N°65 Sulla via della pace

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2022

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SULLA VIA DELLA PACE TRIMESTRALE ASSOCIAZIONE VIA PACIS

VIA PACIS ONLUS PROGETTI 2021

MEETING

INTERNAZIONALE

PARLIAMO

DI DONNE E DI UOMINI

Anno XVII - n. 1 - Gennaio-Marzo 2022 - Trimestrale Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi


SOM MA RIO 3 4

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2 SULLA VIA DELLA PACE

Trimestrale di in-formazione Anno XVII- n. 1 gennaio-marzo 2022

Registrazione n. 263 presso il Tribunale di Rovereto (TN) (19.01.2006) Direttore responsabile Paolo Maino Direttore di redazione Maria Luisa Toller Redazione Maria Luisa Toller Graziana Pedrotti Tiziano Civettini Daphne Squarzoni

Editoriale • Vicino ai lontani • di Ruggero Zanon Meeting internazionale

- Chi è il mio prossimo • di Gregorio Vivaldelli - Perdono • di John Bosco Matowu - Fraternità sfida e scelta • di Martina Sartorelli - Abbi cura di me • di Anna Vivaldi

Collaboratori Marilena Brighenti Stefania Dal Pont

Approfondimenti

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- Parliamo di donne e di uomini • di Maria Luisa Toller Via Pacis • Gesù guarisce anche oggi • di Patrizia Galvagni

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Progetti di solidarietàe

Archivio Fotografico Marcello Cenedese

23 Presenti al presente • Il (dis)valore (dis)orienta • di Elisa Casarini 24 Checkpoint • Salute e salvezza • di Daphne Squarzoni

Distribuzione e numeri arretrati Fausta Matteotti Editore Associazione Via Pacis onlus

26 Testimonianze

- Il mondo in casa mia • di Rosa Paolini - Lasciate che i bambini vengano a me • di Ignazina Crociata

Direzione e amministrazione Via Monte Baldo, 5 38062 Arco (Trento) Italy mail@viapacis.info www.viapacis.info Tel. +39.0464.555767

28 Quanto amo la tua Parola

- Quando Gesù agisce fa le cose da Dio • di Danilo Bonometti 30 La chiave delle parole • Cura • di Eliana e Paolo Maino

Grafica BENĀCUS benacus2015@gmail.com Illustrazioni Paola Bonometti Emmanuele Pepè Tiziano Civettini Stampa Antolini Tipografia - Tione (TN) Finito di stampare nel mese di dicembre 2021

Per offerte: CASSA RURALE ALTO GARDA IBAN: IT 67 C 08016 35320 000002142146 Codice BIC SWIFT CCRTIT2T04A BANCA UNICREDIT IBAN: IT 11 A 02008 35320 000005550586 Codice BIC SWIFT UNCRITM10FR BANCOPOSTA c.c. postale n. 14482384 intestato a: Associazione Via Pacis onlus

L’Associazione Via Pacis è un’Associazione internazionale Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica di Diritto Pontificio.

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Le attività di solidarietà promosse dall’Associazione Via Pacis sono gestite dalla Associazione Via Pacis onlus Via Monte Baldo, 5 38062 Arco (TN) - Italy Tel. +39.0464.555767 mail@viapacis.info


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EDI TORI ALE

VICINO AI LONTANI DI RUGGERO ZANON DOTTORE IN DIRITTO CANONICO, PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE VIA PACIS

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n giorno uno studente chiese a una famosa antropologa quale fosse stato il primo segno di civiltà in una cultura. Si aspettava che le rispondesse qualche scoperta particolare (un metallo, il fuoco…). La professoressa rispose: una gamba rotta guarita. Un animale, se si rompe una gamba, è destinato a morire, a diventare facile preda di qualche altro animale. Ma una gamba rotta guarita è la dimostrazione che qualcuno si è preso cura di te. La nostra civiltà non è fondata sulla sapienza, sulla forza, ma sulla debolezza. È la debolezza – quella che tendiamo a negare con tutte le nostre forze, quella che non appare mai dai nostri selfie – a tirar fuori la parte migliore di noi: la compassione, quando non c’è più un “io” e un “tu”, ma un “noi”. È lì che nasce la civiltà. Quando decidiamo di lasciare campo libero alla compassione, scopriamo la vertigine dell’amore. E la tentazione è quella di tornare subito indietro. Ci accorgiamo di quanto l’amore sia destabilizzante, perché, ogni volta che cerchiamo di porgli un limite, lui ci spinge ad andare oltre, a entrare nella dimensione del di più; e al di più non si può mettere un limite. E ci sembra di non farcela, ci sembra che la vita ci chieda troppo. La vita non ci chiede troppo, ci chiede tutto, perché non si può vivere a metà. Ma è proprio quando fai più fatica, quando soffri, quando stai dando tutto, che il cuore si allarga (gli sportivi lo sanno bene). Gesù, durante la passione, ha sopportato fatiche enormi fino all’ultimo respiro, per poterci lasciare il cuore più grande che poteva, perché in quel cuore potesse esserci posto per tutti (cf Gv 14,2-3).

Ci giochiamo tutto qui: nelle volte che ci siamo alzati di notte per accudire i nostri figli, nelle volte che abbiamo ascoltato chi era prigioniero del proprio odio e delle proprie pesantezze, nelle volte che abbiamo accolto chi si sentiva spaesato, non amabile. Nelle volte… in cui ci siamo riconosciuti fratelli. Ma chi è mio fratello? “…tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Mio fratello è l’affamato, è lo straniero, è il malato, è il carcerato (Mt 25,35-36). Perché sono bisognosi? No. Perché in loro c’è Gesù. Nel povero c’è Gesù! Di più. Il povero, il bisognoso, è Gesù: un Dio che mendica il nostro amore! Un Dio che sta alla nostra porta e bussa (cfr Ap 3,20). Un Dio che ha deciso di aver bisogno di noi, che da ricco che era si fece povero (cfr 2Cor 8,9). È il Dio con noi ogni giorno, perché i poveri li abbiamo sempre con noi (cfr Mc 14,7). Per questo tu, che fai parte della mia vita, chiunque tu sia – simpatico, antipatico, giusto, peccatore, amico, nemico – sei e rimani la promessa di bene per me, perché in te vive quel Gesù che ha promesso di rimanere con me “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). E sei tu a ricordarmelo. Compassione, allora, è dire anche noi con Gesù: “l’avete fatto a me…” (Mt 25,40). Quando una ragazza del Myanmar è privata della sua libertà… “l’avete fatto a me…”. Quando un bambino pigmeo non può andare a scuola perché discriminato… “l’avete fatto a me…”. Perché tu, sorella birmana, tu, fratello congolese, sei carne della mia carne (cfr 1Cor 12,26). Non sei lontano. Sei parte di me!


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chi è il mio prossimo? DI GREGORIO VIVALDELLI BIBLISTA E TEOLOGO

Papa Francesco dedica il secondo capitolo della Lettera Enciclica “Fratelli tutti” alla parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 25-27). All’inizio si dice che Gesù parla con un dottore della legge che gli chiede come fare ad avere la vita eterna. E Gesù risponde con una domanda: Cosa c’è scritto nella Legge, cosa vi leggi… come vi leggi? E lui risponde nel modo migliore in cui poteva rispondere: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente. E il prossimo tuo come te stesso. Gesù gli dice: bravo, fa’ questo e vivrai. Ma il dottore della legge chiede a Gesù: … ma chi è il mio prossimo? Gesù allora, per rispondere alla domanda, racconta la parabola del Buon Samaritano. Un uomo scende da Gerusalemme a Gerico, percorre una via scoscesa, ripida e pericolosa, adatta agli agguati dei briganti. Tant’è vero che lui viene attaccato, derubato, massacrato e lasciato a terra mezzo morto. Passa di là un sacerdote, lo guarda e se ne va. Passa un levita, lo guarda e va via. Arriva un samaritano - un abitante della Samaria - e si ferma, ne ha compassione, lo aiuta; addirittura, lo carica sulla sua cavalcatura, lo porta in una locanda e incarica il locandiere, dietro compenso, di prendersi cura di lui per i due giorni successivi, quando lui ritornerà.

essere uomini di religione non è garanzia di vivere come a Dio piace: infatti, il sacerdote e il levita (addetti al culto nel Tempio) lo videro e passarono oltre. Per i Giudei, i Samaritani erano peggio dei pagani, erano degli impuri, degli indegni. Quindi, è il peggio che poteva passare in quel momento. Ma il testo dice che il Samaritano vide quell'uomo, come il sacerdote e il levita, ma ne ebbe compassione: e qui c’è la svolta. Ne ebbe compassione… è usato il verbo che, per la Bibbia, esprime lo stesso amore viscerale, misericordioso, tenero di Dio. Ne ebbe compassione… ed inizia ad amarlo: gli si fa vicino, gli fascia le ferite, versandovi olio e vino (segni della misericordia e della gioia); poi carica l’uomo sulla sua cavalcatura, lo porta in un albergo, e si prende cura di lui. Il Samaritano non ama Dio nel prossimo; il Samaritano ama il prossimo come farebbe Dio. Il testo dice che lo caricò sulla sua cavalcatura, andò in un albergo e il giorno seguente tirò fuori due denari e li diede all’albergatore dicendo: Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più te lo pagherò al mio ritorno. Il giorno seguente…poiché la prima notte è quella cruciale per la sopravvivenza, il Samaritano la passa a vegliare il moribondo.

Il dottore della legge risponde correttamente: Chi ha avuto compassione di lui… ossia, il samaritano. Quindi, il prossimo è colui che decide di aiutare, di dare una mano, di farsi prossimo, di farsi vicino.

