FOTOgraphia 281 settembre ottobre 2022

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281 JOACHIM SCHMEISSER GLI ULTIMI IMPERATORI Mensile, € 7,50, Poste Italiane SpASpedizione in abbonamento postaleD.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1DCB Milano / SETTEMBRE OTTOBRE 2022 / NUMERO 281 / ANNO XXIX / SANDRO VERMINI - PILLOLA FOTOGRAFO CHE HA COMPIUTO NOVANT’ANNI SETTANTA DEI QUALI VISSUTI... A MODO SUO SILVESTRI APO-SILVETAR 35 mm OBIETTIVO PER SENSORI MEDIO FORMATO CON PASSAPORTO ITALIANO: FIORENTINO ETÀ D’ORO DEL GRAND TOUR IMPONENTE MONOGRAFIA TASCHEN VERLAG, CHE AFFRONTA L’ARGOMENTO A TUTTO TONDO MARILYN MONROE (1962-2022) SFIORISCI BEL FIORE: C’È TEMPO, LO SAI. INIZIO DEL DECLINO MEDIATICO DEL MITO TTARTISAN M... PER LEICA M REALIZZAZIONI FOTOGRAFICHE, IN CREATIVITÀ, NEL SENSO DI FORMA PER IL CONTENUTO LAST OF THEIR KIND NON ANIMALI IN PERICOLO DI ESTINZIONE, MA LORO FOTOGRAFIE: IN MONOGRAFIA

TTartisan

Obiettivi per sensori APS-C (Mirrorless)

TTartisan APS-C 7,5mm f/2 Fish Eye

TTartisan APS-C 17mm f/1,4

TTartisan APS-C 23mm f/1,4

TTartisan APS-C 35mm f/1,4

TTartisan APS-C 40mm f/2,8 Macro

TTartisan APS-C 50mm f/1,2

Obiettivi per sensori Full Frame

TTartisan 11mm f/2,8 Fish Eye

TTartisan 50mm f/1,4 Asph

TTartisan 90mm f/1,25 (Mirrorless)

Obiettivi per Leica M

TTartisan M 21mm f/1,5 Asph

TTartisan M 28mm f/5,6

TTartisan M 35mm f/1,4 Asph

TTartisan M 50mm f/0,95 Asph

TTartisan M 50mm f/1,4 Asph

TTartisan M 90mm f/1,25

Anelli adattatori

TTartisan Adapter Ring M-E

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via Francesco Datini 27 • 50126 Firenze 055 6461541 • www.rinowa.it • info@rinowa.it
/ SETTEMBRE OTTOBRE 2022 / NUMERO 281 / ANNO XXIX / 281
RIFLESSIONI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA NELLA RIVISTA CHE NON TROVI IN EDICOLA / Sottoscrivi l’abbonamento a FOTOgraphia per ricevere 10 numeri all’anno al tuo indirizzo, a 65,00 euro Online all’indirizzo web in calce o attraverso il QRcode fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO 10 numeri a 65,00 euro Per info: Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini abbonamento@fotographiaonline.com

PRIMA DI COMINCIARE

281 SOMMARIO

DAL KOSMO, CIRCA. Kosmo Foto Mono è una pellicola in bianconero pancromatica da 100 Iso, disponibile in rullino 35mm e in rullo medio formato 120. È un’emulsione realizzata da un produttore europeo. Nelle confezioni di vendita, richiama e sottolinea la propria definizione/identificazione: comprensiva di un’immagine bianco e nero (proprio tale, bianco e nero, al tratto, senza toni intermedi) del cosmonauta Kosmo Foto a ciascuna estremità del packaging.

Cento Iso, magari cento Asa, in riferimento e richiamo doverosamente âgée, che si è soliti riferire e attribuire a giornate di sole, in condizioni nuvolose o alla fotografia in interni, con illuminazione adeguata.

Richiamando parametri del passato (prossimo o remoto?), la pellicola è definita da una chimica tradizionale in bianconero, che può essere sviluppata con formulazioni come Ilford Perceptol, Tetenal e Agfa Rodinal. Ovviamente, non può essere trattata in minilab, o simili, con processo colore C-41: nota doverosa, considerata la realtà attuale, così distante da competenze remote.

Allo stesso momento, la pellicola Kosmo Foto Mono può essere sottoposta a trattamenti alterati, per esempio pull-processing a 50 Iso, o push-processed a 400 Iso, con corrispondenti modifiche dei tempi di sviluppo.

Ancora, è disponibile una versione Kosmo Foto Agent Shadow, sempre bianconero, da 400 Iso, con possibilità di trattamento di sviluppo mirato fino a 6400 Iso.

Queste emulsioni sono vendute in Rete, e disponibili da Photo 40, via Foppa 42, 20144 Milano (331-9430524; www.photo 40.it; alessandro@photo40.it). Sia in confezione singola, sia multipack.

/ Copertina

Dal progetto Last of Their Kind, di Joachim Schmeisser, un ultimo imperatore. In portfolio, da pagina 38; in monografia, a pagina 10

03

/ Fotografia attorno a noi

Dalla confezione della pellicola bianconero Kosmo Foto Mono, un richiamo evidente

07

/ Editoriale

Vengo anche io. No, tu no

08

/ Dalla politica

Eccellente lezione di civiltà, etica, morale, cultura e altro ancora con John McCain

10

/ Fotografia è!

La monografia Last of Their Kind, di Joachim Schmeisser, in edizione TeNeues: è Fotografia!

12 / Rochester

Wollensak Vitax Portrait Lens n. 5 con Alessandro Mariconti (Photo40 / Milano)

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/ Mad Dog (Mastino)

Fotografia antropometrica, in commedia Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Anna Frank

Google Doodle del venticinque giugno, in onore

Corsi e ricorsi

Richiami da argomenti affrontati in precedenza

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/ Sandro Vermini - Pillola A modo suo

Fotografo genovese che ha compiuto novant’anni, oltre settanta dei quali vissuti con occhio attento e mente partecipe alla Fotografia di Maurizio Rebuzzini

/ 03/ / 31?/ / 60/ / 36/ / 16/ / 70/
Andreas Ikonomu

32 / Estetica della funzionalità

Affascinante e coinvolgente linea di obiettivi TTartisan M in baionetta Leica M: eleganza e forma per il contenuto. Con personalismi aggiuntivi di vita fotografica... vissuta

38 / Joachim Schmeisser

Gli ultimi imperatori

Sono animali quelli raffigurati per il progetto Last of Their Kind, in preziosa monografia TeNeues? Forse sì, forse non soltanto. In verità, sono Fotografie-di-Animali: la differenza è sostanziale di Angelo Galantini

47 / Sfiorisci bel fiore

Per il sessantesimo anniversario dalla scomparsa di Marilyn Monroe, poche rievocazioni e inizio di declino mediatico con Santi A. Urso

54 / A volte, tornano

Affascinante obiettivo grandangolare Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6 per sensori ad acquisizione digitale di immagini medio formato di Antonio Bordoni

62 / L’età d’oro del Grand Tour

Monografia Taschen Verlag (immancabilmente, lui) senza limiti geografici, ma con audace visione planetaria. Che lezione 70 / Weegee

Solo figure... senza parole WunderKammer 72 / Spie 007 Fbi

Mercati di Giulio Forti 74 / Noi poveri In ironia e sarcasmo di Maurizio Rebuzzini 77 / Linus su Linus E domani e domani

DIRETTORE RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

ART DIRECTION

Simone Nervi

IMPAGINAZIONE Maria Marasciuolo

REDAZIONE Filippo Rebuzzini

CORRISPONDENTE

Giulio Forti

FOTOGRAFIE

Rouge Ottavio Maledusi

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

HANNO COLLABORATO

Antonio Bordoni mFranti Giulio Forti Angelo Galantini Andreas Ikonomu Alessandro Mariconti (John McCain) Marco Saielli Joachim Schmeisser Santi A. Urso Sandro Vermini - Pillola WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

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utilizziamo testi e immagini

a

■ ■ Nella stesura

/ 21/ / 26/ / 65/ / 48/ / 18/ / 34?/
SOMMARIO
della rivista,
volte,
che non sono di nostra proprietà [e per le nostre proprietà valga sempre la precisazione certificata nel colophon burocratico, qui sopra]. In assoluto, non usiamo mai proprietà altrui per altre finalità che la critica e discussione di argomenti e considerazioni. Quindi, nel rispetto del diritto d’autore, testi e immagini altrui vengono riprodotti e presentati ai sensi degli articoli 65 / comma 2,70 / comma 1bis e 101 / comma 1, della Legge 633/1941 / Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. ■ ■ SETTEMBRE OTTOBRE 2022 / 281 - Anno XXIX - € 7,50
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Anche è un congiuntivo (e avverbio) molto applicato nella lingua italiana di tutti i giorni. In un certo modo, che ci sta infastidendo oltre misura, sia nella vita quotidiana, sia in Fotografia, nostro territorio comune (forse), da tempo, è troppo usato. Soprattutto, viene applicato per tenere a distanza, per stabilire frontiere fortificate che non possano essere valicate, per sopravanzare con la propria la personalità altrui. Apparentemente, si declina “anche” fingendo di allacciare l’interlocutore a una condizione, soprattutto negativa, presuntamente comune. In realtà, è vero l’esatto opposto: non si crea alcuno spazio comune, nel momento nel quale se ne impone uno proprio a discapito altrui. Naturalmente (?), come spesso accade, soprattutto in Fotografia, entro i cui termini -probabilmente- agiamo tutti noi, il congiuntivo / avverbio “anche” serve per scartare a lato vicende proposte, spesso sostituite da altre e proprie, in modo da alternare il soggetto della conversazione. Ciò a dire che, quando iniziamo un racconto, per ovvi motivi in cadenza autobiografica, l’interlocutore interrompe, e -impugnando l’“anche” come arma travolgente- parte per la tangente in propria autobiografia. Per esempio, “ho acquistato una intensa monografia di XY, fotografo al quale non riconoscevo tanta e tale intensità espressiva...”. Prima di poter entrare in considerazioni, osservazioni, riflessioni e analisi, l’immancabile “anche” si affaccia alla ribalta in prepotente avvicendamento fonetico e di soggetto. “Anche io, ho acquistato un libro di KW, che mi ha affascinato...”, e il pallino della conversazione cambia direzione. Come dire, e diciamolo!, che l’arte della conversazione è andata perduta. Soprattutto, si è persa per strada la nozione principale del dialogo e del colloquio, che consiglierebbe, prima di altro, di ascoltare. Addirittura, in eccesso, questo sta sempre più accadendo anche quando si risponde a domande espresse. Si inizia a rispondere, e si è bloccati dal fatidico “anche” che slitta altrove, che non c’entra, che accantona le intenzioni originarie.

Ho in testa ancheun’altra forma di “anche”: quella che, in solidarietà intesa (?), cercherebbe di consolare disagi espressi, per quanto in misura rispettosamente lieve e non approfondita. “Ho disagi e problemi” (punto e basta); invece di crederci e stare cortesemente zitti, in comprensione, eccoci qui: “anche io”, “anche un mio amico”, “anche altri”. Concretamente, quando non stiamo proprio bene, non ci interessa sapere che altri vivono condizioni simili, e forse anche peggiori: tenderemmo (e tendiamo!) ad elevare noi stessi sopra tutto, in quanto... noi stessi... quantomeno, nel frangente. Per esempio, non si può ottenere solidarietà, né comprensione, da nessuno quando -supponiamo- si ha il mal di denti. A bocce ferme, siamo tutti consapevoli del dolore che provoca il mal di denti; ma, quando non l’abbiamo, è solo teoria. Così, non ci interessa nulla sapere che “anche” l’interlocutore avrebbe il raffreddore. Tanto per dire. Insomma, siamo espliciti: a volte, l’aiuto (?) può risultare opprimente.

E, allora? Presto detto, la comprensione degli altri dovrebbe tornare in prima fila nei nostri rapporti sociali e di amicizia e di frequentazione: soprattutto, in Fotografia; per quanto, non soltanto in Fotografia. Via... concediamo spazio agli altri , ascoltando: condizione base per la buona conversazione, per l’apprendimento individuale, per qualsivoglia conoscenza. Anche Maurizio Rebuzzini

EDITORIALE
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DALLA POLITICA

Lo scorso gennaio, ho vissuto giornate che mi hanno reso felice, non soltanto contento: la differenza non è poca, come ha avuto modo di sottolineare, tempo fa, il caustico avvocato Giuseppe “Peppino” Prisco (1921-2001), dal Millenovecentosessantatré vicepresidente dell’Inter (ufficialmente FC Internazionale Milano), squadra di calcio che mi sta a cuore: «I tifosi della Juventus sono sempre contenti; quelli dell’Inter, a volte felici». La felicità dello scorso gennaio si è edificata nei giorni della curiosa rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. In assenza di altri candidati plausibili, i giochi delle parti si sono protratti per giorni, fino al fatidico e definitivo ottavo scrutinio, del ventinove gennaio. Quella sera, sono stato felice, perché ho ipotizzato, e sperato, che la politica italiana avesse finalmente toccato il fondo. Più in giù di così, ho sognato, non si sarebbe potuti andare. Nella seconda metà di luglio, diamine, la politica italiana mi ha contraddetto: raggiunto il fondo, si può ancora scavare. Quindi, una volta maturata la pensione di legislatura, il pensiero partitico ha potuto dare sfogo a tutte le proprie

Grazie, grazie amici miei. Grazie per essere venuti, in questa bellissima serata dell’Arizona.

Amici miei, siamo arrivati alla fine di un lungo viaggio. Il popolo americano ha parlato, e ha parlato chiaramente.

Poco fa ho avuto l’onore di telefonare al senatore Barack Obama, per congratularmi con lui. Per congratularmi con lui di essere stato eletto come nuovo presidente della nazione che entrambi amiamo.

In una competizione così lunga e così difficile come è stata questa campagna, il suo successo -da solo- esige il mio rispetto per la sua abilità e perseveranza. Ma il fatto che ci sia riuscito dando ispirazione alla speranza di così tanti milioni di americani, che credevano erroneamente di essere così poco in gioco o di avere una influenza minima sull’elezione di un presidente americano, è qualcosa che io ammiro profondamente e la cui riuscita merita il mio

esuberanze, per far cadere un governo tra i più efficaci della nostra vita repubblicana. Non entro in merito, ma ho ascoltato, in televisione, le stolte e tignose dichiarazioni dei partiti (per moda, affidate a parlamentari donne!). E mi sono chiesto se costoro, che parlano tanto di “cittadini”, saprebbero riconoscerne uno, incontrandolo per strada, magari con la carta di identità in bocca. Penso proprio di no!

Così, per consolarmi, sono andato a rileggere il discorso del senatore (per lo stato dell’Arizona) John McCain, candidato repubblicano sconfitto alle elezioni presidenziali statunitensi del 2008, ai propri sostenitori, convenuti nel suo quartier generale di Phoenix, immediatamente dopo la certezza della vittoria del senatore democratico (dell’Illinois) Barack Obama, che il 20 gennaio 2009 ha giurato come quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America, per il primo dei suoi due mandati.

Parole di un candidato sconfitto. Una lezione di civiltà, etica, morale e cultura politica (ed esistenziale).

Da lontano, un esempio per tutti noi.

bia l’industriosità per afferrarla. Il senatore Obama crede lo stesso.

Ma entrambi riconosciamo, a dispetto del lungo tratto percorso dalle vecchie ingiustizie che un tempo macchiavano la reputazione della nostra nazione e che negavano ad alcuni americani la completa benedizione della cittadinanza americana, che la memoria di ciò ha ancora il potere di ferire.

encomio. Questa è una elezione storica, e io riconosco lo speciale significato che ha per i neri e lo speciale orgoglio che deve essere il loro questa notte.

Ho sempre pensato che l’America offra un’opportunità a chiunque ab -

Un secolo fa, l’invito per una cena alla Casa Bianca del presidente Theodore Roosevelt a Booker T. fu considerato come oltraggioso da molti ambienti [nato in schiavitù, il 5 aprile 1856, Booker Taliaferro Washington fu pioniere del sistema educativo statunitense; il 16 ottobre 1901, fu invitato alla Casa Bianca; è mancato il 5 novembre 1911, a cinquantacinque anni].

L’America oggi è lontana un mondo dalla crudele e spaventosa bigotteria di quel tempo. Non c’è migliore evidenza

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/ CHE LEZIONE! /
di Maurizio Rebuzzini (Franti)... con John McCain

di questo che l’elezione di un nero alla presidenza degli Stati Uniti.

Che non ci siano più ragioni che impediscano a nessun americano di onorare la propria cittadinanza in questa, la più grande nazione sulla Terra.

Il senatore Obama ha ottenuto una cosa grandiosa per sé e per la sua nazione. Lo applaudo per questo e gli offro la mia più sincera compassione per il fatto che la sua amata nonna non sia vissuta a sufficienza per vedere questo giorno. Però, la nostra fede ci assicura che riposa in presenza del nostro creatore, così orgogliosa del buon uomo che ha aiutato a crescere.

Il senatore Obama e io abbiamo le nostre differenze e le abbiamo dibattute; e lui ha prevalso. Non c’è dubbio che queste differenze rimangano. Questi sono momenti difficili per il nostro paese. E io questa notte prometto a lui di fare tutti ciò che è in mio potere per aiutarlo a guidarci attraverso le molte sfide che andremo a incontrare.

Raccomando a tutti gli americani che mi hanno sostenuto non solo di unirsi a me nel congratularsi con lui, ma di offrire al nostro prossimo presidente la nostra buona volontà e i più onesti sforzi per scoprire le strade che ci aiutino a trovare i necessari compromessi per stabilire dei contatti tra le nostre differenze, così da aiutarci a ripristinare la nostra prosperità, difendere la nostra sicurezza in un mondo pericoloso e lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti un paese migliore di quello che abbiamo ereditato. Qualunque siano le nostre differenze, siamo tutti (compagni) americani. E, per favore, credetemi quando dico che nessuna comunanza ha avuto un significato maggiore per me, di essa. È normale. È normale, questa notte, essere delusi. Ma domani dobbiamo superare la delusione e lavorare insieme per fare sì che il nostro paese ricominci a progredire.

Abbiamo lottato con tutta la nostra forza. E anche se non ce l’abbiamo fatta, il fallimento è mio, non vostro Sono così profondamente grato a tutti voi per il grande onore del vostro sostegno e per tutto ciò che avete fatto per me. Avrei sperato in un risultato diverso, amici.

La strada era difficile sin dall’inizio, ma il vostro sostegno e la vostra ami-

cizia non è mai venuta a mancare: non posso esprimere in modo adeguato il mio profondo debito per voi.

Sono grato in particolare a mia moglie Cindy, ai miei figli, alla mia cara madre e a tutta la mia famiglia, e ai tanti vecchi e cari amici che mi hanno accompagnato attraverso i tanti alti e bassi di questa lunga campagna.

