FOTOgraphia 279 aprile maggio 2022

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/ APRILE MAGGIO 2022 / NUMERO 279 / ANNO XXIX / 279 FUJIFILM INSTAX DALLA PROPRIA MISSIONE ORIGINARIA ALLA CREATIVITÀ SENZA CONFINI RODENSTOCK IMAGON DAL PASSATO, ADDIRITTURA REMOTO, PER INTERPRETAZIONI NEL PRESENTE E FUTURO TOBIA TRUCCO IN DATA PALINDROMA E RIPETUTA, DISEGNI CON LO SGUARDO RIVOLTO ATTORNO RUSSIAN AVANT-GARDE MONOGRAFIA DI POSTER CINEMATOGRAFICI DAL PASSATO, IN SUPERBA LEZIONE VISIVA FERDINANDO SCIANNA IN ANTOLOGICA DI VALORE E PRESTIGIO... VIAGGIO RACCONTO MEMORIA. E LIBRI MAURIZIO GALIMBERTI ESPRESSIVITÀ FOTOGRAFICA A SVILUPPO IMMEDIATO (FUJIFILM INSTAX) MAURIZIO GALIMBERTI LA STORIA DIVENTA DESTINOMilanoDCB-1comma1,articolo46),numero27-02-2004,ilLeggein(convertito353/2003D.L.-postaleabbonamentoinSpedizione-SpAItalianePoste7,50,€Mensile,

via Francesco Datini 27 • 50126 Firenze 055 6461541 • www.rinowa.it • info@rinowa.it ObiettiviTTartisanpersensoriAPS-C(Mirrorless) TTartisan APS-C 7,5mm f/2 Fish Eye TTartisan APS-C 17mm f/1,4 TTartisan APS-C 23mm f/1,4 TTartisan APS-C 35mm f/1,4 TTartisan APS-C 40mm f/2,8 Macro TTartisan APS-C 50mm f/1,2 Obiettivi per sensori Full Frame TTartisan 11mm f/2,8 Fish Eye TTartisan 50mm f/1,4 Asph TTartisan 90mm f/1,25 (Mirrorless) Obiettivi per Leica M TTartisan M 21mm f/1,5 Asph TTartisan M 28mm f/5,6 TTartisan M 35mm f/1,4 Asph TTartisan M 50mm f/0,95 Asph TTartisan M 50mm f/1,4 Asph TTartisan M 90mm f/1,25 Anelli adattatori TTartisan Adapter Ring M-E TTartisan Adapter Ring M-FX TTartisan Adapter Ring M-GFX TTartisan Adapter Ring M-L TTartisan Adapter Ring M-RF TTartisan Adapter Ring M-XD1 TTartisan Adapter Ring M-Z

/ APRILE MAGGIO 2022 / NUMERO 279 / ANNO XXIX / 279

NONNELLAFOTOGRAFIAEOSSERVAZIONIRIFLESSIONICOMMENTISULLARIVISTACHETROVIINEDICOLA / Sottoscrivi l’abbonamento a FOTOgraphia per ricevere 10 numeri all’anno al tuo indirizzo, a 65,00 euro Online all’indirizzo web in calce o attraverso il QRcode fotographiaonline.com/abbonamento 10ABBONAMENTOnumeria65,00euro info:Per abbonamento@fotographiaonline.comRebuzziniAngeloMauriziodiGraphia

/ Copertina In dettaglio dall’opera originaria: Disinfesta zione a Whan (2020), di Maurizio Galimberti, dall’intensa riflessione L’illusione di una sto ria senza futuro. Da pagina 44 03 / Fotografia attorno a noi Da un foglio filatelico Souvenir, emesso dal Brasile, il 29 dicembre 2020, celebrativo della , soggetto Fotografo. Rispetto il franco bollo originario, nostra risistemazione degli stessi elementi, adeguati alle proporzioni del la messa in pagina. Per la cronaca, il sogget è illustrato con Gisele Bündchen Non sono furbi, forse sono solo... furbetti Noi... noi che... noi? In rilettura, un manuale Kodak dei decenni scor si rivela il Tempo trascorso. Purtroppo, invano La fotografia Fujifilm Instax dà lustro e splen dore allo sviluppo immediato dei nostri giorni Non fotografare? Sedici fotografie non scattate. Perché? 22 2 22 / 22 02 2022 Data in triplice combinazione numerica ghiotta: palindroma, ambigramma, stesse cifre ripetute Oggetti d’affezione: Cooke Portrait Anastig inch (325mm) f/4,5 Soft Focus con Alessandro Mariconti (Photo40) Istruzioni d’uso Così intendiamo, da tre film autorevoli Ricer ca iconografica di Filippo Rebuzzini / 03/ / 18/ / 57/ / 70/ / 20/ / 64/ 279 SOMMARIOPRIMA COMINCIAREDI ISTANTANEE MILANESI. (3)BordoniAntonio Viale Lunigiana. Via Foppa. Via Zuretti 2a.

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26 / Back in Urss (Magari provocatoriamente) Incontriamo una fantastica monografia sui poster dell’avan guardia cinematografica sovietica di origine 34 / Ferdinando Scianna Viaggio Racconto Memoria Intensa antologica di uno dei più autorevo li fotografi italiani contemporanei. Tra tan to d’altro, Ferdinando Scianna è uno dei due 44 / Maurizio Galimberti La storia diventa destino [...] Secondo tempo di una intensa riflessione sul la Storia, ideata da Paolo Ludovici di Maurizio Rebuzzini 54 / Stagioni remote Dietro-le-quinte delle fotografie stereo dell’il lustratore Gil Elvgren di Angelo Galantini 60 / Sei gradi di morbidezza Ritorno al fantastico Rodenstock Imagon, a fuoco morbido. Arriva dal passato remoto, as solve il presente e futuro di Antonio Bordoni 68 / L’altro è! Uliano Lucas (con Tatiana Agliani) 70 / Nadar Solo figure... senza parole WunderKammer 72 / Alla fin fine Mercati di Giulio Forti 74 / Passaggi sporchi In ironia e sarcasmo di Maurizio Rebuzzini 77 / Maigret E domani e domani / 37/ / 17/ / 30/ / 61/ / 28/ / 31/ SOMMARIO DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Rebuzzini ART DIRECTION Simone Nervi IMPAGINAZIONE Maria Marasciuolo REDAZIONE Filippo Rebuzzini CORRISPONDENTE Giulio Forti FOTOGRAFIE Rouge Ottavio Maledusi SEGRETERIA Maddalena Fasoli HANNO COLLABORATO Antonio Bordoni GiuliomFrantiForti Angelo MaurizioGalantiniGalimberti Paolo AlessandroLudoviciMariconti Angelo Mereu Marco Saielli Tobia Trucco WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini www.FOTOgraphiaONLINE.com Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini - via Zuretti 2a, 20125 Milano MI - redazione@fotographiaonline.com ■ FOTOgraphia è venduta in abbonamento.

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EDITORIALE

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Fotografia è il contenitore entro il quale condividiamo, do vremmo condividere, il nostro stare insieme periodicamen te. Come chiaro e palese a tutti -soprattutto a noi, prima che ad altri-, non ci occupiamo mai di Fotografia in profilo basso e sventurato, magari per appagare l’autostima di un autore o esaudire o assecondare bramosie di distributori e/o venditori di attrezzature, a partire dalle macchine foto grafiche. Fatto salvo che ognuno ha diritto di agire come meglio crede, e non ci permetteremmo mai di misura re nessuno (osservare,piuttostochegiudicare e pensare, invecedicredere), siamo fermamente convinti che tutti siano nel lecito, quantomeno con se stessi. Dunque, Foto grafia: qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi. Una volta protocollati questi princìpi, non negoziabili, ri marrebbe ancora da intendersi tra le nostre rispettive Fo tografia. In ennesima ripetizione, una volta ancora, una di più, per quanto mai una di troppo (?), e in acconto su altre future occasioni, ribadiamo che per noi la Fotografia non rappresenta un arido punto di arrivo (magari, «guarda le mie fotografie; che domani toccherà a me apprezzare le tue»), ma un fantastico e privilegiato s-puntodipartenza: per la Vita, verso la Vita. Detta meglio, forse, attraverso la frequentazione volontaria, consapevole e disciplinata della Fotografia, avviciniamo realtà del mondo, che altrimenti sarebbero evanescenti ed effimere, se non addirittura ir raggiungibili. E, dalla Fotografia verso... Relativamente, per quanto in sostanza, questo significa applicare con mente e cuore aperti quella fantastica com binazione di teoria-pratica-teoria che sovrintende, gesten dola da par suo, alle formazioni individuali, alla compren sione degli altri e alla propria cultura. Certo, non quella no zionistica e finalizzata a urgenze (kultura?), ma quella che si cura e coltiva giorno dopo giorno, istante su istante, sia con mediazioni preposte, sia guardandoci intorno con cu riosità. Comunque, non cerchiamo mai parole che facciano la differenza nella nostra Vita. Però, a volte, le incontriamo. Base di tutto questo è una certa volontà presto indivi duata e certificata: non è mai un problema di sapere (cul tura?), ma di voglia di condividere. E, forse, capacità di far lo. Da cui, è sempre indispensabile una consistente dose di onestà, individuale e anche intellettiva, nell’affrontare tutto quanto il mestiere ci consente di avvicinare per ciò che ogni singolo momento rappresenta. A differenza, an che tra noi, in Fotografia (e, per quanto ci interessa, qui da noi, in Fotografia), c’è chi agisce su terreni e territori diver si da quelli annunciati: in particolare, agisce solo a proprio beneficio momentaneo, a dispetto di mandati che impor rebbero di anteporre priorità pubbliche a quelle private. In definitiva, costoro si reputano e considerano furbi (be ata ingenuità, serena inconsapevolezza!) Sanno di non ave re capacità, non possedere alcun talento e non riuscire a collegare tra loro i puntini che la Vita indica (in stile enig mistico); per cui, sostituiscono la necessaria intelligenza con una buona dose di presunta furbizia. Certo, in molti casi (in tutti!), questo appaga ogni esigenza utilitaristica del momento, che si traduce in conseguente tenore di vi ta. Però, alla fin fine, costoro non sono neppure furbi, ma soltanto furbetti . Quelli della parrocchietta. E noi, senza al cuna incertezza, rimaniamo con la Fotografia: per quanto questa significhi... per noi. Maurizio Rebuzzini

/ RILETTURA / di Maurizio Rebuzzini (Franti)

NOI... NOI CHE... NOI?

8 Questo va detto. Questo va rile vato. Questo va rivelato. C’è stato un tempo “fotografico” durante il quale, equamente distribuite lungo tutta la filiera, le redditività di impresa erano così confortanti da consentire a ciascu no investimenti finanziari oltre lo stret to indispensabile alla sola e semplice promozione del prodotto in quanto ta le. Per conseguenza, sono state realiz zate campagne pubblicitarie affidate a professionisti eccelsi, che hanno la sciato traccia nella cultura visiva. Per altrettanto effetto, sono state promos se iniziative editoriali di rango e quali tà, non fossero altro -sia il rango, sia la qualità- che in relazione all’ambito di appartenenza: la Fotografia. Ancora in anticipo, un parallelo ester no significativo e utile: presentemente, in forma di prologo sulla segnalazione odierna, in retrospettiva, verso la quale indirizziamo l’attenzione. Decenni e decenni fa, sull’onda dell’“in venzione” della vendita a rate della Lam bretta, lo scooter Innocenti (di Mila no, quartiere Lambrate) che -ai tem pi- contendeva la leadership nazionale alla Vespa, anche Olivetti elaborò un piano di pagamenti ratealizzati per le proprie macchine per scrivere, a partire dalle popolari Lettera 22 e Lettera 32, portatili [testimonianza diretta per una Lettera 22 verde menta, nostra prima dotazione tecnica, immediatamente successiva la pesante e ingombrante Remington Model 12 originaria, stile Oli vetti M40, e precedente l’imponente Olivetti M80, le elettroniche Olivetti ET e i successivi computer]. Orbene, oggi si sa per certo che il costo industriale di una Lettera 22 si aggirava sulle tre mila lire; la macchina per scrivere co stava, al pubblico, circa trentamila lire: diciamo dieci volte tanto. In questo scarto, oltre la redditività di impresa (che, nel caso di Adriano Olivet ti, si è accompagnata anche a approcci sociali etici e illuminati e lungimiran ti), ci stavano le fotografie Ballo + Ballo (Aldo Ballo e Marirosa Toscani Ballo), che hanno composto capitoli fondanti della Storia del Design e di quella della Fotografia, la programmazione di desi gner altrettanto edificanti per la cultura universale, di grafici di risalto (tra i quali, anche la scoperta di giovani talenti; un nome, per tutti: Milton Glaser) e la rea lizzazione di iniziative sociali che oggi non possiamo neppure sognarci. L’in sieme delle visioni del Tempo Passato sono valse a Ivrea, in Piemonte, città industriale del Ventesimo secolo, la qua lifica di Patrimonio Unesco. E lo stesso accadrà certamente al Borgo di Mate ra, in Basilicata (Lucania!), edificato da Olivetti all’inizio degli anni Cinquanta di ricollocazione dai Sassi. Insomma, e torniamo tra noi, per quan to possa apparire superficialmente con veniente, stentare sui prezzi di vendita, per edificare competizione soltanto sui denari è pratica indegna per qualsivoglia concetto industriale di capitalismo. È co me evirarsi, per fare dispetto alla moglie. Ovvero, non soddisfa che il solo presente ef fimero, senza lasciare traccia del nostro pas saggio sulla Terra: il ri spetto alla Creazione, qualsiasi questa sia sta ta, e indipendentemen te da approcci di Fede, esige ben altro. Attingendo alla capa ce libreria spina dorsale del concetto di Wunder Kammer geloRebuzziniMaurizioAn , da poco espresso ed esternato, in rilettura, segnaliamo qui il fascicolo Colore e immagine, pubblicato da Kodak Italia, nel 1977, in traduzione dell’origi nale realizzato dalla fi liale francese. Dunque, tempi durante i quali l’e sercizio di impresa non si concludeva con le so le banconote contate ogni sera nel cassetto di cassa. Ovvero, tem pi di cultura deleffettivamented’impresaCultura.Qualèlaconsistenzacontenutodique

Colore e immagine ; Kodak SpA / Reparto Arti Grafiche, 1977; 68 pagine 21x29,7cm; ai propri tempi, 6900 lire (og gi, nel caso in cui foste interessati, solo... buona fortuna).

sto libro (autenticamente tale, imperio samente tale), attribuito e accreditato al potente e remunerativo Reparto Arti Grafiche di Kodak Italia? Sarebbe lungo scandirlo passo-a-passo, e anche noio so descriverlo pensando che qualcuno possa essere interessato a leggerlo. A suo merito, comunque consistente anche dal semplice punto di vista utili taristico, da spendere in fretta e mone tizzare, basti l’incipit in seconda di co pertina: «Noi che proviamo più piacere per le luci e i colori che ci circondano... che per le riflessioni e i commenti che ci suggeriscono... e che aggiungiamo a questa debolezza quella di trascu rare spesso una certa realtà a favore dell’Immagine. Noi che abbiamo tanto lavorato per crearla, per fezionarla e riprodurla fedelmente, che cosa vediamo? e che cosa vedono gli altri?». È proprio così: noi! ■ ■

in anticipo su Fotografia nei francobolli

Dirigibile Fujifilm, fedele all’originario LZ 127 Graf Zeppelin, dal 1928. Francobollo della Costa d’Avorio del 2 aprile 1983, da una serie filatelica celebrativa del bicentenario dal primo volo con pallone aerostatico, dei fratelli Joseph e Jacques Montgolfier (21 novembre 1783).

FOTO graphia 06/F/otograFianeiFrancobolli

Vediamola e diciamola così: in relazio ne alle proprie attualità tecnologiche, in ogni epoca, la macchina fotografica ha assolto, e oggi assolve ancora; ma, atten zione, indipendentemente da tutto, non soltanto da molto, in ogni epoca, la mac china fotografica non ha risolto... non ha mai potuto farlo. In sintesi: la macchina fotografica assolve, ma non risolve. La soluzione spetta sempre e comunque al fotografo, tanto più quando e per quanto si tratta (addirittura!) di fotografo-autore. In questo senso, a differenza della critica e analisi contenutistica di altre geogra fie, laddove -da tempo- si sono chiariti princìpi basilari, qui in Italia è sempre pericoloso e azzardato accompagnare il commento di valori espressivi con la combinazione dei mezzi di propria re alizzazione e produzione. Così che, en trando nello specifico, la presentazio ne “culturale” dell’azione fotografica at traverso la quale il talentuoso Maurizio

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Volente o nolente, l’azione fotografica di pende anche da una mediazione tecnica, che guida e governa il suo risultato. Sia in termini svincolati da altre intenzioni, sia in creatività, il “mezzo” è inviolabilmente mediazione fisica necessaria. Da questa condizione nascono infinite considera zioni, la maggior parte delle quali è in sipida, perché incolta. Al contrario, se si parte da un punto di vista equilibrato, si approda soprattutto a valutazioni legit time (e comprovate), che accertano in misura adeguata e proporzionata il deli cato rapporto che intercorre tra tecnica (necessaria) e creatività (indispensabile).

/ DIETRO-LE-QUINTE / di Antonio Bordoni IMMEDIATA

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Allungarsi su questo rapporto in quella sede avrebbe certamente cre ato confusione ideolo gica (perlomeno, qui, in Italia), e alimentato equivoci, ambiguità e dubbi... da parrocchietta. Però, in tutta sinceri tà, oltre che in schietta onestà, sia intellettuale, sia tangibilmente ma teriale e realistica, più che altrove e altrimen ti, la forma a tutti ma nifesta dell’azione cre ativa di Maurizio Galim berti non prescinde dal le procedure operative. Certo, nella sua azione è più che fondamentale il perché, come in tutta la Fotografia, per il vero; ma questo stesso per ché è più che mai edifi cato sul come. Con una attenzione: il come da sé non basta. Cioè, non conta quanto e ciò che ha Maurizio Galimberti. Perché va considerato e stimato ciò che Mau rizio Galimberti fa con quello che ha. Già... Fujifilm Instax, la cui filosofia è dichiara ta (in nostra traslazione): «Scattiamo fotografie. / Catturiamo immagini. Fermiamo istanti. // Ma non si tratta soltanto di acquisire. / Stiamo an che parlando di dare. / E creare momenti splen didi.». Ancora: «Quando una Instax partecipa a una qualsivoglia situazione, accade qual cosa di magico. Le persone sono attrat te e coinvolte, per scattare e creare. Per vedere subito l’immagine che appare in pochi secondi. Da circolare e condividere». Come è evidente che sia e debba es sere, sia in configurazioni analogiche a sviluppo immediato, sia in dotazioni ibride (e passaggio digitale), il sistema Fujifilm Instax si rivolge e indirizza ver so un pubblico ampio, genericamente familiare, precisamente non professio nale. Non è tanto un gioco, e non lo è soprattutto in accezione negativa, ma una ricreazione che stabilisce tempi e modi di autentica socialità.

