FOTOgraphia 282 novembre dicembre 2022

Page 1

282 Mensile, € 7,50, Poste Italiane SpASpedizione in abbonamento postaleD.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1DCB Milano / NOVEMBRE DICEMBRE 2022 / NUMERO 282 / ANNO XXIX / LE NUVOLE DI ANGELO MEREU MACBETH: “NUVOLE, MERAVIGLIOSE NUVOLE” “LA VITA È SOLO UN’OMBRA CHE CAMMINA” RICORDI COMMOSSI GRAZIE, WILLIAM (KLEIN) CIAO, ZIO DOUGLAS (KIRKLAND) NATURALMENTE, NATURA WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2021 CONCORSO DI FOTOGRAFIA NATURALISTICA LUCCA COMICS & GAMES 2022 CON QUELLA FACCIA UN PO’ COSÌ... RITRATTI FISHEYE DI ANTONIO BORDONI TELEMEGOR 300 mm f /4,5 ALLE ORIGINI DELLA COSTRUZIONE TELE CON OTTIMA INTERPRETAZIONE OTTICA LEICA M6 A VOLTE, TORNANO... PROPOSTA EFFICACE IN RIPROPOSIZIONE TECNICO-COMMERCIALE REGINA ELIZABETH II DALLA LEICA M3 ALLA LEICA M6

TTartisan

Obiettivi per sensori APS-C (Mirrorless)

TTartisan APS-C 7,5mm f/2 Fish Eye

TTartisan APS-C 17mm f/1,4

TTartisan APS-C 23mm f/1,4

TTartisan APS-C 35mm f/1,4

TTartisan APS-C 40mm f/2,8 Macro

TTartisan APS-C 50mm f/1,2

Obiettivi per sensori Full Frame

TTartisan 11mm f/2,8 Fish Eye

TTartisan 50mm f/1,4 Asph

TTartisan 90mm f/1,25 (Mirrorless)

Obiettivi per Leica M

TTartisan M 21mm f/1,5 Asph

TTartisan M 28mm f/5,6

TTartisan M 35mm f/1,4 Asph

TTartisan M 50mm f/0,95 Asph

TTartisan M 50mm f/1,4 Asph

TTartisan M 90mm f/1,25

Anelli adattatori

TTartisan Adapter Ring M-E

TTartisan Adapter Ring M-FX

TTartisan Adapter Ring M-GFX

TTartisan Adapter Ring M-L

TTartisan Adapter Ring M-RF

TTartisan Adapter Ring M-XD1

TTartisan Adapter Ring M-Z

via Francesco Datini 27 • 50126 Firenze 055 6461541 • www.rinowa.it • info@rinowa.it
282 / NOVEMBRE DICEMBRE 2022 / NUMERO 282 / ANNO XXIX /
RIFLESSIONI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA NELLA RIVISTA CHE NON TROVI IN EDICOLA / Sottoscrivi l’abbonamento a FOTOgraphia per ricevere 10 numeri all’anno al tuo indirizzo, a 65,00 euro Online all’indirizzo web in calce o attraverso il QRcode fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO 10 numeri a 65,00 euro Per info: Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini abbonamento@fotographiaonline.com

PRIMA DI COMINCIARE

282 SOMMARIO

FINALE DUE, IN ANTICIPO. Su questo stesso numero, da pagina otto, censiamo una serie di date in finale due, che scandiscono avvenimenti in anniversario sull’attuale Duemilaventidue in esaurimento. Sono tutte date collegate in misura stretta ad accadimenti fotografici sostanzialmente vicini e, tutto sommato, partecipati... non soltanto da noi.

In integrazione a quanto lì riportato, in centenario (addirittura), segnaliamo qui il ritrovamento di una stampa fotografica in formato cartolina, datata “Lucca, 15 marzo 1922”, per una dedica leggiadra e delicata: «Come dolce ricordo alla cara Giulia». La firma ci è illeggibile, ma non conta: anche se fosse stata decifrata, l’avremmo lasciata nell’intimo di questa comunicazione.

Sul fronte, ritratto di un militare in divisa da ufficiale realizzato dallo Studio Scatena, con doppia sede operativa: in via Fillungo 12, a Lucca, e in Galleria Nettuno, nella vicina Viareggio, località marina di richiamo e riferimento per il capoluogo toscano.

/ Copertina

Per quanto disinteressati a qualsivoglia vicenda delle monarchie, facciamo ordine su quanto mal riferito circa la frequentazione “fotografica” della regina Elizabeth II, da pagina 10. Con Leica M6, in richiamo alla sua rinnovata attualità tecnico-commerciale... in Editoriale

03 / C’è stato un tempo in cui...

Horus Sicof (disegno e realizzazione di Angelo Mereu, gioielliere): onorificenza che ha accompagnato il Salone merceologico del commercio fotografico italiano (diametro dieci millimetri)

07 / Editoriale

Esplicitamente: Leica M6, in riproposizione

08 / Finale due

Accadimenti ricordati a fine anno, a fine 2022

10 / Elizabeth II

Sua maestà (... già!) in buona compagnia “fotografica” monarchica e repubblicana

16 / Nuvole nel cielo

In anticipo e accompagnamento al portfolio di Angelo Mereu: Nuvole (da pagina 38)

Douglas Kirkland è mancato il due ottobre

La finestra sul cortiricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Meyer-Optik Görlitz Telemegor 300mm f/4,5

Richiami da argomenti affrontati in precedenza

/ 03/ / 69/ / 36/ / 72/ / 22/ / 18/

/ Povero Fenton

Una revisione storica toglierebbe a Roger Fenton, l’attribuzione di primo fotografo di guerra 30 / Antonio Bordoni

Con quella faccia un po’ così... Cosplayer che hanno animato il Lucca Comics & Games 2022 di Angelo Galantini (Franti) 38 / Angelo Mereu

Angelo e nuvole

La vita è solo un’ombra che cammina, / un povero attorello sussiegoso di Lello Piazza

L’autorevole mostra L’occhio in gioco presenta Percezione, impressioni e illusioni nell’arte di Antonio Bordoni

DIRETTORE RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

ART DIRECTION

Simone Nervi

IMPAGINAZIONE

Maria Marasciuolo

REDAZIONE

Filippo Rebuzzini

CORRISPONDENTE

Giulio Forti

FOTOGRAFIE

Rouge Ottavio Maledusi

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

HANNO COLLABORATO

Alcide Boaretto

Antonio Bordoni Club Amici del Toscano Cosplayer mFranti Angelo Galantini

VÜ BÍch HÔng (Hong Rosy) Angelo Mereu Lello Piazza Antonio Ria Giovanni Ribolini - Ribo Marco Saielli WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

www.FOTOgraphiaONLINE.com

Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini - via Zuretti 2a, 20125 Milano MI - redazione@fotographiaonline.com

■ FOTOgraphia è venduta in abbonamento.

■ FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.

■ A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

■ FOTOgraphia Abbonamento 10 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini, Milano; vaglia postale a Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini - PT Milano Isola; su Ccp n. 1027671617 intestato a Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard e PayPal (info@fotographiaonline.com).

■ Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati.

■ È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo: a piacere proprio).

■ Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP, selezioni litografiche e tutte le lavorazioni infrastrutturali: Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini, Milano Stampa: CTG srl, Gorgonzola (Milano)

■ ■ Nella stesura della rivista, a volte, utilizziamo testi e immagini che non sono di nostra proprietà [e per le nostre proprietà valga sempre la precisazione certificata nel colophon burocratico, qui sopra]. In assoluto, non usiamo mai proprietà altrui per altre finalità che la critica e discussione di argomenti e considerazioni. Quindi, nel rispetto del diritto d’autore, testi e immagini altrui vengono riprodotti e presentati ai sensi degli articoli 65 / comma 2,70 / comma 1bis e 101 / comma 1, della Legge 633/1941 / Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. ■ ■

28
47 / Illusioni
77
/ 60/ / 42/ / 70/ / 48/ / 35/ / 54/ SOMMARIO
50 / Naturalmente, Natura Wildlife Photographer of the Year 2021 60 / Grazie, William È mancato William Klein, autore discriminante 68 / Jane Goodall Copertine e prezioso richiamo filatelico 70 / Reichstag Solo figure... senza parole WunderKammer 72 / Nikon S3 Year 2000 La parte, per il tutto di Antonio Bordoni 74 / I comunisti In ironia e sarcasmo di Maurizio Rebuzzini
/ Grande il formato E domani e domani
NOVEMBRE DICEMBRE 2022 / 282 - Anno XXIX - € 7,50
Rivista associata a TIPA www.tipa.com

Eppure, dobbiamo vivere il presente, ipotizzandone la sua proiezione verso il futuro. Allo stesso momento, non va dimenticato il passato: per quanto presente, futuro e passato siano anche tessere autonome, ognuna a proprio modo, tutte insieme coincidono e convergono nel medesimo mosaico: tasselli di e per quella evoluzione individuale in base alla quale ciascuno di noi edifica le proprie esperienze, costruisce la propria personalità. Anche in Fotografia. Ma, attenzione, il cammino non è soltanto cronologico e temporale, sempre in avanti. Tante volte, sono opportuni anche momenti di riflessione, di meditazione. Tornando sui propri passi, si possono ricongiungere e riannodare fili sparsi, utili e/o necessari per riprendere (da capo?) il proprio cammino là dove circostanze a noi esterne e -magari- estranee l’avevano interrotto. Considerazione e lezione fondanti. Molto probabilmente, forse addirittura certamente, questa linea di pensiero non è dote esclusiva delle persone fisiche (del Sapiens, per dirla alla grande). In momenti recenti, in stretta attualità temporale, una azienda leader del comparto fotografico lo ha certificato in modo e misura clamorosi. La tedesca Leica Camera AG ha annunciato, presentato e introdotto sul mercato la ripresa produttiva della Leica M6, una delle punte di diamante della propria lunga e valorosa Storia tecnico-commerciale.

Ekkoci qui, al fragoroso cospetto di un intreccio temporale tra presente, futuro e passato che certifica come e quanto riprendere e riallacciare fili sparsi sia parte sostanziosa di ogni vita, anche di quelle apparentemente soltanto mercantili (per quanto, sia chiaro, gli indirizzi di mercato sono guidati e diretti da persone). Come già sottolineato, in occasione opportuna, oltre il proprio ruolo guida nella storia evolutiva della tecnica e tecnologia fotografica, Leica Camera AG sta offrendo alla Fotografia stessa una personalità aziendale addirittura etica, per quanto in etica del capitalismo. Ora, con la riproposizione della Leica M6 del passato, per tanti versi perfino remoto, sottolinea addirittura una propria vocazione... terapeutica.

Sì, proprio terapeutica: rivolta e indirizzata a una generazione di utenti potenziali e possibili che, oggi, possiedono serenità economiche tante e tali da soddisfare il provvidenziale superfluo, oltre l’indispensabile necessario (per quanto, la nostra visione individuale invertirebbe i termini: il superfluo avanti al necessario, per compiacimento e gradimento di Vita). Eclatante nella propria configurazione, al culmine di un processo di crescita avviato decenni e decenni prima, senza ombra di dubbio, in tempi di propria attualità tecnico-commerciale, la Leica M6 originaria è stata sogno irraggiungibile per molti giovani autenticamente entusiasmati dalla Fotografia: contrassegno e nota distintiva del raggiungimento di uno status non negoziabile. Questi stessi giovani, che ieri l’altro non hanno potuto avvicinarsi alla Leica M6, tenuti a distanza dal suo prezzo di vendita-acquisto, ora sono stabilmente inseriti nel mondo del lavoro, spesso in collocazioni aziendali medio-alte.

Inevitabilmente, in metafora, in ipotesi: verranno per motivi che neanche loro sapranno spiegare; imboccheranno la via, senza comprendere perché; arriveranno innocenti come perle, colmi di nostalgia; pagheranno la Leica M6 senza pensarci un attimo, perché i soldi li hanno. È la pace che manca loro.

EDITORIALE
7

FINALE DUE

In una certa misura, è lecito e dovuto -perfino, imperativo- ricordare e celebrare ricorrenze storiche che appartengono al vissuto della Fotografia, qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi. Però, alla lunga, il nostro punto di vista personale, che spazia in largo e abbraccia tanto (troppo?), potrebbe imporre passi e cadenze sostanzialmente ripetitivi, numero di rivista dopo numero di rivista. Per cui, fatte salve quelle che non possono non essere considerate pietre miliari, per altre cadenze, diciamo così complementari, riuniamo in un contenitore unico. Eccoci qui, per il corrente Duemilaventidue in esaurimento. Senza ordine di date, né gerarchia di meriti.

BARCELONA ’92. L’immagine (di fantasia) simbolo dei Venticinquesimi giochi olimpici, svoltisi a Barcellona, in Spagna, nell’estate 1992 fu definito Coob 92. Lo richiamiamo soltanto perché in una edizione di cartoline promozionali distribuite in anticipo di date è raffigurato con macchina fotografica tra le mani: con annullo postale del primo giorno

1952... 1982. Come è noto (perlomeno, dovrebbe esserlo) a coloro i quali si propongono di diffondere e commentare la Storia della Fotografia, quella che si considera fotografia primigenia, in preistoria e in forma di eliografia, Point de vue du Gras / Vista dalla finestra a Le Gras, di Joseph Nicéphore Niépce, del 1827, di 20,3x16,5cm, in copia unica, è stata ritrovata, nel 1952 da Helmut Gernsheim (1913-1995), ed è stata donata alla University of Texas, di Austin, dove è ora conservata nella Gernsheim Collection, in una cornice 25,8x29cm.

Il resoconto del ritrovamento è affascinante, quanto lacunoso. Personalità autorevole e prestigiosa della storiografia fotografica, Helmut Gernsheim ha rintracciato questo prezioso “originale”-di-tanto-e-tutto, nella tenuta di Gibbon Pitchard, nella quale fu invitato dalla vedova, che aveva rintracciato la lastra di peltro all’indomani della morte del marito, tra gli oggetti di una sua collezione di manufatti. Oltre le tesi precedenti, che ipotizzavano la realizzazione di questa eliografia precedente le date del 1839, il rinvenimento certificò inequivocabilmente la paternità di Joseph Nicéphore Niépce, quale autentico inventore della Fotografia.

Nel 1982, sciolte molte riserve al proposito, Helmut Gernsheim accettò la datazione della Vista dalla finestra a Le Gras al 1827, proposta da Pierre-Georges Harmant e Paul Marillier, nel 1967, nella ricostruzione Some Thoughts on the World’s First Photograph (Alcuni pensieri sulla prima fotografia del mondo), pubblicata in The Photographic Journal / 107.

A fine 1952, nella raccolta di avvenimenti dell’anno Tempo. Il 1952 nel mondo, a cura dell’allora accreditato settimanale illustrato italiano, si conteggia anche il ritrovamento di Helmut Gernsheim, con testo che -come cattiva abitudine italiana di quegli anni- traduceva anche i nomi propri: per cui, Niceforo Niepce.

INEVITABILE: VIETNAM (1972... 2012).

Premio Pulitzer per le Breaking News e World Press Photo of the Year 1973 (sul 1972), la fotografia storicizzata come Napalm Girl, ampiamente conosciuta anche oltre lo stretto ambito degli addetti, è stata scattata dal fotogiornalista vietnamita Nick Ut (Huỳnh Công Út; 1951), dell’Associated Press, l’8 giugno 1972, presso il villaggio di Trảng Bàng, nel Vietnam del Sud. La bambina che fugge nuda, terrorizzata e disperata, la schiena bruciata dal Napalm, è Phan Thị Kim Phúc (1963-). Ci siamo incontrati, tutti e tre, nell’autunno 2012. In fotoricordo.

-

-

-

/

/ FINE ANNO /
Dicembre 1992, New York City: Pillola (Sandro Vermini), Ken Hansen, Leica M6 Colombo 92. Nel 1992, in piena epopea di Leica celebrative e commemorative, coniate con generosità, fu realizzata una Leica M6 Colombo 92 : nel cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America da parte di Cri stoforo Colombo (12 ottobre 1492). Su iniziativa dell’allora distributore italiano Polyphoto, tiratura di duecento esem plari con rivestimento personalizzato in raffinata pelle verde, prezioso box di le gno e le incisioni di circostanza: «500 Colombo ’92 / 1492-1992 / 500° Scoperta dell’America / Italia / Leica» (sia sulla di Maurizio Rebuzzini
(Franti)
V Ü B ÍCH
ÔNG
H
(H ONG R OSY )

calotta superiore del corpo macchina, sia sul tappo metallico dell’innesto a baionetta degli obiettivi intercambiabili).

Duecento esemplari compresi tra i numeri di matricola 1.907.101 e 1.907.300, ognuno personalizzato da una numerazione aggiuntiva e dedicata sull’aletta della slitta porta accessori: in tiratura da “1” a “40”, sulla cadenza dei cinque alfabetici “I” “T” “A” “L” “Y”. Ovviamente (?), il numero Uno di ognuna delle cinque

A seguire, su pressione dal basso (dei collezionisti), nel successivo 1993, fu realizzato un Summicron-M 50mm f/2 cromato con la certificazione “Colombo ’92” sulla ghiera frontale comprensiva dei dati di identificazione.

La storia che ricordiamo è questa: in procinto di recarsi a New York, Sandro Vermini (Pillola), di Genova ha ben pensato che la diffusione soltanto italiana di questo conio avrebbe sollecitato l’appetito di qualche negoziante specializzato della città (in tempi antecedenti l’attuale globalizzazione commerciale web). Richiesto un esemplare in prestito da un negoziante genovese (per tentata vendita), si è presentato da Ken Hansen Photographic, al 920 Broadway, ricavandone una sovra quotazione adeguata. Ne siamo stati testimoni. ■ ■

Giovanni Ribolini - Ribo
BOX
coerente fornita da Led ad alta resa cromatica; ottima dissipazione del calore; piano luminoso non a contatto con la pellicola in duplicazione, per la qualità della riproduzione. Combinabile con lo stativo dedicato Repro Stand (a sinistra). Kit portaoriginali a collocazione rapida in ogni dimensione di negativi e trasparenze (dal 35mm).
22,5x17,5x11,1cm; 1,9 chilogrammi. Per la riProduzione non a contatto (su file digitali) raPida ed economica di trasParenze colore e bianconero, in Pellicola o lastra, fino al 4x5 Pollici (10,2x12,7cm) S ILVESTRI
(2) LIGHT
Illuminazione
Dimensioni:

ELIZABETH II

Da e con Enzo Jannacci (1935-2013): «Che bel ch’el ga de vèss / èss sciuri, cunt la radio / noeuva e, in te l’armadi, / la torta per i fieu / che vegn’in cà de scola... / e tocca dargli i vizi: / “...per ti, un’altra vestina! / A ti, te cumpri i scarp!...”» (Ti te sé no; 1964). Traduciamo, dal milanese, appreso dai miei genitori, in frequentazione quotidiana, fino a quando è potuto: «Che bello deve essere / essere ricchi, con la radio / nuova e, nell’armadio, / la torta per i figli / che vengono a casa da scuola... / e ti tocca dargli i vizi (viziarli): / per te, un altro vestitino! / A te, compro le scarpe».

Da cui e per cui!

Nel nostro quotidiano, perfino fotografico: Che bello deve essere / essere incolti (ignoranti), con le proprie convinzioni assolute / e il convincimento che razzolare nel cortile di casa, / aspettando di essere chiamati per cena, / sia una dimensione esistenziale / degna di nota. Ancora: Che bello deve essere / essere convinti che il poco che si conosce, / rispetto il tanto accessibile, / sia il tutto... quantomeno molto. Ancora, ancora: Che bello deve essere / credersi epicentro del Mondo.

Quindi, in stretta attualità (in cadenza giornalistica di rivista; in passato remoto, sul ritmo social dei nostri attuali giorni... tormentati e contraddittori): Che bello deve essere / poter pizzicare noterelle in Rete / e proporle come universo assolto / e propria autorità (autoreferenziale).

Eccoci qui: all’indomani della scomparsa della regina Elizabeth II, regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri reami del Commonwealth, appena celebrata per la monarchia più longeva, inglese ma non soltanto (dal 6 febbraio 1952), manca-

ta lo scorso otto settembre, a novantasei anni compiuti (era nata il 21 aprile 1926), in tanti, troppi per il vero, si sono dati da fare per segnalarne una ipotizzata e ipotetica frequentazione fotografica, scandita soprattutto a suon di Leica.

Da e con Piero Chiara (1913-1986), scrittore lombardo, tra i maggiori del Novecento, se soltanto..., dal romanzo Il piatto piange, del 1962, con trasposizione cinematografica omonima, del 1974, per la regia di Paolo Nuzzi e la convincente interpretazione di Aldo Maccione, nei panni del protagonista Camola: in espressione (e grafia) triviale, L’è cÔme pikàgk a vun che caga (massimo dell’impotenza in reazione: è come picchiare uno che sta cagando; detta più elegantemente, for-

se, è come sparare sulla Croce Rossa). Ovvero, in Rete, certificazioni della regina Elizabeth II con macchine fotografiche tra le mani, proprio a partire dalla Leica, ce ne sono a bizzeffe: perché aggiungere proprie note, addirittura ammantate di pretestuosa e ricercata autorevolezza? Se razzoli nel cortile di casa, in attesa di essere chiamato a cena, non autoconvincerti di essere preparato in qualsivoglia materia. Soprattutto, lascia la Fotografia a coloro i quali possiedono capacità cognitive, riescono a collegare aspetti originariamente distanti tra loro, sanno perfettamente di cosa si tratta.

Per quanto (magari!) social-appagante, la tua approssimazione e superficialità di intenti e conoscenze non fa di te nulla: ti lascia a razzolare nel cortile di casa, in attesa di essere chiamato a cena. Però, siamo sinceri, questo cortile di casa è ormai territorio entro il quale molti si erigono a santoni, si disegnano personalità fittizie, alle quali inducono (indurrebbero!) a credere.

Tra le tante copertine che i periodici di metà settembre hanno dedicato e riservato alla regina Elizabeth II, mancata lo scorso otto settembre, a novantasei anni compiuti (era nata il 21 aprile 1926), ne eleviamo una sopra tutte: Time Magazine, datato 26 settembre - 3 ottobre. Per eleganza e lievità, grande esempio di giornalismo, in forma fotogiornalistica (ritratto di Cecil Beaton, del 1968), con ottimo accompagnamento in avvio di edizione e in apertura d’articolo. Sullo stesso passo fotografico, emissioni filateliche di Hong Kong, del 4 ottobre 1962, e di Sierra Leone, per il settantesimo anniversario del Regno, in foglio Souvenir del 2020. Quindi, e poi basta, copertina del periodico promozionale e informativo Taschen Magazine, dell’estate 2012, in annuncio di una maestosa monografia.