Sono sempre stato un uomo fortunato, ma mai così tanto che per l’amore e l’incoraggiamento che mi avete dato.

Sapete, le campagne elettorali sono spesso più dure per le famiglie dei candidati che per il candidato stesso, ed è stato vero in questa campagna.

Tutto ciò che posso offrire come compensazione è il mio amore e la mia gratitudine, e la promessa che i prossimi anni saranno più tranquilli.

Ovviamente, sono anche molto grato alla governatrice Sarah Palin, una delle migliori attiviste (elettorali) che abbia mai visto, e una impressionante nuova voce nel nostro partito al servizio delle riforme e dei princìpi che sono sempre stati la nostra forza; suo marito Todd e i loro stupendi cinque figli per la loro instancabile dedizione alla nostra causa, e per il coraggio e la generosità mostrate nella durezza e nella confusione di una campagna presidenziale.

Guardiamo con estremo interesse al suo futuro servizio per i cittadini dell’Alaska, per il Partito Repubblicano e per il nostro paese in assoluto.

A tutti i compagni della mia campagna, da Rick Davis, Steve Schmidt e Mark Salter, fino all’ultimo volontario che ha lottato duramente e valentemente mese dopo mese, in quella

che in alcune circostanze è sembrata la campagna più combattuta dei tempi moderni, grazie davvero. Un’elezione persa non conterà mai, più del privilegio della vostra fede e amicizia.

Non so, non so, cosa avremmo potuto fare di più per provare a vincere questa elezione. Lascerò questa valutazione ad altri. Tutti i candidati fanno degli errori, e io sicuramente ho fatto la mia parte di essi. Ma non passerò un solo momento in futuro per rimpiangere ciò che avrebbe potuto essere.

Questa campagna è stata e sarà il più grande onore della mia vita, e il mio cuore è pieno di nient’altro che gratitudine per questa esperienza, e per il popolo americano che mi ha concesso questa tribuna prima di decidere che il senatore Obama e il mio vecchio amico Joe Biden avrebbero avuto l’onore di guidarci per i prossimi quattro anni.

Non sarei un americano degno di questo nome, se mi lamentassi con la sorte che mi ha concesso lo straordinario privilegio di servire questo paese per mezzo secolo.

Oggi ero candidato per il più alto ufficio della nazione che amo così tanto. E stanotte, anche se sconfitto, rimango al servizio di essa. Ciò è una benedizione sufficiente per chiunque, e ringrazio il popolo dell’Arizona per avermi accordato questa possibilità.

Questa notte, più che in ogni altra notte, conservo nel cuore nient’altro che amore per questo paese e per tutti i suoi cittadini, che abbiano sostenuto me o il senatore Obama. Che abbiano sostenuto me o Obama.

Auguro le migliori cose all’uomo che era il mio avversario e che sarà il mio presidente. E chiedo a tutti gli americani, come ho spesso fatto durante questa campagna, di non disperare delle nostre presenti difficoltà, ma di credere -sempre- nella promessa della grandezza dell’America. Perché niente è inevitabile, qui.

Gli americani non si dànno mai per vinti. Noi non ci arrendiamo mai.

Noi non ci nascondiamo mai alla storia. Facciamo la storia.

Grazie, Dio vi benedica e Dio benedica l’America.

Grazie, grazie davvero.

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John
■ ■
McCain

FOTOGRAFIA È!

È Fotografia!

Nessun animale-soggetto messo in pagina sulla eccezionale e imperdibile monografia Last of Their Kind , di Joachim Schmeisser, di cui e della quale riferiamo in forma di portfolio, da pagina trentotto, su questo stesso numero, è un animale africano in via di estinzione, come da intento del progetto, raccolto in preziosa e autorevole edizione libraria TeNeues!

Qui e ora, oltre quanto espresso nell’approfondimento appena richiamato, deve essere chiara una condizione sovrastante: non sono animali, bensì Fotografie-di-Animali.

Come siamo soliti rilevare, la differenza è sostanziale. Infatti, l’accreditato autore ha il merito e valore di aver visualizzato l’intento prefisso -quello di raffigurare animali africani in via di estinzione- rappresentandolo con una pertinente e elevata applicazione del linguaggio che gli è proprio: la Fotografia! Da cui, l’avvicinamento ai soggetti, al soggetto, è scandito dall’efficacia della sua (triste?) effige, secondo parametri di un lessico, un linguaggio che ha l’ambizione e il merito di essere universale.

Soprattutto alla luce di tante/troppe seghe mentali che prosperano nel nostro piccolo-grande mondo fotografico italiano, là dove la fotografia (in minuscolo d’obbligo, prima che consapevole) viene intesa per se stessa e come arido punto di arrivo, mai come fantastico e privilegiato s-punto di partenza, è doveroso certificare la discrepanza tra immagine in quanto tale e immagine rivolta all’osservazione: per questo, pubblicata in relazioni giornalistiche e/o su monografie di riferimento. Come l’attuale qui in passerella: Last of Their Kind, di Joachim Schmeisser, in

edizione TeNeues. Infatti, non si tratta soltanto di rilevarne valori esteriori discriminanti, che pure la qualificano alla grande, ma di sottolineare l’armonia tra forma e contenuto, che stabilisce termini di pertinente (e perfetto) svolgimento del tema/progetto preposto.

In questo senso, non sono molti gli autori-fotografi capaci di elevare la propria azione oltre la gratificazione e beatificazione di se stessi; e altrettanti pochi sono gli editori che sanno superare la propria autoreferenzialità. All’esatto opposto e contrario, la combinazione articolata tra Joachim Schmeisser e TeNeues è fulgido esempio di quanto possa diventare Grande e Immensa la Fotografia, quando e per quanto ciascun protagonista della vicenda ha il coraggio, l’ardire e l’intelligenza di fare un passo a lato (oppure, indietro), per lasciare la

scena ai soli e assoluti soggetti avvicinati.

A diretta conseguenza, in una condizione individuale (la nostra!) che avvicina l’editoria fotografica anche in quantità di titoli ed edizioni che appagano la nostra ossessione al proposito (venire qui, nei nostri spazi, per toccare con mano e credere), la monografia Last of Their Kind, di Joachim Schmeisser è ben altro. Non soddisfa alcuna idea fissa rispetto il possesso -per quanto, in assoluto, siamo consapevoli che non importa mai cosa si ha, ma, in gioco di consonanti, cosa si fa con ciò che si ha-, ma appaga quell’irrinunciabile desiderio di avere tra le mani testimonianze fotografiche irrinunciabili; testimonianze che definiscono senza indugi, né tentennamenti, ciò che la Fotografia rappresenta oltre il Reale: responsabilità di rendere permanenti istanti che avrebbero dovuto rimanere effimeri. Ancora: visualizzazione d’anima di una realtà, rappresentata con le prerogative di un linguaggio -quello fotografico- che richiede declinazioni intelligenti e colte. Ad altri, se è il caso, le seghe mentali di rito.

Conclusione inevitabile: monografia tra le più intelligenti ed esaltanti, tra quante avvicinate da decenni a questa parte. Però, se doveste recarvi in Africa, non sperate di incontrare questi soggetti così come li ha visualizzati Joachim Schmeisser: come si sono affacciati alla sua anima, e ce ne ha fatto dono, prima di dissolversi in altro quotidiano esistenziale. Sulle pagine della imperiosa raccolta, i soggetti manifestano una frazione di secondo dal e nel Cuore dell’Autore.

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■ ■ / A LORO IMMAGINE E SOMIGLIANZA / di Angelo Galantini
È Fotografia!
Last of Their Kind, di Joachim Schmeisser; Te Neues, 2021; 224
ne 27,5x34cm, cartona
50,00 euro.
pagi-
to;

ROCHESTER

Finanziariamente, i due fratelli furono sostenuti da Stephen Rauber, che consentì loro di depositare una consistente quantità di brevetti e che si associò nella conduzione aziendale: per l’appunto, Rauber and Wollensak. Poco dopo, nel 1902, Stephen Rauber si ritirò dagli affari, da cui la denominazione venne riferita si soli fratelli... Wollensak [da History of the Photographic Lens, di Rudolf Kingslake; Academic Press Inc, 1989].

Il progetto di spicco e punta della linea di otturatori centrali destinati alle produzioni ottiche di inizio Novecento si concretizzò nella interpretazione Optimo, dal 1909, che divenne uno degli standard di prestigio e valore tecnico-commerciale del tempo.

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di Antonio Bordoni
(4)
Alessandro Mariconti WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

Quindi, in parallelo, dal 1902, fu affrontata anche la progettazione e produzione di obiettivi, che si intensificò nel successivo 1905, con l’acquisizione della Rochester Lens Company. Dal 1924, la fabbrica si spostò in Hudson Avenue, proprio a Rochester, sul Lago Ontario, nello Stato di New York, fotografica mente celebre e celebrata in quanto sede della Eastman Kodak Company, per decenni e decenni sinonimo stes so di Fotografia. Ora, non più.

Nei decenni a seguire, The Wollen sak Company, che si sempli ficava in Wollensak Roche ster, agì in molti ambiti fo tografici, compresi progetti specialistici e mirati (quali la Fastax High-Speed Came ra, cinepresa 16mm da cin quemila fotogrammi al se condo, per i Bell Laboratories). Quindi, cessioni aziendali e fusioni varie, fino al 1972, quando il marchio Wollensak viene abbandonato definitivamente.

Secondo una consuetudine del tem po, il disegno ottico Wollensak Vitax, uffi cializzato come Portrait Lens / Obiettivo da ritratto, è stato interpretato in foca li diverse e crescenti, via via adatte alla copertura di formati fotografici altret tanto in aumento di proprie dimensio ni. L’esemplare qui e oggi raffigurato, immancabilmente dalla Collezione di Alessandro Mariconti, oltre la propria personalità commerciale Photo 40, a Milano, è certificato come “n. 5” della gamma: lunghezza focale sedici pollici

(16 inch... 406mm), con apertura relativa f/3,8 e scala dei diaframmi fino a f/45: per la copertura agevole fino all’8x10 pollici (20,4x25,4cm), che -con prudenza- può estendersi fino al’11x14 pollici (28x35cm).

Presto rievocate le altre focali della gamma: 10 inch / 254mm f/3,8; 131/2 inch / 340mm f/3,8; 20 inch / 508mm f/5. Ovviamente, non si è mai trattato di obiettivi “popolari”: nei primi anni Venti del Novecento, i loro prezzi scandivano cifre da centodieci dollari (10 inch f/3,8) a centoquaranta dollari (131/2 inch f/3,8), a centottantasei dollari (16 inch f/3,8), a due centouno dollari (20 inch f/5). In un tempo nel quale una bottiglietta di Coca-Cola da 6,5 fl oz (190ml), costava cin que centesimi: da duemila duecento volte in meno, ri spetto l’arrotondamento a un dollaro odierno, a quattromila volte in meno.

L’obiettivo Wollensak Vitax è riconosciu to per la sua eccellente qualità d’imma gine. È stato progettato nel 1906 come Royal Portrait, dotato di ghiera di control lo e regolazione della diffusione tonale, che si basa sul princìpio ottico del cam biamento della distanza tra i propri due elementi posteriori (così come accade anche con l’obiettivo Dallmeyer 3B, una delle tante varianti ragionate del dise gno ottico Petzval originario, dal 1840).

Come molta produzione ottica per la fotografia, anche il Wollensak Vitax -16 inch / 406mm f/3,8, per quanto ri guarda la passerella odierna- fu indi

rizzato al ritratto, che ha rappresentato Wollensak Vitax Portrait Lens n. 5 (16 inch / 406mm) f/3,8, dalla consistente Collezione di Alessandro Mariconti (Photo40, di Milano).

MAD DOG (MASTINO)

Sul tavolino del soggiorno, la monografia Paul Strand. An American Vision, di attualità ai tempi della lavorazione del film; alla parete, il manifesto di una mostra fotografica di Robert Capa, illustrato con la celeberrima immagine dello sbarco in Normandia; sulla rientranza di un muro, collocato ad arte, l’ingrandimento-poster di una fotografia newyorkese di Berenice Abbott a inquadratura e composizione stretta e alta; ancora alle pareti, fotografie incorniciate scattate sul lavoro (che i titoli di coda attribuiscono a Marc Hauser, apprezzato ritrattista: www.marchauserphoto.com).

È l’appartamento nel quale vive Wayne “Mad Dog” Dobie, fotografo della polizia di Chicago, Illinois, interpretato da un seducente Robert De Niro.

Il film è Lo sbirro, il boss e la bionda, orrendo titolo italiano, che allinea i tre protagonisti in sequenza statica (Robert De Niro, appunto poliziotto, Bill Murray, vicino alla mafia cittadina, e Uma Thurman, dal colore dei capelli). In originale, la sottolineatura è soltanto doppia: Mad Dog and Glory -niente boss-, dal soprannome del poliziotto-fotografo (Mad Dog / Cane pazzo / Mastino) con il nome della co-protagonista; comunque, per risolvere i crediti di rito, regia di John McNaughton e produzione statunitense del 1993.

La trama incrocia i destini di tre persone, quelle scandite dal titolo italiano. In una concitata situazione di rapina, il fotografo della polizia Wayne “Mad Dog” Dobie (Robert De Niro) salva la vita al boss della mafia Frank Milo (l’attore Bill Murray), che -per gratitudine- gli manda a casa, per una settima-

na, Glory (l’attrice Uma Thurman), per tanti versi, obbligata a prestare servizi leciti per suo conto.

Ovviamente, tra “Mad Dog” e Glory sboccia l’amore, e tutto si complica, per poi risolversi in lieto fine, proprio e caratteristico della commedia brillante.

Prima della segnalazione della Fotografia nel film, che è poi ciò che ci interessa soltanto, quantomeno da queste pagine, richiamiamo la presenza nel cast di David Caruso, l’investigatore Horatio Caine del televisivo Csi: Miami, nelle parti di Mike, collega poliziotto, e del fantastico caratterista (italo-americano?) Mike Starr, in quelli di Harold, guardia del corpo del boss.

FOTOGRAFIA

Oltre le evocazioni scenografiche riferite in apertura, che compongono i tratti di quella eccellente attenzione ai dettagli e complementi che qualifica il cinema statunitense (non certo quello italiano), la Fotografia attraversa tutta la vicenda di Lo sbirro, il boss e la bionda. È perfino ovvio, quanto inevitabile, dato che il protagonista è un fotografo della polizia.

▶ Images à charge. La construction de la preuve par l’image ; a cura di Diane Dufour; Xavier Barral, 2015; 240 pagine 22x28,5cm, cartonato. Con contributi di un collettivo di esperti, costruzione e ricostruzione delle prove giudiziarie per immagini. Con espliciti richiami e riferimenti ai metodi di indagine scientifica elaborati da Alphonse Bertillon (1853-1914), criminologo della Prefettura di Polizia di Parigi alla fine del Diciannovesimo secolo. La monografia è stata accreditata come catalogo della mostra Sulla scena del crimine. La prova dell’immagine dalla Sindone ai droni, allestita presso Camera - Centro Italiano per la Fotografia, di Torino, dal 27 gennaio al Primo maggio 2016: passaggio italiano dell’esposizione francese originaria, in cartellone dal 4 giugno al 30 agosto 2015.

▶ Scene of the Crime. Photographs from the LAPD Archive ; a cura di James Ellroy, William J. Bratton e Tim B. Wride; Harry N. Abrams, 2004; 240 pagine 20,4x33cm, cartonato. Tra i curatori, una firma di prestigio: James Ellroy, autore di convincenti vicende poliziesche ambientate nella Los Angeles degli anni Cinquanta. Fotografia giudiziaria ufficiale.

Il film inizia proprio con la spedizione di una squadra investigativa sul luogo di un delitto. In una automobile parcheggiata in un quartiere periferico di Chicago sono stati trovati dei cadaveri, e “Mad Dog” deve fotografare la scena del crimine. Solidarizziamo subito con lui e la sua scontrosità, dalla quale il soprannome (in italiano, traducibile in “Mastino”), così come induce a fare la sceneggiatura.

Comandato a fotografare le persone che si sono assiepate dietro

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/ CINEMA / di
Maurizio
Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini A proposito di fotografia giudiziaria, scappatoia del film Lo sbirro, il boss e la bionda (dal titolo statunitense originario Mad Dog and Glory ), di John McNaughton, del 1993, un paio di retrovisioni bibliografiche possibili, due tra le più efficaci in un casellario di titoli (è il caso!) vasto per quantità e qualità. WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (2)

gli sbarramenti della polizia, tra le quali individuare magari qualche sospetto («come e quanto la fotografia offra ineccepibili documenti per identificazione, classificazione e controllo»), “Mad Dog” / Robert De Niro si muove con circospezione comica. Finge di nulla, alza la reflex (Pentax), inquadra e scatta. Una, due, tre volte, da punti di vista metodicamente diversi.

Sarà ancora più disincantato e sopra le righe in una occasione successiva, nella sala di un ristorante italiano, nella quale si è verificata una sparatoria con morti sparsi nel locale: dopo aver selezionato sul jukebox un motivo allegro e disincantato ( Just a Gigolo, nell’interpretazione di Louis Prima, del 1945), si muove tra i cadaveri a passo di danza.

Assolutamente più compassata, è la spedizione fotografica notturna con Glory, durante la quale le rivela i propri intendimenti fotografici (da sentire e risentire), mentre prepara il treppiedi e durante gli spostamenti da un luogo al successivo: «La cosa più brutta nel fotogra-

fare la morte -annota-, è che non c’è dignità nella morte. Una donna non può difendersi, non può tirare giù la gonna, non può chiudere la bocca. [...] Quello che tu stai fotografando per lavoro è la forma maggiore di impotenza». Diciamola chiaramente, oltre che in sarcasmo: per quanto sceneggiata, riflessione in esperienza professionale assai più consistente e profonda di tante/troppe parole vuote espresse da presunti “critici e semiologi dell’immagine”.

È da questi momenti che l’intimità imposta dalla situazione preordinata dal boss mafioso

SFUMATURE

Frank Milo smette di essere tale, ovvero imposta, per trasformarsi in altro, forse amore. Al rientro a casa, mentre “Mad Dog” è indaffarato a riporre la propria attrezzatura fotografica, Glory gli si presenta nuda, e gli chiede di fotografarla. Poi, lei prende la macchina fotografica tra le mani, e lo fotografa in pose volontariamente curiose. Attenzione, lo ribadiamo, Lo sbirro, il boss e la bionda è una commedia brillante, per famiglie: niente oltre il lecito.

