N°62 Sulla via della pace

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SULL AVIA DELL APACE T R I M E S T R A L E

A S S O C I A Z I O N E

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P A C I S

LETTERE COME ABBRACCI PREGHIAMO PER IL MYANMAR EDITORIALE - N°62 -

TUTTI O NESSUNO

Anno XVI - n. 2 - Aprile-Giugno 2021 - Trimestrale Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi

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2 SULLA VIA DELLA PACE Trimestrale di in-formazione Anno XVI - n. 2 aprile-giugno 2021 Registrazione n. 263 presso il Tribunale di Rovereto (TN) (19.01.2006) Direttore responsabile Paolo Maino

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Direttore di redazione Maria Luisa Toller

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Redazione Maria Luisa Toller Graziana Pedrotti Tiziano Civettini

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Collaboratori Marilena Brighenti Stefania Dal Pont Archivio Fotografico Marcello Cenedese Distribuzione e numeri arretrati Fausta Matteotti Editore Associazione Via Pacis onlus Direzione e amministrazione Via Monte Baldo, 5 38062 Arco (Trento) Italy mail@viapacis.info www.viapacis.info Tel. +39.0464.555767

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Editoriale • Tutti o nessuno • di Ruggero Zanon Quaderno di formazione - Nel nome la forza del carisma • di Eliana e Paolo Maino - Presentazione • di Gregorio Vivaldelli Via Pacis Uganda Colombia - “Fratelli tutti” in America Latina • di Julian Ramirez Alleanza - Solo l'amore resta • di Eliana Aloisi - Artigiani di pace • di Paolo Maino - Testimonianze Filippine • Un'onda d'amore Myanmar • Il coraggio di un popolo Check point - Lettere come abbracci • di Daphne Squarzoni - Consolate, consolate il mio popolo • di Tiziano Civettini Approfondimenti - Tempo di costruttori • di Federico Vivaldelli - Maledetto denaro, o denaro benedetto? • di Samuele Cavedon Presenti al presente • Tutto (troppo) sotto controllo • di Elisa Casarini Quanto amo la tua Parola • I frutti della Parola • di Giuliana Condini Carissimo • ...e vissero tutti felici e contenti? • di Eliana Aloisi

Grafica BENĀCUS benacus2015@gmail.com Illustrazioni Paola Bonometti Tiziano Civettini Ilaria Failo Stampa Antolini Tipografia - Tione (TN) Finito di stampare nel mese di marzo 2021 In copertina: “Lettere come abbracci”

L’Associazione Via Pacis è un’Associazione internazionale Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica di Diritto Pontificio.

Le attività di solidarietà promosse dall’Associazione Via Pacis sono gestite dalla Associazione Via Pacis onlus Via Monte Baldo, 5 - 38062 Arco (TN) - Italy Tel. +39.0464.555767 - mail@viapacis.info

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EDITORIALE

DI RUGGERO ZANON Avvocato, presidente dell’Associazione Via Pacis

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Tutti o nessuno

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i parla tanto di fraternità. Ma cos’è? Che significato ha? La fraternità non è una scelta. Non scegliamo di essere fratelli: ci capita e basta. Non abbiamo meriti. È quella che potremmo definire una grazia. Ogni volta che dico “fratello” sto parlando anche di me. Perché la fraternità si declina al plurale: è l’io che si scopre parte di un noi. La fraternità è parte di me. Mi segue ovunque io vada. Mi accompagna anche dove non voglio. Non serve che vada a cercarla: è costantemente alla mia porta. Posso cercare di evitarla, di distogliere lo sguardo. Ma se percorro le strade delle mie giornate, mi ci imbatterò continuamente. Perché la fraternità è assillante, a tratti invadente, continua a ricordarmi che noi siamo relazione, che l’io non può esistere se non nel noi. Fraternità è passare dall’io al noi, dove l’altro non è più “altro da me”, ma parte di me, qualcuno che mi riguarda. Quel “siamo tutti nella stessa barca” evocato da Papa Francesco nei giorni bui della desolazione non è una sorta di condanna o un cattivo presagio, né tanto meno una magra consolazione. È la realtà di una debolezza – o di una ricchezza, a seconda del punto di osservazione – che ci portiamo dentro, che grida alla nostra solitudine la grazia del condividere la stessa identità, la stessa dignità. La fraternità è una necessità: non possiamo farne a meno. Ogni volta che cerchiamo di negarla, che ce ne

dimentichiamo, ogni volta che l’altro rimane “altro” da me, è l’umanità a rimetterci, è l’umanità a uscirne sconfitta. “Fratelli tutti” è il sogno che è già realtà. È l’invito a chiamare all’appello la nostra coscienza circa l’altissima dignità e responsabilità che si nascondono dietro queste due parole. Come un mondo che ci si schiude davanti, ci immerge in un bagno di umanità, fatto di verità, di vita, di rispetto, di attesa. Ma anche di invasione, di incomprensione, di tradimento. È la prossimità che si fa carne, è la debolezza che chiede di essere guardata. Alla fraternità non c’è scampo. Non è un abito che possiamo dismettere, un buon sentimento o una buona azione da appuntare sul petto: la fraternità siamo noi. Siamo noi quando rispondiamo all’insistente chiamata dell’altro a uscire da noi

stessi per riscoprirci parte dell’altro. E questo è fatica, perché, anche non volendo, siamo immersi e respiriamo un clima dove l’io, l’ego, viene innalzato a valore supremo, dove tutto è basato sulla competizione, dove sembra emergere l’uomo forte, l’uomo potente, l’uomo immagine. Nella Giornata internazionale della fratellanza umana, Papa Francesco non ci ha girato intorno: “O siamo fratelli, o crolla tutto… O siamo fratelli o ci distruggiamo a vicenda… O fratelli o nemici”. È questa la sfida epocale che abbiamo davanti, la sfida di questo tempo, in cui tutti, ma proprio tutti, abbiamo un ruolo decisivo, insostituibile e non delegabile, perché quel “noi” che vogliamo provare ad essere si costruisce sull’eccomi di ciascuno di noi. Fratelli tutti. O fratelli nessuno.


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Nel nome la forza del carisma Dal Quaderno di Formazione n°8 della Associazione Via Pacis D I E L I A N A E PA O L O M A I N O

Il nome: un dono

Il Signore ci ha donato un carisma e un nome: Via Pacis. Il nome contiene il carisma, che, come un seme, contiene in potenza tutto lo sviluppo della pianta. Nel nome sono contenute la chiamata e la missione, non è un dettaglio sociale. (…) Chiamata e missione: è la vocazione, il senso di Via Pacis. Fino ad oggi ne abbiamo capito una parte e continuamente ne stiamo scoprendo aspetti nuovi: le generazioni future ne discerneranno altri. È la legge della gradualità che usa il Signore. Qualche cosa abbiamo capito, qualche cosa abbiamo intuito, ma il più deve ancora arrivare. Nella storia di Via Pacis la strada percorsa non è stata sempre facile da scrutare e capire. È facile iniziare una comunità; non è semplice avere la consapevolezza e la responsabilità di essere stati scelti per ricevere e mettere a frutto un carisma (…)


Insegnami i tuoi sentieri

Camminare sulla via di Dio è una scelta impegnativa ed esigente, che mira a toccare il cuore dell’uomo e a trasformarlo, dandogli così la possibilità di vivere nella pace. Per questo il salmista prega: «Fammi conoscere Signore le tue vie, insegnami i tuoi sentieri» (Sal 17,31). E le vie di Dio sono diritte, non sono difficili da scoprire se c’è apertura di cuore e disponibilità. Spesso la ricerca del meglio è nemica del bene, e la continua ricerca del nostro posto o delle nostre specifiche attitudini va a scapito del tempo che passa e delle grazie perdute. Non è, quindi, la ricerca personale, seppur animata dal desiderio di scoprire come aderire alla volontà di Dio, bensì l’ascolto che ci porterà alla consapevolezza di come Dio vuole indirizzare il nostro cammino.

