FOTOgraphia 276 novembre 2021

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ANGELO MEREU ARMANI: E DOMANI E DOMANI / NOVEMBRE 2021 / NUMERO 276 / ANNO XXVIII / MilanoDCB-1comma1,articolo46),numero27-02-2004,ilLeggein(convertito353/2003D.L.-postaleabbonamentoinSpedizione-SpAItalianePoste7,50,€Mensile, GLOBAL PEACE PHOTO AWARD CHE PACE SIA: I VINCITORI FOTO/INDUSTRIA 2021 FOOD: TUTTI A TAVOLA (CIRCA) 276

NONNELLAFOTOGRAFIAEOSSERVAZIONIRIFLESSIONICOMMENTISULLARIVISTACHETROVIINEDICOLA / Sottoscrivi l’abbonamento a FOTOgraphia per ricevere 10 numeri all’anno al tuo indirizzo, a 65,00 euro Online all’indirizzo web in calce o attraverso il QRcode fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO ANNUALE 10 numeri a 65,00 euro info:Per abbonamento@fotographiaonline.com0436716602srlgraphia

Ci sono molti modi per ammazzare un feno meno vivo come la fotografia (io preferisco non chiamarla arte, perché questa parola fa parte del problema): ovvero, farne spezzati no, scartando con sussiego le frattaglie (le fo tografie dei social, i selfie), raccogliere il me glio (cioè il vendibile) e riversarlo sul mercato dell’arte (appunto). Oppure, inaugurare mu Michele Smargiassi, a pagina 50

NO, SIAMO NOI. Uno dei più clamorosi paradossi della letteratura di tutti i tempi certifica la stravaganza del titolo del ro manzo d’appendice I tre moschettieri (Les trois mousquetaires), di Alexandre Dumas, del 1844, che -dato il suo successo com merciale- ha anche dato vita a una trilogia, allungatasi su Vent’anni dopo, del succes sivo 1845, e Il visconte di Bragelonne, del 1850, che non hanno neppure sfiorato il trionfo del titolo originario. Comunque, il paradosso è che i moschettieri sono quat tro: i tre del titolo -Athos, Porthos e Ara mis- più D’Artagnan, che è addirittura il protagonista del romanzo. Anche qui d’intorno abbiamo tre com pagni d’Esistenza... che poi sono quattro. Ognuno per conto proprio, sono arrivati tra noi, in tempi successivi, per quanto sostan zialmente serrati. Il primo a raggiungerci è stato Cavallino, una mattina di (già) prima vera, per quanto ancora d’inverno, all’inizio dello scorso marzo. Poi, è stata la volta di Cactus, ne siamo certi, con noi dal quattor dici luglio, e Bicicletta, sopraggiunta qual che giorno dopo. Da tre a quattro, quando ci siamo resi conto della costanza e coeren za con la quale, ogni giorno, Scoiattolo visi ta una nostra collaborazione redazionale. Personalmente, pensiamo che gli oggetti (e gli animali) abbiano un proprio signifi cato, come le Parole, e li si possa frequen tare come fossero provenienti da un libro: con tragitto alternato di andata-e-ritorno. Hanno un’anima, che ci raggiunge e con forta, che ci sollecita, magari rimprovera, per ricondurci sempre sulla retta via. Molto di quanto ci accade è guidato da noi stessi; altrettanto, è accompagnato da influenze che ci avvolgono e coinvolgono.

Angelo Mereu è di una generosità sconfinata, addirittura inquietante, perfino imbarazzante. Una generosità d’animo che mette a disagio (si fa per dire), soprattutto ai nostri aridi giorni, soprattutto in confronto ad altro quotidiano esistenziale. Però, forse, e lo crediamo, non si può essere Fotografi se non si possiede ani mo gentile. mFranti, a pagina 10 / Copertina Dalla consistente e coinvolgente documen tazione fotografica con la quale l’intrepido Angelo Mereu certifica i passi dell’affissione Emporio Armani (e contorni)... con bicicletta in doppio. In portfolio, da pagina 26 03 / Fotografia (?) attorno a noi Lu Principeddhu : edizione in lingua sardo gallurese (sardu gadduresu) del fantastico e imperdibile Il Piccolo Principe, di Anotoine de Saint-Exupéry, del quale visualizziamo an che l’edizione in milanese El Princip Piscinin 07 / Editoriale Non si può essere Fotografi -con Maiuscola-, se non si possiede un animo gentile 08 / Petit Prince La monografia Angelo Mereu. Una storia mi lanese riunisce e presenta le centoquaranta cinque affissioni Emporio Armani, a Milano / 03?/ / 12/ 22/ / 16/ / 15?/ 29

Global Peace Photo Award celebra la capa cità degli esseri umani di interpretare il co mandamento evangelico ama il prossimo tuo come te stesso Lello Piazza, a pagina 35

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Dopo Cavallino, primigenio di un cam mino, di un percorso, di un approccio esi stenziale interiore verso l’esterno, molto è cambiato (in meglio). Forse, tutto.

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48 / La Fenice Qui intorno di Lello Piazza 50 / Ma il museo no Di questi tempi di Michele Smargiassi / 32/ / 37/ / 18/ / 09/ / 34/ / 45/ SOMMARIO DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Rebuzzini ART DIRECTION Simone Nervi IMPAGINAZIONE Maria Marasciuolo REDAZIONE Filippo Rebuzzini CORRISPONDENTE Giulio Forti FOTOGRAFIE Rouge Ottavio Maledusi SEGRETERIA Maddalena Fasoli HANNO COLLABORATO Antonio Bordoni Matilde Corno mFranti Angelo AngeloAltinAndreasGalantiniIkonomuManafMereu Lello Piazza Marco MicheleSaielliSmargiassi I Tre moschettieri (quattro) www.FOTOgraphiaONLINE.com Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl - via Zuretti 2a, 20125 Milano MI 02 66713604 redazione@fotographiaonline.com ■

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12 / Tempo e Tempi Senso, Valore e Misura di una documentazio ne fotografica che tiene conto dello scorrere dell’Istante. Il film è Smoke, in anticipo ideolo gico sul progetto Mereu/Armani, da pagina 26 Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini 17 / Matilde Matilde!Corno A Matilde Corno, il Premio Riccardo Prina 2020 (2021) per la commovente serie Irene 20 / Là dove c’era l’erba... Incalziamo una certa applicazione della Fo tografia, come documento del Tempo e sua Testimonianza: oltre quanto realizza già tanta Fotografia. Ancora in anticipo ideologico, que sta volta ravvicinato, su Mereu/Armani... imme diatamente a seguire di Angelo Galantini 26 / Angelo Mereu E domani e domani Nel trascorrere degli anni e decenni, l’attento e perspicace Angelo Mereu ha documentato l’incessante sequenza di murales Armani, a Milano, in centro città di Maurizio Rebuzzini 34 / Che Pace sia! Il Global Peace Photo Award è un premio de dicato alla fotografia della/di Pace: incorag gia i fotografi a rendere visibile ciò che può ispirare speranza di Lello Piazza 41 / Tutti a tavola (circa... forse) Biennale di Fotografia dell’Industria e del La voro / Foto/Industria 2021 intitolata al Food : undici mostre d’autore di Antonio Bordoni FOTOgraphia è venduta in abbonamento. FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento po stale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), ar ticolo 1, comma 1 - DCB Milano.

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Come gli utilizzammoaeroplani,che-inunaoccasionediqualchetempofa-perrivolgerciaunresponsabilediunaazienda fotograficadipunta,cheavevaanticipatalasuapresenza aunnostroincontropubblico[speech,nellasocietà dello spettacolo]):Comefioriprofumati/cuitoccad’inchinarsi incompetentesfortunatenosconoaqualsiasialitodivento/Comegattiisolani/chenoncotuttigliodorimarcidelcontinente/Comeguide/cuitoccadicadereperlascemenza/diunricco/Cometechefaischifoenonlosai/mentre inneschiilmercatoglobale/alpostodell’altruismo.Giustopersmentirci(evviva!),avolte-pocheperilvero, mabuone-,anche lafotografiaitalianaarrivaaoffrirein mio;ilcontriconfortanti,addiritturasuperlativi.IncontridieconCuore;incontriconautoricapacidioffrirsisenzarisparincontrichedischiudonoportedelCielo. Ekkociqui,oggi,aregistrarnepiùdiuno,maunoso dellachéperchéhapratutti.Unodigrandevaloreeportataimmensa,checiriconciliatoconilnostrod’intorno.Unochenonvalegrande,ma-conpercorsoinverso-ègrandepervale.Daunaparte,questopotrebbecomporreitrattiproverbialeeccezionecheconfermerebbelaregola; benevolenzad’altrocanto,volenteonolente,facciamotesoroditantaetraiamonegioia,primacheispirazionee perdenzainsegnamentoemodello.Certoèche,sempreindipenanagrafica,abbiamoancheavutotempoemodoselezionarelefrequentazioni,manonèmaifacilein contrareancoraaniminobili,cheguidanointerpretazioni apparentefotografichealtrettantoaristocratiche:dallaformaatuttialcontenuto,daindividuareediscernere.

EDITORIALE

Losottolineiamounavoltaancoraeunadipiù,speran fannoinevitabilmenteInscola-,venzacomodamentoguenza,compresoèquestavaredochenonsiaperl’ultimavolta:magari,sipuònonarriacapirecompletamentelaFotografia,qualsiasicosasignifichiperciascunodinoi,maquellochecontalasensazionediesserciarrivati.LacommozionediaverilsuoruolonellaStoriadelMondo.E,aconseilnostroruolo...nelMondo.Ovvero,senzaalcunacontrattazione,néqualsivogliaacdisterileconvenienza(informadiconnideprecabile):nonsipuòessereFotografi-conMaiusenonsipossiedeanimogentile.SenonsihaCuore.assenzadelquale,quantosipuòancheraggiungere,ètemporaneoedeffimero:comecolorocheschifoenonlosanno.Punto.

taletuttinoiitalianiagiamodallaperiferiadelmondoocciden-noicompresi-,vorremmopoterscendereallaprossi noi,esseretodell’anagrafe;mafermata:deltram,dovec’è,deltreno,piùingenerale.Nonsopportiamopiùmolto:forse,saràcolpa(merito?)altrettantoprobabilmente,nonsiamopoitanlontanidaunacondizioneesensazionediffusa...quelladiattorniatidaautenticiimbecilli...soprattuttoquidainFotografia(italiana).DaeconEnzoJannacci(

Giorgioidea;cosanostra,neFotografia,sgradite.troppe;Attornoanoi,tantepersone.Attornoanoi,tantevoci,spessoaltrettantospesso,moltesonosgradevoli,oltrechePochearrivanoarmonioseecompetenti,siadellamateria(disciplina?espressione?)incondivisiointenzionale,siainassoluto.Scusateci,nonèpercolpamaquestanostraPatria[Fotografia]nonsappiamosia.Puòdarsichecistiamosbagliando,esiaunabellama,temiamochediventiunabruttapoesia(daeconGabereSandroLuporini).Ineffetti,consapevoliche

Maurizio Rebuzzini 7

MereuAngelo

Anni fa, a Porretta Terme, frazione del comune di Alto Reno Terme, in provin cia di Bologna, ci siamo imbattuti in un ben realizzato libro fotografico sulla co struzione della Ferrovia Porrettana, che congiunge Pistoia con Bologna (oppure, Bologna con Pistoia), altrimenti identi ficata come Transappennina. I novan tanove chilometri sono stati comple tati tra il 1856 e il successivo 1959. Dun que, rimanemmo stupiti, colpiti e am mirati dalla lungimiranza con la quale l’impresa costruttrice aveva previsto e preordinato anche la sistematica documen tazione fotografica dei lavori, addirittura in un tempo adolescenziale della stessa Fotografia, non ancora ventenne. Bene, pensammo, ekko di Maurizio Rebuzzini (Franti) PRINCE Angelo Mereu. Una storia milanese; in selezione dalle centoquarantacinque affis sioni Emporio Armani che si sono susseguite, dal 1984 di origine, sull’ampia pare te in via Broletto (e via Cusani e via dell’Orso e via Ponte Vetero e via del Lauro, in centro città, a Milano). Altrimenti identificato Broletto Murales Book, in territorio moda, edizione Emporio Armani, autunno 2021; 216 pagine 28,5x19cm; 35,00 euro.

8 A tutt’oggi, dal gergalmentealgolociaesternasull’ampiaquattrolenovecentottantaMildiorigine,paretechesiaffacsuviaCusani,anviadelBroletto,centrodiMilano,iden tificata come “largo Cusani”, si sono al ternati gettirantacinquecentoquasogEmporioAr mani (e contorni). Sono tutti in bian conero, a eccezione di uno soltanto: in ordine temporale, il penultimo, del la scorsa primavera-estate, a colori, in concessione al soggetto Nazionale di Calcio (in doppia versione, la seconda aggiornata all’affermazione nel Cam pionato Europeo per Nazioni). Le fotografie di Angelo Mereu, che ne sono testimonianza visiva tangibile, so no altrettanto tutte in bianconero, con la stessa eccezione appena evocata. Come rileviamo/annotiamo in altra parte della rivista, su questo stesso nu mero, in presentazione e commento di portfolio d’autore (da pagina ventisei), «prima che per propri contenuti, questa azione sequenziale di Angelo Mereu è fotografica in dipendenza di una condi zione fondante del suo linguaggio ap plicato: ha reso permanenti istanti che avrebbero dovuto (e potuto!) rimanere effimeri, esaurendosi nel proprio stesso svolgimento, senza lasciare altra traccia». Tanto che, a dispetto di molto, que sti stessi murales non sarebbero esistiti, non esisterebbero, senza la loro docu mentazione fotografica. Infatti, volente o nolente, nella nostra epoca, soprattutto, si possono consegnare alla Storia, fosse anche del solo Costume, come in questo caso, unicamente momenti raffigurati e attestati visualmente. Non certo per caso, vivia mo in un Tempo di im magini, qualsiasi queste siano. A memoria, pos siamo richiamare una striscia dai Peanuts, di Charles M. Schulz, di an ni e anni fa (per cortesia, non chiedeteci di rintracciarla): Linus (van Pelt) guarda fuori dalla finestra e osserva che sta ne vicando; l’acida sorella Lucy non è d’ac cordo; sta guardando la televisione e ri leva, per l’appunto, che «non è vero che nevica, perché la televisione non l’ha an cora detto». Ovvero, non lo ha certificato! In altre geografie, la Fo tografia è prevista in ogni capitolato produttivo, ad dirittura con la documen tazione della procedura dei lavori. Ancora in ripresa da noi stessi, ancora in comu nione di analisi e stima: «Sic come, tutti noi italiani agia mo -comunque- dalla pe riferia del mondo occiden tale, e a questa riferiamo il nostro Pensiero, nessuno -nello staff del celebrato sti lista- ha considerato oppor tuna e/o necessaria la docu mentazione coerente dei soggetti Emporio Armani (e contorni) che si sarebbe ro alternati in forma di au tentici murales della nostra (travagliata) epoca». Come certificato e attestato, lo ha fatto l’autorevole flâneur Angelo Mereu, agendo in proprio, in rispetto e ordine al suo peregrinare per la città (Milano) con occhio attento e mente vigile. Anche qui, ancora qui, un ricordo per sonale che calza ancora a pennello, co me si suol dire. In prologo, riveliamo (?) che in ogni luogo nel quale veniamo a trovarci, una volta assolti gli impegni/ incarichi di rito, visitiamo solo e soltan to librerie: non cerchiamo mai nulla di specifico, quantomeno in quegli istan ti, ma -spesso- sono i libri (spesso, in sospettabili) che ci vengono incontro.