Il settimo personaggio della parabola, che può passare inosservato, è l’asino, la cavalcatura. Perché? Perché il Samaritano, senza l’asino non sarebbe mai riuscito a salvare l’uomo, non avrebbe avuto la forza fisica di portare quest’uomo nella locanda. L'asino è un’immagine bellissima di fraternità. La fraternità è quella realtà umile, è quella realtà forte, resistente - come un asino - che permette al bene presente nel cuore del Samaritano, permette al cuore pieno d’amore del Samaritano, di trasportare il ferito.

Papa Francesco definisce questa parabola un’icona illuminante, perché getta un fascio di luce enorme, bellissimo, su cosa significhi veramente essere “fratelli tutti”, prendersi cura degli altri. Inoltre, sottolinea che

È questa fraternità che vorremmo diffondere, questa fraternità universale e umana, che ci permetterà di creare la via della fraternità che ha a cuore il bene della singola persona e ha a cuore il bene dell’umanità.

E Gesù pone questa domanda: Chi di questi tre - il sacerdote, il levita, il samaritano - ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?


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ME ETI NG

Perdono

SUPERARE IL MALE CON IL BENE DI JOHN BOSCO MATOVU RESPONSABILE VIA PACIS IN UGANDA

Il perdono è la decisione di non vendicarsi. Il perdono, infatti, è un processo che inizia con una decisione: si decide di non vendicarsi, e questo processo finisce quando si riceve/sente pace. Alcuni di noi non conoscono il significato del perdono. Quando ci viene detto di perdonare, pensiamo subito ai sentimenti. Diciamo che è molto difficile perdonare perché i sentimenti ovviamente sono difficili da guarire, ma quando Gesù ci dice di perdonare, Gesù intende che non dobbiamo vendicarci. Quando qualcuno ti fa qualcosa di male, non devi - anche tu - fare qualcosa di male a lui. San Paolo, in una lettera scritta ai Romani, al capitolo 12, versetto 21, dice: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.” Questo è ciò che dovremmo fare ed è ciò che ha fatto Gesù ogni volta che gli hanno fatto qualcosa: non si è vendicato. Gesù ha detto: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, non ha fatto loro del male per ciò che gli avevano fatto. Ed anche quando Pietro ha tagliato l'orecchio a uno di quelli che erano venuti ad arrestarlo, Gesù ha detto a Pietro: “No, non dobbiamo comportarci così” e Gesù ha dovuto rimettere l'orecchio al proprio posto, perché quella era una vendetta. Nel regno di Dio non c'è vendetta. Quando ci rifiutiamo di perdonare, questo diventa un ostacolo. Anche se preghiamo, anche se digiuniamo, anche se facciamo qualsiasi cosa, se coviamo vendetta, non riceviamo la Sua benedizione, non riceviamo la guarigione, perché il “non perdono” è come un ombrello. Se piove e io ho un ombrello, la pioggia non può arrivare su di me. È lo stesso se io non perdono: la vendetta diventa un ombrello o diventa un muro per cui le preghiere o le benedizioni non possono raggiungermi. Quindi vi incoraggio, fratelli e sorelle, a perdonare come Gesù ci chiede di perdonare, così non avremo tutti questi problemi.


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SFIDA E SCELTA DI MARTINA SARTORELLI MEMBRO DEL CONSIGLIO GENERALE VIA PACIS

Nell’Enciclica Fratelli tutti Papa Francesco lo dice chiaramente: la fraternità è il punto di partenza per un mondo più giusto, più equo, meno egoista, più in pace. E propone la fraternità come antidoto alle ingiustizie che caratterizzano il nostro tempo. Se ci amassimo davvero come fratelli, allora cercheremmo il bene di tutti e, di conseguenza, non ci sarebbero disparità nella distribuzione del lavoro, nella considerazione della donna e degli immigrati, non ci sarebbero scelte economiche, sociali e politiche che negano la dignità delle persone, ci sarebbe un maggiore equilibrio nella distribuzione della ricchezza. Ma come si raggiunge e si applica la fraternità mondiale? La fraternità non è qualcosa che semplicemente si discute, si concorda, si sottoscrive. Non è un accordo internazionale, una legge, un regolamento. E, soprattutto, non è qualcosa che riguarda solo le istituzioni e i governi. No! Riguarda anche noi.

Il Papa dice che la fraternità è il punto di partenza, e a quel punto di partenza ci siamo noi, con il nostro stile di vita, il nostro modo di vedere e considerare l’altro. È un sentimento che va coltivato – da noi, per primi - ogni giorno, nel nostro piccolo, con gesti concreti, perché poi possa arrivare ad avvolgere anche il mondo e raggiungere anche i “piani alti”, per trasformare le decisioni politiche, economiche e sociali ingiuste. Ma noi, che stiamo a quel punto di partenza… siamo delle persone fraterne? Come guardiamo all’altro? Amiamo, accogliamo l’altro? Ci interessiamo di lui? Non si tratta solo di accogliere gli immigrati, di amare i poveri, ma di amare e accogliere chi ci è vicino, chi incontriamo nelle nostre giornate: se non amiamo e accogliamo chi abbiamo vicino, non possiamo amare e accogliere chi ci è lontano. Possiamo farci delle domande: come mi rapporto con quel compagno di classe un po' “sfigatello”? Lo taglio fuori, lo ignoro o lo coinvolgo? Quella ragazza nuova arrivata, tanto timida, l’aiuto a

integrarsi nel gruppo? Ho mai chiesto a quel collega di lavoro, che è straniero e fa fatica a comunicare, se ha bisogno di qualcosa? Se qualcuno ha bisogno di essere ascoltato, io ci sono? Se il comportamento del mio vicino mi dà fastidio, cerco il dialogo, mi apro al perdono? In effetti, il Papa ci lancia una bella sfida, perché la fraternità ci chiede di saper uscire da noi stessi, dalla nostra comfort zone, e andare incontro all’altro. La fraternità è una sfida, perché amare l’altro, mettere l’altro prima di noi stessi, è faticoso,

è difficile, non ci viene naturale, è anche una seccatura a volte… ma la fraternità non è un’opzione fra tante! La fraternità è un dono che ci è stato fatto, ma è anche uno stile di vita, che dobbiamo avere il coraggio di scegliere. Scegliere di essere fraterni. La fraternità si sceglie, si allena e si impara. Ma… chi me lo fa fare di scegliere di essere una persona fraterna? Io me ne sto bene tra me e me, se mi viene spontaneo di amare gli altri, bene, altrimenti non vedo il motivo per cui sforzarmi e fare fatica… Il Papa usa la parabola del buon samaritano per parlare della fraternità: un uomo in viaggio viene assalito, derubato e abbandonato moribondo lungo la strada. Passa un uomo, e tira dritto. Passa un altro uomo, e tira dritto. Passa un terzo uomo, che si ferma e dà soccorso e aiuto. Lungo la strada delle nostre giornate, della nostra vita, con le persone che incontriamo, amici e non amici, colleghi e non colleghi… che tipo di persona vogliamo essere? Noi… che personaggio della storia vogliamo essere?


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ABBI CURA DI ME DI ANNA VIVALDI RACCONTA IL MEETING VIA PACIS... PRIMA PARTE

Il Meeting è sempre stato per me un’esperienza incredibile, una di quelle che ti fanno vivere l’amore e la presenza di Dio al 100%! Il bello è che siamo tutti lì per un’unica ragione: sperimentare l’amore di Gesù e scoprire come Lui riesca ad agire in modo potente in ognuno di noi. Non importa se siamo amici, familiari, dove viviamo, da dove veniamo o dove andiamo, la cosa importante è che vogliamo incontrare Gesù. Quest’anno il meeting che tanto aspettavo non si sarebbe potuto svolgere in presenza, ma soltanto online attraverso dei video caricati su YouTube. A questo punto le alternative per vivere il meeting erano due: guardare i video da soli oppure trovarsi in piccoli gruppi per vederli in compagnia. È stato un meeting diverso, ma davvero speciale, un’esperienza capace di smuovere i cuori. Tra i vari interventi mi ha colpita molto quello di Paolo Maino sulle relazioni. Paolo diceva che la nostra vita è fatta di relazioni. Non ci avevo mai pensato, e sentirmelo dire mi ha fatta riflettere sul fatto che per noi adolescenti spesso le relazioni si riducono a interazioni sui social. Relazionarsi per noi vuol dire mandare un sms o un’e-mail, guardaci le storie su Instagram, commentare le foto e i post di Instagram e Facebook, oppure avere tanti like e tanti followers. Spesso le nostre relazioni si riducono a questo e invece Paolo dice che queste non sono relazioni, anzi, la verità è che dietro questo modo di relazionarci c’è tanta solitudine. Queste parole mi hanno fatto pensare alla mia vita, al fatto che a volte penso che basti un sms per mantenere la relazione. Pensandoci bene, le relazioni non sono fatte di emoji o di mille parole scritte, non sono fatte dal numero di follower che ti seguono. Le relazioni sono fatte di sguardi, discussioni, risate, litigi e momenti vissuti insieme e condivisi. E sicuramente gli sms ci stanno, ma non posso pensare che un messaggio o un emoji sostituiscano una relazione autentica, dal vivo. Come dice Paolo, più viviamo le nostre relazioni in presenza, più maturiamo noi e la nostra identità personale. Questo meeting mi ha aperto gli occhi su quanto noi, io per prima, siamo così presi dalle nuove tecnologie e dal nostro egoismo, da mettere noi stessi ed i nostri interessi prima di chiunque altro, addirittura a discapito degli altri. Ho sentito che Paolo stava parlando di me quando ha detto: «…tutto deve ruotare intorno a te, pretendendo di avere ragione, di essere il metro di comportamento... E se provano a riprenderti alzi barriere e muri e giudichi tutti e tutto». Quando ho sentito questa frase mi sono guardata allo specchio: ho guardato me stessa e la mia vita dal di fuori e ho capito che tanti di questi aspetti, anzi, a essere onesta, tutti questi aspetti, fanno parte di me e mi ci ritrovo con un po’di delusione. Per la prima volta mi sono guardata e ho visto ciò che di me non mi piace e ciò da cui voglio ripulire il mio modo di essere. In particolare, mi porto via una frase da quello che ha detto Paolo: «Nella relazione tu devi essere disposto a perdere qualcosa: tempo, pensieri, idee e principi». Questa è una cosa che voglio imparare da Paolo assieme alla capacità di ascoltare perché, come dice lui: «Oggi tutti parlano e nessuno ascolta». Fino ad ora non avevo mai capito cosa questo significasse e quanto fosse importante. (to be continued…)

ME ETI NG


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PARLIAMO DI DONNE E DI UOMINI DI MARIA LUISA TOLLER DIRETTORE DI REDAZIONE RIVISTA VIA PACIS

L’attuale dibattito sulla relazione fra sesso biologico e identità di genere, il cosiddetto gender (cfr Papa Francesco, Amoris Laetitia 56), si è radicalizzato in Italia su posizioni rigide e contrapposte, che impediscono la ricerca del bene possibile in una società pluralista.