Da qui, da questo background primario e fondamentale, l’azio ne creativa di Maurizio Galimberti dilata le pro prie intenzioni espres sive verso profili diver si, per qualcuno più al ti (ma, attenzione, ge rarchia solo accademica e stopposa), fino a rag giungere vette dell’arte, peraltro in copia unica: «L’arte non migliora mai, ma... il materiale dell’arte non è mai esattamen te lo stesso» (Thomas S. Eliot); «Un’opera d’arte è soprattutto un’avven tura della mente» (Eu geneCosìIonesco).che,daaltre pro prie intenzioni e origini, il sistema Fujifilm Instax approda ben oltre. Del resto, è sempre l’utiliz zatore (a volte, autore) che fa la differenza. I fotografi possessori, oltreché di apparecchi e obiettivi, anche delle cognizioni necessarie per adoperarli bene e al meglio, sono fatal mente avvantaggiati. Sapersi muovere con sicurezza e padronanza tra le condizioni gene rali del proprio lavoro e le applicazioni even tualmente particolari è un dovere fotografico e un diritto personale. Nel metodico, fon damentale e meticolo so rapporto tra tecni ca e creatività si deve essere consapevoli dei rispettivi valori e relati ve influenze. E si deve anche riconoscere che la tecnica è assoluta mente necessaria per la trasformazione e con cretizzazione fotografi ca dell’intuizione creati va. La creatività dipende dal talento individuale, e può essere educata. La tecnica si può impa rare, basandosi -prima di altro- sulla conoscenza e consapevo lezza dell’uso degli strumenti. Con ciò, nessuna sopravvalutazione; ma neppure nessuna sottovalutazio ne. La tecnica fotografica deve essere conosciuta, controllata e dominata... per scomparire a favore della creatività. È un mezzo, non il fine.

Come dire: da un mondo all’altro. Un doveroso complemento a questo commento sul sistema Fujifilm Instax sottolinea come e quanto la stessa Fujifilm sia la sola azien da storica della fotografia chimica che è stata capace di sopravvivere e proliferare ancora nel passaggio alla tecnologia digitale. Soprattutto, lo si deve al presidente e Ceo della Fujifilm Holdings Corporation Shigetaka Komori, che ha scandito i tempi e modi della propria lungimiranza e azione in un saggio di gran valore. Il racconto di Innovating. Out of Crisis, che sottotitola esplicitamente How Fujifilm Survived (and Thrived) As Its Core Business Was Vanishing (Come Fujifilm è sopravvis suta -e ha prosperato- quando il suo core business stava svanendo) sono folgoranti e illuminanti (Stone Bridge Press, 2015; 216 pagine12,7x20,6cm; 24,95 dollari).

MaurizioAngeloRebuzziniWunderKammer

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Galimberti ha confezio nato un secondo tem po della sua escursione attraverso la Storia, in coabitazione con Paolo Ludovici, ideatore e cu ratore del progetto, ri portata su questo stesso numero della rivista, da pagina quarantaquat tro, ha potuto richiama re l’indispensabile “me diazione tecnica” solo in accenno lieve, quasi etereo: Fujifilm Instax.

HCB: «Già, l’occhio del fotografo osserva inin terrottamente. Esatta mente come quello del poliziotto. Si ha bisogno lanese di riferimento, il sacerdote ci ammo niva: «Se poo no zufulà e purtà la crus» / Non si può cantare e por tare la croce; dunque, alcuni cantavano (non io), e altri portavano la croce. Insomma: non si possono fare due cose assieme, specie se sono contrastanti tra loro]. Comunque, in ulte riore estratto, da René Burri, su lezione di Hen ri Cartier-Bresson: «Da quel momento in poi, ho sempre portato la Leica con me. Avevo capito che non esiste un momento specifi co per fotografare» [!]. Il francese Benoît Gri malt la pensa diversa mente. A commento del suo gustoso e af fascinante libretto 16 photos que je n’ai pri (Sedici fotografie che non ho scattato), dichia ra che: «Spesso la gente, mi chiede perché -co me fotografo- non va do sempre in giro con una macchina fotografi ca sotto il braccio. Di so lito, rispondo che i registi non escono con le loro cineprese o telecamere, e gli idraulici non vanno al ristorante con la loro cassetta degli attrezzi». Indiscutibile. Ma, con Henri Cartier-Bresson e René Burri, e tanti al non esiste un momento specifico per fotografare Di certo, Benoît Grimalt è consapevole di questa condizione, ma ne fa volen tieri a meno. Tanto che, con candore e fantastica ironia rivela sedici fotografie che non ha realizzato, non ha scattato; e, quantitativamente, do vrebbero rappresentare solo un’avanguardia di una dose di mancate/perseoccasionibensu

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/ RIFLESSIONE / di Angelo Galantini

NON FOTOGRAFARE?

16 photos que je n’ai prises [Sedici fotografie che non ho scattato], di Benoît Gri malt; Poursuite éditions, quarta edizione 2017; 36 pagine 14,5x21cm; 19,00 euro.

MaurizioAngeloRebuzziniWunderKammer

Nel luglio 1998, il pe riodico svizzero Magazin, con sede a Zurigo, ha pubblicato un incontro tra Henri Cartier-Bresson (19082004) e René Burri (19332014), due giganti del fotogiornalismo del No vecento. Partendo da chiacchiere sui mondiali di calcio di quell’estate, giocati in Francia, il dia logo scorre avanti e im bocca strade trasversali. Tra i tanti estratti pos sibili, tutti ampiamente giustificati, un passag gio ci è oggi opportu no, in anticipo sull’argo mento qui affrontato. Anzi, addirittura in sua introduzione. A un certo punto, su una rievocazione di gior ni e fotografie a Cuba, dove agirono in paralle lo, Henri Cartier-Bresson esorta René Burri: «Bi sogna amare la gente. E bisogna stabilire un nuovo contatto», rileva. Di rimando, René Burri: «Ed avere sempre a por tata di mano la macchi na fotografica. Una volta, sei venuto in Svizzera per realizzare un reportage per la rivista no venuto a prendere alla stazione, era qua si mezzanotte. Ancora prima di salutarmi, mi hai domandato: “René, dov’è la tua Leica?” An che questo fatto è stato determinante per me». Avanti. HCB: «Sei stato uno scolaro diligente». RB: «Da quel momento in poi, ho sempre portato la Leica con me. Ave vo capito che non esiste un momen to specifico per fotografare» [capito?].

Autostrada A1, ottobre 2005. Non mi era rimasta nemmeno una Mipellicola.ècapitato

Taverny [periferia nord-occidentale di Parigi], ottobre 2009. L’alba era splendida, ma non avevo voglia di alzarmi dal letto per fotografarla. Non ho mai scattato fotografie di New York (perché non ci sono mai stato).

13 Venezia, novembre 2004. C’era troppa nebbia per riuscire a foto grafare il Ponte dei Sospiri.

due volte di incontrare Gilbert & George [artisti con temporanei], a Londra (2007) e a Bruxelles (2011), ma non li ho fo tografati perché non avevo la macchina fotografica. Parigi, Palais-Royal, 1996. Siccome non avevo la macchina fotogra fica, non sono riuscito a fotografare Luc Besson che corteggiava Milla Jovovich.

14 [“Niente foto!”] Una volta, nel nostro luogo di incontro, Marjane Sa trapi ha rifiutato di essere fotografata (Festival di Cannes, 2005). Festival di Cannes, 2005. Non sono riuscito a fotografare Penelope Cruz, perché le porte dell’ascensore si sono richiuse troppo in fretta. Stadio di Valenciennes [Stade du Hainault; Francia], novembre 2007.

Pochi mesi prima di morire, Henri Salvador -con indosso un com pleto bianco e un cappello bianco-, aiutato da due infermieri, sta va assistendo a una partita di calcio. Non l’ho fotografato per una questione di rispetto, perché mi dava dolore.

Bruxelles, 2012. Sapevo che Abel Ferrara avrebbe presentato il suo nuovo film, ma non ho portato con me la macchina fotografica perché non mi interessano più le celebrità.

Bruxelles, 2010. Non sono riuscito a fotografare Marie nuda (ancora una volta, si è rivestita troppo in fretta). Non ho mai fotografato Napoleone (la fotografia, a quell’epoca, ancora non esisteva).

Affermare questo nell’attuale epoca foto-compulsiva, dominata da selfie a raffica e da sistematica documentazio ne e condivisione in tempo reale della raffigurazione dei piatti di propria ali mentazione personale e dei momenti di conduzione di esistenze quotidiane più che modeste, può apparire grotte sco, magari solo antico (speriamo, in abbellimento fonetico, âgé). Invece, è vero l’esatto contrario. Ogni tanto è appagante non scattare una fotografia che si presenta e offre da vanti ai propri occhi [volendo, anche da e con Sean O’Connor di I sogni se greti di Walter Mitty ]. A conseguenza, nel corso del tempo successivo, anche l’eventuale rimpianto che potremmo provare è altrettanto soddisfacente. Perché tutto ciò che si fa e non si fa è parte integrante della nostra vita. Delle nostre vite.

Non ho mai fotografato Delphine Seyrig (1932-1990), perché sono nato troppo tardi [Benoît Grimalt è nato nel 1975].

Una fotografia troppo costosa: un “taureau-piscine” in un night club [spettacolo di corrida, nel quale il toro, immerso in una pisci na, viene messo a morte; si pratica nel sud della Francia, in villaggi e in località balneari, sempre in estate].

15 periore. Riunita in libretto provocato rio e surreale, che ricorda la situazione (in disegno) e ufficializza il contesto (in didascalia), la confessione di 16 photos que je n’ai prises ispira / può ispirare considerazioni e riflessioni individuali. Per quanto ci riguarda direttamen te, solo un appunto in precisazione e sconforto: impossibilitati ad accedere alla prima edizione (2012?), abbiamo optato per la terza del 2013, che l’edi tore Poursuite édition ha certificato anche come “terza e ultima”. Invece... altre successive ce ne sono state an cora. Diamine! Perbacco! Come specifica il titolo lampante e dichiarato, il fotografo e regista Benoît Grimalt essereperse,quantocommenta(http://benoit.grimalt.free.fr/)appuntamentimancati.Pernellavitadiciascuno,fotografierubateononriuscitepossanoutilie-perfino-benefichenel

processo di crescita individuale, qui è diverso, perché l’autore mancato sve ste la religiosità dello scatto fotografico per far posto a fotografie non scattate, assegnando loro un posto altrettan to importante nell’album dei ricordi. In riflessione individuale, per espe rienza personale: le fotografie mancate sollevano interrogativi riguardo i no stri desideri e speranze. Può capitare di essere impossibilitati a scattare, im pediti da condizioni eterne ed estra nee, come può essere la mancanza di luce adatta; ma, allo stesso momento, spesso ci imponiamo una moderazio ne sulla quale possiamo edificare rim pianti. Non si tratta di etica e morale della situazione, magari in rispetto di soggetti in propria debolezza fisica, ma proprio di svogliatezza momentanea, della quale poi -avanti nel tempo- ci si pente. Forse. Speriamo.

Non ho mai fatto un ritratto a mio padre con i baffi (perché non li portava).

Dall’altra parte del mondo, 2005 o 2006. Avevo finito le batterie, e non ho potuto fotografare l’uragano.

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Dal thriller Angeli e demoni, dello statunitense Dan Brown, del 2000 (in Italia, dal 2004), l’ambigramma / omogramma conclusivo della lunga serie di altret tanti ambigrammi / omogrammi che, nel libro, scandiscono il ritmo della nar razione, accompagnandola. In entrambe le letture, una invertita rispetto l’altra, l’identificazione è medesima: Earth, Air, Fire, Water (Terra, Aria, Fuoco, Acqua). (in alto) Milano, Stazione Greco-Pirelli: alle 22,22 del 22 02 2022 (in certificazione ufficiale) e alle 22,21, in attesa dell’ora X, e 22,23 di superamento della cifra fatidica.

Una certa numerologia, alla quale spesso allineiamo passaggi individuali, ricercati e perseguiti, ha sottolineato la recente data dello scorso ventidue febbraio, pe raltro caduta di martedì, che nel quoti diano statunitense è definito Twosday (diciamo, il giorno due). È stato sotto lineato che si tratta di una data palindroma, che è uguale nelle due letture: consueta, da si nistra a destra (22.2.22) e da destra a sinistra (22.2.22), sia in questa grafia giorno-mese-an no, sia in quella statuni tense mese-giorno-an no (2.22.22). Ancora pa lindroma è la scrittura a doppia cifra del mese, con l’anno per esteso: 22.02.2022. Così come sono palindro mi il nome “Anna” (e “Ada”), l’identifi cazione “Dvd”, la preziosità dell’“oro”, il numero “otto”, le lettere “emme” e “esse”, la declinazione “aveva”, l’iden tificazione aziendale dei flash “Nissin”. Ancora: in grafia “digitale”, la stessa data è anche leggibi le specularmente, dal basso verso l’altro, per ché è ambigramma: di segno calligrafico che offre due o più interpre tazioni chiare e distinte. Solitamente, le due let ture si generano attra verso il cambiamento del punto di vista (pe raltro, analogo a quello di molte anamorfosi del la storia dell’arte), che si può ottenere mediante rotazioni, simmetrie e al tri espedienti. In distin zione tra loro, le due (o più) letture di un ambi gramma possono esse re identiche, e si defini scono omogramma (il numero primo “619”, per esempio), oppure diver se, da cui eterogramma. Lo scrittore Dan Bro wn (1964-), approdato all’olimpo commerciale con il suo Il Codice da Vinci, successo editoriale planetario, ha basato il thriller Angeli e demoni, del 2000 (in Italia, dal 2004), su una effi cace e persuasiva concatenazione di ambigrammi / omogrammi realizza ti in grafia medievale: sul libro, e facil mente recuperabili in Rete. Anni fa, in ulteriore ambito fotografico, il lo gotipo originario “Nissin”, già richiamato in quan to termine palindromo, fu disegnato anche co me ambigramma, ov viamente omogramma. Comunque, la data dello scorso ventidue febbraio (e, analoga mente, del precedente due, a quattro cifre in vece di cinque) è stata sottolineata in tutto il mondo, e con sacrata da molte azioni individuali: an che noi, non abbiamo ignorato questa ghiotta occasione, per quanto più at tirati dalle cinque cifre singole identi che (quattro, furono il due febbraio), le uniche che potremo incontrare in no stra vita. Siamo lontani dal record assoluto e in violabile dell’Undici no vembre Millecentoun dici (11 11 1111), ma ci sia mo accontentati, decli nando 22 2 22 in diversi modi (personali e non) e allungandoci anche alle dieci di sera inol trate (alle 22,22). È sta ta una ricorrenza rara, che -in richiamo palin dromo- nei recenti due decenni si è verificata sette volte, ovviamente sempre in febbraio: in grafia, 10-02-2001, 2002-2002, 11-02-2011, 2102-2012, 02-02-2020, 1202-2021. A fine secolo, il ventinove febbraio Due milanovantadue, avre mo anche una data pa lindroma bisestile: 2902-2092. E la prossima, dopo l’attuale, sarà il tre febbraio Duemilatren ta: 03-02-2030.

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(3)GalantiniAngelo

/ DIAMO I NUMERI / di Maurizio Rebuzzini 22 2 22 / 22 02 2022

18 In attualità, ci hanno affascinato e commosso due circostanze identifica te 22.2.22: disegni di Tobia Trucco, sette anni, figlio e nipote d’arte (Giolina e An gelo Mereu), che trae proprie ispirazioni dal dintorno della vita, sia quella globa le (richiami d’età), sia quella condotta negli spazi del nonno... tanto fotografici.

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Qui e ora certifichiamo in coinciden za di data (ricercata e sottolineata) e in prolungamento di giorni. Dal 22 02 2022. Meglio, 22 2 22.

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Le lenti esterne (e, certamente, anche quelle interne) sono eccezionalmente pulite e trasparenti: in assoluto, tanto più per un obiettivo di novant’anni. An che la meccanica è in ottime condizioni, tanto che l’accomodamento Soft Focus ruota dolcemente, una volta montato in posizione. L’anello di regolazione dei diaframmi è liscio, scorrevole e sicuro nella posizione selezionata. Siamo franchi e sinceri: è più che ra ro rintracciare un obiettivo tanto anti co in così belle condizioni esteriori e di utilizzo. Da cui, la sua attuale funzione possibile è almeno doppia. La prima, evidente a tutti, è estetica: le finiture esterne in ottone lucido, l’accuratezza delle incisioni operative e una bella pia stra in legno (magari Deardorff, oppu re Gandolfi) sono garanzia di squisito complemento d’arredamento... per co loro ai quali basta fermarsi qui. di Antonio Bordoni

Rintracciabile (?) sul mercato interna zionale del commercio fotografico an tiquario di alto profilo, il Cooke Portrait Anastigmat IIE 123/4 inch (325mm) f/4,5 Soft Focus può essere presentato con altre dizioni, leggermente diverse da questa qui adottata, e ufficializzata. Cambia nulla, ma -ormai, in mancan za di specifiche attendibili- ciascuno può cadenzare secondo proprie visioni. Comunque, l’obiettivo è questo. Punto.

PER RITRATTO (4)MaricontiAlessandro

L’esemplare raffigurato su queste pa gine ce lo ha segnalato e proposto Ales sandro Mariconti, di Milano, che inter preta la propria attività commerciale (Photo40: materiale fotografico usato e d’antiquariato) anche alla luce di una propria passione manifesta ed esplicita. Ovviamente, questo stesso obiettivo fa parte della sua collezione privata, decli nata con presenze fotografiche di pre stigio alto e fascino senza tempo.

Il considerevole Cooke Portrait Ana stigmat IIE 123/4 inch (325mm) f/4,5 Soft Focus è un obiettivo indirizzato al ri tratto, degli anni Trenta del Novecento: quando le specializzazioni fotografiche consigliavano (imponevano?) riferimenti tecnici certi e inviolabili. Da cui, sotto lineiamo anche la specifica “Soft Fo cus”, indispensabile per la ritrattistica del tempo, assai lontana dai contrasti di tono ed esasperazioni in nitidezza che sarebbero arrivati in seguito.

L’esemplare qui raffigurato e visua lizzato è in ottime condizioni, magari anche solo per la sua veneranda età e per l’intenso uso che professionisti del passato (remoto) ne devono aver fat to, soprattutto alla luce degli splendori commerciali del ritratto fotografico in sala di posa e professionale, precedente la sostituzione susseguente con istan tanee familiari, dal secondo Novecento.

ca”, alla portata di chi frequenta l’attua lità della ripresa con intenzioni e moda lità radicate indietro (avanti!) nel Tempo. Diamine: ritratti fotografici di un sapore e gusto alla sola portata di interpreta zioni ottiche mirate e specifiche. Come si usava in passato... remoto. Nell’inquadratura di ritratto, che per se stessa non richie de(rebbe) accomodamenti dei piani dell’apparecchio foto grafico grande formato, la co pertura di campo del Cooke Portrait Anastigmat IIE 123/4 inch (325mm) f/4,5 Soft Focus approda al formato 8x10 pollici (20,4x25,4cm).

Probabilmente, non stiamo per rife rirci specificamente a questo disegno; ahinoi, certamente, non a questo esem plare, ma corre l’obbligo di ricordare che la Storia del Ritratto Fotografico è stata compilata con obiettivi di questa cate goria e intenzione. Non siamo lontani dal vero, quando e per quanto attribuiamo questa combinazione fotografica (o altre coincidenti) ad autori del calibro di Cla rence White e Alfred Stieglitz, fotografi dei quali si conosce l’attenzione proprio per l’interpretazione ottica del ritratto da parte della produ zione inglese Taylor, Taylor & Hobson, nata sull’impalcatu ra della precedente Cooke & Sons, della quale ereditò l’e sperienza e della quale man tenne i richiami di prodotto. Da un catalogo statunitense dei pri mi decenni del Novecento: «Chiunque si aspetti una definizione nitida, rimar rà deluso; ma il fotografo che desidera morbidezza e rotondità, insieme con una modellazione raffinata e una prospet tiva reale, sarà sbalordito e appagato».

