. E l’aspetto paradossale è che, spesso, il tempo lo si perde più “facendo” che “rimanendo”. In un mondo che deve processare velocemente le informazioni, che richiede efficienza e prestazione, risulta molto difficile affinare l’arte del silenzio, ma la verità è che non esiste ascolto profondo senza silenzio. Scegliamo, allora, di prenderci del tempo per imparare ad essere e rimanere, affinché la nostra vita diventi dono inesauribile per l’altro!


TESTIMONIANZE

D I I G N A Z I N A C R O C I ATA Mi sono chiesta più volte perché Papa Francesco parli spesso delle chiacchiere, non usi mezzi termini: proprio gli stanno antipatiche e non le tollera! Che sia un difetto così diffuso? Boh... Istintivamente mi hanno sempre infastidito le persone che spettegolano, che osservano la vita degli altri e ci ricamano su, ma non mi sembrava un comportamento così diffuso... pensavo riguardasse solo quelle donne impiccione, che non hanno molto da fare e sanno tutto di tutti… E, pensavo, non sono certo io una del genere! Invece mi sono dovuta ricredere. È un difetto molto diffuso, più di quanto immaginassi, e ci sono dentro purtroppo anch'io, magari solo per fare conversazione con le persone con le quali ho poco in comune. Riflettendo, ho capito meglio ciò che può scattare dentro. Chiacchierare, sparlare, conversare sugli altri ha un gusto particolarmente attraente, trovare i difetti negli altri ci fa sentire più bravi, storna l'attenzione dai nostri difetti. Anche i social possono servire a questo scopo: criticare e mettere alla gogna qualcuno, con commenti gratuiti, ironici e a volte perfidi, ci fa sentire 'migliori' ed esenti da ciò che stiamo bersagliando. Ho capito che c'è tanta ingiustizia in tutto questo. Nessuno sa cosa c'è dietro un comportamento apparentemente 'strano', o 'cattivo'. Certo, un

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fatto lo si può giudicare come male o bene, ma la persona no. Non abbiamo il potere di leggerla dentro. Inoltre, la vittima non può neanche difendersi. Come dice il Papa: “Il chiacchiericcio distrugge tutto: la società, gli amici, la famiglia, il quartiere… è dalla lingua che incominciano le guerre”. È vero, ci sono anche momenti in cui abbiamo bisogno di sfogarci con qualcuno di fidato se subiamo un torto, ma la dignità di ogni persona è e dev'essere sacra, protetta. Non ci si può fermare a sfogarsi se alla fine non abbiamo parole di misericordia e di bontà nei confronti di chi ci ha ferito. Non siamo legittimati alle chiacchiere neanche se siamo colpiti in prima persona. Certo, è più difficile intessere relazioni, dove non si chiacchiera. È più difficile coltivare una buona autostima vera che costruirla sulle spalle degli altri. È più difficile trovare argomenti coi colleghi che non riguardino le critiche verso i superiori che 'sbagliano sempre', o sui politici o sulla sanità… Ed allora ho compreso il Papa, perché ha tanta antipatia per le chiacchiere! Ci allontanano da noi stessi, dal prossimo e da Dio... Sì, perché iniziamo a vivere nella non verità, nella non misericordia, nella schiavitù e nell’illusione di allacciare amicizie e costruire sulle rovine degli altri. C'è bisogno di coraggio e di forza per decidere di non farlo più e il metterlo in pratica è un allenamento costante, vigile, che ci trasforma il cuore ed apre i nostri occhi a cose nuove, più belle, più positive!