Complessità

Come sempre, quando si parla di società, di cultura, di relazioni umane è necessario richiamare la nozione di complessità. La parola latina 'complexus' è all’origine del termine e significa letteralmente 'ciò che abbraccia più elementi e lo fa simultaneamente'. È complesso un 'complesso' musicale, ad esempio, formato da strumenti diversi, ognuno fa la sua parte ma in modo armonico… Dovrebbe essere così anche per la società e le relazioni umane, ma sappiamo che non ci viene spontaneo. Per suonare in modo armonico bisogna ascoltare e tener conto degli altri, cosa che si scontra con la nostra tendenza all’individualismo, che diventa ego-ismo. Accettare la complessità costa fatica. È molto meno faticoso semplificare, ma questo porta alla discriminazione, all’esclusione di chi è diverso da me, ai muri che dividono.

Antropologia cristiana

Come credenti, siamo chiamati a ritornare al modello antropologico cristiano, a cui la società occidentale ha finora fatto riferimento, fondato sul valore centrale della persona. Un modello molte volte disatteso e tradito, ma non per questo superato. Per il cristiano, ogni vita ha un valore inestimabile e va protetta e difesa: la vita del bambino non ancora nato come del morente, la vita del migrante che rischia di annegare per sfuggire alla miseria e alla guerra, la vita del vecchio e del disabile, dello straniero, di qualunque persona a prescindere dalla sua identità o dal suo orientamento sessuale. Il modello antropologico cristiano, tuttavia, non richiede solamente di affermare il valore di ogni vita. La riflessione sul messaggio cristiano ha portato a chiedersi cosa significa essere persona. Fin dalle origini la Bibbia ci parla della somiglianza con il Creatore attraverso due caratteristiche umane fondamentali e strettamente connesse: essere persone sessuate ed essere persone in relazione. Direi di più: siamo sessuati per essere in relazione. Essere maschio o femmina è qualcosa che mi spinge fuori di me, nella dinamica dell’amore: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, apertura al definitivo. La visione antropologica cristiana vede nella sessualità una componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi,

di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l’amore umano. La sessualità è una chiamata all’amore, inteso come dono di sé, in un’alleanza uomo-donna che è un segno potente della relazione che Dio desidera e sogna con l’umanità.

Testimonianza di vita

Tuttavia, se il valore del maschile e del femminile, la loro differenza, la loro reciprocità, sono elementi fondanti dell’antropologia cristiana, purtroppo siamo ancora lontani dal viverle e testimoniarle nella realtà delle nostre relazioni. Pensiamo agli stereotipi di uomo e donna che respiriamo e ai quali, senza accorgercene, ci adeguiamo, proponendoli come modelli educativi: le bambine imparano presto che il loro ruolo è farsi guardare, e i bambini, sempre più precocemente esposti alla pornografia, che la donna è da usare e dominare. Nella mia professione ascolto spesso le storie deprimenti di relazioni uomo-donna (adulti) basate sulla voglia del momento, impostate sulla fragilità del “sento” “non sento”, senza progetto, senza impegno, volatili come la nebbia del mattino, magari con figli usati come strumenti di ricatto. Oppure storie di fatica, portata avanti senza gioia, nella delusione di sogni infranti. Ebbene, Papa Francesco ci dice in modo lapidario: “La complessità del mondo e la crisi antropologica in cui siamo immersi esigono una testimonianza coerente di vita per poter suscitare un dialogo e una riflessione positiva sulla dignità umana” (Papa Francesco, Discorso al Forum delle ONG di ispirazione cristiana, Roma, 7 dicembre 2019).


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APPRO FONDI MENTI

sta provando a chiedersi: cosa posso fare di altro, di diverso?

Come sempre, davanti alle sfide della vita la prima domanda da farsi è: che cosa posso fare io? Cosa possiamo fare noi? Relativamente al tema in questione: chi sono io, donna? Chi sono io, uomo? Che idea, che rispetto, che ascolto vivo nei confronti delle persone dell’altro sesso che vivono attorno a me? Come guardo, come vedo, l’uomo, la donna che è al mio fianco? Cosa trasmetto ai miei figli, ai miei nipoti, ai miei studenti sul ruolo e sul compito vitale che uomini e donne hanno in questo mondo?

La rivoluzione della tenerezza

Per annunciare con competenza e passione la bellezza della sessualità umana creata da Dio, prima di tutto dobbiamo lavorare su noi stessi e sulle nostre relazioni. Un suggerimento che ci arriva ancora da Papa Francesco è aprire la porta della tenerezza, nelle nostre relazioni fra donne e uomini. Qualche tempo fa è venuta da me una donna, 55 anni. Mi racconta una storia molto comune: all’inizio un grande amore, la scelta del matrimonio, i figli… poi, piano piano, la fatica del quotidiano logora la relazione, che si intesse di mutismi, risposte irritate, piccole vendette, pretese e ricatti. La sofferenza di questa donna è palpabile, autentica, intrisa di delusione, senso di fallimento, rimpianto. Da poco, l’ultimo figlio rimasto in casa se n’è andato, manca quindi l’unica cosa che dava senso alle sue giornate. Ha tentato di tutto per cambiare la situazione, soprattutto (come viene spontaneo a ciascuno di noi) per cambiare l’altro. Ora, timidamente,

Dopo averla ascoltata e accolta, le chiedo cosa ne ha fatto della tenerezza, nella sua relazione. Le dico che so bene come sia un discorso difficile, le chiedo se mi capisce. A questo punto, gli occhi si riempiono di lacrime e mi dice “Sì, certo che capisco…”. Prende il telefono e mi mostra una fotografia, trovata per caso poco tempo prima. Due ragazzi giovanissimi, capelli e abbigliamento anni ’80, lui le tiene un braccio attorno alle spalle. Guardano l’obbiettivo, ma il loro sguardo sembra scorgere il futuro, un futuro pieno di promesse. “Guardo questa foto e mi dico: siamo sempre noi…”. Poi, poco alla volta, mi racconta il bene e il bello del marito, il bene e il bello di un amore che è rimasto fedele per 30 anni, un amore che ha in sé, ancora inespressa, una promessa di pienezza e di vita. Che cos’è la tenerezza? È una qualità del cuore, che ci cambia lo sguardo. Rimane in noi anche se, spesso, sepolta sotto cumuli di macerie, per le ferite e le delusioni che la vita ci ha procurato. Mi è capitato di suggerire a una madre, in difficoltà col figlio adolescente, di guardarlo, di contemplarlo, senza che lui se ne accorgesse, lasciando emergere la tenerezza che l’aveva accompagnata quando era piccolo. Qualche tempo dopo, mi raccontò che il ragazzo, incredibilmente, un giorno le aveva detto “mamma ti voglio bene”. La tenerezza è contagiosa! Tutti siamo capaci di tenerezza, fa parte di noi, della nostra attrezzatura per la vita. Ma ci fa paura, perché ci fa percepire deboli, vulnerabili, indifesi. Ci vuole coraggio, ad essere teneri. Papa Francesco parla di “rivoluzione della tenerezza”: “Gesù, appena nato, si è specchiato negli occhi di una donna, nel volto di sua madre. Da lei ha ricevuto le prime carezze, con lei ha scambiato i primi sorrisi. Con lei ha inaugurato la rivoluzione della tenerezza”(Papa Francesco, Omelia, 1° gennaio 2020). Per fare una rivoluzione ci vuole coraggio, determinazione, desiderio di libertà e disponibilità a soffrire per conquistarla. Altro che deboli e indifesi! Che fare allora? Qui si apre un mondo. Bisognerà capire. Ma a partire da queste premesse. Tutti coloro che propongono soluzioni semplificate, senza tenere presenti queste premesse, rischiano di innescare processi pericolosi.


VIA PA CIS

Gesù guarisce anche oggi… DI PATRIZIA GALVAGNI

“Gesù guarisce anche oggi” è un progetto di Via Pacis di preghiera sulle persone ammalate o in difficoltà per qualsiasi motivo. Un tesoro antico, ma anche nuovo. Antico: perché in Via Pacis c’è sempre stata quest’attenzione alla sofferenza. Nuovo: perché offerto a tutti coloro che lo richiedono. Ci sono tante persone che attendono una parola di speranza, soprattutto nel tempo strano che stiamo vivendo.

Per me, questo servizio è una chiamata. Provo un grande amore per Dio e questo è il modo in cui posso dimostrare questo amore: amando chi è nella sofferenza, per essere canale della Sua misericordia, della Sua tenerezza, della Sua compassione, della Sua consolazione. Riporto qui alcuni dei messaggi di ringraziamento che l’équipe di preghiera ha ricevuto negli ultimi mesi.