Nel film ci sono altri quadretti fotografici degni di attenzione, in base al nostro punto di vista. Stiamo arrivando soprattutto a uno. Prima, però, è doveroso l’incrocio cinematografico che riguarda il protagonista Robert De Niro / Wayne “Mad Dog” Dobie, che in privato usa una reflex Leica R5 (oppure R4, non siamo riusciti a identificarla, considerata la loro rassomiglianza), mentre sul lavoro la reflex è Pentax, come abbiamo già rilevato. La Leica R5, o R4, compare nei notturni in città e nell’intimità delle fotografie private.

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Harold, guardia del corpo del boss mafioso Frank Milo, sfoglia la monografia Paul Strand. An American Vision, di attualità ai tempi della lavorazione del film. (in alto, su doppia fila) All’inizio del film Lo sbirro, il boss e la bionda, di John McNaughton, del 1993, si incontra subito il fotografo della polizia di Chicago Wayne “Mad Dog” Dobie (l’attore Robert De Niro), che agisce in una scena del crimine.
(centro pagina) Le guardie del corpo del boss mafioso Frank Milo guardano le fotografie giudiziarie di morti ammazzati come ciascuno di noi sfoglia un album di famiglia.

A questo punto, è doveroso ricordare che Robert De Niro, nei panni dell’agente della Cia Sam, usa una Leica R (altrettanto, non meglio identificabile) anche in Ronin, produzione americana e inglese del 1998. Lo fa nella scena nella quale, all’esterno di un grande hotel della Costa Azzurra, fotografa di soppiatto un presunto terrorista (la semplifichiamo così, tanto basta).

Quindi, a seguire, mentre “Mad Dog” è indaffarato a riporre la propria attrezzatura fotografica, Glory gli si presenta nuda, e gli chiede di fotografarla. Poi lei prende la macchina fotografica tra le mani, e lo fotografa in pose volontariamente curiose.

A conclusione, perché non è il caso dilungarsi oltre, e neppure ripetere considerazioni sulla presenza della Fotografia in sceneggiature e scenografie cinematografiche già riferite, una sola ulteriore segnalazione. Quella del comportamento delle guardie del corpo del boss mafioso Frank Milo, che guardano le fotografie giudiziarie di morti ammazzati che, ben stampate e incorniciate,

arredano le pareti dell’appartamento di Wayne “Mad Dog” Dobie.

Si danno di gomito, sono allineati tra loro, addirittura complici, di volta in volta indicano una inquadratura, sorridono: riconoscono tutti i morti, amici o nemici loro, e sfogliano queste fotografie come ciascuno di noi sfoglia un album di famiglia: ricordi piacevoli, ritratti ben riusciti. Affetti da evocare. ■ ■

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Durante una spedizione fotografica notturna con Glory (Uma Thurman), Wayne “Mad Dog” Dobie (Robert De Niro) le rivela i propri intendimenti fotografici (da sentire e risentire), mentre prepara il treppiedi e durante gli spostamenti da un luogo al successivo.

ANNA FRANK

I Google Doodle, in abile affinità linguistica, indipendentemente dalla traduzione letterale, per se stessa deviante (doodle - scarabocchio), sono animazioni visive periodiche dalla pagina iniziale del celeberrimo motore di ricerca (in Rete). A volte, sono dedicate a vicende leggere; altre volte, affrontano momenti profondi.

Sabato venticinque giugno il Google Doodle introduttivo al menu è stato declinato In Onore di Anna Frank, la giovane vittima dell’Olocausto che ha lasciato propria traccia in un Diario che si offre e

propone tra le letture indispensabili di ciascuno di noi, in relazione a molteplici scale di valori individuali... e non.

Compressa la “copertina”, quattordici interpretazioni grafiche di momenti e passaggi dal Diario stesso. Nessuna aggiunta, ma solo la traduzione dei passi che si sono proposti uno dopo l’altro, ognuno prima del successivo.

1. In Onore di Anna Frank.

2. Questa presentazione include menzioni dell’Olocausto, argomento sensibile per alcune persone. Il testo

del Diario di Anna Frank è stato adattato, per motivi di lunghezza.

3. Scrivere un diario è un’esperienza un poco strana per qualcuno come me.

4. Ho l’impressione che né a me né ad altri interesseranno le riflessioni di una scolaretta di tredici anni.

5. Dopo il maggio Millenovecentoquaranta, i momenti felici sono stati ormai più unici che rari.

6. Dovevamo nasconderci... ma dove? In città? In campagna? In una casa? O in una baracca? E quando, dove, come?

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/ IN ONORE /
di Antonio Bordoni

7. Il mio gatto Moortje è stata l’unica creatura vivente, a me vicina, alla quale ho detto addio.

8. Il nascondiglio si trovava nell’ufficio di mio padre.

9. Alle otto, il campanello suonò improvvisamente. Riuscii solo a pensare che qualcuno stava vendendo a prenderci; sapete cosa intendo.

10. Stanno portando via in massa i nostri tanti amici e conoscenti ebrei.

11. Mi sento in colpa a dormire in un letto caldo, mentre da qualche parte, là

fuori, i miei più cari amici crollano per sfinimento o perché buttati a terra.

12. Mi sento come un usignolo al quale hanno tagliato le ali e che continua a lanciarsi contro le barre della sua gabbia.

13. Sabato 15 luglio 1944. Nonostante tutto, credo ancora che le persone siano veramente buone, in fondo.

14. Il 4 agosto 1944, le SS fecero irruzione nell’alloggio segreto, e deportarono tutti gli occupanti. Anna è morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, all’età di quindici anni.

Ecco, in ripetizione d’obbligo, niente altro da aggiungere. Soltanto, però, una considerazione a merito di Google e di tutti coloro i quali interpretano la propria professione, il proprio dovere, sapendo oltrepassare inutili confini di genere e convenzione. Infatti, è sempre la Vita che conta, la Vita che palpita e vibra giorno dopo giorno, ora dopo ora, senza alcuna soluzione di continuità. La Vita da osservare da ogni punto di vista possibile e plausibile.

Anche dalla Fotografia.

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C’era una volta il Sicof Siccome pochi lo ricorderanno, l’acronimo Sicof va decodificato: Salone Internazionale Cine Foto Ottica e Audiovisivi. L’intrepido e qualificato Roberto Pinna Berchet lo creò nell’autunno 1969... mille e mille anni fa. Dopo cinque edizioni annuali, con quella del 1972 svolta a Bari (Sicof Levante), nel 1975, il passaggio a primavera coincise con la cadenza biennale, in anni dispari, alternati ai pari della Photokina, di Colonia, in Germania, riferimento internazionale assoluto. Dall’album dei ricordi, quattro istantanee, in evocazione e sottolineatura di un clima vivo e appassionante.

In ordine. Sicof 1973: Photo 13. Rivista pilota: leggete oggi quello che gli altri vi diranno domani; Sicof 1975: nello Spazio Giovani, da sinistra, Luca Rossi, Carlo Cerchioli, Silvio Wolf; Sicof 1977: Ken Bowen (flash Bowens) e Lino Manfrotto; Sicof 1979: Giovanna Calvenzi, Beppe Preti e Paolo Gioli (mancato lo scorso ventidue gennaio, a ottant’anni).

La faccia come il...

Quando pensiamo a prospettive rovesciate, che trovano proprio terreno anche in coloro che hanno la-faccia-come-il-..., ci vengono in mente raffigurazioni dell’artista olandese Maurits Cornelis Escher, maestro dell’ambiguità. Da cui, identifichiamo come rispondenti e corrispondenti a una chiassosa “prospettiva escher”, tutto minuscolo, quei comportamenti di coloro i quali non hanno ritegno rispetto le proprie infamie.

Sullo scorso numero di FOTOgraphia, attribuito al bimestre giugno-luglio, abbiamo riferito la vicenda della moneta di due euro, emessa dalla Zecca dello Stato riprendendo una fotografia iconica di Tony Gentile -il ritratto dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uno accanto all’altro-. Sia questo conio, sia una precedente emissione filatelica, del 2002, in decennale, non hanno riconosciuto alcun diritto d’autore al fotografo. Riassumiamo: la Zecca dello Stato ha interpretato la legge della “fotografia comune”; l’Istituto Poligrafico ha optato per una fotografia dello stesso momento (quasi), negoziata con altro fotografo.

In entrambi i casi, la malafede è palese e manifesta: nelle proprie comunicazioni, la Zecca dello Stato richiama la verità: «I ritratti dei due magistrati sono ispirati alla fotografia di Tony Gentile»; l’istituto filatelico sorvola su tutto. Certifichiamo con documenti ufficiali.

Leitz-Park Wetzlar

Ne abbiamo riferito sullo scorso numero di giugno-luglio: il Leitz-Park, a Wetzlar, entro il quale è compresa la sede amministrativa e centrale produttiva di Leica Camera AG, si offre e propone come «Un’esperienza unica e fonte di ispirazione, che trasforma l’universo del marchio e il fascino della fotografia Leica in un incontro sfaccettato». Aperto tutto l’anno, nel Leitz-Park tutto ruota attorno l’immagine, la scuola di visualizzazione, la storia della fotografia, la vivacità della cultura fotografica e le persone che stanno dietro le macchine fotografiche. In una definizione Leica più che immedesimata: Das Wesentliche... L’essenziale.

Da qui, un’esclusiva offerta di due giorni che invita i visitatori con la passione per la fotografia a scoprire il fascino di Leitz-Park: pernottamento e prima colazione presso l’elegante Living Ernst Leitz, visita al mondo di Leica Experience e alla mostra in corso all’edificio World of Leica (incluso un biglietto abbinato con l’ingresso al Viseum di Wetzlar) e una conferenza tenuta alla Leica Akademie. In combinazione (alternativa?), visite guidate, da prenotare all’indirizzo leicatour@leica-camera.com.

20 / CORSI E RICORSI /

Sfera di cristallo

La Rollei Lensball si offre e propone per interpretazioni fotografiche arbitrarie: diciamo, creative? È esattamente ciò che dichiara di essere: una sfera di vetro (massiccio) trasparente; se si vuole vederla anche così è identica a una delle dotazioni standard delle chiromanti, che promettono di predire il futuro, leggendolo in una sfera di cristallo, per l’appunto, alternativa -in questa ipotesi- alla lettura della mano, attraverso le linee del palmo (destro). La proposta Rollei Lensball si indirizza, invece, verso una particolare interpretazione della fotografia, dal paesaggio all’architettura, all’istantanea colta per strada (per piacere, evitiamo di declinare street photography... non ne possiamo proprio più!). Di fatto, propone di inquadrare soggetti riflessi nitidamente sulla/dalla sua superficie sferica. Attenzione: è indispensabile, non soltanto necessario, tenerla pulita e limpida, nel rispetto della sua perfezione priva di bolle d’aria e/o striature; da cui, in dotazione, un panno in microfibra, per la lucentezza preventiva della superficie esterna, e una opportuna custodia di protezione imbottita. In quattro diametri: 60mm, 263g; 80mm, 668g; 90mm, 945g e 110mm, 1730g.

Rolleiflex 3,5F: fotogenica

A proposito della biottica Rolleiflex (a volte alternata alla biottica di fantasia Polly Max), tra le mani di Valentina (Rosselli), protagonista di una lunga storia a fumetti, il creatore e autore Guido Crepax è stato esplicito: «Era la più bella da disegnare, tutto lì. Aveva belle forme e poi era bella da tenere tra le mani; se si potesse dirlo, era fotogenica. Poi, mi piaceva anche perché lasciava libero il viso, mentre altre macchine fotografiche si debbono portare all’altezza dell’occhio. La Polly Max / Rolleiflex era congeniale alle esigenze del disegno».

Da cui, vignetta con Rolleiflex 3,5F da Il bambino di Valentina (1969-1970).

Dalle Stronzate alla Verità Abbiamo avuto già modo di presentare il saggio filosofico di Harry G. Frankfurt: Stronzate, in edizione Rizzoli, del 2005. A seguire, due anni dopo, nel 2007, lo stesso editore italiano ha pubblicato l’altrettanto efficace Il piccolo libro della Verità, dello stesso autore Harry G. Frankfurt (1929-), professore emerito di filosofia alla Princeton University. Questo secondo testo completa il primo: «L’indifferenza alla verità, che ho sostenuto essere tipica delle stronzate è negativa. [...] L’indifferenza verso la verità è indesiderabile e perfino deplorevole. [...] La verità è per noi importante, dobbiamo curarcene in modo speciale».

In assoluto, bisognerebbe essere capaci di controllare le proprie emozioni momentanee, magari dominandole.

Nell’estate Duemiladiciotto, a Grosseto, in Toscana, in occasione di una (infelice) retrospettiva sulla fotografia di Gian Paolo Barbieri, al selezionato bookstore che presentava e offriva monografie, alcune delle quali autentiche raffinatezze e preziosità bibliografiche, un operatore commerciale della fotografia (fotonegoziante), alla ricerca di patente culturale (totalmente improbabile), fu attirato dalla prima edizione di Tahiti Tattoos (Fabbri Editore, 1989). Il volume è quotato per quanto vale. Però, conoscendo entrambi i soggetti (monografia e possibile acquirente), feci notare che in una libreria vuota di volumi fotografici, quale la sua, forse sarebbe stato meglio non tenere conto di valori bibliografici eccessivi (per la personalità del fotonegoziante), magari rivolgendosi a una quantità di edizioni, piuttosto che alla loro qualità formale, per lui inutile: magari, a partire dall’ottima edizione corrente di Tahiti Tattoos, pubblicata da Taschen Verlag, nel 1998.

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richiami da argomenti affrontati in precedenza, a cura di Angelo Galantini Vieni avanti...
CENTOPERCENTOINASTA 1 ASTA 100 FOTOGRAFIE 100 AUTORI 100 fotografie donate da 100 autori per un asta in favore di FOTOgraphia , affinché possa continuare a percorrere il proprio cammino e alimentare la riflessione sulla Fotografia utile e indispensabile nella contemporaneità del Pensiero attorno a... IN DATA DUEMILA 23 DA STABILIRE MOLTO PROBABILMENTE Siete invitati a un appuntamento di impegno e valore per sostenere la rivista FOTOgraphia equinozio di primavera ? DATA IPOTIZZATALUNEDì20 MARZO 2023

A MODO SUO

Lui scende da un taxi, mentre noi stiamo arrivando. Tra le mani, l’identificazione di Douglas Kirkland, recuperata (sottratta?) allo speech che il celebre fotografo canadese ha svolto in città (New York City), al quale Pillola ha partecipato [pagina accanto]. Quindi, lui documenta un nostro ritrovamento: copia di Life Magazine, del 27 ottobre 1972, con in copertina Edwin Land e la Polaroid SX-70.

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di Maurizio Rebuzzini

Conosco Sandro Vermini, di Genova, identificato più come “Pillola” che per nome-cognome, da talmente tanti anni, che nessuno di noi due ha modo e intenzione di quantificarli esattamente. In un certo senso, clamorosamente autentico, ho la sensazione di conoscerlo da sempre, per quanto attribuisca questa quantificazione assoluta al mio tempo fotografico, ovvero alla dose di decenni che spartisco con la Fotografia, a partire dai primi anni Settanta del Novecento.

Sono certo che Pillola ci sia sempre stato, in relazione e dipendenza del suo vivere le trasversalità fotografiche, oltre lo svolgimento della professione. In ogni occasione di incontro -per fiere nazionali e internazionali, mercatini, conferenze stampa, visite mirate e altro ancora-, la sua partecipazione è sempre curiosa, sia nel senso della sua osservazione attenta, sia in quello del suo comportamento.

tempi: fotografa

mio poi, all’incontro successivo, consegna immancabilmente copie colore a ciascuno. Quindi, il ciclo riprende la propria corsa: altre fotografie e relative stampe successive; altre fotografie ancora e relative stampe successive... all’infinito.

Però, lo confesso, per quanto sia cosciente degli approcci sociali e conviviali di Sandro Vermini - Pillola, conosco poche sue fotografie professionali, che ho potuto avvicinare, in tempi sostanzialmente recenti, attraverso due intense raccolte monografiche, entrambe a cura di Vittorio Sirianni; in questo ordine temporale: Quella meravigliosa Genova. Le foto[grafie] inedite di Pillola raccontano gli anni ’50 e ’60, del 2017, e, a seguire, Le belle e le feste. Le foto[grafie] inedite di Pillola raccontano gli anni ’70 e ’80, del 2018. Dalla cui sequenza, estraiamo una personalità fotografica presente in cronaca... che è diventata anche Storia.

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In due tutto e tutti e Pensiamo a Sandro Vermini, fotografo genovese, conosciuto come Pillola, e non importa perché. Ha compiuto i novant’anni, oltre settanta dei quali vissuti con occhio attento e mente partecipe alla Fotografia e ai suoi intrecci. Da e con Paul Anka (e Gilles Thibaut e Claude François): Rimpianti, ne ho avuto qualcuno / Ma poi di nuovo, troppo pochi da menzionare / Ho fatto quello che dovevo fare e l’ho portato a termine senza esenzione / Ho pianificato ogni itinerario tracciato, ogni passo attento lungo la strada / E di più, molto di più di questo, l’ho fatto a modo Manhattan, sabato 30 ottobre 1999, incontro casuale (?) con Sandro Vermini - Pillola, all’Annex Antique Market, sul la Twenty Third street. Sandro VerminiPillola
(continua a pagina 30)
Maurizio Rebuzzini
25 [doppia
pagina successiva 26-27]
Sandro VerminiPillola ( Photo East , Nyc, ottobre 1992)

Leica M6 Platino, coniata nel 1989: per i centocinquant’anni della Fotografia (1839-1989), coincidenti con i settantacinque della Leica (19141989), con personalizzazioni finalizzate. È la Leica che Sandro Vermini - Pillola ha usato per anni e anni, infischiandosene del suo prestigio e valore collezionistico, a favore -invecedella sua eleganza, allineata a quella della sua personalità di fotografo. Segnaliamo la presenza dell’impugnatura M-Grip, di Larry Marcus [su questo stesso numero, anche a pagina 35].

Senza ombra di dubbio, al mondo, questa dovrebbe / potrebbe essere l’unica Leica M6 Platinum / “150 Jahre Photografie - 75 Jahre Leica” - con Summilux-M 35mm f/1,4- ad aver scattato almeno una fotografia. Le altre sono esposte/custodite in bacheca.

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(3)
Antonio Bordoni

Ancora sabato 30 ottobre 1999, a Manhattan, New York City, la mattina dell’incontro casuale (?) con Sandro Vermini - Pillola, all’Annex Antique Market, sulla Twenty Third street, già evocato in apertura di intervento redazionale, a pagina ventiquattro. Ancora una sua fotografia, in testimonianza del nostro vagabondare per bancarelle, con attenzione “fotografica”. In queste occasioni, non si trovano oggetti; quanto, in percorso inverso, sono gli oggetti che trovano e scelgono noi.

