N.10
"STAZIONE TERMINI"
WILLIAM BUTLER YEATS
“UNA LINGUA RAPPRESENTA LA MEMORIA COLLETTIVA «NATURALE» DI UNA POPOLAZIONE: SE QUESTA, PER IMPOSSESSARSI DI UN NUOVO STRUMENTO LINGUISTICO, PERDE IL CONTATTO CON IL SUO MEZZO D'ESPRESSIONE PIÙ ANTICO, DIVIENE DEL TUTTO INCAPACE DI RICONOSCERSI NELLE PROPRIE TRADIZIONI: COME POTRÀ, ALLORA, AFFERMARE LA PROPRIA IDENTITÀ?" Fiat Lux – rivista letteraria ©Tutti i diritti riservati. Instagram: @fiatlux_rivistaletteraria Facebook: FiatLux_RivistaLetteraria
E C I D N I
16 23 33 45 53 56
Introduzione al numero: a cura del fondatore e caporedattore Pasquale Bruno P R O S A
A cura di: Sara Paolella Pasquale Bruno
7 13
P O E S I A
A cura di: Tania Ferrara Emmanuele Zottoli Alessia Pierno
C R I T I C A
L E T T E R A R I A
A cura di: Matteo Balsamo Maria della Rovere Laura Colosi
C R I T I C A
24 27 31
C I N E M A T O G R A F I C A
A cura di: Sara Picariello Alessandra De Varti Carlo Giuliano
C R I T I C A
17-18 19-20 21-22
34 38 41
D ' A R T E
A cura di: Eliana Pardo Cristina Colace
46 49
F O T O G R A F I A
A cura di: Carmine Faella Gabriele Maurizio
C U R I O S I T À
54 55
CONTENUTI
I E D
4 6
E D I T O R I A L E
editoriale fiat lux
Ciao, come stai? Ti do il benvenuto nel decimo numero di Fiat Lux: “Stazione Termini”: mi auguro che tu sia pronto per questo nuovo viaggio insieme a noi. In questo mese ci siamo resi conto tramite alcuni sondaggi sulla nostra pagina Instagram (colgo così l’occasione per invitarvi caldamente a seguirla nel caso non l’abbiate già fatto) che da molti le lingue straniere (ed in particolare l’inglese) vengono percepite come “opprimenti”, “superflue”. Sarebbe sciocco da parte nostra difendere a spada tratta l’italiano ponendoci in netto contrasto con i continui apporti esterni, identificando l’inglese come il male assoluto: perché? Perché viviamo in una società globalizzata, aperta a continui ed inarrestabili flussi (siano essi culturali, gastronomici ecc.) provenienti dalle nazioni più disparate; inoltre l’inglese è la lingua madre di Internet (e di tutto il vocabolario ad esso collegato) che ormai ha assunto il pieno controllo di ogni aspetto della nostra vita. Sarebbe ipocrita da parte nostra demonizzare l’utilizzo di parole provenienti da altre lingue per cui siamo i primi a farlo (il mio racconto è ambientato in Messico, la critica cinematografica si chiama “Komorebi” ed è giapponese, quella artistica “El Duende” e via dicendo); che questa contaminazione possa essere positiva o negativa non spetta a noi deciderlo e di certo questa non è la sede più adatta a farlo ma la presenza dei forestierismi nella nostra lingua è una realtà innegabile ed immodificabile poiché fa parte di quella naturale deriva fonetica, caratteristica di ogni lingua, che segue percorsi vari, imprevedibili ed inarrestabili.
Che questa contaminazione possa essere positiva o negativa non spetta a noi deciderlo e di certo questa non è la sede più adatta a farlo ma la presenza dei forestierismi nella nostra lingua è una realtà innegabile ed immodificabile poiché fa parte di quella naturale deriva fonetica, caratteristica di ogni lingua, che segue percorsi vari, imprevedibili ed inarrestabili. Ma la vita, si sa, è un susseguirsi eterno di sfumature e come è vero che non si può negare che l’apporto di determinati anglicismi possa essere stato necessario, è anche vero che in alcuni casi si rischia di cadere nell’eccesso grossolano: gran parte delle pubblicità italiana odierna adotta slogan inglesi perché considerati più accattivanti, tra i giovani si fanno largo con estrema facilità termini e modi di dire, spesso inglesi, perché di moda e non perché rispondano ad una reale utilità (mediati con estrema facilità dal web) e molti uomini di spicco utilizzano un italiano medio-alto inframmezzato da espressioni anglofoneggianti (con risultati discutibili) per conferirsi un’aria di apparente cultura e superiorità intellettuale (e potrei dilungarmi in altri esempi, ma vi lascio il link di un video molto interessante che può spiegare tutto questo molto meglio di me). Questi, a conti fatti, sono apporti non necessari e scarsamente funzionali che piuttosto che arricchire la nostra lingua, la sviliscono e questo, da italiani quali siamo, non possiamo permetterlo, non con questa facilità. La nostra lingua è la nostra storia, la nostra attualità ed il nostro futuro; il nostro modo di pensare si distingue dalle parole con cui il nostro pensiero si esprime, il nostro italiano (frutto di secoli di cambiamenti, influssi esterni ed interni, modificazioni consapevoli ed inconsapevoli, ripristini) è il tesoro che più di tutti dobbiamo proteggere perché ne vale della nostra integrità e delle nostre radici. Il nostro scopo, quindi, non sarà “difendere” (perché una lingua con migliaia di anni storia ci riesce benissimo da sola) ma “far riscoprire” attraverso la prosa, la poesia, la fotografia e le nostre critiche, parole e Termini nuovi attraverso un viaggio (che immaginiamo a questo punto in treno) tra le parole sconosciute, desuete, divertenti e particolari, svelando la loro origine ed il loro significato, con la speranza di gettare un po' di luce su angoli inosservati del vocabolario della nostra lingua e perché no, suscitare un po' di curiosità sul nostro Italiano, che definire fondamentale sarebbe riduttivo (anche se molto spesso non ce ne rendiamo conto). "Chi difende il buon italiano non difende la pedanteria, né rifiuta le innovazioni: difende invece il buon senso, e accetta le novità." Beppe Severgnini, L'italiano, 2007 Abbiate il coraggio di splendere.
Pasquale Bruno FONDATORE E CAPOREDATTORE
PROSA A CURA DI
Sara Paolella Pasquale Bruno
Prosa
Misoneista [mi-so-ne-ì-sta] s. m. e f. agg. (pl. m. -i). 1.Chi ha in odio ogni novità. 2.Come agg.: tendenze m., atteggiamento misoneista. [der. di misoneismo: s. m. comp. di miso- e del gr. νέος «nuovo»].
di Sara Paolella
6
Prosa
C
esare era nato in una casa in mattoni. Cesare aveva deciso che in quella casa ci sarebbe anche morto. Non ricordava esattamente quando avesse preso quella decisione, era semplicemente accaduto. È così che va la vita per Cesare: succede. Non la si affronta la vita, la si subisce. Non la si sfida, altrimenti ti ferisce. L’aveva imparata subito questa lezione, e ne aveva fatto tesoro immediatamente. Cesare viveva in una casa fatta di mattoni. Di mattoni grandi, consumati dal tempo, che sembravano sbriciolarsi sotto il suo tocco ogni volta che prima di uscire e di scendere al porto, sfiorava lo stipite della porta accarezzandolo, quasi come se stesse dicendo addio al suo posto, varcando per un’ultima volta la soglia di casa, camminando a passo stanco sul terreno arso dal sole, attraversato da fuggenti lucertole e laboriose formiche. A volte, prima di incamminarsi, spendeva alcuni minuti del suo tempo ad osservarle, mentre con fatica trascinavano piccole briciole verso il loro formicaio. Audaci e intrepide, spostavano provviste tutto il giorno, pensando responsabilmente già al futuro. Cesare le fissava curioso, nella speranza di imparare da loro, un giorno, ad essere paziente: tutti gli sforzi lo ripagheranno. In genere, risvegliatosi dal suo attento studio a causa del sole cocente che iniziava a farsi sentire sulle spalle ambrate, si incamminava verso il mare. Passo dopo passo, scendeva lungo tutto il paese, percorrendo la discesa che separava casa sua dalla chiesa, girando poi a sinistra, lungo le scalette che superavano un gruppo di abitazioni- sempre degli stessi fragili mattoni- e procedeva poi dritto, passando oltre l’accogliente piazza, dove trovava ristoro per pochi secondi sotto l’ombra dei pini, prima di arrivare finalmente al porto. La routine era sempre la stessa, doveva essere sempre la stessa. Una volta arrivato avrebbe salutato Vito con un cenno della mano, si sarebbe diretto verso la sua barca e avrebbe atteso Andrea e Lorenzo, mentre i suoi occhi scuri si sarebbero posati sulla superficie cristallina del mare, appena mosso da un filo di vento. Quella mattina, invece, non andò così. Arrivato al porto, si portò la mano callosa sulla fronte sudata, per scostare i capelli bagnati che gli si erano appiccicati sul viso. Cercò con lo sguardo Vito, ma notò con disappunto che la sedia sulla quale si posizionava tutto curvato, per slegare le reti da pesca, era vuota. Si girò attorno preoccupato, sentendosi spaesato dinanzi all’assenza dell’amico, non sapendo se deviare e provare a cercarlo in giro, sulla barca di qualcun altro, o se proseguire dritto verso Andrea e Lorenzo, che avrebbero sicuramente saputo affrontare la questione meglio di lui.