Cooke Portrait Anastigmat IIE 123/4 inch (325mm) f/4,5 Soft Focus, dalla Col lezione di Alessandro Ma riconti (Photo40 / Milano).

(2)BéchetJean-ChristopheMarurizioAngeloRebuzziniWunderKammer

Personaggio della fotografia francese, Jean-Christophe Béchet ha una persona lità in qualche modo e misura allineata con quella che governa e guida le nostre stesse pagine. Senza soluzione di continuità, si muove a proprio agio dalle conside razioni originariamente tecniche agli approfondimenti culturali ed estetici. Tanto che osserva la Fotografia senza condizionamenti di sorta e senza stabilire inutili scale gerarchiche. Dieci anni fa (abbondanti), ha pronunciato una posizione decisa e motivata su uno dei delicati rapporti che collegano tecnica a creatività, forma a contenuto, apparenza a sostanza. Esposte in mostra a Parigi e raccolte in mono grafia (tripla), le sue affascinanti e coinvolgenti Vues n° 0 compongono i tratti visivi di un dichiarato manifesto per la fotografia argentica (analogica). Anche questo.

/ CINEMA /

A questo punto, in ter ritorio “Cinema”, ovvero “Fotografia al Cinema”, statutario di questo no stro appuntamento ri petuto e in somma di visioni e considerazio ni, viene da soffermarsi su situazioni e momenti che, per propria volon tà scenografica, hanno frequentato la visualiz zazione fotografica sof fermandosi, addirittu ra attardandosi, su se quenze in sceneggiatu ra che -di fatto- hanno composto tratti equiva lenti, coincidenti e inte grati alle più classiche istruzioni d’uso. Attenzione, lo scopo primario di questi passi cinematografici che stia mo per affrontare, con commenti a-misura-di, non è mai stato quello di svolgere una qualsivoglia funzione attiva e concreta, nello specifico dei rispettivi soggetti; quanto, più tangi bilmente, quello di inserire e aggiungere note avvincenti alla messa in scena cinema tografica, con proprie esclu sive finalità autoreferenziali. Detta meglio: nessuna inten zione di “istruzioni d’uso”, co me noi stiamo indicando, da un punto di vista diverso da quello cinematogra fico originario, ma soltanto spettacolo, di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini D’USO

ISTRUZIONI

Nel film Triage, il foto giornalista Mark Walsh (l’attore Colin Farrell) ca rica la pellicola nella pro pria Nikon in condizio ni disagiate... di guerra.

22 Proprio così! Giusto istru zioni all’uso, che paiono riprese dalle sequenze esplicative che -anni e anni fa- hanno accom pagnato i libretti di istru zione delle attrezzatu re fotografiche, a partire dagli apparecchi di ripre sa, per non concludersi, né -tantomeno- limitar si a questi. Certo, come tanto altro (che viene ri portato su queste stesse pagine periodiche), an che questa nonconsiderazionevalutazione/èdatata,soltantoanagrafica mente, ma soprattutto in relazione allo scorrere degli anni a alla relati va trasformazione delle consuetudini.Oggi,intempi virtuali, almeno tali, imperano i tutorial in Rete; ieri e ieri l’altro, erano indispen sabili i libretti di istru zione, che rivelavano -a volte svelandoli, addirit tura- procedure utili e necessarie per ottene re il massimo possibile dai propri utensili: nel nostro specifico, foto grafici. Tanto che, lo ricordiamo bene, ancora complice l’anagrafe, in tempi e situazioni di distribuzione fotografica anche selvaggia, con ampia disponibi lità di apparecchi fotografici di impor tazione irregolare (in eufemismo, pa rallela; ma, nella realtà, di contrabban do: comunque, tutte vicende cadute in prescrizione), era proprio l’assenza di libretti di istruzione, ufficialmente tali, a identificare le provenienze irregolari. In molti casi, sopperivano fotocopie; in altri, la promessa (altrettanto truffaldi na) di negozianti che si sarebbero im pegnati nella ricerca e reperimento: e che, lo ricordiamo altrettanto bene, non mantenevano mai l’impegno assunto. Storie passate! Comunque, una notazione è doverosa e imperitura: per quanto limitati nelle proprie escursioni, circoscritte a po chi elementi basilari (niente di paragonabile alle infinite diversificazioni proprie e ca ratteristiche dell’attuale tecnologia di gitale), questi libretti di istruzione sono stati autentici esempi di scrittura tecnica: essenziale nella propria esposizione e impec cabile nel proprio ac compagnamento, con illustrazioni esplicative e a commento. Ribadiamo, ripeten dolo e ancora:confermandolostoriepassate!

Vues n° 0, di Jean-Christophe Béchet; 600 copie numerate; Trans Photographic Press, 2007; 120 pagine 18,5x22,5cm, cartonato; su tre carte tipografiche; 29,00 euro.

23 per quanto certe sequenze e l’attenzione su taluni dettagli lo abbiano consentito. Quindi, indipendentemente dai con tenuti di tre film che oggi prendiamo in considerazione, ciascuno a proprio modo profondo nelle proprie analisi e reputazio ni, la nostra sola intenzione sovrastante è quella di porre l’accento su trasversalità sostanzialmente avvincenti, prima che curiose e, se proprio vogliamo dirla tutta, coinvolgenti: ovviamente, ci esprimia mo guidati anche da autentico e sano feticismo degli oggetti e gesti della Fo tografia, dal quale non siamo immuni... noi, come tanti altri frequentatori del la materia/disciplina/espressione/arte/...

SCENEGGIATURE Allora: tre film, come appena anticipato. In questo ordine: Fur. Un ritratto imma ginario di Diane Arbus (2006); Triage (2009); One Hour Photo (2002). Come già rilevato, ognuna di queste tre sce neggiature affronta e svolge tematiche sostanziose, sulle quali qui e oggi sorvo liamo; non prima, però, di averle riassunte. Nello stesso ordine. Come chiarisce e rivela il titolo italia no completo, Fur è una accettabile bio grafia della celeberrima fotografa statu nitense, Diane Arbus (Diane Nemerov; 1923-1971), concentrata sulla sua maturazione dalla foto grafia professionale nella mo da, a ridosso del marito Allan Arbus, alla propria espressività rivolta soprattutto al mondo e panorama dei definiti fre aks (in identificazione richia mata all’omonimo film di Tod Browning, del Sceneggiato1932).daDanis Tanović (anche regista del film) sull’omonimo romanzo di Scott Anderson, del 1998, retroambientato alla guerra in Kurdistan, del 1988 (pubbli cato in Italia, da Piemme, nel 1999, con il titolo Sotto un cielo di guerra, e rieditato, nel 2001, con il titolo Reporter di guerra), Triage rispetta lo spirito del romanzo e la trasversalità esistenziale del protago nista, il fotogiornalista Mark Walsh (otti mamente caratterizzato dall’attore irlan dese Colin Farrell). Tra terribili cronache di guerra, immancabili disa gi e difficoltà professionali e sconfortanti sfide esistenziali della vita quotidiana, il libro e il film affrontano e svolgono temi fondanti (non soltanto della Fotografia, sia chiarito), quali la colpa, il perdono, la natura della guerra moderna e il senso di appartenenza. Con una testimonianza di realtà, dal romanzo originario di Scott Anderson al film firmato da Danis Tanović, la rifles Ricordiamolo, dal pas sato: caricare il rullo 120 all’interno della Rolleiflex impone passaggi obbli gati attraverso un labirin to intricato. Sequenza di Diane Arbus, dal film Fur

ISTRUZIONI In conferma attuale, esauriti gli inte ressi originari per i film oggi avvicinati (ognuno dei quali è stato ampiamente commentato in rispettive cronache), oggi e qui ci soffermiamo sulla sceno grafia, sull’allestimento scenico, da un altro punto di vista, che dà spessore e risalto a osservazioni trasversali alle ri spettive sceneggiature. In Fur. Un ritratto immaginario di Dia ne Arbus traspare evidente l’ossessione di Diane Arbus per la propria Rolleiflex biottica (anche se nella vita scattava con biottica Mamiya C33). Il film ne è pie no, il film ne fa prezioso elemento visivo (così come ha fatto -per decenni- Guido Crepax, mettendo tra le mani una simil Rolleiflex, o anche autentiche Rolleiflex, alla sua eroina a fumetti Valentina: «Era la più bella da disegnare, tutto lì. Aveva belle forme e poi era bella da tenere tra le mani; se si potesse dirlo, era fotogeni ca. Poi, mi piaceva anche perché lasciava libero il viso, mentre altre macchine fo tografiche si debbono portare all’altezza dell’occhio. La Polly Max / Rolleiflex era congeniale alle esigenze del disegno»). In una cura scenografica addirittura magistrale, come lo sono spesso (sem pre?) quelle statunitensi, in Fur com paiono elementi fotografici adeguati ai tempi del racconto, che si distribui sce tra l’inizio degli anni Cinquanta e i secondi anni Sessanta: apparecchi fo tografici, obiettivi, accessori e pellicole sono in perfetta armonia e, soprattutto, sono allineati ai rispettivi tempi narrativi. Trasversale, come appena rilevato, è l’os

Nel caso del film One Hour Photo, sceneggiato attorno a un minilab di sviluppo e stampa colore, quelle che noi indichia mo e certifichiamo co me istruzioni d’uso non sono mai state alla por tata del pubblico. Da cui, affascinante sequenza di trattamento della pellico la e stampa delle copie.

24 sione di Triage riguarda la sopravviven za individuale alla tragedia incontrata e, addirittura, subìta. Il ritorno a casa basta a cancellare tutto? Oppure, come è pro babile, più che probabile, la condizione di sopravvissuto è qualcosa di indelebile, che segna permanentemente l’animo? One Hour Photo, facile la traduzio ne “Fotografie in un’ora”, è il titolo del film che riprende il richiamo pubblico ufficiale dei servizi rapidi di sviluppo e stampa dei paesi anglosas soni, spesso utilizzato anche in altre nazioni, Italia compre sa. Il contenitore One Hour Photo dà corpo al minilab attorno al quale si snoda la vicenda dell’omonimo film di Mark Romanek (anche sce neggiatore, alla prima regia cinematografica, dopo espe rienze nel mondo video), in terpretato da un magistra le Robin Williams al culmine delle proprie performance ci nematografiche (oltre quan to già dimostrato in L’attimo fuggen te, Risvegli, Will Hunting genio ribelle e L’uomo bicentenario). Nella parte di Seymour “Sy” Parish, addetto al servizio rapido di stampa colore presso un lin do centro commerciale (SavMart), alle porte di una anonima città statuniten se, Robin Williams vive un’esistenza in qualche modo di riflesso: alla famiglia Yorkin, che conosce e ama attraverso le fotografie che la moglie Nina gli porta regolarmente a sviluppare. Oltre le copie che consegna, contrav venendo a tutte le logiche e regole del proprio mestiere (questo va detto, sot tolineato e ribadito, a garanzia e tutela della privacy dei clienti), Sy stampa una propria serie aggiuntiva. Attraverso que ste serene e allegre istantanee parteci pa alla vita, ritagliandosi una sorta di ruolo di ipotetico e amato “zio” («quando guar diamo i nostri album foto grafici vediamo soltanto mo menti felici; nessuno scatta fotografie dei momenti che vuole dimenticare», riflette il protagonista, che osserva che attraverso l’insieme delle proprie istantanee ciascuno lascia anche una indelebile traccia di se stesso: «io c’ero», può pensare). Attenzione: il film è drammatico, perfino tragico, perché il protagonista Seymour “Sy” Parish è un autentico psicopatico.

25 che -a margine dell’impegno in sala di posa accanto al marito Allan- materia lizza la fuga di Diane Arbus dalla foto grafia commerciale, dalla quale si allon tana consapevolmente per abbraccia re una propria esigenza esistenziale di creatività visiva e interpretativa. Nel film, la Rolleiflex biottica finisce per diventa re addirittura il motivo conduttore della ribellione dagli schemi, anche da quelli della ricca famiglia di origine, formalista oltre ogni possibile sopportazione indi viduale. Quindi, la incontriamo e ritrovia mo con incessante... ossessione. Istruzione d’uso! Chi ha vissuto que sta esperienza conosce le attenzioni per caricare il rullo 120 all’interno della Rolleiflex, con passaggio obbligato at traverso un labirinto adeguatamente intricato. Chi ha vissuto questa espe rienza è consapevole di individuate dif ficoltà di caricamento, sostanzialmente estranee alle facilitazioni di altri sistemi fotografici, rivolti al grande pubblico. La Rolleiflex biottica no. Indirizzata a utilizzatori consapevoli e convinti, era/è estranea a qualsiasi semplificazione. Aperto il dorso e inserito il rullo 120 nel proprio vano, la carta di protezione va indirizzata con attenzione, fino ad ag ganciarsi al rocchetto ricevente, dopo aver percorso un tragitto prestabilito e, come già rivelato, tortuoso. Quindi, si richiude il dorso e si blocca la chiusu ra con l’apposita leva sul fondo, coas siale all’attacco filettato per treppiedi. Da cui, la sequenza cinematografi ca da Fur, la cui sceneggiatura sotto linea l’ossessione fotografica di Diane Arbus, che si esprime anche con la consapevole finaliz zazione della composizione quadrata della Rolleiflex, at traverso le quali (composi zione quadrata e Rolleiflex) si manifesta la sua ribellione dagli schemi della famiglia e della fotografia commerciale. Passo avanti (di lato?). In una sequenza di Triage, il protagonista Mark Walsh, interpretato da Colin Farrell, fotogiornalista sui fronti di guerra, carica la propria Nikon reflex in una condizione di sostanziale disagio ambientale: è scontato che così sia. Da qui, in valutazione anagrafica (nostra personale), rileviamo che, ai tempi, si manifestarono due scuole di pensiero, diciamola così. Da una parte, alcuni in serivano il caricatore trentacinque milli metri nel proprio vano, a destra dell’ap parecchio fotografico aperto, per poi agganciare la pellicola al nottolino rice vente, a sinistra. Altri, agivano all’opposto: agganciavano prima la coda della pel licola al nottolino ricevente, per poi col cinematografico Mark Walsh, di Triage

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Titoli di testa del film One Hour Photo, con inces sante sequenza croma tica che visualizza condi zioni basilari della stam pa fotografica a colori, in sintesi additiva, propria e caratteristica anche dei minilab, così come lo è stata delle camere oscure chimiche. Del passato.

In entrambi i casi, altre due scuole di pensiero: una avara, l’altra generosa. Per precauzione (e sicurezza?), alcuni foto grafi scattavano fino a due/tre fotogram mi a vuoto, per essere certi di poter agire a partire da pellicola vergine; all’opposto, in contrazione, altri fotografi limitavano al minimo l’avan zamento preventivo al primo fotogramma utile plausibile. Da qui, in allungo, la serie di prefotogrammi Vues n° 0, rac colte in avvincente monogra fia d’autore dal francese Je an-Christophe Béchet [a pa gina 22]. A totale differenza, le pre sunte e attestate “istruzioni” fotografi che in One Hour Photo non sono mai state alla portata del pubblico. In ca denza visivamente accattivante, oltre che affascinante, modulano tempi e modi del trattamento della pellicola a colori e relativa stampa delle copie con attrezzature predisposte: nello specifi co, minilab. E si registra anche una ana loga combinazione cromatica additi va scandita dai titoli di testa, là dove e quando si sottolinea la combinazione dei colori primari. In istruzione d’uso?

URSS

BACK IN

di Angelo Galantini Che non venga in mente a nessuno che l’attuale presentazione della monografia Film Posters of the Russian Avant-Gar de, che raccoglie e celebra i poster del la cinematografia russa d’avanguardia degli anni Venti e Trenta del Novecento, sia in qualche misura solidale alle re centi azioni di guerra con le quali l’at tuale Russia ha invaso unilateralmente un paese sovrano confinante: l’Ucraina. Però, allo stesso momento, non ne ghiamo la volontà convinta e consape vole di ricordare, a nostra volta, un mo vimento culturale profondo e avvincen te, per quanto... russo. Infatti, il nostro attuale passo è niente affatto casuale, bensì intenzionale e calcolato. Maga ri, in tutto questo, la Fotografia, nostro territorio ufficiale di incontro, c’entra poco, forse -addirittura- nulla. Ma! Ma, insistiamo sul princìpio per noi indero gabile in base al quale la Fotografia non debba mai essere intesa e frequenta ta come arido punto di arrivo, magari perfino in propria sola autoreferenzia lità e gratificazione; all’esatto contrario, perseveriamo nel considerare la nostra frequentazione della stessa Fotografia per quanto si offra come s-punto pri vilegiato di osservazione. E in questo senso, e in questa direzione, sollecitia mo anche la vostra frequentazione.

Consapevolmente, volontariamente e (circa) provocatoriamente ci occupiamo di arte visiva so vietica. Non assolviamo l’invasione russa di una nazione sovrana confinante, ma interpretiamo un pensiero libero da vincoli e limiti, indirizzato alla distinzione tra-e, alla ripartizione tra interessi politici e cultura di popolo. Soprattutto oggi, è doloroso comportarsi così. Ma è doveroso. Forse Susan Pack, che ha cu rato Film Posters of the Russian Avant-Garde, si è laureata alla Princeton University, prestigioso ate neo privato di ricerca, nel New Jersey, Usa, nel 1973. Film Posters of the Rus sian Avant-Garde ; a cura di Susan Pack; Taschen Verlag, 2017; edizione mul tilingue inglese, france se e tedesco; 320 pagi ne 26x34cm, cartonato; 50,00 euro.

FIOR DA FIORE In prologo di pensiero, non possiamo ignorare quanto e come, in tempi recenti (rappresentativi di un costume nazionale

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28 ESPLICITAPROPAGANDA

SOLO ON LINE / / /QR

▶ Chinese Propaganda Posters ; Taschen Verlag, 2005; Collana Bibiotheca Universalis ; 608 pagine 14x19,5cm.

I documenti cinesi del Novecento raccolti da Domenico Strangio compongono l’Archivio Fiume Giallo, accessibile al sito www.tempiodelcielo.org.

Chinese Propaganda Posters ; dalla collezione di Michael Wolf; Taschen Verlag, 2003 / riedizione 2022; 320 pagine 26x34cm; 50,00 euro.

In questa raccolta, il valore della presentazione dipende in grande misura dalle identificazioni che certificano i sogget ti e li commentano (anche in italiano). In questo senso, oltre ad essere più completo di precedenti raccolte, Chinese Pro paganda Posters, di Taschen Verlag, ha giusto il merito della attestazione, preziosa per comprendere appieno il fenomeno.

Soprattutto nei paesi a regime socialista -Unione Sovietica, dal 1917; Repubblica Popolare Cinese, da 1949-, la propagan da politica è stata esercitata con manifesti affissi per strada; la Fotografia, che noi consideriamo fondante, si è mossa sot totraccia e si è espressa per metafore... quasi. Semplificando al massimo, e banalizzando la sostanza (ne siamo consapevoli), oltre la propaganda propriamente tale, il Realismo Sovietico ha comunque dato avvio a un inten so approfondimento culturale, che ha influito non poco sul patrimonio visivo del Novecento. A differenza, la Cina non è riuscita ad andare oltre una gra fica modesta, spesso infantile, che si è racchiusa in se stessa. Per quanto ci siano anche esempi eccellenti, si tratta di ec cezioni casuali lungo il cammino [ne siamo informati: nella WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini, coabitante con la nostra redazione, sono conservati almeno ottocento manife sti cinesi degli anni fino alla fine dei Settanta del Novecento]. Comunque, per quanto riguarda la lunga esperienza cinese, gravitata attorno la (famigerata) Grande Rivoluzione Cultura le Proletaria, va menzionata un’ottima monografia pubblicata da Taschen Verlag. Dalla collezione di Michael Wolf -per il ve ro, sostanzialmente coincidente con l’ipotetica combinata tra quelle di WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini e Dome nico Strangio, ora raccolta nell’identificazione Archivio Fiume Giallo, presso la Biblioteca Comunale di Vado, in provincia di Bologna-, l’immancabile Taschen Verlag ha ricavato la corposa monografia Chinese Propaganda Posters, pubblicata in prima edizione nel 2003. La raccolta è esattamente ciò che promette di essere: un casellario sui e dei manifesti politici cinesi della lunga stagione maoista, che si è allungata nei decenni, soprat tutto a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento.