/ ESSERE FOTOGRAFO /

PETIT

9 ManafAltin

ManafAltin

10 cese (!), sotto la direzione del noto e affermato progettista Jean Louis Protche! Avviati alla conclusione, vanno sottolineati tratti ca ratteristici che qualificano l’e mozionante Angelo Mereu, fotografo per se stesso e il proprio Cuore. Questa serie fotografica è coeren te a tanti altri suoi progetti, per tutti i quali applica sempre un rigore morale assoluto: «Usa la macchina fotografica Nell’apparenza del semplice e quotidiano, la sua Fotogra fia si focalizza su aspetti di vita non sempre facili. «Agisce come pochi autori di grande statura espressiva sanno fare. Mai invasivo, mai sovrapposto ai propri soggetti, è testi mone partecipe della Vita, riuscendo a congelare istanti rappresentativi non soltanto di se stessi. [...] Le sue fotogra fie hanno un alto tasso di misterioso, tre volte, per quanto ne è restato fuori». Con un solo “difetto”, grande e ingua ribile: Angelo Mereu è di una generosi tà sconfinata, addirittura inquietante, perfino imbarazzante. Una generosità d’animo che mette a disagio (si fa per dire), soprattutto ai nostri aridi giorni, soprattutto in confronto ad altro quoti diano esistenziale. Però, forse, e lo cre diamo, non si può essere Fotografi se non si possiede animo gentile. Dal cuore, Angelo. Dal Cuore. ■ ■ Escursioni di Angelo Me reu attorno il Piccolo Prin cipe: verso il Nobel, in at tività fotografica e in mi crodimensioni.

Silvestri Lupe 8x 3 elementi in 2 gruppi Silvestri Lupe 4x 4 elementi in 2 gruppi Lupe di alta qualità ottica e meccanica, per diversi impieghi: fotografia, arti grafiche, collezionismo, numismatica, filatelia, calligrafia, elettronica, micromeccanica, controllo di lavorazioni. Correzione ottica di altissimo livello. Schemi ottici complessi, con trattamento antiriflesso multistrato. Le Silvestri Loupes sono prodotte con la massima cura, completamente in metallo, con messa a fuoco elicoidale. La loro correzione ottica è analoga, se non identica, a quella degli obiettivi fotografici. Sono stati applicati schemi ottici di tre o quattro len ti in due gruppi, equivalenti a correzioni che nella storia della progettazione fotografica sono state riservate agli obiettivi di alta qualità. In confezione con propri accessori: frontale trasparente per ori ginali opachi, sacca protettiva, laccio tracolla.

Silvestri Lupe 4x 4 elementi in 2 gruppi Silvestri Lupe 6x 4 elementi in 2 gruppi Silvestri Lupe 6x Tilting 3 elementi in 2 gruppi Per la visione ai bordi del vetro smerigliato medio e grande formato

S ILVESTRILUPES

Lentini caLibrati per visione ingrandita in trasparenza (su vetro smerigLiato) e rifLessione (stampe...)

TEMPO

Eccellente e coinvol gente film statuniten se girato nel 1994, e ar rivato nelle sale l’anno seguente (in Italia, il se dici novembre), Smoke è presto diventato uno dei cult della cinemato grafia internazionale: è incluso casellarionell’autorevole

1001 Movies You Must See Before You Die, a cura di Steven Jay Schneider, edizione più recente 2013 (in Italia, 1001 film da non perdere -titolo meno definitivo della traduzione legitti ma 1001 film da vedere prima di morire-, pubblicato da Atlan te, nel 2006). Non si tratta di un raccon to lineare, ma di situazioni concatenate che hanno come epicentro una affasci nante tabaccheria di Brooklyn, all’ango lo tra Prospect Park W e la 16th street (NY 11215), nella quale i clienti riflettono e filosofeggiano, a partire dall’elogio del fumo: «Una volta fumavo le sigarette Ra leigh. In ogni pacchetto, c’era un buo no regalo»; «Proprio lui. Beh, [sir Walter] Raleigh è quello che ha introdot to il tabacco in Inghil terra; e, poiché era un favorito della regina -la chiamava Bess-, a cor te, il fumo diventò subi to di moda. Sono sicuro che la vecchia Bess s’è fumata qualche sigaro con lui». La genesi della sceneggiatura e del “girato” di Smoke sono particolari e unici nel (pur vasto) panorama della narrazio ne visiva contemporanea. Prima di arri vare al riferimento esplicito e mirato alla Fotografia, che definisce uno dei nostri punti di vista privilegiati, magari s-pun ti di riflessione, vale la pena ricordarli. Il 25 dicembre 1990, l’autorevole quotidia no The New York Ti mes pubblicò un rac conto natalizio che ave va commissionato al lo scrittore Paul Auster (1947), ai tempi già au tore di sei romanzi. Il racconto di Natale di Auggie Wren si presen ta scritto in forma narra tiva da uno scrittore-te stimone (non protago nista), che lo riferisce a un tabaccaio di Bro oklyn, dell’area di Park Slope (dove Paul Au ster vive da tempo), con l’hobby della fotografia: cominciamo ad avvicinarci [per precisione toponoma stica, che non guasta mai, Park Slope è un quartiere a nord-ovest di Brooklyn, all’interno di una vasta area cittadina, un tempo nota come South Brooklyn: approssimativamente, è delimitato da Prospect Park e Prospect Park West, a est, la Fourth Avenue, a ovest, Flatbu sh Avenue, a nord, e Prospect Expres sway, all’estremo sud]. Il regista statuniten se Wayne Wang, che aveva già firmato Slam dance (1987), Il delitto di mezzanotte (1987) e Mangia una tazza di tè (1989), lesse il racconto di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini E TEMPI

Auggie Wren (Harvey Keitel) è un tabaccaio di Brooklyn con l’hobby della foto grafia. Ogni mattina, alle otto in punto, fotografa l’angolo della propria tabac cheria. Nel film Smoke, presenta allo scrittore Paul Benjamin (William Hurt) -suo cliente- gli album nei quali ha raccolto quattordici anni di fotografie: «Sai com’è: domani e domani e domani, il tempo scorre a piccoli passi».

/ CINEMA /

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13 e chiese allo scrittore di trasformare l’i dea in sceneggiatura cinematografi ca. Attorno al mondo della tabaccheria The Brooklyn Cigar Co, appena abboz zato nel racconto natalizio, fu costruita una vera e propria socialità newyorke se -meglio, brooklyniana-, che ha dato vita anche a un seguito, che va subito precisato, e presto liquidato. Alla fine delle riprese di Smoke , la troupe si era tanto affezionata al set da fermarsi per un’altra sceneggiatu ra estemporanea, in una certa misura consequenziale. Si sono aggiunte par tecipazioni volontarie -così si dice-, ed è nato Blue in the Face: dialoghi e mono loghi riguardanti soprattutto Brooklyn, siparietti, interviste e giochi in libertà, ai quali hanno dato corpo, tra gli altri, il can tante Lou Reed, la pop star Madonna e gli attori Michael J. Fox e Lily Tomlin. Ma questa, come spesso si dice (sempre?), è un’altra storia. Allungandosi dal Racconto di Natale, il cinematografico Smoke è l’avventura dell’ami cizia tra uno scrittore in crisi di ispirazione (Paul Benjamin, interpretato da William Hurt) e un tabaccaio di Brooklyn con l’hobby della fotografia (sullo schermo, un fantastico Harvey Keitel, nella parte di Auggie Wren, che nella prima scena del film, dietro il banco, sfoglia proprio una rivista di fotografia). Già nel Racconto fa capolino una macchina fotografica -nel film, una reflex Canon AE-1-, che alla resa dei conti occupa una posizione di prestigio nella sceneggiatura. In uno dei quadri di Smoke, Paul Benjamin arriva alla ta baccheria The Brooklyn Ci gar Co, attorno la quale ruota l’intera vicenda (e all’interno della quale si svolgono i dialo ghi del conseguente Blue in the Face), all’ora di chiusura, mentre Auggie Wren sta ab bassando la saracinesca. In sieme, rientrano nel locale, e Paul Benjamin intravede una macchina fotografica vicino al registratore di cassa (appunto la reflex Canon AE-1).

Lo scrittore Paul Benja min arriva in tabacche ria all’ora di chiusura. Sul banco, intravede una reflex. Dialoga con il ta baccaio Auggie Wren, che lo invita a vedere le sue fotografie, nel pro prio appartamento.

Paul: Non sapevo che scattassi fo tografie.Auggie [porgendo i sigari a Paul]: Penso che si possa chiamare un hob by. Non mi prende più di cinque mi nuti, ma lo pratico ogni giorno. Con la pioggia o col sole, con la neve o col vento. Un po’ come i postini... [pausa] Qualche volta, ho l’impressione che l’hobby sia il mio vero lavoro e che il lavoro serva solo a pagarmi l’hobby.

LEDIETROQUINTE?

Rispondendo a una natura guidata anche da discrezione riservatezza -intese e interpretate come doti-, al solito, anche per e con il film Smoke, abbiamo evitato di soffermarci su curiosità trasversali superflue, che spesso accompa gnano altrui commenti alle sceneggiature e scenografie cinematografiche. Però, non le ignoriamo; soltanto, ci paiono sempre inutile esercizio di stile (stupido e infantile!). A riprova, due annotazioni, due soltanto, per gli intrecci di Smoke, tanto per dimostrare, rivelandolo, che per quanto conosciamo, sia mo anche capaci di stare zitti, quando e per quanto occorra farlo.

Due; la storia del ragazzo che trova il corpo del padre congelato su una mon tagna, che il coprotagonista Paul Benjamin racconta in Smoke, è identica a quella che lo scrittore Paul Auster -per questo film, ispiratore e sceneggiato re- ha usato nella sua raccolta di tre novelle The New York Trilogy, della metà degli anni Ottanta (del Novecento). Però, se due promemoria paiono pochi, ancora altri due brevi: oltre altre note autobiografiche disseminate lungo la sceneggiatura, l’identificazione “Paul Benjamin” è riferimento esplicito allo scrittore Paul Auster, all’anagrafe Paul Benjamin Auster; la sequenza del racconto della storia di Natale di Aug gie Wren è ripresa ininterrotta di cinque minuti. Da qui, aggiungiamo qualcosa alle considerazioni che abbiamo finalizzato alla componente “fotografica” della sceneggiatura (e anche della scenografia: reflex Canon AE-1). Non prima di un’ulteriore riproposta dai dialoghi, oltre gli estratti in appoggio al corpo centrale di questo stesso intervento redazionale. Alla fine del racconto autobiografico, in genesi per il Racconto di Natale di Aug gie Wren, da cui il cinematografico Smoke, Paul Benjamin è sbalordito e ammirato. Paul: Amico, hai un vero talento. Per inventare una buona storia devi sapere come premere tutti i pulsanti giusti. Direi che eri lassù con tutti i maestri. Auggie: Cosa intendi dire? Paul: Voglio dire... ehm [ridacchia]. È una bella storia. Auggie: Merda, se non puoi condividere i tuoi segreti con i tuoi amici, al lora che tipo di amico sei? Paul: Esatto. La vita non sarebbe degna di essere vissuta, vero? Da qui, alla fotografia in scenografia. Nel film Smoke, il tabaccaio Auggie Wren scatta le proprie fotografie quotidiane, ogni mattina alle otto, con una Canon AE-1 fissata su un treppiedi sollevato fino all’altezza delle sue spalle, circa. Eppure, le stampe nei suoi album rivelano un punto di vista più alto; diciamo, all’altezza de gli occhi o più alto ancora. Dal nostro osservatorio determinato e concreto, con sideriamo l’allineamento del semaforo in primo piano, a sinistra, e dell’edificio sullo sfondo (l’angolo della tabaccheria The Brooklyn Cigar & Co), al centro della composizione/inquadratura, coerente da un’immagine all’altra. Ovviamente, la collocazione più bassa della Canon AE-1 è congeniale alle esigenze e necessità di raffigurazione cinematografica [allo stesso modo, ricordiamo anche e ancora qui che, a domanda, nel corso di una antica intervista che ci concesse, Guido Crepax rivelò di aver dotato la sua eroina Valentina / fotografa di una Rolleiflex, alternata a una analoga Polly-Max, altrettanto biottica... perché le lasciava libero il volto]. E basta. Quantomeno, dovrebbe/potrebbe bastare.

cult, , Wayne Wang, del 1995, affascinante tabaccheria di Brooklyn (The Brooklyn Cigar Co), quale contrano amichevolmente: riflettono e filosofeggiano, a partire dall’elogio del fumo.

Paul: Quindi, non sei soltanto uno che passa i giorni qui dentro a dare il resto.

Uno: in Smoke, nei panni di Rashid Cole, l’attore afroamericano Harold Per rineau interpreta un figlio che si riallaccia al padre, che non vedeva da oltre dieci anni. In incrocio (?), nella fortunata serie televisiva Lost, dal 2004, lo stes so attore interpreta Michael Dawson, un padre che si riavvicina al figlio, dopo (altrettanti) dieci anni di separazione.

Paul: Un giorno vorrei vedere le tue foto[grafie].Auggie:Perché no... Dato che ho letto i tuoi libri, non vedo perché non dovrei mostrarti le mie foto[grafie]. [pausa; improvvisamente imbaraz zato] Sarebbe un onore. A questo punto, in dissolvenza di sce neggiatura, ci si sposta all’interno dell’ap partamento di Auggie Wren, dove lo stesso Auggie e Paul (Benjamin) sono seduti al tavolo di cucina. Il piano è in teramente occupato da grandi album di fotografie 13x18cm, probabilmente, con copertina nera. In tutto, sono quat tordici; sulla costa di ciascuno, è indica ta l’annata, dal 1977 al 1990. L’album del 1987 è aperto davanti a Paul. Primo piano di una pagina dell’al bum con sei fotografie in bianconero dello stesso luogo (rispetto al raccon to scritto, nell’inquadratura cinemato grafica, se ne vedono quattro): l’angolo tra la Terza Strada e la Settima Avenue (ancora, in esigenza scenografica), dove c’è la tabaccheria The Brooklyn Cigar Co, alle otto del mattino. In prossimità dello spigolo in basso a sinistra di ogni stampa, c’è una piccola etichetta bianca con la data: all’ameri cana, mese, giorno e anno. I giorni si susseguono, uno dopo l’altro, in rigo rosa e inflessibile cadenza temporale, senza alcuna soluzione di continuità.

Auggie [voltandosi]: Sì, io. Paul: È Auggie:tua?Sì,è un aggeggio che ho da un sacco di tempo.