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La spiritualità della via

(…) Questa “via”, che è via alla santità, implica gradualità, sobrietà, prudenza e coraggio. Nella Bibbia, la “via” è un’immagine con la quale l’uomo viene presentato in continuo cammino verso Dio, nel quale sperimenta sia l’agire di Dio sia la necessità di conformare la propria vita al Vangelo: “Ti voglio istruire, voglio mostrarti la via da percorrere” (Sal 32,8). È un cammino che decentra da sé stessi e concentra sulla persona di Gesù Cristo. Il cammino è sempre graduale: nessuno nasce adulto e maturo. Va accolta e accettata questa gradualità, questa dinamica di crescita un po’ alla volta, con le varie fasi di cammino spedito, di stasi e di inevitabili cadute. (…)

Le relazioni, croce e delizia della vita

Le relazioni fraterne non sono frutto del caso o della spontaneità, ma di una scelta: scelgo di lasciarmi coinvolgere dalla vita di queste persone, perché ho intuito che Dio vive e si rivela proprio in loro. Tutto può diventare un’occasione per crescere nella relazione; tutto diventa luogo in cui accolgo l’altro, mi lascio accogliere, diventando così operatore di pace.

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La virtù della via: il coraggio

Camminare sulla via della pace significa decidersi per la via alla santità; e questa scelta necessita di coraggio: coraggio nel guardare la mèta, la cima del monte, non il precipizio che sta ai piedi; coraggio nel guardare la mèta, e non il sentiero per raggiungerla. Il camminare, il salire, è faticoso. È più facile arrendersi e tornare indietro. È più facile sostare, cedere a compromessi, giustificarsi e fuggire. Ma questi atteggiamenti imprigionano, aumentano le paure, i dubbi, la disistima; seppelliscono e insabbiano le ricchezze. (…)

Una visione impensabile

Coraggio non va confuso con desiderio. Quanti desideri, quanti sogni rimangono aleatori, non si realizzano, perché non vengono declinati in scelte concrete e coraggiose. Il coraggio non è solo un gesto compiuto una volta per sempre, ma è una scelta complessa e continuativa che si sviluppa con costanza, determinazione, fatica, responsabilità lungo il cammino della vita. Il coraggio è la virtù della via, del cammino, del salire. E il salire è sempre faticoso, ma affascinante, e apre a visioni impensate e impensabili.

PACIS Artigiani della pace

La seconda parola del nostro nome, che ne specifica il contenuto, l’essenza e la natura, è: Pacis. Della pace. Di quale pace si parla? Della shalom di Dio, che è abbondanza, floridezza, benessere, prosperità, ma anche giustizia e verità. (…) La pace non è intesa come un sentimento di benessere interiore; deriva dalla serena consapevolezza di vivere relazioni giuste: relazioni riconciliate con tutti coloro con i quali ogni giorno siamo in contatto. Sappiamo che i rapporti tra le persone sono qualcosa di estremamente fragile e si devono continuamente aggiustare e riaggiustare. Quindi “si tratta di essere artigiani della pace, perché costruire la pace è un’arte che richiede serenità, creatività, sensibilità e destrezza” (Papa Francesco, Gaudete et Exsultate, 89).


VIA PACIS

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Il profu mo del nome

D I G R E G O R I O V I VA L D E L L I Biblista e teologo

Il nome non dice solo chi sono io, il nome dice soprattutto ciò che io sono chiamato a diventare. Il nome “Via Pacis” dice soprattutto il percorso che io devo fare, indica il viaggio che io devo intraprendere. È un nome che vuole scuotere dal di dentro la nostra interiorità e far emergere, farci ricordare le cose essenziali, le cose che valgono. Leggendo questo Quaderno di Formazione, sfogliando le sue pagine, è come se si sprigionassero dei profumi, in grado di attivare in noi il desiderio di iniziare un cammino. Il primo profumo sicuramente è

l’invitante profumo della Parola di Dio.

Per la spiritualità Via Pacis, la Parola di Dio è davvero il terreno che delimita la via, è quel terreno che ci mostra la via. La Parola di Dio per Via Pacis è “lampada per i miei passi”, come dice il Salmo 119, “è la tua Parola, luce sul mio cammino”. Luce, e dobbiamo proprio immaginarci una lanterna: non un faro che illumina chissà quanti chilometri davanti a noi, ma una lanterna, che ci dona la luce necessaria per fare quell’unico passo che siamo chiamati a fare, proprio in questo momento. Un secondo profumo da assaporare è

l’inconfondibile profumo della bellezza della persona di Gesù. A pagina 7 leggiamo: “Via Pacis è un cammino che decentra da sé, da sé stessi e concentra sulla persona di


VIA PACIS VIA PACIS

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Gesù Cristo”. Questo Quaderno ci aiuterà a decentrare la nostra attenzione da noi stessi per concentrarla sulla persona di Gesù Cristo, per gustare il profumo della bellezza di Gesù Cristo nella nostra vita. Ci aiuterà a scoprire che Gesù non è una teoria religiosa: Gesù è un volto, è una mano, è l’esperienza di un Dio vivo che vuole entrare nella tua vita reale. Il terzo profumo è sicuramente

il fragrante profumo delle esortazioni di Papa Francesco. Nel Quaderno sono tanti i rimandi agli scritti di Papa Francesco. Ad esempio, a pagina 13 è riportata una citazione dalla Gaudete et Exsultate: “Si tratta di essere artigiani della pace, perché costruire la pace è un’arte che richiede serenità, creatività, sensibilità e destrezza. Seminare pace intorno a noi, questa è santità”. Un quarto profumo è sicuramente

il delicato profumo della speranza.

A pagina 11 troviamo scritto: “Sono il coraggio e la speranza a far rialzare lo sguardo e a far continuare il cammino”. Il coraggio della speranza ci aiuterà ad aprirci alla realtà, ad aprirci alle relazioni, ad aprirci agli altri. Il coraggio della speranza ci aiuterà a diventare costruttori di ponti, ci aiuterà a diventare edificatori di ponti, in questo tempo difficile, complesso, complicato, carico di dolore. È urgentissimo parlare di speranza, ma bisogna farlo con delicatezza, perché la speranza deve accarezzare la sofferenza di tanti uomini e di tante donne che in questo momento stanno veramente vivendo momenti drammatici. Se vogliamo essere all’altezza del nostro tempo, che potremmo definire “tempo di esilio”, dobbiamo avere il coraggio della speranza, e se abbiamo il coraggio della speranza, avremo il coraggio di vincere attraverso i ponti che costruiamo. Sì, Via Pacis è una strada, una strada che vuole attraversare l’umanità di oggi, questa umanità che spesso si trova nel deserto, e soprattutto in questo tempo si trova in un particolare deserto. Ecco che, allora, un Quaderno di Formazione sul nome ci ricorderà che questa strada dovrà sempre sprigionare il delicato profumo della speranza, il fragrante profumo dell’esortazione di Papa Francesco, l’inconfondibile profumo della bellezza della persona di Gesù, l’invitante profumo della Parola di Dio. E ci accorgeremo che, se questa strada sprigionerà il profumo, diventerà una strada aperta a tutti, come leggiamo a pagina 12 del Quaderno: “Via Pacis diventa strada: comunità ecclesiale aperta al mondo, alla missione, sulla quale possono camminare gli uomini del nostro tempo”. Non una strada per pochi, ma una strada sulla quale possono camminare gli uomini del nostro tempo.