Nello specifico, dubbi (?) sul manuale Graphic Graflex Photography, in settima edizione 1945. Dubbi? Forse, sì... per qualche attimo; da allora è, nella nostra biblioteca: WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

da pagina 24)

Per i novant’anni anagrafici di Sandro Vermini - Pillola, ci siamo incontrati a Genova. È venuto a prendermi alla stazione ferroviaria di piazza Principe, presentandosi in pantaloni bianchi, blazer blu e cravatta a vistose righe trasversali rosse e blu, su fondo bianco. Molto elegante, per una calda giornata estiva. Improvvisamente, mi sono reso conto di non averlo mai visto senza giacca e cravatta (e macchina fotografica appresso): «Se dovessi essere convocato di fretta, per un servizio fotografico, devo essere sempre presentabile, in qualsiasi luogo o situazione». Perentorio... e âgée, in un mondo, quale è questo attuale, nel quale garbo e rispetto non sono più considerati valori.

In auto, ad accogliermi, Frank Sinatra con le note di New York New York, in merito e onore ai nostri trascorsi comuni a Manhattan, in occasione di appuntamenti fotografici mirati. Dopo una prima esecuzione, una seconda, una terza e via all’infinito, in loop.

Da cui, giocoforza, il nostro dialogo si è presto indirizzato a riferimenti dal passato, che entrambi sappiamo essere in comune. Anzitutto, le biografie di stimati fotografi, soprattutto statunitensi (che si possono raccontare, che possono essere

raccontati, grazie a un’attenzione pubblica e una coerenza bibliografica assenti in altre geografie); quindi, il fantastico mondo dei fumetti (comics) dai decenni scorsi, ancora statunitense, sulle cui strisce lui ed io, a distanza e indipendentemente l’uno dall’altro, ci siamo in qualche misura formati: a partire da Milton Caniff e il suo fantastico Steve Canyon [in incompetenza di richiamo, più che legittima, oggi, è facile andare a informarsi, soprattutto dalla e con la Rete].

E, poi, inevitabile, il casellario scandito a doppia voce, e in alternanza di richiami: Jack Kirby, prima con Marvel e poi con DC Comics, per The Fantastic Four e X-Men ; Bill Watterson, di Calvin and Hobbes ; William Hanna [Hanna-Barbera, con Joseph Joe Barbera], di Tom and Jerry, i Flintstones e Scooby-Doo; Gary Larson, di The Far Side; Charles M. Schulz, dei Peanuts (Charlie Brown, Linus, Snoopy e compagnia); Robert Crumb, fondatore anche della prima major di settore, la Zap Comix; Jim Davis, di Garfield ; Garry Trudeau, di Doonesbury ; Charles Addams (Chas Addams), di The Addams Family ; Art Spiegelman, di Maus (Premio Pulitzer, per aver reso popolare il nesso dei fumetti tra gli studiosi); Al Capp, di Li’l Abner. E tanto altro, ancora.

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Sandro VerminiPillola (continua

Qui e oggi, sono sufficienti queste rievocazioni (anche comuni) per garantire di una personalità fotografica degna di grande nota e attenzione assoluta. A parte corollari distribuiti a ornamento e per presentazione, una sola fotografia di Sandro Vermini - Pillola. Una commossa osservazione trasversale dalla fiera tecnico-commerciale Photo East, a New York City, al Jacob Javits Convention Center, dell’autunno 1992: uno dei più emozionanti dietro-le-quinte della vita quotidiana della fotografia mercantile per come anche noi l’abbiamo frequentata e attraversata... spesso in compagnia di Pillola, al quale calza a pennello, come un elegante abito su misura, di prestigiosa sartoria, il testo che Paul Anka ha declinato per Frank Sinatra (dal 1969), sulla musica del motivo francese Comme d’habitude, composto da Jacques Revaux, con testi di Gilles Thibaut e Claude François, che l’incise nel 1967. Già: My Way... A modo mio. In traduzione plausibile.

«E ora, la fine è vicina / E così affronto l’ultimo sipario / Amico mio, lo dirò chiaramente / Esporrò il mio caso, di cui sono certo / Ho vissuto una vita così piena / Ho viaggiato in lungo e largo per ogni autostrada / E di più, molto di più di questo, l’ho fatto a modo mio

«Rimpianti, ne ho avuto qualcuno / Ma poi di nuovo, troppo pochi da menzionare / Ho fatto quello che dovevo fare e l’ho portato a termine senza esenzione / Ho pianificato ogni itinerario tracciato, ogni passo attento lungo la strada / E di più, molto di più di questo, l’ho fatto a modo mio

«Sì, ci sono state delle volte, sono sicuro tu lo sapessi, / in cui ho preso un boccone più grande / di quello che fossi in grado di masticare.

«Ma nonostante tutto, quando c’era il dubbio / l’ho mangiato e poi l’ho sputato fuori. / Ho affrontato tutto e ho puntato alto e fatto a modo mio

«Ho amato, ho riso e pianto / Ho avuto le mie soddisfazioni, anche la mia parte di sconfitte / E ora, mentre le lacrime si placano, trovo tutto così divertente / Pensare che ho fatto tutto ciò / E posso dire, senza timidezza / io, l’ho fatto a modo mio

«Cos’è un Uomo, che cosa gli appartiene? / Se non se stesso, allora non ha niente / Per dire le cose che davvero sente / E non le parole di uno che si inginocchia / La storia mostra che ho preso i miei colpi / E l’ho fatto a modo mio.

«Sì, era la mia strada». A modo suo. ■ ■

Conclusione che, come la pagina accanto, in sequenza analoga, riprende l’apertura di questo intervento redazionale dedicato alla personalità -non soltanto fotografica- di Sandro VerminiPillola [da pagina ventiquattro]. Individuata una Speed Graphic all’Annex Antique Market, di New York City, sulla Twenty Third street, inevitabile (!) fotoricordo con accompagnamento di Leica M6 (questa volta, non Platino), sempre con M-Grip aggiuntiva. Sinceramente, non ricordiamo (ed è più unico che raro); ma escludiamo che Sandro Vermini l’abbia acquistata, dopo la fotoricordo. Non fosse altro perché di Speed Graphic, anche allora, già ne possedeva una certa quantità e qualità. Come potrebbe essere altrimenti?

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Maurizio Rebuzzini

Nel proprio sistema ottico di attualità tecnico-commerciale, TTartisan offre anche obiettivi in baionetta Leica M, che declinano una personalità di prestigio e valore. Non si tratta di comparazioni con altro, ma di autentica proprietà intellettuale che si indirizza a un comparto, quello dell’utenza Leica M, che dovrebbe farne tesoro. E, poi, c’è anche altro (tanto), per sensori Full Frame e APS-C. Ne riferiamo “a distanza” e in “partecipazione” diretta. Comunque sia, si intenda sempre e soltanto la creazione di immagini, l’espressione della propria creatività, e il piacere non secondario del conciliante rapporto individuale con gli strumenti. Nella propria forma per il contenuto

ESTETICA DELLA FUNZIONALITÀ

In parata, linea di obiettivi TTartisan M, in baionetta Leica M: oltre l’efficacia delle proprie relative prestazioni fotografiche (nessun dubbio), la convincente estetica: forma per il contenuto.

di Antonio Bordoni Curiosa la vita. Curiosi mille suoi aspetti, anche parziali, anche settoriali. Curioso che, da pagine analoghe a queste nostre, si parli e scriva sempre di apparecchi fotografici, registrandone soprattutto la crescente quantità di applicazioni (e qualità, certo), soprattutto oggi, in era/epoca di acquisizione digitale di im-

magini, con caratteristiche tecniche e di utilizzo sempre più inebrianti: ormai, è facile. Comunque, a ben considerare, è sempre stato così, per quanto, in tempi “meccanici” precedenti, esaurite le considerazioni sovrastanti, ci si attardava sull’escursione della corsa della leva di avanzamento della pellicola, dopo lo scatto (centoventi-centotrenta gradi era-

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TTartisan M 21 mm f /1,5 Asph TTartisan M 35 mm f /1,4 Asph TTartisan M 50 mm f /0,95 Asph TTartisan M 28 mm f /5,6 TTartisan M 50 mm f /1,4 Asph TTartisan M 90 mm f /1,25

Già! Eleganza e forma per il contenuto. Gli obiettivi TTartisan M, in baionetta Leica M, sono confezionati in raffinati box, che ne sottolineano la preziosità fotografica. Si torna a tempi durante i quali non si concedevano scorciatoie. Si lavorava con attenzione, e si curava ogni

aspetto del prodotto. Se ne prendeva in considerazione ogni parte, e ciascuna era progettata e realizzata esattamente come avrebbe dovuto. Non si allentava l’attenta autodisciplina nemmeno riguardo ad aspetti che di norma non sarebbero stati percepibili. Forse.

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Andreas Ikonomu (4)

DA JOHNNY CASH A TT artisan / LEICA

no conteggiati come inadatti), sul peso (meglio più che meno), sulla rapidità del meccanismo di apertura del dorso, per il caricamento della pellicola. Altri tempi, ma modi sostanzialmente identici.

Alla ricerca di doti concrete e tangibili, per gli obiettivi si sono inventati i test di resa ottica, (malamente) disposti e adattati da quelli approfonditi e seri applicati dalle case costruttrici al fine di analizzare periodicamente lungo la linea di produzione: dati i nostri precedenti scolastici, evocati anche in altra parte della rivista, su questo stesso numero, ancora in relazione a un obiettivo, testimoniamo per quanto osservato e valutato direttamente presso stabilimenti europei dai quali sono uscite grandiose famiglie professionali. A completa differenza, i test casalinghi sono altro, che poco hanno a che fare con l’effettiva quantificazione qualitativa: ma, tanto è. Basta l’apparenza; basta l’evocazione.

All’inizio dello scorso maggio, ho svolto una sessione didattica sulla presenza della Fotografia al Cinema, sue sceneggiature, piuttosto che sue scenografie, presso l’Isia, di Urbino (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche): Quando la Fotografia va al Cinema - personaggi, interpreti e altro ancora ; sette ore (!), con accompagnamento di seicentodiciannove slide(s)... non certo casualmente 619, in quanto numero primo e ambigramma / omogramma.

A rinforzo di quanto presentato a proposito del film Flags of Our Fathers, di Clint Eastwood, sceneggiato attorno la celeberrima fotografia di Joe Rosenthal / AP, dei marine(s) che issano la bandiera statunitense sul monte Suribachi, nell’isola giapponese di Iwo Jima (23 febbraio 1945), ho inserito la segnalazione del disco a quarantacinque giri The Ballad of Ira Hayes, di Johnny Cash, del 1961.

Uno studente presente in sala (aula?) ne ha chiesto motivo: «Perché è un complemento che considero indispensabile; ovviamente, e ci mancherebbe altro, in base alla mia concezione di osservazioni con e per la Fotografia. Infatti, Ira Hayes -celebrato in Ballata- è uno dei sei marine(s) che issano la bandiera; quindi, Johnny Cash è un cantante statunitense di prima grandezza. Sia chiaro, comunque, che non vado cercando queste combinazioni, sono loro che -a volte- mi vengono incontro. Questo disco, l’ho individuato a margine di altre ricerche, indirizzate altrimenti. È arrivato per Caso (? per quanto, anche il Caso venga comunque indirizzato a priori dai nostri comportamenti, dai nostri indirizzi). Però, se non so che un complemento simile esiste, vivo tranquillo e sereno; se so che c’è... debbo averlo: Clown che fa raccolta di attimi / WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini ».

Sempre e comunque, in una idea / ipotesi secondo la quale non importa mai cosa si ha, ma -in gioco di consonanti- cosa si fa con ciò che si ha. In estensione di considerazioni, addirittura in metafora, se fossi un appassionato Leica M, se potessi permettermi di esserne collezionista e raccoglitore, potrei stare sereno con soli obiettivi Leica; ma, nelle stesse condizioni, se venissi a conoscenza della linea dedicata TTartisan M, non dubito che ne vorrei venire in possesso. Anche questa è Fotografia: qualsiasi cosa ciò significhi per ciascuno di noi. mR

In ogni caso, rese teoriche a parte, in Fotografia (qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi), quello che conta sempre e comunque non sono tanto i riscontri conoscitivi e speculativi, ma l’impegno, l’anima e le capacità degli autori. Così che, per quanto magari dotati di obiettivi astrattamente e ipoteticamente di altissimo valore formale proprio, troppi fotografi di tutti i giorni -professionisti o non, che siano- finiscono per realizzare immagini di una tanta e tale modestia di contenuto... che mette a disagio e in imbarazzo.

Allo stesso tempo e momento, l’attualità della progettazione e costruzione ottica -per quanto ci riguarda, quella indirizzata alla fotografia (e al video)- sia ormai approdata a mete qualitative alla portata di ciascun produttore -nessuno escluso-, quello che ancora oggi può fare la differenza sono l’inventiva e la creatività delle singole interpretazioni, magari oltre i passi standardizzati stabiliti e accettati dal mercato.

Tanto e tale lungo preambolo per introdurre il pensiero, la filosofia di un marchio che sta animando il comparto fotografico con definizioni fotografiche di eccellente personalità. In presentazione di una identificata linea di obiettivi TTartisan -eccoci qui!-, non attuiamo alcun test teorico: siamo fermamente convinti che la qualità fotografica sia più che adeguata, addirittura eccelsa, perfino ottimale, nientemeno di classe alta... certamente superiore a quella fotografica che compone l’ossatura delle singole personalità creative ed espressive in azione.

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WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

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(altrimenti

come Canon Dream o Dream

), dal 1961, accanto alla nostra Leica M2, con noi dal 1974, con TTartisan M 50mm f/0,95 Asph, di stretta attualità tecnico-commerciale. Due combinazioni fotografiche che stanno alla base di progetti in nuce. Da notare, anche a ancora, l’impugnatura artigianale M-Grip, di Larry Markus, sulla Leica M2, e l’adattatore a leva per il bottone di riavvolgimento.

Invece, per quell’equilibrio che allinea la forma ai contenuti (da e con Vasilij Kandinskij [oppure, Wassily Wassilyevich Kandinsky], di Punto, linea superficie. Contributo all’analisi degli elementi pittorici ; Adelphi, dal 1968), sottolineiamo come e quanto gli obiettivi TTartisan siano coerenti con una definizione progettuale e produttiva non gerarchica; ovvero, recitino un copione paritetico tra sostanza (prestazioni fotografiche ottimali) e foggia (aspetto esteriore ed estetico).

In nostro percorso dichiarato (in riquadri pubblicati a complemento), due sono le direttive TTartisan verso le quali ci siamo indirizzati anche personalmente, e una delle due, quella rivolta al sistema fotografico Leica M, di prestigio assoluto e inviolabile, ancora oggi -in interpretazione digitale- dopo decenni (storici) di fotografia chimica, si impone per motivi più che legittimi, oltre che intuibili.

Se non che, c’è una condizione sovrastante: questi obiettivi vanno incontrati dal vivo, in avvicinamento conoscitivo diretto e partecipe, che ne risalti quelle loro peculiarità esteriori e formali che valgono valori di eccellenza assoluta. Ribadiamo: otticamente sono ottimi e pertinenti, e non servono test casalinghi a riprova. Quindi, formalmente si combinano alla perfezione con i corpi macchia verso i quali sono destinati, per quanto il nostro -una (ormai) antica M2 di lunga e profonda militanza- possa apparire anche meno adatto: ma, attenzione, si considerino anche le sue relazioni complementari di tutto rispetto (e raffinatezza).

Cioè, intendiamo che non ne basta la raffigurazione in catalogo, che pure serve nell’orientamento, ma vanno con-

siderati in toto, a partire dalla raffinata confezione compresa, che oggi e ora visualizziamo per quanto possibile farlo.

Da qui, in ordine.

TTartisan M 21mm f/1,5 Asph, ad ampio angolo di campo (92 gradi) sul frame / fotogramma Full Frame, che risveglia antichi sapori mai dimenticati. Magari, per tornare al Super-Angulon f/4 originario, in disegno ottico Schneider, nato in montatura a vite 39x1, nel lontano (lontanissimo) 1958, per riproporsi subito anche in baionetta M, con apertura relativa f/3,4, dallo stesso Cinquantotto, e cedere il passo, nel 1980, al Leitz Elmarit 21mm f/2,8. Qui e ora è altro, sia per la costruzione ottica asferica, in un disegno di tredici lenti in undici gruppi, sia per la generosa apertura relativa f/1,5, coincidente con l’f/1,4 dell’attuale Leica Summilux-M 21mm.

TTartisan M 28mm f/5,6... un gioiello di estetica (della funzionalità!), che riprende e ripropone il design che ha caratterizzato gli obiettivi Leitz / Leica delle origini della nobile produzione fotografica. Allineato al corrente Leica Summaron-M 28mm f/5,6, recentemente riproposto, alla stessa maniera, per focale e costruzione, riprende i parametri dell’Hektor 28mm f/6,3, dal 1935, coraggioso grandangolare che -ai propri tempi- fu addirittura clamoroso, per visione angolare e ardito accoppiamento al telemetro di messa a fuoco. Analogamente, montature ottiche analoghe vanno riferite alla genìa Elmar di buona memoria; soprattutto, in costruzione meccanica rientrante (50mm f/3,5 e f/2,8 e 90mm f/4).

TTartisan M 35mm f/1,4 Asph, che -evidentemente- corre in corsia accanto all’at-

Chi ha avuto modo di fotografare con Leica M2, come questa nostra, consumata dagli anni, è cosciente di una certa inutilità sostanziale del mirino di inquadratura della focale 28mm: qui da combinare, ufficialmente, con l’affascinante TTartisan 28mm f/5,6, in livrea d’annata. Nel caso della Leica M2, con mirino multifocale che esordisce al grandangolare 35mm, si può prevedere l’inquadratura più ampia 28mm, considerando il mirino completo, oltre le cornici che delimitano l’inquadratura 35mm. Da cui, per conseguenza, la slitta porta accessori superiore, libera da mirino supplementare, può essere occupata dall’esposimetro esterno TTartisan, proficuo in molte occasioni.

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(3)
Andreas Ikonomu Canon con 50mm f/0,95 identificato Lens

Ancora in notazione personale e individuale, da altra nostra combinazione per progetti fotografici sempre in nuce: con Fujifilm X-Pro 2... personalizzata (da un superfluo, per quanto gradito, appoggio del pollice della mano che impugna l’apparecchio). Obiettivi TTartisan dalla consistente famiglia per sensori APS-C (Mirrorless): nello specifico, TTartisan APS-C 7,5mm f/2 Fish Eye e, per nostre intenzioni mirate, grandangolari TTartisan APS-C 17mm f/1,4 e TTartisan APS-C 23mm f/1,4, in montatura meccanica ereditata da interpretazioni ottiche del passato.