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Dai Paul:dialoghi.Sembra che qualcuno abbia di menticato una macchina fotografica.

Auggie: Questo è ciò che vede la gente, ma non è necessariamente ciò che io sono. Paul [guardando Auggie con occhi nuovi]: Come hai cominciato? Auggie: A far fotografie? [sorride] È una lunga storia. Ci vorrebbero alme no due o tre bicchieri per raccontarla. Paul [annuendo]: Guarda un po’, unAuggie:fotografo...Beh, non esageriamo. Scat to fotografie. Inquadro qualcosa nel mirino e schiaccio il pulsante. Non è il caso di menarla tanto con tutte quelle cazzate sull’arte.

Paul volta pagina, e appaiono altre sei fotografie analoghe a quelle della pagina precedente. Paul volta pagina di nuovo: stessa ripetizione. Un’altra pa gina: stessa reiterazione. Ancora dai dialoghi. Paul [stupefatto]: Sono tutte uguali. Auggie [sorridendo, fiero di sé]: Esat to. Più di quattromila foto[grafie] del lo stesso posto: l’angolo tra la Terza Strada e la Settima Avenue, alle otto in punto del mattino [per opportu nità a noi estranee, ma certamente necessarie, il set cinematografico è stato allestito all’angolo tra Prospect Park W e la 16th street]. Quattromi la giorni, uno dopo l’altro, fotografati con ogni sorta di tempo [atmosferico].

Conclusione: allungo sul progetto fo tografico sui murales dell’Emporio Ar mani svolto da Angelo Mereu: su que sto stesso numero, da pagina ventisei.

■ ■ Archivio FOTOgraphia (3)

Il racconto di Natale di Auggie Wren, di Paul Auster, è stato pubbli cato sul prestigioso quotidiano The New York Times, del 25 dicembre 1990. Da questo, ha preso ispirazione e contenuti il film Smoke, diretto dal regista Wayne Wang, del 1995, sceneggiato dallo stesso scritto re Paul Auster. All’interno dello svolgimento del film, pur spuntan do a sorpresa verso la sua fine, il Racconto è inserito e visualizzato in narrazione cinematografica di Auggie Wren... tabaccaio a Brooklyn. Nel 1995, la sceneggiatura di Smoke è stata pubblicata in Italia da Ei naudi Editore, nella Collana I coralli, in un volume comprensivo anche della sceneggiatura dell’“allungo” Blue in the Face (dall’edizione origi naria Smoke & Blue in the Face: two films ; Miramax, 1995). Quindi, va segnalata anche l’edizione italiana (illustrata) dello stesso Racconto: è stata pubblicata in Italia da Federico Motta Editore, nella Collana Motta Junior, nel 1998; per l’occasione, Christmas story: il Natale di Auggie Wren. [pausa] Ecco perché non posso prendermi una vacanza. Devo essere là ogni mattina. Ogni mattina, nello stesso posto, allo stesso momento. Paul [sfogliando l’album e scuoten do ancora la testa]: Sono senza parole. Auggie [sempre sorridendo]: Non capirai mai se non rallenti, mio caro.

Paul: Che vuoi dire? Auggie: Che vai troppo in fretta. Quasi non le guardi, le fotografie. Paul: Ma sono tutte uguali. Auggie: Il posto è lo stesso, ma ogni foto[grafia] è diversa dall’altra. Ci so no mattine col sole e quelle con le nuvole, c’è la luce estiva e quella au tunnale. Ci sono i giorni feriali e quelli festivi. C’è la gente con cappotto e sti vali e la gente in calzoncini e magliet ta. Qualche volta, la gente è la stessa; qualche volta, è diversa. E talvolta, la gente diversa diventa la stessa; men tre quella di prima scompare. La Ter ra gira intorno al sole e ogni giorno la luce del sole colpisce la Terra con un’inclinazione diversa.

Paul [sollevando gli occhi dall’al bum]: Rallentare, eh? Auggie: Sì, questo è il mio consiglio. Sai com’è: domani e domani e do mani, il tempo scorre a piccoli passi.

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Connessioni certe.

in anticipo su Fotografia nei francobolli Francobollo sovietico da una serie di cinque valori emessi il 16 aprile 1985 in celebrazione del Dodicesimo Congresso dell’Unione della Gioventù Comunista Leninista di tutta l’Unione (Sovietica), identificata dall’abbreviazione Komsomol.

FOTO graphia 03/F/otograFianeiFrancobolli

Brevemente, a proposito di “fotografa”: almeno per i foto grafi reporter, la recente/attuale rivoluzione digitale ha re so la professione quasi economicamente insostenibile. Per esempio, da Getty Images, la più grande agenzia fotografica del mondo, i diritti per la pubblicazione si possono acquista re a prezzi impensabili trent’anni fa (d’altra parte, anche gli inserzionisti comperano le pagine pubblicitarie nei giornali a costi impensabilmente bassi rispetto gli stessi vent’anni fa).

A Matilde Corno, Premio Riccardo Prina 2020 (2021) per la serie Irene : tre delicate immagini dedicate alla nonna, in sintesi da un progetto originario in sei passi. Però, è molto meglio in tre

17 di Lello Piazza Spero che nessuno ne venga infastidito, ma in questo mio scritto ci saranno almeno tre “dotte” citazioni. Non per esi bizione di cultura (?), ma perché calzano a pennello alla assegnazione a Matilde Corno del Premio Riccardo Prina (fotografico), edizione 2020 (ma assegnato nel 2021), per il suo lavoro Irene: tre immagini dedicate alla nonna. Questo premio è stato istituito nel 2011, per «ricordare la vi tale curiosità e la rigorosa professionalità dimostrata dal gior nalista e critico d’arte e della fotografia Riccardo Prina (19692010)», prematuramente scomparso. È riservato a fotografi, professionisti e non, dai diciotto ai quaranta anni, che -per re golamento- devono presentare un racconto fotografico realiz zato con tre - sei immagini, e oggi è abbinato al Premio Piero Chiara (letterario), Festival del Racconto (www.premiochiara. it), in omaggio all’amore per la fotografia di Piero Chiara, uno degli scrittori italiani più noti della seconda metà del Nove cento [autore, tra tanto altro, del racconto L’uovo al cianuro, che introduce una raccolta libraria di ventitré testi, che ha per protagonista lo sfuggente e triste fotografo signor Pareille, che sopravvive stampando ritratti di defunti].

Chi è Matilde Corno? È una fotografa giovane, con tutto quello che significano l’aggettivo “giovane” e il sostantivo “fotografa”.

MATILDE!

Chi aspira a iniziare la professione di fotografo dove deve rivolgersi? Cercare lavoro nelle cerimonie, a partire dalla fo tografia di matrimoni? Mah! C’è un certo spazio esistenzia le nella pubblicità, ma non tutti si trovano a proprio agio in questo ambito. C’è altro spazio nel mercato del collezionismo, ma è più facile scalare il Monte Analogo (Mount Analogue, prima citazione: romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche dello scrittore e poeta francese René Daumal, pubblicato postumo, nel 1952). C’è spazio nei concorsi, nel mondo della ricerca espressiva... ma, i premi e riconoscimenti museali non bastano per mangiare e vivere.

Perché parlo di quello che non avevo capito? Perché par larne credo che costituisca un suggerimento alla prudenza nel giudicare, a non essere superficiali e sbrigativi, traendo conclusioni che fanno riferimento soltanto ai nostri usuali ca noni di giudizio, un suggerimento ad ascoltare il sentimento e le ragioni dell’autore del lavoro [da e con FOTOgraphia, in diverse occasioni: osservare, piuttosto di giudicare; pensa re, invece di credere]. Il mio non è un suggerimento banale. Rinunciare ai pre giudizi, cioè a quei giudizi che si formulano prima di pensa re, è una delle pratiche più difficili per gli Umani. Anche perché cosa è la Fotografia? È quella che ho in mente io o quella che ha in mente l’autore del lavoro che accosto? Avevo promesso citazioni dotte. Ecco la seconda. Sono versi della poetessa Wisława Szymborska (1923-2012), pre mio Nobel per la Letteratura, nel 1996. Questi versi si intito lano Ad alcuni piace la poesia, ma sostituite “poesia” con “fotografia” e avrete uno s-punto sul quale riflettere: «Ad al cuni - / cioè non a tutti. / E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. / Senza contare le scuole, dove è un obbligo, / e i poeti stessi, / ce ne saranno forse due su mille. / Piace - / ma piace anche la pasta in brodo, / piacciono i compli

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Sempre brevemente, passo all’aggettivo “giovane”: quando ero piccolo, molti decenni fa, era possibile e relativamente fa cile realizzare quasi tutto. E, lavorando, sarebbe stata garantita la pensione, per alcuni di pochi “euri”, ma sempre pensione. Chiederete cosa c’entra la pensione? C’entra. Se non c’è un meccanismo automatico di risparmio per la vecchiaia, nel fatturato annuale, bisogna prevedere incassi adeguati a una sopravvivenza una volta esaurito il tempo/ciclo “produttivo”. E questi non sono bruscolini. Poi, c’è la crisi occupazionale gio vanile, che non ha uguali nella storia della nostra Repubblica, che non può essere certo risolta dal Reddito di Cittadinanza. E, poi, ancora e basta, c’è la sempre più iniqua distribuzione della ricchezza, e il riscaldamento globale, e il Covid. E altro. Insomma, un orizzonte non rassicurante per una “foto grafa giovane”. Ciononostante, coraggiosamente e inevita bilmente, le fotografe giovani vanno avanti. Torniamo a Matilde Corno, che si autopresenta: «Nel 20202021, sono stata assistente del fotografo Marco P. Valli, del collettivo Cesura. Nello stesso periodo, ho insegnato materie umanistiche a una quarta elementare di Lissone [nell’hinter land milanese]. Dal 2014 al 2017, ho studiato al London College of Communication, una sezione della University of the Arts of London, seguendo il corso di Photo Journalism and Docu mentary Photography. Nell’estate del 2017, alla fine dell’espe rienza universitaria, sono stata assistente del fotografo Chri stopher Morris, dell’Agenzia VII [VII Photo Agency]. «Prima di Londra, oltre al fatto di essere andata spesso in giro con una macchina fotografica al collo, la mia unica espe rienza nel campo della fotografia è stata la partecipazione ai workshop di Anastasia Taylor Lind e Sebastian Liste, al TPW / Toscana Photographic Workshop. Oggi, lavoro in un bellis simo laboratorio di fotografia analogica, soprattutto bianco nero, il Punto Foto Group, una attività guidata da Felix Bielser, che l’ha ereditata dal padre Karl, a Milano». Aggiungo che ha studiato al liceo classico Zucchi, di Monza, che la sua tesi di laurea è dedicata alla fotografia col drone e alla differenza tra il suo uso bellico e la sua finalità artistica; mentre, il progetto fotografico di laurea FM105,4: radio ma gic racconta lo scenario pagano del Ventunesimo secolo in Inghilterra, con un mix di ritratti e di paesaggi mistici. Dopo la laurea, ha viaggiato per mesi in Sud America.

Perché avevo avvicinato il suo racconto fotografico originario di sei immagini, traendone un giudizio molto negativo. Non mi ero accorto che -eliminando tre di quelle composizioni- il lavoro sarebbe diventato molto gradevole e poetico.

Perché riferisco di Matilde Corno e della sua serie Irene?

19 menti e il colore azzurro, / piace una vecchia sciarpa, / piace averla vinta, / piace accarezzare un cane. / La poesia - / ma cos’è mai la poesia? / Più d’una risposta incerta / è stata già data in proposito. / Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo / come alla Salvezza di un corrimano». Di nuovo, perché richiamo il lavoro fotografico Irene? Ne parlo anche perché una giuria competente lo ha individuato e segnalato tra quelli di duecentoquarantacinque parteci panti, ridottisi a quattordici finalisti. La motivazione: «La co struzione del ritratto compiuta dall’autrice scandisce il suo ricordo tramite un percorso visivo non convenzionale. La scelta consapevole delle inquadrature svela porzioni di un corpo dalle quali deliberatamente è escluso il volto. La cifra stilistica personale esprime maturità fotografica». Il lavoro ha ricevuto un premio di ottocento euro dalla fa miglia Prina. Ha fatto parte del premio anche la possibilità di esporre una mostra “personale” presso il Museo Maga, di Galla rate, in provincia di Varese, dal due al diciassette ottobre scorsi. Cito alcuni membri della giuria, limitandomi a quelli che conosco e scusandomi con gli altri. C’erano Mauro Gervasi ni, critico cinematografico, presidente, Matteo Balduzzi, cu ratore del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisel lo Balsamo, alle porte di Milano, Riccardo Blumer, direttore dell’Accademia di Architettura di Mendrisio (Svizzera), Bambi Lazzati, direttrice del Premio Piero Chiara, Elisabetta Sgarbi, regista, fondatrice della casa editrice La nave di Teseo e di rettrice di La Milanesiana (manifestazione d’arte), e Emma Zanella, direttrice del Museo Maga, di Gallarate. In conclusione... non provo neppure a riformulare il giudizio critico / estetico della giuria sul lavoro di Matilde Corno. Non possiedo il dizionario per formulazioni di questo tipo: il mio rapporto con la Fotografia non ha questa qualità, e me ne scuso. Ma, confermo: nella cadenza e narrazione di tre imma gini, Irene è un bel lavoro fotografico. E mi piace. Ma non posso chiudere senza presentare un’altra deliziosa qualità di Matilde Corno, la sua dote di espressività letteraria.

Chiudo con la terza citazione promessa, che prende ori gine dalle parole scritte sul muro della scuola di Barbiana di don Milani. Con una lieve modifica (da Cento a Trecen to), la citazione è anche titolo di una commedia in due atti di un altro premio Nobel per la Letteratura (1997), Dario Fo (1926-2016): L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000: per questo lui è il padrone. Queste riflessioni non sono state proposte come rimprovero, ma suggerimento. Quale? Ai tutti noi e a Matilde Corno l’ardua risposta. In sentenza.

■ ■

Nella autopresentazione della mostra fotografica Babyblue, al Maga, ha scritto: «È un progetto nato negli ultimi due an ni di vita. Racconta del non sapere. La mia risposta preferita è “boh?”. Mi uccide la scelta davanti a tre gusti di gelato, tra un calzino nero e uno bianco, e a destra o a sinistra al bivio? Così, il perenne stato di blue: dall’inglese “I’m blue”, che in dica malinconia, nostalgia per cosa poi chissà. Due anni fa, sono tornata da un viaggio; dicono che nei viaggi o ti trovi o ti perdi. Se già ero persa prima, sicuramente non ne sono tornata migliorata. Ma cosa vuol dire poi trovarsi? Sono la se conda di tre e passo il tempo a cercare (se mi chiedete cosa non lo so), mentre scatto e scrivo sui miei diari. Queste foto grafie raccontano di notti insonni, di piccole “ me” che fanno a pugni, di farmaci, di paure e ansie, di blue e di dolcezza. «Babyblue è la mia riflessione intima, e ha passato un sac co di tempo a prendere polvere nel mio disco esterno». Fotografia e Scrittura. Non a caso uno dei suoi fotogra fi preferiti è lo statunitense Jim Goldberg, che scrive sulle sue immagini. Le proporrei, se non lo conosce, di esplorare il lavoro di Duane Michals, che ha svolto e ancora svolge lo stesso genere di interventi, e che spesso costruisce racconti con le sue fotografie.