Testimonianze Carissima, grazie! che bello... Ringrazia tutti per i preziosi consigli. Solo con voi riesco a sentire Gesù decisamente tangibile. Sono felice. Un grande grazie a te e agli altri per la preghiera fatta per me e con me. GRAZIE al Signore che, attraverso di voi, mi ha fatto sentire la Sua dolce presenza e il Suo grande amore che mi ha dato pace. Mi ha fatto sentire figlia amata. So che tutto ciò che Lui permette è per il nostro bene e dunque non devo temere. Le parole, che lo Spirito vi ha suggerito per me, sono state di grande consolazione e fiducia. Sono nelle Sue mani di Padre e dunque... si compia in me la Sua volontà. Il Signore vi benedica e ricompensi Lui la vostra generosità in questo prezioso servizio. Sento le vostre preghiere e sento le mie forze aumentare. Vi ringrazio per l’amore che mi date e chiedo a Dio di benedirvi.

Grazie carissima, da venerdì la malattia pesa molto meno. Ci sono voluti un paio di giorni per capire. Ad un tratto è come se il suo peso fosse più leggero. Sono più tranquilla. Grazie per questo speciale aiuto. Grazie, so che voi siete al mio fianco, con Gesù. Grazie! Quanto è grande il Signore! lo sto scoprendo, o meglio "sentendo", attraverso i fratelli e le sorelle che mi dona in questo cammino di perfezionamento della fede. Oggi per me è stata una giornata ricca di amore... Non posso dire altro che grazie! Grazie mille, anche del vostro affetto. Grazie dell'abbraccio, ne avevo davvero bisogno. Grazie per l'amore che ho respirato, ne avevo bisogno. Grazie perché mi avete accettata e accolta così come sono. Grazie!


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Burundi

Responsabile: Giancarlo Blasi

AS 168 SOSTEGNO AL CENTRO SHALOM AMAHORO Sostegno alle spese di gestione di questo Centro che, a partire dal sanguinoso genocidio del 1994/95, accoglie circa 120 bambini/ragazzi orfani di guerre e guerriglie tra i principali gruppi etnici, Hutu e Tutsi.

Uganda

Responsabile: John Bosco Matovu

AS 392 SOSTEGNO ALLO SLUM DI KATWE A KAMPALA Prosegue il progetto di sostegno per alcune famiglie bisognose che vivono nello slum di Katwe.

Kenya

Responsabile: dott. Peter Onyango

AS 346 SOSTEGNO DEL PERSONALE DELL’ASILO SHALOM NEL VILLAGGIO UNYOLO Sostegno del personale che si prende cura di circa 100 bambini poveri del villaggio Unyolo, accudendoli nelle diverse necessità: cibo, cure mediche, istruzione.

Togo

Responsabile: Grégoire Ahongbonon

AS 400 SOSTEGNO AL CENTRO DI SALUTE MENTALE DI ZOOTI Prosegue il sostegno al Centro di salute mentale che accoglie ammalati psichici, fortemente discriminati, abbandonati a sé stessi. Nei centri creati da Grégoire in diversi paesi africani, si lavora instancabilmente perché con l’amore e la dignità ritrovata gli ammalati guariscano, diventando essi stessi collaboratori nel percorso di recupero di altri sofferenti.

Congo Brazzaville

Responsabile: suor Rita Panzarin

AS 379 ACQUISTO MEDICINALI PER IL CENTRO SANITARIO “DON DOMENICO PINCELLI” Prosegue il sostegno all’indispensabile attività del Centro Sanitario che, ormai da 16 anni, accoglie e cura centinaia di Pigmei e non solo. Il Centro è l’unica possibilità di assistenza medica nel raggio di 250 km.

Madgascar

Responsabile: Ranivoarimanana Modestine

AS 432 MENSE PER POVERI La responsabile del progetto, realizzato nel quartiere di Ambodifasika alla periferia della capitale Antananarivo, scrive: “…Il Madagascar è uno dei paesi più poveri al mondo. Noi cerchiamo di aiutare una comunità periferica attraverso l’istituzione di mense per i più poveri. Con il vostro aiuto possiamo garantire un’adeguata alimentazione a neonati, bambini, anziani, disabili, ragazze madri, per un totale di 100 pasti al giorno. Il menù comprende una serie di alimenti adatti a coprire le esigenze alimentari e nutrizionali delle singole categorie. Il cibo varia giornalmente con la presenza di riso, carne, pollame, latticini, verdura e frutta. Molto curato è l’aspetto igienico e sanitario sia nella preparazione che nella distribuzione del cibo, specialmente dopo lo scoppio della pandemia. Il personale è scelto in loco così da creare un legame tra le persone. I prodotti alimentari sono acquistati dai contadini che lavorano i campi nelle vicinanze per garantire anche a loro un reddito regolare e a lungo termine con la stipulazione di contratti adatti alle reali esigenze”.


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Sembè di sr. Rita Panzarin

Il Signore ha messo sulla nostra strada Via Pacis, e Via Pacis ci ha seguito dal Camerun fino al Congo, per costruire quel magnifico ospedale che è il Centro Medico don Domenico Pincelli, il fiore all’occhiello di Sembé. Quella missione è davvero la missione miracolo, fortemente voluta da Dio, nessuno può dire diversamente. Quando don Domenico è morto e Paolo Maino, fondatore di Via Pacis, mi ha proposto di dedicare a lui l’ospedale di Sembé, mi è sembrata un’idea molto bella. Don Domenico è stata una presenza determinante, un sostegno indispensabile per il nostro piccolo ospedale, fin dagli inizi. All’inaugurazione è arrivato anche qualcuno di voi… e avete continuato a sostenerci in ogni richiesta che vi facevamo arrivare. Il nostro problema era proprio come continuare nell’opera, perché un ente può dare la sovvenzione per un nuovo padiglione (e in questi anni molte aggiunte sono state fatte!), ma poi come andare avanti? Il problema è sempre stato il materiale, i medicinali, il mantenimento di una struttura che oggi conta 90 posti letto. Spesso il nostro medico mi dice, preoccupato, che la farmacia si sta svuotando di medicinali e… cosa possiamo fare? Io rispondo sempre che finora il Signore se l’è cavata bene, sbrogliando le matasse dei vari problemi e portando avanti la missione. Noi continuiamo a fare come se avessimo sempre le riserve piene e, poi, il Signore provvederà. Ed è così, è sempre così!

Il ducufilm SEMBÈ: viaggio ai margini della foresta africana, di Marcello Canadese e Emmanuele Pepè, è stato selezionato per partecipare al Religion Today film festival, nella sezione “Migrazioni e coesistenze”. Attraverso un viaggio ai margini della foresta africana in Congo, a Sembè, dove vive la popolazione pigmea, i registi Marcello Canadese ed Emmanuele Pepè incontrano i medici, i volontari e le consorelle che lavorano nell'ospedale locale per aiutare la popolazione. Le loro testimonianze sono unite da un valore comune: “ciò che conta nella vita è vivere con sobrietà, che non vuol dire rinunciare, ma vuol dire saper distinguere tra bisogni reali e bisogni evidenziati dalla moda, dalla pubblicità, dalla logica del mercato”. (dal sito Vativision.com)


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Bolivia

Responsabile: suor Zelinda Rosin

AS 020 MENSE PER I BAMBINI DI COCHABAMBA Prosegue il sostegno alimentare di circa 500 bambini che frequentano le mense a Cochabamba.

Brasile

Responsabile: p. Reonaldo Luiz Pizoni

AS 377 MANTENIMENTO ISTITUTO PIAMARTA A UNIAO DA VITORIA Grazie ad un percorso di formazione circa 800 giovani saranno in grado di inserirsi nel mondo del lavoro.

Colombia

Responsabile: dott. Julian Ramirez Zuluaga

AS 345 SOSTEGNO BAMBINI A CALARCÀ Sostegno ai bambini accolti dalle Suore dell’Annunciazione. Dal 2008, oltre a cibo e vestiario, i bambini hanno a disposizione un luogo sicuro dove svolgere i compiti, in un ambiente che li aiuta a crescere sereni, contrastando le gravi problematiche quotidiane fatte spesso di violenza, disgregazione familiare e povertà. AS 402 GESTIONE E RISTRUTTURAZIONE CASA DI ACCOGLIENZA RAGAZZE MADRI In questa casa sono accolte alcune ragazze madri con i figli che, finalmente allontanati da situazioni pericolose, possono crescere più sicuri e sereni. Nel 2020 l’edificio è stato ristrutturato ed ora il nostro sostegno riguarda la gestione ordinaria della casa. AS 423 EMERGENZA CORONAVIRUS Via Pacis, in collaborazione con il proprio responsabile locale in Colombia ha avviato, nel 2020, un programma di aiuti alimentari e medicinali proseguito anche nei primi mesi del 2021. AS 431 ATTIVITÀ ARTIGIANALI POST COVID19 Si compone di 4 microprogetti con un unico intento: restituire lavoro, dignità, sostegno a diverse famiglie che, ancor prima di trovarsi in difficoltà per il contagio da Covid, hanno sperimentato la perdita di ogni introito economico a causa della chiusura, più o meno prolungata, di tutte le attività. Ne beneficiano 32 famiglie.

Ecuador

Responsabile: padre Danilo Mejia

AS 426 EMERGENZA CORONA VIRUS Il progetto di sostegno all’emergenza Coronavirus è stato rivolto anche all’Ecuador ed è proseguito anche nei primi mesi del 2021.

Perù

Responsabile: sig.ra Maria Echevarria Pérez

AS 356 SOSTEGNO BAMBINI ORFANI Minori in stato di abbandono o a rischio sociale sono accolti e sostenuti dai volontari, di cui la signora Perez è la responsabile.