In ogni caso, nostre predilezioni a parte, ciascuna finalizzata verso progetti fotografici indirizzati (ad personam), il sistema ottico TTartisan per la fotografia dei nostri giorni è scandito da tre famiglie ottiche: per sensori ad acquisizione digitale di immagini in dimensioni APS-C, per sensori Full Frame e per Leica M (qui e oggi in passerella), ognuno in baionetta per sistemi fotografici di attualità tecnico-commerciale. In combinazione, sono previsti anelli adattatori per l’agevole passaggio da un innesto ad altri corpi macchina, praticamente senza alcuna soluzione di continuità.

In tutti i casi, per ognuno degli obiettivi TTartisan, per qualsiasi destinazione fotografica siano previsti e preventivati, si considerino le note qualificanti sottolineate nel corpo centrale dell’attuale intervento redazionale: quanto riferito alla baionetta Leica M è da estendersi a ogni innesto per altri sistemi.

tuale Summilux-M. Riflessione imposta: è stato affermato, sarebbe stato affermato (?), che la combinazione più armoniosa delle Leica M meccaniche sarebbe quella con l’obiettivo 35mm (e, certamente, si richiamano tempi antecedenti la diffusione capillare dell’inquadratura più ampia 28mm). Per quanto interessi a nessuno la nostra posizione al riguardo, potremmo anche essere d’accordo, anche se, però, l’abbiamo sempre interpretata in combinazione Leica M2 con Summicron 35mm f/2, dall’inizio degli anni Settanta di nostro coinvolgimento fotografico.

TTartisan M 50mm f/0,95 Asph! Più che all’ovvio Noctilux-M di identica identificazione, di attualità tecnico-commerciale, erede degli f/1,2 e f/1 originari, rispettivamente dal 1966 e 1976, per nostra indole e disposizione (âgée ?), e parlandoci addosso, torniamo al leggendario Canon 50mm f/0,95, con corpo macchina destinato Canon 7. Sia chiaro, rimanendo in tema: l’interpretazione TTartisan ha nulla da invidiare a quella Leica, sia per consistenza fotografica (non solo alla luce delle fotografie che ognuno di noi può realizzare), sia per eleganza e classe formale. Ed è soprattutto di questo che stiamo scrivendo. Comunque, con Marco Cavina, eminenza grigia dell’ottica fotografica senza confini di Tempo: «Nel 1961, vide infine la luce (è proprio il caso di dirlo...) l’incredibile Canon 50mm f/0,95, immediatamente ribattezzato Canon Dream o Dream Lens : mai era stato prodotto in serie un obiettivo di tale luminosità, al di là dell’incredibile barriera psicologica di f/1». L’abbiamo appena rivelato... «parlandoci addosso»: in apposito riquadro, a pagina 35.

TTartisan M 50mm f/1,4 Asph: in ripetizione di concetti e valutazioni, si ribadisce quanto già riferito al 35mm f/1,4 Asph, di qualche periodo (d’articolo) fa. Tanto... quanto.

TTartisan 90mm f/1,25: appena più luminoso dell’Apo-Summicron-M 90mm f/2 Asph, suo palese allineamento tecnico-commerciale; e diverso, sia chiarito subito, dal Summarit-M 90 mm f/2,4 di altro passo ottico e, soprattutto, dall’odierno Thambar-M 90 mm f/2,2, da poco riproposto nel sistema ottico Leica M, in onore e richiamo all’originario del 1935, corredato di un filtro particolare finalizzato alla resa morbida, soft focus [se interessa a qualcuno, uno dei rimorsi della nostra vita: si prova rimpianto per qualcosa che non si è fatto e rimorso per qualcosa che si è fatto... appunto].

Conclusione ovvia, forse. Se c’è stato un tempo durante il quale gli obiettivi cosiddetti “universali” hanno rappresentato una scorciatoia, soprattutto economica, per accostarsi a dotazioni fotografiche desiderate, accedendovi con costi di acquisto più convenienti rispetto quelli “originali”, quello stesso tempo si è concluso, esaurendosi in un mercato attualmente più variegato che in passato.

Oggigiorno, tutte -proprio, tutte- le proposte ottiche vanno interpretate per se stesse e la propria opportunità di impiego, non necessariamente “in vece” d’altro. Tra tanti possibili riferimenti e richiami in questo senso, oggi e qui, abbiamo elevato la produzione ottica TTartisan M di valore e pregio: per quanto offre in propria personalità di intenti.

Ovverosia, la forma per il contenuto. Onore e merito. ■ ■

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Andreas Ikonomu

Dall’elogio funebre di Edward (interpretato da Jack Nicholson) alla morte di Carter (interpretato da Morgan Freeman), nel film Non è mai troppo tardi (The Bucket List ), di Rob Reiner, del 2007. Due malati terminali, di condizioni economiche diametralmente opposte, che dividono la camera d’ospedale, dedicano il tempo che rimane loro per soddisfare una identificata serie di desideri non appagati durante le rispettive vite.

“Gli ultimi sei mesi della sua vita sono stati i migliori della mia.”
FOTO graphia / D ialoghi / 08

Sono animali, quelli raffigurati da Joachim Schmeisser per il suo progetto Last of Their Kind, raccolto in preziosa e autorevole monografia TeNeues? Forse sì, forse non soltanto. Nel tangibile, sono Fotografie-di-Animali: la differenza è sostanziale, perché tra il soggetto e la propria rappresentazione prevede un Cuore, un’Anima, una Vita, e tanto altro ancora. La differenza tra le intenzioni e la relativa elaborazione visiva è proprio e giusto il suo svolgimento fotografico ! L’attento e capace autore è chiaramente coinvolto nell’argomento che presenta, e con questo ha assolto il perché. Quindi, all’atto pratico, ha declinato e interpretato una Fotografia autenticamente tale, applicando un come che ne stabilisce il passo e determina il valore

di Angelo Galantini Si svolgono accadimenti, e ci sono Parole che li enunciano, esponendoli in Poesia.

Ermeticamente: Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie. Parafrasi compilata da Giuseppe Ungaretti (1888-1970), che riferisce l’esperienza di un poeta-soldato in trincea, verso la fine della Grande guerra (successivamente, conteggiata come Prima), nel 1918: per l’appunto, Soldati. Ma, nella propria forza d’impatto, la stesura -una delle poesie più corte al mondo- si può estendere a ogni condizione di disagio estremo, magari secondo ciascuna unità di misura individuale.

In incipit di tante altre considerazioni: Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada sia lunga, / fertile in avventure e in esperienze. Quindi, in conclusione: Itaca ti ha dato il bel viaggio; / senza di lei, mai ti saresti messo sulla via. / Nulla di più ha da darti. / E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. / Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso / già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. Con questo, in introspettiva e nostalgia (forse), il poeta greco Kostantinos Petrou Kavafis (in Italia, spesso, solo Costantino Kavafis; 1863-1933) segnala e sottolinea il destino umano, riferendosi all’inquietudine connaturata all’Uomo.

Dal quotidiano delle esistenze, all’origine di una presenza condivisa: Cosa portavi, bella ragazza, / cosa portavi al tuo primo amore? / Portavo in dote quelle parole / che lui non seppe mai dire a me! (Cosa portavi bella ragazza, di Enzo Jannacci [1935-1913], in Sei minuti all’alba, 1966). Nessuna aggiunta; è tutto già espresso.

Si svolgono accadimenti, e ci potrebbero essere Immagini (Fotografie!) che li enunciano, esponendoli in altrettanta Poesia. È difficile farlo, tanto quanto non è sempre agevole sapersi esprimere a Parole.

Soprattutto oggi, soprattutto in tempi durante i quali (inevitabili) semplificazioni di impiego hanno portato a troppe belle fotografie inutili, ovvero in tempi tutt’altro che selettivi (anche riguardo le parole che vengono espresse sulla Fotografia), dobbiamo essere grati a quegli Autori che, data una propria visione, perseguito un proprio progetto, sanno dare vita ai soggetti raffigurati, con rappresentazioni di profilo talmente alto da offrirsi come inestimabile figurazione, che raggiunge il cuore e la mente dell’osservatore (oppure, a ciascuno il proprio, con altro percorso, la mente e il cuore).

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Joachim Schmeisser / www.immagis.de

Queste considerazioni, in costante e irrinunciabile (per noi) forma di osservazione (mai, giudizio), sono state irresistibilmente ispirate da una monografia fotografica a dir poco esaltante: Last of Their Kind, del tedesco Joachim Schmeisser (1958-). Ultimi nel loro genere / Ultimi dei loro re, in traduzione ordinaria e piatta, è l’ennesimo progetto dell’utopistico fotografo, coerentemente vicino alla raffigurazione/rappresentazione di animali in via di estinzione (causa l’Uomo, non la Natura).

[Attenzione, “utopistico fotografo” in un senso voluto e ricercato, oltre che ammirato. Da e con lo scrittore uruguaiano Eduardo Hughes Galeano (1940-2015): «L’utopia è come

l’orizzonte: cammino due passi e si allontana due passi. / Cammino dieci passi e si allontana dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. / E allora a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare»].

Già l’argomento affrontato da Joachim Schmeisser -animali africani in via di estinzione- è profondo e drammaticamente attuale. E siamo d’accordo. Ma, sia chiarito subito, ciò che fa la differenza tra le intenzioni e la relativa elaborazione visiva è proprio e giusto il suo svolgimento fotografico ! L’attento e capace autore ha chiaramente nel cuore l’argomento che presenta, e con questo ha assolto il perché. Quindi, all’atto pratico, ha declinato e interpretato una

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Fotografia autenticamente tale, applicando un come che ne stabilisce il passo e determina il valore Ermeticamente (con Giuseppe Ungaretti), con inquietudine connaturata all’Uomo (con Kostantinos Petrou Kavafis) e dal quotidiano delle esistenze, in sua presenza condivisa (con Enzo Jannacci), Joachim Schmeisser ha realizzato Fotografie autenticamente esplicative (esegetiche) del proprio linguaggio. In doverosa ripetizione, da altre precedenti richiami, con Edward Steichen: «Missione della Fotografia è spiegare l’Uomo all’Uomo, e ogni Uomo a se stesso». Da cui e per cui, in presentazione giornalistica in forma di portfolio, che dà visibilità (anche apparente) a una sele-

zione di immagini dal progetto / dalla monografia, nessuna rilevazione “critica”, composta da retoriche stoppose (tanto care a coloro i quali...). Ma solo rispetto.

Ci si inchini davanti a queste Fotografie -proprio, Fotografie-, sia per ciò che visualizzano in quanto soggetto a monte di tutto, e che offrono all’anima di ciascuno di noi, sia per quanto e come Joachim Schmeisser ha colto e raccolto princìpi visivi caratteristici del lessico implicito della Fotografia, magica combinazione di regole razionali e usi arbitrari. In forma più che dialettica, sia stabilito che la sua è autorevole Fotografia. Che, nel suo caso, vale più di...

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(continua a pagina 44)
Joachim Schmeisser / www.immagis.de (5)

(continua da pagina 41)

Nel concreto e nei fatti, questo progetto e questa monografia (secondo libro dell’autore sul medesimo argomento) si offrono e propongono come tributo commovente e partecipe alla bellezza unica e irripetibile della fauna africana in via di estinzione. In introduzione al volume, l’attore statunitense, originario del Benin, Djimon Hounson (1964-; Il gladiatore, di Ridley Scott; Amistad, di Steven Spielberg; Blood Diamond, di Edward Zwick; due nomination agli Academy Awards / Oscar; WildAid Ambassador per leoni e pangolini), è esplicito: «Questo libro è un meraviglioso contributo all’umanità nell’ispirarci a imparare, a guadagnare

e a tornare restituendo. È nostro obbligo intrinseco riscrivere il male e liberarci dalla distruzione del nostro pianeta». Attualmente, stiamo vivendo la sesta grande estinzione di specie nella storia; questa volta, più delle precedenti, per causa/colpa dell’Uomo: ogni giorno, dalla Terra scompaiono circa centocinquanta specie animali. La perdita di biodiversità su una scala senza precedenti è più minacciosa del cambiamento climatico, perché la biodiversità è la base della nostra esistenza. Senza, non possiamo sopravvivere. In raffinata e autorevole edizione teNeues, Last of Their Kind, di Joachim Schmeisser, è dedicato ad alcune delle creature più grandi e incantevoli dell’Africa, che stanno par-

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ticolarmente nel cuore dell’autore: leoni, rinoceronti, giraffe, ghepardi, leopardi e gorilla di montagna. Tutte affascinanti, sono state composte in ritratti intimi, che rivelano appieno le rispettive bellezze della Creazione: da cui, se così è legittimo interpretarlo, l’autore è stato insignito dell’autorevole e prestigioso Hasselblad Master Award 2012 per le sue immagini della vita naturale africana.

A un tempo omaggio e avvertimento, il progetto / la monografia educa e affina la nostra visione -per il solito offuscata- della natura unica, infinitamente complessa e vulnerabile: fino a consentire a ciascuno di noi di riconoscere quali tesori stiamo per perdere irrimediabilmente.

Sono animali, questi raffigurati da Joachim Schmeisser? Forse sì, forse non soltanto. Sono Fotografie-di-Animali: perché tra il soggetto e la sua rappresentazione si prevede e considera un Cuore, un’Anima, una Vita e tanto altro ancora. Fotografie di Joachim Schmeisser. ■ ■

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@joachimschmeisser JOACHIM SCHMEISSER

S ILVESTRI L UPES

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per visione ingrandita in trasparenza (su vetro smerigLiato) e rifLessione (stampe...)

Lupe di alta qualità ottica e meccanica, per diversi impieghi: fotografia, arti grafiche, collezionismo, numismatica, filatelia, calligrafia, elettronica, micromeccanica, controllo di lavorazioni.

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Sono stati applicati schemi ottici di tre o quattro lenti in due gruppi, equivalenti a correzioni che -nella storia della progettazione fotografica- sono state riservate agli obiettivi di alta qualità. In confezione con propri accessori: frontale trasparente per originali opachi, sacca protettiva, laccio-tracolla.

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SFIORISCI BEL FIORE

Non abbiamo osservato in anticipo temporale, ma atteso per rilevare quanto supposto: purtroppo (?). Per il sessantesimo anniversario dalla scomparsa di Marilyn Monroe, uno dei Miti del nostro tempo (travolto da troppo presente?), poche rievocazioni e inevitabile inizio di declino mediatico. Magari, tra quattro anni, ci saranno clamorosi risvegli per il centenario dalla nascita (Primo giugno 1926-2026). Per ora, il fiore sta sfiorendo. Appassendo, forse

di Maurizio Rebuzzini (con Santi A. Urso)

In base ai rispettivi cammini di Vita, ognuno di noi ha propri riferimenti esistenziali. In un percorso di scolarità secondaria -nessun liceo-, molti dei nostri sono stati coltivati in una cultura popolare milanese (quando e per quanto certa geografia ha avuto senso), che ha anche espresso eccellenze che ci hanno arricchiti; speriamo, migliorati. Come potrebbe essere chiaro a coloro i quali leggono e individuano anche tra le righe, a vertice di tanti riferimenti di quelle stagioni (dai secondi anni Cinquanta del Novecento), collochiamo la singolare e anomala per-

sonalità di Enzo Jannacci, ufficialmente cardiologo («E poi, secondo me, vale più un bel poster da dottore / Che imparare il belga dal babbo minatore» [in Secondo te... che gusto c’è, del 1977; con evidente richiamo al disastro minerario di Marcinelle, nella miniera di carbone Bois du Cazier, a Marcinelle, appunto, in Belgio, dell’8 agosto 1956, nel quale morirono duecentosessantadue minatori (262!), in maggior parte immigrati italiani]).

Per quanto riguarda l’incipit odierno, in rilevazione dell’indebolimento del Mito di Marilyn Monroe, registrato in occasione del sessantesimo dalla (prematura e controversa) scomparsa, il 4 agosto

Dalla consistente e approfondita monografia Norman Mailer. Bert Stern. Marilyn Monroe, del 20112012 [in dettaglio di edizioni, a pagina 49], Marilyn Beads, del 1962, malinconico ritratto che finalizziamo all’ipotesi in titolo. Ovviamente, è opinione personale, per quanto declinata su un dato di fatto, in qualche modo e misura oggettivo.

Forse sì, forse no.

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Bert Stern: Marilyn Beads (1962)

IN EVOCAZIONE E CELEBRAZIONE

In distribuzione libraria dallo scorso ventotto luglio, La bellezza di Marilyn è una consistente celebrazione in occasione dei sessant’anni dalla sua scomparsa (quattro agosto, negli Stati Uniti; cinque agosto, in Italia): intenso racconto corale sul Mito. Pubblicato da Contrasto Books, nella collana Lampi, il volume raccoglie e presenta una eccellente e qualificata selezione di interventi e riflessioni dedicati / dedicate a Marilyn Monroe. Quando Norma Jeane Mortenson -in arte Marilyn Monroe- morì, molte firme celebri vollero ricordarla. Come annota l’autorevole Goffredo Fofi (saggista, attivista, giornalista e critico cinematografico, letterario e teatrale; 1937-), in apertura di La bellezza di Marilyn : «Centinaia di altre [firme] continuano a spiegarcela a ogni anniversario, a interpretare la sua morte, a cercare di definire il suo fascino o a denigrare le sue qualità di attrice, la sua statura di donna. Che vasta antologia si potrebbe compilare, scegliendo il meglio e il peggio di questa prosa!».

Raccogliendo questa provocazione, il volume realizza un ritratto autentico e lontano dagli stereotipi dell’attrice che, a distanza di decenni, continua a imporsi come figura iconica, diventata mitica per la sua bellezza prorompente e il talento [?], ed esemplare per la sua vicenda personale. La “bellissima bambina”, che viene presentata in modo inedito dal racconto-ricordo dello scrittore statunitense Truman Capote (1924-1984), dal quale emergono fragilità e splendore insieme. Quindi, elegia / poesia sentimentale, lucida e commovente, tributata da Pier Paolo Pasolini (1922-1975; altra morte-assassinio controversa e mai chiarita) a una fragile e bellissima Marilyn nel finale del film La rabbia, del 1963 (in due parti: Guareschi contro Pasolini e Pasolini contro Guareschi ).

Ancora: una preghiera del nicaraguense Ernesto Cardenal (1925-2020) per la giovane che “sognò di essere una stella del cinema” segue la riflessione dello scrittore italiano Piergiorgio Bellocchio (1931-2022; mancato lo scorso diciotto aprile [casuale?: «Vi ricordate quel diciotto aprile, / d’aver votato democristiano / Senza pensare all’indomani / a rovinare la gioventù», di Lanfranco Bellotti) sul suicidio della diva.