Prosa
“Cesare! Cesare!” era la voce di Lorenzo, che correva affannato verso l’amico, afferrandolo per la mano e portandolo con sé, senza dare spiegazioni, ignorandone le domande e le urla; non c’era tempo. I due giovani correvano sulle strade piene di ciottoli, mentre il vento gli soffiava contro, facendo muovere le loro camicie unte e mal abbottonate, infilate alla rinfusa nei pantaloni arrotolati, dall’alto risvolto che gli arrivava fin sopra i polpacci, per far sì che si bagnassero il meno possibile in mare. Eppure ora i due non potevano essere più lontani dal porto, essendo davanti casa di Pietro, che sorridente li stava aspettando assieme ad Andrea e a Vito. “Ci avete messo una vita” esordì Pietro, gettando la cicca di sigaretta per terra, spegnendola con il piede sinistro, calpestandola pesantemente. Cesare trasalì per un istante, pensando alle formiche che poteva aver schiacciato con il suo gesto. “Non ci credo ancora” Lorenzo si avvicinò cautamente all’amico “non…non riesco a credere che te l’abbiano data” disse sfiorando con le mani la piccola auto che stava davanti ai ragazzi. “Sarà la prima auto ad attraversare questo paese” affermò Pietro ridendo, mentre caricava l’auto, facendo cenno ai ragazzi di salire sulla macchina nera e lucida che era parcheggiata davanti a loro, per riaccompagnarli al porto. Cesare, rimase fermo ad osservare. “Ce’ che fai? Muoviti!” lo richiamò Andrea, mentre si stringeva sui sediolini posteriori per far spazio a Lorenzo, il più alto tra i ragazzi. “Non vedo perché prenderla. Possiamo camminare” “Ma come Ce’? È una macchina! Non ti ricapiterà mai più” “Le mie gambe funzionano benissimo” disse. E si incamminò sotto lo sguardo dei suoi amici, che urlarono felici ed emozionati nel momento in cui Vito accese il motore. Cesare durante il cammino aveva riflettuto a lungo, mentre prendeva a calci un sassolino che aveva deciso di portare con sé, come sostituto della compagnia di Lorenzo. Stavano benissimo così, a che gli sarebbe servita una macchina? Avevano vissuto fino ad ora senza, avrebbero potuto continuare a farlo. Il paese era piccolo. Ogni scorcio era fatto per essere osservato all’infinito, dalla piazza ombrosa alle case in quei fragili mattoni, e Cesare non si sarebbe mai stancato di passeggiare tra quelle strade. Eppure, per un attimo desiderò di poter salire sulla macchina, e di andare lontano dal paese; soltanto per un giorno. Ma Cesare sapeva di avere paura. Qualsiasi cosa gli parlasse di città, lo spaventava a morte.
Prosa
Erano passati quasi sei anni da quando Trofimena era andata via, da quando lo aveva lasciato solo per andare in città. A lei però il paese non era mai piaciuto, e sin dai banchi di scuola, nei quali Cesare stava seduto a fatica, aveva sognato di farsi una vita altrove, lontano dalle strade polverose ed arse, dall’aria salmastra e dalle fragili case addossate l’una all’altra. Aveva tentato inutilmente di farle cambiare idea più volte, cercando di convincerla a restare. Trofimena, ridendo, diceva che anche se fosse andata via, non sarebbe cambiato nulla. Il paese se lo sarebbe sempre portato addosso, nella pelle scura e olivastra, nell’accento della sua voce, nel nero dei suoi capelli, scolpito in ogni lettera del suo nome obsoleto e stridente. Cesare non la vide più. Passarono quattro anni, ma il ricordo della sorridente ed esile ragazza che lo aveva più volte aiutato nella lettura da bambini non intendeva sbiadirsi. Ebbe sue notizie solo due anni fa. Quando gli dissero che era morta, Cesare pianse per la prima volta in vita sua. Era finita sotto un tram, a Torino. Cesare glielo aveva detto di non andare, perché la vita non perdona chi la sfida, e chi osa avere di più di ciò che gli viene offerto. Ma lei era partita lo stesso. E a Cesare, non era rimasto altro che il paese. Lui e gli altri si ritrovarono al porto. Velocemente, per recuperare l’ora persa, corsero e salirono sulla loro barca, salpando per andare a pescare. “Era bellissima la macchina Ce’, dovevi salire” gli disse Andrea, mentre assieme cercavano di sciogliere i nodi della rete. Cesare scosse il capo, senza distogliere i suoi occhi scuri e vispi dalle sue dita che si muovevano con maestria. “Lo so, sai” aggiunse all’improvviso, abbassando leggermente il tono di voce “lo so che pensi ancora a lei. A quello che è successo. Ma non ogni novità viene per nuocere. Nemmeno i tonni stanno sempre nello stesso posto Ce’, migrano e nuotano per tutto il mare, lo sai meglio di me.” Cesare lo sapeva. Ma sapeva anche di non essere un tonno però. Si sentiva più un albero, pronto a mettere radici in un solo posto, e a spezzarsi facilmente se messo sotto pressione. Si sentiva decisamente un albero, proprio come il solitario pino marittimo che era davanti casa sua. Rimasero in silenzio e calarono la rete, aspettando pazientemente e fumando le sigarette che rollava Lorenzo per illudere la lunga attesa. Mentre le chiudeva abilmente, Lorenzo si schiarì la voce. “Ho sentito che forse non potremo più pescare così” Cesare girò la testa impetuosamente, aspirando avidamente la sigaretta che aveva tra le dita umide. Lo incitò ad andare avanti. “Me l’ha detto Michele. L’ha sentito dire in città. Dicono che non si potrà più pescare così, con questa barca, con la nostra rete. Peschiamo troppo. E il pesce non c’è quasi più.”
Prosa
“Che cosa dovremmo fare?” "Non lo so, saranno fesserie” Lorenzo aspirò dubbioso dalla sua sigaretta. “Forse dovremmo smetterla di pescare i tonni. Ci restano sempre le alici. Al paese servono, un’altra barca…” Si interruppe quando la barca tremò e tutti sobbalzarono, scattando immediatamente in piedi, lanciando via le sigarette ed affacciandosi sul mare, in cerca di indizi. “Si è impigliata” constatò Andrea, fissando l’acqua cristallina, intravedendo scogli sul fondale. Cesare, prima che gli altri potessero fare qualcosa, prese il suo coltello e si tolse la camicia, tuffandosi nell’acqua fredda, nuotando verso il basso per tagliare la parte impigliata. Muoveva i piedi velocemente, mentre combatteva contro la voglia di chiudere gli occhi che gli pizzicavano a causa del sale, e cacciava bollicine d’aria dal naso che risalivano lente e sinuose verso la superficie, quasi come fossero meduse. Arrivato alla rete intrecciò il suo piede in quest’ultima, come faceva di solito, per avere una presa più salda, e iniziò a tagliare con la mano destra, tenendola tesa con la sinistra. Se Lorenzo avesse avuto ragione, non avrebbe dovuto tagliare mai più la rete. Si sentì improvvisamente triste al pensiero di non dover più pescare i tonni, di dover cambiare abitudini e di aggiustarsi ad un’ordinarietà diversa da quella attuale. Tagliata la rete, iniziò a nuotare verso la superficie, muovendo energicamente braccia e gambe, iniziando a sentire il bisogno di una boccata d’aria. Si rese conto però di avere ancora il piede intrecciato nella fitta maglia della rete, e cercò di liberarsi il più in fretta possibile. Lasciò uscire l’ultimo respiro che continuava a trattenere, vedendo le bollicine dissolversi sulla lontana superficie. Ebbe la sensazione, all’improvviso, di galleggiare in un mare di visioni e sogni, e non riusciva a smettere di pensare che stava morendo. Stava morendo e stava morendo da solo nel paese, perché aveva desiderato andarsene per un istante, e il paese aveva deciso di fare in modo che non potesse scappare. Stava morendo lontano dalla sua casa di mattoni, perché il paese non prova pietà per nessuno. Eppure anche il mare poteva essere casa sua.
Granciporro [gran-ci-pòr-ro] n.m. 1. Nome di varie specie di granchi, in particolare di "Cancer pagurus", commestibile, che può raggiungere notevoli dimensioni. 2. In senso figurato, non com. (per lo stesso traslato, o per scherz. alterazione, di granchio), errore madornale, strafalcione: prendere, pigliare un granciporro. [dal ven. grançiporo, che è il latino "cancer " «granchio» composto con *porro (paguro)].
di Pasquale Bruno
Cara Frida, mi corazon, sei l’unica cosa alla quale anelo: lo sai e lo hai sempre saputo. Sarà perché te lo confidai io stesso molte, moltissime notti fa quando estasiati dall’alba di Monterrey senza dire nulla ci stringemmo le mani, sfumando l’uno nell’altro, sovrapponendoci e mescolandoci come i colori di quel cielo paonazzo che incorniciava quel momento, nostro in tutto e per tutto; o perché tu sola sei riuscita a decifrare con il tuo sguardo attento e scrupoloso quegli infiniti dedali impossibili del mio cuore, ignoti persino a me che dovrei essere, forse, il loro conoscitore più esperto; eppure, ora come ora so che l’unica emozione che riesci a provare in questo momento è una rabbiosa delusione, la stessa che mi attanaglia le viscere e che mi ha spinto, rabbioso, per tutte le tabernas della città nel disperato tentativo di scappare da me stesso, irretire i sensi e dare un freno (inutile) alla vergogna. Ho bevuto e soprattutto ho riflettuto a lungo, pensando a tutto ciò che potevo dirti per giustificare un gesto così disgustoso nei confronti della tua dignità e dell’amore che provi per me, ma non sono riuscito a trovare altro che queste parole infantili (non per questo meno vere): sappi che è soltanto colpa mia e che per questo ti chiedo perdono e ad occhi chini ti sussurro, dalla scrivania di una camera d’albergo di Guanajuato, che mi dispiace; mi dispiace averti tradito. Mi dispiace essere stato debole, essere stato vile, essere stato tanto sciocco da abbandonarmi tra le braccia languide di quella donna piuttosto che correrti di nuovo incontro tendendoti i palmi. Rifuggo ad ogni tipo di scusa perché lo sbaglio l’ho compiuto, e la colpa maggiore sta nell’esserne stato consapevole fino in fondo e nel non aver fatto nulla per impedirlo. Per questo, mi dispiace, eppure al tempo stesso sono lieto ed il mio cuore scrivendoti questa inaspettata confessione sorride (e no mi niña, non sono così indelicato da prendermi gioco di te); ti chiederai perché nel giro di poche righe passo dal dispiacere alla gioia… Vedi Frida, per farla breve il mio cuore sorride perché adesso ho capito ciò che prima non comprendevo, perché ora ho abbracciato in un solo sguardo ciò che prima non ero in grado di vedere, abbagliato dall’acerbità del mio sentimento per te che invece è riuscito a sbocciare solo grazie al mio tradimento.