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Ripartire dott. Julian Ramirez Zuluaga

INSEGNANTE, RESPONSABILE DELL’ASSOCIAZIONE VIA PACIS IN AMERICA LATINA

L'Associazione Via Pacis, presente a vario titolo in Colombia, nella regione del Quindio, da oltre 17 anni, cerca di rispondere in modo concreto alla difficile situazione economica e sociale di molte famiglie del territorio, aggravata dalla pandemia. Perdita del lavoro, chiusura delle piccole attività artigianali, scarsa possibilità di accedere alle risorse di base per i bisogni fondamentali, hanno suggerito il progetto “Avvio attività artigianali post Covid - Armenia - Colombia”, che ha avuto il cofinanziamento della Regione Trentino-Alto Adige e della Caritas Italiana. Con questo progetto alcuni nuclei familiari (in tutto circa 150 persone) potranno sostenersi economicamente attraverso il commercio ambulante, l’allevamento di piccoli animali e servizi di manutenzione. L’iniziativa comprende la consegna di animali (galline, maiali, capre) e del mangime, oppure di attrezzi e strumenti per piccole attività artigianali, assieme a supporto, assistenza e formazione, in modo da favorire l’autosufficienza e la possibilità di condividere a loro volta con gesti di solidarietà.

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Filippine

Responsabile: suor Rosanna Favero

AS 021 SOSTEGNO ALLA SCUOLA MATERNA DI ANCIRAY AS 078 PROGRAMMA DI ALFABETIZZAZIONE A SANTA TERESA AS 088 MATERIALE SCOLASTICO E SOSTEGNO ALLA SCUOLA MATERNA DI SAN JOSÈ AS 183 FORMAZIONE E SOSTEGNO AGLI STUDI PER RAGAZZI MANGYANS A SAN JOSÈ AS 087 SPESE MEDICHE A MINDORO AS 393 SOSTEGNO MENSE

Myanmar

Responsabile: suor Rosanna Favero

AS 312 FORMAZIONE RAGAZZE Formazione superiore per alcune ragazze che hanno la possibilità di studiare nelle Filippine per poi rientrare in Myanmar, una volta terminato il percorso scolastico.

India

Responsabile: suor Dominic Mary

AS 110 PREVENZIONE CECITÀ Proseguono i programmi di prevenzione alla cecità anche attraverso la somministrazione di vitamina A la cui carenza favorisce l’insorgere di patologie degli occhi. Responsabile: mons. Antonisamy Francis

AS 408 BAMBINI SENZA CASTA TROVANO SCUOLA A KEELAPALUR Poiché il 2020 è stato condizionato anche in India dalla pandemia mondiale, è stato forzatamente rimandato il completamento di una scuola elementare nel villaggio di Keelapalur, per circa 400 bambini di 27 villaggi, in prevalenza Dalits o “senza casta”, i più poveri fra i poveri. Responsabile: mons. Antonisamy Francis

AS 415 FORMAZIONE SCOLASTICA – TAMIL NADU Prosegue il progetto di sostegno agli studi per 35 bambini, individuati fra i più poveri ma capaci, dalla scuola primaria all’Università. Responsabile: mons. Antonisamy Francis

AS 419 COSTRUZIONE DI ALCUNE CASETTE PER DALITS – TAMIL NADU Anche questo progetto ha subito interruzioni e rallentamenti a causa dai vari lockdown. La tenacia dei nostri sostenitori e dei responsabili locali ha comunque portato al completamento di diverse abitazioni, contribuendo a rendere più stabile e sicura la vita di queste poverissime famiglie. Responsabile: mons. Neethinathan

AS 428 EMERGENZA CORONAVIRUS La diffusione del Covid 19 ha portato anche nello stato di Tamil Nadu in India, a periodi di chiusura di tutte le attività, compromettendo la sussistenza di tante famiglie, già sotto la soglia di povertà. Via Pacis, in collaborazione con le Diocesi di Chingleput, ha immediatamente avviato un programma di aiuti alimentari e medicinali.

Nepal

Responsabile: Massimo Rossetto

AS 394 CONTRIBUTO PER CASA-FAMIGLIA A MULPANI Continua il sostegno per le spese di gestione di una casa-famiglia che ospita circa 20 orfani dai 4 ai 16 anni.


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Un progetto che cambia la vita p. Adaikalasamy Erudayam

Quando i fondatori di Via Pacis, Eliana e Paolo Maino, visitarono l’India nel 2018, poterono constatare di persona la drammatica situazione abitativa di molta gente Dalit (senza casta) nei villaggi del Tamil Nadu: povere case di fango e foglie, malsane, esposte alle intemperie, infestate di topi e serpenti. Già allora Via Pacis aveva realizzato un progetto di 12 casette per i più poveri, e si decise di continuare con oltre 50 abitazioni in muratura, fornite del necessario per una vita più dignitosa e sicura. Le casette sono assegnate a famiglie Dalit particolarmente povere, numerose, senza un reddito sufficiente, dando la precedenza a coloro che hanno problemi di salute o un familiare disabile. alle donne vedove o abbandonate con figli. Riportiamo due testimonianze di come questo progetto possa cambiare la vita e aprire ad un futuro migliore. Anitha (villaggio di Poovanipattu) Con mio marito e i nostri 4 figli vivevamo in una casa senza muri, ci riparavamo con i vestiti dalle intemperie e dallo sguardo dei passanti. Mio marito beveva e i miei figli si vergognavano della nostra situazione. I serpenti entravano liberamente e una delle mie figlie è stata salvata per miracolo da un morso velenoso. Ora viviamo nella casa donata da Via Pacis: per noi è un palazzo! Siamo felici, mangiamo insieme anche con la famiglia di mia sorella. Mio marito ha iniziato a ridurre l’alcol e viene con me a lavorare: mi sono resa conto che la sua dipendenza derivava dal senso di inferiorità di avere una piccola capanna senza muri. L’aiuto ricevuto da Via Pacis ha anche 'curato' mio marito e portato la pace nella nostra famiglia. Ruby (villaggio di Agineshpuram) Siamo sei in famiglia: oltre a mio marito e ai due bambini, vivono con noi mia suocera (ha perso il marito) e la cognata (suo marito l'ha lasciata ed è andato con un'altra donna). Vivevamo in una capanna fatta di foglie di cocco, senza privacy, esposti agli insetti, che ci costringevano a turni di veglia per tenerli lontani dai bambini. Mio marito ha poca salute e non può lavorare, noi donne cercavamo ogni giorno qualche lavoretto, ma non guadagnavamo abbastanza per mangiare e comprare le medicine, coi bambini spesso ammalati per il freddo e la pioggia. Eravamo in questa situazione, quando fummo selezionati da Via Pacis per una nuova casa. Ora viviamo in quella che per noi è una villa, che mai saremmo riuscite a costruire. La nostra vita è cambiata: dormiamo bene, riusciamo a lavorare e guadagnare di più, i nostri figli non si ammalano, studiano volentieri e sono fieri della loro casa. C’è grande gioia nella nostra famiglia! Siamo grati a Via Pacis e preghiamo ogni giorno per i nostri benefattori.


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Georgia

Responsabile: padre Witold Szulczvnski

AS 405 SOSTEGNO PER BENI DI PRIMA NECESSITÀ/EMERGENZA CORONAVIRUS Continua la collaborazione con padre Witold per alleviare la situazione di grande difficoltà, aggravata dalla diffusione del Coronavirus, di molti anziani soli nella capitale Tbilisi. AS 435 ORGANIZZAZIONE DI UN CASEIFICIO Scrive il nostro referente P. Witold: “…ci sarebbe la necessità di organizzare un piccolo caseificio nella diocesi di Nekresi. All’inizio si tratterebbe di pastorizzare il latte e poi si potrebbe pensare anche di produrre 2-3 tipi di formaggio e la ricotta. Vi domando se potete darmi una mano per realizzarlo. Il progetto è molto importante per questa diocesi che, dal ricavato della vendita di latte copre le spese di una scuola per circa 200 ragazzi molto poveri, che ricevono gratuitamente e giornalmente anche un pranzo caldo. Con il caseificio ben organizzato si potrebbe provvedere alla pastorizzazione del latte ed alla caseificazione che permetterebbe maggiori guadagni rispetto alla vendita del semplice latte crudo”.

Italia Anche nel corso del 2021 si sono svolte presso il Centro Internazionale Via Pacis di Arco (TN) numerose iniziative di sensibilizzazione e formazione alla solidarietà e alla pace, attraverso convegni, conferenze, attività artistiche e musicali, settimane per bambini e ragazzi, collaborazioni con le scuole e con altre associazioni presenti sul territorio. La modalità online, utilizzata in alcuni casi a causa della pandemia, ha permesso il coinvolgimento di molte persone di varie parti del mondo, in modo particolare attraverso il Meeting Internazionale nel mese di ottobre.


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borse di studio

Colombia, Georgia, Kenya, Congo, India, Bosnia.

Le spese per l’istruzione, soprattutto quella superiore, nei paesi svantaggiati, sono a carico delle famiglie che non hanno possibilità economiche per sostenerle. Così, su indicazione dei propri referenti locali, Via Pacis supporta il percorso formativo di numerosi giovani in vari paesi del mondo. Il riscatto dalla povertà e dall’emarginazione in continenti come Africa, Asia, Europa dell’Est, parte da persone più consapevoli delle proprie capacità e conoscenze acquisite attraverso lo studio, in grado di progettare un avvenire più sereno ed equo.