Sì, in molteplici occasioni pubbliche, la regina Elizabeth II è stata vista con macchina fotografica tra le mani. La vera questione potrebbe essere altra: come accedere alle sue fotografie, come poterne allestire un percorso formale plausibile, come trapassare la sola fotoricordo (per altro, più che nobile e legittima), proiettandola oltre e in avanti, quantomeno nelle intenzioni? E qui, in richiamo storico-bibliografico, va ricordata l’avvincente e convincente selezione Crown & Camera. La Famiglia Reale Inglese e la fotografia 1842-1910, a cura di Frances Diamond e Roger Taylor, in edizione Alinari, del 1989, dalla selezione originaria Crown & Came-

10
/ SUA MAESTÀ (... GIÀ!) / di Angelo Galantini
(4)
WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

Emissioni filateliche selezionate sulla cadenza di celebrazioni della regina Elizabeth II raffigurata con Leica M3. In casellario. Due emissioni inglesi coincidenti per il sessantesimo compleanno: ognuna con due francobolli, rispettivamente da diciassette e ventiquattro penny. Entrambe le emissioni ripetono la medesima sequenza di sei soggetti, tre per ogni francobollo, del 21 aprile 1986. Nel secondo dei due, la seconda illustrazione raffigura la regina Elizabeth II con una Leica M3 cromata, dotata di esposimetro esterno Leicameter. Gli ottant’anni della regina Elizabeth II (21 aprile 2006) sono stati equamente celebrati da paesi del Commonwealth. Sopra tutte, tre emis-

sioni filateliche coincidenti, dalle Ascension Island, Pitcairn Islands e Solomon Islands. Si ripete l’immagine a colori della regina Elizabeth II con Leica M3 e esposimetro esterno Leicameter: Ascension e Pitcairn, in accompagnamento di foglio Souvenir; Solomon, in francobollo da quindici dollari locali. Quindi, lo stesso soggetto Solomon è stato proposto anche con valore facciale di cinque dollari locali. Ripetizione di soggetto in foglio Souvenir di St. Kitts per la longevità della monarchia di Elizabeth II, del 26 maggio 2016, e in uno dei sei valori con i quali le Isole Farkland hanno celebrato il novantacinquesimo compleanno, il 21 aprile 2021.

11
WunderKammer
(9)
MaurizioAngeloRebuzzini

ra: The Royal Family and Photography, 1842-1910 (Viking; 1987): dalla leggendaria regina Vittoria, in avanti sul Novecento.

Però, allo stesso tempo e momento, se intendiamo comunicare con altri, perché accontentarsi di riprendere noterelle altrui, indorandole con propria autostima smisurata? Se di questo di tratta, andiamo oltre, attingendo -ancora, magari!- a quanto conservato, custodito e ordinato nella WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini, alla quale facciamo (troppo) spesso riferimento.

Secondo foglio Souvenir di St. Kitts per la longevità del regno di Elizabeth II (26 maggio 2016).

In alto, a destra, francobolli generici della regina su una busta viaggiata.

Speech, di Tom Hooper, del 2010, vincitore di quattro Academy Awards / Oscar), al quale succedette il 6 gennaio 1952, ricevette un corredo Leica M3 Terzo tipo senza numero di matricola, con incisione delle sue iniziali. Alcune storiografie azzardano un possibile numero di matricola 919.000; in altre, il numero di matricola è 925.000, ufficialmente appartenente a un lotto produttivo di Leica Ig.

In coincidenza di considerazioni, altre Leica con destinazione... monarchica / presidenziale, circa.

Nel 1951, sua santità il Dalai Lama ha ricevuto la Leica IIIf con numero di matricola 555.555 (cifra più che affascinante). Presto a seguire, nel 1956, è stata la volta del cancelliere tedesco Konrad Adenauer: Leica M3 Secondo tipo, numero di matricola 800.000, in occasione del suo ottantesimo compleanno (coincidenza di cifre).

LEICA A CORTE (E OLTRE)

Prima di tutto, una rilevazione doverosa e dovuta. Nell’elenco di apparecchi Leica e Leicaflex donati a illustri personalità pubbliche, per occasioni loro dedicate o in raggiungimento di numeri di matri cola particolari, la regina Elizabeth II compare due volte: caso unico, se non consideriamo quello del chimico statunitense Leopold Godowsky Jr, uno dei due creatori della pellicola Kodachrome, che -nel 1935- ricevette la Leica III con numero di matricola 150.000 (e, nello stesso anno, nella medesima occasione, la Leica III con numero di matricola 175.000 fu donata a Leopold D. Mannes, l’altro chimico del Kodachrome), e, poi, nel 1970, ricevette una Leica M? con numero di matricola 1,259.999, in sostituzione della Leica III / 150.000, andata smarrita.

Nel 1958, la regina Elizabeth II, figlia di re George VI (la cui vicenda è narrata nel film Il discorso del re / The King’s

A seguire, nel 1965, alla stessa regina Elizabeth II fu riservato un corredo Leicaflex, altrettanto privo di numerazione ufficiale, con quantificazione interna 1.084.900. Questo corredo gli fu donato dal primo ministro assiano Georg August Zinn, durante una visita di Stato.

(pagina accanto, in basso) Emissioni filateliche della Thailandia con il re Bhumibol Adulyadej (1927-2016), per sue celebrazioni e/o presenze sociali. Nessun casellario, ma sottolineiamo la costante presenza di macchina fotografica.

A seguire, esauriti i diritti ereditari e il tocco divino, si è passati con decisione alla politica repubblicana, con personaggi eletti dal popolo e non attestati per successioni trasmesse.

In appoggio a una istantanea ufficiale della regina Elizabeth II con cinepresa, questa volta, copertina del settimanale popolare Domenica del Corriere, del lontano 12 febbraio 1961, in illustrazione di Walter Molino: «Il duca spara, la regina filma. Durante una partita di caccia grossa, in India, il duca Filippo di Edimburgo ha abbattuto a colpi di carabina una tigre e un coccodrillo. La regina [sua consorte] ha filmato le drammatiche sequenze con una piccola cinepresa».

Da cui, in cadenza temporale. Nel 1956, la Leica M3 Secondo tipo (Canada) con numero di matricola 830.000 fu destinata al primo ministro indiano Pandit Nehru, in carica dal 1947. Nel 1960, è stata la volta del trentaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America Dwight D. Eisenhower, alla Casa Bianca dal gennaio 1953, per due mandati consecutivi. Gli è stata riservata una Leica M (non altrimenti specificata). Ufficialmente, il numero di matricola 980.000 appartiene a un lotto produttivo di Leica M1, ma non pensiamo che possa essergli stata donata una Leica senza telemetro, indirizzata a impieghi tecnici e scientifici. Ancora: rileviamo che lo stesso Ike Eisenhower è riconosciuto come appassionato fotografo... 3D: con Stereo Realist.

12
(2)
WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

Lungo salto temporale, con anni lontani dalla politica internazionale, fino al Duemila. Quando approdiamo alla Leica M6 TTL (nera), con numero di matricola 2.500.000, donata al presidente ceco Václav Havel, uno degli artefici della transizione dal socialismo dell’Est Europa. Questa Leica gli è stata consegnata da Hanns-Peter Cohn, ai tempi presidente Leica Camera AG, il 16 maggio 2000, nel Castello di Praga.

Lo stesso giorno, venne inaugurata una mostra fotografica sul presidente della repubblica Ceca -Václav Havel, per l’appunto-, organizzata dal distributore Amadeus, di Praga. In seguito, Václav Havel ha donato l’apparecchio, con il Summilux-M 35mm f/1,4 Asph (numero di matricola 4.051.036, che richiama la data di nascita del drammaturgo e politico: 5 ottobre 1936), per un’asta benefica.

FILATELIA (E ALTRO?)

Da qui, torniamo da capo: ne abbiamo già riferito, in avvio, in incipit, e ribadiamo il riferimento e richiamo alle comiche e ridicole certificazioni “fotografiche” della regina Elizabeth II con macchine fotografiche, soprattutto Leica, in occasione della sua scomparsa, comodamente riprese da riflessioni e raccolte altrui, e fatte proprie con insolenza, arroganza, sfacciataggine e sfrontatezza, accompagnate da superbia, da curiosi personaggi che vanterebbero competenza: se non che, ekkoci qui, c’è ancora chi è in grado di smascherare tanta ignoranza e svelarne l’inconsistenza. Magari, noi?

Tante le istantanee a tema, ripetiamolo, comodamente rintracciabili in Rete, perfino in siti mirati e dedicati, In ordine temporale, per quanto riguarda la regina Elizabeth II, è obbligatorio partire con la celebrazione dei suoi sessant’anni, in emissione filatelica della Gran Bretagna: ovviamente, con macchina fotografica (Leica M3), per quanto ci interessa e compete. Forse.

Due emissioni coincidenti: ognuna con due francobolli, spesso accostati e uniti tra loro, rispettivamente da di-

Ancora fotografia alla corte di Gran Bretagna. Copertina del settimanale popolare Domenica del Corriere, del 13 marzo 1960: «Il fidanzamento di Margaret [contessa di Snowdon; seconda figlia di re George VI e sorella minore della regina Elizabeth II]. Interrotto un programma di musica leggera, la Bbc ha annunciato una notizia che ha rallegrato milioni di inglesi [perché, mai?], quella del fidanzamento di Margareth con il fotografo Anthony Armstrong-Jones. Walter Molino ritrae una simpatica scena [?] di cui sono protagonisti, al Castello di Windsor, la principessa e Mr. Jones».

ciassette e ventiquattro penny, semplificati in 17p e 24p. In precisazione, va ricordato che, prodotta dalla Zecca Reale, il penny è moneta britannica decimale, istituita il 15 febbraio 1971, quando la divisa del Regno Unito fu decimalizzata.

Entrambe le emissioni ripetono la stessa sequenza di sei soggetti, tre per ogni francobollo, del 21 aprile 1986. Nel secondo dei due, la seconda figura raffigura la regina Elizabeth II con una Leica M3 cromata, dotata di esposimetro esterno Leicameter; l’obiettivo non è certo, e difficilmente identificabile, ma -dalla posizione della leva della selezione delle inquadrature nel mirino multifocale- possiamo ipotizzare si tratti di un Summicron 50mm f/2, altrettanto indecifrabile in altre istantanee analoghe, con la regina in età più avanzata dei sessant’anni qui celebrati.

Quindi, a proposito di istantanee della regina Elizabeth II con Leica, registriamo anche Leica M6... e altro ancora.

Dai sessant’anni, scavalcati i settanta, passiamo alle celebrazioni degli ottant’anni della regina Elizabeth II (21 aprile 2006), equamente distribuiti su paesi del Commonwealth, formato da cinquantasei stati membri, che si riconoscono (ancora!?) nell’impero britannico. In un certo ordine alfabetico.

Sopra tutte, tre emissioni filateliche analoghe / coincidenti, dalle Ascension Island (Isole dell’Ascensione, traduzione infelice), Pitcairn Islands (Isole Pitcairn) e Solomon Islands (Isole Solomon). L’immagine della regina Elizabeth II con Leica M3, esposimetro esterno Leicameter e obiettivo 50mm (presumibilmente, Summicron f/2), a colori, come da istantanea nota e diffusa, è sempre la stessa: Ascension e Pitcairn, in accompagnamento di foglio Souvenir; Solomon, in francobollo da quindici dollari locali. Quindi, lo stesso soggetto Solomon è proposto anche con valore facciale di cinque dollari locali.

Infine, sul filo di lana, un anno fa, il 21 aprile 2021, le Isole Farkland, che nella primavera 1982 furono sorgente e origine di una guerra di territorio tra l’Argentina e il Regno Unito (dal due aprile al quattordici giugno), hanno celebrato i novantacinque anni della regina Elizabeth II con una emissione filatelica in sei valori: ovviamente, la registriamo perché uno dei sei francobolli

13
WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (4)
WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

UN’ALTRA PRINCIPESSA

Lo spessore e valore di questa cartolina dipende dal francobollo ufficiale delle nozze di Grace Kelly con il principe Ranieri III di Monaco (in serie di otto valori: cinque più tre), con relativo annullo del 19 aprile 1956, affrancato sul fronte di una illustrazione sostanzialmente generica (di otto francobolli), che -originariamente- ci ha attirati per la combinazione con Rolleiflex biottica. Una volta ancora, significato e partecipazione nel senso dei tributi e contorni alla fotografia: aneddotica e dintorni.

Sopra tutto, combinazione fotografica dell’immagine sulla cartolina: ritratto dell’attrice Grace Kelly con Rolleiflex biottica tra le mani (qui sopra, a sinistra). Il richiamo fotografico, che appartiene alla lunga e larga fenomenologia dei rimandi, è subito risolto: appunto dall’evidenza della fascinosa Rolleiflex biottica.

Quindi, come costume postale francese, il francobollo in affrancatura, per la spedizione (di questa cartolina “viaggiata”), sta sul fronte. Non è un francobollo semplice e comune, e neppure l’annullo è generico. Abbinati al ritratto a colori di Grace Kelly, appunto con Rolleiflex tra le mani, entrambi celebrano il matrimonio tra l’attrice e il principe Ranieri III di Monaco: 19 aprile 1956.

La cerimonia civile di quelle che la cronaca rosa internazionale del tempo definì “le nozze del secolo” fu celebrata il giorno prima, il diciotto aprile [«Vi ricordate quel diciotto aprile / d’aver votato democristiani / Senza pensare all’indomani / a rovinare la gioventù», di Lanfranco Bellotti, contadino, militante del Partito Comunista Italiano, scritto nel 1948, l’indomani della sconfitta del Fronte Popolare alle prime elezioni politiche italiane], mentre l’ufficialità del matrimonio è da-

Più che curioso il caso del foglio Souvenir, emesso il 30 novembre 2017 dal Principato di Monaco per l’International Philatelic Event MonacoPhil 2017, dedicato a La Philatélie de l’Amérique du Nord et du Sud. Oltre la principessa Grace -è ovvio e scontato-, Hércules Florence (Antoine Hercule Romuald Florence; 1804-1879), monegasco emigrato in Brasile, inventore di un processo fotografico negativo-positivo originario... prima del dagherrotipo ufficiale. Dimenticato dalla Storia!

La finestra sul cortile

tata alla sontuosa cerimonia religiosa nella St. Nicholas Church, cattedrale del Principato, ripresa per la prima volta in mondovisione: in un abito creato dalla costumista di Hollywood Helen Rose (corpetto in pizzo antico e gonna in taffettà), la ventiseienne attrice, regina del jet set, musa preferita di Alfred Hitchcock -con il quale aveva girato Il delitto perfetto (Dial M for Murder ; Usa 1954; con Ray Milland e Robert Cummings), La finestra sul cortile (Rear Window ; Usa, 1954; con James Stewart) e Caccia al ladro (To Catch a Thief ; Usa, 1955)-, sposò il trentatreenne sovrano di un Principato in raffinato equilibrio tra blasoni storici e mondanità contemporanea. Altri tempi, diciamolo.

In allungo, la Fotografia nel film La finestra sul cortile. Come ha rivelato il regista Alfred Hitchcock a François Truffaut, nella celebre intervista raccolta in volume (Il cinema secondo Hitchcock ; più recente edizione Il Saggiatore, del 2014), «Prima d’ogni altra cosa -prima di essere giallo, thriller, commedia-, La finestra sul cortile è un film sul cinema e sullo spettatore. Un film su quella perversione così largamente diffusa ai giorni nostri e alla quale nessuno può sottrarsi: il voyeurismo».

14
WunderKammer
(2)
MaurizioAngeloRebuzzini

è immancabilmente... Leica M3 dotata di esposimetro Leicameter. Raffigurazione classica tra i classici.

LONGEVITÀ (E ALTRO!)

Esauriti (?) i compleanni plausibili e cortesi, si passa alla celebrazione filatelica della monarchia inglese più longeva della Storia (e, molto probabilmente, più longeva in assoluto): 26 maggio 2016... dal 6 gennaio 1952, per sessantaquattro anni. La commemorazione in due fogli Souvenir di Saint Kitts (o St. Kitts), ufficialmente Saint Christopher Island, a Ovest dell’India. Il primo dei due comprende sei francobolli a tema, che accompagnano una istantanea della regina Elizabeth II. In tre di questi sei, la regina è raffigurata con macchine fotografiche, in pose semplici senza ostentazione alcuna: con l’ormai riconosciuta e frequentata Leica M3 con esposimetro esterno Leicameter (e, poi, binocolo, altrettanto al collo); con Rollei 35 Gold, in posizione di inquadratura (millecinquecento esemplari commemorativi, coniati nel 1970-1971); e con Leica M6 TTL, del 2002, dedotta (oppure, meno probabile, la coeva Leica M7).

Il secondo foglio filatelico Souvenir di St Kitts, per la longevità della monarchia di Elizabeth II, dello stesso 26 maggio 2016, ripropone la regina con Leica M3 e esposimetro esterno Leicameter, in inquadratura: raffigurazione che possiamo conteggiare come classica (iconica?), sia in assoluto, sia in trasposizione filatelica più che diffusa.

E questo è tutto.

In simultanea temporale, per così dire e conteggiare, un altro monarca è no-

to per la propria coerenza fotografica, certificata dalle tante istantanee che lo ritraggono con macchina fotografica al collo, sia in occasioni private, sia in cerimonie pubbliche: dalla Rete, tante e tante visualizzazioni.

Si tratta del re di Thailandia, dal 9 giugno 1946 alla sua scomparsa, il 13 ottobre 2016: Bhumibol Adulyadej (Phomibon Abulyadej Ramadhibodi Chakrinarubodin Sayamindaradhraj Boromanatbophit, in trascrizione Ipa; 1927-2016). Anche in questo caso, presenze filateliche più che numerose e consistenti, sia in celebrazione di proprie date, sia in collegamento al proprio mandato istituzionale. Da cui, consistente casellario in questa occasione redazionale-giornalistica.

Per completare, sempre in queste pagine, ulteriori corollari in forma monarchica e repubblicana.

Quella monarchica, in forma faraonica, arriva da un backstage del film I dieci comandamenti, di Cecil B. De Mille, del 1956: l’attore Yul Brynner con Leica M3. Quella repubblicana certifica la fotografia 3D del generale Ike Eisenhower, prima della sua elezione a presidente degli Stati Uniti: fotoreportage di David Douglas Duncan, in Life, del 17 marzo 1952. Con Stereo Realist.

Corollari filatelici e non. ■ ■

15
L’attore Yul Brynner (faraone Ramesses), nel film I dieci comandamenti, di Cecil B. DeMille, del 1956; il futuro presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower... stereo. Life , 17 marzo 1952 (fotoservizio di David Douglas Duncan) / WunderKammerMaurizioAngeloRebuzzini

NUVOLE NEL CIELO

In anticipo e complemento al portfolio Angelo e Nuvole, da pagina trentotto, semplifichiamo da www.cemer.it/nubi/.

Le nubi vengono classificate in base ad altitudine e estensione. Si distinguono in quattro-cinque famiglie, a espansione prevalentemente orizzontale: nubi alte, medie e basse. Occorre aggiungere la famiglia delle nubi a crescita verticale.

Nubi alte

Hanno l’aspetto di ciuffi soffici e delicati; si formano tra i seimila e i dodicimila metri di quota. A causa della temperatura molto bassa alla quale si plasmano, sono composte essenzialmente da cristalli di ghiaccio trasportati dai venti.

Sono di tre tipi.

• Cirri. Hanno l’aspetto di grandi piume biancastre, sottili, quasi trasparenti.

• Cirrostrati. Nubi molto alte e sottili, biancastre e quasi trasparenti. Tendono a conferire al cielo un aspetto lattiginoso. Indicano l’arrivo di una perturbazione.

• Cirrocumuli. Sono le nubi associate al famoso cielo “a pecorelle” [gergale]. Sono formate da piccoli fiocchi o batuffoli bianchi disposti in file o gruppi; di solito, annunciano l’arrivo della pioggia [dalla “saggezza” popolare: cielo a pecorelle... acqua a catinelle].

▶ Nubi medie

• Altostrati. Si presentano come una distesa nuvolosa più o meno densa di colore grigio o blu, liscia inferiormente.

Queste nubi possono produrre neve leggera o pioggia fine e fitta, ma -di solitosono così alte che le loro precipitazioni evaporano prima di arrivare a suolo.

• Altocumuli. Sono costituiti da nubi distinte molto vicine tra loro, a costituire strati di aspetto solitamente ondulato e fibroso, che assumono forme stravaganti di colore bianco o grigio. Si sviluppano tra i duemilacinquecento e i cinquemila metri di altitudine.

▶ Nubi basse

Queste nubi si trovano al di sotto dei duemila metri di quota; generano abbondanti piogge o nevicate, in relazione alla temperatura.

• Nembostrati. Nubi stratificate, generalmente di color grigio scuro, dalla base spesso non ben definita, che sconfinano spesso nella fascia delle nubi medie. Per la loro presenza, il cielo si mostra buio e tetro. Quando toccano il suolo, si parla di nebbia.

• Cumuli. A leggera espansione verticale, si presentano come cavolfiori o, meno spesso, come piccole torri.

• Strati e strotocumuli. Si tratta di nubi poco spesse e grigie, che si formano ad altitudini di circa seicento metri di quota. Si possono presentare a banchi e coprire totalmente il cielo. Spesso, derivano dalla nebbia formatasi al suolo. Di norma, non danno luogo ad alcun fenomeno atmosferico.

Nubi a sviluppo verticale

Di questa famiglia fanno parte gli stratocumuli, i cumuli e i cumulonembi. Nascono ed evolvono in seguito ai movimenti ascendenti e discendenti dell’aria. In particolare, grazie alla rapida ascesa dell’aria calda, possono raggiungere anche i dieci-dodicimila metri di altezza; nel qual caso, si considerano cumulonembi.

I cumulonembi sono le nubi più spettacolari. Si presentano imponenti nel cielo, a forma di torri, montagne o cupole. La sommità è generalmente bianca; invece, la base è di colore scuro intenso. I cumulonembi sono formati da masse di cumuli scuri e si possono estendere per tutta l’altezza della troposfera, quella parte dell’atmosfera nella quale si determina il tempo atmosferico. Accompagnano manifestazioni temporalesche, portano forti piogge, grandine o neve, oltre a fulmini e -in alcune circostanze- tornado.

▶ Altre nubi eccentriche

• Mammatus Clouds. Rarissime nubi che -nel cielo- assomigliano vagamente a un seno (mammella). È possibile scorgerle in situazioni di forte instabilità o dopo il passaggio di un temporale violento.

• Nubi lenticolari. Divise in tre tipologie, si formano prevalentemente accanto a catene montuose di altezze differenti. Le nubi lenticolari si formano e dissolvono. ■ ■

16
/ COMPLEMENTO OGGETTO / di Lello Piazza

CIAO, ZIO DOUGLAS

Non avrei mai pensato di dover salutare Douglas Kirkland in questo modo. I nostri pensieri, per fortuna, rimangono quasi sempre lontani dal brillante aforisma La vita è un’avventura da cui non si esce vivi, del vulcanologo francese Maurice Kraft, morto nel 1991 sul vulcano Unzen, in Giappone, quasi a dare ancora più intensità alla sua affermazione.

Ora: Douglas Kirkland è stato una persona meravigliosa, resa ancor più meravigliosa dalla presenza di sua moglie Françoise. Fu Grazia Neri a presentarmeli, mille anni fa.

Non capitava spesso di vederci, ma quando ci si incontrava, a Milano o altrove, era come ritrovare mio fratello e mia cognata.