Mi cielo, delle volte non tutto il male viene per nuocere: pensaci, la tua vita è stata segnata tanti anni fa da quel lungo periodo di sofferenze, eppure se sei diventata la donna meravigliosa che vedo, è tutto grazie a quel terribile momento, e se sono qui a scriverti e sospirare le mie pene d’amore è merito solo di questo errore madornale, di questo grançiporo che mi tormenta e che mi consola. Ciò che in apparenza può essere considerato uno sbaglio può in realtà essere il mezzo principe per giungere ad una nuova condizione d’esistenza. Se la Venere del Botticelli, la mujer màs hermosa che sia mai stata impressa in una tela, è tale, lo si deve soltanto alle innumerevoli imperfezioni anatomiche di quella figura: al collo arcuato, alla spalla più magra dell’altra, al braccio sinistro mucho mas lungo del resto e potrei continuare ma tu questo lo sai meglio di me; e meglio di me sai quanto tutto ciò non solo non è rilevante, ma addirittura è necessario affinché l’immagine di questa pintura marchi a fuoco la coscienza di chi lo osserva. Le ciocche bionde di quella donna mi hanno accecato Mi vida, e non sarò così meschino da negarlo, ed è stato il loro bagliore che mi ha fatto distogliere per un attimo il mio sguardo dalla mia Luna silenciosa ma è stato il fulgore di un momento, come lo è il rombo del tuono prima della tempesta o il tonfo di un macigno nella conca di un lago: improvviso e rumoroso ma anche istantaneo e passeggero, perché dopo che si è consumato l’atto, non può rimanere nient’altro che il silenzio. Disteso accanto a lei, spogliato della mia libido, svuotato da quella passione subitanea ed improvvisa, mi sono reso conto di quanto fosse povera, di quanto il suo respiro fosse insignificante, di quanto le linee dei suoi seni fossero rozze e volgari, di quanto le sue parole non fossero altro che insulsi borbottii se paragonate alle tue, che sei capace di risvegliare in me desideri sopiti anche solo con la grazia con la quale reggi il pennello. Delle due pale su San Matteo create dal Caravaggio, tu saresti la prima: libera dagli schemi e dalle convenzioni della seconda, innovatrice, sottilmente splendida nella tua maestosa umiltà, così diversa ed al tempo stesso così simile, come se tutto il mondo si rispecchiasse in quelle luci ed ombre che non sono come le altre, ed io non voglio perderti, non voglio che la nostra storia, il nostro legame, ceda sotto il peso delle macerie. Sì, ho sbagliato, e molto, ma questo errore mi ha permesso di comprendere quanto tu sia vitale nella mia vita, quanto tu sia insostituibile. Ho sbagliato, sì, ma ne sono felice. Amare un’altra donna per una notte mi ha insegnato ad amarti tutta la vita. Spero di ricevere presto tue notizie e spero vivamente che tu non abbia strappato questa lettera prima ancora di aprirla e leggerla; ma soprattutto bramo di poter ancora cercare i colori dei miei quadri nelle sfumature dei tuoi occhi, le parole delle mie lettere tra le fessure della tua bocca, la mia pace tra gli incavi del tuo seno.
Adios mi hermosa. Tuo per sempre, ma solo se lo rivorrai,
Diego
Poesia A cura di:
Tania Ferrara Emmanuele Zottoli Alessia Pierno
Poesia
Panzana [pan·zà·na] sostantivo femminile 1. Frottola o fandonia talmente incredibile da muovere al riso o al compatimento o addirittura indisporre.
[In origine pietanza popolare a base di pane bagnato, compresso e condito, che ha assunto il sign. attuale attraverso i sign. intermedi di ‘cibo di scarso valore’e‘cosa poco affidabile’; prob. der. del lat. volg. *pactiare ‘comprimere’, der. di pactum ‘compresso]
Poesia
Nel silenzio della notte venne a cercarmi, mi seguiva nel vento, un anelito senza volto mi toccava… Chiamò nell’ora dell’estremo inganno Quando gli occhi miei erano accecati dalle fiamme violente e il petto stanco di umiliazione. Catturò l’anima smarrita E la decifrò. Scrissi una riga dubbiosa Con la saggezza di chi Non sa nulla E col desiderio di essere Contemplato nella disperata richiesta. Mi insegnasti il canto della libertà, amici erano i versi consumati dal crepuscolo e quelli non ancora nati dagli albori. Eri tu poesia… Mi hai soccorso da chi Ha abbindolato un cuore E come una coppa, lo ha riempito di panzane.
TANIA FERRARA
Soliloquio
Poesia
[so·li·lò·quio] sostantivo maschile L’atto di parlare tra sé, di esprimere a voce più o meno alta i propri pensieri pur sapendo che non vi è nessun interlocutore o ascoltatore. [dal lat. tardo "soliloquium", composto di "solus" «solo» e "-loquium" derivato di "loqui" «parlare»; propriamente «il parlare a sé, tra sé stesso»].
Poesia
Non c'è stasera nessuno che mi ascolti blaterare, parlare della luna,degli astri, di vecchie e nuove croci. Al mio riflesso ho dato Il compito di raccogliere queste voci, di ascoltarmi come un vecchio curato di campagna. Ho tante cose da farmi assolvere ma su tutte ,questa tristezza che non mi risparmia. L'ho presa in odio eppure ci vuole troppo coraggio ad odiare se stesso, allora combatto la mia lotta dei mulini in attesa di un segno, un silenzio non detto, un occasione che rovini. C'è solo la fede o il pensiero ed io che vado da tutt'altra parte, a perdermi nelle cose che si spengono, a calcare un sentiero che non s'apre. EMMANUELE ZOTTOLI
LIQUIDITA'
Sincope
Poesia
[sìn·co·pe] sostantivo femminile 1. Nel linguaggio medico, sospensione, per lo più transitoria, della coscienza, provocata da improvvise alterazioni circolatorie e respiratorie. 2. In musica, effetto che interrompe il flusso regolare della composizione, spostando l'accento ritmico o armonico, al fine di suscitare agitazione. 3. In linguistica, caduta di un suono all'interno della parola.
[dal gr. συγκοπή, der. di συγκόπτω (suncòpto) «spezzare» composto di σύν (sùn) «con, insieme» e κόπτω (còpto) «percuotere, rompere»)] Immagine tratta da: Adobe Spark
ALESSIA PIERNO'
Poesia
Boccheggia, sospeso, un alito irrequieto: si scalda, poi si sfalda piegato dall'abitudine. Si schiarisce, rauco, lì trai palpiti degli altri in quel susseguirsi armonico di tesi, poi di arsi.
Ma la più sottile folgore talvolta spezza il mare; sconvolge l'ingranaggio un singulto temporale. Niente toglie, niente dà: è un contrattempo eccezionale. Solo si inarca un po' la corda ad ogni sincope in levare. E tentenna un po’ la vita finché salta la puntina. Che ritorni ad aleggiare l'eco di un'opera prima. ALESSIA PIERNO
Immagine tratta da: Adobe Spark
ALESSIA PIERNO'
C R I T I C A
A
L E T T E R A R I A
C U R A
D I :
Matteo Balsamo Maria della Rovere Laura Colosi
CON IL CUORE DEI GIGANTI Il titolo di questa rubrica è ispirato alla celebre citazione di Bernard de Chartes: “…come nani sulle spalle dei giganti” Il nostro sarà un tentativo di salire sulle spalle dei colossi del passato e da spiriti di bassa statura con il loro aiuto guardare al presente e al futuro con occhio critico e curioso. In questo spazio, verranno trattati un autore e un’opera letteraria in linea con il tema mensile della rivista. Non verranno date solo note tecniche o mere nozioni sullo stile ma fornirà un ponte di lancio al nostro pensiero per poi addentrarsi nelle profondità: tentare di interpretali ed offrire poi uno spunto di riflessione.
Critica
SERENDIPITÀ DI MATTEO BALSAMO A volte un pomeriggio afoso
di
luglio
può
regalare
lo scoprire qualcosa di inatteso e importante che non ha nulla a che vedere con quanto ci si proponeva o si pensava di trovare/attitudine a fare scoperte fortunate e impreviste; capacità di cogliere e interpretare correttamente un fatto rilevante che si presenti in modo inatteso e casuale.
delle
come
Hilde
tra
cetra
tira
diamanti casa
che
fuori
Francesco
De
Qualche inattivo
a
canicola,
trovare cose di valore non cercate.
sua
produzione,
recente trovo
intitolato
Giovanni”.
un “San
Atmosfere
iniziali sospese con una Re
causa
della
maggiore/La
settima
deciso
un
po’
dire
di
un
di
per poi esplodere in un
di
ritornello in cui il giovane
aver
talento
Fulminacci
d’arte
di
Filippo
artista
cita
Lucio
Dalla
nel primo ritornello (“c’è Lucio
dalla
per
vederti
ballare”),
chiaro
riferimento
a
“Balla,
giovanissimo
balla,
cantautore
romano
secondo ritornello (e qui
esordito
“indie”
protagonisti posseggono il dono naturale di
la
spulciando
progressione
contemporanea
devo
canzone,
Così,
brano
–
Uttinacci),
ha
“I tre principi di Serendip”, nella quale gli eroi
Gregori).
sera
fa,
ho
ascoltare
–
(Una
De
giorno
cristallino:
termine trae origine dalla fiaba persiana
(La
Hilde
scoperto
arabo di Ceylon (Sri Lanka). Il significato del
i
nascosti di
(nome
dalla
stile
bellissima n.d.r.).
e
sua volta derivante da Serendip, antico nome
Gregori
inaspettate sorprese,
musica
Serendipità deriva dall’inglese serendipity, a
struggenti
sulla
che
scena
nel
2019,
ballerino”
un tale “Malamore” (C’è Malamore
“Migliore
ballare).
prima”
nel
viene il bello) cita
vincendo la Targa Tenco opera
e,
per
vederti
Inizialmente
per il suo album “La vita
credo sia un riferimento
veramente”.
al
Il
suo
stile
dottor
Stranamore,
mi ricorda il Battisti del
film del 1964 diretto da
sound di “Sì, viaggiare”
Stanley
e
qualcosa
la
leggerezza
(non
superficialità, attenzione)
Kubrick. stona
Rino
Non mi perdo d’animo e,
Gaetano per i connubi
soprattutto,
riusciti
arrendo
nella
ignoranza
e
tra
musica
perfezione orecchiabile
e testi freschi (Tommaso)
digitare
e
impegnati
parola
borghese,
Ebbene,
anche
(Borghese
in
in
questo accostamento. di
alla
Ma
su
non
mi mia
inizio
a
la
Malamore. scopro
con
uno sproloquio intenso e
meraviglia
vincente
riferimento di Fulminacci
migliore
vicino
al
Daniele
Silvestri), nonché sound
che
è ad una canzone del 1977 di un tale Enzo
il
Critica Fulminacci Carella, con parole di
È
Panella,
ragazzi. Vi giuro che è da giorni
il
futuro
collaboratore
di
Battisti
dopo
l’esperienza
con
l’immenso
Mogol.
una
canzone
ipnotica,
che la sto ascoltando in continuazione, e non mi accade di
solito.
È
azzeccata,
una
che
canzone
funziona
alla
grande e rimane impressa, e non
Siamo arrivati fin qui e
torniamo
Ovvio ad
che
indietro? no!
ascoltare
canzone.