Analoga è la catalogazione del già citato Archivio Fiume Giallo, accessibile dal sito www.tempiodelcielo.org (qui in QRcode).

TEMPIODELCIELOcode

29 bizzarro, ormai radicato), abbiamo assi stito a esternazioni disarmanti, almeno disarmanti. Ancora prima dei giorni di guerra, sui quali intendiamo tornare, il giornalismo italiano ha avuto modo e tempo di sottolineare che per l’elezione politica del presidente della Repubbli ca, mica del segretario del circolino di quartiere, il paese meritasse una figura di “alto profilo”. Lo scorso febbraio, que ste precisazioni ci hanno folgorato, let teralmente sconvolti: perché, in cuore nostro, avevamo ipotizzato che il presi dente della Repubblica avrebbe anche potuto essere un “cialtrone”. Del resto, è solo colpa nostra, della nostra capar bietà, perché già in tempi antecedenti, e -ormai- lontani, avremmo potuto essere indirizzati da un titolo a nove colonne di un quotidiano nazionale, che per l’ele zione alla presidenza di Sandro Pertini, nell’estate 1978, titolò perentoriamente «Un galantuomo al Quirinale», oppure «Un galantuomo al Colle», non ricordia mo esattamente, ma fa lo stesso. Infatti, già allora avremmo dovuto compren dere che quella che noi consideravamo condizione basilare, era/è -invece- valo re aggiunto e complementare. Del resto, un altro titolo recente, in mo menti di guerra, ci ha informati che «Il papa è contro la guerra». Quella mat Nikolai Prusakov (19001952) e Grigori Borisov (1899-1942): locandina per il film Puteshestvie na Mars ; 1926 circa. (pagina 31) Smolyakovsky: locandina per il film Kon veier smerti ; 1933. All’inizio degli anni Tren ta, una crisi economica devasta un paese capita lista di invenzione.

CaliforniaPack,Susan/Taschen©

tina ci siamo rattristati: un tale scoop, una tale rivelazione a sorpresa è meri tevole dei più ambìti premi giornalistici internazionali, magari a partire dal cari smatico Pulitzer, chiudendo a marzo la gara per il corrente Duemilaventidue. Non ce n’è più per nessuno! I giornali sti di spicco si mettano il cuore in pace! Questo è sarcasmo, forse. Ironia, pro babilmente. Intelligenza a buon merca to, certamente. Che, continuando sul filo del discorso attuale, ha intenzione certa di approdare alla provocatoria re censione di una fantastica monografia illustrata che celebra fasti dell’Unione Sovietica di cento anni fa, in chiave e odore di Russia (magari, non di oggi, come pure non di ieri l’altro): Film Po sters of the Russian Avant-Garde Perché rivolgiamo una intenzione po sitiva a una vicenda che qualcuno vor rebbe dipingere altrimenti, alla luce di vicende altre? La domanda (retorica?) contiene la risposta: perché qualcuno sta dipingendo altrimenti, alla luce di vicende altre! Niente di diverso.

Nel Novantanove, la Cooperativa di Consumo Centofiori, di Milano, realizzò un’ope ra multimediale sulla Cina del Novecento che non ha ancora paragoni [CD-Rom interattivo, allora tecnologicamente convincente]. Una vasta serie di immagini accompagna testi ben allestiti. Il punto di vista è accondiscendente, in una visio ne storica che considera comunque positiva l’esperienza politica della Repubbli ca popolare, proclamata il Primo Ottobre 1949, alla fine di una lunga rivoluzione interna e di una eroica resistenza all’invasione giapponese.

I redattori Elisabetta Monti, Domenico Strangio e Antonio Loreti hanno realizza to molti percorsi paralleli. La chiave di lettura è in qualche modo -lei pure- marxi sta: nel senso dell’approfondimento e del piacere e gusto per la conoscenza. Per quanto, in un mondo di superficialità, questa concentrazione possa avere ancora senso, nel CD-Rom La Cina di Mao, fatti, curiosità e vicende si alternano in un rit mo incessante, che è proprio quello della cronaca che diventa ben presto Storia.

VIENI AVANTI... Due casi ci sono apparsi clamorosi, nel proprio analfabetismo di ritorno. In con fusione tra popoli e cultura e dirigenza politica -dalla quale, considerato un no stro recente passato, molti di noi hanno sempre tenuto a distinguersi-, vanno menzionati due casi, almeno due: uno è addirittura “fotografico”, per quan to, personalmente, stiamo ben lontani da quel tipo di Fotografia accademica, astratta, inconcludente e oziosa. Con or dine, e la Fotografia viene dopo. All’inizio di marzo, nelle prime ore di in vasione russa dell’Ucraina, l’Università Bi cocca di Milano ha cancellato un incontro culturale programmato con l’autorevole scrittore e traduttore Paolo Nori (1963-): un ciclo di quattro lezioni sullo scritto re russo Fyodor Dostoevskij (1821-1881!), partendo dalla sua più recente pubbli cazione Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij, in edizione Mondadori (finalista Premio Campiello 2021). Come ormai d’abitudine, la comu nicazione è pervenuta per email: «Caro professore, stamattina il prorettore alla didattica mi ha comunicato la decisione presa con la rettrice di rimandare il per corso su Dostoevskij. Lo scopo è quello dì evitare ogni forma di polemica, in quan to momento di forte tensione». Povero Paolo Nori, si fa per dire. Ma, soprattutto, povero Dostoevskij, al quale si imputano responsabilità contemporanee.

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Per quando riguarda lo specifico del nostro punto di vista, oggettivamen te visivo, quantifichiamo che le duemila immagini a commento rappresentano un casellario unico e sorprendente: manifesti, carte tagliate, fotografie e pittu Il CD-Rom interattivo La Cina di Mao è l’opera multimediale italiana più com pleta sulla Cina del Novecento. Sulla copertina è riprodotto un celebre dipinto a olio di Liu Chunhua, del 1968, successivamente riprodotto in manifesto... di/in propaganda : Il compagno Mao Zedong in strada per Anyuan, nell’autunno 1921

MaurizioAngeloRebuzziniWunderKammer

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CaliforniaPack,Susan/Taschen©

CCCP - Cosmic Commu nist Constructions Pho tographed, del francese Frédéric Chaubin (Taschen Verlag, 2011), è racconto della caduta di un impero.

MaurizioAngeloRebuzziniWunderKammer

Ovviamente, poi, i fatti si sono evoluti, con marcia indietro da parte dell’ate neo e tira-e-molla all’italiana. Da par te nostra, sempre in ironia e sarcasmo (ma!), ci auguriamo che ai vertici di Mi lano-Bicocca ci siano soltanto uomini (minuscolo), che -rispetto alle donnehanno un clamoroso vantaggio: se in tendono farlo, possono anche orinare fuori dalla tazza; insistendo, possono anche farsela sulle scarpe. Ovvero, quante restrizioni, sanzioni e ritorsioni avremmo dovuto/potuto subire noi italiani quando, in tempi sostanzial mente recenti, venivamo rappresentati da un Presidente del Consiglio dei mini stri (con palo di lap dance in tavernetta, garbato complemento d’arredamento), che faceva le corna al politico straniero davanti a lui, nelle fotografie di gruppo, mimava atti sessuali verso politiche don na, raccontava barzellette irripetibili in qualsivoglia bar di quartiere... e altro an cora? Da cui, con Forrest Gump, «stupi do è chi lo stupido fa». Oppure, scemo. Così che, in altra registrazione allinea ta, il programma espositivo di Fotogra fia Europea 2022, a Reggio Emilia, dal diciannove aprile al dodici giugno, che aveva annunciato la Russia come paese ospite, ha invertito il senso di marcia, in un certo modo confondendo l’ambito

Lo Zingarelli - Voca bolario della lingua ita liana; Zanichelli Editore).

(2)CaliforniaPack,Susan/Taschen©

32 culturale con vicende politiche. Ha uf ficializzato l’assessora alla Cultura e alle Pari opportunità (curioso mix di com petenze): «La decisione di annullare il progetto con il Museo Statale Ermitage, assunta all’indomani dell’aggressione della Russia all’Ucraina (dunque in al cun modo dettata da presunte spinte “russofobe” provenienti di altre istituzio ni), è stata immediatamente condivisa con i partner di Fondazione Ermitage Italia e contestualmente comunicata al curatore del progetto, Dimitri Ozer kov, direttore del Dipartimento di Arte contemporanea presso l’istituzione rus sa. [...]. Pur esprimendo apprezzamen to per il lavoro e la professionalità del curatore, la decisione di interrompere relazioni istituzionali, in tale contesto di guerra e di strage indiscriminata di civili, è risultata inevitabile [?]. «Tutti gli autori russi del progetto so no stati invitati a partecipare al Festi val [di Reggio Emilia] in forme diverse da quella espositiva prevista dal pro getto annullato e tutti hanno risposto esprimendo gratitudine ma fermezza nel considerare le attuali condizioni, in cui la guerra è in corso, non praticabili. Continuiamo a dialogare, faticosamente considerando le condizioni, per defini re le migliori modalità di collaborazio Una mostra fotografica allestita alla prestigiosa Concoran Gallery of Art, di Washington DC, nel 1999, visualizzò un paral lelo che oggi ci è conge niale: Propaganda & Dre ams di comparazione tra la fotografia sovietica e statunitense degli anni Trenta del Novecento. Da una parte, la Propaganda di regime; dall’altra, i So gni di uno stile di vita da proporre al mondo intero (in monografia pubblica ta da Edition Stemmle). Con il senno di poi, possiamo considerare benevoli certe visioni di Propaganda (sovietica) e altrettanto consen zienti le rappresenta zioni del Sogno (ame ricano). In tutti i casi, la Fotografia si prestò co me arma, comunque la si veda, di sola Propa ganda [in nota finale]. Non pensiamo che esi sta una sola verità assolu ta, non pensiamo che la nostra visione del mondo sia giusta e corretta (l’as sertività indica la volontà di sostenere la propria opi nione come vera). Però, allo stesso tem po, chiediamo al giornali smo e al fotogiornalismo di svolgere con coscienza il proprio mestiere: osser vare e raccontare, sapen dosi indignare e non ser vendo alcun preconcetto. Propaganda (sostantivo femminile): Opera e azio ne esercitate sull’opinione pubblica per diffondere determinate idee, o per far conoscere determina ti prodotti (Dasolopagatori:perchéscarsamenteplesso[Familiarmente]commerciali.Comdiideeenotizieattendibilialteratedaiprononfidatevi,èpropaganda.

33 ne senza che ciò comporti, per chi si è già fortemente esposto, ulteriori rischi di incolumità personale».

AVANGUARDIA... FINALMENTE L’eccellente monografia Film Posters of the Russian Avant-Garde, a cura della qualificata Susan Pack, presenta due centocinquanta locandine di film degli anni Venti e Trenta del Novecento che esprimono l’energia culturale dell’era pre-staliniana dell’Unione Sovietica. In intersezione di arti visive, grafiche e cinematografiche, in clima di rinnova mento e speranze (poi, deluse e tradi te), i poster dei film sono emozionante testimonianza di un Zeitgeist culturale (spirito del tempo). Di una inventiva visi va prima che il tignoso realismo sovieti co diventasse dottrina artistica ufficiale. Tratta dalla collezione della curatrice, la selezione comprende opere di ventisette autori-artisti. Dalla figurazione audace agli elementi architettonici, ognuno mostra un’estetica distinta, tanto quanto -collet tivamente- evita il glamour di Hollywood, per immagini spesso contrassegnate da angolazioni insolite, composizioni dina miche e primi piani sorprendenti (tali e quali nella fotografia del coevo Alexan der Rodchenko; 1891-1956). Certo, propaganda. Ma! ■ Mikhail O. Dlugach (18931988): locandina per il film Yego kar’yera ; 1928. (pagina accanto) ZIM: lo candina per il film Spar takiada ; 1929. Le Spartachìadi dei Po poli dell’Unione Sovietica (Спартакиада народов СССР) sono state com petizioni sportive alter native ai Giochi olimpici.

34 di Maurizio Rebuzzini

Ferdinando Scianna, milanese di Ba gheria, è uno dei due autorevoli foto grafi italiani che mi mettono in diffi coltà. Mi spiego subito, non prima di aver accertato che tanti altri fotografi italiani, autorevoli e non, professionisti e non, mi mettono solo a disagio.

MEMORIA RACCONTO

In testimonianza: «Scrittura e fotografia non si escludono. Io nasco fotografo, e mi sento fotografo; però, ho fatto il gior nalista per venticinque anni, scrivendo anche. Mi ricordo che Leonardo Scia scia, mettendomi in guardia, mi disse “stai attento, che te ne può venire una schizofrenia”. Ma io questa condizione l’ho sempre esorcizzata, considerando mi un fotografo che scrive».

Di questo si tratta: entrambi questi fotografi sono tanto potenti e accre ditati interpreti della Vita nel proprio svolgersi, quanto eccellenti scrittori di e per la Fotografia. Non la loro fotogra fia, quanto giusto la Fotografia nelle proprie innumerevoli sinuosità di lin guaggio e utilizzo e finalità e, perché no, compromessi e condizionamenti. E non è ancora tutto! Entrambi questi fo tografi-scrittori sono anche avvincenti, convincenti e affascinanti oratori. Già ognuna per se stessa, le tre personali tà sono prestigiose... figuriamoci quan do le incontriamo in due sole persone.

Al Palazzo Reale, di Milano, prestigiosa sede istituzio nale, è allestita una intensa antologica di Ferdinando Scianna, uno dei più autorevoli fotografi italiani contem poranei. In sette sezioni, più una ampia e scandita ras segna bibliografica, il passo e la cadenza di un reporter di spicco dei nostri tempi. Un reporter, annotiamolo per quanto possa servire farlo, capace anche di riflettere sul la Fotografia come pochi altri. Due soli ne conosciamo

In ulteriore testimonianza: «Come fo tografo, mi considero un reporter. Co me reporter, il mio riferimento fonda mentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire a es sere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e inter preta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di ap partenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che rac contano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di mo da, le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo». Ora, a un punto vertiginoso del pro prio cammino fotografico, accostato da una invidiabile bibliografia di testi di al to profilo, Ferdinando Scianna approda a una celebrazione più che prestigiosa: Viaggio Racconto Memoria, al Palazzo Reale, di Milano, a cura di Paola Bergna, Denis Curti e Alberto Bianda (art direc tor), mostra prodotta da Civita Mostre e Musei, fino al cinque giugno.

VIAGGIO

Ferdinando Scianna è una delle due.

(2)SciannaFerdinando© (continua a pagina 41) Allestite in un percorso espositivo coin volgente, oltre duecento fotografie scan discono sette passi più uno ancora, che potremmo anche considerare come con sequenziali tra loro. In questo ordine: La memoria (Bagheria, La Sicilia, Le feste religiose); Il racconto (Lourdes, I bambi ni, Kami, Il dolore); Ossessioni (Il sonno. Le cose, L’ombra, Bestie, Gli specchi); Il viaggio (America, Deambulazioni, I luo ghi); Ritratti ; Riti e miti (Le cerimonie, Donne, Marpessa); Leonardo Sciascia Quindi, più intrigante che mai, almeno per noi, che eleviamo il Libro al Vertice di Tutto, non soltanto di molto: Bibliografia [Dal comunicato stampa ufficiale, in linea con le consuetudini acquisite nel nostro sciagurato mondo fotografico ita liano (ancora, su questo stesso numero, a pagina 74)] Raccogliendo in questa mo stra la più ampia antologia dei propri la vori fotografici, in apertura del percorso espositivo, con presto riconosciuta au toironia, Ferdinando Scianna riporta un testo di Giorgio Manganelli [1922-1990; scrittore, traduttore, giornalista, critico letterario, curatore editoriale e docente italiano, nonché uno dei teorici più co erenti della neoavanguardia]: «Una an tologia è una legittima strage, una car neficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino». Annota Ferdinando Scianna: «Una gran de mostra antologica come questa di Milano è per un fotografo come me un complesso, affascinante e forse anche arbitrario viaggio nei sessant’anni del proprio lavoro e nella memoria. Ecco già due parole chiave di questa mostra e del libro che l’accompagna: Memo ria e Viaggio. La terza, fondamentale, è Racconto. Oltre duecento fotografie divise in tre grandi corpi, articolati a pro pria volta in ventuno sezioni tematiche. Questo tenta di essere la mostra, un Racconto e un Viaggio nella Memoria La storia di un fotografo in oltre mezzo secolo di fotografia». Quindi, e per nostro costume (asciut to), non ci allunghiamo a raccontare chi sia Ferdinando Scianna: chi lo sa, non ha bisogno di ulteriori parole; chi non lo sa, sono fatti suoi, e non nostri, e non intendiamo colmare alcun vuo to conoscitivo, tantomeno qui, quan tomeno da queste pagine. (pagina 40) Enna, 1963. (pagina 41) New York, 1985. (pagina accanto) Leonardo Sciascia; Ra calmuto, 1964. Makkalè, 1984.

36 (prossima doppia pagina, 38-39) Kami, 1986.

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38 SciannaFerdinando©

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40 (2)SciannaFerdinando©

Soltanto, e come sempre, in intenzione di s-punto privilegiato di osservazione, la Fotografia, qualsiasi Fotografia (!), sia fonte e opportunità di riflessioni indivi duali, di curiosità. Insieme con Ferdinan do Scianna, la sorgente è doppia, alme no doppia, comprensiva come è di una sostanziosa sezione bibliografica (nostra predilezione individuale). Infatti, e a conti fatti, rispondendo a una natura formata in parti uguali di cultu ra (?) e istinto, per ognuno di noi, il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato lo sguardo consapevole su se stessi: la nostra prima patria sono stati i libri. Ancora, la parola scritta ci ha insegnato ad ascoltare le voci. La vita ci ha chiarito i libri: osservare, piuttosto che giudicare e pensare, invece di credere Osservare e pensare!

▶ Catalogo: Ferdinando Scianna. Viaggio Raccon to Memoria ; a cura di Alberto Bianda, Paola Ber gna e Denis Curti; Marsilio Editori, 2018; 304 pagine 23,62x28,7cm; 40,00 euro. (continua da pagina 36)

41

■ ■ Ferdinando Scianna. Viaggio Racconto Memoria. Pa lazzo Reale, piazza del Duomo 12, 20122 Milano (www. palazzorealemilano; www.civita.art); fino al 5 giugno; da martedì a domenica 10,00-19,30, giovedì fino alle 22,30.