Ogni volta che passava dalla California, mio figlio Niccolò andava a trovare gli zii Kirkland, a casa loro, in Wonderland Park Avenue, sulle Hollywood Hills, a Los Angeles. In un cerchio di raggio di meno di dieci miglia, si trovano i più importanti studi cinematografici delle major hollywoodiane (Paramount, 20th Century Fox, Universal, Warner Bros), teatri di posa presso i quali Douglas Kirkland ha lavorato così tanto spesso.

Mio nipote Matteo, quando andò in California per il brevetto di pilota, trovò da Douglas e Françoise una calda ospitalità, della quale ancora, in casa, si parla.

Torno a Douglas e al suo lavoro. Pochi, oggi, si ricordano del settimanale statunitense Look. Grande competitore di Life, simile veste grafica. Assunse Douglas Kirkland nello staff. Fu in tale ruolo che, nel 1961, gli fu as-

segnata una sessione fotografica con Marilyn Monroe. Quelle fotografie, scattate solo pochi mesi prima della misteriosa e controversa morte dell’attrice, del Mito, sono entrate nella leggenda della Fotografia, e hanno avviato la sua carriera professionale.

Non ricordo a memoria tutte le straordinarie immagini scattate da Douglas Kirkland. Mi faccio aiutare, sbirciando, su Wikipedia

Nel corso degli anni, hanno posato per lui da Man Ray al fotografo/pittore Jacques Henri Lartigue, al fisico Stephen Hawking. I suoi soggetti più celebrati sono state le star del cinema e della musica, i cui astri si sono allungati sui decenni: Romy Schneider, Audrey Hepburn, Sting, Björk (Biörk Guðmundsóttir), Mick Jagger, Arnold Schwarzenegger, Morgan Freeman, Orson Welles, Andy Warhol, Oliver Stone, Mikhail Baryshnikov, Leonardo DiCaprio, Judy Garland, Marlene Dietrich, Brigitte Bardot, Elizabeth Taylor, Sophia Loren, Catherine Deneuve, Michael Jackson, Paris Hilton, Peter Falk e Diana Ross.

A Coco Chanel, senza ombra di dubbio la più celebre stilista di tutti i tempi, con la quale Douglas Kirkland trascorse ventuno giorni, nel 1962, è dedicato il delizioso libro Coco Chanel: Three Weeks / 1962 . I suoi ritratti di Charlie Chaplin e di John Travolta si trovano esposti nella prestigiosa e autorevole National Portrait Gallery, di Londra.

Douglas Kirkland è stato il fotografo di scena di alcuni film di grande successo, non soltanto commerciale; tra i tanti: 2001: A Space Odys-

18
/ IN RICORDO / di
Lello Piazza 1969. Immagine-simbolo di Douglas Kirkland scattata in Irlanda durante la realizzazione del documentario Good Bye Home, sul perché la popolazione stava lasciando il paese. La moglie Françoise è sul carro sullo sfondo, al lavoro con il registratore di suoni. Judy Ross

sey ( 2001: Odissea nello spazio), di Stanley Kubrick, del 1968; The Sound of Music (Tutti insieme appassionatamente), di Robert Wise, del 1965; Sophie’s Choice (La scelta di Sophie), di Alan J. Pakula, del 1982; Out of Africa (La mia Africa ), di Sydney Pollack, del 1985; The Pirate Movie (Il film pirata ), di Ken Annakin, del 1982; Butch Cassidy and the Sundance Kid (Butch Cassidy ), di George Roy Hill, del 1969; Romancing the Stone ( All’inseguimento della pietra verde), di Robert Zemeckis, del 1984; Titanic, di James Cameron, del 1997; Moulin Rouge!, di Baz Luhrmann, del 2001; Fahrenheit 451, di Françoise Truffaut, del 1966. Nel 1995, Douglas Kirkland ha ricevuto un premio alla carriera dall’American Motion Pictures Society of Operating Cameramen.

La sua monografia illustrata James Cameron’s Titanic, del 1998, è stata la prima del proprio genere a raggiungere la vetta nell’elenco dei best seller del qualificato quotidiano The New York

mostra analogamente grandiosa Douglas Kirkland. Fermo Immagine, con baricentro affine [sulla pagina a sinistra, in basso, l’invito: posato simbolico e ironico dell’attore inglese Peter Sellers nelle strade di Roma (inconfondibili!), in veste di paparazzo, realizzato nell’estate 1965, nei giorni di riprese del film -poco apprezzato- Caccia alla volpe, di Vittorio De Sica, su sceneggiatura di Neil Simon e Cesare Zavattini].

PS. Da una intervista a Douglas Kirkland del National Museum of American History, del 29 settembre 2017. Nel passaggio Catturare con la fotografia lo spirito delle celebrità: «Ho realizzato ritratti di Elizabeth Taylor, nel 1961; e questo ha dato una considerevole spinta alla mia carriera. Mi sono avvicinato alla fine di una intervista e le ho detto: “Elizabeth, sono nuovo in questa rivista [ Look Magazine ]. Riesci a immaginare cosa significherebbe per me se mi dessi l’opportunità di fotografarti?”... “Va bene, vieni domani sera”.

«Verso la fine della sua carriera, ho trascorso un mese con Judy Garland. Sono andato a Toronto e Los Angeles con lei e la sua famiglia. Judy era fragile, ma amava essere al centro dell’attenzione. Alla fine, volevo ottenere qualcosa di speciale. Le ho detto: “Abbiamo realizzato molte belle fotografie; ne vorrei una più privata. Si è voltata di lato e ha iniziato a piangere sommessamente... ripensava alla sua vita difficile. L’ho rassicurata dolcemente. Alla fine, osser

Times. Quindi, a seguire, cito un altro suo libro più che considerevole: A Life in Pictures, pubblicato nel 2013. Nel 2017, in occasione del suo ottantesimo compleanno, in apertura della Settantaquattresima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica, di Venezia, in collaborazione con il settimanale Vanity Fair, l’Istituto Luce Cinecittà lo ha celebrato con l’imponente retrospettiva Douglas Kirkland: A Life in Pictures

Un mese più tardi, nell’ottobre Duemiladiciassette, al MAXXI di Roma, con Douglas Kirkland e Françoise, abbiamo festeggiato l’inaugurazione di un’altra

Su FOTOgraphia, oltre altre presenze (Marilyn Monroe, sopra tutte, ma non soltanto), Douglas Kirkland è stato uno degli autori invitati che hanno “illustrato” l’edizione speciale e provocatoria (ammesso che) Vogliamo parlarne?, altrimenti conosciuta come Numero Nero, oppure Black Issue, dell’aprile Duemilaundici.

Per molti motivi, Douglas Kirkland ha un posto nell’Olimpo dei personaggi leggendari della Fotografia.

commosse: “Questa è la fotografia che vorrei avere sempre appesa in casa”.

Douglas Kirkland e sua moglie Françoise fotografati al MAXXI di Roma, nel dopo-inaugurazione della mostra Douglas Kirkland. Fermo Immagine, ottobre 2017 (invito sulla pagina accanto).

È mancato lo scorso due ottobre, a ottantotto anni.

«Ho fotografato Marilyn solo in una occasione. Abbiamo scattato a Hollywood. Mi disse: “So di cosa abbiamo bisogno. Una bottiglia di champagne Dom Pérignon, un letto, lenzuola di seta bianca e musica di Frank Sinatra. E io non indosserò nulla”. Poi, ha insistito: “Le lenzuola devono essere di seta”. Riuscite a immaginare cosa può aver provato un ragazzo di Fort Erie, in Ontario, sentendo queste parole?».

19
■ ■
FOTOgraphia, aprile 2011: Vogliamo parlarne? / Numero Nero / Black Issue 26 agosto 1997. Douglas Kirkland con Niccolò Piazza, in occasione del suo diciannovesimo compleanno. Vincenzo Cottinelli Lello Piazza Archivio FOTOgraphia

VOYEUR

In altra parte della rivista, su questo stesso numero, richiamiamo una certa personalità “fotografica” di Grace Kelly, attrice e -poi- principessa di Monaco (Principato di Monaco), in allungo sulla convergente identica particolarità della regina Elizabeth II... a propria volta, abbinata ad apparecchi fotografici. Grace Kelly attrice è stata co-protagonista nel film La finestra sul cortile (Rear Window ), di Alfred Hitchcock, del 1954.

A quanto rivelato/rilevato nell’intervento redazionale appena richiamato, aggiungiamo che La finestra sul cortile è altresì un film sul cinema e sugli spettatori: tanti voyeur nascosti nel buio della sala, curiosi, morbosamente attratti da quello che accade oltre... quella finestra.

Ma non è di questo che ci occupiamo, e neppure di altre particolari componenti cinematografiche della pellicola, tra le quali spicca la scenografia unica, che impone allo spettatore di guardare tutto dal punto di vista del protagonista. Invece, e al solito, sottolineiamo la componente fotografica del film, nel cui cast Grace Kelly è l’interprete principale femminile.

Immobilizzato in casa da un incidente sul lavoro, un fotoreporter usa un teleobiettivo (il Kilfitt Fern-Kilar 400mm f/5,6 su reflex Exakta) per scrutare l’intimità degli appartamenti di fronte al suo: così facendo, sco pre un omicidio. Anco ra, alla conclusione del film, il protagonista L. B. Jefferies (l’attore James Stewart) resiste all’ag gressione dell’assassino, difendendosi a colpi di flash a lampadine, che accecano il pur coriaceo Lars Thorwald (il bravo attore Raymond Burr, noto per le serie televisive cult dell’avvocato Perry Mason e dell’investigatore paraplegico [Robert] Ironside, del passato remoto).

In La finestra sul cortile, Grace Kelly interpreta la sofisticata Lisa Carol Fremont («che non porta mai lo stesso abito due volte»), fidanzata di L. B. Jefferies, che vuole convincere a lasciare il fotoreportage per la più remunerativa fotografia di moda.

Significativo è il dialogo, dalla cui retorica prendiamo le distanze. Ma la proposizione è necessaria, quantomeno dal punto di vista fenomenologico dell’immagine (immaginario) della fotografia, e in particolare del fotoreportage, all’esterno dei propri confini istituzionali e oltre le convinzioni dei propri addetti reali.

«Ho parlato di te tre volte nelle mie notizie mondane, oggi… e non si compera, certa pubblicità».

«Ah, lo so».

«Un giorno, potresti deciderti ad aprire un tuo studio qui, a New York».

«E... e come potrei gestirlo, diciamo dal... dal Pakistan?».

«Jeff, non ti sembra l’ora di sistemarti? Potresti scegliere i tuoi servizi».

«Ce ne fosse almeno uno che mi va».

«Allora, fallo tu quello che vuoi».

«Cioè, lasciare la mia rivista, il fotogiornalismo?».

«Sì».

«Per che cosa?».

«Ma, per te stesso... per me. Potrei affidarti anche domani una dozzina di servizi... ritratti, moda...».

«Eh, eh, eh».

«No, non ridere. Io posso farlo».

«È proprio questo che mi spaventa. Mi ci vedi tu, ad arrivare a una sfilata di modelli in jeep, con gli stivali sporchi di fango e la barba lunga di un mese? Pensi che farei effetto?».

«Io invece ti vedrei molto elegante ed ammirato, in un bel gessato blu».

«Oh, Lisa, smettiamola di dire sciocchezze. D’accordo?».

In chiusura, una sola altra annotazione su La finestra sul cortile, tanto per non lasciare nulla in sospeso. Annotiamo che si tratta di una sceneggiatura dinamica, il cui protagonista è una figura statica, che si trova in un’unica posizione, all’interno di una stanza, per tutto il film. È cinema allo stato puro. L. B. Jefferies (James Stewart) guarda fuori dalla propria finestra, verso il cortile: osserva. Il pubblico registra ciò che lui sta osservando, tramite le espressioni del suo volto. È autentica immagine visiva: la mobilità del volto, l’espressione, è usata come contenuto della pellicola. Tagli dell’inquadratura, primi piani, controcampo.

Eccoci, è cinema.

20
■ ■ / CINEMA / di Maurizio
Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini La fotografia è discriminante nel film La finestra sul cortile, di Alfred Hitchcock, del 1954.

TELEMEGOR

spaziato più di tutti, ma ci limitiamo a ricordare l’Apo Lanthar, gli Skopar, gli Heliar e gli avveniristici (per il tempo) Zoomar.

Oltre quanto realizzato per fotografia piccolo e medio formato, analoga la vicenda di Schneider e Rodenstock in ambito di fotografia grande formato (dal 4x5 pollici / 10,2x12,7cm, in su): rispettivamente, almeno, Super-Angulon, Symmar, Xenar e Grandagon, Sironar, Geronar, tutti con relativi aggiornamenti “Apo”, “Macro” e, alla fine delle rispettive Storie evolutive, “Digital”.

Da cui, per quanto affrontato qui e ora, la gamma di obiettivi Telemegor, entro la cui sequenza di focali selezioniamo il 300mm f/4,5, sta per “teleobiettivo Meyer Görlitz”, includendo nella propria definizione sia l’indirizzo fotografico (teleobiettivo), sia il produttore (Meyer Görlitz): per una descrizione ufficiale Telemegor 4,5 / 300 Meyer-Optik Görlitz. Tra le nostre mani, l’esemplare con numero di matricola 3.111.724, che decodifichiamo comprensivo di cifre in codice, escludendo a priori che si tratti soltanto di un conteggio produttivo (a meno che, riconosciamolo, non si riferisca a tutta la produzione ottica della nobile e accreditata azienda tedesca).

Nello specifico, il Telemegor è valutato come disegno ottico pioniere della interpretazione tele per fotografia piccolo e medio formato: quattro lenti in due gruppi. A questo proposito, va rilevato che il riconoscimento “tele” tiene conto assoluto dell’originalità della combina

22
di Antonio Bordoni Antonio Bordoni Meyer-Optik GÖrlitz Telemegor 300mm f/4,5, su Exakta Varex IIa.

La tutela di questo brevetto decadde il 16 giugno 1934: quindi, altri produttori di obiettivi poterono applicare la mede-

sima combinazione e realizzare propri teleobiettivi. Tra questi, due in partico lare: Schneider Kreuznach (Tele-Xenar e, poi, Tele-Arton) e Meyer-Optik Görl itz, con il Telemegor f/5,5, che nacque nella cadenza di focali 150mm, 180mm, 250mm e 400mm; alle quali, si aggiunse ro presto altre tre combinazioni: 75mm, 100mm e 150mm, con apertura relativa f/4, assolutamente ardita per l’epoca.

Per quanto basato sui princìpi del Te le-Tessar, il disegno Telemegor, accredi tato all’ottico Stefan Roeschlein (18881971), ha abbandonato le lenti a menisco fortemente curve, per adottare forme più semplici. Comunque, la combina zione di quattro lenti in due gruppi ri mase punto fermo di una costruzione fotografica leggera e agile, caratterizzata da una resa di alta qualità, per quanto ancora priva di rivestimenti anti riflesso, che sarebbero arrivati in seguito. Rima ne il fatto che, all’epoca -secondi anni

Trenta del Novecento-, per la prima volta fu possibile riprendere oggetti distanti con l’ausilio di attrezzature fotografiche facilmente trasportabili e compatte.

Per proprietà ottiche, che nel frattempo inclusero anche un filtro anti UV integrato, venne trovato un adeguato compromesso tra le focali 250mm e 400mm, entrambe f/5,5 di apertura relativa, con la realizzazione del pregiato Telemegor 300mm f/4,5 (eccoci qui), con disegno ottico modificato e finalizzato.

Questo teleobiettivo è stato uno dei primi grandi progetti ottici degli anni Cinquanta del Novecento, che stabilisce altresì il successo commerciale Meyer-Optik Görlitz. Per migliorare il Telemegor, lo schema fu ricalcolato sulla base di nuo-

Dépliant (1956) / WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini
CENTOPERCENTOINASTA 1 ASTA 100 FOTOGRAFIE 100 AUTORI 100 fotografie donate da 100 autori per un asta in favore di FOTOgraphia , affinché possa continuare a percorrere il proprio cammino e alimentare la riflessione sulla Fotografia utile e indispensabile nella contemporaneità del Pensiero attorno a... IN DATA DUEMILA 23 DA STABILIRE MOLTO PROBABILMENTE Siete invitati a un appuntamento di impegno e valore per sostenere la rivista FOTOgraphia equinozio di primavera ? DATA IPOTIZZATALUNEDì20 MARZO 2023

Lievemente

Lo scorso ventiquattro settembre, a ottantatré anni, è mancata Giuliana Scimé, senza alcuna ombra di dubbio la personalità più autorevole dell’analisi fotografica italiana; addirittura, l’unica con proiezione internazionale. Per ricordarla con la lievità che ha caratterizzato la nostra intensa frequentazione, prima del suo trasferimento sull’isola di Bali, in Indonesia, richiamiamo qui una cartolina personalizzata al nostro direttore Maurizio Rebuzzini, dai Rencontres d’Arles, il 10 luglio 1999... in anticipo e indipendentemente dal suo (successivo) coinvolgimento con la presenza della Fotografia in filatelia: coincidenze della Vita?

Al traguardo del cammino, una volta approdati alla trasformazione in libro, Giuliana Scimé avrebbe dovuto partecipare alla conclusione di queste scomposizioni e ricomposizioni tra Fotografia, francobolli e Vita nel proprio svolgersi, con una sua prefazione: così come aderì ed intervenne nell’edizione di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, altrettanto in prefazione. Il Tempo, l’ha sottratta.

Quindi, è venuta meno una promessa reciproca tra lei e Maurizio Rebuzzini: «Ci rivedremo con Mo-Ti, mi hai lanciato una sfida».

Ci mancheranno le sue argute considerazioni. Per cui, riprendiamo dalla prefazione compilata nel Duemilanove, appena ricordata: «Sì, Rebuzzini segue il filo logico della cronologia, ma ciò che davvero affascina, ed è il pregio della sua fatica, sono le riflessioni, personalissime [...]; riflessioni, condivisibili o meno, che, comunque, stimolano il pensiero di ognuno di noi. [...]

«Esemplare è la sua attitudine nell’affrontare il dibattito sul digitale: non esprime giudizi, piuttosto la sua analisi esorta a considerare che cosa rappresenta, oggi, e quali possibili conseguenze creative potrebbe avere in futuro.

«Già, perché è la creatività che prende la passione di Rebuzzini, consapevole, fra i pochissimi, che l’evoluzione della tecnica, se è encomiabile meraviglia, sarebbe fine a se stessa se non venisse al servizio dell’idea.

«E tutti questi nodi non sono isolati contrappunti, ma momenti focalizzanti di un racconto armonico che Maurizio Rebuzzini conduce con maestria, ed inevitabile per lui, gentile ironia. Però, non lasciatevi fuorviare dalla lievità di certi episodi. La lievità, la sottintesa impertinenza sono brillanti mezzi da abile saggista per alleviare la tensione di un argomento fin troppo serio, e trattato con la più assoluta consapevolezza del sapere.

«E lievità, impertinenza e autentico sapere sono esaltati dalle immagini che illustrano il percorso di questa nuova storia della fotografia. Immagini così godibili, e la maggior parte inconsuete, frutto di una ricerca che ha impegnato e impegna Rebuzzini da una vita, da essere di per se stesse una rivelazione da meditare e che ci arricchisce, regalandoci un universo iconografico ignorato dai più. [...]

«Bene, dopo aver letto e riletto i capitoli di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita provo invidia per Maurizio Rebuzzini, vorrei essere io così geniale e preparata e svincolata da qualsiasi pregiudizio per mettere insieme una narrazione tanto agile quanto acuta ed intensa».

Già: lievità. Ma anche, e soprattutto, onestà intellettuale. La sua!

Pillola con Kirkland

Sullo scorso numero, con data di copertina settembre-ottobre, è stata presentata la rigogliosa personalità di Sandro Vermini, di Genova, alias Pillola, fotografo genovese che, a giutinua ad esercitare la professione e

(2)

Con l’occasione, illustrammo con un suo ritratto ripreso a Manhattan, all’ingresso dell’Annex Antique Market, sulla Ventitreesima, il 30 ottobre 1999: tra le mani, l’identificazione di Douglas Kirkland, del quale, oggi, commemoriamo la scomparsa (lo scorso due ottobre, a ottantotto anni), recuperata allo speech che il celebre fotografo svolse in città: qui, replichiamo. In sua partecipazione, Sandro Vermini ha tenuto un ricordo, per l’appunto il riconoscimento formale, che si è

Quindi, in postilla, porzione certificatrice di un suo acquisto, presso il celeberrimo B&H, sempre a NYC, della monografia Light Years: 3 Decades Photography Among the Stars (1989), dello stesso Douglas Kirkland, il 2 novembre 2001. Incroci! E Coincidenze?

26 / CORSI E RICORSI /
Maurizio Rebuzzini
MaurizioAngeloRebuzzini
WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini
WunderKammer

Limited edition per due

Abbiamo già avuto modo di certificare l’eccellenza -formale e di contenutodella gamma di obiettivi TTartisan in baionetta Leica M; da cui: TTartisan M... estetica della funzionalità. Tra tanto, è stata sottolineata la particolarità esuberante dell’affascinante TTartisan f/5,6, in livrea d’annata.

In attualità tecnico-commerciale, ne sono state annunciate due Limited Edition : una Gold e l’altra Titanium. Entrambe in tiratura limitata, come si conviene, anche in ambito fotografico, sono indirizzate a clienti più che competenti, capaci di apprezzare la raffinatezza della forma in consistenza di contenuti. Il prezzo di vendita-acquisto suggerito non è certo proibitivo: data la affascinante e raffinata personalità Limited Edition (sia Gold, sia Titanium), soltanto 479,00 euro, aliquota Iva compresa, magari con margini di negoziazione individuale.

Per quanto sia necessario farlo, anche questo indirizzo Limited Edition conferma la vocazione TTartisan verso quell’estetica formale che accompagna il gesto fotografico (Rinowa, via Francesco Datini 27, 50126 Firenze; www.rinowa.it).

Fotografie nel Cuore

Torniamo con il pensiero e la riflessione alla deliziosa raccolta 16 photos que je n’ai prises, di Benoît Grimalt, presentata e commentata lo scorso marzo-aprile. Un supplemento è necessario, oltre che doveroso. Spesso, le fotografie che non abbiamo scattato ci rimangono fatalmente nel Cuore. Non necessariamente rimpiangiamo l’occasione perduta; più spesso, le evochiamo al pari di quelle scattate.

Li ricordiamo

Che Lezione!

Personaggio ingiustamente screditato (anche su queste pagine, ahinoi), oltre la propria Fotografia, lo statunitense Stephen Shore ha raccolto in volume l’insieme delle sue esperienze didattiche di alto profilo.

La monografia Lezione di fotografia - La natura delle fotografie , in edizione Phaidon Press, del 2009, è tra le letture più confortanti per coloro i quali si occupano di Fotografia.