Inizio
questa
Giro
di
solo
per
la
catturare
musica
l’ascoltatore.
poetici
molto
una
condensati
in
raffinati,
poche
ermetiche
(è
psichedelici
artistico
Panella,
’70,
È
sa
canzone che presenta dei luoghi
basso potente, effetti anni
che
di
il
parole
virtuosismo che
poco
e
apprezzo nei famigerati “Dischi
chitarra che avvia un
bianchi” di Battisti, in verità), ma
battito
di
incalzante
mani
giro
accordi sembrano da
di che
provenire
un’epoca
remota
(quasi medievale).
che qui è incanto. “Il cuore che divori come un pugno di more”. Richiama in me la infame sorte del
trovatore
Guillem
de
Cabestaing, che, secondo la leggenda,
amante
di
Seremonda (moglie di Raimondo di Rossiglione) fu ucciso da Raimondo che ne strappò via il cuore
dal
cucinato
petto
alla
questo
per
servirlo
moglie.
topos
Echi
di
letterario
medievale sono presenti anche in
De
André:
madre
per
i
“Il
cuore
miei
di
tua
cani”
(La
ballata dell’amore cieco). Ditemi
voi
se
non
è
poesia
trobadorica questa! E per di più, una poesia che inveteratamente continua a pulsare nella forma canzone, la più nobile arte lirica
(non
accompagnata
a dalla
caso, lira),
da
Omero fino a noi. Ad ogni modo, tornando
al
tormento
di
“Malamore”: Soffiando il cuore, infiammandomi “L’asma
che
il mi
polmone”, cola
come
piombo sul cuore”, “il fiore che si
Enzo Carella
secca nell’occhiello del cuore”.
Critica Poche parole, tanta ispirazione
La
poetica. Similitudini, metafore,
lontano
non
capolavori
bastano
L’arte
a
nasce
creare
con
arte.
particolari
curiosità
sepolti
e
dal
soluzioni, espressioni sincere di
parte
dal
noi
gente
che
stessi
che
racchiudono
sprigionano
il
dell’emozione.
segreto
Non
basta
l’intenzione
per
fare
Carella
c’è
riuscito
qui
e
arte. alla
grande, insieme al suo fidato paroliere, durò
a
ma
il
successo
lungo.
produzioni
e
dimenticato
Poche
Carella dai
più,
non altre
venne fino
a
tempi recentissimi. Uno strano caso
quello
di
brano
viene
messo
in
“Malamore”:
il
teneramente salvo
dal
dimenticatoio da un autore
che
Riccardo
stimo
molto,
Sinigallia,
che
lo
inserisce nella colonna sonora
de
gangster su
“Lo
Spietato”,
italiano
Netflix
con
in
film
rotazione
protagonista
Riccardo Scamarcio, distribuito internazionalmente col titolo di “Ruthless”. Sinigallia decide di non alterare l’arrangiamento e prende
una
sagge
della
delle
scelte
sua
più
carriera.
Carella rivive in lui (era morto nel 2017, a soli 65 anni, ricordato
artisticamente
da
pochi coetanei) e “Malamore” ottiene un successo straordinario
anche
all’estero,
rimanendo impressa nel cuore delle persone, tanto da ispirare artisti già
contemporanei citato
Colapesce
come
il
Fulminacci,
(che
ne
farà
una
cover), e addirittura il nome di una band salentina, che ha dichiarato
di
aver
conosciuto
la canzone grazie alla colonna sonora de “Lo Spietato”.
spinge
intraprende
a
a
che
vedere
riscoprire
si
tempo
e
modernità
in
gran della non
ricerca
personale e ascolta solo ciò
la
radio
in
quel
momento, senza spirito critico, obnubilata
ignavia
una
passa
credevano
disinteresse per
che
dai e
fumi
della
della
moda.
Mi
spiace per voi ma dopo 42 anni e
tante
vive.
batoste,
“Malamore”
Critica
NERALBO DI MARIA DELLA ROVERE Influencer,
Cameraman,
questione,
Mainstream,
molteplici
Catering, Mood,
Partnership,
Showroom,
Trend,
Workshop.
approfondimenti. Non dobbiamo intendere la -
che
conservazione
avete appena letto sono
preservazione
solamente alcuni
linguistico/culturale -
degli
Questi
necessita
inglesismi
che
da
come
una
e
campana
di
diverso tempo pungolano
vetro che isoli la nostra
la nostra lingua entrando
identità,
a
prima
far
parte
prepotentemente
del
nostro
lessico
originariamente
e
storicamente
cosa
a
radici
mezzo
latine
e
come
dobbiamo
comprendere
come
lingua
siano
e
cultura
profondamente interconnesse
differenziato delle
bensì
Lingua
e
entità
fra
loro.
cultura
sono
in
perenne
greche. Eppure
mutamento e per tanto
vi siete mai chiesti perché
ciò
ancora
riusciamo
possibilità
leggere
con
a
discreta
già
esclude che
possano imprigionate
del
schemi
d'Aragona dei
a
nostri
o
della
differenza
contemporanei
esse venire
facilità versi del Petrarca, Poliziano
la
in
rigidi
nazionalistici.
Si
potrebbe anche dire che la
lingua
è
specchio
inglesi e tedeschi, i quali
della
invece
l'adopera, a tal maniera
riscontrano
maggiori
ben
difficoltà,
nel
cultura
comprendiamo
parafrasare versi di Celtis,
varietà
Shakespeare,
o
che
a
attraverso
Novalis? questo
La
Shiller risposta
quesito
meno
è
ben
complessa
di
quanto
potremmo
sospettare,
basterebbe
che
la
terminologica
l'italiano
ci
offre
espressioni
che mirano a sfumature di
significato
estremamente provenienti
capillari,
spesso
da
scrivere - conservazione e
lemmi quali francese,
preservazione
arabo, croato, spagnolo.
inguistico/culturale - per non
aver
chiarire
più ciò
bisogno che
oggi, in virtù di tale
di
invece
L'Italia quale crocevia di differenti mediterranee,
culture non
poteva non riflettere la
Critica
propria
varietà
lingua.
nella
interesse)
ove
l'italiano
subisce
perché
temere
perpetua
Allora
perché
solamente attraverso l'utilizzo di
nonostante le occupazioni e le
termini non italiani ma prima di
fusioni
tutto attraverso lo scorretto uso
gli
Allora
anche
inglesismi?
presso
di la
nostra
diverse nostra
penisola,
lingua
stabilmente
culture,
è
la
ancora
ancorata
alle
della Appare
nostra
In
social
qualche
si
al
coinvolte
siano in
questa
preoccupante.
un'univoca
ulteriori
non
è
cosa
evidente
effettivamente
quesito antecedente. Leggere verità
pure
lingua.
come purtroppo le piattaforme
radici? torna
non
stessa
dunque
duecentesche modo
violenza
A
evoluzione scampo
spiacevoli
di
osservazioni,
facile, ma potremmo dire che
e come graditissimo appiglio a
il
quello
grande
problema
è
legato
che
sarà
poetico
che nei secoli passati mai era
condurre la vostra attenzione su
stato
un
tempo
pressante.
odierno
provenienza
i
Nel
lemmi
di
anglosassone
termine
ritengo
necessario
italiani
significato.
senza
mescolarsi in alcun modo alla
fra
gli
proteggere
ricchezza
presenti,
scelto,
vorrei
italianissimo,
sia,
tendono a soverchiare termini già
me
scritto
ad un concetto di esclusione
tanto
da
lo
e
la
che altri,
per
la
peculiarità
di
Neralbo: ne|ràl|bo
nostra lingua di appartenenza ma attuando un fenomeno di violenta
sostituzione,
promuovendo una
vera
come
e
risultato
propria
perdita
identitaria e culturale. Dunque ora
ci
appare
più
chiaro
il
perché la nostra lingua si sia preservata millennio, propria resa
per essa
quasi grazie
incredibile possibile
progressività
un alla
elasticità, da
una
evidente,
assorbito
ha
innumerevoli
variazioni arricchendosi senza mai perdere le proprie radici; oggi però questo processo ci appare
impossibilitato
velocità
con
cui
anglosassoni
dalla
terminologie e
americani
si
creando
nicchie
gerghi
differenziano sociali
sempre maggiormente folte (per altro di sociologico
pronuncia:
ˈ
/ne ralbo/aggettivo etterario con contrasti di chiaro e di scuro, con zone illuminate ed altre in ombra.
di
dolce
e
pacata
tristezza;
uno
ha
struggente amore costringe il poeta
immediatamente riportato alla
fra queste grige tinte, espressione di
mente una celebre poesia del
una solitudine ricercata eppure
Francesco Petrarca:
malvoluta.
Questo
termine
mi
- Solo et Pensoso - non a caso, forse,
proprio
un
rinascimentale
sonetto
Egli rifugiandosi lungi dalle "umane
di
memoria,
genti"
in
nostra
lingua
persuade
di
partire
gli
ndiretti e spiacevoli sguardi. Quella
quel tempo ove per l'appunto la
si
del
faceva
Petrarca
è
una
sofferenza
romantica,
albeggiare i propri natali.
anzi tempo, che in questo scenario desolante
Solo et pensoso
evidenzia
maggior Solo et pensoso i più deserti campi
con
veemenza
la
ancor
fervenza
interiore dell'uomo (poeta), il quale costretto alla
vo mesurando a passi tardi e lenti, e gli occhi porto per fuggire intenti
separazione
dalla
donna
amata
patisce e solo permane a discorrere
ove vestigio uman l'arena stampi.
col proprio personificato 'eros' che a Altro schermo non trovo che mi scampi dal manifesto accorger de le genti; perché ne gliatti d'alegrezza spenti di fuor si legge com'io dentro avampi:
tanto
lo
stringe.
Egli
esula
dal
modello rinascimentale, attraverso
il
quale,
femminile
viene
colta
l'immagine come
figura
eterea di impalpabile consistenza e sì ch'io mi credo omai che monti e piagge e fiumi e selve sappian di che tempre
viene
invece
protagonista finanche
sia la mia vita, ch'è celata altrui.
identificata
di
una
come
vera
passione
e
finanche
sensoriale
pensosa. Non sottovalutabile è pure la straordinaria musicalità che pare
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge cercar non so ch'Amore non venga sempre ragionando con meco, et io co llui. -Francesco Petrarca
addolcire o far risuonare la mestizia cui
l'autore
è
costretto.