CENTOPERCENTOINASTA 1 ASTA 100 FOTOGRAFIE 100 AUTORI 100 fotografie donate da 100 autori per un asta in favore di FOTOgraphia , affinché possa continuare a percorrere il proprio cammino e alimentare la riflessione sulla Fotografia utile e indispensabile nella contemporaneità del Pensiero attorno a... IN DATA DUEMILA 22 DA STABILIRE DOPO IL VENTI MARZO Siete invitati a un appuntamen to di impegno e valore per so stenere la rivista FOTOgraphia equinozio di primavera

Secondo tempo di una intensa valutazione della Storia ideata da Paolo Ludovici e realizzata da Maurizio Galimberti con il suo stilema di tessere a sviluppo immediato (Fujifilm Instax) accostate tra loro, a partire da matrici certificate. Al primo capitolo Uno sguardo nel labirinto della storia, si aggiunge ora l’ulteriore riflessione L’illusione di una storia senza futuro. E l’intercessione del celebrato autore si rinnova... per offrire ulteriori tessere sulle quali meditare. Il Pensiero individuale contribuisce a migliorare la Vita di ciascuno di noi. Certamente... sì

LA DIVENTASTORIADESTINO,EVICEVERSA

MAURIZIO GALIMBERTI

A diretta conseguenza, per quanto lontano dalla fotogra fia d’azione, magari con passo fotogiornalistico, oltre la sua azione d’arte, Maurizio Galimberti si propone come accredi tato narratore: addirittura, della Storia... ora e qui in secondo capitolo di un percorso avviato un anno fa con una prima quantità e qualità di soggetti iconici ispiratori. Qui, in secon do passo, è evidente quanto e come la Storia sia ineluttabi le, o -per meglio dire-, la Storia diventi Destino, e viceversa! Una volta ancora ci si domanda: cosa attira la nostra at tenzione fotografica? In risposta, al cospetto dei mosaici dell’autorevole Maurizio Galimberti: parecchi elementi, nes suno dei quali è significativo di per sé; ma, tutti sommati, hanno ed esprimono senso. Oltre che bravo e potente, Maurizio Galimberti è un nar ratore capace. Lo è perché e per quanto controlla, fino a do minarlo perfettamente, il proprio linguaggio. Così come un bravo romanziere (o storico) dissimula per far comprendere il proprio racconto, omettendo qui, sottolineando là, sopras sedendo a destra e allungandosi a sinistra, anche lui sotto linea (!) e nasconde (?) per lo stesso, identico motivo: per far comprendere il proprio resoconto, la propria narrazione visiva. Così che, alla resa dei conti, il suo raccontare per immagini trasmette emozioni intime che raggiungono ognuno con energia autoritaria. In forma di mosaici articolati che invita no alla concentrazione sui dettagli, così come impongono il proprio insieme complessivo, ogni sua interpretazione rias sume e riepiloga con perizia e cognizione di causa, affinché nessun osservatore possa disperdersi in una confusa selva di tante sollecitazioni casuali, ma imbocchi con decisione il proprio cammino, che può coincidere con quello delle sue intenzioni d’autore, ma anche distaccarsene. Perché no? Perché non dovrebbe (casomai) farlo?

Burgan, Kuwait (1991 / fotografia di

Matrice e Dettaglio 1:1 (al naturale). (continua a pagina 53)

Guerra

45 di Maurizio Rebuzzini Non soltanto molto, ma tutto dipende da come intendia mo la Fotografia. Non tanto da cosa questa significhi per ciascuno di noi, che sottintende partecipazioni e presen ze in qualche misura attive e palpitanti. Ma, con altro pas so, come consideriamo e interpretiamo questo autentico linguaggio visivo, che -dall’inizio del Novecento- influisce sulla Vita e il Pensiero di vita (quanto è accaduto prima è pura accademia... circa). A volte, addirittura condizionando l’una Vita e l’altro Pensiero. Del resto, come rileva l’autore vole e accreditata photo editor statunitense Susie Linfield (in La luce crudele), quale sarebbe la nostra comprensione del mondo, se non ci fossero le fotografie? A dispetto della sola apparenza a tutti visibile, che potreb be indurre qualcuno a ignorare la sostanza, per liquidare la sola forma esteriore (illusoria!) entro confini di “mosai ci” stravaganti e curiosi, nel proprio agire giorno su giorno, stagione dopo stagione, Maurizio Galimberti è approdato a una prodigiosa e stupefacente interpretazione fotografica. Addirittura a una Fotografia, in forma di Opera, che indirizza al meglio (e al bene) il Pensiero individuale dell’osservato re, tanto quanto compiace e appaga la componente mer cantile dei suoi pezzi unici: per l’appunto, in combinazione colta di tasselli narrativi (raffinati fotogrammi a sviluppo immediato, in copie Fujifilm Instax irripetibili).

Da e con Walter Benjamin: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica Per quanto molte fotografie, quasi tutte, comunichino soprattutto per i propri con tenuti, tanto da assumere dimensione cre dibile e convincente una volta che vengono riprodotte su giornali o raccolte in mono grafie, ci sono opere che esigono di essere osservate e considerate in propri originali. È il caso della Fotografia di Maurizio Ga limberti, qui e oggi con il secondo capitolo della sua escursione nella Storia, condotta insieme con Paolo Ludovici; dopo l’originario Uno sguardo nel labirinto della storia, l’attua le L’illusione di una storia senza futuro ag giunge un altro tassello alla riflessione. Per motivi logici, qui riferiamo traslando. Ma... le opere andrebbero valutate in originale: per dimensioni, percezione della lavorazione delle tessere in mosaico e impatto visivo. Non è possibile farlo dalle pagine di una rivista, informativa più che formativa. Sopperiamo al possibile, riproducendo inquadrature par ziali dal soggetto completo, proposte nelle proprie dimensioni originarie. Non è tutto, ma... Quindi, invito ad avvicinare gli origina li nell’ambito di esposizioni programmate. del Golfo; Bruno Barbey):

46 Nelson Mandela e Muhammad Ali (2000 / fotografia di Dana Gluckstein): Matrice, Opera e Dettaglio 1:1 (al naturale).

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49 Mujaheddin in guerra con l’Unione Sovietica (1979 / fotografia di Steve McCurry): Matrice, Opera e Dettaglio 1:1 (al naturale).

50 Piazza Tienanmen (1989 / fotografia di Stuart Franklin): Matrice, Opera e Dettaglio 1:1 (al naturale).

■ ■

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Insomma, in forma di indagine, Maurizio Galimberti è gui dato da una particolare (e invidiabile) capacità di analisi e sin tesi visiva che definiscono una individualità e percettibilità che stanno alla base del suo pensiero in forma d’arte... per la Vita. In questo senso, sentenze adeguate, oltre che autorevoli: con Henry Miller, «L’arte non insegna niente, tranne il senso del la vita»; con Paul Klee, «L’arte non riproduce il visibile; piutto sto, crea il visibile»; con Neal Cassady, «L’arte è buona quando muove dalla necessità; questo tipo di origine ne garantisce il valore, e nient’altro»; con Thomas S. Eliot, «L’arte non miglio ra mai, ma... il materiale dell’arte non è mai esattamente lo stesso»; con Emilio Cecchi, «L’arte, in fondo, come tante tra le cose più belle, vien meglio un po’ di nascosto»; con Lindsay Anderson, «L’arte è esperienza, non la formulazione di un pro blema». Per approdare alla fusione (forse) definitiva: con Al bert Camus, «Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe».

Con la qualità dei contenuti delle sue fotografie (identi fichiamole pure così, ma -invece- sono Opere, se si capisce la differenza sostanziosa), Maurizio Galimberti scandisce i tempi esatti del racconto e del coinvolgimento conse guente. Non si perde per strada, e permette anche a noi osservatori di percorrere la nostra linea retta. Non racconta nulla di superfluo, per dare fiato a quanto è effettivamente necessario: visioni, scomposizioni e ricomposizioni che im pongono la riflessione, che inducono in tentazione. Indu cono alla tentazione di pensare, ciascuno per sé, ma anche in condivisione con altri. Ognuno parta da questi autentici trattati, da queste folgorazioni, da questi squarci nel buio per comporre i tratti del proprio percorso, che sarà avvin cente per almeno due motivi: perché proprio, anzitutto, e perché sollecitato da una visione fotografica di alto profilo. La Fotografia è magica e magia giusto per questo. Non necessariamente racconta dei propri soggetti, spesso invi tati a richiamare altre intimità che non la propria apparen za a tutti manifesta. Ma rivela sempre qualcosa dell’autore, che coinvolge tutti nella propria visione. Alla fin fine, è esattamente questo il senso di dell’azione di Maurizio Galimberti, invitato dall’accreditato Paolo Ludo vici al racconto della Storia, in una sintesi consapevole che ogni distanza sia più questione di Tempo che di Spazio: da e con Anne Perry (in Callander Square, del 1980), «La Storia non può insegnarci niente, se scegliamo di dimenticarla». Già... se scegliamo di dimenticarla. Guerra in Vietnam, dal film Platoon, di Oliver Stone, del 1986 (1967): Matrice e Dettaglio 1:1 (al naturale).

(continua da pagina 45)

Come tutti i suoi compa gni d’avventura, anche Gil Elvgren, il più quali ficato tra gli illustratori di pin-up, si è spesso av valso di fotografie, che realizzava appositamen te. Questo il passo della monografia.

StockPrivateElvgren’sGil

Gil Elvgren’s Private Stock ; a cura di Tony Nourmand; Rap / Reel Art Press; 2012; 120 illu strazioni a colori e 50 in bianconero; 192 pagi ne 23x23cm, cartonato; 50,00 dollari.

54 di Angelo Galantini Noto e conosciuto soprattutto (soltan to?) nei ristretti ma vigorosi ambiti di coloro i quali seguono / hanno seguìto le lussureggianti stagioni delle pin-up, soprattutto quelle in illustrazione (che poi sono le vere e autentiche), e del co stume degli anni Cinquanta/Sessan ta, che arrivò in allungo diretto, Gil El vgren è stato un illustratore di pin-up (appunto) di grande fama. Già... fedeltà mentale a momenti durante i quali lo stato d’animo era generalmente ottimi sta. Soprattutto nel mondo occidenta le, rivolto alla ricostruzione a tutti i co sti, l’onda lunga del dopoguerra creò uno stile di vita attivo e diede animo a speranze che potevano essere realizza te. Le automobili, gli elettrodomestici per la cucina e persino le persone era no splendide e brillanti. Da cui, eccoci qui, in Approdiamorievocazione.oggi alla personalità di Gil Elvgren (1914-1980), accostandolo di traverso. Ovvero, lasciamo perdere le sue affascinanti e suggestive illustrazioni, a favore della loro ispirazione fotografica, che peraltro non visualizziamo, per mille e mille motivi, sicuramente tutti leciti e intuibili. Una monografia pubblica ta dall’autorevole Rap / Reel Art Press, editore inglese indirizzato alla socialità dei fenomeni visivi e musicali contem poranei, dischiude un dietro-le-quinte della creatività di Gil Elvgren partico larmente intrigante.

copertina]di[Quarta2012Press,ArtReel/Rap;

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Come tutti i suoi compagni d’avventura, anche Gil Elvgren, autorevole illustratore statunitense di pin-up, ha agito soprattutto dal “vivo”, con la modella di turno davanti al proprio cavalletto da pit tore. Allo stesso momento, ancora come tutti i suoi compagni d’avventura, anche Gil Elvgren si è spesso avvalso di fotografie, che realizzava appositamente. Per l’appunto, è questo il passo della monografia Gil Elvgren’s Private Stock, che riunisce, ordina e raccoglie una sostanziosa quanti tà e qualità di sue fotografie di modelle in posa. Sempre in fotografia stereo... tridimensionale

STAGIONI REMOTE

StockPrivateElvgren’sGil copertina]di[Prima2012Press,ArtReel/Rap;

Da una parte, questa moderna riscoperta è me rito della scrupolosa ca talogazione di intrepidi storici del costume, che hanno dato vita a una se rie di monografie a tema, anche editorialmente re centi, sulla cui genìa edi toriale sovrasta l’impecca bile The Art of Pin-Up, del tedesco Taschen Verlag, in attuale edizione (548 pa gine 25x34cm, cartonato).

Comunque sia, The Art of Pin-Up non dimentica nessuno, e racconta vita e opera di tutti gli specia listi del disegno di fan ciulle che hanno definito un’epopea che si è distribuita lungo i decenni, fino a quando il realismo della fotografia di nudo ha finito per avere il sopravvento, dopo aver fatto prepoten te breccia tra le maglie di una censura sempre più blanda. Per quanto ci riguarda, nostalgia di tempi passati... splendidi.

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Una imponente monografia, appena rivista e rieditata (dalla precedente The Great American Pin-Up ), storicizza il feno meno delle pin-up: figure birichine, volontariamente eroti che, che decenni fa hanno interpretato l’incantevole miste ro di una speranza. Per quanto le pagine in casellario visivo di The Art of Pin-Up siano preziose, l’argomento richiede un commento e una presentazione ragionata. Peccaminose ai tempi delle rispettive apparizioni dal vivo, ovverosia in cronaca, le licenziose raffigurazioni femminili di segnate nei decenni scorsi sono oggi approdate a una cele brazione storica che ne consacra l’ingresso ufficiale nella più nobile comunicazione visiva. Non più clandestine, non più con trabbandate sotto banco, oggigiorno, le pin-up sono reintegra te nel novero delle figure canoniche e accettate e accettabili.

In conclusione, a conferma dell’attualità visiva delle pinup, attiriamo l’attenzione sulle riviste di moda e di costume che da tempo stanno proponendo servizi fotografici decli nati sullo stile di quelle rappresentazioni.

The Art of Pin-Up, a cura di Diane Hanson, Louis K. Meisel e Sarahjane Blum; Taschen Verlag, 2021; 548 pagine 25x34cm, cartonato. In copertina, Sheer Comfort, di Gil Elvgren, del 1959. [ The Great American Pin-Up, in edizione 1996].

PIN-UP(S) SULLO SCAFFALE

Dall’altra parte, non possiamo ignorare, né sot tovalutare, altri due feno meni che hanno favorito la riscoperta di queste il lustrazioni di «femmine birichine, volontariamen te maliziose, consce della propria carica erotica, che nei decenni scorsi hanno interpretato l’incantevole mistero di una speranza». Anzitutto, va registra to un identificato fastidio per la ginecologia roto calchistica e in Rete, che non si concilia con la raf finatezza estetica e visiva dei più autentici e con centrati cultori dell’ero tismo visivo (attenzione, come è stato scritto: l’e rotismo sta alla volgare e inutile esibizione di carne, come una promessa al lettante sta a una offerta tristemente esplicita). Infatti “l’incantevole mistero di una spe ranza”, ottimamente interpretato dalle maliziose pin-up dei decenni scorsi, alimenta quella fantasia e quella attesa sen za le quali la vita e il piacere finiscono per non avere brividi. Dopo di che, va pure sottolineata l’odierna rivalutazione generale e generica degli anni Cinquanta. Pur senza entrare nel merito di competenze sociologiche che non ci spettano, non ignoriamo che si tratta di una mitizzazione artificiosa e fittizia, basata su sensazioni ed emozioni postume, che nulla hanno di reale. In tutti i casi, rimane il fatto che in quell’im mediato dopoguerra regnava uno stato d’animo ottimista. Gli oggetti, gli spettacoli, la vita e persino le persone erano splendidi e brillanti. All’indomani del buio di una devastante guerra mondiale, la visione di una possibile vita serena, licen ziosa e solare non poteva che donare felicità. Ufficialmente, non c’erano problemi e la cultura europea delle pin-up, che negli States furono antecedenti, appartiene a quel mondo. Certamente, il compendioso The Art of Pin-Up è il più com pleto e attento studio sul fenomeno. Sapendo cogliere quanto corre per l’aria, Diane Hanson, Sarahjane Blum e Louis K. Meisel (contitolare della apprezzata Meisel Gallery, di New York City) hanno compitato un casellario che ha dell’incredibile. A pagina intera (25x34cm), oppure concentrando le illustrazioni a tre/ quattro per pagina, i tre autori hanno classificato e presentano ben novecen to soggetti, suddivisi per i settanta autori presi in considerazione: quindici nel capitolo “preistorico” dell’Art Deco, a cui sono riservate quasi quaranta pagine; trentadue nel cor po vivo della monogra fia, che tratta il periodo che si estende dalla Se conda guerra mondiale agli anni Settanta, distri buito su circa duecento cinquanta pagine; venti tré nel capitolo finale, di circa cinquanta pagine, dedicato ai definiti “Ad ditional Artists”. Per gusto personale, so pra tutti sovrasta il leg gendario Gil Elvgren (19141980) -che illustra anche la copertina di questa mo nografia-, particolarmen te noto per aver travestito da improbabile cow-boy qualche arrapante smor fiosetta, che sta vivendo anche una fama postuma autonoma con raccolte antologiche e successi ve serie di card a tema.

MaurizioAngeloRebuzziniWunderKammer

l’estrapolazione dal proprio contesto ori ginario, per una panoramica giornalisti ca, risulterebbe equivoca ed estranea allo spirito e alle intenzioni dell’edizio ne libraria. Allo stesso momento, non riportiamo alcuna delle pin-up di Gil Elvgren, perché non è questo il passo che ci siamo preposti; al caso, volendolo fare, l’attuale ricerca in Rete è più che adatta a una energetica individuazione di tanti e tanti soggetti, perfino troppi. Ciò che in un certo senso -il nostroha distinto e qualificato la fotografia di Gil Elvgren, peraltro di qualità formale più che modesta, forse perché partico larmente indirizzata e finalizzata, è la sua azione con diapositive stereo. E qui vanno riprese note che abbiamo già avuto modo di riferire, a certificazio Ammiccano da qualche anno dalle etichette di bottiglie rigorosamente in vetro: otto pin-up fan no idealmente la guar dia alle altrettante bibite che compongono il cata logo di Abbondio (www. abbondio.it), la «premia tissima ditta» di bevande rinfrescanti fondata a Tor tona dal cavalier Angelo Abbondio, nel 1889. Un marchio che ha ripreso popolarità, in quanto vin tage : quindi, accattivante e spendibile sul mercato.

Come tutti i suoi compagni d’avven tura, anche lui ha agito soprattutto dal “vivo”, con la modella di turno davanti al proprio cavalletto da pittore; e mol te fotografie di scena lo testimoniano, per quanto non possono documentar lo senza i distinguo che definiscono l’azione fotografica nel proprio insie me. Allo stesso momento, ancora co me tutti i suoi compagni d’avventura, anche Gil Elvgren si è spesso avvalso di fotografie, che realizzava apposita mente. Per l’appunto, è questo il passo della monografia Gil Elvren’s Private Stock, che riunisce, ordina e raccoglie una sostanziosa quantità e qualità di sue fotografie di modelle in posa, ma teria prima per successive interpreta zioni in illustrazione.

dal 1947- fu ampiamente frequentata negli anni Cinquanta di questa foto grafia di Gil Elvgren (tra parentesi, ri cordiamo anche l’ottimo Stereo Realist Manual, di Willard D. Morgan e Hen ry M. Lester, pubblicato da[gli stessi] Morgan & Lester Publishers, nell’otto bre 1954; con postfazione dell’illustre Beaumont Newhall, ai tempi direttore della prestigiosa istituzione museale George Eastman House, di Rochester). Limitandoci al solo mondo dello star system hollywoodiano, certifichiamo per gli attori Humphrey Bogart, Cary Grant e Richard Burton e per il regista Alfred Hitchcock, tutti fotografati con Stereo Realist al collo o tra le mani. Quindi, so vrasta tutti la personalità dell’attore Ha rold Lloyd, icona del cinema muto, che fu anche presidente dell’associazione stereoscopica statunitense. La nipote Suzanne Lloyd Hayes ha curato due mo nografie di sue fotografie stereo: 3-D Hollywood, del 1992, e Nudes in 3-D, del 2004. Ancora, e poi basta, registriamo che tra il 1949 e il 1950 una intesa cam pagna pubblicitaria della Stereo Realist fu regolarmente pubblicata sui mensi li di riferimento National Geographic e American Photography Testimonial di richiamo, il regista Ce cil B. DeMille e gli attori Fred Astaire, Bob Hope e Ann Sothern. Dunque, registrata l’azione fotografi ca stereo di Gil Elvgren (effettivamente modesta), non c’è altro da aggiungere su questa vicenda. Soltanto, in accom pagnamento, segnaliamo la qualità del la confezione editoriale e redazionale dell’intrigante monografia Gil Elgren’s Private Stock, completa di coinvolgenti backstage dell’archivio fotografico in argomento, con i quali illustriamo. Sapori non dimenticati.