Fotoreportage d’annata

Leggenda vuole che alla presentazione ufficiale della Fotografia, in forma di dagherrotipo, lunedì 19 agosto 1839, alle Académie des sciences e

Sabato 17 maggio 1997, sono stati assegnati gli ultimi sette Horus Sicof, selettivo e autorevole riconoscimento a personalità della fotografia italiana, dalla sua discussione al commercio. Ultimi sette, perché quella fu l’ultima edizione del Salone Internazionale Cine Ottica Foto e Audiovisivi, accreditato appuntamento fieristico avviato dal coraggioso Roberto Pinna Berchet, nel 1969. Sul dopo... Nella fotoricordo di Angelo Mereu, accanto a Lanfranco Colombo, direttore della Sezione Culturale, dalla quale dipendeva l’Horus Sicof, i sette gratificati: da sinistra, Luciano Scattolin (Foto-Notiziario), Giovanni Gastel (fotografo), Maurizio Rebuzzini (FOTOgraphia), Abramo Manfrotto (Manfrotto + Co), Carla Novi (Ilford Italia), Egon Parth (Onceas [Fujifilm]), Giuliana Scimé (storica della fotografia).

Quattro (cinque) di loro ci hanno lasciati. Sono da qualche altra parte, non più qui. Li ricordiamo con affetto.

Académie des beaux-arts, in seduta comune (successiva all’annuncio di lunedì sette gennaio, alla sola Académie des sciences), sarebbe stato affermato che da lì in avanti non sarebbe più accaduto nulla senza la registrazione fotografica.

Mica vero: prima dello smartphone con funzioni fotografiche, effettivamente in mano a tutti, non c’è mai stata la possibilità di registrare la Vita minuto per minuto.

Tanto che, per decenni, in assenza di fotografie giornalistiche pertinenti, il settimanale La Domenica del Corriere ha realizzato copertine affrescando avvenimenti di cronaca, via via affidati a illustratori di valore.

Per esempio, qui visualizziamo la ricostruzione fantasiosa dell’attentato fallito al presidente statunitense Harry S. Truman, del 9 novembre 1950, sulla copertina datata dodici novembre (in cronaca serrata; illustrazione di Giorgio De Gaspari).

Vogliamo intenderla così: a complemento del fotogiornalismo, questo tipo di illustrazione in cronaca ha raccontato la Storia... nel proprio svolgersi.

27
richiami da argomenti affrontati in precedenza, a cura di Angelo Galantini Angelo Mereu WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

POVERO FENTON

Assente dalle Storie della Fotografia, John McCosh (oppure, John MacCosh, o James McCosh; 1805-1885), chirurgo dell’esercito scozzese che ha prestato servizio in India e Birmania, in approfondimenti di origine britannica, è ricordato anche per fotografie documentarie (calotipie) che ha realizzato a metà Ottocento. Addirittura, si sottolinea la sua presenza fotografica durante la Seconda guerra anglo-sikh, del 1848-1849, e della Seconda guerra birmana, del 1852-1853.

Entrambe queste date sono antecedenti alla Guerra di Crimea (1853-1856), per la quale le Storie della Fotografia datano la presenza di Roger Fenton (18191868), conteggiandolo come primo fotografo di guerra. E qui nasce l’inghippo; se vogliamo, la trappola. Infatti, bisogna intendersi sui termini, si deve adottare una linea di pensiero, va stabilito un minimo comun denominatore. Ma anche due.

Anzitutto, i conflitti indiani e birmani potrebbero essere considerati locali e conteggiati a conseguenza. A differenza, la Guerra di Crimea meriterebbe l’epiteto e l’appellativo di proto Guerra mondiale, considerate le forze in campo e le trasversalità in alleanza politica e strategica. Riferiamone, per tratti generali.

La Guerra di Crimea fu un conflitto diplomaticamente complicato e articolato. Contesa per il controllo dei Balcani e del Mediterraneo, ufficialmente, oppose la Russia all’Impero Ottomano (Turchia). Se non che, per mille altre scaltre convenienze e connivenze, l’Impero Ottomano fu sostenuto militarmente da Francia e Gran Bretagna (con il moderato appoggio di una spedizione piemontese, ovverosia italiana, pre Unità).

Il 4 ottobre 1953, la Turchia dichiarò guerra alla Russia, ed estese le operazioni belliche dal Danubio al Caucaso: Sebastopoli, massimo porto russo sul Mar Nero, fu accerchiata in uno stretto assedio. Il generale principe Michail Dmitrievič Gorčakov (1793-1861) tentò di risollevare le sorti russe, ma -il 16 agosto 1855- venne sconfitto nella battaglia della Cernaia. Da qui, si giunse al Congresso di Pace di Parigi (25 febbraio - 16 aprile 1856), durante il quale, forte della partecipazione alla Guerra, il diplomatico piemontese Camillo Benso, conte di Cavour, sollevò e affermò la questione dell’unità e indipendenza dell’Italia.

Ora, la Fotografia.

Nel marzo 1855, su incarico della regina Vittoria, Roger Fenton, fotografo vicino alla casa reale, parte per fotografare la Guerra di Crimea; l’attrezzatura è su un carro fotografico. Data l’imponenza della propria missione e azione consapevole e professionale, Roger Fenton è nella Storia della Fotografia come primo fotografo di guerra. Meritatamente.

In Inghilterra, la Guerra in Crimea è impopolare; il clima politico e sociale è contrario alla guerra, della quale arrivano in patria le crude corrispondenze giornalistiche di William Howard Russell (1820-1907), autorevole e seguìto inviato del London Times : drammatici resoconti sulla condotta del conflitto, che puntavano il dito soprattutto sulle terribili condizioni climatiche che i soldati inglesi erano costretti ad affrontare senza l’equipaggiamento adatto.

In tempi di collodio umido, l’attrezzatura di Roger Fenton è quantitativamente impressionante. Un carro originariamente utilizzato da un commerciante di vini (leggenda metropolitana?) è adibito a laboratorio: trasporta settecento lastre di vetro (da emulsionare), cinque apparecchi fotografici, prodotti chimici per la stesa dell’emulsione e il successivo trattamento di sviluppo, seicentotrentasei casse di materiali e viveri per gli uomini e i cavalli.

Nel marzo di esordio, le condizioni climatiche sono favorevoli all’impiego delle lastre al collodio umido. In questo periodo, la luce e la temperatura erano quanto di meglio un fotografo potesse desiderare. Con l’avanzare della stagione, la luce si fa più intensa e la temperatura aumenta. Il collodio asciuga troppo

velocemente; i bagni di nitrato d’argento devono essere rinfrescati più spesso.

A margine, sottolineiamo che la Guerra di Crimea è stata afflitta da condizioni ambientali avverse, con disagi conseguenti: ci furono più morti per malattie che per combattimenti e ferite. Ovvero: degli oltre seicentotredicimila soldati morti in Crimea (613.516), quasi cinquecentomila si devono a malattie (494.621) e soltanto centodiciannovemila sono morti per ferite da combattimento (118.895).

A conseguenza della diversa articolazione del concentrato intervento fotografico di Roger Fenton in Crimea e della casualità sostanziale delle fotografie di John McCosh in India e Birmania, per quanto queste seconde siano antecedenti, non priveremmo Roger Fenton del suo primato. La difformità ci pare sostanziale: intervento consapevole da una parte, presenza casuale dall’altra, senza alcuna intenzione autenticamente e concentratamente professionale.

Ma tant’è, per qualcuno, estraneo al circuito del ragionamento fotografico e relativo approfondimento lessicale, le date anticipate di John Mc Cosh bastano (e avanzano?) per contarle come basi sufficienti per riconoscerlo come primo fotografo di guerra.

A sostegno di questa attestazione vanno registrate analisi dello scozzese Roddy Simpson, critico autorevole. A proposito delle fotografie di John McCosh, ha scritto: «Date le circostanze, le immagini sono considerevoli e, indipendentemente dal merito artistico, sono storicamente molto importanti». Nulla da eccepire sul piano storico, per quanto rimaniamo aderenti alla nostra distinzione tra intervento fotografico consapevole e scatti casuali.

A conclusione di tanto, per quanto non di tutto, la tesi della primogenitura di John McCosh è stata formalizzata, addirittura consacrata, da una voce comunque la si intenda accreditata... e non stiamo ironizzando. Sul settimanale La Settimana Enigmistica, numero 4314, del 27 novembre 2014, nella rubrica Forse non tutti sanno che..., la rivelazione numero 32.357 recita così: «Il primo reportage fotografico di guerra fu realizzato in India da John McCosh, nel conflitto tra Inglesi e Sikh del 1848-49».

Ne prendiamo atto. ■ ■

28
/ REVISIONE STORICA / di Angelo Galantini
Da La Settimana Enigmistica / 4314, del 27 novembre 2014; rubrica Forse non tutti sanno che... WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini

ANTONIO BORDONI

Altri mondi, stessa partecipazione? Passioni confrontabili? In forma di portfolio, forse, non è detto (ma), illustriamo con un passo fotografico scandito da volti caricaturati di Cosplayer che hanno animato l’edizione Duemilaventidue di Lucca Comics & Games, indirizzata e rivolta alla Speranza (per l’appunto, Hope), in tutte le proprie personalità avverabili. Ritratti (?) che prendiamo a pretesto per accompagnare e indurre con efficacia (?) considerazioni / riflessioni parallele, che ci stanno particolarmente a cuore. Ovviamente, in proiezione fotografica. Complice l’esposizione fisheye di Antonio Bordoni, che agisce qui attorno a noi e con noi, mondi, clima, personalità in confronto diretto. Per quanto, non statico

UN PO’ COSì... CON QUELLA FACCIA

Uno dei tanti momenti che hanno animato e qualificato la recente edizione Duemilaventidue di Lucca Comics & Games, fin troppo ricca di avvenimenti e appuntamenti mirati, oltre l’impianto stabile degli editori espositori, ha celebrato i sessant’anni di Spider-Man, uno dei supereroi Marvel Comics, probabilmente il progenitore di una stirpe e discendenza più che prolifica. A parte la ricorrenza acclamata, tra le strade di Lucca, migliaia di Cosplayer in costume: molti dei quali con famiglia appresso, figlioletti compresi, altrettanto in “abito” adatto, a certificare -se servisse farlo- la trasversalità, serenità e popolarità del personaggio. Parliamone, prima di affrontare altro e arrivare al nocciolo della questione, quantomeno secondo nostre intenzioni.

Il supereroe Spider-Man, che nella vita newyorkese di tutti i giorni è il ragazzo Peter Parker, senza troppe pretese o ambizioni (peraltro, nota parallela, con passione per la fotografia), è stato creato dallo scrittore Stan Lee (Stanley Martin Lieber; 1922-2018), uno dei giganti della letteratura a fumetti, e visualizzato dal disegnatore Steve Ditko (Stephen John Ditko; 1927-2018). Il suo esordio avvenne nell’agosto 1962 -ed ecco il sessantenario-, sul numero quindici del periodico Amazing Fantasy. Chiudiamola qui, rimandando semmai ad approfondimenti personali e individuali. Oltre le avventure su carta, Spider-Man è stato soggetto di film, programmi televisivi, romanzi, videogiochi e opere teatrali.

In allungo consequenziale, al Lucca Comics & Games 2022 / Hope, all’interno della fantastica e coinvolgente quantità e

32
di Angelo Galantini (Franti)

qualità di Cosplayer presenti, che hanno sfilato lungo le strade entro le mura rinascimentali della città per cinque giorni (in quantità minore, martedì Primo novembre di chiusura), sono stati evocati altri supereroi, nucleo consistente di una inventiva e creatività interpretativa che non conosce confini. Se questi Cosplayer-supereroi si sono proposti ufficialmente come tali, il minimo comun denominatore che avvicina, accosta e assimila tutti i Cosplayer, fino a uguagliarli, è il loro essere autentici e convalidati... eroi.

Eroi che compiono immani sacrifici personali per esprimere la propria vitalità e, perché no?, arte. Sacrifici che si estendono lungo il tempo e oltre quanto solitamente accettabile, giorno per giorno. Per truccarsi a dovere, ed essere pronti all’appuntamento con l’avvio delle giornate del

Lucca Comics & Games, per quanto riguarda il riferimento odierno, in attualità, si svegliano alle prime luci del giorno e preparano accuratamente i propri trucchi, soprattutto facciali. Quindi, nel corso della giornata, in perenne cammino lungo le strade della città, sempre sereni e allegri, sempre a disposizione di ognuno, soprattutto di coloro i quali -professionisti e pubblico generico- li vogliono fotografare, portano spesso addosso paramenti pesanti, ingombranti e non traspiranti. A domanda diretta, un Cosplayer ha risposto serenamente... per l’arte, questo e altro.

Da qui, in collegamento di dovere, i ritratti -o pseudo talirealizzati da Antonio Bordoni, qui in portfolio; detta meglio, in passerella serrata nella propria messa in pagina. Cooperatore assiduo e costante delle nostre pagine, in misura di

33

testi, questa volta, Antonio Bordoni è venuto -per così direallo scoperto: non tanto come autore, identità dalla quale si tiene ben lontano, ma spettatore e partecipante dell’evento registrato. Con parole prima pensate e poi scritte, il percorso è analogo, perfino identico nella propria ripetizione e sostanza: osservare, piuttosto di giudicare e pensare, invece di credere. Ancora, indipendentemente da ogni individualità propria, accettare e avvicinare qualsiasi diversità possibile e potenziale, per aggiungere al proprio animo, al proprio cuore, le bellezze altrui.

Con uso scartato a lato di entrambi i sostantivi, come autore fotografo, Antonio Bordoni si è fatto da parte. Non tanto con un passo a lato, ma -addirittura- con un passo indietro. Per motivi logistici, date le intenzioni, in origine,

non ha potuto accantonare nessuno dei due sostantivi -fotografo, per forza di cose; autore, in conseguenza intenzionale, volontaria e consapevole-, ma li ha scemati di tono, fino ad annullarli quasi, per lasciare la scena ai soggetti, protagonisti autentici e unici.

Di modo che è più che legittimo escludere ogni possibile impronta autoriale (pardon), per elevare la sola personalità dei soggetti: protagonisti unici dell’intera vicenda. In fisheye con inquadratura e composizione a pochi centimetri dai volti, la pur necessaria mediazione fotografica è soltanto condizione necessaria e doverosa: nulla di più, nulla di diverso da una semplice trascrizione visiva; forse, in sola forma di copia, duplicato o riproduzione. E qui, e ora, è imposta una precisazione di metodo, che appartie-

34

ne a pieno diritto al lessico fotografico, alle sue intenzioni, ai suoi propositi, alla sua personalità visiva.

Ciò detto, da e con William Bayer, a conclusione del suo romanzo poliziesco Il dettaglio, che -successivamente alla prima edizione italiana, del 1996, sull’originale statunitense Blind Side, del 1989- la collana Il Giallo Mondadori, nel 1997, presenta con sottotitolo «Non è compito del fotografo rivelare il colpevole?». Testuale, con terzo passaggio risolutivo fondante, a seguito dei due precedenti introduttivi: «Di quando in quando, osservo l’ultimo scatto che le ho fatto, subito dopo averle sparato. L’ho preso in mano per l’ennesima volta proprio ieri sera. L’avrò studiato per almeno un’ora.

«Come ogni altra fotografia che le ho scattato, non mi dice nulla di lei. Niente di niente. Ma mi rivela qualcosa di

Geoffrey Barnett [il protagonista del romanzo poliziesco, che sta riflettendo tra sé e sé]. Individua il momento in cui si è reso conto di poter essere implacabile.

«Comincio a pensare che sia proprio questo il senso di ogni genere di fotografia. Non è detto che una fotografia vi dica qualcosa del suo soggetto. Ma, se la guardate attentamente, e se siete stati voi a scattarla, vi può rivelare molto di voi stessi».

Conclusione che non contraddice quanto fin qui considerato sui ritratti di Cosplayer, di Antonio Bordoni. Infatti, nonostante la propria volontà di farsi da parte, sulla quale abbiamo anche fondato ed edificato questo testo di accompagnamento e presentazione e commento, non è possibile che il fotografo, qualsiasi fotografo, possa escludere

35

Come ampiamente commentato nel corpo centrale dell’attuale inter vento redazionale, in presentazione di portfolio, l’autore (?) Antonio Bordoni ha volontariamente e consapevolmente al terato, manipolato e contraffatto i termini canonici del ritratto fotografico. Non ha registrato l’esuberante personalità dei Co splayer che hanno animato e vivacizzato le giornate e le strade del & Games 2022 / Hope rispettandone le rispettive fattezze reali; neppure, ha do cumentato i loro costumi; e nemmeno ha sottolineato la loro allegra leggerezza. Niente di niente. Niente di tutto questo!

Ha agito con un obiettivo fisheye, inquadrando da monitor: lui, che per il proprio solito utilizza soltanto, non già soprattutto, mirini ottici esterni (in eredità dalla Leica M2 originaria, fino alle attuali configurazioni digitali non reflex, né mirrorless). Così facendo, non ha introdotto soltanto una raffigurazione fotografica per se stessa bizzarra (singolare, curiosa e stravagante), ma ha esercitato un’azione fisica disarmante, tanto da alterare l’allegria di fondo appena sottolineata, fino a stravolgere l’apparenza dei soggetti... intimiditi, se non già addirittura allarmati, da un obiettivo tanto avvicinato ai volti, da sfiorarli nientemeno.

Dunque, la base tecnica e strumentale della dotazione fotografica va presentata, in quanto porzione fondamentale dell’azione intrapresa e applicata. Presto detto: su corpo macchina Fujifilm X-Pro2, il TTartisan APS-C 7,5mm f/2 Fish Eye [in questo riquadro, al centro, in alto], sistematicamente regolato su aperture medio-chiuse di diaframma (f/8 e f/11, apertura minima), con accomodamento della distanza di messa a fuoco per sollecitare anche eventuali sfocature sul fondo della composizione / inquadratura, in sola funzione di supporto.

Solitamente, in passo cadenzato e rispettoso di canoni generali (e generalizzanti?), l’esperienza fotografica con obiettivi fisheye

la propria presenza tra la realtà (ovvero, la vita nel proprio svolgersi) e la sua raffigurazione, che -inevitabilmente- assume la qualità di rappresentazione.

Volendo approfondire, in analisi niente affatto trasversale, ma per se stessa di sostanza e fondamento, questa condizione è gioia e dolore dello stesso esercizio della Fotografia, con qualsiasi intenzione venga frequentata, quantomeno in riferimento alla fotografia del e dal vero (altro discorso, forse, per le ricostruzioni in sala di posa, magari nello still life; per quanto, non nella moda). Con franchezza: la Fotografia è l’unico esercizio creativo che, in teoria, non richiede alcuna abilità di base. Per e con “creatività”, intendiamo la realizzazione / produzione di qualcosa che prima non c’era. Da cui, per disegnare plausibilmente, non bastano matite

è abbondantemente originale ed esclusiva; addirittura, irripetibile rispetto ogni altra interpretazione ottica consueta. In propria intenzione basilare, gli obiettivi fisheye raggiungono e offrono angoli di campo estremamente ampi, che -invece di produrre immagini con linee di prospettiva coerenti- conferiscono un aspetto convesso / non rettilineo alla composizione. La resa fotografica del fisheye si basa ed edifica sulla propria capacità di distorsione, in relazione della quale si raggiungono suggestive opportunità creative. Questo, in assoluto. Se, poi, ci si avvicina a pochi centimetri dai volti, come è stato fatto da Antonio Bordoni, si slitta verso rappresentazioni intenzionalmente grottesche: questo il passo del suo progetto con i Cosplayer. Con i sensori digitali in dimensioni APS-C, quale è quello della Fujifilm X-Pro2 (23,5x15,7mm), ai quali è destinato, il TTartisan APS-C 7,5mm f/2 Fish Eye produce un’immagine a pieno formato: in rapporto 3:2 e con diametro di copertura di 31,15mm. Invece, quando è utilizzato con sensori digitali Full frame (24x36mm), produce circa il classico cerchio completo, su fondo nero, al quale viene riconosciuta la particolare identificazione fotografica “Fisheye a tutto tondo”. Nello specifico dei ritratti di Cosplayer tra le strade di Lucca Comics & Games 2022 / Hope, l’autore (?) Antonio Bordoni ha interpretato arbitrariamente le proprietà dell’intrigante TTartisan APS-C 7,5mm f/2 Fish Eye: «Comincio a pensare che sia proprio questo il senso di ogni genere di fotografia. Non è detto che una fotografia vi dica qualcosa del suo soggetto. Ma, se la guardate attentamente, e se siete stati voi a scattarla, vi può rivelare molto di voi stessi» (in Il dettaglio [Blind Side], di William Bayer; Mondadori, 1996). Comunque sia, e in assoluto, qualsiasi fotografia magari esprime qualcosa del suo soggetto. Ma, se la guardate attentamente... Ma, se la guardate attentamente, può rivelare molto del suo autore.

e fogli, o pennelli, colori e tele; per scrivere, non sono sufficienti gli strumenti adatti, penna stilografica (meglio di altro) e carta... e via esemplificando.

La Fotografia è diversa, soprattutto oggi, in tempi di acquisizione digitale di immagini, meno selettivi dell’uso di pellicola fotosensibile e di apparecchi fotografici anche penalizzanti nel proprio impiego. Schiettamente: le macchine fotografiche assolvono! Basta premere il pulsante di scatto, e qualcosa di plausibile accade. Però, il passo fondante presuppone termini e valori che distinguono la casualità, il nulla, dal senso e valore dell’immagine. Dunque, per quanto sia autentico che le macchine fotografiche assolvono, sono le capacità degli autori che risolvono Cosplayer in fisheye. ■ ■

36

Angelo nuvole e

Da ragazzo, nell’anima tutta “strepito e furore” (Macbeth), la poesia faceva romanticamente -ma drasticamente- i conti con l’idea di famiglia, patria, oro, suggerendo di ispirarsi alle nuvole per la propria “educazione sentimentale”. Il mio legame con la serie di fotografie di Angelo Mereu dedicate alle nuvole, “le nuvole, le meravigliose nuvole” è dunque particolarmente profondo e antico. Nell’atto V, scena V del Macbeth, di William Shakespeare, dopo il passaggio Domani, e poi domani, e poi domani, / il tempo striscia, un giorno dopo l’altro, / a passetti, fino all’estrema sillaba / del discorso assegnato, spesso evocato su queste pagine, si incontra La vita è solo un’ombra che cammina, / un povero attorello sussiegoso / che si dimena sopra un palcoscenico / per il tempo assegnato alla sua parte, / e poi di lui nessuno udrà più nulla: / è un racconto narrato da un idiota, / pieno di grida, strepiti, furori, / del tutto privi di significato!

di Lello Piazza

Vi parlo di un fotografo eccezionale, singolare e unico -Angelo Mereu-, e delle sue Nuvole. Come sempre, gli argomenti che affrontiamo in queste pagine finiscono per disegnare un intreccio ingarbugliato di molteplici fili. Nessuno dei quali è rouge

Angelo Mereu mi perdonerà, se approfitto delle sue Nuvole per rievocare una mia esperienza di ragazzo. A quei tempi, che ricordo come beatamente tumultuosi, si sfogliavano libri e si trascrivevano su libriccini segreti le osservazioni in cui si inciampava, e che più ci piacevano. Una di queste fu l’illuminate poesia Lo straniero (L’étranger) del poeta francese Charles Baudelaire (1821-1867), tratta da Le Spleen de Paris (una collezione di cinquanta poemetti in prosa, pubblicato nel 1869, due anni dopo la prematura scomparsa del poeta). [Nota a margine: uno dei fili legati a Charles Baudelaire riporta al suo spavaldo ritratto di Nadar, del 1855].