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21 di Angelo Galantini Attorno a noi, si stanno manifestando microcambiamenti continui e costanti, che -nel giro di qualche anno- produrran no trasformazioni sociali consistenti. Per quanto possiamo aver già osservato ciò che è accaduto in altre geografie (ma gari anche prossime, a portata di mano), a causa di una mancanza di autorevo lezza del Potere, ciò che sta accadendo in Italia si svolge in modo disordinato e confuso: ma si distende comunque. Nelle nostre città, le comunità in arri vo / appena arrivate stanno acquisendo posizioni sempre più evidenti, andando a occupare soprattutto il commercio al minuto. Tanto che, solo per esemplificare, qui attorno la nostra redazione, i negozi gestiti da immigrati sono quantitativa mente consistenti e preponderanti, sia con attività proprie, sia nella conduzio ne di esercizi tradizionali. Prima di proseguire, una precisazio ne: personalmente siamo affascinati dal movimento dei Popoli, che -nella storia dell’Uomo- si è sempre accompagnato con evoluzioni positive, con interscambi fantastici e irrinunciabili. Purtroppo per l’Italia, ridurre tutto questo a sola que stione di ordine pubblico non consen te di apprezzare quanto sia incantevole l’incontro di culture, usanze e tradizio ni, ognuna capace di arricchire le altre. Da e con Adriano Celen tano: Questa è la storia / di uno di noi, / anche lui nato per caso in via Gluck, / in una casa, fuori città, / gente tranquilla, che lavorava. / Là dove c’era l’erba ora c’è / una città, / e quella casa / in mezzo al verde ormai, / dove sarà? / Questo ra gazzo della via Gluck, / si divertiva a giocare con me, / ma un giorno disse / vado in città, / e lo dice va mentre piangeva [...].(continua a pagina 25)

Incalziamo una certa applicazione della Fotografia, come documento del Tempo e propria Testimonianza: oltre quanto già tanta Fotografia realizza. Concretamente, si dovrebbe registrare come e quanto -giorno per giorno- qualcosa cambia attorno a noi, in modo che rimangano attestati fotografici che raccontino l’inesorabile corso degli eventi. Soprattutto, richiamiamo i microcambiamenti sociali che stanno influenzando sul e nel nostro quotidiano, e che poi -nel giro di qualche anno- produrranno trasformazioni sociali consistenti. Curiosamente, saremmo autorizzati a ragionare in questo senso (dell’erba) da una nostra bizzarra coincidenza d’indirizzo

Là dove c’era l’erba...

22 CAMPAGNA...CAMBIAMENTICITTÀ

1976gennaio7Mercoledì1972ottobre3Martedì1953maggio6Mercoledì

Tre anni dopo, nel 1976, la stessa combinazione di auto re ed editore (e poster in cartella) duplicò con Hier fallt ein Haus, dart steht ein Kran und ewig droht der Baggerzahn oder Die Veränderung der Stadt (ancora circa, Qui crol la una casa, là c’è una gru e il dente dell’escavatore mi naccia sempre, ovvero il cambiamento della città). Dopo la campagna, stessa cadenza, questa volta in otto tavole, per i cambiamenti della Città, nelle medesime date, scan dite dal 1953 di avvio al 1976 di approdo. Qui in selezione.

L’attuale edizione illustrata Dove c’era un prato, di Jӧrg Muller, pubblicata in volume da Lazy Dog Press, con un testo di Giulia Mirandola, argomento portante di questo intervento redazio nale, è traduzione italiana della serie originaria Alle Jahre wie der saust der Presslufthammer nieder oder Die Veränderung der landschaft (circa, Ogni anno “sfreccia” il martello pneu matico, ovvero il cambiamento del paesaggio), che l’editore svizzero-tedesco Verlag Sauerländer realizzò, nel 1973, in ta vole di dimensioni generose 85,5x31,5cm, raccolte in cartella.

23 1959novembre20Venerdì1956agosto16GiovedìSabato19gennaio1963

24 1972ottobre3Martedì1969luglio14LunedìDomenica17aprile1966

(continua da pagina 21)

Tre segnalazioni dal catalogo Lazy Dog Press (lazydog.eu). Il Tratto. Teoria della scrit tura, di Gerrit Noordzij (te sti e illustrazioni); 2020; 88 pagine 12,5x19cm; 19,50 euro. , di Jinta Hirayama; 2021; 96 pagi ne 12x18cm; 19,50 euro.

Tupigrafia. 2000-2020 Anthology, a cura di Tony de Marco e Claudio Ro cha; 2021; 208 pagine 15,5x22,5cm; 48,00 euro.

25 serie di poster, raccolti in cartelle corri spondenti. Oggi, l’editore italiano Lazy Dog Press (lazydog.eu) pubblica in vo lume la serie della Campagna. Per l’occasione, il titolo è esplicito, diret to e immediato: Dove c’era un prato [e l’ingresso posteriore della nostra redazio ne è in via Gluck, «là dove c’era l’erba» (e dove giocavamo a baseball sulla strada)]. Come anticipato, la cadenza delle sette illustrazioni è scandita al ritmo del pas saggio degli anni, con tempistica sta gionale e cadenza sui sette giorni della settimana, da mercoledì a martedì: 6 maggio 1953, 16 agosto 1956, 20 novem bre 1959, 19 gennaio 1963, 17 aprile 1966, 14 luglio 1969 e 3 ottobre 1972 (la serie originaria della trasformazione della Cit tà si allunga su un’ottava tavola, datata mercoledì 7 gennaio 1976). Da cui, inevitabilmente, quanto perse guito dall’autore scandisce il cammino e registra la trasformazione da un “pri ma” a un “dopo”. Dal 1953 al 1972 / 1976, in circa venticinque anni, il panorama urbano svizzero e tedesco si è comple tamente stravolto (più di quanto abbia fatto quello italiano, va rilevato): dal pas sato al presente-futuribile, senza alcun rimorso, né incertezza. A conti fatti, si è trattato di un cambio generazionale consueto, simile a quanti tanti lo han no preceduto per stagioni tra-passate (in questa fase, per dirne una, scandi to anche dal passaggio dalla bottega alQuestesupermercato).tavolesono qui proposte a ti tolo di esempio macroscopico, mentre oggi assistiamo a cambiamenti micro scopici, che sarebbero alla portata della rilevazione fotografica. Ed è in questo senso che sollecitiamo una certa applicazione della Fotografia, come Documento del Tempo e sua Testi monianza. Concretamente, si dovrebbe registrare come e quanto -giorno per gior no, giorno dopo giorno- qualcosa cambia attorno a noi, in modo che rimangano attestati fotografici che raccontino l’ine sorabile corso degli eventi. Delle due, entrambe. Da e con Edward Steichen (1969, in occasione del suo no vantesimo compleanno): «Missione della fotografia è spiegare l’Uomo all’Uomo, e ogni Uomo a se stesso». Da e con Aug gie Wren (interpretato dall’attore Harvey Keitel, nel film Smoke, di Paul Auster, del 1995), in esplicito richiamo al Macbeth, di William Shakespeare (Atto V, Scena V): «Sai com’è: domani e domani e do mani, il tempo scorre a piccoli passi». Cambiamenti da registrare. ■ ■

Ancora purtroppo, per mille motivi, il giornalismo, e in consecuzione diretta il fotogiornalismo, non stanno annotando, né registrando, questa sottile, quanto ca pillare, metamorfosi, che sta alla base di una sostanziosa trasformazione sociale. Forse, il giornalismo e il fotogiornalismo -a ridosso- non possiedono gli strumen ti espressivi per farlo, per poterlo fare. Se vogliamo vederla anche così, è pa radossale annotare come e quanto sol tanto il cinema (soprattutto quello sta tunitense e quello francese, anche in forma di serie televisive) si stia rivelando capace di annotare con garbo e -spes so- sentimento il nuovo clima, appunto innescato dal movimento dei popoli. Un esempio sopra tutti, e per tutti, è lo stupefacente film Gran Torino, di Clint Eastwood (maestro di affetti e passio ni), del 2008, diretto e interpretato con maestria fuori dal comune. Bene, o male. Nelle proprie espres sioni di fotogiornalismo, la fotografia professionale è oggi assente da questa rilevazione, che speriamo sia comun que svolta dalla fotografia non profes sionale, polverizzata sul territorio italia no. Lo auspichiamo e ci illudiamo che questo possa avvenire... stia avvenendo. Per quanto riguarda il cambiamento architettonico, ancora una testimonian za diretta. L’attuale area futuristica Cityli fe, che Milano ha creato di rimpetto alla Stazione ferroviaria di Porta Garibaldi, tra i quartieri di Porta Volta e Porta Nuova, con epicentro piazza Gae Aulenti, erigen do grattacieli soprattutto curvi e storti, sorge là dove siamo nati, all’inizio degli anni Cinquanta, in tempi e con moda lità di case operaie. Soprattutto, case di ringhiera, con “servizi” in comune (un gabinetto alla turca, e niente di più, né diverso), e cortili e strade per giocare. Og gi è moda, mondanità e aperitivi; ieri è stato disagio esistenziale. Tutto cambia. Così che è esemplare il time-lapse su due soggetti dichiarati, realizzato dall’at tento e capace illustratore svizzero Jörg Muller, a metà degli anni Settanta; dun que, quasi cinquanta anni fa, ragionando su base “tedesca”, con quanto le deva stazioni della Seconda guerra mondiale e la ricostruzione hanno condizionato. Le due serie scandiscono il ritmo dei cam biamenti su sette giorni della settimana, da mercoledì a martedì, con salti tem porali che, dal 1953 di origine, approda no al 1972 / 1976 di arrivo. Jörg Muller ha affrontato e visualizzato la Campagna e la Città, confezionando due rispettive Dove c’era un prato, di Jörg Muller; con un testo di Giulia Mirandola; Lazy Dog Press, 2021; 24 pagi ne 30x23,5cm; 19,00 euro.

1996

E DOMANI E DOMANI ANGELO MEREU Ciò che veramente conta nella documentazione di Angelo Mereu, svolta nel trascorrere degli anni e decenni, declinata con fotografie dirette ed esplicite, che rappresentano esatta mente ciò che raffigurano, è che -in sua assenza- le affissioni Emporio Armani (e contorni) non sarebbero esistite, perché la Memoria non ne avrebbe alcuna traccia evidente e certa

Compimento altrettanto dovuto: l’azione fotografica at traverso la quale e con la quale l’attento Angelo Mereu ha sistematicamente documentato l’alternarsi delle affissioni Emporio Armani (e contorni) sull’ampia parete esterna che si affaccia su via Cusani, angolo via del Broletto, al centro di Mi lano, gergalmente identificata come “largo Cusani”, è espres sione concreta e autentica del linguaggio visivo applicato... per l’appunto, fotografico. Prima che per propri contenuti, ai quali stiamo per approdare, questa azione sequenziale è fotografica in dipendenza di una condizione fondante del suo linguaggio applicato: ha reso permanenti istanti che avrebbero dovuto (e potuto!) rimanere effimeri, esaurendosi nel proprio stesso svolgimento, senza lasciare altra traccia. Siccome Angelo Mereu è fotografo consapevole e disci plinato, per quanto non svolga per professione (la sua è al tra), sa bene quanta responsabilità implichi il suo gesto, il suo agire. Consegnare alla Storia, sia pure del Costume, co me in questo caso, Momenti altrimenti transitori implica un senso del dovere che esclude qualsivoglia autoreferenzialità (momentaneamente gratificante... per quanto), per elevare se stessi oltre il Tempo. Avviate nell’Ottantaquattro (in quel 1984 che George Orwell ha previsto nel 1948, con inversione volontaria di cifre), le af fissioni Emporio Armani si sono alternate e sostituite le une alle precedenti con cadenza sostanzialmente irregolare, ad dirittura casuale. Forse. Siccome, volente o nolente, tutti noi italiani agiamo -co munque- dalla periferia del mondo occidentale, e a questa riferiamo il nostro Pensiero, nessuno -nello staff del celebra to stilista- ha considerato opportuna e/o necessaria la docu mentazione coerente dei soggetti che si sarebbero alternati in forma di autentici murales della nostra (travagliata) epoca. Lo ha fatto Angelo Mereu, agendo in proprio, in rispetto e or dine con quel suo peregrinare per la città (Milano) con occhio attento e mente vigile. Oggigiorno, il branco di ignoranti e in colti che definisce i termini della (giovane) fotografia italiana contemporanea richiama se stesso a una nobilitante identi ficazione “Street Photography” (più recente ultima spiaggia degli imbecilli), peraltro senza neppure sapere a cosa si sta richiamando. Dunque, per Angelo Mereu va evitata questa assimilazione, questo riconoscimento, che pure meriterebbe, a favore di un’altra individuazione, addirittura più nobile: nel suo vivere e agire in Fotografia, anche, è un autorevole flâneur Lasciamo ad altri, autorizzati a farlo e ansiosi di farlo, pa role e considerazioni superflue a descrizione della sua Fo tografia, per concentrarci, invece, sul suo essere Fotografo reale e concreto, non marionetta per critiche d’arte. Certo, ci sarebbe molto da far notare: intenzioni e capacità composi tive, alternanza coerente di inquadrature; inclusioni sociali a contorno del soggetto principale (l’affissione, per se stessa); utilizzo costante del bianconero (a parte un solo soggetto a colori, temporalmente recente, qui non visualizzato, peraltro in passo doppio/raddoppiato); slittamento verso l’infrarosso; e altro tanto ancora. Ma, diamine, è inutile sottolineare tut to questo, perché si tratta semplicemente di linguaggio ap plicato, di lessico, che appartiene / dovrebbe appartenere a tutti i fotografi, e non dovrebbe essere elevato su altro tono. (continua a pagina 33)

20051991

28 di Maurizio Rebuzzini Appello d’obbligo: «Domani, e domani, e domani, / striscia a piccoli passi da un giorno all’altro, fino all’ultima sillaba del tempo prescritto; / e tutti i nostri ieri hanno illumina to a degli stolti / la via che conduce alla morte polverosa. / Spegniti, spegniti breve candela! / La vita non è che om bra che cammina; un povero attore / che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena / e del quale poi non si ode più nulla: è una storia / raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, / che non significa nulla» (Macbeth, di William Shakespeare; Atto Quinto, Scena Quinta).