Neralbo
è
dunque il verso che propriamente ci guida fra le ombre di un amore già moderno, costretto in un
Il poeta descrive se stesso intento a
camminare
selvaggi,
in
nel
luoghi
vano
remoti
tentativo
e di
fuggire il malessere della involuta compagnia
di
altri
che
non
saprebbero cogliere il suo stato. Lo
scritto
spicca
per
acutezza
stilistica e retorica. L'esperienza poetica che il Petrarca manifesta in questi versi si delinea come un sentimento malinconico controversia
fortemente e
percorso
da
evidente.
una Tale
tempo che v'induce pressione, e la luce
di
un
alla
più
intima
inserirci
sino
Neralbo
è
al
sonetto
petrarchesco ed al significato dello stesso
in
maniera
intensa
e
completa. Il sonetto ed il 'nome' che ci guida sono entrambi frutto della nostra straordinaria lingua che oggi ci chiede non di essere isolata proprie
consorelle
protetta stilistiche
nelle e
intenso
primaverile,
ovvero intriso da sfumature
parte.
interamente
una
neralbo
rivelato
dunque il termine che ci permette di
controversia potrebbe definirsi un emotivamente
sentimento
ma
proprie
preservazione.
concedono
sempre e
essere
raffinatezze
concettuali
bellezza
di
dalle
degna
nuova, di
Critica
Descrivere
il
corpo
concettuale
di
poetico
l'uso
con
uno
scritto
della
sola
parola è qualcosa che solo la nostra lingua può concederci, essa possiede insieme tutte le qualità
di
una
unita
sintesi
esatta
all'accuratezza
descrittiva
addirittura
particolareggiata. sapremmo
descrive
tormentato
amore
tormenta
con
superbe
e
limiteremmo o
ad
a
per
'rottura'?
la del
altrettante
parole?
inglese
il
passione
Petrarca
parole
Oggi
O
ci
un
termine
poche
italiane
comunicare
È
troppo
una
tardi
per
salvare la nostra poesia e la nostra
vita?
questi
Vi
quesiti,
consapevolezza vostro
lascio
spirito
con nella
che
già
conosca
il
una
delle fondamentali leggi intellettuali:
-
Non
solo
la
poesia è riflesso mobile della vita,
ma
la
vita
è
riflesso
eterno di poesia. - Scegliete con cura le parole da legare ai vostri giorni.
Critica
Critica
SCRUPOLO DI LAURA COLOSI Quale
parola
chiave
correttezza o all’opportunità di un comportamento, un’azione, un fatto.
impossibile
e
con una componente ironica
Lux
e
incentrato
sulla
della
lingua
citazionistica
elevata
e
suggestiva.
ma dizionario alla mano e dopo
difatti
aver sfogliato numerose pagine
raccolta
finalmente
titolo che fa riferimento a un
mi
sono
imbattuta
nella parola che
film cercavo:
L’etimologia
del
di
dell’intertestualità si
scorge
già
a
Richard
del
1985 intitolato proprio “Ladyhawke” la cui trama lo
propriamente vuol dire “piccola
poesie
pietra,
Nella lirica presa in esame
pietruzza”,
volta
di
diminutivo
scrupus
a
“sasso,
riprende
presenti
questo
mese
nel
nel
libro.
l’autore
ci
pietra a punta”. Anticamente il
spiega in breve quello che ci
termine
suggerisce
latino
veniva
anche
inoltre
per
misura-base
indicare
di
conto
l’etimologia:
“Scrupolo
vuol
a precisare che
ventiquattresima
quello
parte
di
etrusco,
che
tratteneva
e
non era di certo una piccola
Scrupolo vuol dire sassolino
romano oppure come misura del
pietruzza
male tue dichiarazioni d’amore
terreno pari a 1/288 di iugerum.
“gigantesco
sono sempre state schiacciate
Davvero
erratico”.
Dai
evidente
il
è
come
significato
il
proprio
dell’etimologia
“piccola
pietra”
quanto
dal
definire figurato di “esitazione”,
grandezza,
oramai
masso
uso
nella
lingua
un masso
primi
versi
contrasto
piccolezza,
si leghi a quello che potremmo
in
la
donna amata dal dichiararsi campano
intrigante
dire
sassolino” ma subito ci tiene
(equivalente a 1,335 grammi, la
monetari
quel masso non sarebbe stato più grande
Donner
particolare in una delle
un’oncia) nei sistemi
un corso accelerato
dal
deriva dal latino scrupulus che
una
o m’avessi dato il tempo d’impartirti
partire
scrittore
utilizzato
a dissociarti
nella
vocabolo è molto affascinante,
sua
Fossi stata solo un po’ allenata
Il
valore
“scrupolo”.
molto
italiana? Non è stato semplice,
inconsapevolmente
da un gigantesco masso erratico
tormentato
per questo nuovo numero di Fiat
valorizzazione
Esitazione, dubbio intorno alla
scegliere
è
tra
rappresentata
sassolino
e
la
espressa
dal
erratico
(dal
latino
italiana nella sua accezione più
erràre, vagare, è un grande
attenuata.
a
blocco di roccia che è stato
Riesce
a
pieno
esprimere tale nesso semantico
trasportato a fondovalle da
di un granello di sabbia
Michele Mari in una poesia della
un
e tu
raccolta “Cento Poesie d’amore
in tutta la lirica e che fa da
ti saresti lasciata legare
a
eco
come Fidenco insegna
di
Michele Mari
Ladyhawke”, un
autore
esordio
che
è
poetico
riuscito
a
realizzare un canzoniere su un amore
ghiacciaio)
allo
dell’esitazione
che
prevale
spessore amorosa.
scrupolo è dunque come
Lo
Critica
un
sassolino
che
ci
ostacola,
in cui un uomo sente che la donna
basti pensare a quando lo si ha
della
incastrato in una scarpa, questo
sfuggendo nella nebbia e vorrebbe
ci infastidisce e costituisce sì un
trattenerla
impedimento
l’appunto a un granello di sabbia.
ridotte,
ma
certo
di
non
dimensioni
qualcosa
di
La
quale
è
innamorato
legandola
nebbia
è
insormontabile. Sarebbe bastato
dell’incertezza,
che la donna fosse allenata a
appartenente
dissociarsi
semantica
o
un
“corso
gli
chiaro
sta
per
emblema termine
a
vicina
una a
sfera
quella
del
accelerato” impartito dall’autore
nostro “scrupolo” come esitazione.
ed
Tutto
ecco
che
quel
colossale
non
ostacolato
il
che
sarebbe
non
masso
avrebbe
più
amore
dato
loro
stato
più
grande di un granello di sabbia a
cui
la
lasciata del
donna
legare.
si
Nei
componimento
sarebbe
versi
finali
l’autore
allude a un singolo discografico inciso nel 1961 da Nico Fidenco intitolato “Legata ad un granello di sabbia”, canzone d’amore
torna
e
attraverso
Michele un
Mari gioco
metalinguistico e metaletterario in 13 versi ci dà un assaggio di ciò la lingua italiana consente di fare: legare
insieme.
Lo
studio
delle
parole, dall’etimologia al loro uso attuale apre del resto le porte a mondi nuovi la cui scoperta rivela ciò che siamo. L’universo culturale dell’autore
si
incontra
del
e
attraverso
lettore
viaggio della
all’interno
lingua
con
del
italiana
un
quello breve
dizionario
avviene
un
processo di formazione identitaria in piena regola.
⽊漏れ⽇
KOMOREBI
CRITICA CINEMATOGRAFICA
A CURA DI: SARA PICARIELLO ALESSANDRA DE VARTI CARLO GIULIANO
Komorebi è la parola giapponese usata per indicare la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi. Le parole giapponesi sono estremamente affascinanti, questo perché i kanji, ideogrammicondensatori di significato, sono utilizzati per esprimere concetti complessi che non potrebbero essere espressi con le parole del nostro alfabeto. In particolare l’aver creato una parola appositamente per rendere lo spettacolare effetto visivo della luce tra gli alberi, mi ha da sempre trasmesso qualcosa di poetico e di magico. Pronunciando una semplice parola siamo lì, tra quegli alberi attraverso cui il sole cerca di penetrare, rompendosi in fasci di luce. Un effetto visivo per me simile alla luce dei proiettori, che girando lo sguardo durante la proiezione di un film, vedo uscire dalle piccole finestre poste in alto nella sala, una somiglianza forse lontana ma dettata dalla stessa sensazione di quiete che mi trasmette il trovarmi tra la natura o in una scura sala di un cinema. Cosa sarà quindi Komorebi? Definirla una rubrica cinematografica forse è un po’azzardato, mi piacerebbe più definirla come la piccola finestra di una sala dalla quale proietterò un film, scelto da me, visto di recente, ma anche più datato, che consiglio di vedere (se non lo avete ancora fatto). Lo analizzerò, commenterò fornendo una chiave di lettura personale e delle curiosità a riguardo. Detto questo buona lettura!
Critica
Chiaranzana Chiarore che si vede all’orizzonte quando il cielo è annuvolato e se ne preannuncia il rasserenamento.
Etimologia: termine antico o regionale (probabilmente dei territori del Cilento) dal sostantivo *clarentia che deriva, a sua volta, dal participio presente latino clarens, clarentis (splendente).
Di Sara Picariello Dopo
un temporale c’è sempre un’aria malinconica. Tutto è stranamente silenzioso, se non fosse per le piccole
gocce che abbandonano le foglie degli alberi, i tetti delle case, gli specchietti delle auto, sui quali si erano poggiate, e precipitano a terra o, se non fosse per le ruote che sfrecciano rumorosamente sull’asfalto bagnato. Tutto è immobile e stenta a ritrovare il proprio vigore, sembra quasi che il peso dell’acqua caduta abbia bloccato per qualche minuto lo scorrere naturale del tempo e intorpidito ogni cosa. Poi c’è il cielo, un ammasso di nuvole ancora scure, che, però, dopo la pioggia e lo spirare del vento, iniziano a spintonarsi per far posto al tenue chiarore del sole all’orizzonte. Ed ecco che tutto lentamente cerca di riprendere vita, nonostante il torpore causato dalla tempesta e la presenza quasi opprimente delle nere nubi. Esisteva un termine per indicare questo fenomeno atmosferico sospeso tra il finire della pioggia e il timido affacciarsi del sole all’orizzonte, ed è chiaranzana, utilizzato probabilmente nelle parlate dei territori del Cilento ed oggi quasi del tutto dimenticato, un termine di cui non si conosce molto riguardo l’etimologia, forse proprio a causa della sua natura popolare.
La sensazione di malinconia, ma nello stesso tempo di sollievo, termine
legata
al
descrive,
è
preciso molto
momento simile
che
questo
all’atmosfera
che
permea il secondo film del giovanissimo regista russo, Kantemir Balagov,
La ragazza d’autunno
(Dylda), in
concorso nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes del 2019 e distribuito nelle sale italiane nel gennaio 2020.