UGANDA

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VIA PACIS UGANDA Katwe è una delle baraccopoli di Kampala, la capitale dell’Uganda. La maggior parte delle persone che vi risiedono sono disoccupate o svolgono lavori saltuari. Molti sono affetti da malattie causate da malnutrizione e condizioni igieniche precarie. Le donne sono spesso esposte al degrado e allo sfruttamento sessuale. Nelle loro abitazioni non ci sono servizi igienici e l’acqua corrente, e lo smaltimento dei rifiuti è lasciato alla discrezione del singolo, per cui le immondizie sono ovunque. La pandemia ha reso ancora più difficile la già precaria situazione di tanta gente, priva di qualsiasi tutela sociale. A Katwe vive e opera John Bosco Matovu, referente di Via Pacis, che, assieme ad alcune persone che condividono il sogno di pace e riconciliazione della nostra Associazione, da anni si prende cura dei più poveri e bisognosi fra gli abitanti dello slum. Acquisto di generi di prima necessità, educazione all’igiene personale e ambientale, alla corretta alimentazione, promozione e sostegno allo studio dei bambini, sono fra le attività di solidarietà attraverso le quali Via Pacis condivide la fatica di tanti nostri fratelli. Ma non solo: anche in collaborazione con altre realtà ecclesiali, John Bosco promuove incontri e seminari di formazione e di evangelizzazione, ritiri per religiose, incontri di preghiera, seminari sulla Parola di Dio, evangelizzazione attraverso la radio. Un esempio fra tanti, il seminario di guarigione per le famiglie nello scorso dicembre. I presenti hanno potuto ascoltare la buona notizia del Vangelo, e scoprire che Dio non è il responsabile delle nostre sofferenze, ma le condivide e soffre con noi. Come ci insegna il Vangelo di Giovanni, Satana viene per distruggere e dividere, mentre Gesù, il Buon Pastore, è venuto perché abbiamo la vita in abbondanza (Gv 10,10). Attraverso il pentimento e la

conversione a Dio, i partecipanti hanno aperto il cuore allo Spirito Santo, per ricevere vita, guarigione, libertà. Alcuni hanno testimoniato di aver deciso di perdonare, altri hanno ricevuto un dono di pace e di gioia, per altri si sono aperte nuove possibilità di vita più dignitosa. Nello stile di Via Pacis, la solidarietà diventa così anche annuncio esplicito del Vangelo e risposta al desiderio più profondo del cuore dell’uomo. Come scrive Papa Francesco nella Evangelii gaudium: “L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria”.


AMERICA L ATINA

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“FRATELLI TUTTI” in America Latina

DI JULIAN RAMIREZ Insegnante, responsabile dell’Associazione Via Pacis in America latina

Attraverso l’enciclica “Fratelli tutti”, Papa Francesco ci sfida a rispondere con l’amore e i valori sociali del Vangelo alla grave crisi che stavamo già attraversando come umanità, e che si è aggravata con l'arrivo della pandemia. Tutto il documento ci ricorda che l'amore è la chiave della relazione tra tutti gli uomini e fra tutti i popoli dell'umanità. Il documento può essere letto da molti punti di vista. Un membro di Via Pacis, che cerca di vivere in Colombia il Vangelo della pace nel suo quotidiano, stato di vita e professione, è attirato in particolare dalla concretezza del messaggio: le piccole cose, i piccoli atti d’amore di ogni giorno, fanno la differenza e possono mettere in moto una vera rivoluzione. Nel secondo capitolo, quando ci presenta la parabola del Buon Samaritano, il Papa ci sprona a farci carico delle realtà di dolore e sofferenza concrete, che troviamo nel nostro cammino quotidiano, facendoci “prossimo” senza frontiere, praticando la corresponsabilitá. Ci sono diverse sezioni dell'enciclica in cui il Papa parla dell'importanza della “carità politica” e lo fa in modo molto preciso, coinvolgendo prima di tutto me, come soggetto politico, e poi i vari gruppi che esercitano il potere e prendono le decisioni che riguardano tutti noi: “È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza” (FT 186). In un mondo dove prevale la diffidenza e la “invisibilizzazione” dell'altro, il Papa ci ricorda l'importanza di umanizzare le relazioni quotidiane, invitando a “coltivare faticosamente l'amicizia”, che a volte è sottovalutata nel nostro mondo, mediato dalle relazioni digitali. “C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana” (FT 43). Ci tocca profondamente l’appello del Papa a praticare la gentilezza, che si incarna nel dialogo e che ci libera dalla crudeltà, dall'ansia e dall'urgenza distratta: “… ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti”. (FT 224)


ALLEANZA

DI ELIANA ALOISI Counsellor e mediatrice familiare, fondatrice dell’Associazione Via Pacis

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Solo l’amore resta

Rinnovare l’Alleanza è sempre un momento di verifica, un momento in cui passiamo in rassegna la nostra vita. Poco, o tanto, tempo fa abbiamo deciso di legarci a questa Comunità, a questi fratelli, per seguire Gesù sulla Via della Pace. Abbiamo scelto di cercare di essere riconciliati con noi stessi, con gli altri e con Dio; abbiamo messo in atto dei mezzi di riconciliazione e questo ha procurato pace e gioia alle nostre vite e dentro di noi. Abbiamo sperimentato la pace che deriva dall’essere riconciliati. Pace e gioia ci hanno spinto, poi, alla gratitudine e abbiamo scelto, per gratitudine, di condividere quanto siamo, e quanto abbiamo, con chi è meno fortunato di noi. Questa è la nostra Alleanza! L’Alleanza è una scelta di vita e una scelta per la vita. Oggi questo tipo di scelta non è sicuramente di moda. Direi che, un po’ tutti, siamo sotto la dittatura imperante dell’emotività, del sentimento: quello che mi fa star bene, è buono e santo. In questo modo, io divento il metro di giudizio e tutto gira intorno a me. Questo avviene anche nel tempo difficile che stiamo vivendo; anche in questo momento storico viviamo sotto questa dittatura! È un tempo che ci vaglia, che ci verifica e ci fa capire chi siamo e chi vogliamo essere, qual è il nostro progetto di vita, qual è la nostra relazione con Dio e con i fratelli, quali sono le fragilità e le nevrosi che ci condizionano, quali sono le paure; come, e se, ci prendiamo cura gli uni degli altri. Forse viviamo la tentazione di un ritorno al privato, alle nostre case protette, ai nostri interessi; siamo tentati di vivere nella mediocrità, nella tiepidezza, nell’accidia, nelle scelte facili, nel “divaneggiare” (direbbe Papa Francesco). Ci chiudiamo – e non solo per il virus – e questa chiusura fa emergere, o genera, fantasmi, rancori, rabbia, risentimenti. Proprio in questo tempo viviamo il rinnovo dell’Alleanza. Per rinnovare, ovvero, per rendere nuovo, dobbiamo sempre tornare alle radici, alla roccia da cui siamo stati tratti; dobbiamo far memoria della fiammella iniziale, quella che ci ha fatto innamorare di questa realtà, di

8 Dicembre Giornata di Dio. In altre parole, dobbiamo tornare all’amore di un tempo. Dobbiamo ri-cordare, nel senso di “riportare nel cuore”, l’amore concreto ricevuto da Dio e da tanti fratelli. Dobbiamo ricordare i tanti modi con cui siamo stati amati, dobbiamo lasciare che Dio tocchi il nostro cuore, addirittura, lo spacchi, con questi ricordi, perché da questo cuore spaccato possa uscire la gratitudine a Dio e ai fratelli che ci hanno amato. Rimettere al centro la scelta della conversione a Dio e ai fratelli, il desiderio profondo di cambiare, di lasciarci trasformare e diventare delle persone migliori, più amabili. Siamo certi che l’unica cosa che resta nella nostra vita e della nostra vita - è l’amore che abbiamo donato. Solo l’amore resta, solo l’amore ci realizza e nulla di quanto viviamo con amore, e per amore, va perduto.