29 1992 1994

30 19941994

20192000

32 19841987 19922018

■ ■ (continua da pagina 28)

Ciò che veramente conta nella documentazione di Ange lo Mereu, svolta nel trascorrere degli anni e decenni, decli nata con fotografie dirette ed esplicite, che rappresentano esattamente ciò che raffigurano, è che -in sua assenza- le affissioni Armani non sarebbero esistite, perché la Memo ria non ne avrebbe alcuna traccia evidente e certa. Oltre e a parte la responsabilità di aver reso permanenti istan ti che sarebbero dovuti rimanere effimeri, come appena annotato, dobbiamo registrare anche quel Senso e Valore della Storia minima, ma non minore, tassello fondamenta le del Mosaico globale. Detta meglio, forse, dell’Esistenza. Dunque, come si distingue Angelo Mereu, nell’attuale pa norama fotografico? Paradossalmente, per una dote che dovrebbe essere scontata, tanto quanto -per i giocatori di baseball- lo è quella di colpire con un bastone di legno una pallina lanciata a grande velocità: vedere, non solo guardare A nostro modo di considerare, questo è il grande valore della fotografia di Angelo Mereu, in assoluto, come nello specifi co dei soggetti oggi in passerella, che comunica all’esterno con la leggerezza, ma consistenza, di chi finge di non vo lerlo fare, di chi finge di percorrere un territorio solitario. Al contrario, questa sua Fotografia è così “bella” (in un senso che non si limita all’apparenza della propria superficie) da non potersi esaurire con delle semplici parole di commento e presentazione. Dall’impeccabile composizione di bianco neri di straordinaria forza visiva -forma necessaria, ma non sufficiente-, si alza la voce dei soggetti rappresentati (non solo raffigurati ), che libra nell’aria a un’altezza che in pochi hanno mai osato pensare.

Raramente, come nel caso di questo meritorio progetto fotografico di Angelo Mereu, è indispensabile il consiglio di guardare non venendo meno a se stessi. Non si può rima nere indifferenti di fronte alla solenne quantità/qualità di fo tografie che scandiscono lo scorrere del Tempo, con indizi coerenti di identificazione. Così che va sottolineato come in Fotografia, al pari e allo stesso momento diversamente da altre forme di comunicazione -soprattutto visiva-, esiste un legame indissolubile tra conoscenza e pratica, tra sapere e fare. In questo, sono esemplari l’esperienza e l’impegno per sonale di Angelo Mereu, che fotografa sollecitato da proget ti personali. L’avvicinamento alle sue fotografie, la presa di contatto con il suo modo di registrare la realtà (questa è la materia delle sue immagini) deve seguire la consecuzione che ha guidato la sua stessa azione. Per ogni sua Fotografia, Angelo Mereu non “tira mai via”: applica sempre un rigore morale assoluto. Agisce come po chi autori di grande statura espressiva sanno fare. Mai inva sivo, mai sovrapposto ai propri soggetti, è testimone parte cipe della vita, riuscendo a congelare istanti rappresentativi non soltanto di se stessi. Angelo Mereu usa la macchina fotografica (qualsiasi que sta sia, qualsiasi si sia alternata nello scorrere delle stagioni) con una abilità fuori dal comune: da un lato, la macchina fotografica ha sollecitato il contatto con i soggetti; dall’altro, lui ha saputo tenerla a necessaria distanza. Nell’apparenza del semplice e quotidiano, la sua Fotografia si è focalizzata su aspetti di Vita non sempre facili. Non si è nascosto die tro la macchina fotografica, facendosi proteggere dal suo filtro tra realtà e raffigurazione, ma l’ha usata per introdursi in mondi e situazioni altrimenti impenetrabili. Soprattutto in questo, non soltanto in questo, sta la sua grandezza d’autore. Nel suo lavoro si è lasciato guidare e con durre da ciò che di volta in volta l’ha toccato e sorpreso. Le sue fotografie hanno un alto tasso di misterioso, che consente a ciascun osservatore di aggiungere visioni proprie perso nali (ancora!). Alcune volte, richiamano per ciò che è incluso nell’inquadratura; altre volte, per quanto ne è restato fuori. Fotografia: chiave privilegiata di lettura. Sempre.

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Il Global Peace Photo Award è un premio dedicato alla fotografia della/di Pace. Non è un pre mio per la fotografia di evasione, di prati fioriti e tramonti, un premio per il sorriso più dolce, o un premio per gli “occhiali dalle lenti rosa”. È un premio che incoraggia i fotografi a rendere visibile ciò che può ispirare speranza. Il Global Peace Photo Award celebra la capacità degli esseri umani di interpretare il comandamento evangelico: ama il prossimo tuo come te stesso Il premio Peace Image of the Year 2021 è stato assegnato alla statuni tense Maggie Shannon, per il suo reportage sulle nascite in casa, a Los An geles, durante il primo lockdown, nella prima vera Duemilaventi. Gli ospedali sono inonda ti di pazienti Covid. Nei reparti maternità non sono ammessi i coniu gi. Molte donne partori scono in casa, con i pa dri. Sono nel panico. Le ostetriche ricevono chia mate di emergenza. In questa situazione, Mar garet Shannon accom pagna quattro di queste ostetriche. È impressio nata dalla loro calma, ri solutezza ed esperienza. È euforica per quei mo menti, nei quali tutto il dolore e la paura sono stati superati, e la felici tà privata cancella nelle menti e nei cuori la pan demia globale. Un padre che bacia il suo neonato è l’immagine-simbolo di una Pace profonda. E, ancora, è come un do veroso accenno al Black Lives Matter (movimen to politico e sociale che protesta contro gli epi sodi di brutalità della po lizia e tutte le violenze a sfondo razziale contro gli afroamericani), in un paese che, nel 2020, è ancora governato da un presidente specializzato in dissolutezza, capric ci, disprezzo e calunnia.

Il Global Peace Photo Award 2021, del quale sto per riferire, assegnato a Vien na, il ventuno settembre scorso, Giorna ta Internazionale della Pace (da non confondere con la Giornata Mondiale della Pace, istituita da papa Paolo VI / Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini, nel 1967, e celebrata il Primo gennaio di ogni anno), rappresenta una delle possibili risposte a quella lontana domanda. Ovviamente, il Global Pea ce Photo Award non critica, né prende le distanze dalla fotografia di reporta ge informativo che per natura ritrae la miseria del nostro mondo. Ma...

È un premio che incoraggia i fotografi, a cominciare dai professionisti, a rende re visibile ciò che può ispirare speranza: dagli sforzi privati per sostenere i rifugiati agli aiuti significativi, alla crescita; da im magini di felicità personale a esempi di spirito solidale; da un’entusiastica ribel lione contro l’ingiustizia agli importanti progressi della medicina; dalla protezio ne ambientale a un progetto di succes so di conservazione della natura; dalla ricostruzione di città in rovina alla lotta alla povertà. Insomma, il Global Peace Photo Award celebra la capacità degli esseri umani di interpretare il coman damento evangelico ama il prossimo tuo come te stesso In questo spirito, l’edizione 2021 ha eletto come Peace Image of the Year, scelta su un totale di oltre sedicimila opere ricevute (16.396, per precisione), una immagine della fotografa ameri cana Maggie Shannon individuata nel suo progetto Extreme Pain, but Also Extreme Joy (dolore estremo, ma an che grandissima gioia), dedicato ai par ti casalinghi negli Stati Uniti, motivati dalla pandemia Covid-19.

35 di Lello Piazza È una vecchia domanda, che mi turba da almeno cinquant’anni, da quando la Fotografia è diventata per me non solo amore, ma anche lavoro. Perché molti importanti concorsi fotografici premiano quasi esclusivamente la fo tocronaca di guerre e catastrofi, di crisi e delitti, di stragi e fame? Perché que sti concorsi non premiano quasi mai la cronaca di ciò che di buono sono ca paci, talvolta, gli Umani? La “vecchia” domanda, in doppia decli nazione, è legata a una altrettanto vecchia storia in vicenda personale, per quanto professionale, annodata a una visione della Fotografia che mi ha reso cultu ralmente diverso e lontano da un’emi nenza radical chic della Intelligenza del la Fotografia Italiana (in acronimo, Iif). Sotto accusa è stata la fotografia di cui si occupava il periodico dal quale agivo, il mensile Airone. La presunta “eccel lenza” ebbe a dire: «Non valete niente, siete come il National Geographic. Voi guardate il mondo indossando un paio di occhiali dalle lenti rosa».

Global Peace Photo Award è attuale definizione dell’originario Alfred Fried Photography Award, lanciato nel 2013 e ispirato a Tobias Asser e Alfred Fried, congiuntamente Premi Nobel per la Pa ce, nel 1911. Tobias Michael Carel Asser (1838-1913), olandese, fu l’iniziatore delle Conferenze sul Diritto Privato Internazio nale, la cui prima edizione ebbe luogo a L’Aia (Paesi Bassi), nel 1893. Alfred Her mann Fried (1864-1921), austroungarico (stiamo parlando degli anni che prece dono la Prima guerra mondiale, quan do l’Impero Asburgico non era ancora crollato), fu un giornalista, fondatore del Die Waffen nieder! (Deponete le armi!), nel 1899, successivamente denomina to Die Friedens-Warte (L’orologio della pace), la più longeva pubblicazione in lingua tedesca in materia di pace.

CHE PACE SIA!

Il Global Peace Photo Award è de dicato alla migliore fotografia della/di Pace. Non è un premio per la fotogra fia di evasione, di prati fioriti e tramonti, un premio per il sorriso più dolce, o un premio per gli “occhiali dalle lenti rosa”.

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L’Alfred Fried Photography Award ha celebrato tutti i tipi di pacifismo e di sarmo. Lo ha fatto onorando immagini che raccontano successi piuttosto che fallimenti, che celebrano l’empatia piut tosto che l’odio, che indicano momen ti degni di essere preservati piuttosto che distrutti, immagini di incoraggia mento piuttosto che di agonia, e che inneggiano al diritto degli Uomini alla Bellezza. Siccome la lingua batte dove il dente duole, inneggiare al diritto Uma no e alla Bellezza è un po’ quello che ha realizzato il mensile Airone, soprattutto (soltanto?) nei suoi primi quindici anni di vita. Non lenti rosa. Se vogliamo declinare in un altro mo do i temi del Global Peace Photo Award, potremmo definirli temi della buona no tizia. Anche se forse antropologicamente motivata, sappiamo quanto devastante sia il princìpio giornalistico delle “Tre S”: Sangue, Sesso, Soldi. Sebbene non sia certa l’origine di questa “regola aurea” (qualcuno la attribuisce a Axel Springer, famoso giornalista tedesco, fondatore del gruppo Axel Springer SE, il più importante editore multimediale in Europa, con testate come Bild, e Die Welt ), è ampiamente citata da coloro i quali si occupano di informazione in Italia, ed è persino diventata il titolo di un libro di Giampaolo Pansa: appunto, Sangue, sesso, soldi (Una controstoria d’Italia dal 1946 a oggi). Come rilevano Roberto Basso e Dino Pesole, nell’ottima riflessione L’economia percepita. Dati, comunicazione e consenso nell’era di gitale, «La formula anglosassone “if it bleeds, it leads” (se c’è sangue, si vende) è antica: e fin dagli albori dei giornali, nel Sedicesimo secolo, gli editori hanno dato grande spazio alla Cronaca Nera».

Come anticipato, quella della buona notizia, della notizia positiva, rappresen ta un tema che mi sta a cuore da anni. Tra le altre realtà con cui sono entrato in contatto negli anni Novanta, cito Friendly, una pubblicazione curata da una delle più note sociologhe italiane, Laura Bal bo (1933), due volte parlamentare, nella Nona Legislatura, dal 1983, come indi pendente, eletta nelle liste del Partito Comunista Italiano; nella Decima Legi slatura, dal 1987, in quelle della Sinistra Indipendente; dal 1998 al 2000 ministro per le Pari Opportunità nel Governo D’A lema. «Quando abbiamo utilizzato “Frien dly” come titolo del nostro Almanacco della Società Italiana -mi ha detto Lau ra Balbo, l’altro giorno, al telefono - era un termine del tutto inconsueto. L’espe AL POSITIVO

FURIO COLOMBO

Dalle corrispondenze di Furio Colombo (1931) dagli Stati Uniti, di sua residenza (allora) e svolgimento professionale. Da Panorama, del 3 gennaio 1988. La storia di Eugene Lang, sessantotto anni, imprenditore, proclamato “ame ricano dell’anno” dalla rete televisiva statunitense ABC News. Cosa fa Eu gene Lang, che era solito lamentarsi della pessima qualità delle persone che la sua azienda si trovava costretta ad assumere? Durante la visita a una High School di Harlem (New York), fa una promessa ai giovani che incontra, “che non sono più capaci di sorridere, che sono ormai più de linquenti che studenti”. A tutti coloro che sono disposti a firmare con lui l’impegno a studiare ed essere promossi, invece che abbandonare la scuo la, avrebbe pagato di tasca propria tutte le spese degli studi universitari.

Perché Eugene Lang fa questo? Perché, visitando la scuola, si con vince di aver capito che quello che rovina i ragazzi è l’impossibilità di avere/ipotizzare/sognare un futuro migliore. È questa disperazione per il futuro che li conduce verso la delinquenza e l’associazione in gang violente. La promessa, che risale al 1982, ha successo: la delinquenza scompare dalla scuola, e i ragazzi tornano a sorridere. Per questo, cin que anni dopo, Eugene Lang viene premiato. Qualche fotogiornalista avrà pensato a realizzare un servizio foto grafico su quella scuola? Da Panorama, del 27 novembre 1988. Lois Bostic, una giovane insegnante alle prime esperienze professionali in una scuola media inferiore di Gould, in Arkansas, apostrofa i suoi stu denti, per la maggior parte afroamericani, che non tenevano la disciplina: «Negracci, ecco cosa siete, negracci. Siete nati stupidi e volete rimanere stupidi». Denunciata alle autorità scolastiche, viene licenziata. Ma -col po di scena-, i suoi stessi studenti, che la vedono uscire in lacrime dalla scuola, si riuniscono in assemblea e votano di perdonarla. Con motiva zioni: uno, ognuno ha diritto a una seconda prova; due, bisogna aiutare il prossimo a imparare a far meglio il proprio lavoro; tre, se l’insegnante va via ora, rimarrà per sempre con il suo pregiudizio sui ragazzi (negracci). Da Panorama, del 22 maggio 1988. Il giamaicano Arjune denuncia alcuni mafiosi che spacciano droga davanti alla sua casa, nella periferia di New York. La mafia gli brucia la casa, ammazza il poliziotto che gli era stato dato come guardia del cor po, ma lui non demorde. Dopo averlo visto in un’intervista televisiva, il Daily News lo nomina “il nostro eroe americano” dell’anno. Da Panorama, del 6 dicembre 1987. La storia di Augusto Odone e di sua moglie, due “non medici” che sco prono un rimedio in grado di prevenire e arrestare una malattia geneti ca del figlio Lorenzo. Tutti ormai sanno come è andata, ma ci sono vo luti cinque anni e un film: Lorenzo’s Oil (in Italia, L’olio di Lorenzo), del 1992, di George Miller, con Nick Nolte e Susan Sarandon. Praticamente, le news non si sono occupate della vicenda, anche in Italia. Da L’Espresso, del 7 maggio 1989 (sulle cui pagine, Furio Colombo ha trasferito la collaborazione, con la rubrica Milleameriche). Almeno una volta al giorno, scrive Furio Colombo, nei notiziari televi sivi e radiofonici americani, c’è una notizia di medicina che riguarda le grandi malattie del secolo, con preferenza per quelle catastrofiche. Questo lascia “disorientati e spaventati” gli spettatori e ascoltatori. È lecito chiedersi: ma è forse questo che, se pur inconsciamente, si vuole? Abbandonare gli spettatori “disorientati e spaventati”? È que sto che, involontariamente, gli operatori della comunicazione stanno facendo? E non mi riferisco soltanto all’informazione evidentemente, ma anche ai programmi di violenza, che quasi tutte le televisioni tra smettono quotidianamente sui/dai propri canali. Se è difficile credere che ci sia sotto un progetto culturale perverso, siamo almeno autorizzati a pensare che possa essere la pigrizia a det tare i contenuti della comunicazione, dal momento che è facile ottene re pubblico se si cucinano le “Tre maledette S” / sangue, sesso, soldi?