21
Critica
Astro nascente del cinema russo, Balagov, a soli 26 anni,
È il primo autunno dopo la fine della guerra, siamo
nel 2017, si era già affermato come uno dei più promettenti
nella Leningrado distrutta dal terribile assedio tedesco,
registi
una città in cui, tra macerie polverose, nuovi
degli
potentissimo
ultimi e
anni.
crudo
Con
il
Tesnota
suo
atto
di
palazzi in costruzione e il freddo pungente, si muovono
cercato di trovare un proprio spazio e una propria forma
corpi senza anima, privati di ogni aspetto vitale, quasi
nel cinema russo, presentando se stesso e la storia, che
zombi che vagano senza una meta e non è
verrà
con
difficile vedere proprio uno di questi zombie gettarsi
caratteri artigianali, quasi démodé, attraverso l’improvvisa
sotto le rotaie di un tram. Iya (Viktorija Mirosnicenko) è
comparsa della scritta “Mi chiamo Kantemir Balagov e sono
una ragazza altissima, una Dylda, termine
un
russo
cabardo.
sin
Sono
dai
nato
titoli
nella
di
testa,
città
di
egli
il
aveva
raccontata,
(Closeness),
nascita,
realizzati
Nalchik,
Caucaso
per
indicare
una
spilungona
(da
qui
il
titolo
settentrionale, Russia. Questa storia è accaduta a Nalchik
originale del film), ha capelli biondi e lo sguardo freddo
nel
di una bellezza quasi aliena, è molto buona, ma anche
1998”.
In
Testnota,
infatti,
Balagov
aveva
intrecciato
echi delle sue esperienze personali a storie di vita vissuta
un
nella rurale repubblica Cabardino-balcaria, poco distante
conoscere il mondo e di crescere, mantenendo così
dalla Cecenia, ancora in ebollizione per le continue guerre,
una
mettendo in scena un dramma degli affetti, dell’intimità,
realmente e la distruzione a cui ha assisto ha segnato
ma non l’intimità di una semplice famiglia, ma quella che si
per sempre la sua esistenza.
crea
tra
diviene dalla
i
membri
di
oppressione,
stretta
un
clan
familiare.
costrizione
inquadratura
a
e
4:3
infine e
Un’intimità
che
angoscia,
resa
dagli
“ossessivi”
po’
ingenua,
rara
forse
purezza.
la
guerra
Infatti,
Iya,
le
in
ha
impedito
guerra
c’è
di
stata
e
indagatori primi piani.
Ne
La ragazza d’autunno,
invece,
l’inquadratura
si
allarga, ritornando ad un formato standard e l’occhio del regista
si
sposta
in
una
direzione
diversa,
Balagov
non
guarda più ad un passato prossimo, quello della fine degli anni ’90 e della sua infanzia, ma si volge verso un passato più lontano, guarda alla memoria storica del suo paese, toccando, però, temi di estrema contemporaneità, come la maternità, l’omosessualità, l’eutanasia, e riservando come
La
già in Testnota, un ruolo di primo piano alle donne, vere e
traumatico:
proprie protagoniste di entrambi i suoi film. Proprio alle
minuto
donne,
rumorosamente
il
giovane
regista
cabardo
dedica
La
ragazza
ragazza
ha
così
spesso
si
blocca, e
sviluppato
durante
il
il
sgrana resto
un
disturbo
giorno gli
del
post-
per
qualche
occhi,
respira
mondo
scompare.
In
d’autunno, a tutte quelle donne sovietiche, “dimenticate”
questi momenti non c’è nessuno intorno a lei, è sola con
dalla storia, che hanno combattuto in prima linea durante
i suoi spettri. Proprio a causa di queste crisi, Iya è stata
la Seconda Guerra Mondiale, prendendo ispirazione dalle
congedata e ha fatto ritorno a Leningrado, dove lavora
testimonianze raccolte dalla scrittrice bielorussa, premio
in un ospedale militare, tra i soldati mutilati nel fisico e
Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievic, nel suo libro La
nell’anima, e si prende cura di Pashka, il figlio molto
guerra
piccolo di una donna conosciuta al fronte, Masha. Il
non
ha
volto
di
donna.
Se
in
Testnota
la
protagonista era oppressa dalla famiglia e da un sistema
bambino,
di relazioni gerarchico e di tipo tribale, in questo secondo
spiacevole incidente, in una delle scene più strazianti
film,
del film. Masha (Vasilisa Perelygina) è l’opposto di Iya,
le
due
giovani
protagoniste,
una
famiglia
non
ce
però,
muore
poco
dopo,
a
causa
di
uno
l’hanno più, sono sole, hanno perso tutto, hanno visto con i
è
loro occhi la distruzione, come “angeli della morte” hanno
determinato,
versato molto sangue e spezzato vite piuttosto che crearle
combattere. Anche Masha, come Iya, è stata in guerra,
ed i loro corpi hanno subito le più atroci sofferenze. Ma
ma non c’è traccia di angelica purezza in lei: la guerra
possono ripartire da zero, essere delle persone nuove e la
le ha aperto gli occhi sul mondo e, anche su di lei ha
domanda che Balagov si pone e ci pone è: “come possono
lasciato dei terribili segni, come le continue perdite di
ricominciare dopo che la loro mente e la loro natura hanno
sangue
subito un cambiamento radicale, che ne mira la struttura?”
grande malessere interiore.
bassina,
dal
ha
i
capell
di
naso,
chi
corti
non
e
ha
rossi
e
ancora
rappresentazione
lo
sguardo
smesso
esteriore
di
di
un
22
Critica
La notizia della morte del suo bambino, ascoltata, con un’apparente
calma
stoica,
dalle
parole
dell’amica,
rappresenta in realtà il punto di non ritorno, lo sprofondare nell’angoscia di non aver mai potuto stringere quella vita, da lei generata, tra le sue braccia. Decide, allora, di volere a tutti i costi un altro bambino, desidera sentire nel suo ventre il crescere di una nuova vita, perché solo così può
continuare
a
vivere,
e
dovrà
essere
proprio
Iya,
responsabile della morte di Pashka, a doverla aiutare. Si innescano, a questo punto, una serie di eventi malsani che sembrano incrinare l’amicizia tra le due donne. La guerra non appare in nessuna scena, ma viene rievocata continuamente. La percepiamo in quei corpi che vagano per
le
strade
di
Leningrado,
nei
volti
mesti
dei
soldati
nell’ospedale, negli occhi tristi del dottore e della moglie di un veterano, nello sguardo perso nel vuoto di Iya e
infatti, non è quello di mostrare la guerra, ma le ferite, visibili e non, che essa ha lasciato e i modi adoperati da ogni personaggio per rimarginarle. Ognuno di loro ci viene presentato gradualmente, a poco a poco apprendiamo le loro storie, le loro ansie e i turbamenti, fino ad arrivare al in
cui,
come
in
un
puzzle,
tutto
si
saturi
incastra
alla
perfezione, per formare l’immagine di quella Russia che è
per
risaltare
atmosfere
in
tutta
particolarmente
la
loro
potenza
estetizzanti.
A
e
creare
predominare
nei primi minuti del film sono i toni caldi de giallo ocra e del
nella durezza del viso di Masha. Chiaro intento di Balagov,
finale,
Grande attenzione, infatti, viene riservata ai colori, molto
rosso,
che
dominante
su
lasciano, tutti.
poi,
Ogni
posto
tonalità
al
ha
verde,
una
il
sua
colore
valenza
specifica e riesce a caricare ogni scena di significati nascosti.
Il
rosso
rappresenta
il
sangue,
la
paura,
la
guerra. Rosso è infatti, il maglioncino del piccolo Pashka, un bambino che in tutta la sua breve vita non ha visto altro che morte e distruzione ed è condannato ad un tragico
destino.
Rossi
o
sui
toni
del
mattone
sono
la
maggior parte degli indumenti di Masha, una donna per
sopravvissuta, che dopo tante sofferenze ce l’ha fatta, e, in quell’autunno del 1945, ancora intorpidita dallo scossone della guerra, si trova come in un limbo tra il lasciarsi andare alla morte e l’imparare vivere nuovamente. Un limbo in cui ogni passo sembra sbagliato, ogni scelta priva di senso e
la quale la guerra non è ancora finita, una guerriera che, dopo essere stata al fronte, è costretta a vivere una nuova guerra, tutta interiore, contro quel destino che l’ha privata della sua unica fonte di vita. Il verde, invece, rappresenta la speranza. Verdi sono le
ogni speranza, inutile. L’intero film procede con il ritmo lento, i dialoghi pesanti, i lunghi piani sequenza ed i grandi silenzi, elementi tipici di
pareti
dell’ospedale
e
della
stanza
delle
due
giovani
amiche, verdi sono i larghi maglioni indossati da Iya.
tanto cinema russo, ma la bravura di questo giovane regista
Iya,
la si trova proprio nel saper magistralmente riempire questi
speranza di una vita migliore, proprio quando l’amica,
silenzi,
per
attraverso
la
maniacale
organizzazione
delle
infatti,
la
a
quale,
differenza
forse,
maglione
che
In entrambi i suoi film, ogni inquadratura è studiata nei
incrinerà.
Verde
minimi dettagli e costruita come se fosse un quadro, tanto
indossato
da
da riuscire ad essere molto più eloquente di quanto non lo
andare
i
personaggi.
d’autunno, spartane
alla degli
estremamente oggetti,
in
prova
Masha,
un
ha
affetto
ritrovato
che
va
la
altre
l’amicizia, è tornata dal fronte. Ma sarà rosso, invece, il
inquadrature.
siano
di
In
particolare,
desolazione edifici,
elaborati
perfetto
stile
degli
si e
ne
esterni
liberty,
con
è
Masha
continue
quando
anche nel
il
la
loro
leggero
finale,
giravolte,
con nella
amicizia
vestito
il
quale più
si
floreale si
lascia
poetica
e
La ragazza
struggente scena del film. La giovane donna abituata
e
forme
ormai agli abiti pesanti, alla divisa, agli stivali, indossa
interni,
per la prima volta, dopo tanto tempo, un vestito, e si
oppongono
arredati
a
indosserà
alle gli
una
sottolineando
miriade in
di
questo
lascia andare ad un gesto di “frivolezza”, riuscendo a sentire
di
nuovo
il
vento
sulle
gambe
e
la
morbida
modo la contrapposizione nei corpi dei sopravvissuti, privati
carezza del tessuto, fino a quando, tornata alla realtà,
esternamente di tutto, spogliati di ogni avere, ma ricchi al
quel gesto appare così stupido e privo di senso, tanto da
loro
farla scoppiare in lacrime.
interno
di
turbamenti
e
di
paure,
ma
anche
di
speranza, rappresentata dalle pareti verdi dell’ospedale e della stanza di Iya e di Masha.
Critica
Quel
vestito
che
anche
verde Masha
è,
quindi,
sembra
la
speranza
aver
ritrovato
Forse l’unica fonte di speranza possibile, l’unico
modo
per
che
avanti, è l’abbraccio con l’altro, il calore
prendersi che
di
amarla
cura
riuscirà
di
ad
lei,
e
di
avere.
che
Iya
Ma
e
potrebbe
del
bambino
questa
illusione
di
un
contatto
la
paura,
con
per
la
disperazione
dice
e
combattere
dopo l’incontro con un giovane molto ricco,
l’altro,
andare
una
social
catena.
dura poco, non tutto infatti è semplice come
sembra
e
forse
l’unica
cosa
di
cui
Ed
allora
eccola
qui,
in
il
cui,
chiaranzana ,
la
timido
sole
(l’io
il
entrambe hanno realmente bisogno è
momento
che
l’affetto reciproco.
incontra il tu), rischiara le nubi scure (le paure) all’orizzonte.