TESTIMONIANZE

Nell’ultimo anno, la pandemia di Covid ci ha messo alla prova in molti modi, sfidando le nostre certezze e le nostre sicurezze. In questa situazione così particolare abbiamo imparato che essere comunità è qualcosa che va oltre i nostri confini mentali e spaziali. Abbiamo chiesto a Paola, Luca, Antonella e Pietro di condividerci la loro esperienza di preghiera comunitaria online. Ho accolto la proposta degli incontri di preghiera online con qualche perplessità. Ero anche diffidente, perché saturo dai tanti incontri su Zoom e simili per lavoro. Quindi una sfida, o così o niente. Ma la sfida non era solo per me, era una sfida per il Signore. Poi mi sono chiesto: lo Spirito non entra forse a porte chiuse? E quindi può tenerci in comunione anche attraverso le immagini che ci rappresentano. Siamo una piccola parte di Chiesa che può pregare così. A volte non è tanto importante cosa diciamo o se non ci capiamo (la tecnologia è un ausilio, ma non è perfetta), ma è importante esserci, per sostenerci, per rafforzare i nostri passi sulla via della pace, anche in questo tempo strano e difficile.

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COLLEG MENTI... Strano questo periodo COVID, ma proprio grazie a questa emergenza ho potuto partecipare con assiduità agli incontri di preghiera settimanali della mia Comunità di Riva del Garda. Quando si è deciso di utilizzare le tecnologie digitali, per ovviare alla forzata sospensione degli incontri, ero scettico. Con mia grande sorpresa e soddisfazione, ho sperimentato che il Signore agisce sempre allo stesso modo: non viene condizionato dalle nostre modalità di interazione, ma guarda al nostro cuore, al nostro desiderio di volerlo incontrare. Quindi ringrazio le tecnologie digitali, che amplificano la possibilità di pregare insieme e possono rappresentare un'ulteriore opportunità per la nostra preghiera comunitaria.

Pietro

Come responsabile di comunità e amministratore del collegamento, iniziavo gli incontri con sempre un po' di apprensione, cercando di affidare il tutto nelle mani di Dio. Mi sono resa conto che questa modalità ha permesso a persone, che avrebbero fatto fatica a partecipare in presenza, di poter gustare della preghiera carismatica comunitaria. Questo pregare insieme ci ha aiutati a rimanere legati tra noi e con il Signore: con questi strumenti, non c’è distanza che ci possa bloccare!

Non accolsi con entusiasmo la proposta di continuare online gli incontri di preghiera durante il periodo della pandemia. Non solo mi sentivo tagliata fuori per la mia età, ma soprattutto ero sicura che incontrare i fratelli attraverso lo schermo freddo di un computer non avrebbe portato niente di buono. Schiaccia il tasto, spegni per ascoltare, accendi per parlare – attenti a non sovrapporre le voci… Come raccogliersi e fare silenzio nel cuore, per ascoltare se Dio aveva qualcosa da dirci? No, no: prevedevo un’esperienza a dir poco negativa! Ma non avevo fatto i conti con la forza dello Spirito Santo! Il legame fraterno non si è affatto allentato, anzi, ho avuto l’impressione che il risolvere sorridendo problemi tecnici comuni ci abbia uniti maggiormente; la voce di Dio, ignorando la barriera dello schermo, ha parlato forte e chiara; la preghiera non ha perso la sua intensità, tanto che era automatico, non più problematico, il premere e rilasciare il famoso tasto; la musica ha sempre raggiunto i cuori, guidando e amalgamando il tutto. Le condivisioni, poi, ci coinvolgevano nel profondo, facilitate forse dalla possibilità di guardare negli occhi, da vicino, colui o colei che parlava.

Antonella

Paola

Luca


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GA .

A SCUOLA DI SAPIENZA PA O L O V I VA L D I I N T E R V I S TAT O D A DAPHNE SQUARZONI Che cosa ti ha spinto a frequentare la FUCI?

Sentivo il bisogno di un percorso sia formativo che religioso, che mi permettesse di approfondire anche tematiche attuali. La FUCI è una realtà cattolica che mi sembrava rispondesse alle mie esigenze.

Che esperienza stai facendo?