In La bellezza di Marilyn, questi eccellenti testi sono accompagnati da una adeguata selezione di immagini realizzate da fotografi di Magnum Photos. Il percorso si chiude con il formidabile testo di Truman Capote.

la moglie è in vacanza

1962 (data statunitense; cinque agosto, in Italia), imperterritamente da e con Enzo Jannacci: «C’è un fiore di campo / che è nato in miniera [appunto] / per soli pochi giorni / lo stettero a guardar / di un pianto suo dolce / sfiorì in una sera / a nulla le nere mani / valsero a salvar. / Sfiorisci, bel fiore, / sfiorisci, amore mio / che a morir d’amore / c’è tempo, lo sai».

1962-2022: SESSANTA Qualcuno ci attribuisce buona memoria. Non è del tutto vero. Più che memoria, abbiamo ricordi, che percepiamo e visualizziamo in due maniere: dal nostro punto di vista originario; oppure, in visione dall’alto (zenitale? drone?), con noi stessi nella scena. Non abbiamo mai capito perché ci torni l’una o l’altra vista. Non ci spieghiamo la differenza. Ma c’è. Comunque, nello specifico, ricordiamo bene la mattina in cui, undicenni, in vacanza con la famiglia a Riva Trigoso, frazione di Sestri Levante, in Liguria, in provincia di Genova, andando verso la spiaggia, fummo accolti dai titoli cubitali dei quotidiani che annunciavano la morte di Marilyn Monroe. In percezione coerente, mia sorella Nella accanto a me; mia madre Martina davanti a noi; e mio padre Natale, al solito, in coda. Niente d’altro.

Probabilmente (?), ognuno di noi ha il suo film di Marilyn Monroe: Mito ben oltre il suo limitato curriculum cinematografico. Il nostro film di Marilyn Monroe -meglio, con Marilyn Monroe- è A qualcuno piace caldo, di Billy Wilder, del 1959 (Some Like it Hot ; a pagina 52). Nei panni di Sugar Kane Kowalczyk (in italiano, Zucchero Kandinsky), Marilyn Monroe è dolce e coinvolgente, e non ci interessano le memorie del regista, che ha lamentato quanto sia stato difficile farla recitare... decentemente.

Tra tanto altro, in una commedia degli equivoci, Marilyn Monroe / Sugar (Zucchero) può annoverare tante battute fulminanti, frutto di una brillante sceneggiatura, compilata dallo stesso regista Billy Wilder in coppia con I. A. L. Diamond. Sopra tutte, una in assoluto: «Sto per compiere venticinque anni; è un quarto di secolo, ti dà da pensare».

BIBLIOGRAFIA?

Ora! Ora, qualcosa sta svanendo. A parte una lodevole edizione Contrasto Books (qui, a sinistra), oggi, non c’è modo di protocollare pubblicazioni significative proposte a ridosso del sessantesimo dalla prematura e controversa scomparsa.

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La bellezza di Marilyn ; con testi di Truman Capote, Piergiorgio Bellocchio, Ernesto Cardenal, Goffredo Fofi e Pier Paolo Pasolini; Contrasto Books, 2022; 104 pagine 14x19cm, cartonato; 19,90 euro. Sul set del film Quando
, di Billy Wilder, 1954 (Elliott Erwitt / Magnum Photos / Contrasto)

Per registrare qualcosa di sostanzioso, si deve tornare al fatidico cinquantenario (1962-2012), in quantificazione più affascinante. In edizione originaria: Norman Mailer. Bert Stern. Marilyn Monroe; Taschen Verlag, 2011; 278 pagine 36,5x44cm, cartonato con sovraccoperta; in confezione di plexiglas a guscio, in Collector’s Edition (tiratura numerata e firmata dal fotografo Bert Stern; 1712 copie, da 251 a 1962; 1000,00 euro) e Art Edition (ancora tiratura numerata e firmata; 250 copie, da 1 a 125 e da 126 a 250; ogni copia comprende una stampa fotografica di Bert Stern, incorniciata in plexiglas; 4000,00 euro). E, dal 2012, in edizione standard: 276 pagine 28x33,8cm, cartonato con sovraccoperta; 80,00 euro.

Subito, una considerazione sovrastante. Come appena accennato, la prematura morte di Marilyn Monroe, quel quattro/cinque agosto di sessanta anni fa, è stata a dir poco controversa. Pochi hanno accettato la tesi del suicidio. Il giornalismo rosa internazionale ha sempre cavalcato ipotesi di complotto e omicidio (commissionato dai Kennedy, contro i Kennedy o dalla mafia), riprendendo sistematicamente rivelazioni nuove e sempre esclusive (?). Comunque, una morte mai chiarita, oppure arditamente alimentata da speculazioni giornalistiche che si sono distese sui decenni.

In ogni caso, in tutti i casi, oggi, nel sessantenario, evitiamo il casellario delle monografie su Marilyn Monroe che sono state pubblicate in questi ultimi decenni e che si sono editorialmente intensificate per il cinquantenario: volendola compiere, a ciascuno la propria ricerca al proposito. È facile e proficua.

Però, nell’obbligo delle date, non possiamo esimerci da due menzioni di spicco, almeno due. Anzitutto, l’ultima sessione fotografica con Bert Stern, storicizzata come The Last Sitting (tre giorni al Bel-Air Hotel, di Los Angeles, per il mensile Vogue, sei settimane prima del fatidico cinque agosto). Quindi, rievochiamo ancora Una notte con Marilyn, di Douglas Kirkland, in monografia 24ore Cultura, del 2001.

RICORDI INTENSI

E poi, nel concreto di quanto compreso in un casellario virtuale, ma palpitante, richiamiamo quanto rilevato da Santi A. Urso, recentemente mancato, acuto osservatore del costume e dello star system, in occasione del trentennale 1962-1992. Testuale, in estratto: «Diciamo la verità: ci ha tirato un bel bidone. “Ci” vuol dire a noi, a tutti noi, che con computer e macchina fotografica lavoriamo nel campo dell’intrattenimento e dell’informazione. Scomparsa a soli trentasei anni,

Norman Mailer. Bert Stern. Marilyn Monroe ; Taschen Verlag, 2011; 278 pagine 36,5x44cm, in confezione di plexiglas a guscio.

▶ Collector’s Edition: tiratura numerata e firmata; 1712 copie, da 251 a 1962; 1000,00 euro.

▶ Art Edition: tiratura numerata e firmata; 250 copie, da 1 a 125 e da 126 a 250; ogni copia comprende una stampa fotografica, incorniciata (Striped Scarf, del 1962; oppure, Contact Sheet, del 1962); 4000,00 euro.

▶ Taschen Verlag, 2012; 276 pagine 28x33,8cm; 80,00 euro.

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Bert Stern: Marilyn Vogue (1962) Bert Stern: Crucifix 2 (1962)

OTTOBRE 1999 ALL’ASTA

A fine ottobre 1999, nell’anno nel quale i New York Yankees hanno vinto le proprie venticinquesime World Series di baseball, giocando tutta la stagione con un piccolo numero “5” sul braccio delle casacche, in onore a Joe DiMaggio (numero 5, negli anni di propria gloria sportiva), mancato l’otto marzo, Christie’s New York ha messo in vendita una consistente quantità e qualità di proprietà private di Marilyn Monroe. Già il catalogo The Personal Property of Marilyn Monroe è stato opera monumentale: 416 pagine 21,5x27cm, cartonato con sovraccoperta; ottantacinque dollari (ventottomila copie di tiratura esaurite in un batter d’occhio: con un incasso totale di oltre due milioni di dollari [2.380.000 dollari], ai tempi, quasi quattro miliardi e mezzo di lire; oggi, sarebbero due milioni e duecentomila euro).

Quindi, la sessione d’asta è stata superlativa: ha realizzato oltre venticinque miliardi di (vecchie) lire, equivalenti a circa tredici milioni di attuali euro. L’aggiudicazione più alta è stata raggiunta dall’abito firmato Jean Louis, in garza di seta color carne, adornato con seimila paillette, con il quale, il 19 maggio 1962, tre mesi prima della sua scomparsa, Marilyn Monroe intonò, al Madison Square Garden, di New York, un indimenticabile e appassionato Happy Birthday, Mister President, per i quarantacinque anni di John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti che sarebbe stato ucciso il 22 novembre 1963: un milione duecentosessantasettemila cinquecento / 1.267.500 dollari (due miliardi e mezzo di lire, o un milione e trecentomila euro) [al centro, a destra].

Un altro abito, quello con il quale Marilyn ha cantato per i soldati americani impegnati nella guerra in Corea, nel 1954, è stato pagato centododicimila cinquecento / 112.500 dollari (duecentocinque milioni di lire, centomila euro abbondanti) [in basso].

Quindi, le istantanee a colori scattate da Marilyn, con Rolleiflex, al suo cagnolino, il maltese Maf[ia], sono state acquistate per duecentoventiduemila cinquecento / 222.500 dollari (quattrocentodieci milioni di lire; duecentomila euro abbondanti) [al centro, a sinistra].

con qualcosa come sedicimila fotografie alle spalle (tra posati e paparazzate), Marilyn Monroe ne ha fregate almeno altrettante alle pagine dei giornali di tutto il mondo. Certo, fosse ancora viva [?!: avrebbe compiuto sessantasei anni il Primo giugno 1992], magari sarebbe ancora al centro dell’attenzione (!?); nel caso, come una diva iperstagionata e chiacchierata, ma niente di più. Invece, non essendoci più, è un mito, anzi, per un insieme di circostanze, il Mito. [...] «Una consolazione, comunque, ci resta: non esistono fotografie inedite di Marilyn Monroe. Restano, al massimo, in archivi sapientemente custoditi, fotografie non ancora vendute, che vengono buone pian piano, e sempre più col contagocce. Sono, tutte, scarti o diverse versioni di situazioni già note. Quindi, a rigor di termini commerciali, si potranno sempre definire inedite (in editoria, l’inedito è semplicemente il visto poco), perché, per esempio, mostreranno Marilyn con l’indice sinistro alzato, laddove nella sequenza già pubblicata, aveva quel dito ripiegato e alzava il pollice. Insomma, scatti sconosciuti ce ne saranno ancora, tutto sta a vedere quel che vi chiedono e cosa promettono di essere. L’eccezione a questa regola si trova, con molta probabilità, negli album privati di Joe DiMaggio [stella dei New York Yankees; numero 5; 1914-1999] o di qualche parente appartato e rimbambito. Tutti gli altri (tutti, meno Joe, l’unico che abbia amato Marilyn) hanno già provveduto a divulgare e quindi a lucrare.

«Analogamente: non ci sono film o video inediti. Soprattutto, non esiste nessun film porno di Marilyn (lei, le porcellerie, le faceva in privato, live ma senza obiettivi). Nel 1980, circolarono fotogrammi d’un filmino, datato 1948. Se non credete a me, ascoltate Angelo Frontoni, Piero Berengo Gardin, Claudio Masenza e Rossano Brazzi (li riprendo da un aureo libretto: Marilyn, immagini poesie canzoni, a cura di Marco Giovannini e Vincenzo Mollica; Lato Side Editori, del 1982).

«Angelo Frontoni, fotografo delle dive [1929- 2002]: “Per me non è Marilyn. Devo riconoscere che tra la Monroe e la ragazza del filmetto c’è una certa rassomiglianza di viso, ma il corpo non è assolutamente lo stesso. È nella fotografia a figura intera che si nota la differenza: le curve, i pesi non sono gli stessi. Marilyn è tutt’una altra cosa”.

«Piero Berengo Gardin, regista e storico della fotografia [mancato nel 2009]: “Non mi sembra lei e non c’è bisogno

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MaurizioAngeloRebuzzini
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di essere un esperto di fotografia per accorgersene. Intanto, mi insospettisce quell’orecchino troppo volgare all’orecchio destro e poi il sorriso e il movimento della bocca non mi sembrano i suoi: Marilyn è inconfondibile. Anche le fotografie di raffronto mi sembrano diverse. Calcolando che sono del 1948, che lei ancora non era la grande Marilyn e che probabilmente nella edificazione del mito c’è stata l’esigenza di costruire un modello più sofisticato e quindi di modificare in parte i suoi lineamenti, con tutto ciò al novantacinque percento non mi sembra lei”.

«Claudio Masenza, fotografo e critico cinematografico: “Che non è Marilyn salta agli occhi. Basta confrontare queste fotografie con quelle del famoso calendario in cui lei posò completamente nuda, che fu realizzato dal fotografo americano Tom Kelley, a cavallo tra il 1948 e 1949. Il seno è completamente diverso e così i capezzoli: anche a Playboy lo sanno, tanto è vero che le fotografie di raffronto non sono con quelle in cui lei è nuda, ma sul sorriso. Poi, un’altra cosa: si è sempre saputo che Marilyn aveva fatto un film porno, probabilmente quel filmino è lo stesso inserito in Blue Movie, di Andy Warhol, e in Five Times, di un pittore americano underground, che in Italia non abbiamo mai visto. Anche

nelle biografie di Marilyn si è sempre parlato di questo film, ma si è sempre citata una sequenza scabrosa in cui lei gioca con una Coca-Cola, non di queste che sono oscene”.

«Rossano Brazzi, attore [1916-1994]: “Ho conosciuto Marilyn, nel 1951, a Hollywood. Io lavoravo in America alla Fox, e lei arrivò per seguire un corso di recitazione organizzato dalla Fox. Ricordo che erano duecentocinquanta ragazzi e ragazze, presi a duecento dollari al mese. Divenne subito grandissima amica di mia moglie e mia. Non crederò mai a lei come attrice di filmini porno. Era una ragazza serissima, una donna molto equilibrata; film porno non li ha mai fatti, ne sono sicurissimo”. [...]

«Ma, lontana dai riflettori e dagli obiettivi, Marilyn Monroe com’è stata? Parlandone da viva, una rompicoglioni. Pochi la sopportavano, e tra questi c’è stato Joe DiMaggio, che tollerava paziente i suoi modi di fare, che consistevano, nell’intimità, essenzialmente nel non controllare nessun orifizio: in altre parole, Marilyn ruttava e scoreggiava in libertà. Si lavava poco (era convinta che gli odori del corpo fossero afrodisiaci, e non aveva torto, solo che esagerava, a sentire i racconti degli amici), ma quando lo faceva, passava ore in bagno. Si ossigenava tutta, per sembrare bionda naturale. A

Già dal primo anniversario della morte di Marilyn Monroe, nell’estate 1963, il settimanale italiano illustrato Epoca ha dato avvio a speculazioni giornalistiche: nello specifico, promettendo un album di fotografie inedite, distribuite su quattro numeri consecutivi, a partire dall’undici agosto. E poi: diciotto e venticinque agosto e Primo settembre.

Ovviamente, il motivo conduttore e lo svolgimento trasversale della somma degli interventi giornalistici furono condizionati, se non già dettati, dalla poca chiarezza sulla vicenda, con relative indagini e conclusioni personali, molte delle quali di pura fantasia e invenzione. Del resto, i modi della prematura scomparsa di Marilyn Monroe possiedono tutti i connotati del mistero che dischiude mille porte. Tutte plausibili.

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A QUALCUNO PIACE CALDO!

Il nostro film con Marilyn Monroe: A qualcuno piace caldo, di Billy Wilder, del 1959. Some Like it Hot può essere considerato l’apoteosi cinematografica di Marilyn Monroe, che qui raggiunge l’apice del proprio fascino. Allo stesso tempo, la sceneggiatura di Billy Wilder, anche regista, e I. A. L. Diamond è semplice e avvincente: ricca di tutti gli elementi della commedia americana, sofisticata quanto serve, brillante quanto basta. Non manca nulla: il travestimento di Jack Lemmon e Tony Curtis, i jazzisti spiantati che si trasformano in Josephine (Shell Oil Junior) e Daphne; il gioco degli equivoci e delle seduzioni; le situazioni di contorno; la partecipazione di caratteristi eccezionali; un dialogo spumeggiante. Il richiamo storico è realistico, quanto ironico. La vicenda dipende in larga misura dalla strage di san Valentino, del 14 febbraio 1929 (che Billy Wilder e Jack Lemmon citeranno anche in Prima pagina, del 1974), ma i giorni e le notti di Miami sono pura invenzione. Fanno da contorno e danno plausibilità alla conseguenza della storia. Da Chicago, Tony Curtis e Jack Lemmon fuggono a Miami per scantonare dai gangster che li vogliono eliminare, in quanto testimoni oculari del massacro (tra bande rivali; nella realtà, ordinato da Al Capone). I jazzisti spiantati Joe e Jerry diventano Josephine e Daphne e si uniscono a un’orchestra femminile. Cantante solista delle Dame del ritmo di Susy è -eccoci- Marilyn Monroe: perfetta e indimenticabile nel ruolo di Zucchero Kandinsky (nell’edizione italiana), che accompagna le proprie performance con un curioso ukulele.

Tutto questo, e tanto altro, è il succo di una gustosa monografia realizzata dall’editore tedesco Taschen Verlag. Dedicata alla figura del regista Billy Wilder, di fatto, la raccolta Billy Wilder’s Some Like it Hot celebra Marilyn Monroe. Il volume illustrato prende avvio dal copione del film appartenuto alla stessa Marilyn Monroe, venduto in asta da Christie’s New York, a fine ottobre 1999, dove le proprietà private dell’attrice hanno totalizzato oltre venticinque miliardi di (vecchie) lire [precedente pagina 50].

La struttura del libro merita di essere commentata.

La prima parte riproduce le pagine del copione del film, attorno alle quali scorrono corrispondenti fotografie di scena. Tutte in bianconero, come il film, sono perlopiù di piccole dimensioni, ma non mancano gli ingrandimenti a formato pieno (40x25cm) di qualche passaggio particolarmente significativo: per esempio, il bacio finale tra Zucchero e Joe e qualche altra scena topica. A seguire, la seconda parte del libro ripercorre la vicenda cinematografica, proponendo altre fotografie di scena, molte delle quali a colori, e innumerevoli “fuori scena” di grande fascino.

questo bisogna aggiungere un carattere difficile. Forse, a sparire a trentasei anni, non ci ha rimesso.

«In più, ha lasciato una contabilità precisa ed elaborabile. Intanto, le date: 19261962. Vorrà pur dire qualcosa per la cabala quel numero rovesciato (26-62). Poi, c’è l’oroscopo: non c’è astrologo che non abbia spiegato come il suo destino fosse segnato. L’ha spiegato dopo, naturalmente. Poi ci sono i mariti: tre, Jim Dougherty, Joe DiMaggio, Arthur Miller, che, però, come i moschettieri, sono quattro. Nella lista, s’è infilato Robert Slatzer, un giornalista, che una volta (dice lui), in Messico, la sposò e poi bruciò subito dopo il documento dello stato civile. Con questa storia ci campa ormai da anni, da quando pubblicò un libro su Marilyn (edito in Italia da Mondadori). Poi, ci sono gli amanti: numerosi come asteroidi. I più clamorosi sono noti: i fratelli John Fitzgerald e Robert Fitzgerald Kennedy. Qualcuno dice che c’entrino con la sua morte, nel vero senso dell’espressione. «Marilyn Monroe è morta in modo misterioso, probabilmente suicida o comunque non ostacolando la fine (aveva preso barbiturici in quantità industriale). Ma c’è chi ha detto e scritto che l’hanno uccisa (per togliere un fastidio ai Kennedy, visto da destra; per incastrare i Kennedy, visto da sinistra), con un clistere oppure con una supposta. Per metterle la supposta, vennero in quattro, la tennero ferma, le misero un cerotto. Poi si sedettero ad aspettare la sua fine. Sarebbero stati assoldati da Sam Giancana, uno dei padrini più forti dell’epoca. [...]