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e 2020 di Alleanza

(online)

D I PA O L O M A I N O Teologo, fondatore dell’Associazione Via Pacis

Artigiani di pace Sappiamo che il Carisma di Via Pacis non è per noi, ma è per la Chiesa, per il mondo. Ci è stato affidato in questo tempo per rispondere ad un’urgenza della Chiesa e del mondo. In un tempo di conflitti, di aggressività, di tensioni, di sofferenza, Dio ci indica una necessità: voi dovete seguire la via della pace, della riconciliazione, del perdono.

Come queste parole possono concretizzarsi nella nostra quotidianità? In che modo, pace, riconciliazione, perdono possono diventare sempre più stile di vita nella mia famiglia, con i miei parenti, colleghi, amici e tutte le persone che ho accanto? Dove manca il dialogo nella mia vita? Dove manco di rapporti sereni? Dove non sono operatore di pace? Noi sappiamo che le relazioni fraterne non sono frutto della spontaneità, del caso, ma di una scelta: devo essere io a scegliere di lasciarmi coinvolgere dalle relazioni e, soprattutto, dalla vita delle persone che ogni giorno vivono con me. Dio vive, e si rivela, proprio in queste persone. Allora tutto diventa un’occasione per crescere nella relazione; tutto diventa luogo teologico, in cui accogli l’altro e ti lasci accogliere. Così - e solo così - divento operatore di pace! Nella formula di Alleanza diciamo: In forza del mio Battesimo, io scelgo di seguire Gesù nella Chiesa, mi impegno a vivere e testimoniare… mi impegno ad essere ambasciatore di riconciliazione, a camminare insieme sulla via della pace. Servire Dio è una scelta! Se scegli di servire Dio, diventi anche tu mezzo di santificazione, santifichi te stesso e porti la santità nella tua famiglia, nella comunità, nel lavoro, nel mondo. Potrebbe esserci l’obiezione: ma ci sono momenti di buio, di scoraggiamento, di sofferenza, di conflittualità, di difficoltà nelle relazioni… Certo, ci sono questi momenti, sono inevitabili: vanno riconosciuti, vanno affrontati. I rapporti fra le persone sono estremamente fragili e si devono continuamente aggiustare. E tutti sappiamo che, con l’aiuto di Dio, possiamo essere artigiani della pace, perché costruire la pace è un’arte che richiede serenità, creatività, attenzione, gentilezza, perdono.


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ALLEANZA

L’ALTRO È IL MEZZO DEL MIO CAMBIA MENTO D I D O N AT E L L A T O L L E R

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Durante quest’anno ho scelto di fare nuovamente il percorso in preparazione all’Alleanza, insieme a fratelli nuovi e vecchi di cammino, perché sentivo il bisogno di ridare forza e senso alla mia risposta alla chiamata ad essere membro di Via Pacis. Percepivo che il mio cammino comunitario aveva perso l’entusiasmo e la passione. Attraverso gli interventi di chi ci ha accompagnati in questo percorso, dove ho potuto riguardare ogni aspetto dell’essere e vivere da Alleata, ho capito che questa è veramente la mia chiamata. Ciò che veniva presentato non era una novità, ma illuminava il mio cammino comunitario. Dentro di me dicevo: sì, è vero, è proprio così. L’aspetto più importante per me, che in un certo senso li racchiude tutti, è il vivere la fraternità nei suoi aspetti più impegnativi: la difficoltà di relazione con i fratelli, la fatica nell’accettare e accogliere la diversità e la fragilità mia e loro. Eliana ci ha detto: “L’altro è il mezzo del mio cambiamento!”.

Sì, è così. I passi avanti che ho potuto fare in questi anni sono stati spesso originati da una difficoltà di relazione. Gli spigoli del mio carattere che si sono arrotondati sono frutto di una lenta, e tante volte faticosa, limatura nelle relazioni più difficili. Se ho potuto vedere e trafficare i talenti che il Signore mi ha dato e continua a donarmi, è stato ed è grazie ai fratelli. In questo cammino sono particolarmente grata al Signore e alla Comunità per il dono della Referente. Se durante il mio cammino non avessi avuto qualcuno al mio fianco che mi ha accolta, ascoltata, spronata, davanti alle difficoltà mi sarei fermata e sarei tornata indietro. Oggi rinnovo assieme a voi la promessa di Alleanza. Sì, questa è la mia casa, sì, con questi fratelli voglio rimanere legata, con quello con il quale ho feeling e con quello che ancora faccio fatica ad accogliere. Voglio dire grazie ad ogni fratello, perché mi avete accolto, per la stima che mi trasmettete, cosciente che ho ancora molti spigoli da limare e che con voi posso camminare sulla Via della Pace, ed essere sempre più una ambasciatrice di riconciliazione.


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Accogliere una nuova presenza DI GABRIELLA LUCIAN

Se mi guardo intorno, mi rendo conto di star vivendo un'esperienza di vedovanza molto “anomala”. Non posso dire che Mario non mi manchi: sarei bugiarda, perché mi manca molto... però in me non c'è un vuoto da colmare, ma una presenza nuova da accogliere, non c'è un vuoto che ti riempie il cuore di tristezza, di malinconia o di rabbia, ma serenità, pace e persino gioia. Non sento la vedovanza come un peso da portare o una sofferenza incolmabile, grazie al cammino fatto nell'Associazione Via Pacis, che mi ha insegnato a non piangermi addosso, ma a vivere e camminare nei "tunnel" che la vita ci presenta. Via Pacis mi ha insegnato a non subire gli eventi, di qualunque tipo siano, ma a viverli con occhi nuovi, ad abbellire e valorizzare questi aspetti della mia vita, perché non sono per sempre e perché Dio è con me. Ho capito che anche la vedovanza, accolta e valorizzata, è un dono di Dio. Mario gode già del Paradiso e anch'io godo già un po’ della sua gioia. Io non potrei essere stata ed essere così serena, non potrei sentire Mario così vicino a me, se non ci fosse l'eternità, alla quale mi avvicino ogni giorno con gioia. E, nei momenti di nostalgia, due cose soprattutto mi fanno tornare il sorriso. Prendere il rosario in mano e dire: "Mario, è l'ora del rosario" e recitarlo a voce alta passeggiando in casa, come facevamo; oppure rileggere le cose che ho scritto nei giorni dopo la sua morte, che parlano di tutte le grazie ricevute nel tempo della

malattia. Se la vedovanza è un dono, come ogni dono non posso tenerlo per me. Nella vedovanza abbiamo molto più tempo per amare Dio e il prossimo in mille modi. In Dio possiamo sempre generare vita nuova. Eliana, la nostra co-fondatrice, un giorno ci spiegava come Maria, ai piedi della Croce, nel pieno della sua sofferenza, non si è ripiegata su se stessa, ma ha detto nuovamente il suo "Sì", è diventata dono, di nuovo è diventata madre, generando la Chiesa. Per questo ho deciso di intraprendere un nuovo cammino: l' Alleanza di vita Celibataria, che per me è Alleanza nella vedovanza, per donare la mia vita a Cristo, come laica, nell'Associazione Via Pacis.