Dalle Alpi al Caucaso

Sono Alfredo, medico di famiglia da molti anni. Qualche anno fa mi fu chiesto se fossi disponibile ad aiutare un giovane georgiano, di famiglia povera, a sostenendo le spese del percorso di studi universitari per diventare medico. Ho aderito subito senza esitazione a questa iniziativa. Pensate: dare la possibilità a un ragazzo di intraprendere gli studi di Medicina; un ragazzo che non avrebbe avuto nessuna possibilità economica di studiare e realizzare così il suo sogno di diventare un medico. Io sono nato e vissuto in una famiglia che, seppur numerosa, non mi ha mai fatto mancare nulla, ma…quante intelligenze perdute o vanificate ci sono state, ci sono, e ci saranno in questo mondo!... sepolte dalla povertà, dalle dittature, dalle ideologie fondamentaliste, dalle ingiustizie. Sono grato a Dio che mi ha chiamato a sostenere un giovane a laurearsi per alleviare le sofferenze del suo popolo. Davvero, come dice la Bibbia, “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”! Ciao a tutti, mi chiamo Sarkis, vengo dalla Georgia, e sono il figlio di Padre Poghos. Sto studiando medicina alla Mkhitar Heratsi Yerevan State Medical University, la principale università di medicina in Armenia. Desidero ringraziare di cuore l’associazione Via Pacis per essere stata così generosa con me, sponsorizzando il mio percorso di studi. Grazie per avermi aiutato a raggiungere il mio grande sogno! Spero di diventare un dottore di talento, e prometto che curerò e aiuterò tutte le persone nel bisogno. Un ringraziamento speciale lo devo a Padre Witold, grazie al quale è stato possibile realizzare tutto questo, e che ha gentilmente supportato la nostra famiglia. Ancora grazie mille e Dio benedica tutti voi e la vostra Associazione.


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Ramae, l’innocenza frantumata

ad ad

di Daphne Squarzoni

STUDENTESSA IN STUDI STORICI E FILOLOGICO-LETTERARI

C’è un’età per conoscere la violenza? Sicuramente quel momento non è a 4 anni come è successo a questa bambina nella foto. Sembra così piccola nell’immagine che ho davanti. Fisso il documento su cui è scritta la sua storia e mi vengono i brividi. Questa bimba vive nelle Filippine, a Santa Teresa, un piccolo villaggio di Mindoro. Il villaggio si trova tra le montagne verdi dove vivono i ribelli ed il blu dell’oceano. Sul documento leggo che a Santa Teresa manca l’acqua potabile, mancano i servizi sanitari e le comunicazioni scarseggiano. C’è violenza nel villaggio a causa dei ribelli. In questa situazione tanto difficile vive la famiglia di questa bimba. Sono 5 fratelli e la bimba della foto è la più piccola. I genitori lavorano entrambi: il papà è un pescatore e la mamma va a lavorare nei campi. È uno stile di vita così lontano da quello a cui sono abituata che faccio quasi fatica ad immaginarlo. Accanto alle foto di questa bambina c’è un veloce resoconto della sua storia e del motivo per cui è stato deciso di aiutarla. Questa bambina di 4 anni è stata violentata. È una realtà così orribile che mi mancano le parole. È stata violentata da un cugino di 15 anni, che poi ha cercato di ucciderla. È stata trovata abbandonata dentro un cespuglio, ricoperta di sangue, mentre piangeva flebilmente e

chiamava la sua mamma. Penso a come deve essere stato per la madre vedersi riportare la figlia scomparsa così lacerata dalla violenza. Penso all’innocenza frantumata di questa bambina, alla paura, alla vergogna, al dolore. «Quando Ramae ha raccontato la vicenda, ha detto che un angelo l’ha sollevata e portata vicino alla strada. Le cicatrici sul volto, sulla schiena sono la conferma dell’abuso e rimangono segni del martirio che ha vissuto nelle mani di chi aveva più volte giocato con lei» leggo sul documento. È un miracolo che non sia morta. Ora serve un miracolo ancora più grande: che Ramae possa superare il trauma grazie all’amore e alla solidarietà.


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adozione a distanza Filippine, Colombia, Myanmar

L’adozione a distanza si pone l’obiettivo di permettere a bambini e ragazzi di istruirsi, crescere, costruire il proprio futuro rimanendo nel proprio paese. L’adozione a distanza garantisce ai bambini cure mediche, cibo e acqua per poter diventare grandi; l’istruzione e attività ricreative per poter crescere nelle loro comunità nel rispetto della loro cultura. Adotta un bambino a distanza e con 26 euro al mese cambierai il suo futuro e quello della sua famiglia.

un altro figlio di Matteo Raffaelli

Quando ho pensato di sostenere un bambino a distanza ero preoccupato, perché non sapevo se sarei stato in grado di essere costante ed affidabile nel tempo, avendo avuto, per tanti anni, una situazione lavorativa precaria ed instabile. Provavo ad immaginare tutta la responsabilità di questa scelta, perché sapevo bene che, al di là della distanza, avrei dovuto mantenere un bambino straniero, che non è un oggetto, ma una persona, con famiglia, storia personale, emozioni, vissuto. Poi, però, ho anche riflettuto sul fatto che, quasi ogni giorno, mi capitava di spendere soldi in oggetti o alimenti inutili, di cui potevo fare anche a meno, o in

capricci… per cui mi sono detto: Che problema c’è? Sono già costante ed affidabile nello spendere una parte dei miei soldi in cose inutili, non ho motivo di pensare che non potrei diventare affidabile nell’aiutare una creatura a crescere in Paesi dov’è molto difficile sopravvivere. Così mi sono fatto coraggio e ho detto SI. Nel 1999 ho adottato a distanza Rosa, poi ho incontrato quella che sarebbe diventata mia moglie, abbiamo messo su famiglia e lei, in modo del tutto naturale, ha condiviso questo gesto. Purtroppo, Rosa è morta di febbre gialla, ma abbiamo subito deciso di continuare con le adozioni e nel 2005 è arrivata Cherrylyn che abbiamo accompagnato fino al diploma. Dal 2013 c’è Anna Rose e l’esperienza prosegue felicemente. Cos’è per noi il Sostegno a Distanza? Né più né meno che avere un altro figlio, con la differenza che, ovviamente, grandi distanze ci separano, con tutte le difficoltà di comunicazione che ne conseguono. Sono i “nostri” figli, investiamo in loro amore, energia, tempo, desideri, speranze, e un pochino - in fondo - di orgoglio, perché crescono, e diventano grandi, anche grazie a noi. E quando riceviamo una lettera scritta di pugno dalla nostra bambina, non riusciamo a trattenere la commozione e il nostro cuore si scioglie.


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UN LASCITO PER LA VITA Con un lascito nel tuo testamento contribuisci all'impegno per un mondo più solidale

Per informazioni: • Centro Internazionale • Via Pacis, Arco (TN) • ufficio.presidenza@viapacis.info • +39 0464 555767


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IL (DIS) VALORE (DIS) ORIENTA

PRE SENTI AL PRE SENTE

DI ELISA CASARINI PSICOLOGA CLINICA DELL’ETÀ EVOLUTIVA

Perché tutti, in fondo, vivono per sé stessi”. Un giorno un sedicenne alle prese con i suoi “casini” mi ha detto questa frase con la fermezza di chi sa che le cose, oggi, vanno proprio così. E ha continuato dicendo: “Sì, perché sai, ti fai un mazzo tanto e poi ricevi zero, tanto vale restare sulle proprie, è facile: non sprechi tempo e non rimani deluso. Ti prendi il tuo telefono e ciao mondo”. Gli occhiali che indossa il nostro Giacomo, attraverso i quali vede il mondo, riflettono, più o meno, lo specchio della società moderna. L’individualismo si fa sempre più dilagante lasciando poco margine all’altro. Ci sono io, ci sono i miei bisogni, i miei desideri, i miei pensieri che sono più importanti dei tuoi. Sì, ti sto proprio dicendo che io sono di serie A e tu sei di serie B. Negli ultimi decenni questo fenomeno si è amplificato ulteriormente con l’avvento dei social network, dove si gareggia nell’avere più like, pena la retrocessione a “sfigato”. Quindi io sono qualcuno, sono importante, se vengo visto, se esisto su Instagram e su Tik Tok. Purtroppo, le statistiche provenienti dalle ricerche recenti ci dicono che più i nostri occhi incrociano lo schermo dello smart-phone, più l’umore si abbassa. I disturbi d’ansia e depressivi sono all’ordine del giorno, tanto

più in chi seda queste emozioni con l’uso spasmodico del telefonino. Ci troviamo ad essere sedatori seriali perché allontaniamo le emozioni spiacevoli, vissute come intollerabili, con azioni consolatorie che ci fanno credere, in via temporanea, che vada tutto alla grande. Ma è proprio così che vogliamo vivere? E se sfidassimo questo individualismo con opere solidali, di bene verso il prossimo? Se mettessimo in campo l’arte dell’ascolto e dell’aiuto all’altro? Se trafficassimo i nostri talenti per uscire dalle paure che ci paralizzano? Proporrei di usare occhiali diversi per vedere il mondo e aiutare anche Giacomo a farlo. Penso che, se tutti facessimo la nostra piccola parte, potremmo essere un vero e proprio modello di solidarietà in una società sempre più ripiegata su sé stessa. Il dis-valore dis-orienta perché genera arbitrarietà e confusione: dove io sono al centro di tutto e di tutti, come posso incontrare autenticamente l’altro? Se non esco dalla comfortzone, come posso provare la gioia di vivere una vita in pienezza, direzionata dai valori in cui credo? E se invece di gareggiare nell’avere like, gareggiassimo nello stimarci a vicenda? Come sarebbe la nostra vita?