«Rimangono certe, le misure vitali, che furono, quasi per tutta la sua vita, 9456-89. Quando dimagriva, il petto arrivava a ottantanove. Era alta un metro e sessantasei. Tra le sconfitte della sua vita, va messa anche la love story con Yves Montand, che ci fece l’amore e tornò dalla moglie (Simone Signoret). Perché Marilyn, che oggi tutti sognano, in vita rimase sempre l’altra, cioè l’estranea. Per questo morì».

Insomma, volente o nolente, tutti ci siamo incontrati con Marilyn Monroe. Il nostro ricordo personale è leggero, ma forte e solido (Riva Trigoso, in Liguria, la mattina del cinque agosto di sessant’anni fa). Tra le tante altre parole possibili, quelle appena riportate, del non dimenticato Santi A. Urso -e ci mancherebbe!-, sono abbaglianti e scintillanti. Degne di essere considerate tra le più intense sul Mito. Forse, le più sgargianti.

Marilyn: 4 (5) agosto 1962-2022.

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Billy Wilder’s Some Like it Hot ; a cura di Alison Castle; testi in inglese, tedesco e francese; Taschen Verlag, 2001; 384 pagine 40x25cm, cartonato.

Indipendentemente dalle questioni relative alla regolazione ragionata dei corpi mobili, che è altra questione (non qui, non ora), bisogna prendere atto che nel rapporto inscindibile tra tecnica e creatività, gli apparecchi fotografici e il proprio impiego scandiscono tempi espressivi inevitabili. L’esaltante interpretazione ottica Silvestri ApoSilvetar 35mm f/5,6, con copertura di sensori medio formato ad acquisizione digitale di immagini, ri-propone pratiche fotografiche che affondano le proprie radici indietro nel Tempo, declinandole in pertinente attualità di intenti. In eccellenza di realizzazione: «La storia è ineluttabile, o per meglio dire, la storia diventa destino e viceversa» (da e con David Knowles, in I segreti della camera o[b]scura )

Eccellente progetto ottico, in certa lettura sovranità di una personalità italiana capace di risalire la corrente (Silvestri Fotocamere, di Firenze), l’Apo-Silvetar 35mm f/5,6 è un grandangolare con copertura di sensori medio formato ad acquisizione digitale di immagini. La qualità del suo disegno è tanta e tale da completare alla perfezione dotazioni fotografiche di classe superiore, per una fotografia professionale di alto profilo. Ancora oggi, come ieri.

di Antonio Bordoni Nato come sogno, il progetto dell’obiettivo Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6, con copertura di sensori medio formato ad acquisizione digitale di immagini (ben oltre le dimensioni Full Frame / 24x36mm), è in dirittura d’arrivo per segnalarsi (e imporsi!) come eccellenza italiana in un ambito fotografico entro il quale -ormai- si declinano soprattutto ideogrammi orientali... con poche, ma efficaci, eccezioni di vertice (Leica, per intenderci).

Ideato e concepito a Firenze, con il fattivo contributo dell’ottico russo Vladimir Bogdankov, l’efficace grandangolare viene prodotto in Russia, a Krasnogorsk, nei pressi della capitale Mosca, nella fabbrica che per decenni è stata abbinata alle reflex 35mm Zenit, e ad altre interpretazioni di spicco (Horizont / Horizon).

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Vincenzo Silvestri Silvia Silvestri

TORNANO A VOLTE,

Nove lenti in sette gruppi compongono la raffinata ossatura ottica dell’obiettivo Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6, in procinto di arrivare sul mercato fotografico: coerente copertura di campo dal cento ai bordi e convincente restituzione cromatica, in sequenza di toni in equilibrio tra contrasto ottimale e morbidezza dei colori.

In montatura chiusa, sia per sistemi fotografici che adottino dispositivi controllati e controllabili di basculaggio e decentramento, sia da utilizzare direttamente con dorsi ad acquisizione digitale di immagini, il Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6 è congeniale anche nell’impiego con dotazioni digitali medio formato: Hasselblad X1D e seguiti e genìa Fujifilm GFX50 e GFX100. Addirittura, un altro sogno, finanziariamente più che oneroso e fuori portata, ma in nuce di progetto, è / sarebbe la versione decentrabile per gli stessi sistemi fotografici di riferimento.

Nove lenti in sette gruppi compongono una raffinata ossatura ottica, capace di interpretare la proiezione su sensore ad acquisizione digitale con doppia decifrazione fotografica: coerente copertura di campo dal cento ai bordi e convincente restituzione cromatica, in sequenza di toni in equilibrio tra il contrasto ottimale e la morbidezza dei colori. Insomma, a tutti gli effetti, si tratta di un obiettivo di qualità eccelsa, a visione angolare equivalente a quella della focale 28mm sul formato 24x36mm / Full Frame, inevitabile riferimento d’obbligo.

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Silvestri Fotocamere

Ovviamente, l’entusiasmante Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6 è un obiettivo che esula dalla fotografia istantanea, quantomeno nella propria combinazione con dorsi ad acquisizione digitale di immagini che richiedono e impongono sessioni fotografiche meditate e profondamente valutate. In un certo senso, in chiave tecnologica attuale, è una compagnia che avvolge il presente con un’aura che arricchisce e impreziosisce le nostre esistenze. E questo, a ben considerare, è un mondo magico e incantato, nel quale «Quel tarlo dell’esistenza chiamato orologio non ha

alcuna importanza» (in adattamento, da e con Georges Simenon, in L’enigmatico signor Owen ; Adelphi, 2014).

Fino a qualche stagione fa utensile irrinunciabile del professionismo fotografico, oggigiorno, la configurazione a corpi mobili si offre con altri connotati, si ri-propone per altra personalità. In questo senso, la conoscenza di princìpi operativi è ancora utile (necessaria), per l’interpretazione attuale della fotografia a lungo meditata... qualsiasi cosa ciò possa significare per ciascuno di noi. (continua a pagina 60)

I campi privilegiati di impiego e utilizzo del grandangolare Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6 si rivolgono soprattutto alla fotografia professionale in esterni, meglio se con accomodamento ragionato e finalizzato dei corpi mobili di controllo della nitidezza e prospettiva. Si esordisce con la fotografia di architettura.

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Vincenzo Silvestri

PER ESPERIENZA

Quando rileviamo che l’obiettivo Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6, in copertura ottica di sensori medio formato ad acquisizione digitale di immagini, è ottimale su due princìpi progettuali coincidenti, ci esprimiamo per esperienza, ovvero competenza, e non in retorica, oppure per sentito dire. Da una parte, registriamo la combinazione ottica ottimale di nove lenti armonizzate in sette gruppi; dall’altra, protocolliamo l’ideale accostamento di una costruzione meccanica efficace e proficua.

Con questo, la nostra lettura e interpretazione dei progetti tecnici, che qui e ora, per ovvia riservatezza, limitiamo all’ufficialità dello schema compendiato per la sua decifrazione di massima, senza entrare nelle tracce comprensive di “quote” e “specifiche” costruttive, si basa sulla nostra antica formazione scolastica: indirizzata alla progettazione ottica... teorica e pratica.

Così, torniamo indietro di oltre cinquant’anni, ai giorni nei quali il Disegno tecnico (professor Arturo Colombo) è stata materia fondamentale del nostro apprendimento teorico-pratico, insieme con Ottica (professor Gianmarco Reverdy) e Matematica (professoressa Elena Suglia), almeno. Più, per quanto ci riguarda direttamente, Italiano, con il professor Arturo Cannetta («Averlo incontrato in una grigia mattina di ottobre, nel 1968, ha fatto la differenza nella nostra vita»).

Da cui, in documentazione d’epoca, proponiamo due elaborati di quegli anni. In ordine di date.

1969, Itis Galileo Galilei (un destino?), di Milano, Classe IIIa, il primo dei tre anni di specializzazione, a seguito dei primi due generici per tutti gli Istituti Tecnici Industriali Statali, diciotto febbraio: rilevazione da un pezzo meccanico fisico, da decifrare in disegno tecnico di lavorazione/produzione. Le note rosse, su uno spigolo “che corre”, nell’esploso centrale, e una imperfezione nella proiezione in basso, sono dell’insegnante, capace di rilevare ogni minima svista esecutiva. 1969, Itis Galileo Galilei, di Milano, Classe IVa, nel secondo dei tre anni di specializzazione, considerato allora il più arduo, in somma di materie e relativo approfondimento (poi, in Quinta, sempre in Disegno tecnico, il progetto di un teodolite, dalla combinazione ottica ai movimenti meccanici di regolazione), dodici dicembre (venerdì, data fatidica: alle 16,37, l’esplosione di una bomba presso la sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, da cui “Strage di piazza Fontana”, episodio fondante della strategia della tensione di quei tormentati anni; «la madre di tutte le stragi» [La Storia d’Italia di Indro Montanelli - 10Piazza Fontana e dintorni ] e «il primo e più dirompente atto terroristico del dopoguerra» [Marco Fossati, in Terrorismo e terroristi ; Mondadori, 2003]: diciassette morti e ottantotto feriti): in due tempi, progettazione dei movimenti di accomodamento di un oculare, dato un gruppo ottico prestabilito.

58 OSSERVIAMO
WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (2) Vincenzo Silvestri

Certamente, il Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6 è un obiettivo che esula dalla fotografia istantanea, quantomeno nella propria combinazione con dorsi ad acquisizione digitale di immagini che richiedono e impongono sessioni fotografiche meditate e profondamente valutate. In un certo senso, in chiave tecnologica attuale, è una compagnia che avvolge il presente con un’aura che arricchisce e impreziosisce le nostre esistenze. Mondo magico e incantato, nel quale «Quel tarlo dell’esistenza chiamato orologio non ha alcuna importanza».

(continua da pagina 57)

Le stesse condizioni fisiche del lavoro, per tanti versi addirittura imposte dal mezzo, influiscono sui risultati. A questo proposito, siamo perentori: al contrario dello sguardo frettoloso delle reflex o delle macchine fotografiche a mirino, che colgono l’insieme piuttosto che il particolare, gli apparecchi a corpi mobili impongono tutt’altra attenzione. L’immagine che si forma sul vetro smerigliato obbliga lo sguardo a una composizione ragionata e attenta a ogni particolare... quintessenza stessa della Fotografia.

L’esecuzione di preliminari, il compimento di gesti accurati, che i cultori dei corpi mobili ripetono ogni volta, per ogni scatto, dispone a quella cura meticolosa che induce alla ricerca della perfezione.

Proprio in virtù dell’oggettiva laboriosità dei preparativi (che presto diventano naturali), questa dotazione tecnica genera uno stato d’animo posato e riflessivo. Infatti, come abbiamo appena

annotato, i mezzi tecnici dei quali ci si avvale condizionano lo sguardo e i risultati stessi del lavoro fotografico.

Di fatto, ogni fotografia contiene in sé tutti i pensieri, i gesti, le emozioni che ne hanno preceduto e accompagnato la realizzazione: anche la fatica di trasportare l’attrezzatura e la disciplina con la quale si è allestito l’apparato di ripresa!

Il lavorio paziente di questo modo di fotografare costituisce un rito che richiama alla mente la spiritualità Zen. Daisetsu Teitarō Suzuki (1870-1966), considerato il massimo divulgatore in occidente dell’antica disciplina orientale, afferma che «Uno degli elementi decisivi nell’esercizio delle pratiche spirituali è il fatto che queste non perseguono alcun fine pratico, ma rappresentano un tirocinio della coscienza e devono servire ad avvicinarla alla realtà ultima».

Se proprio vogliamo... con l’obiettivo Silvestri Apo-Silvetar 35mm f/5,6.

Già! Con l’obiettivo. ■ ■

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Silvestri Fotocamere

L’ETÀ D’ORO GRAND TOUR del

Scartata a lato una certa interpretazione italiana limitativa, oltre che provinciale, la monografia The Grand Tour. The Golden Age of Travel, dell’intraprendente editore tedesco Taschen Verlag, non è geograficamente limitata, né concentrata, ma affronta e svolge l’argomento preposto e promesso senza alcuna soluzione di continuità planetaria. A cura di Marc Walter e Sabine Arqué, si riferisce sempre e comunque a un mondo di privilegiati e ricchi, gli unici che hanno potuto viaggiare per diporto in tempi precedenti l’attualità dei voli low cost. Indietro nei decenni, fino all’inizio del Novecento

di Angelo Galantini

Soprattutto nell’ambito della fotografia italiana teorica e intellettuale, altrimenti identificata come concettuale, quella che da tempo impegna autori e critici in rispettive recitazioni a tema, quella stessa che esula da intendimenti e intenzioni concretamente professionali, per esprimersi unicamente in quanto tale, per se stessa prestazione fotografica, si sono stabiliti punti di riferimento e richiamo inviolabili. Addirittura, proiettati alla beatificazione di personaggi e generi e svolgimenti. Padre-creatore di questo Pensiero è certamente l’emiliano Luigi Ghirri (1943-1992), la cui fotografia, in Italia, è fuori discussione (ovvero, non si può discutere), che nel mondo, in definizione anglosassone, non è inteso “fotografo”, ma “visual artist”, che ne estende, amplifica e dilata l’identificazione espressiva e la personalità.

Qui e ora, come in tante altre occasioni pertinenti, non ci soffermiamo sulla personalità di Luigi Ghirri, perché l’eventuale dibattito non ci compete, e anche perché le nostre considerazioni al proposito contano nulla e servono a poco. Evitiamole tout court, per quanto sia -comunque- opportuno rivelare un nostro particolare disagio, quando registriamo come e quanto ogni programma fotografico che si svolga a Reggio Emilia non riesce a evitarne la presenza, anche fuori luogo, anche imposta in allestimenti di mostre personali altrui.

In un certo senso, convergente con quello che attraversa questo stesso intervento redazionale, compilato in presentazione di una sfarzosa monografia illustrata, questa stessa visione dai confini (dottrinali) stretti coincide con l’ipotesi di fondo che testimonia come e quanto l’Italia sia provincia culturale del Mondo: in assoluto, e -per conseguenza- in Fotografia.

La monografia di riferimento, in attuale passerella giornalistica, è The Grand Tour. The Golden Age of Travel, a cura dei qualificati e autorevoli Marc Walter e Sabine Arqué, in accurata edizione Taschen Verlag, del 2021, successiva l’originaria del precedente 2018.

In nesso, registriamo che un provincialismo, presto riconosciuto, potrebbe voler riferire l’ipotesi di Grand Tour alla sola nostra geografia nazionale. Da una parte, in un certo senso, la consecuzione Grand Tour - Viaggio in Italia è anche moderatamente autentica, con testimonianze più che autorevoli: sopra tutte, il Viaggio in Italia / Italienische Reise, del poeta Johann Wolfgang von Goethe, compiuto dal 3 settembre 1786 al 18 giugno 1788 (partendo da Wetzlar, in Germania [Leica]), e relazionato in duplice resoconto, il primo pubblicato nel 1816, il secondo l’anno dopo; e, poi, si può conteggiare un terzo capitolo, del 1829, relativo alla sua seconda visita a Roma. Dall’altra, non si possono ignorare ipotesi e concetti di viaggi ottocenteschi a tutto tondo, attraverso il Mondo.

64
[doppia pagina precedente] Porto di New York City; 1930 circa / Marc Walter
Parigi
Tempio della Sfinge e Grande Piramide, Giza, Egitto; 1900 circa / Marc Walter Collection, Parigi
Collection,

Comunque, sì, è vero: un certo spessore di Grand Tour dipende dal cammino dell’educazione umanistica di giovani europei (di classe elevata), per il quale la cultura storica italiana ha rappresentato una tappa fondante e fondamentale (Rinascimento e dintorni). Però, no, non è poi tanto vero, nella propria evocazione fotografica provinciale, che -per lo piùignora questi passaggi, per elevare ad assoluto i più recenti “contenitori” di Luigi Ghirri ed epigoni/imitatori [attenzione: per colmare ignoranze certe e accertate, ricordiamo che l’espressione Voyage of Italy è stata usata per la prima volta dal sacerdote cattolico Richard Lassels (1603-1668), per la sua relazione di viaggio, pubblicata a Parigi, nel 1670; per l’appunto, The Voyage of Italy, or a Compleat Journey through Italy ]. Dunque, come è più lecito che sia, la monografia The Grand Tour. The Golden Age of Travel non è geograficamente limitata, né concentrata, ma affronta e svolge l’argomento preposto e promesso senza alcuna soluzione di continuità planetaria; ovviamente, rimane inteso che ci si riferisce sempre e comunque a un mondo di privilegiati e ricchi, gli unici che hanno potuto viaggiare per diporto in tempi antichi (e ancora oggi).

Testimonianza dall’accreditato periodico National Geographic Traveller : «Innumerevoli libri di viaggio hanno tracciato la cosiddetta “età d’oro” dei viaggi, ma nessuno è tanto epico come questo pesante volume». Tutto vero.

Soprattutto è autentica la rievocazione di Tempi e Modi ormai persi per sempre (qualche evocazione tangibile è ancora rintracciabile in alcuni dei titoli di Agatha Christie).

A parte la lezione propriamente fotografica, relativa alla documentazione e registrazione del Paesaggio, come appena accennato, The Grand Tour. The Golden Age of Travel è lontano ed estraneo ai viaggi globali dei nostri giorni, che spesso non sono altro che percorsi stancanti: turismo di massa, aerei sovraffollati, aeroporti caotici, sicurezza rafforzata, catene alberghiere anonime, sentieri turistici ben consumati.

Oggigiorno, è sostanzialmente impossibile incontrare anche solo un briciolo di avventura. Ma non disperiamo, e partiamo per viaggi evocati: The Grand Tour. The Golden Age of Travel celebra un’era durante la quale viaggiare per il mondo è stata una nuova ed elettrizzante possibilità esistenziale... per coloro i quali hanno avuto risorse, tempo, immaginazione e coraggio.