Ma non lasciamoci strangolare dai fili, e approdiamo alla poesia. Eccone il testo.

Dimmi, enigmatico uomo, chi ami di più? tuo padre, tua madre, tua sorella o tuo fratello?

– Non ho né padre, né madre, né sorella, né fratello.

– I tuoi amici?

– Usate una parola il cui senso mi è rimasto fino a oggi sconosciuto.

– La patria?

– Non so sotto quale latitudine si trovi.

– La bellezza?

– L’amerei volentieri, ma dea e immortale.

– L’oro?

– Lo odio come voi odiate Dio.

– Ma allora, cosa ami, meraviglioso straniero?

– Amo le nuvole... Le nuvole che passano... laggiù... Le meravigliose nuvole!

Da ragazzo, nell’anima tutta “strepito e furore” (Macbeth), la poesia faceva romanticamente -ma drasticamente- i conti con l’idea di famiglia, patria, oro, suggerendo di ispirarsi alle nuvole per la propria “educazione sentimentale”. Il mio legame con la serie di fotografie dedicate alle nuvole da Angelo Mereu, “le nuvole, le meravigliose nuvole”, è dunque particolarmente profondo e antico.

Chi è Angelo Mereu? Per una risposta esauriente, rimando alla nostra edizione dello scorso novembre Duemilaventuno. Se dovessi aggiungerne una mia, userei il sostantivo “poeta”. Un poeta nella vita, per la grazia con la quale intrattiene relazioni con le persone, per la delicatezza dei suoi lavori come orafo, per le molteplici declinazioni con cui interpreta la Fotografia. Un poeta in armonia con l’infinito vivente (svaligiando, questa volta, la definizione al capitano Nemo).

Scegliendo all’interno dell’infinito vivente quella piccola porzione che riguarda la Fotografia, ricordo la curiosità e rapidità con le quali Angelo Mereu si è adattato al digitale, lui che della pellicola fotosensibile ne ha frequentate anche intelligenti arbitrarietà (per esempio, in infrarosso). Realizzò fotografie appassionanti e coinvolgenti anche con il suo primo cellulare, un Nokia antidiluviano [detta oggi], con un sensore da 0,3 milioni di pixel (rispetto i valori tecnologici attuali). Credetemi: realizzare belle, bellissime fotografie con quello strumento “primordiale” fu un’impresa che riuscì a pochissimi fotografi nel mondo; e non mi limito all’aspetto formale, ma allungo sul contenuto.

Sulla tecnica che gli permise di ottenere quei piccoli capolavori, scrisse per me anche una serie di consigli che pubblicai sulla rivista Airone, insieme con le sue immagini, originariamente stampate su una carta caratteristica riciclata, che gli ha permesso di ottenere effetti simili all’acquerello.

(continua a pagina 45)

40
43

Allora, sessanta anni fa, la formidabile architettura culturale di un liceo portava frequentemente noi ragazzi a inciampare in infiniti argomenti che ci piacevano. In quell’architettura, mancava la fotografia, nella quale sarei incespicato più tardi. Ma c’era la pittura e, dopo Charles Baudelaire, c’erano le nuvole che fecero parte della mia educazione sentimentale.

Fu inevitabile inciampare nelle opere del surrealista belga René Magritte (1898-1967), soprattutto in quelle dedicate alle nuvole. Come e prima di Angelo Mereu, nel proprio lavoro, René Magritte sembra vivere a tratti con la testa tra le nuvole. Molte sue opere, tutte folgoranti, contengono o si riferiscono a nuvole.

Forse, fu il quadro Grelots roses, ciels en lambeaux (Campane rosa, cieli a brandelli; olio su tela 73x100cm), del 1930, anzi la sua parte sinistra, il capostipite di differenti opere in diversi periodi dedicati alle nuvole, ognuna delle quali era intitolata La Malédiction

Da dove nascerebbe questo interesse di René Magritte per le nubi? L’artista belga si interessava a ciò che si crede di conoscere, ma che -in realtà- non si comprende affatto. Cosa c’è di più facile che vedere nubi nel cielo, si chiedeva il pittore? Cosa c’è di più misterioso e sfuggente? Dipingendo le nuvole, il surrealista René Magritte si pone grandi domande sul cielo e sulla loro presenza. Il cielo, “dove si parla di azzurri, nuvole e fragilità della felicità”, avrebbe ispirato l’artista per tutta la vita. Lo stesso sentimento di Angelo Mereu?

Dal sedici luglio al trentuno agosto, le Nuvole di Angelo Mereu sono state esposte presso La Stanza del Vento, nel piccolo borgo di Montemarcello, in Liguria, il cui territorio fa parte del Parco Naturale Regionale di Montemarcello - Magra - Vara, istituito nel 1985. Eletto tra i cento borghi più belli d’Italia, si trova a duecentocinquanta metri sopra il mare, nell’ultima propaggine della Liguria, il promontorio del Caprione, separato dalla Toscana dal fiume Magra. Da Montemarcello, c’è una vista sulle Alpi Apuane e l’Arcipelago Spezzino.

L’accogliente La Stanza del Vento ospita l’associazione culturale omonima, dedicata a Enrico Negretti, giornalista, inviato speciale del quotidiano Corriere della Sera per oltre quarant’anni.

L’associazione nasce nel 2010, per opera di Paola Ciana Negretti, e ogni anno ospita una mostra d’arte (pittura, scultura o fotografia), che rimane aperta tutta l’estate. Nello stesso periodo espositivo, si svolgono autorevoli presentazioni di libri, si tengono piccoli concerti, momenti teatrali e dibattiti culturali, sia in riferimento alle opere alle pareti o tra le stanze, sia da queste svincolate.

Delle fotografie di Nuvole, di Angelo Mereu, è stato realizzato un catalogo ben confezionato (rispettoso dell’autore: chi dai tanti/troppi Festival fotografici italiani può affermare lo stesso?), distribuito ai visitatori della mostra, magari attirati anche dal fascino della via dei poeti, che dal Golfo di Lerici arriva a Bocca di Magra.

44

Ma torniamo alle Nuvole. Sentiamo come ne riferisce lo stesso Angelo Mereu.

«Ho iniziato con le prime immagini di nuvole, in bianconero, tra il Millenovecento ottanta e il Millenovecento ottantacinque, con una Nikon F2 e un grandangolare estremo Venti millimetri. La mia scoperta delle nuvole avvenne grazie all’uso di un filtro rosso, che scurisce il cielo ed esalta il contrasto. Ma il massimo della qualità, nel risultato finale, l’ho raggiunto nel laboratorio di Patrizio Parolini, a Milano, con le sue magistrali stampe bianconero.

«Le fotografie sono state scattate tutte su pellicola. L’unica digitale, recente, è quella di mio nipote Tobia, nella quale le nuvole somigliano a sue ali. L’ho scattata a casa mia, a Porto Rafael, in Sardegna, l’estate scorsa (e senza filtro rosso). È anche l’unica fotografia “posata” delle mie Nuvole. Chiesi a Tobia di spalancare le braccia, per far collimare le ali delle nuvole con il suo corpo, ottenendo l’impossibile immagine di un piccolo angelo reale... un Piccolo Principe

«La composizione di Nuvola Sardegna, invece, fu un colpo di fortuna. Era la seconda volta che questa nuvola mi capitava in cielo! La prima, non fui abbastanza pronto. Bisogna agire rapidamente, essere il più veloce possibile a scattare, perché in un attimo ogni nuvola cambia forma. Anche questa fotografia è analogica, pellicola Quattrocento Iso, realizzata nel porticciolo di Porto Rafael, mi pare nel Duemila, con una Nikon F100 e uno zoom 24-120mm. Qualche invidioso ha sostenuto che ero intervenuto con una aggiustatina digitale. Gli ho risposto che ho il negativo!

«Dell’intera serie, l’unica fotografia “straniera” è quella scattata in Messico. Tutte le altre sono state realizzate in Sardegna». Non suggerirò nessuna interpretazione critica delle fotografie di Angelo Mereu. Avete la fortuna di averle davanti agli occhi,

per quanto in selezione: lasciatevi catturare, assecondando le emozioni che suscitano (o non suscitano) nella vostra Anima.

Mi preme -invece- riferirmi, molto brevemente, alle nuvole nella Storia delle Fotografia. Sono molti i fotografi che hanno nuvole tra i propri soggetti. Ma sono pochissimi quelli che vi hanno dedicato progetti completi. Oltre ad Angelo Mereu, ovviamente.

Sollecito la vostra curiosità ad andarveli a scoprire, sul web o sui libri, e a confrontare le loro immagini con quelle qui in pagina; ne menziono tre.

Comincio dagli Equivalents [straordinariamente valutati dalla Storia; sopravvalutati?], un cammino durato dal 1925 al 1934, realizzato dal fotografo statunitense Alfred Stieglitz (1864-1946). Ecco il suo nuvole-pensiero: «Volevo fotografare le nuvole, per scoprire che cosa avessi imparato in quarant’anni di fotografia. Attraverso le nuvole, esporre la mia filosofia della vita, mostrare che le mie fotografie non erano dovute al soggetto, non a privilegi speciali: le nuvole erano lì per tutti; non erano sottomesse a tasse, erano libere».

Poi, cito Luigi Ghirri (1943-1992), che -nel 1974- scattò ogni giorno dell’anno una fotografia del cielo. Questo lavoro prese il nome di ∞ Infinito. Le trecentosessantacinque immagini sono riunite e accostate in un mosaico di tessere bianche, azzurre, con nuvole di varie forme, grigie gialle, monocrome.

Il terzo lavoro è quello realizzato dalla fotografa greca Tzeli Hadjidimitriou, nata a Lesbo, l’isola di Saffo, nel 1964 (www. odoiporikon.com / cloudscapes_gallery). Dedicato al cielo sopra l’isola di Kythira (Cythera), insieme a fotografie del cielo scattate in altre parti della Grecia, il progetto è stato raccolto in nella monografia O χρόνος χάθηκε στα σύννεφα / Time Fading into Clouds, le cui immagini mi evocano nubi di omerica memoria, che spetta a Zeus di riunire.

νεφεληγερέτα Ζεύς [Nebulosa Zeus]: Iliade, Libro I, 511. ■ ■

45
(continua
da pagina 40)

e ritorno?”

Interpretato da Robert De Niro, David “Noodles” Aaronson lascia New York. Nel film C’era una volta in America, di Sergio Leone, del 1984, a Grand Central Station, stravolto da accadimenti dei quali si ritiene responsabile, cambia totalmente la sua vita. Se proprio vogliamo vederla e intenderla in questo modo, la laconica conclusione del dialogo alla biglietteria delle ferrovie può essere recepita come scuola di esistenza: transizione da un prima a un dopo.

“Andata
“Solo andata.”
“Unperbiglietto il primo treno in partenza.”
FOTO graphia / D ialoghi / 09

Fino al prossimo ventisei febbraio, a Padova, è allestita l’autorevole mostra L’occhio in gioco, che si accompagna con il sottotitolo esplicativo e chiarificatore Percezione, impressioni e illusioni nell’arte, alla quale partecipa anche la Fotografia, per quanto in misura discreta, riguardosa e trasversale

ILLUSIONI

di Antonio Bordoni

In tutta sincerità: non ci sono parole adeguate a sintetizzare in modo coerente l’imponente rassegna L’occhio in gioco. Percezione, impressioni e illusioni nell’arte, in cartellone al Palazzo del Monte di Pietà, di Padova, fino al prossimo ventisei febbraio. Tanta e tale è la mole di opere presentate e ben collocate, che ogni ricapitolazione giornalistica finisce per essere indigente e inadeguata. Da cui, consiglio perentorio: visita individuale nelle sale di esposizione; oppure, in alternativa interposta, consultazione approfondita dei due cataloghi di accompagnamento, pubblicati da Silvana Editoriale in due tomi più che eccellenti.

Oltre la modestia quantitativa (oltre che quantitativa) qui in accompagnamento visivo, basti e avanzi la cadenza tematica dell’argomento, per se stesso intrigante e coinvolgente, perfino per coloro i quali si occupano di Fotografia, qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi.

L’arte di ingannare la vista. Illusione del movimento, giochi cromatici, inganni prospettici, specchi deformanti, effetti ottici. Tra questi, due cadenze risolutamente prossime alla Fotografia, una in appartenenza, l’altra in allungo: il Fotodinamismo futurista di Anton Giulio Bragaglia, degli anni Dieci del Novecento; l’anamorfosi senza tempo, che la Fotografia ha decifrato (?) nella coerenza della propria supposta veridicità ottica.

▶ Ingannare la vista è un’arte (ma anche una scienza). Lo straniamento, le allucinazioni, le vertigini provocati da molte delle opere esposte potrebbero indurre lo spettatore a porsi una domanda simile visitando la mostra. Infatti, l’esposizione esplora le ricerche artistiche e i tantissimi modi con i quali, dal Medioevo, il senso della vista è stato raggirato, ingannato, illuso.

▶ Cosmo, cerchio, colore. La prima parte della mostra esplora il rapporto tra colore, percezione e movimento. Si comincia con la rappresentazione del Co-

Personalmente, per mille e mille motivi, nessuno dei quali minimamente legittimo, consideriamo l’anamorfosi una delle alterazioni e arbitrarietà visive più affascinanti tra quante possano ingannare, raggirare e imbrogliare l’occhio: qui sopra, in allestimento scenico della imponente rassegna L’occhio in gioco. Percezione, impressioni e illusioni nell’arte, a Padova, fino al prossimo ventisei febbraio. L’anamorfosi nasce nell’arte e da tempo ha anche personalità “fotografica”. Ne abbiamo riferito, e richiamiamo sulla prossima pagina: tra fotografia e architettura.

47
48
Anamorfosi o magia artificiale degli effetti meravigliosi (o Thaumaturgus opticus ), di Jurgis Baltrušaitis; Adelphi, 1978 [in copertina: anamorfosi cilindrica di un personaggio barbuto, dipinto su rame; Germania, 1630 circa, Kunstschrank di Gustavo Adolfo, Uppsala, Svezia]. Obiettivi Isco Iscorama per reflex 35mm. Qui in illustrazione, in innesto a baionetta Nikon e Pentax, e in innesto a vite 42x1. Producono immagini riferibili alla focale 50mm, in verticale, e alla focale 28mm, in orizzontale. Anamorfosi da compensare in proiezione o riproduzione litografica. Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, in via Torino, a Milano, a pochi passi dal Duomo. Opera dell’architetto Donato Bramante, completata tra la fine del Millequattrocento e l’inizio del Millecinquecento. Caratteristica è l’abside con finto coro in anamorfosi, che simula spazi che non ci sono. Alcide Boaretto (2) WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (2)

smo tra Medioevo e primo Rinascimento attraverso il ricorso a due elementi cardinali: il Colore e il Cerchio.

▶ La sfera trasversale. Con la sfera, non a caso, si identifica anche il corpo dell’iride: l’occhio. Protagonista di questa mostra.

▶ Effetti cromatici. Il secondo nucleo della mostra è dedicato agli studi, tra il Settecento e l’Ottocento, su una nuova idea e teoria del colore e del movimento, che avrà ampio sviluppo nel Novecento, grazie alla nascita di nuovi media, come fotografia e cinema.

▶ Le avanguardie a caccia del movimento. Catturare il movimento, crearne l’illusione, sono mete verso le quali si sono indirizzate le avanguardie di inizio Novecento, attraverso accostamenti cromatici, scomposizioni e ricomposizioni.

▶ Macchine per l’occhio. A inizio Novecento, il tema del movimento diventa centrale, anche grazie alla neonata arte della Fotografia (e, di lì a poco, del Cinema), e caratterizza le prime sperimentazioni col nuovo mezzo.

▶ Se a muoversi è chi guarda. Però, il movimento non è solo nell’opera, ma anche attorno: con le raffinate anamorfosi, distorsioni prospettiche, per la prima volta, l’arte invita lo spettatore ad assumere una posizione non frontale.

▶ Le nuove porte della percezione. Gli anni Sessanta del Novecento sono laboratorio di nuovi orizzonti nell’opera.

▶ Il Gruppo N e l’arte Optical. A Padova, sia gli psicologi sia gli artisti ottennero risultati di rilievo internazionale nello stesso ambito: l’esplorazione dei fenomeni percettivi.

L’occhio in gioco! ■ ■

L’occhio in gioco. Percezione, impressioni e illusioni nell’arte Palazzo del Monte di Pietà, via Arco Valaresso, 35139 Padova. Fino al 26 febbraio 2023; lunedì-venerdì 9,00-19,00; sabato, domenica e festivi 9,00-20,00.

▶ Cataloghi Silvana Editoriale, 2022.

• L’occhio in gioco. Percezione, impressione e illusioni nell’arte; 376 pagine 24x28cm; 34,00 euro

• L’occhio in gioco. Il Gruppo N e la psicologia della percezione; 280 pagine 24x28cm; 34,00 euro.

(dall’alto e da sinistra)

Ennio Chiggio: Tondo , 1966; Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

Umberto Boccioni: bozzetto per La città sale, 1910; Pinacoteca di Brera, Milano.

Moses Harris: Natural Systems of Colours ; Printed by L. Harrison and J. C. Leigh (1769 o 1776?).

Disco base per zootropio, Wheel of life, edito da H. G. Clarke & Co, Londra, 1870; Museo Nazionale del Cinema, Torino.

Paul Klee: Transparentperspectivisch gefÜgt (II.), 1921; Vitart, Lugano.

49
Giorgio Tovo

Come tradizione più che consolidata, a fine anno, a Milano, è allestita la mostra di cento immagini abbondanti dell’autorevole e prestigioso Wildlife Photographer of the Year. In attualità temporale, in allestimento scenico, fotografie vincitrici e “menzioni speciali” alla cinquantasettesima edizione, datata 2021. A cura di Radiceunopercento, affascinante e coinvolgente selezione e passerella dal riconosciuto concorso di fotografia naturalistica più longevo e prestigioso al mondo

NATURALMENTE NATURA

(doppia pagina precedente) Cristiano Vendramin (Italia): vincitore nella categoria speciale People’s Choice Award (in italiano, si potrebbe ipotizzare Premio della giuria popolare, ma lasciamolo in inglese).

Cristiano Vendramin ha fotografato presso il Lago di Santa Croce, in provincia di Belluno. «Spero che la mia fotografia incoraggi a capire che la bellezza della natura può essere individuata e accostata ovunque, intorno a noi; e che possiamo essere piacevolmente sorpresi dai tanti paesaggi vicini a casa nostra».

Canon Eos 6D con Canon 100-400mm f/4,55,6L IS II USM; filtro polarizzatore; telecomando; 200 Iso.

Lara Jackson (Gran Bretagna): menzione speciale nella categoria Ritratti di animali. Biologa della conservazione, l’inglese Lara Jackson (www. larawildlife.co.uk) utilizza molto la fotografia nel proprio lavoro di ricerca e documentazione.

Nel Parco Nazionale del Serengeti, regione di Mara, in Tanzania, stava seguendo una femmina di leone, insolitamente in caccia solitaria, quando questa, con un balzo, ha abbattuto uno gnu e ha cominciato a mangiarlo, ancora vivo. Per un attimo, la tensione della situazione ha raggiunto il proprio culmine: la leonessa ha rivolto alla biologa il suo sguardo, mentre il sangue dell’antilope colava abbondantemente dal suo muso. Comunque la si veda e consideri, per quanto si possa essere a disagio di fronte a questo scempio, si tratta di Natura, inviolabilmente Natura in propria manifestazione.

Canon Eos 750D con Sigma 150-600mm f/5-6,3 DG OS

HSM - Contemporary; 500 Iso.

di Lello Piazza

Vincitrici di categoria e “menzioni speciali” (Highly Commended), cento fotografie, del Wildlife Photographer of the Year 2021 (WPY), Cinquantasettesima edizione, sono in mostra a Milano, fino a tutto dicembre. Organizzato dal Natural History Museum, di Londra, è riconosciuto come il concorso di fotografia naturalistica più longevo e prestigioso al mondo.

Dedico uno spazio particolare alla fotografia che ha procurato a Laurent Ballestra il titolo di Wildlife Photographer of the Year 2021. Si tratta di uno scatto fuori dall’ordinario. Uno dei più belli, intensi e difficili da realizzare, che siano capitati davanti ai miei occhi da che mi occupo di fotografia naturalistica... dal 1974. Propongo, poi, commenti stimolati da un confronto tra le indicazioni della giuria (composta da “esperti”, giornalisti, photo editor, naturalisti) paragonate a quelle della giuria popolare, dalle quali dipende

Partiamo ab initio. Oltre cinquantamila le immagini provenienti da novantacinque paesi, candidate al Wildlife Photographer of the Year 2021. In questa edizione, diciannove categorie; tre in più rispetto lo svolgimento precedente: Natural Artistry (Arte naturale), dedicata alle manifestazioni raffinate della natura stessa; e poi due di carattere generale Wetlands, the Bigger Picture e Oceans, the Bigger Picture (Aree Umide e Oceani, visione d’insieme).

Un compito sempre più oneroso per la giuria, che viene svolto in due momenti successivi; il secondo a seguire il precedente. Chiuse le accettazioni (10 dicembre 2020, per la corrente edizione 2021, qui in passerella), a primavera 2021, una parte della giuria ha compiuto una prima selezione delle fotografie. Qualche mese dopo, una seconda parte della giuria ha definito le cento immagini (vincitrici di categoria e le “menzioni speciali”), che sono poi riunite nella

52
(continua
57)
a pagina

(Italia): categoria Comporta mento: mammiferi

Le renne sono diffuse in tutto l’Artico, ma questa sottospecie (Rangifer tarandus platyrhynchus) si trova solo nelle Svalbard (Arcipelago di Svalbard, area non incorporata della Norvegia).

Per testimoniare l’avanzare del cambiamento climatico, nel periodo 2019-2021, l’italiano Stefano Unterthiner (www.stefanounterthiner.com)

moglie Stéphanie figlie Bahia (che, nel 2019, avevano sei e due anni). L’ipotesi era di rimanere nelle isole per un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mesi. Stefano Unterthiner ha scattato questa fotografia, che mostra due maschi in competizione per il controllo dell’harem, durante la stagione degli amori delle renne.

Nikon D5 con AF-S Nikkor 180-400mm f/4E TC1,4 FL ED VR; 3200 Iso.

João Rodrigues (Portogallo): vincitore nella categoria Comportamento: Anfibi e Rettili Circa cento chilometri a nord di Lisbona, in Portogallo, negli inverni con forti precipitazioni, quando i fiumi sotterranei traboccano, nel cuore del Parco Naturale di Serras de Aire e Candeeiros, la depressione carsica Mira de Aire-Minde si riempie d’acqua e si trasforma in una vasta laguna, definita in modo suggestivo “mare di Minde”, lunga quattro e larga quasi due chilometri. Il bosco che cresce nella depressione si trasforma in una foresta sommersa, che accoglie varie comunità di anfibi. Immergendosi in queste acque, il portoghese João Rodrigues (www. chimeravisuals.pt) ha fotografato una coppia di salamandre giganti (Pleurodeles waltl ) dopo l’accoppiamento, congelando un attimo che quasi nessuno è mai riuscito, non dico a fotografare, ma nemmeno a osservare.