La migliore immagine della Pace nella catego ria giovani, Children’s Pe ace Image of the Year 2021, è di Aadhyaa Ara vind Shankar, sette an ni: sua madre che riposa nel grembo della propria madre che sta leggen do. Una situazione che ispira sicurezza e Pace. (centro pagina) Per il suo progetto One and a Half Acres (un acro e mezzo), lo statunitense Nate Ho fer è uno dei premiati. Le sue fotografie sono re alizzate con un drone. Nelle immagini, si indi viduano aree rettangola ri di paesaggio del Midwest americano. Sem brano (e sono) un terre no agricolo, un deposi to per auto rottamate, la piazza di una chiesa, un bosco, eccetera. Ma, sotto di loro, si nascon de quello che un tempo avrebbe potuto provoca re la morte di milioni di persone: cinquantaquattrocentopiattaformedi lancio per missili balistici intercontinentali, puntati sull’Unione Sovietica, co struite dal 1962 in poi, e oggi dismesse. Alla fotografa di origine russa Snezhana von Büd ingen, che vive in Ger mania, è andato il quin to riconoscimento, per il suo lavoro Meeting Sofie (incontro con Sofia). La fotografa ha incontrato Sofie, allora diciottenne, nell’autunno 2017, nella sua casa all’interno di una tenuta del Sedicesimo se colo, nel villaggio di Eilen stedt, nella regione della Sassonia-Anhalt. Un giar dino da favola, una casa piena di oggetti d’anti quariato e quadri antichi. Quella che la fotografa ritrae è una situazione d’altri tempi, sognante, armoniosa, piena di Pace.

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38 rienza Friendly è durata tre anni soltanto, dal 1993 al 1995. Ciò che ci si proponeva, e penso sia adeguato ripensarci anche oggi, era descrivere un’Italia almeno un poco “amichevole”, nella quale potesse ro prevalere modi di fare civili, ambienti piacevoli, cose che funzionano. Insom ma, dove ciò che facciamo viene preso in considerazione come sensato, o magari intrigante». Ovvero, un approccio “di Pa ce” alla vita e alla cronaca giornalistica. Il tema mi sta talmente a cuore, che -decenni fa- ne parlai a Grazia Neri, allora titolare di una Agenzia fotogiornalistica di spicco. Insieme, nel 1994, inviammo una proposta a Marloes Krijnen, allora di rettore (direttrice) del World Press Photo A seguire, riporto alcuni brani tratti da quella proposta. Lei non la capì la pro posta. Fu come parlare della Bellezza e della importanza della fotografia natu ralistica al(la) radical chic italiano(a) che ho evocato in avvio. Per Marloes Krijnen, sono state più rilevanti le “Tre S”, alle qua li si sarebbe potuto aggiungere la “G” di guerra, la “D” di disperazione e la “M” di morte. Non è colpa sua... casomai, è re sponsabilità del conformismo.

Nella nostra proposta, la nuova cate goria del World Press Photo si sarebbe dovuta intitolare, appunto, Friendly, e avrebbe dovuto «Stimolare / sollecitare i fotografi a realizzare -cito letteralmen te- non solo storie come quelle a cui sia mo abituati, dove regnano, come draghi malefici, la morte e la disperazione. Noi

Derrick Ofosu Boateng, dal Ghana, è stato pre miato per il suo lavoro Peace and Strength (pa ce e forza). Il fotografo ama l’Africa, e vuole ce lebrare con enfasi la for za degli africani e la lo ro poesia. Fotografa con smartphone: «semplice mente semplice», come annota e afferma. Applica il colore generosamente. Vuole la Bellezza. Cele bra il Gioco. E, per non dimenticare che al di là del Sud Sudan, di Boko Haram, in Nigeria, della guerra in Yemen e della corruzione in Tanzania, c’è ancora un’Africa la cui gente sogna esattamen te ciò che sogniamo in Occidente: la grande li bertà di essere spensie rati e vivere in armonia. (pagina accanto) Al tra premiata è l’afgha na Shabana Zahir, per la serie Our Journey (Il nostro viaggio): proget to fotografico realizza to nel campo profughi greco di Diavata, vicino a Salonicco, dove vive, rinchiusa. Tradotto dal farsi (lingua persiana), il suo cognome significa: appartenente alla notte La sua fuga dal paese na tio è iniziata proprio di notte, in Afghanistan, ed è proseguita in Iraq, per arrivare in Turchia, dove ha lavorato come came riera in un ristorante. Poi, su una piccola barca, è fuggita in Grecia, da do ve spera di raggiungere l’Europa occidentale at traverso la rotta balcani ca. Finora, speranza vana. Nel suo campo profughi, l’Ong italiana Una ma no per un Sorriso (www. unamanoperunsorriso. org) ha iniziato Shabana Zahir alla Fotografia. A un nuovo modo di espri mersi. Ad esprimersi per immagini.

La nostra proposta fu anche sollecita ta da articoli di Furio Colombo, uno dei più bravi giornalisti italiani, a quel tem po Decano della comunità della stampa italiana di New York, docente di giorna lismo alla Columbia University. Nel 1988, sotto l’occhiello America, curava una pa gina settimanale, spesso dedicata alla buona notizia, una notizia per la Pace, su Panorama (allora, il più venduto newsmagazine italiano; allora, lontano dai condizionamenti dell’edizione attuale).

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Insomma, le stesse motivazioni del Global Peace Photo Award Venticinque anni prima.

vorremmo vedere raccontate anche vi cende che sono più frequenti di quanto non si pensi, situazioni di coraggiosa e onesta vita quotidiana, dove emerga l’a spirazione diffusa a migliorare la qualità della vita attraverso la propria educazio ne, la propria cultura, il proprio impegno civile e la solidarietà verso gli altri. «Vorremmo invitare i fotografi a par tire alla ricerca di un mondo nascosto e trascurato, sicuramente difficile da in terpretare in modo stimolante, anche perché la società di oggi sembra aver perso la capacità di “capire” il linguag gio delle buone azioni. «Insomma, vorremmo vedere storie che: Uno) Ricordino al pubblico che qual che volta vincono i buoni; Due) Alimentino l’ottimismo; Tre) Contribuiscano a ricreare nell’imma ginario collettivo il mito dell’eroe positivo, quand’anche ci si limitasse alle piccole, apparentemente insignificanti, ma con siderevoli, vicende della vita quotidiana; Quattro) promuovano nel pubblico il motto di Seneca: “c’è un solo dovere: es sere felici; c’è una sola virtù: la giustizia”. «Lo scopo della categoria è quello di divulgare buone notizie». Grazia Neri ed io non stavamo eviden temente suggerendo di indossare un paio di occhiali con spesse lenti rosa, at traverso le quali esplorare la realtà, ma volevamo sottolineare l’importanza di andare a scovare storie che non lascias sero il pubblico “disorientato e spaven tato,” ma -al contrario- “padrone di sé e pieno di coraggio”. Non fummo ispirati solo da Furio Colombo, già richiamato, ma anche da un suggerimento sarcasti co dello scrittore Isaac Bashevis Singer, che ha consigliato di non accendere la radio al mattino, appena svegli, per im pedire all’inferno quotidiano di entrare sin dalla prime ore nelle nostre case.

Il Global Peace Photo Award è organizzato da Edition Lammerhuber, vivace casa editrice di proprietà di Louis Lam merhuber e di sua mo glie Silvia, in collaborazio ne con GesellschaftPhotographische(lasocietàfo tografica più antica della Germania), l’Unesco, il Par lamento austriaco, l’Au strian Parliamentary Re porting Association, l’In ternational Press Institute (rete globale di editori e giornalisti che condivido no una dedizione comune al giornalismo indipen dente e di qualità), il Ger man Youth Photography Award e la World Press Photo Foundation.

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“Allora,eritu.”

Eri“No,Ray.tu.”

FOTO graphia 03/D/ialoghi

Profondamente grati a Cavallino, Cactus, Bicicletta e Scoiattolo [a pagina quattro], e in anticipo volontario sul prossimo quattro dicembre, in cinquantenario.

Se lo costruisci, lui tornerà / Lenisci il suo dolore / Vai fino in fondo sono i passi del film L’uomo dei sogni ( Field of Dreams ), di Phil Alden Robinson, del 1989. In epilogo, Ray Kinsella (Kevin Costner) e il fantasma di Shoeless Joe Jackson (Ray Liotta).

Oggi e qui, ci occupiamo della Quinta Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, organizzata e svolta dall’autorevole e prestigiosa Fondazione Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia): genericamente semplificata in Foto/Industria 2021, in propria odierna identificazione ideologica Food. A partire da Ando Gilardi, undici mostre, più altre tante iniziative in cartellone fino al ventotto novembre. Ma non dovrebbe essere tutto qui. Se non che... A

(CIRCA...FORSE)TAVOLA

(2)BordoniAntonio

TUTTI

42 di Antonio Bordoni A volte, e questa attuale è una di queste volte, è imbarazzante e spiacevole svol gere il nostro lavoro: quantomeno quella parte che presuppone e richiede di rife rire e presentare accadimenti fotografi ci pubblici. Certamente, con un poco si mestiere sulle spalle e tra le dita, non è difficile riassumere in poche righe datti loscritte, e poi altrettante poche facciate impaginate, lo svolgimento di qualsiasi manifestazione espositiva, sia personale, sia collettiva, sia in progetto. Altrettanto indiscutibilmente, una volta risolto il pro prio dovere, balza alla ribalta (psicologia e individuale, ammesso e concesso che...) un retrogusto amaro, che misura la pro pria inconsistenza giornalistica, vincolata da tempi e modi, obbligata a livellare tra loro rivelazioni di peso e misure diversi. Così che, la Quinta edizione della Bien nale di Fotografia dell’Industria e del La voro, organizzata e svolta da Fondazio ne Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) -generi camente semplificata in Foto/Industria 2021, in cartellone fino al ventotto no vembre (dal quattordici ottobre di pro pria inaugurazione)-, trova spazio reda zionale analogo, se non già identico, alla “personale” di Luigi Pirletti, di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza. Così che, ancora, non si possono svolgere simulta neamente più temi, per non distogliere l’attenzione dai soggetti principali: tanto da dover lasciare perdere altre riflessioni plausibili e necessarie, prima che utili. A diretta conseguenza, la ristrettezza e oppressione di questo vincolo sollecita un passo giornalistico/redazionale in di venire. Oggi e qui, ci occupiamo soltanto della Biennale, in propria identificazione ideologica Food ; a seguire, indipenden temente da urgenze in cronaca, causa o merito delle riflessioni appena riportate, sarà il caso di tornare su argomenti so stanziali, con appuntamenti specifici e mirati: a partire da valutazioni che con siderino la Forma (dalla pianificazione all’allestimento) parte consistente della progettualità fotografica e della propria presentazione e proposizione al pubblico.

È promessa, non minaccia! MA QUALE FOOD! 1/2 Le undici mostre della Quinta Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro / Foto/Industria 2021 -sì, proprio mostre: nulla da spartire con Luigi Pirletti, di Bas sano del Grappa, in provincia di Vicenza, alle pareti del bar di paese- sono distri buite in indirizzi bolognesi di prestigio: a partire dalla autorevole sede istituzionale Mast - Manifattura di Arti, Sperimenta zione e Tecnologia, di via Speranza 42. Fi no al prossimo ventotto novembre, orari di apertura a parte -a ciascuna, i propri-, sono tutte proposte in forma gratuita: Ando Gilardi: Giovani don ne portano zucche sulla testa: «Le zucche, d’estate sono mangime, d’inver no cibo». Quando il gallo canta a Qualiano ampia fotoinchiesta di Ando Gi lardi sulla sindacalizzazio ne dei braccianti agricoli, particolarmente sentita in questo paese. Qualia no (Napoli); ottobre 1954. GilardiFototeca© «Il cibo è un indicatore fondamentale per analiz zare e comprendere inte re civiltà -scrive nel testo introduttivo del Photo bo ok [forse, Catalogo?; ma l’inglese è più snob!] / Ri cettario della Biennale il direttore artistico France sco Zanot-. Le modalità attraverso le quali gli ali menti vengono prodotti, distribuiti, venduti, acqui stati e consumati sono in costante cambiamento, e -pertanto- racchiudono alcuni caratteri distintivi di un’epoca».

ArchivesGrooverJan–Lausannel’Elysée,deMusée©

Foto/Industria 2021. Fo od; a cura di Francesco Zanot e Tommaso Melilli; 304 pagine 13,5x19,5cm; 25,00 euro.

ulteriore nota distintiva dell’accreditato programma, a cura di Francesco Zanot, firma di merito e a garanzia. A proposi to, impeccabile il suo saggio conosciti vo, introduttivo del progetto, in catalo go (304 pagine 13,5x19,5cm; 25,00 euro): Mangiare con gli occhi. Da qui, dalle note ufficiali di presenta zione, procediamo in due passi distinti, a partire da tre proposte “storiche”, alle quali seguiranno otto di fotografia so stanzialmente “contemporanea”. Se do vessimo ammettere che può essere in qualche misura lecita una scomposizio ne temporale, che invece non c’è, que sta nostra cadenza non interferisce con una progettualità libera da condiziona menti e svincolata da costrizioni di sorta, qualsiasi queste avrebbero potuto es sere. Ovviamente, a parte il contenitore Food, individuato e proposto.

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PhotosMagnum/EstateListHerbertTheofCourtesyMAST.Collezione

▶ Herbert List: Favignana. Palazzo Fa va, Sala di Giasone e Medea, via Manzoni 2, 40121 Bologna. «Herbert List (1903-1975) è il campione della “fotografia metafisi ca”. In omaggio al celebre movimento artistico cui si ispira, è lui stesso a coniare questo termine per descrivere il proprio lavoro. Affonda le radici delle sue com posizioni tipicamente classiche e auste re nell’arte antica greca e italiana. Visi ta frequentemente questi luoghi, ed è proprio durante un viaggio al Sud, del 1951, anno in cui entra a far parte della celebre agenzia Magnum Photos, che realizza il progetto presentato in questa mostra. La serie di quarantuno fotogra fie riprese sull’isola siciliana di Favignana è documento fondamentale della sto ria locale e testimonianza della matu (centro pagina, in alto) Hans Finsler: Senza ti tolo; 1928. (centro pagina, in basso) Jan Groover: Senza ti tolo; 1983. Herbert List: Gli uomini tirano lentamente le reti, cantando un’antica can zone. Favignana (Trapa ni, Sicilia); 1951.