FILIPPINE

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Un'onda d'amore Nel mese di novembre 2020 due tifoni si sono abbattuti sulle Filippine, a distanza di pochi giorni uno dall’altro, lasciando ovunque una scia impressionante di devastazione, aggravata dalla presenza della pandemia. Suor Rosanna Favero ha inviato all’Associazione un video che, assieme alle immagini drammatiche dell’infuriare degli elementi, racconta anche momenti di serenità delle famiglie, rifugiate negli edifici Via Pacis e assistite dalle suore. Il video ha fortemente colpito la sensibilità di una bambina di 9 anni della Corale Via Pacis, che ha deciso di scrivere ai bambini filippini una letterina colma di affetto. Da questo piccolo seme di solidarietà è nato un progetto denominato “Filippine, scrivi anche tu la tua lettera” che ha raggiunto, via social media e con il coinvolgimento delle scuole dove l’Associazione ha stabilito contatti di collaborazione e fiducia, numerosissimi altri bambini. Sono così arrivate al Centro Internazionale oltre 200 letterine, testimoni di vicinanza e affetto, inviate poi a suor Rosanna nel periodo natalizio. Siamo certi che quest’“onda” di bene abbia contribuito ad alleviare la sofferenza di tanti piccoli, di fatto eliminando, attraverso l’amore, distanze e confini.


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risposta di suor Rosanna: Carissima e carissimi, mi avete sorpreso... sono commossa e piena di gratitudine e speranza. Le lacrime ancora mi riempiono gli occhi, ma davvero non c'era niente di più bello e adatto per terminare questo anno. Davvero il Signore continua a camminare con noi. Grazie, grazie, grazie. Porterò tutti voi e ognuno dei ragazzi autori di questi bellissimi messaggi in preghiera stasera... noi ormai siamo già vicini alla fine del 2020. Il Signore vi benedica!


MYANMAR

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PREGHIAMO PER IL MYANMAR

L’Associazione Via Pacis guarda con forte preoccupazione al recente colpo di stato militare nel Myanmar. Era dicembre del 2014, quando il fondatore di Via Pacis Paolo Maino e la responsabile della solidarietà internazionale, Roberta Riccadonna, inauguravano a Loikaw la Casa di accoglienza che, fin da subito, la gente del posto ha chiamato “Casa della pace”. Una struttura in grado di accogliere ragazze e bambine di varie età provenienti da villaggi remoti delle montagne al confine con la Thailandia, zone lontane dall’amministrazione statale, senza servizi fondamentali, come l’istruzione. Luoghi pericolosi, battuti da ribelli, luoghi poco adatti a bambine e ragazze, spesso orfane, dove la violenza, il commercio di droga e, soprattutto, la tratta di esseri umani sono merce quotidiana. Togliere le bambine a queste situazioni permette di restituire loro il sorriso, la libertà, la gioia di ricevere un’istruzione e di vivere in un ambiente sereno e protetto. Da quel giorno di dicembre sono trascorsi più di 6 anni, la casa si è riempita oltremisura e gli spazi esistenti non bastavano più e, quindi, nel 2020 è iniziata la costruzione di una nuova ala, collegata all’edificio esistente. L’ampliamento, ora quasi completato, permetterà di raddoppiare la ricettività della “Casa della pace”. Questi germogli di pace, convivenza armoniosa e reciproco apprezzamento fra le religioni e le etnie presenti a Loikaw sono ora messi a dura prova dall’incertezza e dal clima di paura che il colpo di stato ha riportato fra gente pacifica, che solo da pochi anni aveva ritrovato un po’ di serenità. Si sta provvedendo a far posto ad altre

bambine. Per questo l’Associazione Via Pacis ha avviato l’iniziativa “EMERGENZA MYANMAR – la tua adozione può salvare una vita” per incoraggiare e sensibilizzare riguardo l’adozione a distanza. Attraverso il sostegno a distanza possiamo provvedere ai bisogni primari. Attualmente sono 70 le bambine che hanno bisogno di aiuto, ma il numero è destinato a crescere. Per maggiori informazioni www.viapacis.info/onlus +39 0464 555767 Ci uniamo all’appello di Papa Francesco, che recentemente ha detto: “Giungono ancora dal Myanmar tristi notizie di sanguinosi scontri, con perdite di vite umane. Desidero richiamare l’attenzione delle Autorità coinvolte perché il dialogo prevalga sulla repressione e l’armonia sulla discordia. Rivolgo anche un appello alla Comunità internazionale, perché si adoperi affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza. Ai giovani di quell’amata terra sia concessa la speranza di un futuro dove l’odio e l’ingiustizia lascino spazio all’incontro e alla riconciliazione”. E preghiamo per il Myanmar.


C HEC KPOINT

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Lettere come abbracci DI DAPHNE SQUARZONI Studentessa in Studi storici e filologico-letterari

Qualche volta è difficile. Poi penso che anche in questa situazione di crisi io sono sempre tra i fortunati del pianeta, tra quelli nati dalla parte giusta del mondo. E allora ringrazio. Non è facile. Ma quattro mura in cui stare rinchiusa le ho, a differenza di tante altre persone là fuori. E soprattutto le persone a cui voglio bene non stanno male. In questo momento penso a tutte le persone che stanno come Maria sotto la croce: ferme a guardare qualcuno che muore. Non voglio nemmeno immaginare un dolore così. Non voglio nemmeno pensare a come deve essere sentirsi impotente mentre qualcuno che ami sta intubato e non sai se e quando lo rivedrai. Non voglio pensare a cosa vuol dire non poter fare un funerale. Non avere nessuno fisicamente vicino in un momento di dolore. In questi giorni pensavo a tutte queste cose, al dolore, alla frustrazione, alla gratitudine immensa di vivere in un contesto protetto per quanto possibile. Pensavo alle distanze e al fatto che tutto questo ci sta insegnando realmente cosa vuol dire stare lontani. Mentre ci pensavo, mi è venuto in mente un romanzo di Jane Austen. Ambientato a fine ’700 e inizio ‘800. A quell’epoca per restare in contatto si usavano le lettere. A quell’epoca la distanza era molto più insostenibile di adesso. E mentre ci pensavo, mi sono resa conto che le lettere potrebbero essere una chiave di conversione per questo tempo difficile. È un tempo d’attesa, un’attesa dolorosa, tanto vale convertirla in un’attesa piacevole. L’attesa trepidante di quando si aspetta un pacco. Nel 2021 nessuno scrive lettere. Le lettere sono l’arte dell’attesa in un secolo di corsa. E così mi è venuto questo pallino. Le lettere chiedono tempo, tempo per fermarsi, tempo per scrivere, tempo per leggere, tempo per esprimersi. Richiedono tempo per arrivare. E tu rimani in viaggio con la tua lettera. È un viaggio del cuore. È un’attesa piacevole perché sai che prima o poi ti arriverà quell’affetto su carta. Non è immediato. Per questo mi piace. Perché stiamo vivendo l’attesa, il dubbio, l’incertezza. Voglio che la mia attesa si componga di tante piccole attese piacevoli. Voglio prendermi il tempo di comunicare. Un tempo pulito in cui stare in contatto con le persone a cui voglio bene. Perché la carta è un contatto fisico. Adesso che dobbiamo stare distanti, mi piace pensare alle lettere come abbracci. Sicuramente sono meno virtuali di un messaggio. È qualcosa che puoi stringere tra le mani, di cui puoi respirare il profumo. È qualcosa che è stato realmente tra le mani di qualcuno a cui voglio bene. Qualcosa che ho atteso come attendo di «tornare alla normalità». Qualcosa che è arrivato. E solo per questo mi sento più fiduciosa: se arrivano le lettere, arriverà anche la libertà.