F.U.C.I. (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) è nata a Fiesole nel 1896 dall'unione di circoli di giovani universitari cattolici. Ancora oggi si propone come luogo di crescita integrale negli anni dell’Università: nei Gruppi presenti in diversi Atenei di Italia si affronta un percorso di ricerca e approfondimento culturale e spirituale, col desiderio di formare cattolici consapevoli e cittadini responsabili. La condivisione di questo tempo permette di vivere l’Università non come un “esamificio", ma come un luogo da abitare, in cui far germogliare il grandissimo potenziale che è racchiuso negli anni di studio universitario, in primis attraverso un’esperienza di amicizia.

Per me è stata una boccata d’aria nella fatica dello studio universitario. In questi incontri ho potuto stare con coetanei, parlare, condividere tematiche e riflettere insieme. Una boccata di sapienza. Ho fatto esperienza di comunione nella ricerca della verità autentica, del formarsi non per la gloria di sapere, ma per poter dare un contributo attivo e aiutarsi a crescere.

Tu fai parte di Via Pacis: che cosa hai trovato di diverso in FUCI?

In Via Pacis i momenti di formazione sono saltuari, al primo posto c’è la preghiera. Gli incontri di insegnamento sono spesso inseriti in altri incontri, sono un pezzettino di qualcosa di più grande. In FUCI l’attenzione è focalizzata sulla formazione e sull’approfondimento di tematiche di attualità. Inoltre, la FUCI è una realtà universitaria: siamo tutti ragazzi e questo mi piace molto, perché gestiamo la formazione e la condivisione tra di noi. Siamo tutti studenti, quindi ci sono sia i momenti ludici, sia i momenti di condivisione di pensieri ed opinioni per far crescere noi stessi e gli altri.

Quali aspetti ti hanno particolarmente aiutato?

La possibilità di esprimermi in un dialogo rispettando le idee altrui, senza dover convincere della mia ragione: io ho la mia idea e ascolto la tua e vediamo se si può trovare un punto d’accordo. Ho capito l’importanza dell’ascolto reciproco: parlando mi rendo conto di cosa penso, e ascoltando gli altri completo il pensiero. Il clima che si respira è sempre molto rispettoso: ognuno vede le cose a suo modo, ma nessuno pretende di avere ragione. C’è molta libertà di dire quello che pensi senza sentirti giudicato. Le tematiche trattate, poi, mi hanno aiutato a riflettere e capire cosa significa essere cristiani nel mondo, non solo all’interno della Chiesa.

A chi e per cosa consiglieresti un’esperienza simile?

A tutti gli studenti universitari, perché permette, all’interno di una relazione di amicizia e rispetto, di creare una forma mentis aperta e predisposta all’ascolto di idee diverse dalla propria.


QUANTO AMO

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TUTTO È VANITÀ O TUTTO È NOVITÀ?

DI LUCIA ROMANI Responsabile Via Pacis per l'Italia del Nord

C’è un libro, nella Bibbia, davvero particolare, anche nel nome: il Libro del Qoèlet. È molto piccolo – solo 12 capitoli – ma è una perla preziosa. L’autore di questo libro è lui, Qoèlet, figlio di Davide, un pensatore o, meglio, come lui stesso si definisce, “un cercatore”: “Mi sono proposto di ricercare ed esplorare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo”. (Qo 1,13) Come sei ardito e coraggioso, Qoèlet… non “ti lasci vivere”, non sopravvivi alla vita, ma vuoi “scoprire se c’è qualche bene per gli uomini che essi possano realizzare sotto il cielo durante i pochi giorni della loro vita”. (Qo 2,3) Mi vedo in te, mi rivedo giovane a interrogarmi e chiedermi: perché vivo? Come spendere bene la mia unica vita, la vita che Dio mi ha dato? come realizzarla al meglio? E ti vedo nei giovani del mio tempo, anche loro alla ricerca del vero senso della loro vita, alla ricerca di una risposta alla domanda: perché vivo? Per chi spendere la vita? Come sei vicino carissimo Qoèlet …. abbiamo tante cose da dirci! Mi racconti che nella tua vita hai avuto successo, ricchezza, hai goduto di tutto ciò che bramavi (Qo 2,10), hai raggiunto i tuoi obiettivi, hai colmato il