Iya
e
Masha
complementari, stessa
sono
le
medaglia
facce
e
come
diverse, opposte tali
non
di
ma una
possono
Non figlio a
sapremo tanto
placare
i
mai
se
desiderato, suoi
o
rimorsi,
se ma
il
riuscirà
quelle
l’altra,
limbo tra la vita e la morte, provate dalle
ha
bisogno
dell’altra
per
sofferenze,
di
torpore
alti
e
bassi,
riappacificazioni,
è
invidie,
sancito
dal
litigi
e
liberatorio
e
riusciranno a
ritrovare
bloccate
due
incredibili
l’una
insieme,
otterrà Iya
essere divise. L’una cerca l’altra, l’una imita
sopravvivere. Il loro legame profondo, fatto
donne
Masha
ad
uscire
vigore,
nel
dal
proprio
come dopo un temporale.
abbraccio finale.
"Forse l’unica fonte di speranza possibile, l’unico modo per combattere la disperazione e la paura, per andare avanti, è l’abbraccio con l’altro."
Critica
The interview E altri film che ho visto solo perchè amo James Franco
PRESSO ME STESSA
Immaccariarsi
P
“ arasite”, il film del regista sud coreano Bong Joon-hu, è stato uno straordinario successo: ha vinto 6 premi Oscar e ha
prepotentemente
medio
occidentale
indirizzato sulla
lo
sguardo
produzione
del
pubblico
cinematografica
orientale, che da tempo faceva sfoggio di sé a Cannes, a Venezia e a Berlino, ma restava pressocché ignota alla cultura pop, che ha sempre avuto preferenze per l’America. Ma facciamo un passo indietro, torniamo a quindici anni fa, quando
Installarsi in casa altrui per alloggiarci e banchettarci a sbafo.
grande
a
Venezia
capolavoro
quello di
Kim
che
sarà
Ki-duk,
considerato
prima
di
l’ultimo
scadere
nel
manierismo, conquista il Premio speciale per la regia. Con “Ferro 3 – La casa vuota” restiamo in tema di parassitismo,
Etimologia: Il verbo “immaccariarsi” fu coniato dal letterato fiorentino Alessandro Allegri, vissuto a cavallo fra il 1500 e il 1600. Il verbo deriva dalla locuzione di etimologia incerta “a macca”, che nei dialetti settentrionali ha il significato di “a ufo”, “a sbafo”.
di chi vive alle spalle altrui, ma la mordace critica sociale di Parasite qui si addolcisce in un’atmosfera onirica e poetica, muovendosi
su
quel
confine,
sempre
più
labile,
fra
le
dimensioni di sogno e realtà, uno dei temi che domina il mondo
del
cinema
sin
dai
suoi
albori.
Il
parassitismo
descritto da Kim Ki-duk va oltre la conquista di un tetto per la
notte
e
di
un
pasto
caldo,
ma
permea
l’animo
del
protagonista, che “si immaccaria”, più che nelle case, nelle vite delle persone. Il nostro protagonista non ha nome né voce, né una casa che sia sua, vive infiltrandosi per qualche ora nelle abitazioni altrui e nelle loro abitudini, adattando la sua vita a quella dei suoi inconsapevoli ospiti.
Di Alessandra De Varti
Critica
Usando dei volantini per accertarsi che i proprietari non siano in casa, entra in un appartamento vuoto che abita fino al loro ritorno: si fa il bagno, usa i loro spazzolini, si prepara da mangiare il loro cibo, gioca
con
ciò
che
trova
e
si
scatta
fotografie
accanto alle fotografie appese alle pareti; infine, in una
sorta
occupa
di
muto
delle
e
segreto
faccende
di
ringraziamento,
casa,
come
si
lavare
i
vestiti sporchi o riparare ciò che trova di rotto. La vita
mutevole
trasforma, della
del
protagonista,
irriconoscibile
casa
che
abita,
ogni
che
cambia
volta,
resterà
a
e
si
seconda
ancorata
a
quella
della protagonista femminile, anche lei senza nome e per lo più silenziosa. Quando lui entra in una casa che credeva vuota, i ruoli dei due protagonisti si invertono: la legittima proprietaria si nasconde per osservare lo sconosciuto che si è installato in casa sua,
mentre
stanze,
il
parassita
usufruendo
della
si
aggira
vasca
libero
da
fra
bagno,
le
delle
camere da letto e del set da golf in giardino. E’ qui che lo vediamo, per la prima volta: un bastone da golf, con su inciso il numero 3, un ferro 3, una delle mazze meno usate nel gioco, che sarà l’arma del protagonista. Una terza figura si interpone fra i due personaggi
principali,
rompendo
il
silenzio,
che
regna quasi incontrastato per tutto il film, con la sua
voce
autoritaria
che
squilla
dalla
segreteria
telefonica: il marito di lei, che, al contrario dei due protagonisti
parla,
grida,
minaccia,
supplica,
chiede perdono e giura vendetta. Nella galleria dei personaggi della pellicola, l’immagine del marito è una
delle
più
insoddisfatto,
nitide:
afflitto
un
da
uomo
un
forte
frustrato
e
complesso
di
inferiorità nei confronti della moglie, che tenta di sopraffare
fisicamente,
violentandola, superiorità;
per
allo
picchiandola
ristabilire
stesso
tempo,
una
e
posizione
è
di
morbosamente
attaccato alla donna e geloso di lei, al punto da tenerla donna
quasi la
segregata
possibilità
di
in
casa.
fuggire,
Per il
dare
alla
protagonista
maschile decide di esporsi e farsi notare dal marito di lei, da poco rientrato a casa, per poi colpirlo con delle palline da golf fino a farlo accasciare a terra. La
donna
accetta
la
silenziosa
offerta
del
protagonista di unirsi a lui, alla scoperta di molte vite, senza tuttavia la possibilità di sceglierne una.
l’improbabile
e
l’impossibile
è
il
costante
tangibile pericolo di essere scoperti, che più volte si trasforma ricordando
in
realtà,
allo
innalzando
spettatore
di
la
non
tensione
e
abbandonarsi
così facilmente alle tenere sequenze d’affetto fra i due protagonisti.
perduto, sanno
che
hanno
qualcosa
che
comunicato tutti
i
registi
all’epoca nati
col
del
muto,
sonoro
non
sapranno mai”. Kim Ki-duk è nato negli anni ’60, il sonoro nel cinema non era più una rarità da anni, eppure sembra di scorgerlo (perché non si può sentire) quel segreto a cui accennava François Truffaut. I due protagonisti restano in silenzio per l’intero film, eccezion fatta per un paio di battute finali di lei: c’è il rombo della moto di lui che sfreccia per le strade, le parole di qualche personaggio secondario, la musica, ogni tanto, ma loro stanno zitti. Creano un immenso vuoto, una persistente assenza che cancella ogni altro rumore, appiattisce le voci di chi li circonda, nella spasmodica ansia che uno dei due possa dire una sola parola. I due protagonisti comunicheranno con
la
musica,
le
struggenti
canzoni
d’amore
che
andranno a comporre la colonna sonora, nella maggior parte dei casi, saranno scelte dai personaggi principali come sottofondo per la loro quotidianità fittizia e come simbolo del loro amore. La pellicola è ricca di simbolismi: in mancanza di grandi dialoghi risolutivi, è ai gesti e alle inquadrature che ci si affida, più di quanto normalmente si faccia nel cinema, per raccontare la vicenda. Kim Kiduk ha spesso dichiarato di aver discusso con operatori e direttori
di
fotografia,
ricercando
la
limpidezza
e
la
semplicità nei colori e nel montaggio. Durante il film, la soluzione compositiva di cui fa il maggior utilizzo è quella di riprendere un’immagine proiettata su un una superficie riflettente
(un
vetro,
uno
specchio,
una
pozzanghera),
dando allo stesso tempo allo spettatore il volto di un personaggio
terzo
che
osserva
la
scena
come
dell’esterno, spettatore anch’egli.
Il contrappeso di una storia che si tiene in equilibrio fra
Fu Truffaut a dire che “coloro che conoscono il segreto
Verso la fine del film, il protagonista maschile riuscirà a diventare
un
vero
e
proprio
fantasma,
sfruttando
il
limitato campo visivo dell’occhio umano e nascondendosi nei punti ciechi.
Critica
A
questa
personaggio sequenza
di
evoluzione
del
corrisponde
una
sbagliato sembra quasi un monito
con
per
scene
un’inquadratura
girate
“in
prima
L’incidente
il
finale,
ciò
scoglie
che
accade
attraverso
del
imprevedibili
e
soprattutto
a
subitanei
gli
protagonista, sfuggenti, causa
ritorni
dei
ad
una
narrazione “in terza persona”. Gli
oggetti
si
caricano
significato,
in
l’attrezzatura
da
marito
mai
carico
di
nella
protagonista per
da
un
protagonista
abbandonare
persona”, come se guardassimo
occhi
causato
lei
il
a
tiro
non
controllo. tensione,
rivelazione
all’amata,
abbandona
il
Il si
del quale
la
sua
invisibilità e abbraccia una sola vita:
quella
dell’amante.
Ricomincia la musica e si sentono di
le prime, dolcissime, parole di lei,
particolare
una dichiarazione d’amore che il
golf:
per
il
marito
stenta
a
credere
gli
sia
della
protagonista
rivolta, ma, non potendo vedere
non
rappresentava
l’amante nascosto alle sue spalle,
che un passatempo, nelle mani
accetta ben volentieri di credere
del
a qualcosa di improbabile, se pur
femminile
protagonista
maschile
assume la forma di una stabilità
possibile,
illusoria, l’unico ricordo di una
spettato
delle scelto
sue
mille
di
portare
vite con
che sé,
ha un
marchio indelebile sulla pelle di un uomo che vive in un ciclo di rinnovamento perpetuo.
come
ha
fatto
lo
"Gli oggetti si caricano di significato, in particolare l’attrezzatura da golf: per il marito della protagonista femminile non rappresentava che un passatempo, nelle mani del protagonista maschile assume la forma di una stabilità illusoria"
Critica
DI CARLO GIULIANO
Folklore Folclóre (o folklóre) s. m. [dall’ingl. Folklore, comp. di folk «popolo» e lore «sapere; complesso di tradizioni o di notizie», termine coniato nel 1846 dall’archeologo ingl. W. J. Thoms]. – 1. L’insieme delle tradizioni popolari di una regione, di un Paese, di un gruppo etnico, in tutte le manifestazioni culturali che ne sono espressione, cioè usi, costumi, leggende, credenze, pratiche religiose o magiche, racconti, proverbi e quanto altro è tramandato per tradizione orale: spettacolo di f.; le feste del f. bretone; uno studio sul f. abruzzese; per estens., aspetto pittoresco di una situazione, di un luogo, di un ambiente (anche spreg., con riferimento all’eccesso di colore e di caratteri tipici). 2. La scienza che studia tali tradizioni, detta anche demologia, demopsicologia, e, come disciplina d’insegnamento universitario, storia delle tradizioni popolari. [da Vocabolario Treccani].