■ In presentazione della monografia Gil Elvgren’s Private Stock, non visua lizziamo alcuna fotogra fia realizzata dall’illustra tore, tra le tante impagi nate a testimonianza di un casellario esteso. Ci limitiamo alle suppellet tili della sua azione stre reo: dall’intelaiatura del le diapositive all’archivio dei telaietti. Chi volesse avvicinare i nudi di Gil El vgren si rivolga alla Rete. Oltre altre considerazio ni in demerito, comun que sia, da parte nostra, li consideriamo talmente brutti da essere impropo nibili. Il loro valore scar ta a lato considerazioni fotografiche mirate, per tenere unicamente con to dell’autore. Frivolo quanto è legittimo che debba essere, Shoot Sexy, di Ryan Armbrust, che sottotitola Fotogra fare pin-up nell’era digi tale, è un agile manuale illustrato che affronta la declinazione in termini fo tografici attuali di stilemi visivi ricondotti alla stagio ne delle pin-up: posture, cosmesi e sguardo com positivo rivolto indietro: Logos, 2012; 192 pagine 23,3x25,3cm; 20,00 euro. Nei fatti, reinterpreta zione di un classico sen za tempo, con modelle che posano con un lo ok rétro: languide pose e seducente biancheria intima. Divertente sen sualità vintage. Forse.

Archivio FOTOgraphia

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Soggetto esemplificativo per i nostri confronti in gradi di morbidezza va riabili (pagina accanto), i trucioli di ferro sono illumi nati frontalmente, e sono collocati immediatamente davanti a uno sfondo sa gomato retroilluminato.

Certifichiamo e confermiamo l’alto valore e il consistente senso del promosso, sostenuto e incoraggiato Ritorno al grande formato, che sta per affrontare il proprio iter di incontri e riflessioni. Qui e oggi affrontiamo un’ipotesi di recupero di disegni ottici particolari, declinati in chiave fotografica inviolabilmente attuale. Esaminiamo il fantastico Rodenstock Imagon, che ha attra versato mille stagioni e concluso la propria attualità tecnico-commerciale in tempi ragionevol mente recenti, alla fine degli anni Novanta del Novecento. Nota tecnica: ideato all’inizio degli anni Trenta del Novecento, il Rodenstock Imagon è un obiettivo a fuoco morbido: pertinente controllo di una accattivante sfocatura fotografica sovrapposta a una immagine nitida centrale

BordoniAntonio GalantiniAngelo

DI

sato (anche remoto), si hanno a disposi zione considerevoli quantità e qualità di obiettivi, tra i quali si possono addirittura individuare quelli del passato soprattut to remoto, in tempi di affascinanti inter pretazioni ottiche: diciamo, almeno pri ma metà del Novecento.

Qui in una versione le, nella focale 250mm H=5,8 su otturatore trale Copal 3, stock Imagon è stato un obiettivo realizzato in lunghezze focali adatte alla fotografia medio formato e in fo cali per grande formato 4x5 pollici (10,2x12,7cm), 13x18cm e 8x10 (20,4x25,4cm). L’originalità del suo pro getto -che equivale all’o riginalità delle riprese che consente di effettuareconsiste nell’impiegare diaframmi selettori valori progressivi 7,7, H=7,7-9,5 e che permettono di go vernare l’effetto di mor bidezza dell’immagine. 60 di Antonio Bordoni Per il proposto Ritorno al grande forma to, prospettato e incoraggiato da perso nalità competenti in materia, con scom

MORBIDEZZASEIGRADI

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▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con dia framma selettore H=7,79,5 chiuso (H=9,5);

Comparazione diretta tra diversi gradi di morbidezza ottenuti nella medesima situazione fotografica con un Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 di ultima generazione (su otturatore centrale Copal 3; numero di matricola 10.302.193, del 1981; sulla pagina accanto). Il set è stato allestito con il soggetto in primo piano -trucioli di ferro illumina ti frontalmente- collocato davanti a una retroillumi nazione colorata (pagina accanto). L’alternanza dei toni e degli sfondi visua lizza il senso di sfocatura sovrapposto alla nitidez za di base. Per la corretta esposizione con le singole aperture relative -pronta mente indicate-, di volta in volta, è stata variata la potenza dei flash elettro nici di illuminazione. In sequenza di lettura, da alto, a sinistra: ▶ Rodenstock Apo-Siro nar-N 240mm f/5,6 a f/22 (situazione base); ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 senza dia framma selettore; ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con dia framma selettore H=5,87,7 aperto (H=5,8);

(8)BordoniAntonio

▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con dia framma selettore H=5,87,7 chiuso (H=7,7);

▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con dia framma selettore H=9,511,5 aperto (H=9,5); ▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con dia framma selettore H=9,511,5 chiuso (H=11,5). Situazione base: Rodenstock Apo-Sironar-N 240mm f/5,6 a f/22. Condizione di partenza: Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 senza diaframmaselettore

▶ Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con dia framma selettore H=7,79,5 aperto (H=7,7);

. Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=5,8-7,7 aperto (H=5,8). Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=5,8-7,7 chiuso (H=7,7). Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,7-9,5 aperto (H=7,7). Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,7-9,5 chiuso (H=9,5). Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=9,5-11,5 aperto (H=9,5). Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=9,5-11,5 chiuso (H=11,5).

Tra gli obiettivi particolari del passato, la fotografia grande formato propone e offre anche il fantastico Rodenstock Imagon. Evoluzione dell’originario Ima gonal, disegnato da Franz Coblitz, nel 1906, il progetto ottico del Rodenstock Imagon è attribuito al fotografo pittoria lista tedesco Heinrich Kuehn (o Heinri ch Kühn, nato Carl Christian Kühn; 18661944), esponente del pittorialismo di ini zio Novecento, membro dell’aristocratico Vienna Kamera-Club e della autorevole confraternita inglese The Linked Ring Firmato dall’ingegner Franz Staeble, il disegno ottico del Rodenstock Imagon (due lenti accoppiate in un unico grup po) è datato al 1928, con relativa produ zione dal successivo 1931. Sempre completo di diaframmi selettori (“H”, da Helligkeit, ovverosia luminosità), per immagini a sfocatura periferica dif ferenziata, sovrapposta a una immagine centrale nitida, l’Imagon è stato realizza to in lunghezze focali dal 120mm [altre fonti, esordiscono al 170mm] al 480mm, per la copertura di formati fotografici fi no 24x30cm (con attenzioni).

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▶ Imagon 250mm H=5,8 su otturatore centrale Copal 3, con tre selettori variabili H=5,8-7,7, H=7,7-9,5 e H=9,5-11,5, filtro grigio neutro 4x e paraluce. Ovviamente, a partire dalle origini del disegno ottico Rodenstock Imagon [Rodenstock-Tiefenbildner / Creatore di profondità], esordito nel 1928 / 1931, si sono registrate altre configurazioni, finiture e dotazio ni. Tra tanto possibile, queste quattro visualizzazioni assolvono bene il proprio dovere di informazione e indirizzo. E quattro Imagon storici e diversi, tutti insieme (!), più un quinto (a pagina 65), sono autentica rarità. Ne siamo più che certi. Rarità da apprezzare... e ammirare (?).

Confezioni originali di vendita degli obietti vi Rodenstock Imagon 250mm H : 5,8 su ottura tore centrale Compound e 300mm H=5,8 sovrainci so “Sinar” su piastra porta ottica della Norma degli anni Cinquanta-Sessanta.

▶ Imagon 250mm H : 5,8 su otturatore Compound, con tre selet tori variabili H : 5,8-7,7, H : 7,7-9,5 e H : 9,5-11,5, paraluce e filtro giallo 2x (testimone di un concetto di fotografia soprattutto bianconero).

HEINRICH KUEHN FOTOGRAFO Per entrare nello spirito di un tempo nel quale l’ottica fotografica si è espressa con interpretazioni di alta personalità, non soltanto formale, bisogna trascurare per un attimo l’attualità delle configurazioni dei nostri giorni, indirizzate a una mas sima qualità complessiva e riassuntiva, quantificata in espressioni assolute di nitidezza, contrasto e definizione. Il passato remoto della progettazione fo tografica è stato diverso. Evocazioni come Petzval, Dallmeyer, Wide Ektar, Apo-Lan thar, Heliar, Hypergon, Apo-Skopar, Tes sar, Sonnar, Distagon e Imagon -per l’ap punto-, risalenti all’inizio del Novecento, richiamano il sapore della prima tecno logia dell’immagine fotografica (e arti stica). Dunque, per entrare nello spirito dell’obiettivo a fuoco morbido, interpre tato dal Rodenstock Imagon oggi pro tagonista, bisogna indugiare sulla per sonalità del suo ideatore. Come appena accennato, il tedesco Heinrich Kuehn (o Heinrich Kühn), al quale si attribuisce l’idea originaria, è stato un fotografo pittorialista dei primi decenni del Novecento. Ancora in ripe tizione, membro dell’aristocratico Vien na Kamera-Club, aderì con ardore alla The Brotherhood of the Linked Ring, la confraternita fondata, nel maggio 1892, da un gruppo dissidente dalla statica Royal Photographic Society, tra i quali spiccava la personalità dell’ormai anzia no Henry Peach Robinson (1830-1901).

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Versioni del Rodenstock Imagon distribuite nei decenni: 25cm H : 5,4 (numero di matricola 494.781 [presumibilmente del 1931, di origine!: 400.000, nel 1930], con set di cinque selettori H fissi); 250mm H : 5,8 (su otturatore centrale Compound; numero di matricola 2.320.518, dei pri mi anni Cinquanta [2.000.000, nel 1945, e 2.500.000, nel 1952], con set di tre diaframmi selettori H a doppia posizione, filtro giallo 2x e paraluce); 300mm H=5,8 (sovramarcato “Sinar”; numero di matricola 5.879.509 [1965?: 6.000.000, nel 1966], con set di tre diaframmi selettori H a doppia posizione, filtro ND 4x e paraluce); 250mm H=5,8 (su otturatore centrale Copal 3; numero di matricola 10.302.193 [1981!: 10.300.000, nel 1981], con set di tre diaframmi selettori “H” a doppia posizione, filtro ND 4x e paraluce). In ordine progressivo (e cronologico), dalla versione/configurazione più antica a quella finale, illustriamo la serie storica di questi Rodenstock Imagon [Rodenstock-Tiefenbildner / Creatore di profondità] raccolti, con servati e custoditi nella WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini, ai quali si aggiunga il più lungo / estremo 420mm H : 5,8 (numero di matri cola 2.379.568 dei primi anni Cinquanta), visualizzato da sé, a pagina 65.

▶ Imagon 300mm H=5,8 sovramarcato “Sinar”, con tre selettori varia bili H=5,8-7,7, H=7,7-9,5 e H=9,5-11,5, filtro grigio neutro 4x e paraluce.

▶ Imagon 25cm H : 5,4 delle origini, con cinque selettori a regolazio ne fissa: H : 5,4, H : 6,8, H : 7,9, H : 11 e H : 14.

Sue mostre sono state allestite sia in Germania, sia in tutta l’Europa; e qualcu no riferisce addirittura di un passaggio all’Esposizione Internazionale di Mila no, del 1906, dove e quando il suo lavo ro sarebbe stato notato dal leggenda rio Alfred Stieglitz (?!), che nel gennaio 1911 lo pubblicò sul numero Trentatré dell’autorevole Camera Work (1906-1911: cinque anni per decidersi erano tanti anche allora; per cui, la storiella mila nese parrebbe proprio una storiella, e niente di più, né diverso).

Le testimonianze concrete sulla pa rabola fotografica di Heinrich Kuehn / Kühn si concretizzano in questa pub blicazione, ricordata anche in un paio di monografie dedicate all’esperienza culturale del quadrimestrale fondato e diretto da Alfred Stieglitz, dal 1903 al 1917: rispettivamente, Camera Work, del la collana Photo Poche (Parigi, 1984), e Camera Work - A Pictorial Guide (Dover Publications; New York, 1978).

Certamente, non si è mai trattato di uno dei prodotti primari della fotogra fia, e neppure è uno degli obiettivi più usati nell’ambito della ripresa in grande In altro ordine, rispetto la precedente comparazio ne progressiva, da H=5,8 aperto a H=9,5 chiuso, quindi H=11,5, riportata a pagina 61, accostiamo e confrontiamo come, nella medesima situazione fo tografica, i gradi di morbi dezza ottenuti con un Ro denstock Imagon 250mm H=5,8 varino in relazione alle rispettive aperture di diaframma “H”, nel caso in cui si tratti di un selet tore aperto o chiuso. Per esempio, per quanto il valore H=7,7 sia l’apertu ra massima con il proprio selettore aperto, è anche l’apertura minima con il selettore H=5,8 chiuso. Il selettore H=7,7 aperto pro duce una immagine dai profili diffusi. Con il selet tore H=5,8 chiuso, si ot tiene una sfocatura assai diversa. E lo stesso dicasi per le equivalenze H=9,5 aperto o chiuso. Basta così! Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=5,8-7,7 chiuso (H=7,7) Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,7-9,5 aperto (H=7,7) Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=7,7-9,5 chiuso (H=9,5) Rodenstock Imagon 250mm H=5,8 con diaframma selettore H=9,5-11,5 aperto (H=9,5) Schematizzazione del la combinazione dell’o biettivo a fuoco morbi do Rodenstock Imagon con i propri diaframmi selettori “H” / Helligkeit (ed eventuali filtro gial lo o ND e paraluce): da Linhof Praxis, del 1959.

(4)BordoniAntonio

Autore decisamente poco noto, tan to da non apparire in alcuna delle storie della fotografia più accreditate, e tan tomeno in quelle di levatura inferiore, Heinrich Kuehn / Kühn sopravvive alla propria effimera personalità fotografica per la sua intuizione tecnica che ha dato vita a generazioni successive del disegno ottico Rodenstock Imagon. Anche se alla fine degli anni Venti del Novecento, gli obiettivi a fuoco morbi do erano già ampiamente noti, e veni vano realizzati in infinite varianti [tra le quali, il Cooke Portrait Anastigmat IIE 123/4 inch (325mm) f/4,5 Soft Focus, se gnalatoci da Alessandro Mariconti; su questo stesso numero, da pagina 20], Heinrich Kuehn / Kühn ipotizzò una so luzione prontamente calcolata dal pro fessor Franz Staeble, uno degli ottici del qualificato staff Rodenstock dell’epoca. Il progetto Rodenstock Imagon è pas sato indenne attraverso i decenni, fino alla fine degli anni Novanta, quando era ancora presente nel catalogo della pro duzione ottica di Monaco, cadenzato in lungo e largo, e nel listino del suo rap presentante italiano (Mafer, di Milano).

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Alternativamente realizzate da Angelo Galantini e Anto nio Bordoni, fotografie scattate con Fujifilm X-E1, monta ta sul corpo posteriore di una Sinar Norma 4x5 pollici (del 1955) tramite anello stringiobiettivo RBM, già BRM (Romualdo Brandazzi, di Milano; degli anni Trenta... Cinquanta), e anello adattatore Quenox Nikon, su colonna Fatif (anni Sessanta).

Il tutto, e sempre: con obiettivo Rodenstock Imagon 300mm H=5,8, con selettore H=9,5-11,5 aperto (dunque, H=9,5) [sovramar cato “Sinar”; numero di matricola 5.879.509, databile al 1965]. Alla conclusione, Perché farlo? Risposta Perché no? Con obiettivo Rodenstock Imagon 300mm H=5,8, con selettore H=9,511,5 aperto, indirizzato sul sensore di una Fujifilm X-E1 al corpo posteriore di un banco ottico Sinar Norma 4x5 pollici: Fujifilm X-E2, con foro ste nopeico calibrato Avenon P.H. Air Lens, mirino Silvestri 58mm, scatto flessibile Kodak Metal Cable e impugnatura M-Grip; Fujifilm X-Pro 1,

A cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, una serie di annunci coordinati Fujifilm, pubblicati sulla rivista, ha decli nato una garbata ipotesi (specificata): «La forma per il con tenuto. Combinazioni fantasiose di macchine fotografiche Fujifilm X, tra oggi (domani) e ieri, in doppia interpretazione NewOld ». Di fatto, avvincenti (e convincenti?) presentazioni del sistema fotografico Fujifilm X, in pertinente equilibrio tra prestazioni tecniche di profilo alto e design ereditato dalla lunga e nobile storia evolutiva della tecnologia fotografica. Tre soggetti NewOld, ovvero oggi (domani) e ieri: Fujifilm X-Pro 1, con Leitz Summicron 5cm f/2 (tramite anello adatta tore M Mount Adaptor), mirino Zeiss Ikon 440 (multifocale a torretta, da 21mm a 135mm), aggiuntivo Beep al pulsante di scatto, borsa artigianale di cuoio realizzata da Angelo Porta, di Milano, e cinghia in cuoio Ona Field Tan; Fujifilm X-E2, con foro stenopeico calibrato Avenon P.H. Air Lens in baionetta Leica M (tramite anello adattatore M Mount Adaptor), mirino Silvestri 58mm (dal 6x9cm, equivalente all’inquadratura 28mm sul sensore X-Trans Cmos II / APS-C), scatto flessibile Kodak Metal Cable e impugnatura M-Grip; Fujifilm X-T1, con Mir-20, grandangolare estremo 20mm f/3,5 di produzione sovietica (dal 1972), tramite anello adattatore K e ulteriore raccordo al la vite 42x1, slitta flash doppia Voigtländer e flash Ferrania Microlampo alimentato a batteria (dal 1957), per bulbi FB 1b.

(2)GalantiniAngeloBordoniAntonio

COMBINAZIONE

64 UN IMAGON (300mm H 5,8) IN BELLA

65 formato, che per il proprio solito ha pre ferito esprimersi con altri disegni ottici: standard, apocromatici, standard ad an golo di campo allargato e grandangolari. Però, l’Imagon ha sempre rappresentato una apprezzata e palpitante testimonian za di un’epoca durante la quale, invece dell’ordinario livellamento delle presta zioni -sia pure di alto livello qualitativo, quali sono quelle degli obiettivi odierni-, si respirava un clima di vivaci interpre tazioni di grandi personalità estetiche.

MaurizioAngeloRebuzziniWunderKammer

BordoniAntonio

Il grado dell’aberrazione sferica dipen de dall’apertura del diaframma: è mas sima a diaframma aperto e si riduce, ovverosia corregge, man mano che il diaframma viene chiuso. Contempora neamente, si sposta anche il piano del la messa a fuoco più nitida; ragion per cui, la focheggiatura dell’Imagon deve essere sempre regolata all’apertura al la quale verrà poi utilizzato.