tuo cuore di ogni delizia. Posso immaginarti come un giovane del mio tempo: di bella presenza, un’automobile sportiva, laureato, con un prestigioso lavoro all’estero, affettivamente appagato … Ma proseguo nella lettura e trovo scritto: “a che giova?” “dov’è il vantaggio?” Tu, carissimo Qoèlet, che cerchi la verità, come tutti lascerai un giorno la terra, e la tua sapienza a che cosa servirà? Passano i secoli, scorrono le generazioni una all’altra senza lasciare traccia …. Tutti a faticare sotto il cielo per poi lasciare ad altri il frutto della loro fatica. È questa la vita? Ma se è questa la vita, forse hai ragione tu, caro Qoèlet: tutto è vanità! Tutto è fugace, tutto passeggero, tutto passa …. Oppure no? No, se ricominciamo a diventare protagonisti, come te, del grande dono che abbiamo: il tempo! Il tempo non è nostro, ci è donato gratuitamente; e, come scrivi, “per ogni evento vi è un tempo opportuno”. (Qo 8,6) “C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato … un tempo per piangere e un tempo per ridere … un tempo per abbracciare e un


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tempo per astenersi dagli abbracci …”. (Qo 3,2.4-5)

immaginato la sua risurrezione dai morti?

Caro Qoèlet, forse il problema dell’uomo del mio tempo è che ha dimenticato di vivere il suo tempo con consapevolezza, e non “lasciarsi vivere”. Ha dimenticato di farsi le grandi domande che tu hai fatto al tuo cuore.

Carissimo Qoèlet, quanta sapienza nelle parole che scrivi a conclusione del tuo Libro: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché qui sta tutto l’uomo”. (Qo 12,13) Mi ricordano le parole che un giorno Gesù disse ad un giovane scriba: ““Ascolta Israele, il Signore nostro Dio è l’unico Signore: amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi”. (Mc 12,29-31) Ed ecco che quello che sembrava vanità può diventare novità, novità di vita, novità di eternità.

Ha dimenticato che ogni giorno può scegliere per chi vivere e come giocare al meglio il tempo della sua vita. Ha dimenticato che non è la stessa cosa vivere per soddisfare il proprio io, o vivere per e con Dio. Perché 2000 anni fa c’è stata una grande novità, una novità pazzesca, impensabile: Dio si è fatto uomo, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Chi poteva pensare un Dio che si incarna, sceglie di vivere la nostra vita e di donare la sua per la salvezza dell’umanità? Chi avrebbe mai

Grazie carissimo Qoèlet, fratello di cammino.


CARISSIMO

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IL SECONDO PATTO

DI ELIANA ALOISI MAINO Counsellor e mediatrice familiare, fondatrice dell’Associazione Via Pacis

Carissimo, complimenti! La tua sintesi è perfetta e rivela, una volta di più, il tuo grande cuore e la tua bella testa. Sì. La grave difficoltà di coppia che stai vivendo può essere il trampolino di lancio per il cambiamento, il mezzo per prendere in mano la tua vita e diventare migliore. E questo è possibile attraverso la pacificazione con la tua storia, con le tue sofferenze e condizionamenti, e con una decisa strategia di amare e fare piccoli gesti di bene. Hai capito giusto: non serve combattere le tenebre, è sufficiente far entrare più luce. Nella percentuale con cui tu cerchi in ogni cosa il bene dell’altro, vengono a calare il clima teso, l’aggressività e la tensione. E vieni sanato tu. Il passo successivo è l’accettazione responsabile, matura e veritiera di tua moglie, in ogni suo aspetto: fisico, psicologico, spirituale. Il modo di camminare, di esprimersi, di gesticolare, di rapportarsi con gli altri, i suoi gusti, le sue idee, il suo modo di essere madre… accettarla così come è. Puoi farlo aiutato da Dio, ed anche da me, se vuoi. Questa accettazione incondizionata potrebbe aprirti spiragli impensati e scoprire aspetti sconosciuti