«In mostra una selezione degli innu merevoli materiali prodotti e raccolti da Ando Gilardi sul tema dell’alimentazio ne, a partire dalle fotoinchieste realiz zate negli anni Cinquanta e Sessanta, centrate particolarmente sul lavoro nei campi e nelle industrie, fino ai materiali conservati e riprodotti (rifotografati) nel vasto inventario che ha composto: figu rine, incarti, scatole, pubblicità, libri, rivi ste, erbari, fotografie di famiglia e molto altro ancora. Fototeca è un’esplorazio ne dell’iconografia del cibo e del potere della fotografia nel mantenerla sempre viva, accessibile e ri-vedibile».

BruzellaRolla,FondazioneCourtesy

▶ Ando Gilardi: Fototeca. Fondazio ne Mast, via Speranza 42, 40133 Bolo gna (fino al 2 gennaio 2022). «Fotogra fo, storico, critico, editore, Ando Gilardi (1921-2012) è una delle figure più eclet tiche e originali della storia della foto grafia italiana [rimandiamo al riquadro pubblicato a pagina 44]. La Fototeca Storica Nazionale, che fonda nel 1959, arriva a contenere circa cinquecento mila immagini, costituendo un archi vio pionieristico sugli usi e le funzioni sociali della fotografia.

44 rità artistica dell’autore tedesco. Al cen tro del lavoro, ci sono il tipico processo di lavorazione del tonno e, soprattutto, la mattanza, tradizione tanto viva nella popolazione locale quanto destinata a scomparire. In una sequenza rara e cali brata, si celebra la vita e la morte, trattan do i pesci alla stregua di figure mitiche e osservando i lavoratori isolani come gli ultimi custodi di un sapere arcaico».

Storia sociale della fotografia, di Ando Gilardi; Feltrinelli, 1976; 464 pagine 18,5x28,5cm, cartonato. Copertina in dettaglio e dedica in anamorfosi volontaria e consapevole.

MA QUALE FOOD! 2/2 Al “contemporaneo”, ora, sempre richia mando tra noi/voi dalle note ufficiali di presentazione, rispetto le quali c’è nul la d’altro da poter aggiungere, quan tomeno qui, quantomeno in rispetto e ordine con un passo introduttivo do veroso. Comunque, senza alcun ordi ne di qualsivoglia gerarchia: la parte -ovvero, il singolo- per il tutto.

GILARDI ED IO Oggi acclamato e celebrato dalla mostra allestita nelle autorevoli e pre stigiose sale espositive del Mast, di Bologna -a introduzione e avvio del la Quinta Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, in attuale identificazione ideologica Food -, in vita, Ando Gilardi (1921-2012) è sta to un personaggio della fotografia italiana poco amato. Anzi, spesso, disdegnato: lo riconoscano e facciano ammenda tutti coloro che oggi lo lodano e ieri lo hanno denigrato. Affermo questo con cognizione di causa, avendone subìto io stesso considerazioni negative trasversali. In pensiero diagonale, per decenni, ma ancora oggi, sono stato mal considerato proprio in virtù e a causa della nostra frequentazione ravvicinata. Anche questo è il sapore della fotografia italiana chiacchierata (che nel nostro mondo occidentale / è la periferia: da e con Giorgio Gaber e Sandro Luporini), ammettiamolo, composta soprattutto da parrocchiette e alleanze conniventi e avver sioni preconcette. Il tutto, a completa differenza del nostro pensiero guida: osservare, piuttosto di giudicare, per pensare, invece di credere.

▶ Hans Finsler: Schokoladenfrabrik San Giorgio in Poggiale, via Nazario Sau ro 20/2, 40121 Bologna. «Tra i maggiori protagonisti della fotografia oggettiva (Sachfotografie) e vicino alle avanguardie d’inizio Novecento, Hans Finsler (18911972) si è specializzato nella rappresen tazione di/degli oggetti. Organizzata in collaborazione con la Fondazione Rol la, mostra interamente dedicata a una specifica e particolare serie realizzata nel 1928 su commissione della fabbrica dolciaria tedesca Most. Unici soggetti sono i prodotti dell’azienda: miniature di cioccolato e marzapane descritte nei minimi particolari grazie a una partico lare combinazione di capacità tecnica e minuzia filosofica. Trattati come opere uniche dell’ingegno artigianale e indu striale, i dolci di cioccolato e marzapane risultano così sospesi in una serie a metà tra comunicazione pubblicitaria e rico noscimento di autentici valori scultorei».

Per poco più di un anno, dall’autunno Settantatré al dicembre Set tantaquattro, di propria chiusura definitiva, Ando Gilardi fu mio diret tore a Photo 13, altra leggenda postuma, mensile che guidava in cop pia con Roberta Clerici, autentica eminenza grigia di quell’esperienza e di quei suoi tempi riflessivi (suoi, di Ando Gilardi). A seguire, per la lo ro successiva esperienza editoriale Phototeca, in cadenza trimestrale, venni coinvolto solo marginalmente (per Photo 13, sono stato redatto re interno), per compilare una rubrica a tema, su base tecnico-storica, in coerenza iconica/ironica con i temi monografici affrontati: dai ladri alle puttane, ai poco di buono... e prolungamenti. Per tre stagioni, dal Settantasette, con Ando Gilardi dividemmo gli spazi dei rispettivi impegni professionali: nel suo studio di via degli Im briani 15, a Milano (lui affittuario ufficiale, io subaffittario). Curioso: oggi, molti si riferiscono a lui evocando “Ando”, per vantare confidenza e frequentazione intima per lo più inesistenti, ai tempi. A differenza, e con tanto snobismo consapevole e convinto, gli unici due che l’hanno effettivamente affiancato -quantomeno prima dell’arrivo delle eccellenti sorelle Elena e Patrizia Piccini, collaboratrici dalla fine degli anni Settanta, per i decenni a seguire-, Roberta Clerici (soprat tutto!) ed io, gli si sono sempre rivolti con il “lei”. Comunque, ancora oggi, non rinnego nulla della mia frequentazione di Ando Gilardi. Ci siamo rispettati, consapevoli della differenza dei no stri rispettivi punti di vista. Lui ed io abbiamo avuto opinioni diverse su ciò che è degno di memoria, ma tutti e due abbiamo capito che se pos siamo rubare un momento dall’aria (magari con una Fotografia), possia mo anche crearne uno tutto nostro... magari, ancora con una Fotografia.

Un giorno lontano, notando la mia Leica M2 tutta scocciata di nero, Ando Gilardi me ne chiese motivo. «Per non sciuparla», affermai. «E se si sciupa?», continuò. «Diventa brutta», rilevai. «Beh, sarà bella così!», concluse. Ovviamente, tolsi il nastro adesivo di “protezione”. Maurizio Rebuzzini

▶ Jan Groover: Laboratory of Forms. MAMbo - Museo d’Arte di Bologna, via don Minzoni 14, 40121 Bologna. «La sta tunitense Jan Groover (1943-2012) si for ma come pittrice, ispirandosi all’opera di artisti come Paul Cézanne, Giorgio Mo randi e i minimalisti. Si dedica alla foto grafia dall’inizio degli anni Settanta. Tra i grandi protagonisti della natura morta, suscita presto l’interesse di critica e pub blico con una serie di oggetti fotografa ti nella cucina della propria abitazione, dove e quando combina una sensibilità compositiva che rimanda ai quadri rina scimentali, con l’eco delle istanze politi che e sociali del femminismo. Provenien te dal Musée de l’Elysée, di Losanna, in Svizzera, dove è conservato il suo inte

Archivio FOTOgraphia

45 ro archivio, questa mostra costituisce la sua prima retrospettiva in Italia e coglie l’occasione per avvicinare il suo lavoro a quello del maestro Giorgio Morandi». ▶ Mishka Henner: In the Belly of the Beast. Palazzo Zambeccari - Spazio Car bonesi, via de’ Carbonesi 11, 40123 Bolo gna. «Consacrato nel 2015 dalla mostra collettiva New Photography, al MoMA di New York (Museum of Modern Art), Mishka Henner (1976) è uno dei princi pali sperimentatori del linguaggio fo tografico contemporaneo. Particolar mente interessato ai cambiamenti in trodotti dalle nuove tecnologie, spesso non realizza direttamente le immagini di partenza dei propri progetti, ma le preleva dalla Rete, appropriandosene e attribuendovi significati nuovi. È ciò che accade nel caso dei tre progetti se lezionati per questa mostra. «Feedlots è una serie di gigantogra fie realizzate attraverso la combinazio ne di centinaia di immagini di Google Earth raffiguranti enormi allevamenti di bovini, in cui la descrizione dei mini mi dettagli (cartografia) si combina a un senso generale di astrazione. Sco pes è un montaggio di video di anima li che ingeriscono macchine fotografi che e videocamere reperiti su YouTube The Fertile Image è un’accumulazione di oltre trecento immagini generate au tomaticamente da un software nutrito dall’artista. Nel proprio insieme, In the Belly of the Beast è un’esposizione sul rapporto tra Uomo, Tecnologia e Ani mali, in un processo incessante scan dito da Consumo, Digestione e Scarto».

▶ Takashi Homma: M + Trails. Padi glione dell’Esprit Nouveau, piazza della Costituzione 11, 40128 Bologna. «Dall’ini zio della propria carriera, Takashi Hom ma (1962) si concentra sul rapporto tra Uomo e Natura, documentandone sia gli esiti più felici e gloriosi, sia quelli più deleteri. Appositamente pensata per gli spazi del Padiglione dell’Esprit Nouve au, progettato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret, la mostra combina tra loro due lavori realizzati dal fotografo giap ponese in un ampio periodo di tempo compreso tra il 2000 e il 2018. «La serie M raccoglie e mette a con fronto le facciate di fast food McDonald’s in diverse parti del mondo, sofferman dosi sia sulle loro differenze, sia sulle in numerevoli somiglianze che rimandano alla standardizzazione del cibo stesso. «Il progetto Trails mostra le tracce di sangue lasciate da cacciatori di cervi tra le montagne di Hokkaido, la cui crudele

MilanoViasaterna,GalleriaCourtesyHomma.Takashi©MilanoBianconi,GalleriaandartisttheofCourtesyHenner.Mishka©

▶ Vivien Sansour: Palestine Heirloom Seed Library. Palazzo Boncompagni, via del Monte 8, 40126 Bologna. «Vivien San sour (197?) è un’artista e ambientalista palestinese. Palestine Heirloom Seed Library è un progetto artistico, sociale e di ricerca nato nel 2014 con l’intenzione di promuovere la salvaguardia di anti che varietà di semi, intese come vere e proprie unità viventi di Storia e Cultura, attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini e delle istituzioni. «Progettata come un vero e proprio ambiente, la mostra integra diversi me dia (fotografia, video e scrittura), per ac Lorenzo Vitturi: Praying Mat Fragments, Pink So ap, Egg and Coconut Oil [dettaglio]. Lagos, Nige ria; (centro2017.pagina, in alto) Vivien Sansour: Palesti ne Heirloom Seed Library, El Bir Arts & Seeds. Beit Sahour (Bayt Sahur), Pa lestina; 2017. (centro pagina, in basso) Maurizio Montagna: Lan dwasser #CF037045. Val sesiana (Vercelli); 2021. (pagina precedente, in alto) Mishka Henner: Fee dlots, Coronado Feeders. Dalhart, Texas (Usa); 2012. (pagina precedente, in basso) Takashi Homma: Hawaii. 2000 2010.

▶ Maurizio Montagna: Fisheye. Col lezione di Zoologia - Sistema Museale di ateneo, via Francesco Selmi 3, 40126 Bologna. «Fotografo interessato alle in tersezioni tra spazio naturale e costruito, nei propri progetti, Maurizio Montagna (1964) esplora il rapporto tra passato e presente di un luogo, utilizzando la fo tografia per documentare tanto ciò che permane, quanto -paradossalmente- il mutamento. Appositamente realizzato per Foto/Industria, il progetto Fisheye indaga il territorio della Valsesia, al nordest del Piemonte, in provincia di Vercelli, selezionata come campione per lo stu dio della trasformazione di un paesaggio fluviale composto dalla propria relazione con la pesca, che qui si è evoluta nel cor so dei secoli, a partire da una tradizione tra le più antiche al mondo. Attraverso il filtro di questa attività, l’autore svela il modo in cui il territorio è cambiato nel tempo, sia per cause naturali, sia per l’in tervento dell’Uomo (antropocene!), che ha inciso massicciamente sull’ambiente con interventi più o meno visibili».

▶ Bernard Plossu: Factory of Original Desires. Palazzo Fava, Sala Carracci, via Manzoni 2, 40121 Bologna. «Tra i maggio ri protagonisti della fotografia francese degli ultimi cinquant’anni, Bernard Plos su (1945) ha fotografato tutto il mondo con il medesimo sguardo curioso e ta gliente. Dunque e inevitabilmente, l’a limentazione è uno dei soggetti su cui si è soffermato ripetutamente: in que sta mostra, viene investigato attraverso una selezione inedita di immagini che mescola chiare tendenze topografiche all’incanto per la figura umana. Alle gran di insegne dei Diner del West america no, dove l’autore ha trascorso molti anni della propria vita, si affiancano paesaggi più o meno antropizzati, nature morte di oggetti trovati e ritratti spontanei che evidenziano la complessità del rapporto tra persone e cibo, sempre in bilico tra attrazione e bisogno, desiderio e neces sità, piacere ed eccesso».

46 eleganza ricorda la calligrafia tradiziona le giapponese. La rapidità del consumo si oppone alla lentezza della ricerca, te nendo al centro il sacrificio dell’animale».

▶ Lorenzo Vitturi: Money Must Be Made. Palazzo Pepoli Campogrande, via Castiglione 7, 40124 Bologna. «Coe rentemente interessato all’incontro tra culture, Lorenzo Vitturi (1980) ha matu rato il progetto Money Must Be Made nell’ambito di una residenza a Lagos, su invito della African Artists Foundation. Scenario è Balogun, uno dei più grandi mercati di strada al mondo, dove l’au tore ha fotografato e raccolto materiali, in parte alimenti, che -in seguito- sono diventati ingredienti di sculture e nature morte realizzate presso il proprio studio. Il risultato è una mostra che investiga un ecosistema fragile e sconfinato, dove la tradizione si confronta con l’economia globale (la gran parte degli oggetti ven duti al mercato sono “Made in China” e il quartiere in cui si trova è dominato dal la torre decadente della Financial Trust House); e gli individui, rappresentati co me equilibristi forti ed eleganti, costitui scono ancora un fattore fondamentale».

WildschutHenk©PlossuBernard©

La Quinta edizione del la Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, promossa e organizzata da Fondazione Mast, di Bologna, altrimenti sem plificata in Foto/Industria 2021, è elaborata attorno al tema del cibo: per l’ap punto,UnicaFooddissonanza (?), in una Biennale di pro gettazione e svolgimen ti perfetti, per le Tavole Rotonde di contorno (è il caso). Dato l’argomento, Food, le Tavole avrebbero dovuto essere “Imban dite”, oppure “Calde” o “Fredde”. Non altre!?