Canon Eos 5D Mark IV con Tokina AT-X 1017mm f/3,5-4,5; custodia Aquatica con due flash Inon Z-330; 320 Iso.

53

Majed Ali (Kuwait): vincitore nella categoria Ritratti di animali Majed Ali (www.majedphotos.com) ha camminato per quattro ore, salendo nel Bwindi Impenetrable National Park, in Uganda, in un caldo insopportabile, per incontrare Kibande, un gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei ) di quasi quarant’anni, specie in pericolo a causa della perdita dell’habitat, delle malattie e del bracconaggio. Quando iniziò a cadere una pioggia fresca, Kibande, come un umano, rimase all’aperto, godendosi la doccia.

Nikon Z6 con Nikkor Z 70-200mm f/2,8 VR S; 940 Iso.

54

Adam Oswell (Australia): vincitore nella categoria Fotogiornalismo. Adam Oswell (www.adamoswell. com) lavora in Asia da oltre vent’anni, ed è un fotografo specializzato nella denuncia del commercio illegale della fauna selvatica e nella sua protezione. Con questa immagine testimonia l’utilizzo di un (nobile!) elefante come forma di intrattenimento turistico. È uno dei tanti esempi di un fenomeno diffuso in tutto il mondo: animali tenuti prigionieri e privati della propria vita naturale, impiegati per intrattenere il pubblico negli zoo e negli spettacoli itineranti. Qui siamo nello zoo all’aperto di Khao Kheow, provincia di Chonburi, in Thailandia. In ogni caso, oltre questa localizzazione, bisogna considerare in quanti altri luoghi gli animali in esposizione al pubblico vengono privati della propria dignità. Eredi di terribili concezioni antiche, gli zoo mancano di rispetto alla Natura.

Nikon D810 con AF-S Nikkor 24-70 mm f/2,8E ED VR; 1250 Iso.

Vidyun R Hebbar (India): Giovane Fotografo Naturalista dell’Anno Vidyun R Hebbar, dieci anni, ha conquistato il prestigioso titolo riservato ai giovani fotografi di età pari o inferiore a diciassette anni. «Amo la macrofotografia; per trovare soggetti selvaggi intriganti, non è necessario impegnarsi in un safari: li puoi individuare nel tuo giardino!», ha dichiarato il giovane autore ai giornalisti che l’hanno intervistato. Infatti, questa fotografia è stata scattata vicino a casa del giovane, a Bengaluru, capitale dello stato indiano meridionale di Karnataka. Il ragno appartiene al genere Cyrtophora, e misura meno di quindici millimetri, zampe comprese. A margine e in completamento, occorre riflettere su questo premio riservato ai giovani. È affascinante incontrare autori fotografi in erba; ancora di più, è coinvolgente leggere le loro considerazioni... mature.

Nikon D5000 con AF-S DX Micro Nikkor 85mm f/3,5G ED VR; treppiedi Manfrotto; 200 Iso.

55

AUTORE DELL’ANNO

L’ho anticipato nel corpo centrale dell’odierno intervento redazionale: «uno scatto fuori dall’ordinario. Uno dei più belli, intensi e difficili da realizzare, che siano capitati davanti ai miei occhi da che mi occupo di fotografia naturalistica... dal 1974». Questa rara e orgogliosa fotografia merita un supplemento di informazioni: in quale ambiente è stata ripresa? cosa c’è intorno al fotografo? chi è e dove vive la specie fotografata?

Per spiegare cosa è registrato dalla fotografia, rimando alla didascalia, a seguire. Qui, presento brevemente la specie fotografata, l’ambiente della fotografia, l’impegno per realizzarla.

La cernia mimetica (Epinephelus polyphekadion) è un pesce della lunghezza media di cinquanta centimetri e del peso massimo di dieci chilogrammi. Il suo habitat va dalla costa dell’Africa orientale all’Oceano Pacifico, fino alla Polinesia francese. In questo habitat, la specie corre un crescente rischio di estinzione -nel breve o medio termine- a causa della pesca eccessiva. Nessun rischio, invece, per la cernia nell’atollo di Fakarava, un rettangolo sbilenco di sessanta per

ventuno chilometri, il cui perimetro, per lunghi tratti composto di sabbie appena affioranti, racchiude una laguna che fa parte delle Riserve della Biosfera Unesco. La fotografia è perfetta: deposizione e fecondazione delle uova -una grande orgia ultraterrena- sono avvenute a Fakarava. È il risultato di cinque anni di spedizioni, ogni luglio, tremila ore di immersioni notturne e ottantacinquemila scatti. Nell’evento, sono coinvolte circa ventimila cernie, che vivono nell’atollo.

Per motivi alimentari e non sessuali, all’orgia partecipano gli squali grigi del reef (Carcharhinus amblyrhynchos): diverse centinaia che accorrono al grande banchetto, ghiotti di cernie.

Note finali: uno, fuori dalla portata di molti biologi, la fotografia rappresenta un enorme valore aggiunto all’impegno di uno scienziato marino come Laurent Ballesta. Infatti, gli permette di documentare eventi naturali che l’osservazione da sola non cattura definitivamente; due, come Wildlife Photographer of the Year 2021, l’autore riceve diecimila sterline (quasi dodicimila euro). I premi... attuale fonte di reddito per i fotografi.

Creation è il titolo con il quale il biologo e fotografo francese Laurent Ballesta ha definito la propria fotografia: un momento di orgia primordiale, come ne avvengono per molte specie animali in natura. Durante la marea della luna piena di luglio, le femmine di cernia mimetica depongono nuvole di uova dall’aspetto lattiginoso. Ogni maschio, in competizione con altri maschi, si fionda tra le uova per essere lui il

Una nuvola di squali grigi del reef a caccia di cernie nuotano attorno al fotografo Laurent Ballesta, in postazione di scatto. Nell’ambito del suo progetto svolto nell’atollo di Fakarava.

primo a lasciare il proprio seme e fecondarle. La sensazione è che i pesci fuggano da una esplosione, ma -ovviamente- non è così. Siamo nell’atollo di Fakarava, nelle Isole Tuamotu, nella Polinesia francese. Nikon D5 con AF-S Zoom-Nikkor 17-35mm f/2,8D IF-ED a 17mm; 1/200 di secondo a f/11; custodia subacquea Seacam con flash dedicato Seacam; 1600 Iso.

Rielaborazione di un’immagine satellitare dell’atollo di Fakarava, appartenente al gruppo delle isole Tuamotu, nella Polinesia francese: sessanta per ventuno chilometri. Niente di più.

56

Zack Clothier (Usa): vincitore nella categoria Animali nel proprio ambiente L’autore ha preparato una trappola fotografica per documentare il comportamento di un orso grizzly (Ursus arctos horribilis ), la cui dieta è costituita principalmente di radici, frutti e bacche; ma, all’inizio della primavera, quando esce dal letargo invernale, si nutre anche di carogne di alci e cervi (che è anche in grado di attaccare e uccidere).

Da qualche anno, e indipendentemente dalle valutazioni della giuria, il Natural History Museum, di Londra, seleziona venticinque fotografie, che vengono proposte a una giuria popolare per una votazione su Internet. Le prime cinque più votate di questa categoria speciale (The People’s Choice Award ) vengono aggiunte, se già non ci sono, alle cento immagini in mostra. È curioso che le scelte della giuria popolare, spesso, non coincidono con quelle della giuria ufficiale!

Lo stesso fenomeno si verifica nella maggior parte dei concorsi nei quali sono previste due giurie, istituzionale e popolare. Ci siamo chiesti, e non abbiamo una risposta, cosa ci sia dietro questa evidente discrepanza: lo riteniamo

Zack Clothier ha intuito che i resti di un alce fossero situazione ideale per collocare la sua fototrappola. Tornato dopo alcuni giorni sul luogo (in Montana, negli Stati Uniti), ha trovato la sua attrezzatura fatta a pezzi, probabilmente dall’orso stesso. Si è salvato solo questo fotogramma.

Nikon D610 con Nikkor AF-S 18-35mm f/3,5-4,5 G ED; trappola fotografica autocostruita con due flash Nikon Speedlight SB-28; 1000 Iso.

un argomento di riflessione rilevante e perfino inquietante. A quale giuria credere? Vox populi, vox dei (Voce del popolo, voce di Dio)? Riformulando il detto latino: la specializzazione e le qualifiche (?) non valgono nulla, come afferma -da molti anni- anche un considerevole movimento politico in Italia?

Non sappiamo, non so. Per ora, mi consola il fatto che il People Wildlife Photographer of the Year sia un italiano, Cristiano Vendramin, trentanovenne, avvocato (e, quindi, neppure fotografo professionista), autore di Lake of Ice, vincitore con oltre trentamila preferenze (31.800). Mentre la sua fotografia non era stata neppure notata e presa in considerazione dalla giuria; le altre quattro provengono dalle “menzioni speciali”.

Wildlife Photographer of the Year / Portfolio 312021 - Cinquantasettesima edizione , a cura di Rosamund Kidman Cox; The Natural History Museum; 2021; 160 pagine 26x25,4cm; 36,00 euro. Le oltre cento immagini allestiste in mostra.

57
(continua
da pagina 52)

lo stato inquietante di questa superficie

ghiacciata così importante per i parti delle foche. Ancora Antropocene? La fotografia è di Jennifer Hayes (www.jenniferhayesimages.com), una biologa acquatica specializzata in storia naturale e ambienti oceanici. Saggista, fotografa e autrice di pubblicazioni e libri, ha anche ricevuto un Presidential Award for Environmental Education (Usa). Spesso, lavora in coppia con il famoso fotografo subacqueo David Dubilet.

Nikon D4 con AF-S Nikkor 24-120mm f/4G ED VR; 200 Iso.

Concludo con alcune osservazioni personali su tre sentenze della giuria che trovo sovrabbondanti e sproporzionati.

Comincio dalla vincitrice della categoria Animal Portraits (Ritratti di animali): Reflection (che traduco con Meditazione), del kuwaitiano Majed Ali, una immagine intensa di un gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei ) di quasi quarant’anni, individuato e fotografato nelle foreste del Bwindi Impenetrable National Park (Uganda). Certo, una immagine molto bella, ma già vista e, per questo motivo, forse non meritevole, oggi, di vincere un primo premio di categoria di un concorso prestigioso come il WPY

Nella medesima categoria, per Raw Moment (traduco Natura nuda e cruda), dell’inglese Lara Jackson, la qualifica

“menzione speciale” mi sembra smisurata. Immagini di questa forza visiva non sono assolutamente nuove nei concorsi di fotografia naturalistica.

Infine, Head to Head (letteralmente, Testa a testa), dell’italiano Stefano Unterthiner, vincitrice nella categoria Behaviour: Mammals (Comportamento: mammiferi ) è un’immagine tratta da un eccellente lavoro realizzato durante una permanenza di mesi nelle Isole Svalbard. L’immagine è molto bella, ben composta, ma -anche in questo caso- non ci sembra abbia quella eccezionalità che una vincitrice di categoria del WPY dovrebbe possedere.

Fine della predica. ■ ■

Wildlife Photographer of The Year 2021 . Palazzo Francesco Turati, via Meravigli 7, 20123 Milano; www. radicediunopercento.it. Fino al 31 dicembre.

58
Jennifer Hayes (USA): vincitrice nella categoria Oceani, visione d’insieme La foca della Groenlandia (Pagophilus groenlandicus ) utilizza la banchisa di ghiaccio come luogo di parto. A causa del riscaldamento globale, è bastata una tempesta per riempire la banchisa del Golfo di San Lorenzo, in Quebec (Canada), di una ragnatela di fratture, rendendola fragile e instabile. Ci sono volute ore di elicottero per riuscire a testimoniare, con una fotografia, Wildlife Photographer of the Year - Diary ; The Natural History Museum.

GRAZIE, WILLIAM

Lo scorso dieci settembre, a novantasei anni, è mancato William Klein, a tutti gli effetti uno dei più innovativi fotografi del secondo Novecento, che ha contribuito a traghettare la Fotografia da un prima di buone intenzioni a un dopo di consapevolezza espressiva. In ricordo, in due tempi (e mezzo). Uno: valore e influenza della sua monografia Life Is Good & Good for You in New York: William Klein Trance Witness Revels, semplicemente storicizzato come New York, del 1956, in parallelo con altri due titoli degli stessi anni Cinquanta del Novecento (Images à la sauvette / The Decisive Moment, di Henri CartierBresson, del 1952, e The Americans / Gli americani, di Robert Frank, del 1958-1959). Due: intervista rilasciata a Antonio Ria, nel Duemilauno. E mezzo: nutrita quantità e qualità di dediche personalizzate su sue monografie

di Maurizio Rebuzzini (con Antonio Ria) Nel corso degli anni Cinquanta del Novecento, tre monografie hanno impresso una sostanziale svolta al linguaggio fotografico, traghettandolo da un prima di buone intenzioni a un dopo di consapevolezza espressiva, che si è allungato avanti nei decenni, approdando fino ai nostri giorni (almeno, lo speriamo). Comprensibilmente, ci riferiamo alla fotografia del e dal vero, avvincente applicazione per la registrazione (documentazione?) della vita nel proprio svolgersi.

stante significativo, dal quale ognuno di noi può decollare per pensieri propri, per osservazioni individuali. È il momento decisivo, che Henri Cartier-Bresson ha fatto proprio (e nostro!), riprendendo un pensiero del Cardinale de Retz (Jean François Paul de Gondi; 1613-1679): «Non vi è alcunché a questo mondo che non abbia un momento decisivo».

Generalmente (e genericamente?) semplificato in New York, richiamo inequivocabile sulla copertina originaria del 1956 della monografia di William Klein, fondamentale nella Storia della Fotografia, il titolo effettivo e completo è Life Is Good & Good for You in New York: William Klein Trance Whitness Revels

In origine, c’è stato Images à la sauvette (Immagini di nascosto?), di Henri Cartier-Bresson (1908-2004), pubblicato da Éditions Verve, nel 1952, con simultanea edizione statunitense Simon and Schuster The Decisive Moment (Il momento decisivo); e attuale riedizione anastatica Steidl, del 2014. Da qui, generazioni di fotografi si sono ispirati per un avvicinamento lieve e rispettoso, alle vite altrui, congelando per sempre istanti che avrebbero dovuto (?) rimanere effimeri.

Nella vita odierna, ricca di contraddizioni e povera di emozioni autentiche, c’è tanto bisogno di certa fotografia. Abbiamo soprattutto bisogno della sua ca-

È giusto il momento decisivo, che Henri Cartier-Bresson ha addirittura teorizzato in forma fotografica, introducendo l’originaria raccolta di sue immagini, pubblicata a quarantaquattro anni: per l’appunto, Images à la sauvette / The Decisive Moment, monografia eccezionale e unica, fondamentale per un certo uso della Fotografia.

Anche a ancora qui, rimandiamo gli approfondimenti al testo introduttivo, sostanziale come pochi, in traduzione italiana presso Agorà Editrice di Torino (in Fotografi sulla fotografia ; seconda edizione 2004). Ma, in estratto e richiamo e Credo (perché no?), si impone un passaggio di Henri Cartier-Bresson: «A volte c’è un’unica immagine la cui struttura compositiva ha un tale vigore e una tale ricchezza, e il cui contenu -

60

che questa singola immagine è in sé un’intera narrazione».

DOPO HCB: ROBERT FRANK

A fine decennio, nel 1958-1959, è stata la volta di The Americans (Gli americani), di Robert Frank (1924-2019): a propria volta, una delle raccolte fotografiche discriminanti della Storia della Fotografia, quantomeno dal punto di vista di coloro i quali se ne occupano e la intendono come materia / espressione / disciplina tenuta in considerazione (per il resto, il grande pubblico è completamente estraneo e distante dalle nostre sottigliezze lessicali).

«Un libro diventa un classico, quando condensa in una vicenda individuale una grande esperienza collettiva; quando narra una storia concretamente e irriducibilmente personale, che esprime quella di tutti». Questo è l’incipt con il quale, nel giugno Duemilaotto, dalle pagine del Corriere della Sera, Claudio Magris ha ricordato lo scrittore Mario Rigoni Stern, mancato ad Asiago lunedì sedici.

Ancora una di quelle coincidenze, che, come sempre rileviamo, sarebbero i soli accadimenti che possono/possano far

senso. Nel Duemilaotto, la stessa sera di lunedì sedici giugno è stata ufficialmente presentata l’attuale riedizione Contrasto Books di The Americans / Gli americani, di Robert Frank, nel cinquantenario dall’origine, per la quale Ferdinando Scianna ha espresso analoghe considerazioni di “classico” della Fotografia.

Nel 1955, il giovane fotografo svizzero Robert Frank, trapiantato a New York, ottiene una borsa di studio dalla John Simon Guggenheim Memorial Foundation, per comodità sempre semplificata in Fondazione Guggenheim, per realizzare un lavoro fotografico sugli Stati Uniti. Con una Ford di seconda mano, così vuole e recita la leggenda, l’allora trentunenne Robert Frank percorse l’immenso paese, attraversando quarantotto dei suoi Stati. «Le strade, i volti delle persone incontrate, le piazze delle città, i bar e i negozi, i marciapiedi, i particolari più insignificanti passano e si fermano di fronte all’obiettivo intelligente e partecipe del fotografo», come recita la presentazione ufficiale del reportage.

Raccolte in monografia, le fotografie di The Americans si imposero presto come una delle svolte fondamentali e

WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (2)

discriminanti del linguaggio fotografico (sempre in riferimento a chi ne è consapevole e lo frequenta), aggiungendosi all’immediatamente precedente Life Is Good & Good for You in New York: William Klein Trance Witness Revels [grafia che adottiamo], semplicemente storicizzato come New York, di William Klein, del 1956, al quale intendiamo approdare, prendendola lunga e larga.

Autentico “poema per immagini”, dedicato alla strada americana e alla sua nuova e sconsolata epopea, quello di Robert Frank è un reportage che, come pochi altri, ha segnato e rappresentato un’epoca, diventando e offrendosi come riferimento principale per generazioni di fotografi, dal quale in molti sono successivamente partiti e ri-partiti per fotografare, viaggiare e conoscere con lo sguardo. Verso la Vita.

Curiosamente, prima che negli Stati Uniti, Les Américains è stato pubblicato in Francia, nel 1958 (si storicizza addirittura il quindici maggio), dall’editore Robert Delpire, anche critico e storico, che tanto peso ha avuto nella Storia della Fotografia del secondo Novecento: dai primi anni Cinquanta, ha pubblicato Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Brassaï, Werner Bischof e altri autori che si sono successivamente imposti come autentici maestri. Più che selezione d’autore, questa prima edizione francese originaria Les Américains fu inserita in una collana che presentava i paesi stranieri attraverso parole e immagini, appunto Encyclopédie essentielle. Comunque, le ottantatré fotografie furono impaginate nello stesso ordine delle successive edizioni librarie americane e internazionali, con personalità d’autore (Robert Frank), tutte sulla pagina a destra. Sulla pagina a fonte, a sinistra, Alain Bosquet raccolse e ordinò testi di carattere storico e sociale sugli Stati Uniti.

Il successivo giugno 1959, la stessa impostazione editoriale caratterizzò l’edizione italiana Gli americani, che Il Saggiatore pubblicò nella propria collana Specchio del mondo - Sezione storia, modificando leggermente i testi originari, con una ulteriore selezione di autori italiani (a cura di Raffaele Crovi). La copertina riprende l’originaria impostazione di Robert Delpire, con due disegni di Saul Steinberg, uno in fronte e l’altro in retro.

Nello stesso 1959, negli Stati Uniti, Grove Press di New York pubblicò quella che possiamo storicizzare come l’edizione originaria della raccolta The Americans,

di Robert Frank, così come l’abbiamo intesa per decenni: dai ventiquattromila scatti, realizzati da Robert Frank tra il 1955 e 1956, la selezione di ottantatré immagini ribadisce la sequenza del volume di Robert Delpire, ma questa nuova edizione e messa in pagina è autentica opera d’autore, non più banalizzata illustrazione geo-politica (propria dei precedenti volumi di Robert Delpire e Il Saggiatore). La sequenza di fotografie è introdotta da un testo di Jack Kerouak; e, sulla pagina sinistra, bianca, a fronte della consecuzione delle immagini, pubblicate soltanto sulla facciata di destra, Robert Frank ha aggiunto la sola indicazione dei luoghi.

WILLIAM KLEIN: NEW YORK

Ora, dopo tanta introduzione/contestualizzazione, approdiamo all’attualità: per onorare William Klein, mancato lo scorso dieci settembre a novantasei anni (è nato il 19 aprile 1926). Come appena accennato, è l’autore della seconda delle tre monografie fotografiche stravolgenti sul linguaggio, pubblicate negli anni Cinquanta del Novecento. In ordine temporale: 1952, Images à la sauvette / The Decisive Moment, di Henri Cartier-Bresson; 1956; Life Is Good & Good for You in New York: Trance Witness Revels / New York, di William Klein, per l’appunto; 1958-1959, The Americans, di Robert Frank.

Con il suo New York, preparato nel 1954 e pubblicato nel 1956, William Klein ha dato una svolta al linguaggio fotografico. Quel suo racconto, al quale ne sono seguiti altri, fu una tappa fondamentale della comunicazione visiva: per la prima volta, il fotogiornalismo cambiò tono ed espressione. William Klein evidenziò come potesse esserci qualcosa di diverso da una storia raccontata fedelmente e con immagini narrative.

Volume rarissimo, mito, oggetto di culto, nel 1996, New York 1954.55 è stato ripubblicato in un’edizione internazionale, alla quale ha partecipato anche l’italiano Peliti Associati. Per dovere di cronaca, va rivelato che anche l’originario Life Is Good & Good for You in New York: Trance Witness Revels ha avuto una propria edizione italiana, del 1956 di riferimento, in monografia Feltrinelli, completa di opuscolo/traduzione allegato: e, sia chiaro, è proprio questa integrità che ne determina la quotazione antiquaria... di stima economica sostanzialmente alta.

Proprio in relazione al “ritorno” di fine Novecento, edizione libraria più facil -

62

mente rintracciabile, è necessario che i lettori compiano un doveroso passo indietro, per tornare agli anni Cinquanta di origine, quando -presso gli addetti- la raccolta di William Klein ebbe un effetto stravolgente. Soprattutto abituati a un tipo di reportage che scandiva con ritmo lineare l’andamento delle storie raccontate, per la prima volta, gli osservatori si trovarono allora di fronte a un libro audace, irruente e irriverente, costruito attorno a una impaginazione apparentemente “sporca”, che colpiva direttamente al cuore.