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Consolate, consolate il mio popolo DI TIZIANO CIVETTINI Sociologo e teologo

CONSOLARE: il significato di questo vocabolo rimanda al termine “solo”, quindi, “consolare” è sostanzialmente “stare con uno che è solo”. Il card. Ravasi scrive che “tanta tristezza o dolore nasce proprio dall'essere soli e abbandonati, privi di una presenza che ti riscaldi, di una mano che ti accarezzi, di una parola che spezzi il silenzio e le lacrime. (…) La solitudine è il campo da gioco di Satana, ed è per questo che lo Spirito Santo è detto il Consolatore”. Per consolare c’è un combattimento da affrontare, una lotta spirituale, perché in questo tempo di pandemia rischiamo di essere travolti da tutti i punti di vista: familiare, sociale, sanitario, finanziario, materiale, e anche spirituale. Il primo combattimento è accettare i limiti, a cui non siamo abituati. Dopo le ristrettezze della guerra mondiale, ci siamo convinti che possiamo tutto e abbiamo diritto a tutto. E allora abbiamo bisogno di umiltà per guardare con tenerezza ai nostri limiti e a quelli degli altri, e coraggio per non cedere alla voglia di guardare indietro, all’idea romantica dei ‘vecchi tempi’, accettando che “siamo non in un'epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca” (papa Francesco).

Il clima ansiogeno che ci attornia fa crescere le paure. Allora qui scatta il combattimento per rimanere prossimi al nostro prossimo. Con altre modalità, con nuova creatività. L’alternativa è cedere alla rabbia, al sospetto, allo scoraggiamento, alla nostalgia e al rimpianto. Non possiamo fare tutto, ma possiamo fare qualcosa, forse molto, se non ci lasciamo accecare dal rimpianto di non saper fare quello che non possiamo fare! Non siamo chiamati a minacciare i castighi di Dio, ma ad incoraggiare, a consolare. Abbiamo molti modi per farlo. Prendo quello della preghiera gli uni per gli altri; anche questo è un combattimento, accessibile a tutti. Scrive il teologo Pierangelo Sequeri: “Ciascuno di noi è chiamato a riscoprire, anche nel suo forzato isolamento, la benedizione del gesto di intercessione. Ognuno, per gli altri. L’essenza del cristianesimo sta qui, la certezza della redenzione sta qui. L’intercessione comunica un messaggio potente. Non pensate neppure per un istante che i nostri peccati possano indurre Dio ad abbandonarci nella prova. E non scaricate sul vostro prossimo i mali che ci affliggono, sostituendo l’intercessione con l’intimidazione. In momenti di straordinaria angoscia, il semplice e coraggioso gesto dell’intercessione, che supplica Dio di non abbandonare nessuno, testimoniando che noi stessi non lo faremo, non ha prezzo. È un giuramento di fedeltà che ricompone la comunità: per ciascuno e per tutti”.


APPROFONDIMENTI

Tempo di costruttori D I F E D E R I C O V I VA L D E L L I

Studente di giurisprudenza

Nel discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha affermato che “non viviamo una parentesi della storia: questo è tempo di costruttori”. Ma cos’è che siamo chiamati a costruire? In questo periodo ho avuto modo di leggere un bellissimo libriccino che della metafora del cantiere ha fatto il centro della sua narrazione: “Costruire da cristiani la città dell’uomo”, di Giuseppe Lazzati. Il testo rappresenta un po’ il compendio del pensiero di Lazzati riguardo all’impegno dei cattolici in politica e, in generale, nel mondo: una vera miniera di formazione. Ma cos’è la politica? Per tutta una serie di motivazioni si è – generalmente – propensi a pensare la politica come “cosa sporca”. Ma la parola politica, dal greco pòlis, città, indica la passione per l’uomo e il suo ambiente. L’uomo come apice della creazione; l’uomo come centro necessario dell’azione politica, come – dice Lazzati – “colui dal quale la città prende vita e verso il quale la città è volta come a proprio fine”; l’uomo come persona, come soggetto in relazione, che, anzi, proprio e solo attraverso la “relazione con”, si fa pienamente uomo. Allora si comprende perché il nostro autore, definisca la politica “costruire la città dell’uomo a misura d’uomo”, e si comprende perché il santo papa Paolo VI definì la politica come “la più alta forma di carità”. In questo contesto, l’azione centrale è rappresentata dal verbo costruire: esso “esprime un’azione che è, per lo più, frutto di molti e diversi apporti; un lavorare insieme che esige coscienza di quello che si fa e impegno a farlo

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nel modo migliore”. La città, il mondo, diventano così un grande cantiere, i cui costruttori sono i cittadini, “un indefinito numero di persone e di unità operative intente alle più diverse mansioni, da quelle di carattere direttivo a quelle più umili, peraltro non meno indispensabili ai fini della costruzione”. Il tutto in vista del bene comune. È compito anche dei cristiani? Sì, assolutamente, ci risponde Lazzati. In primo luogo, il nostro autore individua nella storia della creazione e redenzione dell’uomo il fondamento di questa missione: l’uomo, “coltivatore e custode di questa infinita ricchezza di beni” è chiamato, con “l’impegno di tutte le sue facoltà, l’esercizio di tutte le tecniche, di tutte le scienze, di tutte le arti”, prima fra tutte la politica, a “restaurare”, ordinare, guidare, il mondo in cui vive. “L’uomo, rifatto in Cristo creatura nuova, è dunque chiamato a rifare nuovo nel Cristo il mondo in cui vive”. Continua Lazzati: “per loro vocazione, è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio (Lumen Gentium, 31)”. Qualche anno più tardi, sarà papa Paolo VI a definire il mondo come “il luogo teologico della santificazione dei laici”, dovendosi intendere il mondo come “tutto il disegno di Dio”. Il fedele laico è quindi chiamato a “costruire da cristiano” ogni sfera del proprio vivere, in quanto coniuge, lavoratore, genitore, figlio e, infine, ma non meno importante, come cittadino, membro di una società politica; i fedeli laici sono quindi chiamati a “fare piena la missione salvifica della Chiesa, essendo chiamati ad operare in quanto presenti là dove, nel tempo contemporaneo, solo attraverso loro è presente la Chiesa”. In conclusione, cosa siamo chiamati a costruire? C’è solo l’imbarazzo della scelta… come ci dice papa Francesco nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”, siamo chiamati a riconoscere “che l’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore” (FT, 181). Questa è vera “carità politica, carità sociale” (cfr. FT, 182). Come ancora ci ricorda il Concilio: “ciò che l’anima è nel corpo, questo siano nel mondo i cristiani” (Lumen Gentium, 38, citando la Lettera a Diogneto).