MORBIDEZZA VARIABILE La serie di diaframmi selettori in dota zione permette di governare la qualità dell’immagine. Ed è questa l’originalità delle fotografie eseguite con il Roden stock Imagon, presa a modello anche da altri produttori: diverse immagini a sfocatura differenziata si sovrappongo no a una immagine centrale nitida. Per i propri diaframmi selettori, Roden stock ha adottato i cosiddetti valori “H” (da Helligkeit, ovvero luminosità), che in dicano una apertura relativa equivalen Antico Rodenstock Ima gon 420mm H : 5,8. Il suo numero di matrico la 2.379.568 consente di datarlo ai primi anni Cin quanta del Novecento: 2.000.000, nel 1945, e 2.500.000, nel 1952. In dotazione, diaframmi selettori “H” / Helligkeit H : 5,8-7,7, H : 7,7-9,5, H : 9,5-11,5, filtro giallo 2x e paraluce. Ufficialmente certificato per la coper tura del grande formato 24x30cm, pensiamo che non possa andare effica cemente oltre l’8x10 pol lici (20,4x25,4cm). In ogni caso, rara prezio sità antiquaria merite vole di un proprio Ritor no ; magari, perfino con sensori ad acquisizione digitale di immagini. (in alto, a sinistra) Rispet to l’aridità soltanto tec nologica dei nostri giorni -densa di pixel, acronimi, cifre altisonanti e vuoto-, la depliantistica fotogra fica dei decenni trascorsi è stata preziosa fonte di informazione e istruzio ne d’uso (volendola vede re anche così: su questo stesso numero, a pagina 8, è riportata una rifles sione al proposito).

BASE TECNICA Da tempo abbandonate le focali supe riori (e WunderKammer MaurizioAnge loRebuzzini conserva un raro e prezioso 420mm H : 5,8), fino alla fine dei pro pri giorni disponibile nelle lunghezze focali 120 e 150mm, in montatura nor male, e 200, 250 e 300mm, in monta tura normale e su otturatore centrale Copal, Compur oppure Prontor Profes sional -efficacemente presenti negli at tuali canali commerciali di retrovisio ne fotografica-, il Rodenstock Imagon è un obiettivo definito “speciale” perché non offre prestazioni fotografiche di ti po standardizzato. Nel disegno ottico acromatico di due lenti accoppiate in un unico gruppo, un controllato residuo di aberrazione sferica si combina con particolari diaframmi selettori che per mettono di governare (almeno sei) gradi di morbidezza variabili della fotografia. Concepito per essere uno strumento adatto alla scuola impressionistica, che voleva andare oltre la pura e semplice raffigurazione dei soggetti, l’Imagon ha finito per superare le mode estetiche, fino ad affermarsi come elemento di unione di molteplici linguaggi creativi della foto grafia. A differenza dei semplici obiettivi a menisco, e dei più elementari disposi tivi per l’alterazione del percorso ottico, il versatile Rodenstock Imagon combi na assieme la brillantezza dell’immagine con una impagabile luminosità, la per tinente definizione del soggetto con il fascino dei contorni morbidi. Alla resa dei conti, il Rodenstock Ima gon produce consistenze variabili di im magine. Non è propriamente un sem plice (e solo) obiettivo morbido, perché può essere diretto anche verso la più al ta definizione dei toni e dei cromatismi della ripresa. Il suo residuo di aberrazio ne sferica equivale a una non determi nazione della messa a fuoco, condizio nata dalla proiezione dei raggi periferici su un piano (focale) diverso da quello sul quale si raccolgono i raggi centrali.

Combinazione sempre applicata, sia sulla mon tatura degli obiettivi, sia in depliantistica, la dizio ne Tiefenbildner è stata considerata discriminan te per la definizione dei valori e delle qualità del disegno ottico Roden stock Imagon, nei suoi anni di partenza. Con il termine tedesco Tiefenbildner si intende Creatore di profondità Per certi versi, questa potrebbe apparire co me certificazione diver sa dalle considerazioni di gradi di ununrealtà,interventosottolineatimorbidezzanell’attualeredazionale.Insottolineainvecediversopuntodivista,differenteapproccio estetico: non ci esprimia mo sulle relative scuo le di pensiero. Soltanto, facciamo notare come e quanto, nell’attualità originaria dell’Imagon, fu necessario distinguerlo dagli obiettivi solo Soft Focus (quale il Cooke pre sentato su questo stesso numero, da pagina 20). Invece, oggi, in assenza di altri riferimenti, la per sonalità di fuoco morbido diventa imperante, tanto da aver guidato il passo della nostra relazione tra giornalismo e tecnica.

(5)MaurizioAngeloRebuzziniWunderKammer

66 te al diaframma Imagon utilizzato. Nella sua configurazione tecnico-commercia le più recente (che è poi quella che ab biamo utilizzato per le nostre compara zioni, nella focale 250mm su otturatore centrale Copal 3), l’obiettivo è stato con fezionato con un corredo di tre diafram mi selettori variabili, ciascuno definito da un particolare diametro dell’apertu ra centrale, combinata con conseguenti aperture periferiche: dalla focale 150mm alla focale 250mm, da H=5,8 a H=7,7, da H=7,7 a H=9,5 e da H=9,5 a H=11,5; la foca le 120mm, da H=4,5 e la focale 300mm, nella sua più recente configurazione, da H=6,8 (versioni precedenti della focale Imagon 300mm furono qualificate dal la luminosità relativa H=5,8). Ciò significa che una regolazione H=5,8 equivale all’analoga apertura f/5,8 dell’o biettivo. Indipendentemente da altre considerazioni ottiche, che non debbo no distrarre l’attenzione dall’esercizio della fotografia, ciascuno tenga conto che i valori “H” funzionano esattamen te come i corrispondenti valori tradi zionali di diaframma. Soprattutto per questo, la stessa confezione di vendita dell’obiettivo ha compreso anche un filtro grigio neutro 4x, che consente di gestire la luminosità che raggiunge la pellicola (il sensore), senza dover di pendere soltanto dalla regolazione “H” che determina e condiziona la morbi dezzaAll’aperturadell’immagine.massima H=4,5, H=5,8 e H=6,8, e ancor più con l’Imagon usa to senza iride, si ottiene una fotografia di alta morbidezza, confrontabile con quella di un obiettivo a menisco. All’al tro estremo, all’apertura minima H=11,5, si ha una ripresa paragonabile a quella di un obiettivo anastigmatico; cioè, l’im magine risulta soltanto lievemente al di sotto della nitidezza solitamente fornita dagli obiettivi moderni.

PERSONALITÀ Ma la funzione principale del diaframma selettore “H” -quella per la quale è stato calcolato e messo a punto il disegno ot tico- è la gestione di immagini dal tem peramento controllatamente variabile.

Nell’uso, il talentuoso Rodenstock Ima gon impone attenzioni diverse da quelle solite degli obiettivi a correzione totale.

Sulla base di un effetto chiaro e ben definito, si sovrappongono diversi gradi di morbidezza (almeno sei di base, co me evocato e richiamato dal nostro ti tolo, più infinite sfumature intermedie), risultanti da una luce graduata tramite la calibrata serie di diaframmi periferici perforati, regolabili entro gli intervalli co dificati da ciascun diaframma selettore in dotazione: selettore aperto, selettore chiuso, oppure posizioni intermedie [ac costamenti esemplificativi a pagina 61]. Come abbiamo già accennato, l’apertu ra centrale dei singoli diaframmi selet tori “H” determina la nitidezza del nu cleo centrale dell’immagine e favorisce una profondità di definizione -comun que sia- relativamente elevata; mentre le aperture periferiche regolano l’effetto di morbidezza dell’immagine. Con le singole focali Rodenstock Ima gon, le rispettive aperture massime H=4,5, H=5,8 e H=6,8 producono aloni estrema mente ampi, su un nucleo di immagine leggermente meno distinto e con mo derata profondità. Da qui, si procede per gradi fino alla profondità massima e a profili chiarissimi con una leggera diffu sione, propri e caratteristici delle aperture inferiori: H=7,7 e H=9,5 (a selettori aperti).

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Dalla niMaurizioAngeloRebuzziWunderKammer , isoliamo e proponia mo una differenziata se rie e quantità di dépliant di presentazione e com mento dell’obiettivo Ro denstock Imagon, oggi sotto le luci della ribalta. Distribuiti negli anni, e perfino nei decenni, questi opuscoli rivelano anche la trasformazione grafica nel Tempo, nel momento stesso in cui evidenziano modi e stili di comunicazione invio labilmente vincolati ai ri spettivi Tempi... ancora. In particolare, quantomeno per quanto riguarda l’I talia, risulta affascinante anche la relativa combi nazione commerciale. Ne abbiamo scritto in tante occasioni precedenti, ma la ripetizione si impone: ci sono stati periodi (d’oro?) durante i quali la “lette ratura” tecnica realizzata e proposta da distribu tori nazionali ha svolto un consistente ruolo di istruzione pratica e solle citazione culturale. Non a caso, concludiamo la vetrina con una facciata da un dépliant accredi tato a Mafer, di Milano, distributore Rodenstock (e Sinar e Broncolor e De Vere e Paterson e... e...).

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Per esempio, date le proprie caratteri stiche particolari, l’Imagon deve essere messo a fuoco all’apertura alla quale si intende esporre il fotogramma (o il file di acquisizione digitale); inoltre, ciascuno si deve abituare a una zona centrale di nitidezza, invece che a un piano comple to e complessivo di messa a fuoco preci sa. È altresì necessario familiarizzare con l’immagine che si forma sul vetro smeri gliato, prodotta dai raggi periferici; cioè, bisogna imparare a valutare l’effetto della corrispondente sub-immagine nebulosa nella fotografia finita e definitiva. Infine, si deve anche tener conto dell’ingrandi mento definitivo, rispetto la “matrice” di partenza: un alone di un millimetro in ripresa aumenta in proporzione diretta all’ingrandimento del negativo o della diapositiva originari (oppure, oggi, del file acquisito digitalmente). NELL’USO

Per quanto il valore “H” (Helligkeit) indichi una apertura relativa equivalente al dia framma, bisogna considerare anche la sezione periferica del diaframma seletto re del Rodenstock Imagon. Per esempio, per quanto il valore H=7,7 sia l’apertura massima con il proprio selettore aperto, dall’altro lato, è anche l’apertura minima con il selettore H=5,8 (o H=6,8 o H=4,5) chiuso. Nel primo caso -selettore H=7,7 aperto-, si ottiene una immagine tipi camente soft, dai profili morbidamente diffusi; nel secondo caso -selettore H=5,8, H=4,5 o H=6,8 chiuso-, si acquisisce una sfocatura diversa, e lo stesso dicasi per il valore H=9,5, aperto e chiuso [compara zioni esplicative a pagina 63]. Tutto questo quantifica l’apporto reale e concreto delle aperture periferiche. Nei casi ipotizzati, la stessa quantità di luce è stata rispettivamente divisa tra il cen tro e i bordi (primo caso: selettore H=7,7 aperto) e concentrata nella sola apertura centrale maggiore (secondo caso: selet tore H=5,8, H=4,5 o H=6,8 chiuso al valore H=7,7); e la stessa condizione si estende alla luminosità H=9,5, da aperta a chiusa. Mentre svolge la propria attività di obiettivo a fuoco morbido controllato, con effetto sovrapposto a una nitidezza di base, il Rodenstock Imagon manife sta anche doti di elevata profondità di campo. Questo è dovuto a due fattori. Da un lato, l’aberrazione sferica residua comporta una lunghezza focale non pre cisamente definita, con una corrispon dente area di nitidezza oggettivamente estesa. Dopo di che, la definizione ridot ta dell’immagine permette di conside rare accettabilmente nitide porzioni del soggetto estese per piani susseguenti. Erroneamente riferita soprattutto al ritratto, la fotografia controllatamente morbida soddisfa invece una vasta se rie di applicazioni fotografiche. Non ci riferiamo tanto all’antico “flou artistico” -celebrato da testi del passato remoto (tra i quali collochiamo L’obbiettivo fo tografico, di Armando Albert, del 1931, e Il Ritratto Fotografico / Arte - TecnicaModelli, del professor Rodolfo Namias, del 1934)-, quanto pensiamo alla foto grafia quotidiana, soprattutto al Ritor no al grande formato, proposto e sol lecitato da chi di dovere, che si indirizza verso sbocchi estetici sistematicamente nuovi... anche se periodicamente riciclati. In questo senso, il Rodenstock Ima gon offre tutte le possibilità lessicali che derivano da una contenuta ricchezza di dettagli e da una definizione variabile: una strada dagli sbocchi infiniti. Proprio tali: infiniti.

Su questo stesso nume ro della rivista (di che al tro, casomai), in veste di redattore, il nostro diret tore Maurizio Rebuzzini presenta l’imponente mostra antologica di Ferdinando Scianna, allestita nelle presti giose sale del Palazzo Reale, di Milano, preci sando subito, in avvio di Pensiero, l’incontro con una di due perso nalità fotografiche ita liane capaci di riflettere in profondità sulla ma teria... con tonofiduedocognizionepertinentedicausa.Testuale:«FerdinanSciannaèunodeiautorevolifotograitalianichemimetindifficoltà.[...]

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Di questo si tratta: en trambi questi fotografi -e tutti e due agiscono nell’ambito di quello che si usa identificare, ma non certo circoscrivere, fotogiornalismo- sono tanto potenti e accredi tati interpreti della Vi ta nel proprio svolgersi, quanto eccellenti scrit tori di e per la Fotogra fia. Non la loro fotogra fia, quanto giusto la Fo tografia, nelle proprie innumerevoli sinuosità di linguaggio e utiliz zo e finalità e, perché no, compromessi e condizionamenti. E non è ancora tutto! Entrambi questi fo tografi-scrittori sono anche avvincenti, convincenti e affascinanti oratori. Già ognuna per se stessa, le tre personali tà sono prestigiose... figuriamoci quan do le incontriamo in due sole persone. Ferdinando Scianna è una delle due». L’altra, in parità, è Uliano Lucas. Anche qui, come nel caso di Ferdinan do Scianna -con solo ri ferimento alla mostra in allestimento e pro gramma-, per nostro costume (asciutto), non ci allunghia mo a raccontare chi sia Uliano Lucas: chi lo sa, non ha bisogno di ulteriori parole, che -per circostanza- dovreb bero essere retoriche, ovvero vuote e stoppose; chi non lo sa, sono fatti suoi, e non nostri, e non intendiamo colma re alcun vuoto conoscitivo, tantomeno qui, quantomeno da queste pagine. Però, e allo stesso momento, in intenzione di s-punto privilegiato di osservazione, la Fo tografia, qualsiasi Foto grafia (!), sia fonte e op portunità di riflessioni individuali, di curiosità. Insieme con Uliano Lu cas, la sorgente è ad dirittura doppia, alme no doppia, comprensiva come è di una sostan ziosa sezione bibliogra fica (nostra predilezio ne individuale, ma non c’entra nulla!; addirit tura, meno di nulla!). Dal fantastico e av vincente cilindro della bibliografia di testi di Uliano Lucas, comple mentare a quella delle sue monografie d’au tore-fotografo, estraia mo una autentica per la, tra le tante che sono a disposizione. Che ri presentiamo qui e ora, dopo averla commen tata in propria cronaca. Premessa d’obbligo. Almeno tre sono le con dizioni in base alle qua li è legittimo esprimer si, ovunque e a ogni ti tolo si intenda farlo e a qualsivoglia pubblico ci si voglia indirizzare. Uno: avere competenza del la materia proposta e, per diretta conseguenza, trattata. Due: avere la capacità di farlo, nel senso di possedere e padroneggia re i termini di dialogo e comunicazione adatti a raggiungere il proprio destinata rio, qualsiasi questo sia e in ogni condi zione nella quale vi si indirizza. Tre: avere, soprattutto, la voglia di farlo. E qui, a guardare bene, sta l’autentica discriminante di tutto, non soltanto di molto: il desiderio (l’a spirazione?) di non te nere per sé soltanto le proprie riflessioni, consi derazioni e competen ze, ma l’aspirazione (il

/ RIVELIAMOLO / di Angelo Galantini L’ALTRO È!

La realtà e lo sguardo - Storia del fotogiornalismo in Italia, di Uliano Lucas e Ta tiana Agliani; Giulio Einaudi Editore, 2015; 600 pagine 14,5x22,5cm; cartonato con sovraccoperta; 42,00 euro. Se vogliamo vederla così: testo più che fondamentale.

Ammesso che... ■ ■

Nota Tatiana Agliani, figlia d’arte, studiosa di comunicazione visi va, si è formata all’università Ca’ Foscari, di Venezia, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in Civiltà dell’India e dell’A sia orientale. Ha scritto saggi e curato libri sulla fotografia e il fotogiornalismo italiani, tra i quali La famiglia italiana nei rotocalchi, in L’Italia del Novecento. Le fotografie e la storia III (2006) e L’arte della vita è di scena al Jamaica, in Jamaica Arte e vita nel cuore di Brera (2012). Uliano Lucas, tra i maggiori fotogiornalisti italiani, è autore di consistenti progetti di studio e ricerca sul sistema dell’in formazione e sulla storia del fotogiornalismo. Menzioniamo la collana Il fatto, la foto, di Idea Editions, e i volumi L’informa zione negata (1981), Storia fotografica del lavoro in Italia (1982), Film: la storia, le immagini (1994), Fotoreporter italiani nell’ex Jugoslavia (1996), Carla Cerati: Milano 1960-1970 (1997). Insieme, Uliano Lucas e Tatiana Agliani hanno lavorato a diverse pubblicazioni, tra le quali corre l’obbligo ricorda re Storia d’Italia. L’immagine fotografica 1945-2000 (2004), Il fotogiornalismo in Italia. Linee di tendenza e percorsi 19452005 (2005), Pablo Volta. La Sardegna come l’Odissea (2007), Federico Garolla. In scena e fuori scena (2008), ’68. Un anno di confine (2008) e È un meridionale però ha voglia di lavorare (con Giorgio Bigatti; 2011).