A metà degli anni Cinquanta del Novecento, New York, di William Klein, espose una visione distante dal lucido sguardo indagatore con il quale altri avevano già raffigurato gli Stati Uniti (Henri Cartier-Bresson, nel 1947). Volontariamente e consapevolmente contrastate, più che contrastate (considerati gli stilemi del tempo, scanditi da grigi ben equilibrati), spesso raffigurate con avvicinamenti grandangolari in prossimità dei soggetti, le fotografie di William Klein si presentarono con neri profondi abbinati a toni alti brillanti, esaltati altresì da una grana evidente, fioccosa e aspra, perfettamente in sintonia con gli accostamenti dell’impaginazione, i tagli arditi e le accattivanti doppie pagine, che lo stesso William Klein aveva imposto. Presso i fotografi più sensibili l’impatto fu forte.

ANCHE QUESTO

E qui, e ora, non possiamo non tenere conto della tecnologia chimica di quei giorni, sempre e comunque per quel legame tra espressività e mediazione tecnica che siamo soliti considerare anche determinativa, magari a partire dalla lezione dell’Impressionismo pittorico, con le proprie inevitabili basi operative a supporto della creatività.

Da cui e per cui è imposto il richiamo temporale alla pellicola bianconero Kodak Tri-X, introdotta sul mercato internazionale il Primo novembre 1954, imponendosi come l’emulsione bianconero più rapida dell’intera offerta fotografica. I propri 400 Iso (ai tempi, 27 Din / 400 Asa) hanno suggestionato il modo di fotografare, l’interpretazione tonale del bianconero fotografico e lo stesso linguaggio espressivo della Fotografia, influenzato da una resa che poteva, e può ancora, essere indirizzata verso la completa distribuzione della scala dei grigi o nel senso di un volontario contrasto alterato e interpretato dall’autore.

A questo punto, è scontato riferirci esplicitamente alla forma del fantastico reportage New York, di William Klein, finalizzata a un contenuto che ha avviato e introdotto un nuovo modo di avvicinare e raffigurare il soggetto. In questo senso, in visione nazionale, va evocata la monografia Milano, Italia, di Mario Carrieri, in prima (e unica) edizione italiana 1959: sulle orme di New York, di William Klein.

Inoltre, in termini oggettivamente utili taristici, l’alta sensibilità di 400 Iso (27 Din / 400 Asa, per chi ha frequentato questi codici antichi... agée) spinse la fotografia bianconero in luce ambiente, senza uso di flash, verso situazioni in precedenza proibitive. Da allora, luoghi di scarsa lu minosità e movimenti hanno potuto es sere fotografati con risultati eccellenti.

Fotografi professionisti ed esperti del settore hanno esaltato la pellico la Kodak Tri-X per la propria eccellen te varietà tonale, l’ampia latitudine di esposizione e sviluppo e la peculiare struttura della grana, mai invadente, mai sovrapposta alla raffigurazione del soggetto fotografato.

Nelle confezioni dal rullo 35mm al me dio formato 120/220 alle piane grande formato (dal 4x5 pollici in su), la pellicola Tri-X ha documentato il mondo, negli apparecchi fotografici di grandi autori, interpreti e fotogiornalisti dalla metà degli anni Cinquanta del Nove cento. In testimonianza vicina ai nostri giorni attuali: «Quasi tutto quello che ho fotografato nella mia vita, è stato realizzato con la pellicola Tri-X», ha di chiarato Sebastião Salgado; «Sono così legato al Tri-X, che anche quando cerco di immaginare tutte le possibili sfuma ture di grigio, materializzo i miei pen sieri con le tonalità riprodotte da que sta fantastica emulsione».

INTERVISTA

Comunque, sollecitati alla riflessione dalla scomparsa di William Klein, ci si può domandare perché, ancora oggi, a distanza di quasi settant’anni, la sua lezione conferma ancora una propria influenza? Addirittura, la ribadisce. Lasciamo la parola a un’intervista rilasciata a Antonio Ria, raffinato e colto lettore della comunicazione visiva contemporanea, nell’estate Duemilauno, quando anche noi incontrammo William Klein, intrattenendoci a parlare di baseball dei decenni gloriosi. Da qui... le dediche a sue monografie che riportiamo in queste stesse pagine. A seguire!

WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (4)

William Klein, lei nasce e cresce a New York, a Manhattan. Nel 1948, a vent’anni, lascia gli Stati Uniti per Parigi. Perché questo trasferimento in Europa?

«Durante l’occupazione della Germania, io ero nell’Esercito americano. Ero venuto in Europa per svolgere il servizio militare. Ero nelle truppe d’occupazione.

«Sono stato inviato a Parigi durante il servizio di leva, perché stavano cercando venticinque soldati per fare un’esperienza di amicizia franco-americana: hanno visto nel mio dossier che ero uscito dall’Università a diciott’anni, che parlavo francese... Così ho passato un anno e mezzo del mio servizio militare alla Sorbona». A Parigi, lei si interessa di pittura, frequenta gli atelier di grandi artisti, come Fernand Léger, espone (anche a Milano). Tornato a New York, nel 1954, inizia -invece- a fotografare: e compone un eccezionale diario fotografico del suo ritorno a New York (che, subito dopo, diventerà una monografia fondamentale).

Cosa l’ha spinta a lasciare la pittura per privilegiare il mezzo fotografico? Perché la fotografia?

«È stato un caso. Avevo esposto una mostra a Milano, e un architetto mi ha chiesto di dipingere dei pannelli ruotanti per un certo allestimento: di dipingerli da entrambe le parti. Ho fotografato questi pannelli, che giravano -erano pannelli astratti-, e ho visto che le forme astratte cambiavano col movimento, mentre i pannelli ruotavano. Così mi sono detto: forse la fotografia può portare un nuovo modo di “lavorare l’arte”.

«Ma non è solo questo. Sono arrivato a Parigi dopo la guerra, quella Parigi che sognavo fin da bambino. Sognavo di fare l’artista a Parigi come la “generazione perduta” (in America, si dice così): insomma, avevo sempre avuto questo desiderio. Sono rimasto un po’ deluso di Parigi: perciò mi sono rivolto più al Bauhaus e ai costruttivisti russi.

«L’idea di dedicarmi alla pittura, alla fotografia, alla grafica, al design, al cinema? Pensavo che fosse il ruolo di un artista oggi. Non ho lasciato la pittura: ho iniziato in più a fare fotografia». Già le sue prime fotografie su New York presentano uno stile proprio, innovativo, inconfondibile: l’uso esasperato dell’obiettivo grandangolare, primi piani che immettono direttamente nella scena, grande uso dello sfocato che accentua il movimento... In qualche modo, c’è Francis Bacon, la grande pittura innovativa del Novecento, la sua prima passione; ma c’è anche, annunciata, in prospettiva, l’altra sua forma espressiva dominante, la cinematografia, nell’esigenza di dare alle immagini fotografiche un forte senso di movimento.

Perché il suo passaggio al cinema, già nel 1958, con il suo primo film Broadway by Light? Perché il cinema, che continua a essere una parte predominante della sua espressione artistica, con una trentina di film, tra corti e lungometraggi? «Ho sempre avuto voglia di fare cinema, ma non pensavo che avrei mai potuto arrivarci. Non sapevo da dove cominciare, come si fa un film, eccetera. D’altronde, pensavo anche di non essere in grado di fare fotografia, perché -quand’ero bambino- c’erano degli amici che avevano delle camere oscure, e tutta la faccenda mi sembrava molto complicata. Le prime fotografie che scattai, sviluppate nel negozietto all’angolo, erano tutte sfocate e in più, da una parte, col segno del mio dito...

«Mi dicevo: la fotografia è molto complicata, non potrò mai occuparmene. Ma quando ho avuto l’occasione di avere la mia prima camera oscura e vedere bene le fotografie che avevo scattato, ingrandirle io stesso, con l’inquadratura e gli effetti che volevo dare io, mi sono reso conto che c’era qualcosa che si poteva fare con la fotografia.

«Allora, ho realizzato il libro su New York. Una volta concretizzato il libro, ho pensato che da questo poteva venir fuori un film. Ho mostrato il libro a un produttore, insieme a un copione, con scene che si scontravano, una dopo l’altra, in una maniera assurda. Ho detto al produttore: “Guardi questo libro. Vorrei fare un film così, senza capo né coda, che mescoli tutto”. Il produttore ha detto no. Io ho fatto ugualmente il film, Broadway by Light, che era un po’ come un antidoto al libro.

«Dicevano che avevo fatto un libro troppo nero, troppo grunge, troppo violento. Ho risposto: “New York è così”. Ma poi mi sono detto: c’è un altro modo di mostrare la pressione, il lavaggio del cervello che si verifica in America, a New York; ed è mostrare le luci delle pubblicità sulle strade. È qualcosa di colorato, di bello, ma è altrettanto spaventoso quanto il libro, perché è un lavaggio del cervello subìto con piacere». Lei ha sperimentato direttamente le tre grandi forme espressive e artistiche del Novecento: la pittura, la fotografia, il cinema.

Cosa può dirci di questa sua eccezionale esperienza?

«Non è poi così eccezionale. Pensavo che fosse una cosa normale che nel Ventesimo secolo ci si occupasse di pittura e, nello stesso tempo, anche di cinema e di fotografia. Trovo che sia normale essere multidisciplinari. D’altronde, i pittori sono sempre stati multidisciplinari. In Italia, Giotto e Michelangelo si interessavano di architettura, di urbanistica, di scultura, di progetta-

zione. Perché allora -oggi- un pittore non dovrebbe frequentare fotografia, televisione, cinema? È normale».

Ma, per lei, quest’esperienza molteplice, cos’è stata? La possibilità di potersi esprimere in queste tre forme contemporaneamente cosa ha realmente significato?

«Gli scrittori dicono spesso: “Ho scritto lo stesso libro tutta la vita”. Io penso che, sia che mi occupi di pittura, sia di fotografia o di cinema, sono sempre io, è sempre un mio modo di esprimermi: è il mio autoritratto. Penso che non ci sia differenza. La tecnica è diversa, ma ciò che esprimo è più o meno lo stesso». I suoi primi studi a New York City, quand’era giovane e pieno di speranze, sono stati di sociologia. Quindi, fin da ragazzo, aveva il desiderio di scoprire e conoscere la società.

In che modo queste tre arti -insieme e nella propria specificità- l’hanno aiutata a capire la realtà sociale? «La realtà sociale... c’è tanto da dire: avrei voluto dirlo più spesso.

«D’altra parte, ho detto molto nel mio ultimo film uscito l’anno scorso, Le Messie (Il Messia). Ho usato il testo della Scrittura, di cui Jennings ha fatto un “montaggio” a metà del Diciottesimo secolo; le musiche sono di Haendel. Ma parlo del mondo di oggi.

«Quindi, è vero che c’è stato un momento in cui gli artisti sono stati portatori di una forma di rivelazione, di verità sulla società. In particolare gli scrittori: Victor Hugo, Dickens, gli scrittori americani della nostra epoca, tutta la letteratura del secolo. Ma non so se la verità sociologica si sia effettivamente rivelata attraverso la pittura.

«D’altronde, è uno dei motivi per cui, a un certo punto, io mi sono dato alla fotografia, perché la mia pittura era molto lontana dalla realtà: era pittura astratta, geometrica, una forma di ricerca grafica. Ero frustrato e pensavo: in effetti, con la fotografia posso dire cose che non sono in grado di dire con la pittura. E con il cinema ancora di più... verso una comunicazione globale». Oltre a mirare, a conoscere e comunicare la vita vera, il suo linguaggio visivo è sempre stato accompagnato da una forte ricerca formale.

Come è possibile far convivere una finalità di conoscenza sociale con una ricerca “pura”, estetica, d’arte? «Penso che non ci siano problemi. Goya faceva critica sociale e, nello stesso tempo, ricerca estetica. Le due combinazioni possono procedere molto bene insieme: l’ho sempre pensato». Non le chiedo chi sono stati o considera suoi maestri: nella pittura, nella fotografia, nel cinema. Ma almeno, chi considera suoi punti di riferimento in queste tre arti?

64

«Penso a Charlot, Charlie Chaplin. Amavo molto il suo cinema. Gli americani sono stati i primi a elaborare questo cinema tragico, slapstick (grottesco). Nel nostro secolo, restano grandi artisti James Joyce, Picasso e Charlot. Penso che tutti e tre abbiano una visione del mondo piuttosto simile.

«Joyce adoperava i materiali di tutti i giorni -prosaici, popolari- per creare di nuovo l’odissea del romanzo; così faceva anche Picasso, coi collage: tutta la storia dell’arte è compressa in ciascuno dei suoi quadri; e Charlot, che di fatto è il miglior documentarista del mondo. Perché, se si vuole sapere come viveva la gente all’epoca in cui ha girato i suoi film, più che consultare documentari o altri mezzi di informazione, possiamo ricostruire dai suoi film le fabbriche, gli operai in fila in attesa di un lavoro qualsiasi, le zuffe coi gendarmi, il lavoro ai grandi magazzini, le pensioni famigliari in cui si vive dentro quelle ridicole stanze dove tutto cade a pezzi. Ebbene, io credo che la visione di quest’epoca, del Ventesimo secolo, non si sarebbe potuta rendere meglio.

«E poi, uscendo da un film di Charlot, penso che si sia vissuto tutto: l’assurdo, la tristezza, e anche la gioia. Perché vedere un suo film è comunque una grande gioia, anche se si è vicini alle lacrime per la maggior parte del tempo». E nella fotografia, chi sono i suoi punti di riferimento? Ce ne sono, o no? «Sì, ci sono dei fotografi che amo: e spesso sono americani. Walker Evans, per esempio: penso che abbia mostrato quello che sono veramente i muri, le case, la strada.

«In Francia, c’è Atget.

«Anche oggi, ci sono fotografi che amo molto, come Witkin, Les Krims... Ma non posso dire che ci sia un fotografo che io consideri mio vero modello». Ora, vorrei concentrare il nostro discorso sulla sua ricerca fotografica. Tra i maestri della fotografia del secondo Novecento, lei è stato uno dei più innovatori, introducendo uno stile nuovo, violento e ironico, tra satira e poesia, anticipando Pop Art e Nouveau Réalisme.

In che modo inquadrature, ottiche, formato, metodi di stampa giocano in questo nuovo linguaggio visivo che lei ha realizzato? Insomma, vorremmo entrare in qualche maniera nel laboratorio segreto della sua ricerca fotografica...

«Quando mi sono avvicinato alla fotografia, ho avuto l’impressione che lì ci fosse pochissima ricerca. Nella pittura, nella scultura, nell’arte moderna si cercava qualcosa di nuovo e c’erano molti modi di trattare la pittura e le altre arti. Mentre nella fotografia la ricerca si era arenata. Pensavo che ciò fosse stupido

e che bisognasse spingere la fotografia a liberare se stessa, perché la fotografia ha una propria specificità. La fotografia ha qualcosa che la pittura non ha. «Si è sempre pensato che la composizione propria della pittura, ereditata dal Rinascimento (le prospettive, la sezione aurea, eccetera), si potesse applicare alla fotografia. Ma la fotografia ha qualcosa di assolutamente specifico: per esempio, se si cambia obiettivo si ha un altro tipo di prospettiva, se si tiene l’apparecchio di traverso si ha un’altra visione dell’orizzonte, un’altra visione della vita... Ora, questo è proprio della fotografia.

«Non si sfruttava abbastanza ciò che esiste nella fotografia e non esiste altrove. Per esempio, un’immagine la si può “tirare”, farla molto contrastata, molto scura, molto sgranata, solarizzata: si possono fare molte cose. Allora, questa immagine, che è davanti alla macchina fotografica, inizialmente può essere frutto di un punto di vista che dà luogo a un’inquadratura tipicamente fotografica; ma, per esempio, per me, la composizione era data spesso dalle masse, dalla folla, dal modo in cui le persone si incontrano, per strada o altrove: e si incontrano in modi molto diversi.

«Per me questo è un modo di comporre. Quindi, ritenevo che i fotografi non sfruttassero tutte le potenzialità della fotografia».

Per il suo stile, cos’è stato più importante, ai fini comunicativi: per esempio, la visione grandangolare, il “mosso”, le tecniche di stampa? «Tutte queste componenti insieme. Una volta, in un film documentario su di me, dovevo illustrare le differenze tra i vari obiettivi: il grandangolare, l’obiettivo normale, il teleobiettivo. Allora, ho fatto un esperimento con la troupe. Ho detto: “Ora vi fotograferò col grandangolare, con l’obiettivo normale, eccetera”. Il risultato è stato un po’ strano: era sempre la stessa fotografia!

«Si è abituati a lavorare col grandangolare, perché tra la folla è più facile, permette di “catturare” molti particolari contemporaneamente, a una distanza ravvicinata. Ma se io avessi fatto disporre le persone secondo una certa “messa in scena”, avrei ottenuto lo stesso effetto con un obiettivo normale o con un teleobiettivo. Dunque, io amo un’immagine molto piena: piena di contraddizioni, di movimento, di folle, di visi, di tutto. Ma penso che usare un obiettivo piuttosto che un altro sia soprattutto una questione di comodità e non una regola».

Lei ha iniziato a fotografare mentre esercitava una pittura astratta, quasi a compensare o a contrapporre un’esigenza di astrattismo a una di reali-

smo. Ma, nelle sue fotografie, è sempre presente una dimensione astratta. Forse questa dimensione dà alle sue immagini fotografiche una valenza di universalità, propria dell’arte?

«Si dice che oggi esiste un altro tipo di fotografia: la fotografia adoperata dai pittori, dagli artisti. È una nuova concezione della fotografia d’arte. Ma penso che le fotografie che ho realizzato in quel periodo, e che erano realiste -di un realismo, diciamo, “brutale”- erano comunque il lavoro di un artista che usava la fotografia.

«Ritenevo che ciò che andavo facendo fosse un modo di cambiare l’uso della fotografia. E se lei la definisce “astratta” o “d’arte” non ci sono problemi: per me, ogni volta, era una sorpresa e una nuova esperienza. Talvolta, mi succede di smettere di fotografare per un certo tempo. Questo perché non ho mai fotografato regolarmente, salvo quando lavoro a un grande progetto, per esempio a un libro: allora, fotografo giorno e notte, per un certo periodo. In quel caso, quando riprendo a fotografare, mi sembra di fotografare per la prima volta. Questo mi esalta. Amo questa “freschezza”, perché penso che se mi dedicassi alla fotografia regolarmente, alla fine diverrei indifferente e farei le cose meccanicamente». Oltre che per le sue prime fotografie su New York negli anni Cinquanta -e per la novità che hanno significato nel linguaggio fotografico-, lei è noto in tutto il mondo per la nuova via che ha imposto alla fotografia di moda, portando il set sulla strada, incoraggiando le modelle a “recitare”, invece di posare.

Come è arrivato a questa “estetica da strada” nella moda? E in che modo la sua esperienza di pittore e di regista cinematografico ha influito in questa innovazione nella fotografia di moda?

«È stato un po’ al contrario. Perché, a quei tempi, la fotografia “personale” o creativa non si poteva vendere; non c’erano musei o gallerie che acquistassero fotografie, e nemmeno collezionisti. Se io regalavo una fotografia a qualcuno, la appendeva al muro con una puntina o la chiudeva in un cassetto. Oggi, quelle fotografie che io realizzavo per me stesso si vendono. Allora, però, non potevo guadagnare con questo genere di fotografia, e bisognava trovare il modo di mantenersi: mi hanno chiesto di scattare fotografie per la moda, e io le ho fatte. Ma, al di là del denaro che poteva procurarmi, ho pensato che fotografare per la moda fosse anche una sorta di “apprendistato per il cinema”, perché si è costretti a creare una messa in scena con indossatrici, lavorando con assistenti, in fretta, usando una scenografia...

65

«Penso proprio che questa sia stata una sorta di preparazione al cinema. Quindi, non è il cinema che mi ha portato a fare un certo tipo di fotografia di moda, bensì è stata la fotografia di moda a darmi l’opportunità di pensare che avrei potuto organizzare una situazione di regia che avrebbe potuto darmi indicazioni sulla condizione nella quale ci si trova obbligati a girare.

«Perché scattare fotografia in strada? Beh, io non sono il solo ad averlo fatto. Ci sono sempre stati fotografi che hanno realizzato immagini per la moda lungo la strada. È vero che io le faccio un po’ più sistematicamente di qualcun altro (ammesso, ma non concesso); ma mi ero stufato dello studio e pensavo che mostrare le modelle e gli abiti “in mezzo alla vita vera” sarebbe stato un modo di far “vivere” la situazione».

Negli ultimi anni, lei ha lavorato sui contatti fotografici, che sono come la materia prima del linguaggio fotografico. Li ha dipinti, colorati, quasi a voler ricuperare la sua prima vocazione alla pittura, intersecandola con la fotografia. Ha cosi trasformato il momento “primitivo”, che quasi nessuno mai vede, in un’opera d’arte. Ci spieghi come è giunto a questa nuova scrittura fotografica, a questa nuova macchina narrativa, a questo nuovo linguaggio artistico. Da quali esigenze è stata motivata questa sua ultima ricerca?

«Questa serie di “contatti dipinti” è stata ispirata da una serie di film entro i quali ho introdotto molte innovazioni. Una decina di anni fa, mi è stato chiesto se avevo qualche idea per fare dei film sulla fotografia, per la televisione o per il cinema. Ho pensato che sarebbe stato interessante avere una cinepresa mobile, che riprendesse una strisciata di contatti e che il fotografo spiegasse perché aveva scelto una inquadratura piuttosto che un’altra [“contatto” è il risultato della stampa dell’intero rullo / rullino su un unico foglio].

«Era una lezione a più livelli: una lezione per lo spettatore, che imparava che il fotografo non riesce sempre a cogliere nel segno, a realizzare una immagine riuscita, e che a fianco c’è magari la fotografia “mancata” o una fotografia che è solo un’approssimazione di quella che poi si conosce. Ho constatato che, quando la cinepresa mobile riprendeva queste strisciate, si vedevano i segni fatti con la matita grassa. Ora, tutti i fotografi del mondo, per scegliere una fotografia, tracciano delle linee attorno, fanno dei riquadri, dei cerchi... E questa è un’altra maniera di mostrare le fotografie.

«Allora, c’era il boom della fotografia; io ero un idolo della fotografia. Perciò, mi sono detto: se devo tornare alla fo-

tografia. devo mostrare le immagini in modo diverso. Dunque, questa esperienza è nata da queste due preoccupazioni: i film sui contatti e un modo nuovo di mostrare le fotografie. Mostrare certo l’immagine riuscita, ma anche quella vicina e prossima, che lo è di meno, e poi i segni che si tracciano per scegliere le fotografie. Ho pensato che si potessero enfatizzare questi segni, ingrandendoli per mezzo della pittura. Questo è ciò che ho fatto». Nel suo primo libro fotografico su New York, già nel titolo, lei ha anticipato la sua concezione e definizione di fotografia, in tre parole.

Vuole dirci e spiegare lei stesso queste tre parole che definiscono il gesto del fotografare?

«Sì, il titolo del libro deriva da una frase pubblicitaria e dai titoli cubitali dei giornali, visioni che ho assorbito per anni. Non era New York, bensì Life Is Good & Good for You in New York (La vita è bella, ed è bella per te, a New York). A questo, ho aggiunto di seguito il mio nome e ho scritto: William Klein Trance Witness Revels. “Trance”, in inglese, è lo stato ipnotico e questo è un gioco di parole, perché spesso, sui giornali, si dice che un certo fatto è stato visto da un testimone -witness- che passava per caso.