Henk Wildschut: Wakker Dier (organizzazione olan dese per il benessere de gli animali). Amsterdam, Olanda; marzo 2012. (centro pagina) Bernard Plossu: Chez Troisgros. Roanne, Francia; 2000.

▶ Henk Wildschut: Food. Fondazione del Monte, Palazzo Paltroni, via delle Don zelle 2, 40126 Bologna. «In tutti i propri lavori, Henk Wildschut (1967) combina fotografia e attivismo, concentrandosi in particolare sul tema della comunità: le sue regole e i suoi riti, tra passato, pre sente e futuro. Tra i progetti più estesi, Food -commissionato dal Rijksmuseum, di Amsterdam, e realizzato tra il 2011 e il 2013- è il risultato di una vasta ricerca sul tema dell’industria alimentare, centrata sulle più avanzate tecnologie del settore, generalmente applicate per aumentare il volume della produzione e adeguarsi alle norme sempre più stringenti in merito a igiene e sicurezza. Dagli allevamenti con decine di migliaia di animali (polli, suini, bovini...) alle sterminate serre dove ven gono riprodotte le condizioni ideali per accelerare la crescita delle piante, fino ai laboratori delle Università, entro i quali si studiano gli organismi più nutrienti e resistenti, questo percorso fotografico è un viaggio nel backstage di quello che mangiamo ogni giorno». Tutto qui. Almeno, per ora!

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47 compagnare in un percorso multisenso riale alla scoperta dei progetti promossi e intercettati dalla Palestine Heirloom Seed Library dalla sua nascita. Apposi tamente realizzati per questa occasione, una mappa, un video e un libro d’artista costituiscono snodi cruciali della ricogni zione di un lavoro che tocca questioni di singolare rilevanza economica e geopo litica, configurandosi -allo stesso tem po- come un fondamentale strumento di consapevolezza (per la gente del luogo) e informazione (per il resto del mondo). «Il progetto Palestine Heirloom Seed Library è stato realizzato dall’autrice in collaborazione con Linda Quiquivix, Dalen Saah, Samar Hazboun e Charin Singh».

■ ■ / QUI INTORNO / LA FENICE

Quattro: se dovessi conside rare “amatoriale” questa edizio ne, non intenderei sminuire il lavoro di Mario Balossini, di sua moglie Maria Cristina e dei loro collaboratori. Tutt’altro. Li vedo come piccoli eroi che, nel retro bottega della loro vita, hanno creato una rivista della passio ne e della serietà.

Sfogliando virtualmente quel primo numero, siamo stati pia cevolmente sorpresi nell’incon trare il fotografo statunitense Paul Fusco, raramente preso in considerazione dal giorna lismo fotografico italiano [noi di FOTOgraphia esclusi: abbia mo commentato]. Nell’artico lo, campeggia l’immenso RFK Funeral Train, un documento di Storia che continua ad emo zionare [RFK, Robert Fitzgerald Kennedy]. Dall’articolo, ricavia mo una precisazione che avevo dimenticato: «Il periodico Look, battuto sul tempo [giornalisti co] da Life, non pubblica il ser vizio, che rimane dimenticato per trent’anni. Viene pubblicato “postumo”, nel 1998, da George Magazine, il mensile creato e diretto da John John Kennedy, figlio del presidente John Fitz gerald, ucciso a Dallas, nel 1963». Pro memoria: Look (1937-1971), bisettimanale americano che ha utilizzato la Fotografia in mo do magistrale, è stato il prin cipale -e sostanzialmente uni co- competitore del più famo so settimanale Life (1936-1972).

Piccoli eroi che, nel retrobottega della loro vita, hanno creato una rivista della passione e della serietà.

RINASCERE DALLE CENERI, IN TEMPO DI PANDEMIA. E DI ALTRO, ANCORA

48 Lo scorso febbraio, mi telefona Mario Balossini, un amico, una persona di rilievo nel mondo della Fotografia di Novara, un appassionato. Ma, soprattutto, una persona civile. «Non so più con chi parlare di Fotografia. Pri ma del Covid, c’erano gli incontri settimanali nella sede della Sfn - Società Fotografica Novarese. A conclusione di ogni incon tro, si formava un capannello di amici, per parlare di quello che avevamo visto, ma anche di Fotografia in generale. Si fa ceva notte. Era bello, anche se ci conoscevamo tutti, anche se ci scambiavamo quasi sempre le stesse idee, le stesse ostinate convinzioni; anche se non c’era mai neppure un giovane. Sono proprio desolato». Qualche tempo più tardi, per email, ricevo il primo numero di La Fenice, sottotitolo esplicati vo Periodico telematico di resi lienza fotografica a cura della Società Fotografica Novarese : rivista trimestrale in versione pdf (Portable Document For mat), un formato digitale che tutti conoscono e frequentano, leggibile su computer, tablet, smartphone. Il direttore, inven tore, padre è giusto e proprio l’amico Mario Balossini. Insieme con sua moglie Maria Cristina Barbé, che cura l’aspet to grafico del periodico, e con l’aiuto di una piccola redazione, ha realizzato uno strumento di comunicazione rivolto agli ap passionati di Fotografia. Grazie a La Fenice, Mario Balossini si aspetta di poter ricominciare a parlare di Fotografia. Scrive Enrico Camaschella, vi cepresidente della Sfn: «Questo periodico non intende sostitu ire la carta stampata, bensì af fiancarla; il piacere di toccare, sfogliare, percepire l’odore delle pagine di una rivista, ovunque la si porti con sé, è insostitui bile». Noi di FOTOgraphia co nosciamo bene questo piacere: per quanto già intensamente Ancora, devo notare come La Fenice ha risolto il ricono scimento economico dei diritti di pubblicazione delle immagini di Paul Fusco (distribuite dalla agenzia Magnum Photos): ri portando visualizzazioni delle pagine aperte di monografie dell’autore in passerella (Paul Fusco, in questo caso) -invece delle fotografie-, La Fenice fa vissuto nelle fasi di sua realiz zazione, ogni volta che le copie di un nuovo numero arrivano in redazione, assaporiamo pri ma di altro il profumo impaga bile degli inchiostri di stampa [così come, con piacere analo go, ogni notte (sì, proprio notte), ci lasciamo avvolgere da quello del pane appena sfornato dal panificio qui nel cortile]. E, a proposito di tecnica, nel lo stesso numero, segnalo troduzione alla fotografia con il grande formato e Il ritorno della pellicola. Insomma, pare di sfogliare le gloriose riviste di quando eravamo piccoli, Foto grafare, Photo 13 e Progresso Fotografico [progresso?]. La Fenice è disponibile sul sito della Sfn, da dove può es sere scaricato gratuitamente in formato pdf: fotograficanovarese.org.www.societa

riferimento alle stesse edizio ni librarie. Così agendo, evita eventuali oneri, e scarta a lato ogni altra potenziale infrazio ne alla proprietà intellettuale delle opere [su FOTOgraphia, fummo tra i primi ad applicare questa “scorciatoia”, comunque rispettosa degli autori, nell’otto bre 1995, per le controverse fo tografie di nudi adolescenziali dello statunitense Jock Sturges]. Nel terzo numero, per il portfo lio del peruviano Martín Cham bi (1891-1973) sono state utiliz zate immagini «selezionate tra quelle liberamente disponibi li in Internet Archives (https:// archive.org/)». Si sottolinea che le immagini sono riprodotte a scopo didattico [in colophon di FOTOgraphia]. Lodevole, in chiu sura di articolo, la segnalazio ne della attrezzatura fotogra fica usata da Martín Chambi: tutti apparecchi a banco otti co [e, di nostro, aggiungiamo la segnalazione di un francobollo commemorativo emesso dalle Poste peruviane, il 4 novembre 2011, nel centoventesimo dalla nascita (5 novembre 1891)].

In chiusura, mi concedo al cune note. Uno: credo che La Fenice na sca da un disagio profondo, che non riguarda solo le relazioni umane. Ma, e forse soprattutto, dalla delusione generata dalla decadenza estetica e culturale della nostra società. Esempi? Una pubblicità televisiva dove compare una vagina parlante; polaroid, celebrate dalla critica, che narrano i problemi intestinali dei componenti della famiglia del fotografo; immagini delle ferite post intervento chirurgi co sul corpo della mamma, in mutande e reggipetto, immor talate dal figlio social-fotografo. Due: tra le righe, La Fenice suggerisce garbatamente quan to si stesse meglio negli anni Sessanta e Settanta. Tre: concordo, aggiungendo che -in certi periodi storici- il laudator temporis acti se puero (lodatore del tempo passato, quando egli era fanciullo) non è l’anziano descritto da Orazio nella sua Ars poetica, affetto dai malanni dell’età senile. Ma è un combattente per i valori della società civile.

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C’è opposizione alla filosofia del museo contemporaneo. Ma se c’è un oggetto che dovrebbe fare resistenza a questa affettatrice del senso, è la fotografia. di Michele SmargiassiLA FOTOGRAFIA NON È ARCHEOLOGIA. SE LO METTANO IN TESTA GLI STUDIOSI CON PUZZA SOTTO IL NASO

/ DI QUESTI TEMPI / MA IL MUSEO NO

La verità è che non sappiamo cosa farcene, della fotografia. Dico meglio: non sappiamo co sa farcene, dopo che qualcuno ha saputo cosa farsene. Le fotografie nascono sempre per uno scopo. Nascono perfor mative, efficienti; nascono per fare qualcosa. Informare, conser vare, ricordare, condividere, de nunciare, compiacere, lusingare, eccetera eccetera. Raggiunto o non raggiunto quell’obiettivo, però, a differenza delle parole parlate, restano. Rimangono nel mondo come oggetti (mentre vennero messe al mondo come relazioni ). Come oggetti che in tuiamo confusamente essere dotati di valore sociale, e quin di da conservare. E quindi, guai a perderle! Le fotografie vanno messe in un museo! Quale museo? Ma prima: quali fotografie? Quelle degli artisti? Quelle degli Autori (maiuscola ironica, sì)? No, tutte: perché nel postmoderno c’è un’estetica per ogni pratica, c’è un recupero ar tistico per ogni manufatto uti litario. Quindi, tutte al museo! Belle, brutte, importanti, bana li, autoriali, vernacolari, tutte! Ci servono più musei allora! Esito un po’ a sfidare questa ultima affermazione, che a molti sembrerà culturalmente autoe vidente. Ma, per fortuna, incon tro i miei stessi dubbi nel testo di una grande studiosa e cara amica, Roberta Valtorta, sotto il manzoniano titolo Questo mu seo non s’ha da fare Come sempre, Roberta mi sorprende per la sua capacità di uscire dagli schemi. Quel te sto appare in coda a un volu me molto pensoso e colto, Lo specchio delle notizie differen ti, edito da Sisf (Società Italiana per lo Studio della Fotografia) e dedicato alla memoria di una delle studiose pioniere della fotografia italiana, Marina Mi raglia, tra le prime -in Italia- a prendere sul serio la fotografia come oggetto culturale. Ma, a nomeni vivi, preferiamo esporli già disidratati e imbalsamati, come le salme dei Cappuccini di Palermo. Le autopsie, in ef fetti, offrono qualche vantag gio epistemologico. Come di ceva Marshall McLuhan, è al loro tramonto che i media ri velano apertamente la propria natura. E il corpo poi si ripone sotto una teca. Be’, se studi i longobardi o le culture precolombiane non è un gran male. Ma la fotografia non è archeologia. Se lo metta no in testa gli studiosi con puz za sotto il naso: la fotografia è viva, vegeta e scalciante, solo che non è fatta come la pensa no loro. E ancora una volta leg go quasi con entusiasmo come lo scrive Roberta: «La fotogra fia è stata fin dalle sue origini e sempre di più con il tempo un’arte incontenibile, non può essere irreggimentata, è stata ed è in ogni ambito della co municazione, della produzione, della documentazione, dell’in formazione, dell’arte, della vita». Ci sono molti modi per am mazzare un fenomeno vivo co me la fotografia (io preferisco non chiamarla arte, perché que sta parola fa parte del problema): ovvero, farne spezzatino, scar tando con sussiego le frattaglie (le fotografie dei social, i selfie), differenza dei saggi che prece dono, tutti studi e ricerche ri gorosissimi, il testo di Valtorta è un mite, implacabile j’accuse contro la cultura fotografica (e non solo) italiana, con una con clusione che non so ancora se interpretare come paradossale o convinta. E la conclusione è quella del titolo. I musei della fotografia, non facciamoli più. Per capire, bisogna sapere che -per lunghi anni- Valtorta ne ha ideato e coltivato uno, di musei di fotografia, per di più pubblico: il MuFoCo, di Cinisello Balsamo [nell’hinterland mi lanese]. Nelle cui vicende tor mentate (e ancora non risolte) non voglio intromettermi, limi tandomi ad annotare che sicu ramente hanno un peso nella garbata, ma fermissima, delu sione dell’autrice. Dunque, c’è stato un tempo in cui i musei di fotografia si dovevano fare? Sì, ma forse erano mausolei. La fotografia, osserva amaramen te Valtorta, è diventata ogget to degno di conservazione da morta. Cioè, soprattutto nell’e ra digitale: «è questa, infatti, ad aver reso la fotografia anti ca, ad averla spinta a far parte della storia, insieme a tutte le cose già passate». Siamo un paese culturalmen te necrofilo. Diffidiamo dei fe raccogliere il meglio (cioè il ven dibile) e riversarlo sul mercato dell’arte (appunto). Oppure, inaugurare musei. Il museo, lo sappiamo ormai, è una macchina di brutale spo liazione semantica e di annulla mento radicale della polisemia dei manufatti. C’è abbondante letteratura contro la filosofia del museo contemporaneo. Ma se c’è un oggetto che do vrebbe per propria natura fare resistenza a questa affettatrice del senso, è la fotografia. Certo, fra la dispersione di un archivio e la sua conservazione, preferisco la seconda. Ma con servare non basta, e a volte è anche troppo (conserviamo tut to? Il mestiere dell’archivista, si sa, è scegliere cosa buttare via). “Facciamo un museo” è la ri sposta più scontata, banale e vuota all’ansia contemporanea rispetto alla fotografia. Una ri sposta assessorile, ministeria le (con rispetto parlando), non culturale. Siamo alla vigilia del la nascita di un grande museo pubblico della fotografia, quello che a Firenze erediterà il patri monio degli Alinari, corazzata della storia della fotografia ita liana: bene, che museo sarà? Non lo sappiamo. “Facciamo un museo” spesso è ritenuta una spiegazione sufficiente. Facciamo un museo, dove le pelli di cicala di quelle che fu rono immagini vive verranno ammirate come cose morte, mentre fuori la fotografia, co munque la vogliamo chiamare, continuerà a vivere la sua vita felice e disprezzata, nei cellulari dei ragazzini, nei festival di ama tori, nella pratica utilitaria dei documenti o dei rimborsi delle assicurazioni, e ovviamente nel vissuto emotivo e relazionale delle persone. Di cui, vivaddio, nessuno farà mai un museo, perché sarebbe inutile o ridi colo o feticista, come farne uno per le nevi di un tempo e per i baci dell’amor perduto.

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