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Maledetto denaro, o denaro benedetto? D I S A M U E L E C AV E D O N Consulente finanziario e tesoriere generale dell’Associazione Via Pacis

Il denaro, i soldi, l’euro, il dollaro. Tutti sostantivi che identificano un unico agente che tanto ci affascina, ci seduce, ci spaventa; ci preoccupa, se manca. Se ne possediamo poco ci accusa di essere persone meno degne, se ne possediamo molto ci eleva ergendoci sopra i nostri simili, provocando la loro invidia o ammirazione. Tra le prime cose che pensiamo appena ci alziamo dal letto è quanti soldi ci servono per andare a fare la spesa o per pagare le bollette di casa; oppure, per i più fortunati, quanto serve per pianificare le future vacanze. È un agente così potente che ha la capacità di condizionare singole persone e intere nazioni. Ma allora, il denaro è benedizione o maledizione? Come mai Gesù dice (Mt 6, 24) che “nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”?

Grazie al mio lavoro nel mondo della finanza, anch’io ho acquisito sempre più passione per gli investimenti. Informandomi quotidianamente, leggendo riviste di settore e investendo le mie risorse ottenevo in maniera crescente profitti e soddisfazioni. Ma, oltre ai profitti, cresceva dentro me la brama di accrescere sempre più il rendimento e il mio patrimonio. Per tutto però c’è un costo: il mio cuore, la mia attenzione, il mio affetto si stavano spostando dall’adorazione verso l’unico vero Dio all’adorazione della ricchezza. Oltre all’accumulo materiale, dentro di me si accumulavano inquietudini e tristezze. È superfluo affermare che i soldi sono neutri, non sono né male né bene, ma, attraverso il valore affettivo che gli attribuiamo, possono acquisire una valenza positiva o negativa. Se prendono il primo posto, cioè il posto di Dio, qualcosa non va. Se, invece, vengono usati e fatti fruttare per ciò che è necessario e giusto, possono diventare catalizzatori di bene. Paolo Maino, fondatore di Via Pacis, dice una verità tanto vera quanto scomoda: “la conversione passa anche attraverso il portafoglio”. Se la conversione non passa attraverso il portafoglio, il denaro occupa nel nostro cuore un posto molto importante, dove neanche Dio può entrare. Analizzando il mio passato economico, proprio dove sono stato fedele ai miei “impegni monetari” verso Dio, proprio lì ho vissuto gioia e libertà interiore. Attualmente, attraverso il mio nuovo servizio di tesoreria in Via Pacis, mi sto accorgendo che tante opere di bene sono possibili solo grazie alla generosità di tante persone per aiutare, sollevare, integrare donne, uomini, bambini meno fortunati di noi. Dio è più grande, e, anche attraverso questo attore così potente, afferma la sua onnipotenza, spargendo semi di bellezza e di pace in tutto il mondo. Il denaro donato, tanto o poco che sia, può diventare fonte di grandi benedizioni. Proprio per questo voglio concludere questa breve riflessione con un passo dalla Parola di Dio, tratto dal libro del profeta Malachia (3,10), così caro all’Associazione Via Pacis: “Portate le decime intere nel tesoro del tempio, perché ci sia cibo nella mia casa; poi mettetemi pure alla prova in questo – dice il Signore degli eserciti – se io non vi aprirò le cateratte del cielo e non riverserò su di voi benedizioni sovrabbondanti”. Benedizioni per noi, ma soprattutto per i più poveri, i prediletti di Dio nel mondo.


PRESENTI AL PRESENTE

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Tutto (troppo) sotto controllo DI ELISA CASARINI Psicologa clinica dell’età evolutiva

Si parla di resilienza per indicare la capacità di chi si attrezza per affrontare le avversità, riorganizzando positivamente quegli aspetti di vita che hanno subito urti o traumi. Una persona resiliente è in grado di capire cosa può o non può modificare, è capace di tollerare la frustrazione ed ha una buona capacità adattiva ma, soprattutto, è consapevole di non poter tenere tutto sotto controllo, sopportando un certo margine di incertezza. Nel mio lavoro incontro frequentemente e, in quest’epoca di pandemia ancora di più, genitori, bambini e ragazzi disorientati, quasi non avessero binari su cui percorrere in modo sufficientemente sereno la propria quotidianità. Se la nostra vita tutto sommato continua a scorrere e inanelliamo un giorno dietro l’altro senza difficoltà, allora va bene; se, invece, le nostre antenne captano situazioni che non ci fanno più sentire condottieri assoluti della nave, iniziamo subito a pensare che ci sia qualcosa di storto. Viviamo in un’epoca in cui il concetto di “controllo” riveste sempre più un significato centrale, amplificato dall’uso, ormai irrinunciabile, dei social network. Ascolto diciannovenni che mi dicono di dover condividere la posizione di Whatsapp con la mamma, altrimenti chiamerebbe diecimila volte; sedicenni i cui genitori si confrontano “sul gruppo” per sapere i compiti assegnati per il lunedì successivo; adolescenti che abdicano al loro caos ed al fisiologico conflitto per diventare i figli perfetti così come pensati dai loro genitori (“con tutto quello che hanno fatto per me! Come potrei remare loro contro?”); penso ad una mia paziente arrabbiata con sua madre perché non fa i Tik Tok con lei e si sente, per questo, esclusa dalle “popolari” della scuola. E poi, come un fulmine a ciel sereno è arrivata la pandemia, che ha stravolto la vita di molti a più livelli. Un evento drammatico su scala mondiale, che ci costringe a rivisitare il concetto di controllo; un’epoca che ha esacerbato malesseri latenti preesistenti. Il nostro margine d’azione ha iniziato a ridursi, stiamo dipendendo da decisioni altrui: non più soli, egoisticamente ripiegati sui nostri bisogni, ma assieme, come comunità sofferente. Ci domandiamo quale sia il senso di tutto ciò, ci informiamo più o meno correttamente su cosa si dovrebbe fare: mascherina sì o mascherina no? vaccino sì o vaccino no? Domande che richiamano alla fatica dell’uomo di lasciarsi guidare, in fiducia e umiltà. Prendendo in prestito le parole di Papa Francesco si potrebbe dire che: “forse possiamo trovare un 'senso' di questo dramma che è la pandemia: quello di suscitare in noi la compassione e provocare atteggiamenti e gesti di vicinanza, di cura, di solidarietà”. E se la chiave di lettura fosse proprio questa? Non più mossi dall’angoscia di dover controllare ogni variabile della nostra e altrui vita, ma da sentimenti di fiducia, compassione e amore per il prossimo? Come sarebbe la mia vita se accettassi questo?