«Dunque, un “testimone per caso”, un “chance witness” / ”trance witness”, dato che trance, per me, è lo stato in cui ci si trova quando si scatta una fotografia, mentre chance è il caso, che gioca anch’esso un ruolo fondamentale in questo processo. L’ultima parola, revels (in inglese, “revel” è la festa, il divertimento), è un altro gioco di parole col termine reveal, cioè rivelare. Allora, si “rivela” e si “esulta” nello stesso tempo, sempre che si intenda farlo». Nelle sue fotografie, il senso tragico è sempre accompagnato da una sottile ironia.

Da cosa le deriva? Dall’antico humour ebraico newyorkese?

«Sì, il libro su New York è stato come una specie di humour da campo di concentramento. Lei ha ragione a parlare di humour newyorkese: si dice che nei campi di concentramento c’è sempre una sorta di humour ebraico, disperato. Certo, New York non è un campo di concentramento. Ma il mio libro è piuttosto tragico e, allo stesso tempo, lo trovavo così assurdo che pensavo... che era meglio ridere che piangere». In che misura, William Klein, l’atto del fotografare è contemporaneamente e quasi inscindibilmente un atto fisico e un atto culturale?

«Beh, lei è indubbiamente perspicace, perché è vero che per me la fotografia è un gesto estremamente fisico. Penso che in questo consista la differenza tra la fotografia e le altre arti. Anche nella

pittura c’è la “mano”, il “gesto” del pittore. Anzi, c’è stata una fase astratta della pittura newyorkese, molto violenta nel gesto, con il colore che colava dalle latte o dai tubetti: ecco, anche in quel caso il gesto contava molto.

«Ma il gesto conta davvero molto anche nella fotografia: se si è alti, si scattano fotografie più dall’alto; se si è bassi, più dal basso; se si è tra la folla c’è come una specie di eccitazione, ci si “getta” in mezzo alla gente, e poi bisogna indietreggiare... Insomma è un fatto molto fisico. Tuttavia, se la fotografia è un atto fisico, non è solo il corpo che entra in gioco: anche la testa è coinvolta. Dunque, è anche un atto culturale». Le questioni del movimento, del tempo e della forma, lei le aveva già affrontate da giovane nella sua ricerca pittorica negli atelier di Parigi.

In che modo questi tre problemi si sono poi presentati nella sua ricerca fotografica? E come li ha risolti? «È vero che io amo le fotografie che si muovono, che letteralmente si muovono. Amo molto il movimento, e ho anche accentuato il fatto del movimento con una delle tecniche della fotografia, cioè il “mosso”. Adopero molto il “mosso”, proprio per rendere il senso del movimento: quindi, con esposizioni lunghe, sovente in combinazione col flash, per cui si ha, insieme, un’immagine a fuoco e un’immagine mossa.

«Lei ha parlato degli atelier, della ricerca pittorica: ma la pittura, in fondo, è statica. Io credo che, in Italia, il Futurismo abbia cercato di infondere movimento nella pittura; ma, in generale, nella pittura il movimento non è un elemento che sia proposto sovente.

La pittura è piuttosto statica, mentre invece nella fotografia il movimento è una delle materie prime fondamentali».

La curiosità, si sa, è la prima qualità di un fotografo. Ma lei, più che un semplice “curioso dello sguardo” (un regardeur), è stato un attento lettore dei segni sociali, politici, culturali, estetici del nostro tempo. Soprattutto le sue fotografie, più che “dire il mondo” vogliono portarci a “leggere il mondo”: sono una continua “messa in scena” del mondo.

William Klein, alla fine, qual è la sua “lettura del mondo”?

«Mi hanno chiesto spesso chi erano le persone che ammiravo di più e io ho risposto proprio Charlie Chaplin. Io vedevo i film di Charlot come una perfetta “lettura del mondo”: una combinazione di assurdo e di esilarante, fino alle lacrime. Credo che, in effetti, viviamo in un mondo meraviglioso, ma disperato, strano, alla fine assurdo. Anche vivere e morire è piuttosto assurdo, ma che farci?

«Non abbiamo scelta». ■ ■

66

JANE GOODALL

La primatologa e antropologa inglese Jane Goodall (1934-) è sconosciuta al grande pubblico. Soprattutto, a livello popolare, la sua personalità professionale e morale viene dopo quella della primatologa e ambientalista Dian Fossey (1932-1985), che si avvale della trasposizione cinematografica Gorilla nella nebbia, del 1988, barbaramente uccisa da bracconieri ruandesi, nel 1985.

Per quanto ambedue le scienziate abbiano agito in parallelo e per medesimi scopi e fini, va distinta la specializzazione di Jane Goodall, con gli scimpanzé, da quella di Dian Fossey, con i gorilla. Entrambe ai vertici dei rispettivi indirizzi, hanno studiato e decodificato le interazioni sociali e familiari dei primati. Comunque, due contributi sostanziali e fondanti -integrati tra loro- per la Conoscenza del mondo animale, soprattutto in riferimento all’evoluzione della specie e della vita sulla Terra.

Ora, liquidiamo subito e velocemente il motivo “giornalistico” per il quale oggi richiamiamo la figura di Jane Goodall, per concederci, poi, tempo e spazio per ricordarne e celebrarne valori di merito. Siamo stati sollecitati nella direzione intrapresa dal numero del 18 ottobre 2021 del settimanale statunitense Time Magazine. L’abbiamo tenuto in bella vista per un anno intero, confrontandolo -settimana dopo settimana- con i newsmagazine italiani.

Alla fine, come prevedavamo! La copertina di Time Magazine evidenzia un concetto di giornalismo che è scomparso nel nostro paese, nel quale il palcoscenico è ormai a completo e unico appannaggio di personaggi della politica locale.

Nessuna (o poche) proiezione verso il Mondo, verso argomenti in approfondimento, verso la Vita nel proprio svolgersi. Ovviamente, contribuisce al risultato anche la mediocrità sociale dei politici italiani dei nostri giorni.

Il 18 ottobre 2021, in lancio di un corposo servizio interno, approfondito ed emozionante, Time Magazine ha riservato la copertina alla primatologa e antropologa inglese Jane Goodall, all’alba dei suoi ottantasette anni di età: ritratto lieve e garbato di una personalità consapevole di se stessa e dello scorrere

dei propri anni di vita. Dignità estrema e decoro senza limiti, né confini.

In testimonianza visiva, su queste pagine, accompagniamo Time Magazine con una copertina più antica, indietro nel Tempo: National Geographic Magazine, del dicembre 1965, illustrata con Jane Goodall tra i “suoi” scimpanzé, quando aveva trentuno anni.

Quindi, a corollario, e secondo nostra osservazione mirata, due emissioni filateliche: Sierra Leone, del 22 maggio 2015, e Uganda, che l’11 aprile 2012 celebrò cinquant’anni di sue ricerche antropologiche.

Jane Goodall, adesso.

Come già annotato, è soprattutto conosciuta per i suoi studi sulla vita sociale e familiare degli scimpanzé. Ha iniziato, frequentando la comunità Kasakela, nel Gombe Stream National Park, in Tanzania, nel 1960. Subito, considerò che «non sono solo gli esseri umani ad avere personalità ed essere capaci di pensiero razionale e provare emozioni, come gioia e dolore». Ha anche osservato comportamenti come abbracci, baci, pacche sulla spalla e il solletico: che consideriamo azioni “umane”.

Jane Goodall insiste sul fatto che questi gesti sono prova di «legami stretti, solidali e affettuosi, che si estendono tra i membri della famiglia e altri individui all’interno della comunità». Questi risultati suggeriscono che le somiglianze tra umani e scimpanzé si manifestano oltre i geni, e possono essere riscontrate nelle emozioni, nell’intelligenza e nelle relazioni familiari e sociali.

68
/ È GIORNALISMO / di
Angelo Galantini
La primatologa e antropologa Jane Goodall sulla copertina di Time Magazine, del 18 ottobre 2021, sulla copertina di National Geographic, del dicembre 1965, e in due emissioni filateliche: Uganda (11 aprile 2012) e Sierra Leone (22 maggio 2015).
WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (4)

La ricerca di Jane Goodall è nota alla comunità scientifica per aver sfidato (e sconfitto!) due credenze di vecchia data: che solo gli esseri umani possano costruire e usare strumenti e utensili e che gli scimpanzé siano vegetariani. Mentre considerava uno scimpanzé che si nutriva a un termitaio, la primatologa lo osservò posizionare ripetutamente steli d’erba nei buchi delle termiti; quindi, rimuoverli dal buco coperti di termiti aggrappate, effettivamente “pescando” le termini. Gli scimpanzé usavano anche ramoscelli di alberi, ai quali strappavano le foglie, per renderli più efficaci: una forma di modifica degli oggetti che è l’inizio rudimentale della

produzione di utensili: confutando così (demolendo?) la qualifica che per secoli ha distinto gli umani (Sapiens) dal resto del mondo animale, in quanto “Fabbricatori di attrezzi”. A questo proposito, il paleontologo e archeologo keniota-britannico Louis Leakey (Louis Seymour Bazett Leakey; 1903-1972), il cui impegno è stato fondamentale nel dimostrare che gli esseri umani si sono evoluti in Africa, ha annotato che «Ora dobbiamo ridefinire l’Uomo, ridefinire un concetto o accettare gli scimpanzé come umani».

In contrasto con i comportamenti pacifici, che Jane Goodall andava rilevando, ha anche individuato un lato aggressivo della natura degli scimpanzé. Ha scoper-

to che cacciano e mangiano sistematicamente primati di dimensioni inferiori alle loro, come i colobi (Colobus Illiger, scimmie della famiglia Cercopithecidae, sottofamiglia Colobinae). Ha osservato un gruppo di scimpanzé cacciatori isolare una scimmia colobo, in alto, su un albero, e bloccare tutte le possibili vie di fuga; poi, uno scimpanzé si è arrampicato e lo ha catturato e ucciso. Ogni scimpanzé partecipò al banchetto, prendendo parti della carcassa e condividendole con altri membri della spedizione, in risposta a comportamenti di elemosina.

Ancora, Jane Goodall ha rilevato anche una tendenza all’aggressione e alla violenza all’interno della comunità. In particolare, le femmine dominanti uccidono deliberatamente i giovani di altre femmine, per mantenere il proprio dominio, arrivando perfino al cannibalismo. Esplicitamente: «Durante i primi dieci anni di studio, avevo creduto che gli scimpanzé di Gombe fossero, per la maggior parte, piuttosto più simpatici degli esseri umani. Poi, abbiamo scoperto che gli scimpanzé potrebbe essere brutali; che loro, come noi, hanno un lato oscuro della propria natura».

Eticamente, Jane Goodall si è anche distinta dalle convenzioni tradizionali in auge nei suoi primi anni di studio, nominando gli animali dei quali si è occupata, invece di assegnare a ciascuno di loro una cifra. All’epoca, la numerazione era una pratica pressoché universale, e si teorizzava che fosse necessaria per rimuovere se stessi ricercatori dal potenziale attaccamento all’argomento affrontato.

Già... Jane Goodall. ■ ■

69
/ SOLO FIGURE... SENZA PAROLE / REICHSTAG
WunderKammer (6)
20 febbraio 2020 Da La storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi 10 agosto 1976 (Cartolina) 9 maggio 2005 (23 dicembre 1999) 23 dicembre 1999 8 maggio 2015 Maurizio Galimberti, da Uno sguardo nel labirinto della storia
BANDIERA DELL’ARMATA ROSSA, CHE HA SANCITO LA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE: ICONA

NIKON S3 YEAR 2000

72 / LA PARTE, PER IL TUTTO /
di Antonio Bordoni MILLENNIUM MODEL: RIPROPOSIZIONE DELL’APPARECCHIO A TELEMETRO DEL 1958, IL SESTO DALLE ORIGINI Antonio Bordoni

in anticipo su Fotografia nei francobolli

Francia, foglio Souvenir del 9 novembre 2014: Les appareils photographiques. Sei soggetti: Quadrilatère Derogy (1865), Girald Folding Le Rêve (1902), Kodak Beau Brownie (1930), Bazin & Leroy Stéréocycle (1898), Chambre Pliante (1910), Gaumont Spido Reportage (1935).

FOTO graphia / F otogra F ia nei F rancobolli / 09

I COMUNISTI

A volte, mi capita di sognare che molte fantasticherie da romanzo senza pretese o cinema pettegolo possano avverarsi. Soprattutto, mi piacerebbe veder risorgere Gesù, un’altra volta (ammessa e non concessa la prima, a tre giorni dalla crocifissione): in modo che potesse costringere i cristiani-a-parole a comportarsi così come divinano, peraltro irrispettosi della Parola... che sarebbe Pietra (da e con Carlo Levi). Ma, tutto sommato, la vicenda mi è indifferente.

In medesima lunghezza d’onda, sarebbe intrigante se anche Mikhail Alexandrovich Bakunin potesse resuscitare. Ribadito un certo disinteresse personale alla questione, però comincio ad avvicinarmi alla meta che mi coinvolge. Non mi riferisco a tutti e in assoluto, ma c’è almeno un profeta italiano dell’anarchia che vorrei vedere obbligato a fare per quanto dice, nascondendosi dietro espressioni incondizionate di comodo e autentica funzionalità... per se stesso.

Chiede: ma tu, ti chiami fuori da tutto, e ti elevi sopra ogni parte possibile? Certo che no! Per quanto sia consapevole che il gioco politico non è fatto per i mistici, gli utopisti, gli ingenui (io, tra questi), considero fondamentale la libera circolazione delle idee e il confronto con le opinioni degli altri.

Da cui, mi allontano e separo da coloro i quali -nei fattianche in Fotografia hanno e perseguono soluzioni limitate al soddisfacimento di interessi (degli interessi) di un ristretto numero di individui, loro stessi in testa a tutti (approfondiremo sul prossimo numero: anticipazione dovuta).

Le rivoluzioni (religiose, sociali, politiche) sono state tutte un insuccesso, ma non tutte sono lo stesso insuccesso. Per cui, mi esprimo nella fede in un autentico socialismo democratico e partecipe che riflette quello istintivo, per niente intellettualistico, di coloro i quali vivono e soffrono. Soffrono e vivono.

Tanti / tutti ne parlano, in un modo o in un altro. È semplicemente una questione della parte da cui si sta e delle ideologie che si perseguono: magari, senza tenere in alcun conto in termini nuovi e concreti i rapporti tra individui e civiltà industriale. Anche in Fotografia.

Preso atto dell’involuzione subìta da ogni teoria del bene e buono, rispondiamo a una profonda onestà che ci impedisce di accettare compromessi. Preferiamo continuare a lavorare, pensare, scrivere e fotografare, perché tutto questo è -comunque- un atto di adesione personale e individuale a qualsivoglia ideale di progresso sociale comune a tutti.

Proprio in questi giorni, ho riletto per l’ennesima volta La fattoria degli animali, di George Orwell, la cui prima edizione italiana è creditata Mondadori 1947. I modi individuali di lettura di un libro, di un qualsiasi libro che abbia debiti di riconoscenza con qualsivoglia at-

cenni, ho giocoforza incontrato raffronti via via modificati. Già lo scrittore belga compilò i propri romanzi di Maigret in giovane età; quindi, noi stessi vi ci avvicinammo altrettanto giovani.

All’inizio, dai primi anni Settanta, noi ventenni, condividevamo le annotazioni parallele dello scrittore, per il quale erano descritte anziane (anzi, proprio “vecchie”) le portinaie parigine di quarant’anni di età. Poi, cominciammo a prenderne le distanze; oggi, superati i settant’anni, tendiamo pure ad irritarci.

E c’è dell’altro. Ho riletto La fattoria degli animali, in tempi di profonda partecipazione al dibattito teorico-pratico sul linguaggio fotografico e le relative parti in campo. Insomma, mi è venuto spontaneo leggere in metafora alla Fotografia, soprattutto a quella italiana, animata da tante figure rapportabili ai maiali (soviet?) del libro, che -una volta attuata una rivoluzione che ha rovesciato il Potere degli Uomini, a favore degli Animali- riprendono da capo il giochetto, declinandolo per se stessi e i propri interessi momentanei.

In prosecuzione logica e, ormai qui inevitabile, sarebbe affascinante anche la resurrezione di Karl Marx e Friedrich Engels (e, magari, anche di Lenin / Vladimir Ilyich Ulyanov), per quanto potrebbero sconvolgere la vita dei comunisti-da-salotto, che anche loro -in maniera coerente (?)- dovrebbero passare dalle parole pronunciate in completa libertà fonetica a fatti consequenziali! Ahiloro!

Personalmente, il mio quotidiano è più vicino a questo che alla sua comoda disamina dal divano di casa, dal posto a tavola mondano in una cena altera e ideologicamente superba: a conseguenza, percepisco valori e spessori di verità sociale poco teorica, ma molto partecipe alle condizioni di vita di altri (meno fortunati), alle loro esigenze e aspirazioni. Anche in Fotografia.

tualità temporale, dipendono spesso dalla propria età. Non tanto in termini di esperienze e maturazione (sia verso la Vita, sia relativamente alle opinioni e convinzioni), ma anche in rapporto individuale statico.

Per esempio, solido appassionato dei romanzi con protagonista il commissario Maigret, e -in altra misura- di tutta la letteratura di Georges Simenon, nel corso degli anni e dei de-

Nella mia libreria, ho recuperato una edizione pubblicata dalle Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, del 1977, con ammirevole, coinvolgente e illuminante prefazione di Giuseppe Rubiola, in quello stesso 1977, Medaglia d’argento ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte. Sul prossimo numero, esprimeremo paralleli in metafora con l’insolenza dei nuovi Potenti di La fattoria degli animali, di George Orwell, la cui involuzione politica portò a modificare uno dei comandamenti cardini della loro rivoluzione a scapito dell’Uomo: Tutti gli animali sono uguali, trasformandola, a fine parabola, in Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri

In metafora... fotografica.

74
■ ■ / IN IRONIA E SARCASMO /
NON QUELLI CHE HANNO ANCHE SACRIFICATO LA PROPRIA VITA PER GLI ALTRI. PER NOI
RIFLESSIONI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA NELLA RIVISTA CHE NON TROVI IN EDICOLA fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO 10 numeri a 65,00 euro Per info: Graphia di Maurizio Angelo Rebuzzini abbonamento@fotographiaonline.com / A dispetto della propria testata, FOTOgraphia è una rivista che sembra dar valore soprattutto a Parola, Pensiero e Riflessione. Dunque, se questi princìpi ti sono estranei, evita di abbonarti Del resto, anche la nostra sollecitudine a rinnovare gli abbonamenti è assai contenuta e limitata. Noi continuiamo a privilegiare il fare, piuttosto del dire e comunicare di aver fatto. CAMPAGNANON ABBONAMENTO

Tutto Tutto âgée

Subito interpretato per ciò che effettivamente è, con scarto a lato soltanto apparente rispetto lo stato attuale dell’arte ottica riferita alla fotografia. Slittamento intenzionale, volontario e consapevole: in conciliazione di forma (esteriore) per il contenuto (di sostanza). Progettualità e realizzazione in equilibrio gerarchico paritetico tra prestazioni fotografiche ottimali e foggia... estetizzante, L’affascinante e convincente TTartisan M 28mm f/5,6 ripropone il design che ha caratterizzato, fino a definirli -addirittura-, gli obiettivi

Leitz/Leica delle origini. Nello specifico, per focale, disegno ottico e costruzione riprende parametri grandangolari che decenni e decenni fa furono coraggiosi, perfino clamorosi. Con questo, allo stesso tempo e momento, l’obiettivo soddisfa appieno esigenze irrinunciabili di alta qualità formale della ripresa fotografica (la creatività dipende, poi, dalle intenzioni dell’autore, dalla sua progettualità, dalle sue capacità). Ovviamente, sia in acquisizione digitale di immagini, sia nella fotografia chimica, con pellicola 35mm.

Per Leica M. Scala dei diaframmi da f/5,6 a f/22; sette lenti in quattro gruppi; ghiera dei diafram- mi a sei lamelle; angolo di campo di 72 gradi (Full Frame); a fuoco da 100cm; 151 grammi di peso; diametro filtri 37mm; con paraluce dedicato.

Con adattatori “M-”, può essere utilizzato anche con: Canon RF (M-RF), L-Mount (Leica, Panasonic, Sigma; M-L), Nikon Z (M-Z), Sony E (M-E). Ampia gamma di anelli adattatori Mirrorless.

via Francesco Datini 27 • 50126 Firenze 055 6461541 • www.rinowa.it • info@rinowa.it TTartisan M 28mm f/5,6
Fumitaka Sano
/ E DOMANI E DOMANI / GRANDE IL FORMATO MANUALI PER IL CORRETTO IMPIEGO DI APPARECCHI FOTOGRAFICI A CORPI MOBILI: FOLDING E A BANCO OTTICO. DAL 4x5 POLLICI 77 Nital, 1994 (?) Sinar / Mafer, 1984 Sinar / Mafer, 1990 Linhof / Sixta / Gruppo BP, 1982 Fatif, 1975 (?) Sinar / Ippolito Cattaneo, 1969 (?) Linhof / Sixta, 1957 Ziff-Davis Publishing Company, 1948 Morgan & Morgan, 1940 (settima edizione, 1944)

Tutto Tutto âgée

Subito interpretato per ciò che effettivamente è, con scarto a lato soltanto apparente rispetto lo stato attuale dell’arte ottica riferita alla fotografia. Slittamento intenzionale, volontario e consapevole: in conciliazione di forma (esteriore) per il contenuto (di sostanza). Progettualità e realizzazione in equilibrio gerarchico paritetico tra prestazioni fotografiche ottimali e foggia... estetizzante, L’affascinante e convincente TTartisan M 28mm f/5,6 ripropone il design che ha caratterizzato, fino a definirli -addirittura-, gli obiettivi

Leitz/Leica delle origini. Nello specifico, per focale, disegno ottico e costruzione riprende parametri grandangolari che decenni e decenni fa furono coraggiosi, perfino clamorosi. Con questo, allo stesso tempo e momento, l’obiettivo soddisfa appieno esigenze irrinunciabili di alta qualità formale della ripresa fotografica (la creatività dipende, poi, dalle intenzioni dell’autore, dalla sua progettualità, dalle sue capacità). Ovviamente, sia in acquisizione digitale di immagini, sia nella fotografia chimica, con pellicola 35mm.

Per Leica M. Scala dei diaframmi da f/5,6 a f/22; sette lenti in quattro gruppi; ghiera dei diafram- mi a sei lamelle; angolo di campo di 72 gradi (Full Frame); a fuoco da 100cm; 151 grammi di peso; diametro filtri 37mm; con paraluce dedicato.

Con adattatori “M-”, può essere utilizzato anche con: Canon RF (M-RF), L-Mount (Leica, Panasonic, Sigma; M-L), Nikon Z (M-Z), Sony E (M-E). Ampia gamma di anelli adattatori Mirrorless.

via Francesco Datini 27 • 50126 Firenze 055 6461541 • www.rinowa.it • info@rinowa.it TTartisan M 28mm f/5,6
Fumitaka Sano
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.