69 desiderio?) di condivisione ed ester nazione a tutto campo, senza alcuna avarizia, senza nessuna remora. Se così è, come siamo convinti che sia (ma non è il caso di andare oltre, in approfondimento: quantomeno, non qui e non ora), Uliano Lucas e Tatiana Agliani, che insieme hanno già firma to nobili pagine di racconti e relazioni sul fotogiornalismo in Italia, oltre che sull’impianto più generale della comu nicazione visiva [in Nota], possiedono e rivelano le tre condizioni conseguenti: hanno competenza della materia pro posta e, per diretta conseguenza, trat tata; possiedono e padroneggiano i ter mini di dialogo e comunicazione adatti a raggiungere il proprio destinatario; e, soprattutto, hanno voglia di farlo. Da cui, la loro Storia del fotogiornalismo in Italia, sottotitolo esplicativo dell’ottimo saggio La realtà e lo sguardo, pubbli cato da Einaudi a fine Duemilaquindi ci, si offre e propone come opera fon dante per definire e identificare una sequenza di fatti (e misfatti) che hanno scandito i termini della fotografia ap plicata e subordinata all’informazione giornalistica nel nostro paese. Rispetto altre considerazioni sulla Fo tografia, per le quali abbiamo oggi a di sposizione una infinita quantità di testi (magari, lo stesso non possiamo conteg giare in qualità), l’analisi di Uliano Lucas e Tatiana Agliani ha il merito e valore della concretezza. Nonostante il titolo del loro saggio sia in qualche misura “evocativo”, La realtà e lo sguardo, la trattazione è rigorosamente consistente e “materiale”: per l’appunto, Storia del fotogiornalismo in Italia. Ovverosia, non ci si perde in considerazioni estetiche e teoriche, ma si percorre un tragitto so lido e certificato, scandito da momenti sociali influenti sullo svolgimento delle esistenze: qualsiasi cosa questo possa significare per ciascuno di noi. La risposta che arriva dalle pagine dell’avvincente e convincente testo-sag gio assolve una delle condizioni che consideriamo discriminanti per l’inte ro cammino della Fotografia che non rimane nei cassetti, che non allestisce soltanto mostre, che non vola sopra le teste, senza sfiorare nulla e nessuno. La risposta è pertinente e indiscutibile: co me e quanto, e per quanto, la Fotogra fia abbia influito (e influisca) sulla Vita. Infatti, e in definitiva, bisogna essere consapevoli che il sistema del giornali smo, al quale la fotografia offre il proprio linguaggio fotogiornalistico, è quello che -insieme ad altri, sia chiaro- declina idee e opinioni che formano le coscienze. E di questo, del valore sociale della fotogra fia di giornalismo, sono perfettamente consapevoli i due autori, Uliano Lucas e Tatiana Agliani, che hanno scandito passi consequenziali di una vicenda dai connotati noti e dal dietro-le-quinte da decifrare e D’accordocodificare.omenocon le opinioni che vengono espresse -a ciascuno, le pro prie considerazioni al proposito-, non si può soprassedere sull’autorevole valore assoluto e inviolabile dell’apparato alle stito. Passo a passo, Uliano Lucas e Ta tiana Agliani percorrono la vicenda del fotogiornalismo in Italia, con contestua lizzazioni sociali che hanno identificato e definito lo scorrere degli anni e dei de cenni. In un tragitto anche cronologico, finalizzato alla comprensione storica dei singoli tempi e momenti, si incontrano i protagonisti di questa fantastica Sto ria... del fotogiornalismo in Italia In questo senso, e neppure tanto a margine, c’è un altro riconoscimento che va attribuito ai due attenti autori: quello di ricordare e segnalare fotografi, agenzie e testate che altrove sono stati già dimenticati, oltre che sacrificati all’al tare di quella mondanità -in forma di Società dello spettacolo (da e con Guy Debord- che, volente o nolente, condi ziona e ha condizionato molte retro spettive fotografiche dei nostri giorni, e di quelli immediatamente precedenti. Al contrario, l’impegno e concentra zione di Uliano Lucas e Tatiana Agliani sono stati rivolti alla certificazione e con siderazione di tutti coloro i quali hanno agito nell’informazione fotogiornalisti ca italiana. Su queste pagine, come già nella rassegna Fotogiornalismo in Italia 1945-2005, esposta e itinerata in nume rose sedi nazionali e ospitata anche fuori dai nostri confini nazionali, si ritrovano personalità sulle quali troppe storiografie hanno calato un velo di silenzio. Quindi, se un’altra misura va presa in considera zione, ecco qui un ulteriore valore assolu to e prezioso che eleva questo racconto sopra tanti. Forse, sopra tutti. A questo punto, prima di altri nostri riguardi, in presentazione e poi in con clusione, dal punto di vista formale va annotato che l’apparato fotografico di La realtà e lo sguardo è opportuno, sia per quantità (moderata, ma efficace), sia per scelta (mai casuale). Di fatto, in accompagnamento alle parole, una se lezionata galleria di fotografie visualizza ciò che il testo racconta, confermando i punti di vista e sottolineando i passaggi. Dunque e ancora, nulla di incorporeo, ma tutto finalizzato al racconto. In ulteriore ripetizione d’obbligo, da al tra parte della rivista e da precedenti oc casioni. A conti fatti, rispondendo a una natura formata in parti uguali di cultu ra (?) e istinto, per ognuno di noi, il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato lo sguardo consapevole su se stessi: la nostra prima patria sono stati i libri. Ancora, la parola scritta ci ha insegnato ad ascoltare le voci. La vita ci ha chiarito i libri: osservare, piuttosto che giudicare e pensare, invece di credere Osservare e pensare!

In conclusione: La realtà e lo sguar do - Storia del fotogiornalismo in Italia, di Uliano Lucas e Tatiana Agliani, è un libro del quale non si dovrebbe fare a meno (non si potrebbe fare a meno!). Magari, rispetto altri tempi di avarizia di titoli, oggi è più difficile orientarsi all’interno di un’offerta che è prolifera ta esponenzialmente. Magari, rispet to tempi di scelte uniche e obbligate (visto che si pubblicavano pochi ap profondimenti sulla Fotografia), oggi la quantità a disposizione può risultare disorientante e frastornante (paradosso del Falco Pellegrino). Se così è, abbiate fiducia del nostro giudizio, espresso a fronte di una frequentazione fotogra fica intensa e vigorosa: questo saggio merita che gli vengano dedicate se rene serate di lettura. Il nostro sapere individuale ne esce rafforzato.

/ SOLO FIGURE... SENZA PAROLE / NADAR WunderKammer (7)GASPARD-FÉLIX TOURNACHON (NADAR) È NATO IL 5 APRILE 1820: CENTOVENTIDUE ANNI FA annullo)con2018;novembre(13Italia 1989)agosto(29Bulgaria 1982)(febbraioRiunitiEditori (2007)Abscondita

quibestemmie“Nonvoglioquidentro...e...nonsibestemmiadentro.”

«Siamo in missione per conto di Dio» è motto conduttore della vicenda, e viene ripetuto nel film, a partire dall’incontro con il reverendo Cleophus James (James Brown).

FOTO graphia 06/D/ialoghi

Nei panni di proprietaria-cameriera del Soul Food Cafe, la cantante Aretha Franklin controbatte Joliet Jake Blues (interpretato da John Belushi; l’altro fratello Blues è Elwood, interpretato da Dan Aykroyd), in uno dei quadri del film-cult The Blues Brothers, di John Landis, del 1980.

“Siamo inpermissionecontodiDio.”

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Quindi, la mano torna a Kodak, che con soli sessanta milioni di dollari prende il controllo del la Fox Photo Inc, quinta cate na di minilab, con cinquecen tocinquanta punti vendita; la stranezza è che la stessa Kodak aveva acquistato la medesima catena una decina di anni pri ma e l’aveva presto rivenduta, per riacquistarla ancora.

Anche nel vecchio continen te, scoppia un grosso colpo che sconvolge il mercato, quando il gruppo belga Spector Photo Group, controllato da Fotoin vest, annuncia di avere acqui sito il cinquantotto percento (58,1%) della Porst Holding e il cento percento di Interdiscount France; l’operazione significa la creazione di un mega grup po che, fra intrecci vari, conta tremila punti vendita in Belgio, Francia, Olanda, Austria e Sviz zera, con un fatturato di venti miliardi di dollari. A margine -si fa per dire-, il nuovo gruppo fa sapere di aver affidato a Kodak l’esclusiva per la fornitura della carta colore. La notizia lascia la concorrenza senza fiato, anche colore; il resto è diviso tra Agfa, Konica e 3M, tanto che alcuni analisti dubitano che, nel Duemi la, tutte e cinque saranno ancora in pista a litigare per i prezzi della carta colore. Nel luglio 1996, Fuji mette a segno un colpo grosso sul mercato americano, acqui stando -per seicento milioni di dollari circa- sei grandi labora tori della catena Walmart, che valgono un diciotto percento (18%) del mercato photofinish statunitense. Inoltre, ottiene l’e sclusiva del servizio di sviluppo e stampa di duemila duecen tocinquanta punti vendita e un contratto decennale per la for nitura di carta colore e chimici ai milleduecento minilab nei su permarket Walmart [attenzione: nella finzione cinematografica di One Hour Photo, per l’appun to sceneggiata attorno i servizi di un minilab all’interno di un centro commerciale SavMart, dove agisce il protagonista Sey mour “Sy” Parish, caratterizzato dall’attore Robin Williams, l’ac compagnamento “fotografico” è Fuji (su questo stesso nume ro, da pagina 22)]. Prima che ciò accadesse, attraverso la sussidiaria Qua lex, Kodak controllava l’ottanta percento (80%) del business, ovvero i due terzi del mercato statunitense dello sviluppo e stampa a colori. perché appare subito evidente che -in questo- modo Kodak troverà la strada spianata anche per la distribuzione di pellicole e macchin(nette) fotografiche. La guerra continua in otto bre: Fuji si aggiudica l’esclusi va della fornitura di carta co lore alla Ritz Camera Centers, terza catena statunitense do po Walmart, e Fox Photo, con cinquecentosessanta negozi e cinquecentocinquanta minilab. Questa serie di sconvolgimen ti fu allora collegata al sistema APS, nato grazie all’alleanza Ko dak-Fuji, soprattutto a questa (poi, nella squadra di partenza, anche Canon, Minolta e Nikon). Il nuovo sistema avrebbe do vuto proteggere il valore dell’a nalogico, facendo muro contro quanto tutti sapevano sarebbe accaduto ritardandone la vigi lia, ma non successe. Arrivò il digitale! ■ ■ Da qui, a complemento, sot tolineiamo come e quanto la stessa Fujifilm sia la sola azien da storica della fotografia chi mica che è stata capace di so pravvivere e proliferare ancora nel passaggio alla tecnologia digitale. Soprattutto, lo si de ve, a una persona: il presiden te e Ceo della Fujifilm Holdings Corporation Shigetaka Komori, che ha scandito i tempi e modi della sua lungimiranza e azio ne in un saggio di gran valore. Le appassionanti e coinvol genti pagine di Innovating. Out of Crisis, che sottotitola esplici tamente How Fujifilm Survived (and Thrived) As Its Core Business Was Vanishing (in traduzione, Come Fujifilm è sopravvissu ta -e ha prosperato- quando il suo core business stava sva nendo) sono folgoranti e illumi nanti; purtroppo, per ora (ma, ormai?), disponibili in sola edi zione inglese originaria: Stone Bridge Press, 2015; 216 pagine 12,7x20,6cm, cartonato con so vraccoperta; 24,95 dollari.

Anche nel vecchio continente, scoppia un grosso colpo, quando il gruppo belga Spector Photo Group annuncia di avere acquisito il 58,1% della Porst Holding. FIN FINE

/ MERCATI / ALLA

SCONTRI KODAK - FUJI: MOVIMENTI DI FINE MILLENNIO IN DIFESA DELLA REDDITIVITÀ CHIMICA

Le ostilità fra Fuji e Kodak so no sempre esistite. Nel 1993, ad esempio, Kodak accusò la con corrente di vendere sul mercato americano carta colore -il pro dotto più remunerativo- a un quarto del prezzo praticato in Giappone. Verificato il ricorso, la tariffa doganale per gli Stati Uniti cresce del trecentoses santa percento (360%), e Fuji allinea subito i prezzi ai valori internazionali. L’incidente si ri compose, e Fuji costruisce una fabbrica nella Carolina del Sud. Sembrava tornato il sere no, quando il neo-chairman di Kodak, George Fisher, fece in tendere il suo interesse per il mercato asiatico, e così decide un nuovo attacco. Supportato dall’amministrazione Clinton, dichiara che, da sempre, Fuji ha illegalmente impedito alla casa gialla il libero accesso al mercato giapponese. La mossa fu accolta con entusiasmo, ma molti sostenevano che Kodak, in Giappone, poteva contare sul nove percento (9%) del mercato solo perché non ci aveva saputo fare. Fuji -dieci percento (10%) del mercato Usa- ribatte che quelle di Kodak erano falsità e che, semmai, era proprio lei ad avere un atteggiamento pro tezionista verso gli Stati Uniti. Di fronte alla potente Wor ld Trade Organization, il caso rischia di diventare una crisi diplomatica; poi, tutto finisce con il solito compromesso su gli scambi commerciali. Tre anni dopo, ci si chiede perché due industrie che han no lavorato gomito a gomito per concepire l’Advance Photo System (APS) possano conti nuare a litigare come portina ie, ma sembra proprio che Fuji e Kodak intendano spartirsi il mercato mondiale. Kodak mantiene un certo van taggio su Fuji, fatto sta che in sieme rappresentano più del settanta percento (70%) del mer cato della pellicola e della carta Tuttavia, il colpo di Fuji è pe sante per Kodak, che teme una campagna tesa a far passare l’idea che il prodotto Fuji sia made-in-Usa, idea già speri mentata e fallita da produttori tedeschi e giapponesi di auto.

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Ai propri tempi d’oro, coin cidenti con gli analoghi dorati del commercio fotografico ita liano, Mafer si muoveva con di sinvoltura soprattutto nell’am bito professionale, con eccel lenti puntate verso quello non professionale: rispettivamente, vanno ricordate le distribuzio ni Sinar, Rodenstock (obiettivi per grande formato), Broncolor, De Vere, Deville; quindi, Braun, Paterson e, ancora, Rodenstock (obiettivi da noepetenza,sempretralapersonalismipertenevanocisoltantosto-teristaAppassionatoingrandimento).dicalcioeindoc,comemolti-delrenelmondofotografico,nonmilanese,MarcoD’Attiistruìsuidelicatiequilibricheinsieme,quandoequantoriuscivanoafarlo,tragiocatoridelstessasquadra,incontrastoloro:quellochesidefinisce“spogliatoio”.Però,misottolineòconcomall’abilitàdiallenatoredirigenti,sfuggivano/sfuggosemprealcunidettaglidi

interesse personale, estranei al senso comune di squadra. In particolare, Marco D’At ti si dilungò allora, nei primi periferia del mondo (lasciamo perdere i fasti antichi del Ri nascimento e contorni). Cioè, deperisce in un provincialismo formativo che è più colpa della gretta ristrettezza e modestia e meschinità dei singoli, che dell’inaccessibilità e impratica bilità degli orizzonti complessi vi e autorevoli, quelli di vertice.

Mutuata dal mondo del calcio, la nozione di “passaggi spor chi”, oppure “passaggio sporco”, al singolare, la debbo a Marco D’Atti, creatore e titolare di Ma fer, azienda di distribuzione fo tografica tra le più eccellenti fi no alla fine del Novecento; poi, molti equilibri sono cambiati e si sono accartocciati su se stessi.

/ IN IRONIA E SARCASMO / PASSAGGI

Ovvero, siamo alla periferia del mondo anche grazie al com portamento povero di molti dei nostri autodefinitisi operatori. Magari, soprattutto grazie a loro! Qual è la condotta tipica e ca ratteristica di costoro?: la perizia e caparbietà con la quale colti vano propri continui e ripetuti “passaggi sporchi”. Certo, per loro, questo comportamento non è soltanto utile; nienteme no, è loro necessario. In man canza di doti, talento, compe tenze e preparazione (non ne cessariamente scolastica, ma esistenziale, ma generosa, ma curiosa, ma appassionata, ma coltivata, ma...), non possono che agire di sponda: dal ger go delle bocce che scorrono sulla sabbia o delle biglie che, sul biliardo, scorrono via lisce e veloci (oppure lente) sul carat teristico panno morbido. Passaggi sporchi, dunque, quando ci si appropria di peri zie altrui spacciandole per pro prie; oppure, quando si tenta di accedere a queste, in contatto diretto, girandoci attorno e fa cendo finta che. Ancora, pas saggi sporchi, quindi, quando anni Ottanta del Novecento (diamine... quaranta anni fa... come scorre inesorabile il Tem po), sul concetto di “passaggio sporco”: eccoci qui. Detta me glio, sicuramente: ekkoci qui! Per approdare all’allineamento con la Fotografia e il suo mondo italiano -piccino nei propri con tenuti-, specifichiamo qui che, in gergo calcistico, con “passaggio sporco” si intende l’assist verso un giocatore della propria squa dra, inviso a sé e ai più, quando questo è impossibilitato a usare la palla per qualcosa di concre to e produttivo. Ovvero, il sog getto principale si crea un alibi -«io gli ho passato palla», riesce a giustificarsi; «è lui che non è riuscito a combinare niente»-, che nasconde la propria scel leratezza ideologica. (Grazie a chi di dovere, nel baseball, sport che amiamo dalla seconda metà degli anni Sessanta, appassio nandoci soprattutto alle vicen de delle Major League statu nitensi dei decenni precedenti -Babe Ruth, Jackie Robinson, Ty Cobb, Joe DiMaggio, Mickey Mantle, Roberto Clemente, Lou Gehrig, Sholess Joe Jackson, Yogi Berra, Roy Campanella...-, que sto non può accadere, perché si tratta di uno sport di squadra composto dalla somma di gesti atletici individuali, ovviamente in fase di attacco, in battuta). In Fotografia, ora, in quella Fotografia italiana che, come molto della cultura contempo ranea del nostro paese è alla -in incontro pubblico (confe renza stampa, presentazione di libri e/o mostre e contorni), individuando in sala un “colle ga” sostanzialmente disdegna to e anche denigrato, si finge nel coinvolgerlo nella propria esposizione, per guadagnarsi un bollino di onestà intellet tuale presso ascoltatori spon tanei, ignari di tanta malvagità. Passaggi sporchi: quando si approfitta di proprie posizio ni di (autostimato) potere per porre veti, ipotizzare esclusioni, promuovere allontanamenti, minimizzare o nascondere o screditare competenze, addi rittura ricorrendo alla calunnia. Ciò detto, in rivelazione di dietro-le-quinte, che -per con venzione- si dovrebbero tenere nascoste al pubblico (che, in vece, va preavvertito, almeno affinché sappia con chi ha ve ramente a che fare), non ci si stupisca della modestia dell’in tero apparato culturale della Fotografia in Italia. Ripetiamo, in conferma: prima che deri vata da incontrollabili equilibri sovrastanti (tra tanto, legge re: mancanza di interlocutori pubblici all’altezza di), questa mediocrità è generata dagli attori della Soprattutto,vicenda.daloro.

In senso di continuità di ragio namento, per tanti versi -tutti legittimi (?)- collegato a questo odierno, a seguire, sarà il caso di affrontare l’argomento del la comunicazione della Foto grafia (per quanto ci riguarda), gestita e governata da uffici stampa che -per eufemismocertifichiamo approssimativi. Per certi versi, le considerazio ni sono analoghe, e continuano quel cammino in compagnia dell’ ignoranza e degli ignoranti avviato in questo stesso ambi to: al contrario della qualifica zione e attenzione individuale che comportano / comporte rebbero una crescita collettiva. SPORCHI CERTO, LA FOTOGRAFIA ITALIANA VA CONSIDERATA DI PERIFERIA. MA, ATTENZIONE ANCHE A!

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TantaTantaLuce

Scala dei diaframmi da f/1,25 a f/16; undici lenti in sette gruppi; angolo di campo di 27 gradi; a fuoco da un metro; design reversibile per collo care il paraluce a riposo; da 1031 a 1055 grammidi peso (in base all’attacco al corpo macchina). In versione per: Canon Eos R, L-Mount (Leica, Panasonic, Sigma), Nikon Z, Sony E, Fujifilm GFX, Hasselblad X1D. Ampia gamma di anelli adattatori. L’apertura relativa/massima f/1,25 equivale a una ec cezionale rapidità fotografica, intendendo con questo una agevole condizione luminosa. Applicata alla focale medio tele 90mm, per propria natura tecnica spesso riferita all’impiego privilegiato nel ritratto, la possibili tà di agire con aperture di diaframma ampie si tradu ce sul massimo controllo della profondità di campo selettiva, secondo intenzioni proprie. Allo stesso mo mento, le medesime generose aperture di diaframma si combinano con tempi di otturazione brevi, ai quali corrisponde la facilità di scatto a mano libera, anche in condizioni di illuminazioni difficili. Il TTartisan 90mm f/1,25 (Mirrorless) copre sensori digitali Full Frame di sistemi Mirrorless. Otticamente, presenta e offre una eccellente qualità di immagine, con correzione ottimale dell’aberrazione sferica, controllata dalla combinazione di efficaci doppietti acromatici. Ancora: Bokeh ottimale già dall’apertura relativa e massima f/1,25. Quanta luce! TTartisan 90mm f/1,25 (Mirrorless)

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