QUANTO AMO L A TUA PAROL A

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I frutti della Parola DI GIULIANA CONDINI

“Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi” (Matteo 7,17) Era nato da poco il mio ultimo figlio e io avevo l’abitudine di alzarmi sempre molto presto, per sbrigare qualche lavoro e per stirare. Incoraggiata dalla Comunità, cominciai a sostituire le faccende e lo stirare per dedicare tempo alle Lodi e alla meditazione della Parola, chiedendo l’aiuto allo Spirito Santo. A pensarci bene, la cosa veramente nuova era il chiedere l’aiuto allo Spirito Santo, che per me era quasi uno sconosciuto. Non sempre capivo, qualche volta restavo perplessa, qualche volta mi sembrava che il Signore non fosse proprio giusto. Devo dire che tante cose le ho capite molto tempo dopo, magari leggendo proprio lo stesso brano. E questo mi ha fatto riflettere: i tempi del Signore non sono davvero i nostri tempi, ma la Parola produce sempre frutto. Come si legge nel profeta Isaia: “Così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza aver operato ciò che io desidero, senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. A volte, accadeva che, leggendo un brano del Vangelo, o una lettura, o un salmo, mi sentissi inquieta; altre volte, invece, mi sentivo consolata, sostenuta e amata. Di certo è che la Parola è stata davvero una “lampada ai miei passi”, che mi è venuta in aiuto in momenti difficili, di confusione e anche di sofferenza. Qualche volta, era come quando si prende una pila per cercare negli angoli bui. Mi faceva vedere tanti miei errori e capire

comportamenti sbagliati che non volevo ammettere. Ma proprio nella Parola e in chi mi stava vicino per aiutarmi trovavo coraggio e consolazione. Come ho detto, non sempre capivo, ma la spiegazione arrivava dai fratelli di comunità, o magari ascoltando un’omelia. La cosa importante è che scoprivo un Dio vicino, che parla ai suoi figli, che non li lascia soli.

Qualche brano del Vangelo lo capivo a modo mio. Ricordo, ad esempio, il passo di Matteo 7,17: “Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi”. Questa frase mi lasciava perplessa, non mi convinceva. Anzi, dentro di me la contestavo. Avevo l’idea che ciascuno di noi fosse un albero e che i frutti fossero i figli, e mi dicevo: ma come, ci sono ottime famiglie, che magari hanno figli problematici, e viceversa… Un’estate ero al mare, un piccolo prete celebrava la Messa domenicale. Legge il Vangelo: “...Ogni albero buono…”. Subito nella mia testa penso le solite cose. E il prete comincia l’omelia dicendo: “Guardate che i frutti buoni e cattivi non sono i figli. Vorrebbe dire che chi non ha figli non fa frutti. No, i frutti buoni sono il perdono, la benevolenza, la pazienza, l’accoglienza. Questi sono i frutti buoni che il Signore viene a cercare sul nostro albero”. Non ricordo altro della predica, so solo che al termine della Messa sono andata a ringraziare il sacerdote. Questa spiegazione mi ha dato tanta pace e mi ha aiutato molto. Non sempre i figli sono come vorremmo, possono deluderci e farci anche soffrire. Ma il ricordo di questo Vangelo mi ha sostenuta ad uscire dai sensi di colpa e a chiedere a Dio che mi aiutasse, proprio quando ce n’era più bisogno, a produrre frutti di perdono e di accoglienza. E ringrazio Dio per un frutto che non è mai mancato: la fedeltà alla Parola.


CARISSIMO

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…e vissero tutti felici e contenti? DI ELIANA ALOISI MAINO Counsellor e mediatrice familiare, fondatrice dell’Associazione Via Pacis

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arissimo, quanto mi pesa in questo momento la lontananza, il lockdown, il non poterti abbracciare e farti sentire tutto il mio affetto, vicinanza, calore! Credo di capire quanto mi hai raccontato con tanta sofferenza e disperazione. Capisco il senso di sconfitta che vivi, lo scoraggiamento, il non vedere la luce alla fine del tunnel. “Se tornassi indietro non sposerei più mia moglie. Avrei voluto una persona diversa, più atletica, più attraente, più fantasiosa e disponibile sessualmente, più curiosa culturalmente, più leggera e sbarazzina, più stimolante, più affine a me. Non è la persona giusta”. Le crisi sono inevitabili, in qualsiasi momento della vita e in qualsiasi stato di vita: per gli sposati, per i consacrati e per i single. E, in questi momenti tanto dolorosi, si maledicono le scelte fatte o non fatte, si è gelosi e invidiosi, convinti che l’altra strada sarebbe stata migliore. A questo punto le possibilità possono essere: tirare avanti così, per comodità, per quieto vivere(?), per amore dei figli. Oppure, andare ognuno per la propria strada,

opzione che va per la maggiore. O usare di questa situazione perché possa diventare occasione di cambiamento. Sì, cambiamento: non dell’altro, ma mio, in modo che questa difficoltà possa rendermi migliore. Quando le cose non vanno bene, si è sempre propensi a pensare che la colpa sia unicamente dell’altro: se cambiasse l’altro tutto si sistemerebbe. Per quanto possa sembrare evidente che tutta la colpa sia dell’altro, non è mai possibile superare una crisi aspettando che solo l’altro cambi. Quindi dovrei farmi delle domande: come io ho collaborato a costruire questa difficile situazione? Cosa faccio perché lei agisca così? Quale la mia parte di responsabilità? Quale vantaggio traggo da questo scontro? Quando ci si sposa giovani, come abbiamo fatto tu ed io, lo si fa in modo irresponsabile, più innamorati dell’amore che della persona concreta, con uno strascico da fiaba del genere “e vissero tutti felici e contenti”. Ed anche con l’idea che essere credenti e praticanti impedirà ogni contrasto. Ma la vita quotidiana, la diversità di caratteri e di abitudini, la mancanza di organizzazione e di chiarezza di ruoli fa cadere ogni illusione. Non ci si capisce più. Si


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rimane delusi, spiazzati, attoniti, paralizzati. Si parla, si discute e ri-discute, si litiga, ci si arrabbia, ma nulla cambia. E ci viene da pensare dell’altro “O è matto o è cattivo”. Molti dei comportamenti distorti, bizzarri, ferenti, aggressivi, dipendono spesso dall’essere poco maturi, poco padroni di noi stessi, poco sicuri di sé, che sfocia nel vivere l’altro come un nemico e un rivale. Dipendono anche dal non aver sanato vecchie ferite. Papa Francesco scrive che “l’infanzia e l’adolescenza vissute male sono terreno fertile per crisi personali che finiscono per danneggiare il matrimonio”. Da questo humus scaturisce un amore egoistico, infantile, che fa girare tutto attorno a sé. “È un amore insaziabile che grida e piange quando non ottiene quello che desidera. Altre volte si ama con un amore fissato ad una fase adolescenziale, segnato dal contrasto, dalla critica acida, dall’abitudine di incolpare gli altri, dalla logica del sentimento e della fantasia, dove gli altri devono riempire i nostri vuoti o sostenere i nostri capricci... Bisogna fare un percorso di liberazione, di cura della propria storia… Se non ci riconciliamo con la nostra

storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni”. E il Papa indica anche come: “C’è bisogno di pregare con la propria storia, di accettare sé stessi, di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi”. Che bello quanto scrive Papa Francesco! Che déjàvu… È una canzone nota, una musica affascinante ed amata. Che richiama un carisma fondante la nostra realtà di Via Pacis: la pacificazione interiore. Il deporre pesi e peccati, per poter correre con perseveranza cercando di vivere il Vangelo della pace. E poi? È sufficiente deporre pesi e peccati, pacificarci con la nostra storia, per ottenere un cambiamento di comportamento e di atteggiamenti? Per essere migliore? Certamente no. Ne parliamo la prossima volta? Ti abbraccio e ti assicuro tutto il mio sostegno. Tifo per te. Tifo per voi. Sempre con tanta stima. Tua Eliana


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