e piacevoli di lei. O accorgerti con meraviglia e incredulità che quel suo difetto, che fino a ieri ti irritava così tanto, ora ti fa tenerezza. Se fino ad oggi la critica feroce verso di lei era motivata dal sentirti inadeguato, inferiore, o dal timore che fosse migliore di te, o dall’avvertirla più grande e volerla quindi ridimensionare, ora che sei più sereno con te stesso e più consapevole del tuo valore, puoi permetterti di apprezzarla. Puoi permetterti di essere “specchio buono”” per lei, puoi permetterti di dirle apertamente le cose belle che fa… e che è. C’è una Parola della Bibbia che mi emoziona: “Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra… l’una conferma i pregi dell’altra”. Ma tu pensa che bello se questo fosse lo stile di ogni coppia: ciascuno conferma il bello e il buono che l’altro è e fa. In verità, senza mentire o voler compiacere. Quando mi sono sposata ero molto giovane, inesperta e incapace da tanti punti di vista. Non avevo mai cucinato prima ed ho iniziato timidamente a fare i primi esperimenti supportata da un buon libro di ricette e chiedendo consigli a destra e a manca. Con il tempo sono diventata una brava


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cuoca. Gran parte del merito va a Paolo, mio marito, che, quando i cibi riuscivano bene, lo sapeva dire e apprezzare. È l’affermazione, la molla che spinge a migliorare.. È il concime della crescita. Non lo sono certo la correzione e la critica, che hanno spesso la capacità di rinforzare proprio quello che si vorrebbe far cambiare. Quale altro step a questo punto? Ora che vedi con più lucidità te stesso e tua moglie, i tuoi errori, il presupposto inconsapevole e fragile sul quale hai e avete costruito il vostro matrimonio, la carenza di fondamenta solide, la mancanza di un progetto condiviso, sarebbe forse il momento di rimettere mano a tutto questo? Di fare oggi quanto per poca maturità non avete fatto allora? E perché no: se fosse il caso di stipulare un nuovo matrimonio, un “secondo patto” su una base più matura e responsabile? Pensaci, pensateci, parlatene. facile, L’avventura matrimoniale non è facile anzi, è un’avventura pericolosa (ma ci sono relazioni significative facili?), ma vale la pena di viverla e di combattere per essa. Sono sposata da tanti anni

e mi accorgo di quanto oggi io sia diversa: meno appuntita, aggressiva e impulsiva. Mi accorgo di come sia più paziente e tenera, di come accetti più facilmente le mie e altrui manie, povertà, fragilità. Così, come mi accorgo del profondo rispetto che nutro verso il mistero che Paolo è. È la vicinanza continua con l’altro, l’incontro e lo scontro che, se integrati, ci ammorbidiscono amabili. È cambiata tanto di e ci rendono più amabili conseguenza anche la relazione matrimoniale: c’è più comprensione, tolleranza, cura reciproca, rispetto, complicità, serenità, dolcezza. Così vita, dei ringrazio Dio di ogni giorno della mia vita giorni di gioia e di dolore, delle delusioni e delle fatiche, di ogni provocazione che mi ha permesso di essere oggi quella che sono. E ringrazio Dio di poter invecchiare assieme a Paolo, quel giovane uomo biondo con gli occhi azzurri di cui mi sono innamorata cinquanta anni fa. Poter invecchiare assieme: che dono! Sempre tua Eliana



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