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FEDE E SALUTE DI DAPHNE SQUARZONI STUDENTESSA IN STUDI STORICI E FILOLOGICO-LETTERARI

Stavo studiando per un esame e sul mio libro, La fine del mondo di Ernesto De Martino, ho trovato scritto che nei momenti di crisi l’essere umano ha bisogno della religione. Se ho capito bene ciò che ho letto, l’antropologo sostiene che lo scontro con il cambiamento, con l’incertezza, con il divenire e soprattutto con il fatto che le cose e le vite finiscono, manda l’esistenza dell’uomo in una crisi così profonda che per uscirne ha bisogno di affermare la sua presenza e lo fa appunto con la religione e con la cultura. Una piccola parte di me si è annotata questo pensiero e, riflettendoci con calma, mi è venuta incontro dai recessi della memoria una frase sentita una volta: «Credevo di avere tanta fede, invece avevo solo tanta salute». Mi rendo conto adesso, pensandoci, di quanto ultimamente nella mia vita sia tornato e ritornato questo termine: salute. Questo dono meraviglioso e fragile che nell’ultimo anno e mezzo di Covid è diventato tanto urgente. Se ci penso, salute e salvezza hanno


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CHECK POINT

alzare gli occhi da me stessa e trovare lo sguardo di Dio rimane il rimedio migliore. Dio ci salva. Ci dona la salvezza. Una salvezza che è salus, salute. Salute come equilibrio tra un corpo che non ce la fa, e una mente che si sente amata e in pace.

la stessa etimologia, sono perfino la stessa parola, considerando che in latino salus significa sia salvezza che salute. Che cosa significa essere in salute? E che relazione ha la mia fede con la mia salute? In un testo arabo tradotto in latino nel XIV secolo, l’Almansore, si parla di salute come di equilibro totale del corpo e dei suoi umori. Mi piace quest’idea di salute come equilibrio. Equilibrio tra la mente ed il corpo. Posso davvero essere sana se la mia testa ed il mio cuore non lo sono? Equilibrio tra il fare e il riposare. Dobbiamo donarci, non esaurirci. Equilibrio tra me e gli altri, tra il mio vivere ed il mio sentire e quello delle persone che mi stanno accanto. Equilibrio nell’esprimersi, senza violenza nel parlare. La salute è qualcosa di totale: ci prende nella nostra interezza, nella nostra dimensione corporea, in quella relazionale, ed in quella emotivo-psicologica. Proprio come la salvezza, intesa in senso religioso: non ci si salva a metà. Pensando alla salvezza come equilibrio mi sembra evidente che quando sta male il corpo, c’è bisogno di avere una mente salda. E come si fa? Non so se ci sia una ricetta sempre valida. Per quanto mi riguarda,

Quando viene a mancare la salute penso sia normale perdere l’equilibrio. Quando ci troviamo davanti alla nostra impotenza, a una malattia che non dipende da noi e di cui magari conosciamo poco, è normale andare in crisi. La malattia è una crisi nel senso etimologico del termine: crisi viene da una parola greca che significa al tempo stesso «scelta, decisione» e «fase decisiva di una malattia». Ogni crisi implica una scelta. Ogni scelta implica una perdita di equilibrio. C’è un momento decisivo in cui per essere salvi, per ritrovare la salute, dobbiamo sbilanciarci. In qualche modo per essere in salute dobbiamo necessariamente perderla. L’alternativa sarebbe vivere la vita galleggiando senza decidere mai, senza crisi. Ma sarebbe davvero una vita piena? A questo punto potrebbe davvero aver ragione San Paolo quando dice «Quando sono debole è allora che sono forte». Quando sono in crisi, quando la mia mente, il mio cuore o il mio corpo non stanno bene, allora può essere il momento della salvezza. Allora è il momento di decidere di alzare gli occhi e scoprirsi già salvati. Forse anche per questo Dio ha un ruolo importante nelle crisi: ci ha salvati a priori. Comunque vada, indipendentemente da quello che dovremo o meno affrontare, ci ha salvati. E allora, nonostante la paura di quello che non conosco, nonostante la debolezza, nonostante le crisi, posso alzare la testa perché sono già salva, perché «in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati».


TES TIMO NIAN ZE

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DI ROSA PAOLINI Da giovane avevo lavorato a Milano in Montedison come segretaria e, quando ci trasferimmo ad Arco, scelsi di dedicarmi alla famiglia. Dopo dieci anni di vita casalinga cominciai a sentire il desiderio di rimettermi in gioco, di riprendere a lavorare in ufficio. Sul principio pensai che fosse una tentazione, un modo di fuggire dalla mia quotidianità, e mi confidai con don Domenico. Lui mi mandò da Paolo Maino perché gli riferissi questo mio disagio, cosa che feci con molto imbarazzo. Paolo mi ascoltò e disse: “Stavamo pregando per avere una segretaria per la Comunità! Benvenuta!” Gli dissi che avevo la macchina da scrivere e lui rispose: “No, devi usare il computer”. Mentre pensavo come affrontare un tale cambiamento, un giorno mio figlio Francesco venne a casa con un avviso: la scuola offriva un corso per i genitori che volevano imparare ad usare il computer. E così è iniziata la mia avventura al servizio dell’Associazione, e il mondo è entrato in casa mia.

Il mondo in casa mia

Sono 27 anni che svolgo questo servizio come volontaria, tutti i giorni, anche quando nel 1998 ho avuto seri problemi di salute e facevo fatica anche ad alzarmi al mattino, ma nonostante tutto non ho mai mollato e ho continuato a svolgere le mie mansioni. La mia precedente esperienza mi fu molto utile, perché si iniziava a protocollare quello che si scriveva, ad archiviarlo, a costituire un indirizzario, e così via. Il lavoro era soprattutto per la Onlus: corrispondenza con i missionari e i benefattori, bonifici, rapporti con gli enti pubblici, oltre alle mansioni di segreteria come stampare, spedire, ecc. La realtà dell’Associazione diventava sempre più complessa e molte altre persone si aggiungevano per collaborare. Dal 2017 gli uffici sono al Centro Internazionale di Arco, dove è ancora più necessaria una presenza continuativa con competenze professionali. Quindi anche il mio lavoro ha dovuto evolversi nel tempo, senza perdere il senso di “missione” che percepisco in ogni lettera, telefonata, incontro con le persone. Ringrazio il Signore per questa opportunità di servizio, ringrazio mio marito perché mi ha sempre sostenuta e aiutata. Ringrazio i fondatori e tutti i responsabili per la fiducia, la stima e l’incoraggiamento, e tutti coloro con i quali ho lavorato in questi anni, per le tante condivisioni e il cammino fatto insieme. Ora ho scelto di lasciare il servizio, a causa della mia età avanzata, ed è bello pensare che, per il futuro, qualcuno mi sostituirà.


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Lasciate che i bambini vengano a me DI IGNAZINA CROCIATA È da tempo che questa Parola mi risuona dentro… Fino a poco tempo fa pensavo si riferisse ai bambini che ci stanno intorno, quindi non riguardava me direttamente, ho superato da un bel po' questa fase della vita! Ma siccome me la trovavo casualmente sempre davanti, ho lasciato che questa Parola scendesse più in profondità e l'ho ascoltata. Certamente, è una Parola che indica l'amore e la pazienza che ha Gesù per i bambini, e ci insegna a fare altrettanto, avendone cura, anzi, Gesù addirittura ci indica la loro semplicità e docilità come esempio…ma non mi bastava. Mi è venuto in aiuto il mio percorso psico-spirituale, le varie letture fatte, il corso sull'accompagnamento spirituale, nei quali ho imparato che c'è una parte di noi che rimane per sempre “bambina”: ingenua, desiderosa di affetto, di cure, di conferme, giocherellona, che si stupisce della bellezza, genuina e sincera, ma anche molto vulnerabile, e incapace di autodeterminarsi, in ricerca costante di approvazioni e di carezze, nonché di sguardi benevoli. Questa parte di noi è più o meno ferita, ha attinto a ciò che le è stato dato dai genitori e porta dentro di sé tutto il bagaglio delle esperienze infantili fatte. Spesso, e per fortuna direi, emerge nelle relazioni, ci fa sentire piccoli, fragili, gioiosi, tiranni o ribelli: è il nostro 'bimbo interiore', che fa parte di noi. In questi percorsi ho compreso che ci si può prendere cura di questo bimbo, con la nostra parte adulta, sana. Che può accoglierlo, accettarlo, comprenderlo. Ma mi mancava ancora un tassello. Nel Vangelo Gesù accoglie i bambini, li stringe tra le braccia, li benedice (cfr Mc 10,1316). Allora mi è venuto in aiuto un insegnamento, nel quale il relatore parlava dell'Amore di Dio, che è il cuore della Scrittura. E diceva di meditare queste Parole, anche attraverso le nostre facoltà, come la fantasia. Ho immaginato così di accompagnare la mia bimba interiore da Gesù e invitarla ad andare da Lui, immaginavo come Lui la accoglieva e l'abbracciava, e pian piano sono caduti tutti quei giudizi severi, o quel rifiuto della mia vulnerabilità che avevo ancora di riserva. Ho sentito che Gesù le diceva: “tuo è il Regno dei Cieli, non temere, io sono con te, ti conosco per nome…tu mi appartieni! con la tua bocca voglio affermare la mia potenza”. Ho compreso che Gesù, come solo Lui sa fare, ci guida alla riconciliazione ed alla pacificazione interiore anche della nostra infanzia, che certamente non può essere cambiata, ma può sicuramente essere riscattata! E, meditando la Parola, possono guarire anche i ricordi e le esperienze più dolorose, come solo Dio può fare. Grande! Solo Lui poteva avere un'idea così geniale! Coraggio allora, lasciamo che i bambini vadano a Lui!


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(Mc 4

, 35-41

)


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QUA NTO AMO

(Mc 4, 35-41) DI DANILO BONOMETTI IN QUEL TEMPO, VENUTA LA SERA, GESÙ DISSE AI SUOI DISCEPOLI: «PASSIAMO ALL’ALTRA RIVA». E, CONGEDATA LA FOLLA, LO PRESERO CON SÉ, COSÌ COM’ERA, NELLA BARCA. C’ERANO ANCHE ALTRE BARCHE CON LUI.