Riccamente illustrata, la monografia attraversa il periodo di massimo splendore del viaggio, dal 1869 al 1939. Guarnito con oggetti effimeri e preziose fotocromie di inizio secolo, scandisce il ritmo di sei tour classici, favorito dagli avventurieri occidentali nell’era prebellica, inclusi famosi scrittori viaggiatori, come Charles Dickens, Jules Verne, Francis Scott Fitzgerald, Mark Twain e Johann Wolfgang von Goethe.

(continua a pagina 68)

65
Sciatori sul ghiacciaio di Hardanger, Norvegia; 1900 circa /
Turisti che danno da mangiare ai piccioni in Piazza San
Venezia; 1900 circa /
Marc Walter Collection, Parigi
Marco,
Marc Walter Collection, Parigi
[doppia pagina seguente] Monte del Tempio, Cupola della Roccia, Gerusalemme; 1900 circa / Marc Walter Collection, Parigi

(continua da pagina 65)

Dal Grand Tour europeo (e in Italia, sia chiaro), tradizionale rito di passaggio per i giovani aristocratici inglesi, francesi, tedeschi e nordici, all’Estremo Oriente, appena avvicinato dall’influenza occidentale (nefasta?!), alla leggendaria Transiberiana, si percorre ogni viaggio attraverso proprie tappe itineranti e diversi mezzi di trasporto: treni, barche, automobili, aerei, cavalli, asini e cammelli.

Sulle pagine, ancora: poster di viaggio, guide, biglietti, volantini, opuscoli, menu e adesivi per i bagagli. Anche attraverso questi complementi, la messa in pagina evoca romanticismo e eleganza, per non parlare del puro senso di novità, che ha affascinato questi passeggeri dell’età dell’oro (perditempo che non hanno faticato un minuto della loro vita, a differenza di coloro i quali, in contemporanea...).

Occhi aperti sul Mondo. ■ ■

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The Grand Tour. The Golden Age of Travel ; a cura di Marc Walter e Sabine Arqué; Taschen Verlag, 2021; Collana XL; multilingue inglese, francese, tedesco; 616 pagine 25x34cm; 60,00 euro.
SOLO ON LINE / / / QR code TASCHEN VERLAG
Transatlantico Kaiserin Maria Theresia, North German Lloyd; 1900 circa / Marc Walter Collection, Parigi

in anticipo su Fotografia nei francobolli Foglio Souvenir della Guinea, emesso il 2 settembre 2009, per il ventesimo anniversario dalla caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989). Tra i soggetti coinvolti, il Vopo Hans Conrad Schumann (1942-1968), fuggito dalla zona sovietica, il 15 agosto 1961 (icona di Peter Leibing; 1941-2008).

FOTO graphia / F otogra F ia nei F rancobolli / 08
70 / SOLO FIGURE... SENZA PAROLE / WEEGEE WunderKammer (8) ARTHUR (USHER) FELLIG (1899-1968): IN PROPRIA AUTODEFINIZIONE, “THE FAMOUS”. EVVIVA! Personaggi e cultura della fotografia / 13 (2002)
,
e
La lunga notte , di Emilio Tadini (Rizzoli, 1987) La lunga notte , in bancarella di piazzale Loreto, Milano (2) Da Pin-up , Editoriale Aurea (2001) Invito per la prima di L’ Œ il public , a Parigi Con Stanley Kubrick, sul set del film Il Dottor Stranamore... (1963) Il calendario del popolo , dicembre 1953
Da Pin-up
di Yann
Berthet, Dergaud Benelux (1998)

SPIE 007 FBI

Da anni, le maggiori industrie del mondo cercano di proteggere i propri segreti da un vero e proprio esercito di gente specializzata nello spionaggio industriale. Se ci pensate, è molto più comodo rubare i segreti di un concorrente che investire in ricerca. Così, vengono trafugati documenti dalla valigetta del presidente addormentato in first class, applicate cimici telefoniche, prezzolati impiegati infedeli. E chissà quante avvenenti nipotine di Mata Hari sono in azione nelle suite dei grandi alberghi, durante congressi o convegni.

Con un’operazione rocambolesca, Kodak ha recentemente denunciato l’ex-dipendente Harold C. Worden per aver sottratto documenti di massima segretezza, per averne successivamente acquistati altri dal suo successore Kurt Strobl e da sessantatré ex colleghi, e di averli venduti a terzi in nove occasioni.

Harold C. Worden, cinquantacinque anni, ingegnere meccanico, aveva lasciato Kodak nel 1992, dopo ventotto anni. Il suo ultimo delicato incarico, nel 1987, fu legato alla progettazione dalla Macchina 401, un impianto chiave per la produzione del supporto in acetato per le pellicole non professionali grazie al quale la casa americana ha ridotto sensibilmente i costi di produzione. Era tra i pochi a conoscere i segreti della 401, in particolare quelli che, per la propria importanza, non vengono brevettati, per impedire alla concorrenza di ottenere risultati simili aggirando i brevetti con soluzioni alternative.

Lasciata Kodak, Worden apre un’agenzia di consulenza industriale, raccogliendo attorno a sé decine di ex-dirigenti e ex-tecnici Kodak. Il segreto della Worden Enterprises consiste nel disporre di un folto gruppo di esperti specializzati in settori che spaziano dalla fotografia alle verni-

ci (identificati con sigle come gli agenti segreti) pronti a fornire consulenza specifica alle industrie al costo di quattrocento-settecento dollari al giorno (parcella di Worden a parte).

Nel 1994, alla Kodak fischiano le orecchie. Da un lato, Konica e Agfa la informano discretamente di essere state avvicinate da mister Worden, dall’altro fiuta

intermediario e un ingegnere “cinese” con familiarità sul tema.

I due, in realtà, sono dipendenti Kodak in veste di agenti segreti. Secondo la denuncia della casa gialla, nel corso del meeting, raccolgono la sua profonda conoscenza delle vicende interne Kodak. Infatti, avrebbe passato ai due 007 gialli informazioni riservate sui processi di

ufficio di Worden, nella Carolina del Sud, con un mandato di perquisizione. La ricerca dà i propri frutti: oltre quarantamila documenti vengono sequestrati (alcuni dicono centomila), ma nessuno che possa provare la vendita «ad almeno quattro concorrenti» di segreti industriali Kodak.

A fine dicembre, il tribunale di Rochester fornisce qualche dettaglio sul materiale sequestrato Tra disegni originali, rapporti di produzione, analisi dei costi e studi -tutti provenienti da Kodak- c’è un vero e proprio manuale con le formule per la produzione delle pellicole, dei supporti e dei processi di stesa dell’emulsione; un altro manuale con le specifiche di un tunnel di stesa del valore di settecentocinquanta miliardi di lire (forse proprio quello entrato recentemente in funzione a Kodak Park [in riferimento di date: inizio 1997]); e, infine, un prontuario nel quale sono annotate le procedure per risolvere i problemi di produzione dell’acetato con allegate le tecniche per l’ispezione ed i test di qualità del supporto.

che qualcuno stia tramando ai propri danni. E così, medita di incastrare l’ex-collaboratore.

Lungamente preparato, il piano diventa operativo nell’estate 1995. Sembra che Worden sapesse che Kodak si stava occupando dei suoi affari, ma non si preoccupa quando i rappresentanti di un’industria cinese si rivolgono alla sua agenzia, per la costruzione di un impianto per produrre acetato per pellicole o, in subordine, per rimodernare una macchina esistente a Shantou, in Cina. Per Worden non ci sono problemi, e -come prima mossa- invia ai “cinesi” una lista di quarantuno consulenti esperti nella faccenda: praticamente tutti ex-dipendenti Kodak. Poi, incontra un

produzione dell’acetato, dettagli confidenziali sulla Macchina 401 e un rapporto relativo ai costi di produzione.

Sempre secondo la denuncia Kodak, pochi giorni dopo l’incontro, qualcuno dall’interno della stessa Kodak telefona a Worden che, poco dopo (coincidenza?), invia una lettera ai “cinesi” elencando tutti i passi necessari per costruire una fabbrica in Cina con i relativi costi e un’indicazione di massima delle sue spettanze (da centoventicinquemila a cinquecentomila dollari). Questi elementi sono evidentemente sufficienti perché, una bella mattina di maggio dello scorso anno, sei automobili dell’Fbi, con numerosi agenti, si presentino nel ranch-

Nel caso, è coinvolto anche Kurt Strobl, che Kodak ha licenziato il giorno stesso in cui ha presentato la denuncia. Secondo alcune indiscrezioni, in un colloquio con Kodak, Strobl avrebbe ammesso di aver ricevuto pagamenti da parte di Worden, ma, a differenza di quest’ultimo, che ha depositato in tribunale un documento nel quale respinge ogni addebito e ha assicurato i suoi associati che risponderà punto su punto alle accuse, per ora, resta in silenzio. E, mentre la denuncia ha lasciato increduli conoscenti ed estimatori di Worden, il mondo fotografico si interroga sui danni che l’ex ingegnere potrebbe aver arrecato a Kodak e sui nomi delle industrie eventualmente coinvolte nell’affaire

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■ Lasciata Kodak, Harold C. Worden apre un’agenzia di consulenza industriale, raccogliendo attorno a sé decine di ex-dirigenti e ex-tecnici Kodak. Il segreto della Worden Enterprises consiste [...] / MERCATI /
di Giulio Forti AL KODAK PARK, DI ROCHESTER. A MEMORIA, NEL E DAL FEBBRAIO 1997. STORIA INFINITA?

NOI POVERI

Una volta che noi poveri accettiamo e accogliamo la condizione sociale definita, ci incamminiamo lungo un cammino individuale luminoso e denso di istanze. Se vogliamo intenderla così, e raccontarcela, verso stati e requisiti positivi e gratificanti. Lungo un percorso di intensa qualità. Fosse anche riferita al solo mondo della Fotografia, di nostro territorio comune (forse). Diventiamo ricchi. Ricchi!

Una volta che noi poveri accettiamo e accogliamo la condizione sociale definita, cominciamo a conoscere e riconoscere le persone, e -spesso- questo è un male, un dolore. Ogni volta che le incrociamo, riscontriamo in loro componenti più profondi: e, in confronto alla loro maligna trasparenza, il nostro senso di colpa cresce. Probabilmente (? certamente!), siamo troppo bravi a capire le persone, a scorgere il volto segreto che tutti possiedono, e nascondono, la loro vera faccia.

Stante la condizione sociale di povero, in mezzo a un mondo che finge di accettarci “alla pari”, da tempo, ho imparato che ognuno è formato -in realtà- da almeno due persone: quella che (ti) mostra e l’individuo segreto che si cela (o spera di celarsi) nel profondo. Da altrettanto tempo, sono in grado di decifrare questa persona segreta, e -spesso- quella che si cela sotto amichevoli facciate di comodo e rito non è altro che una personalità insolente e irriverente che finge -magari senza sforzarsi- di essere cordiale. All’interno di questo, battono cuori aridi e spogli, determinati soltanto a edificare la propria carriera, senza troppi scrupoli.

Ancora, da tempo e tempo, non metto più in conto che qualcuno possa piacermi. Non metto più in conto che io possa piacere a qualcuno. E non ci posso fare nulla. Del resto, neppure intendo farlo.

Da e con Hanif Kureishi (in Nell’intimità ; Bompiani, 1998):

«Se vivere è un’arte, è un’arte strana, che dovrebbe comprendere tutto, e in particolare un forte piacere. La sua forma evoluta dovrebbe comprendere un numero di qualità fuse insieme: intelligenza, fascino, fortuna, virtù, nonché saggezza, gusto, conoscenza, comprensione, oltre all’accettazione del fatto che l’angoscia e il suo conflitto fanno parte della vita. Il benessere economico non sarebbe da

stiaan Barnard (1922-2001, artefice del primo trapianto cardiaco al mondo), e negli Stati Uniti. Nella sua vita, Enzo Jannacci è sempre stato un singolare povero : capace di capire e rispettare gli altri, come nessun non-povero è mai riuscito a fare, inabili come sono a rimuovere da se stessi la mediocrità e la miseria intellettiva che perseguono (costoro, continuano a considerare sbagliata, qualsiasi diversità -fisica, sociale e morale- dal loro binario).

mandaij gh’avevi vergogna, / domandaij, saveij no a chi l’è / gh’era el Rino, l’è vera, / el Rino! soldà insema / in d’i bersaglier» (E l’era tardi ; 1964);

«Come lacrime abbandonate dopo un falso perdono / che si sciolgono nella pioggia / come lacrime come fiori profumati / cui tocca d’inchinarsi a qualsiasi alito di vento / come fiori, come lacrime come guide sfortunate / cui tocca di cadere per la scemenza / di un ricco incompetente, / come gatti isolani / che

considerarsi essenziale: dovrebbe esserlo -invece- l’intelligenza per raggiungerlo, se necessario.

«Le persone di cui penso che vivano con talento sono quelle che hanno vite libere, che formulano grandi schemi e li vedono realizzati. E loro sono anche la migliore compagnia». Confermo: Intelligenza, Fascino, Fortuna, Virtù, Saggezza, Gusto, Conoscenza, Comprensione.

Ancora: Intelligenza per raggiunge il benessere economico, se necessario. Grandi schemi e li vedono realizzati.

Nella propria vita, Enzo Jannacci (1935-2013) ha raggiunto traguardi professionali eccelsi. Universalmente riconosciuto come cantautore, è stato chirurgo di esperienza e valore. La Laurea in Medicina è stata seguìta e completata da una specializzazione in Chirurgia, svolta in due tempi: in Sudafrica, alla corte del cardiochirurgo Chri-

Da e con Enzo Jannacci: «Soldato Nencini, soldato d’Italia / semianalfabeta, schedato: “terrone”, / l’han messo a Alessandria perché c’è più nebbia; / ben presto ha capito che a volergli bene / c’è solo quel cane che mangia la stoppa / fra i vecchi autoblindo, pezzato marrone» (Soldato Nencini ; 1966);

«E io ho visto un uomo, / per caso, una sera, / svuotarsi di tutto / il suo dolore: / rumore di neon / che c’era in vetrina / si udiva soltanto, / in via Lomellina» (E io ho visto un uomo ; 1966);

«Che bel ch’el ga de vèss / èss sciuri, cunt la radio / noeuva e, in te l’armadi, / la torta per i fieu / che vegn’in cà de scola... / e tocca dargli i vizi: / “...per ti, un’altra vestina! / A ti, te cumpri i scarp!...”» (Ti te sé no ; 1964);

«E l’era tardi, l’era tardi / in quèla sera straca che m’è vegnù el bisogn’ / d’on mila franch’ / per quattà ‘na trata, / do-

non conoscono tutti gli odori marci del continente» (Come gli aeroplani ; 2001);

«“Cosa portavi, bella ragazza, / cosa portavi al tuo primo amore?” / “Portavo in dote quelle parole / che lui non seppe mai dire a me!”» (Cosa portavi bella ragazza ; 1966);

«El me indiriss de doe son nassuu / Me l’han ricordà ier, dentr’in Comun / Cercavi un documént de residénza / E mì, m’è vegnuu in ment tutta l’infanzia» (E me indiriss ; 1975).

Noi poveri, in visione personale, proiettata oltre. Del resto...

«L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi e si allontana due passi. / Cammino dieci passi e si allontana dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. / E allora a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare» (Eduardo Hughes Galeano; 1940-2015).

A camminare. ■ ■

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/ IN IRONIA E SARCASMO /
di Maurizio Rebuzzini PER SODDISFARE CHI HA BISOGNO DI “ETICHETTE”, UNA IDENTIFICAZIONE RAGIONEVOLE
RIFLESSIONI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA NELLA RIVISTA CHE NON TROVI IN EDICOLA fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO 10 numeri a 65,00 euro Per info: Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini abbonamento@fotographiaonline.com / A dispetto della propria testata, FOTOgraphia è una rivista che sembra dar valore soprattutto a Parola, Pensiero e Riflessione. Dunque, se questi princìpi ti sono estranei, evita di abbonarti Del resto, anche la nostra sollecitudine a rinnovare gli abbonamenti è assai contenuta e limitata. Noi continuiamo a privilegiare il fare, piuttosto del dire e comunicare di aver fatto. CAMPAGNANON ABBONAMENTO

Tutto Tutto âgée

Subito interpretato per ciò che effettivamente è, con scarto a lato soltanto apparente rispetto lo stato attuale dell’arte ottica riferita alla fotografia. Slittamento intenzionale, volontario e consapevole: in conciliazione di forma (esteriore) per il contenuto (di sostanza). Progettualità e realizzazione in equilibrio gerarchico paritetico tra prestazioni fotografiche ottimali e foggia... estetizzante, L’affascinante e convincente TTartisan M 28mm f/5,6 ripropone il design che ha caratterizzato, fino a definirli -addirittura-, gli obiettivi

Leitz/Leica delle origini. Nello specifico, per focale, disegno ottico e costruzione riprende parametri grandangolari che decenni e decenni fa furono coraggiosi, perfino clamorosi. Con questo, allo stesso tempo e momento, l’obiettivo soddisfa appieno esigenze irrinunciabili di alta qualità formale della ripresa fotografica (la creatività dipende, poi, dalle intenzioni dell’autore, dalla sua progettualità, dalle sue capacità). Ovviamente, sia in acquisizione digitale di immagini, sia nella fotografia chimica, con pellicola 35mm.

Per Leica M. Scala dei diaframmi da f/5,6 a f/22; sette lenti in quattro gruppi; ghiera dei diafram- mi a sei lamelle; angolo di campo di 72 gradi (Full Frame); a fuoco da 100cm; 151 grammi di peso; diametro filtri 37mm; con paraluce dedicato.

Con adattatori “M-”, può essere utilizzato anche con: Canon RF (M-RF), L-Mount (Leica, Panasonic, Sigma; M-L), Nikon Z (M-Z), Sony E (M-E).

Ampia gamma di anelli adattatori Mirrorless.

via Francesco Datini 27 • 50126 Firenze 055 6461541 • www.rinowa.it • info@rinowa.it TTartisan M 28mm f/5,6
Bastian
/ E DOMANI E DOMANI / LINUS SU LINUS DALL’APRILE 1965 (ANNO 1 - NUMERO 1), LINUS (VAN PELT), PERSONAGGIO DEI PEANUTS, DI CHARLES M. SHULTZ, SU COPERTINE DI LINUS 77 Linus / 28 (luglio 1967) Linus / 8 (novembre 1965) Linus / 77 (agosto 1971) Linus / 1 (aprile 1965) Linus / 94 (gennaio 1973) Linus / 49 (aprile 1969) Linus / 20 (novembre 1966) Linus / 141 (dicembre 1976) Linus / 75 (giugno 1971) Linus / 113 (agosto 1974) Linus / 98 (maggio 1973) Linus / 12 (marzo 1966) ArterLinus / 1 (gennaio 1974) Linus / 104 (novembre 1973) Linus / 102 (settembre 1973) Linus / 22 (gennaio 1967)

Tutto Tutto âgée

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