SI DESTÒ, MINACCIÒ IL VENTO E DISSE AL MARE: «TACI, CALMATI!». IL VENTO CESSÒ E CI FU GRANDE BONACCIA. POI DISSE LORO: «PERCHÉ AVETE PAURA? NON AVETE ANCORA FEDE?».

el tempo che stiamo vivendo, con la preoccupazione costante per la salute nostra e dei nostri cari, per la situazione del mondo, ci chiediamo “Quando torneremo a vivere?” Qualcuno magari ha pensato anche: “Perché, Gesù, non intervieni in questa situazione mondiale? cosa aspetti?” Per prima cosa Gesù chiede di “passare all’altra riva”. Per avere una visione diversa, nuova delle cose, per cambiare la prospettiva, a volte bisogna fare un “passaggio”: si possono inquadrare molti più dettagli ed ampliare il pensiero. Anche noi dobbiamo avere il coraggio di “congedare la folla” dei nostri pensieri che ci assillano, prendere Gesù nella nostra barca e spostarci sull’altra riva.

Immagino Gesù che si sveglia, si stropiccia gli occhi, sentendo quella domanda da quelli che lui ama... probabilmente con un sorriso scuote la testa e subito minaccia il vento ed il mare e tutto si calma. Il suo intervento è deciso e forte: quando Gesù agisce fa le cose da Dio! Ma poi si rivolge ai discepoli e chiede, quasi sconsolato: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” Questa è la frase centrale del brano. I discepoli, presi da timore si dicono: “Chi è dunque costui che anche vento e mare gli obbediscono?”. Ma come, siamo nel capitolo 4 di Marco, i discepoli avevano già visto in “azione” il potere di Gesù, avevano assistito a miracoli e guarigioni e “ancora”, come dice Gesù, non hanno fede? Quante volte anche noi abbiamo visto Gesù operare nella nostra vita, o nella vita di nostri fratelli e sorelle, ma poi, alla prima nuova tempesta, ci agitiamo e dimentichiamo quello che gli abbiamo visto fare. Allora Gesù ti dice: “Perché hai paura? Noi hai ancora fede?”

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CI FU UNA GRANDE TEMPESTA DI VENTO E LE ONDE SI ROVESCIAVANO NELLA BARCA, TANTO CHE ORMAI ERA PIENA. EGLI SE NE STAVA A POPPA, SUL CUSCINO, E DORMIVA. ALLORA LO SVEGLIARONO E GLI DISSERO: «MAESTRO, NON T’IMPORTA CHE SIAMO PERDUTI?». Non dobbiamo pensare che accogliendo semplicemente Gesù nella barca della nostra vita questo ci renderà immuni dalle difficoltà, dalla sofferenza, dalla tensione, dai conflitti, dai problemi quotidiani di relazione con il coniuge, i figli, il collega di lavoro (le onde non sbattono fuori dalla barca ma si riversano dentro). Le onde continueranno a riversarsi sempre e comunque nella barca, quando si scatenerà una tempesta: siamo noi che in quei momenti dobbiamo decidere come agire. I discepoli iniziano ad agitarsi e preoccuparsi, come è nella natura umana, ma Gesù “se ne stava a poppa sul cuscino e dormiva”! Non dice “era sveglio e si teneva forte per non cadere”, o cose del genere: no, invece dorme ed è anche comodo sul cuscino! Una immagine di tranquillità in totale contrasto con quello che stanno vivendo gli altri. Vediamo la reazione dei discepoli: nel panico, anche se erano pescatori e barcaioli e probabilmente non era la prima tempesta che affrontavano, e cosa fanno? Svegliano il maestro, addirittura accusandolo: “non t’importa che siamo perduti?”

Credo che avere fede nel modo che intende Gesù sia agire in modo diverso nelle situazioni che ci accadono, anche quando le onde delle tempeste della vita iniziano a riempire la nostra barca. Avere fede in Gesù significa che, invece che reagire io posso agire, perché se Lui è sulla mia barca, non importa quanta acqua entrerà, non importa quanto vento, quanta burrasca, quante situazioni difficili dovrò affrontare. Se Gesù è nella barca della mia vita non può lasciarla affondare. Avere fede in Gesù significa che, quando affronterai la prossima tempesta nella tua vita, quando le onde inizieranno ad entrare nella barca, invece che iniziare a pensare di essere perduto, pensare che a Gesù non interessa quello che sta succedendo... ...prova a fermarti, vai verso il fondo, a poppa, giù nel profondo del tuo cuore. Guarda Gesù, lì presente, calmo e rilassato sul cuscino, avvicinati a lui, accoccolati vicino, abbraccialo e tienilo stretto, stai li, senti il suo respiro tranquillo e fidati di lui. Pian piano la tempesta passerà e ci sarà grande bonaccia. Tu preoccupati solo di avvicinarti sempre di più a Gesù e lì rimani, fra le sue braccia, senza svegliarlo. Vedrai che la Sua presenza basterà a calmare la tua tempesta.


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CU RA DI ELIANA E PAOLO MAINO FONDATORI DELL'ASSOCIAZIONE VIA PACIS

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a nostra vita è segnata da uno spartiacque: prima e dopo Cristo. È stato l’incontro personale con Gesù avvenuto nell’ottobre del 1978 che ha cambiato radicalmente il corso delle nostre vite: un’esperienza tangibile, emotiva e spirituale, che Dio c’era, che non era un’invenzione, che ci amava di un amore folle. Il sentimento che ci dominava era la gioia, una gioia travolgente, oltre allo sperimentare completezza e pienezza di vita. Avevamo il desiderio costante di stare con lui, di leggere la sua Parola, di conoscerlo, di parlare con lui e di lui. I nostri amici ci chiedevano cosa ci stesse accadendo.

decima nella mia casa perché ci sia cibo…” Folgorante. Il modo concreto in cui Dio ci chiedeva di amarlo era nel prenderci cura dei poveri. Ci indicava di allargare e dilatare il nostro cuore per riconoscerlo nei poveri. “Ogni cosa che avete fatto ad uno di questi piccoli l’avete fatta a me”. Il passaggio pratico è stato immediato: riconoscere a Dio, e cioè ai poveri, la decima parte dei nostri stipendi. Aprire il nostro portafoglio e conto in banca perché lui potesse essere “Signore” di quanto eravamo ed avevamo e, così, contribuire perché nel mondo ci fosse meno fame. Capivamo che l’autenticità della fede passava per il portafoglio.

L’effetto di questa forte esperienza era il desiderio di mettere Dio al primo posto nelle nostre vite, il comprendere che Dio ci aveva amati per primo e che all’amore si risponde con l’amore. Ma come, concretamente?

Da questo momento in poi la nostra vita è stata segnata dal “prenderci cura” e dal desiderio di non vivere più per noi stessi. Questa era anche la parola d’ordine di don Domenico Pincelli, sacerdote diocesano, che ha condiviso con noi per 23 anni la vita quotidiana e l’avventura di Via Pacis.

Ci risuonava nel cuore: se vuoi amare Dio che non vedi, devi amare il fratello che vedi. Belle parole, ma come? Dio ci venne in aiuto con la sua Parola: “portate la

Prendersi cura: uno stile di vita che, un po’ alla volta, gradualmente, raggiunge ogni aspetto. Come un sasso


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gettato nell’acqua che produce cerchi concentrici sempre più ampi. Un vero “tormentone”: “l’avete fatto a me”. Prenditi cura: di te, di tutto te stesso, traffica e dilata i tuoi doni perché sia più ricco il mondo; prenditi cura della tua parte fragile e disabile attraverso il balsamo della guarigione del cuore e del perdono; prenditi cura del tuo carattere e dei tuoi difetti perché tu possa essere più amabile e possa essere più facile vivere con te. Prenditi tempo per stare con Dio. Riempi i tuoi bacini del suo amore per poi poterlo dispensare. Lascia che Dio si prenda cura di te. Prenditi cura: delle persone che hai vicino, accoglile e amale così come sono e non come tu vorresti che fossero, fai il primo passo, cerca il loro bene. Chiediti: Come posso oggi far contento mio marito, mia moglie, mia madre, il mio collega…? Quali miei comportamenti disturbano e incrinano la pace, l’armonia? E come la mettiamo con i migranti? Prenditi cura: di chi incontri, chiedi a Dio di farti attento a qualsiasi persona possa aver bisogno di un cenno

LA CHIA VE DELLE PARO LE

di speranza. In qualsiasi posto tu ti trovi: alla cassa del supermercato, nella fila alla posta, dal parrucchiere, dal meccanico, al lavoro, a scuola, facendo jogging… Diventa la mano provvidente di Dio nel prenderti cura di chi è ammalato, di chi è nel bisogno in modo concreto. Chiedi allo Spirito creatività, tempo, coraggio. Prenditi cura dell’ambiente nel quale vivi. Scegli la sobrietà come stile di vita, sta attento agli acquisti, agli sprechi, alle luci accese quando non servono, all’acqua che scorre inutilmente. Sobrietà anche come pulizia di linguaggio e di pensiero, oltre che rinuncia a privilegi e lussi. La sfida che Papa Francesco chiede ai cristiani di tutto il mondo è di offrire “una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa: che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri” (EG, 99). Questa è l’unica via per debellare il virus dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro.


In Via Pacis la formazione, lo studio, l’approfondire, l’andare alle radici è stato fin dall’inizio un qualcosa che è cresciuto insieme alla passione che ha mosso i fondatori – Paolo, Eliana e don Domenico – a dare tutta la loro vita per un sogno fatto di pace, di carità e di verità.

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Percorso di formazione umana e spirituale per chiunque desideri rinnovare la propria vita.

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Questo testo è uno strumento che ci permette di scavare in profondità, fra le pieghe della nostra vita, per arrivare fino alla roccia su cui fondare la nostra vita. È un cantiere aperto, con “lavori sempre in corso”, perché il Signore continua a chiamarci ogni giorno nelle diverse circostanze della vita. A noi la responsabilità di rispondere.


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