Ho sentito una barzelletta una volta” esordiva qualcuno, da qualche parte, in un film. La redazione di una rivista
“
letteraria
online
D’improvviso,
il
ha
bisogno
Genio:
di
un
«Potremmo
nuovo
tema
parlare
della
che
faccia
deiezione
da
filo
della
conduttore
lingua
all’ultimo
italiana,
mensile
contaminata
da
in
uscita.
eccessivi
anglicismi, scegliendo a capoccia una parola desueta – che già di per sé è una parola desueta – dal dizionario,
»
«Figo» «Uanm’» «Ce l’ho duro». Poi le proposte: «Io scelgo ‘serendipità» «Io ‘amarcord’» «Che vor dì, non era un film di Fellini?» «Ah boh, ‘nte fa’ domande». Poi l’ultimo arrivato della sezione di critica cinematografica, dopo un lungo peregrinare: «Folklore!». E gli altri: «No aspè, mezzo che ‘n’ c’hai capito un cazzo». affiancandoci poi un’opera di riferimento . Esultanze:
[Buona questa, nessuno ride, rullo di tamburi, sipario].
Folklore è una parola strana, ambigua. Semanticamente, assolve il non facile compito di delimitare l’identità – culturale, etnica, religiosa – di un popolo, in quanto distinto, per usi e costumi, da tutti gli altri popoli. E nonostante
queste
diversità
si
riflettano
innanzitutto
sul
linguaggio,
segno
più
evidente
della
presenza
di
un’identità comunitaria, la parola italiana scelta per rappresentarle, guarda caso, non è italiana. Di origine inglese, in una delle sue due declinazioni riportate dal Treccani è addirittura “sporcata” da una lettera tra l’altro assente nell’alfabeto italiano. E non è un caso che, fra le due, abbia scelto la più esotica; perché identità e contaminazione sono sempre state due facce della stessa medaglia. La lingua è in continua evoluzione: dispute nascono ai vertici dell’Accademia della Crusca fra ‘impegnarsi’ e ‘impegniarsi’, arrivando ad accettare entrambe le forme – e distruggendo quindi una delle regole basi della grammatica italiana, da prima elementare (il -gnnon vuole la ‘i’) – solo per giustificare il fatto che si è disimparato a scrivere correttamente, riportando le inflessioni sonore delle parole anche nella forma dello scritto.
Critica
Tutto questo per esemplificare il fatto che la lingua, di per
sé
stessa,
rifiuta
l’immobilità.
Quando
poi
vi
si
intrufolano fattori esterni, il contraccolpo è inevitabile. In un mondo già di per sé intrinsecamente globalizzato, l’auspicio di un multiculturalismo cosmopolita è l’unica arma rimasta ai benpensanti di fronte ai mali del più dilagante nazionalismo e della fossilizzazione culturale. Eppure,
quando
si
tratta
della
lingua,
specchio
espressivo di eventuali contaminazioni multietniche, ci si
«Meticci
scopre di un improvviso provincialismo. parla
come
etiope
sì, ma
» «Ma io magno dal mio tuoi». Il folklore di un popolo, se
magni
» «Cazzi
amico non di
più e in anticipo rispetto al popolo stesso, migra; così facendo
modifica
i
nazioni;
da
l’opposizione
che
costumi,
i
culti al
e
i
lessici
di
altre
multiculturalismo
–
anche o solo nel linguaggio – come il blocco dei flussi migratori, lontana: crolla”.
è
destinato
“L’Europa Detta
al
fallimento.
nasce
meglio:
quando
la
cultura
Prendendola l’Impero
alla
Romano
europea
è
figlia
bastarda di un matrimonio misto.
Con
la
Calata
fondersi
con
il
dei
Barbari,
diritto
i
costumi
romano:
nordici
l’Europa
vanno
nasce
a
quando
Meroveo si fa battezzare. Quindi no, l’Impero Romano d’Occidente non crolla, si evolve. E’ il 476 d.C. quando questo succede, mentre a Oriente i bizantini si barricano contro
qualunque
culturale.
tipo
L’Impero
di
contaminazione,
Romano
d’Oriente
etnica
sopravvive
e
mille
anni di più – attraversato però da una lunga e costante decadenza, mai ravvivato da stimoli esterni – finché nel 1453 non viene completamente cancellato dall’avanzata ottomana. Costantinopoli diventa Istanbul, la Basilica di Santa
Sofia
si
trasforma
in
Moschea
e
della
cultura
bizantina non rimane più nulla. Lo dice il Bloch, lui non si sbaglia mai.
del
tratto
2016
dal
del
regista
racconto
canadese
Denis
Arrival”,
Villeneuve,
“Storia della tua vita”
dello
scrittore di fantascienza Ted Chiang e portatosi a casa un Oscar ‘tecnico’ su ben otto candidature. Parla cioè dei
due
esiti
possibili
di
una
stessa
Storia,
dei
due
funerali – tanto diversi – di uno stesso Impero. Nel farlo, sceglie una trama forse scontata, solo apparentemente vista e rivista: gli alieni sbarcano sulla Terra a bordo di dodici punti
gigantesche sparsi
apparente.
Jonathan
Liebesman,
World Invasion”
emblema
(2016) di
rumoroso
fra
le
numerose variazioni su tema, gli alieni di Villeneuve scelgono una via differente: non attaccano, vogliono comunicare. Per questo, di fronte alla solita pletora di scienziati capoccioni e alte sfere militari – di cui fanno le veci le oneste interpretazioni di Jeremy Renner e Forest
Withaker,
che
fanno
il
loro
ma
passano
in
secondo piano – a prendere le redini della situazione è la brava Amy Adams, via di mezzo fra una linguista e una
traduttrice.
Suo
obiettivo,
riuscire
a
rompere
il
muro dell’incomprensione linguistica e porre agli alieni la madre di tutte le domande: “Qual è il vostro scopo
E proprio di questo, credeteci o meno, parla “ film
Tuttavia, rispetto a quelli di “
per
astronavi il
pianeta
ancorate senza
in
altrettanti
alcuna
logica
sulla
Terra?”.
risponderanno
Interrogativo
cui,
telegraficamente,
apprensione:
“Offrire
arma”.
più
avanti,
generando
La
via
grande
scelta
dalla
protagonista per rendere questo scambio inequivoco, contro
l’opinione
impervia,
è
leggere
dei
militari
insegnare e
agli
scrivere,
apprendendo
la
loro
che
alieni
la
vedono
letteralmente
più a
contemporaneamente particolarissima
scrittura
semasiografica – comunicazione non fonetica che non rappresenta significato, culturali.
un un
suono
intero
ma
mondo
piuttosto folklorico
veicola di
un
sfumature
“Se ti immergi totalmente in una lingua straniera puoi riprogrammare il cervello; la lingua che parli determina il tuo modo di pensare” L'ipotesi di Sapir-Whorf citata nel film
Via
via
due
che
razze
l’apprendimento inizia
dell’altro,
a
come
procede,
vedere
il
vorrebbe
ciascuna
mondo
l’Ipotesi
con
di
gli
delle occhi
Sapir-Whorf,
citata nel film: “Se ti immergi totalmente in una lingua straniera puoi riprogrammare il cervello; la lingua che parli
determina
iniziando
a
il
tuo
ricordare
realtà
mai
(o
senso
della
non
modo
di
memorie
ancora)
risposta
di
pensare”. una
vissuta,
aliena.
vita
non
L’arma
Finché,
passata
in
comprende
che
hanno
il
da
offrire è il loro stesso linguaggio, portatore come delle tradizioni
folkloriche
così
anche
delle
loro
abilità
e
‘pratiche magiche’ (come ci ricorda il Treccani), fra le quali una sorta di preveggenza del futuro. Iniziando a maneggiare sperimenta
gli
ideogrammi
anche
la
loro
alieni,
la
personalissima
Adams
visione
del
tempo: non lineare, come quella terrestre, ma circolare e
simultanea,
singolo caso
attimo.
circolare
ritorno
sua
passato
La –
alla
nietzschiana, della
dove
scrittura
permette
contro
gli
in
poi.
I
futuro
aliena di
coesistono
–
anch’essa
“aprire
concezione
il
della
‘linea
del
problemi
in
e
scrittura tempo’
logici
in
a un
poi
lineare
voluta
sono
un
non
tempo”
empedoclea
errori
corrispettiva
cristianesimo
e
e
dal
copiosi,
i
Le
scenografie
riesumano
aule
precedente
“
Villeneuve,
minimaliste
di
universitarie
già
Enemy ”
mentre
fotografia
che
psicotropo
(2013),
si
viste
sempre
riconferma
però
alla
“Arrival”
Brown”
di
l’ottima
abbandona
“Golden
nel
il –
filtro come
paradossi si sprecano – come può la Adams attingere a
cantavano gli Stranglers nel 1981 – per una
un
gradazione
futuro
che
non
è
ancora,
per
agire
in
un
presente
che dovrebbe poi avverare quel medesimo futuro? (non
tendente
preoccupatevi,
non
Villeneuve
risolti
dal
vago
messi
in
quel
secondo
scienziati
ho
concetto
piano
capoccioni
protagonista,
il
capito
– –
neanche di
così in
linguaggio,
io)
–
in
simultaneità, come,
si
favore
di
che
non
parte
nonché
ricordi, un
gli
nuovo
pretende
Il
sentore
è
quello
di
trovarsi
di
fronte
a
un
tocca
biglietto erede
di
eccessi
di
sistemi
Nolan,
nei contenuti così nell’ottimo apparato tecnico.
come
punte
che
rende
Stanley
pretenziosi
considerato
Christopher
al di
colorata, grigiastro.
Cinema
molto
Arrival ” i l v e r o “2001: Odissea nello spazio ”
e
(2011)
complessi,
meno
a inizio film che da sola vale il prezzo del
gemellaggio fra Villeneuve e l’altro grande artefice di temporali
colori
elevato, culminanti in una lunga sequenza
(1968)
dimostrazioni astrofisiche.
di
piuttosto
di
Kubrick, di
Terrence come
pellicola del ’68.
il
“
contro
gli
“The tree of life ” Malick,
fratello
da
minore
molti della
Critica
“Arrival” è insomma un crescendo di sorprese e
Amenità
dettagli ben curati: una sceneggiatura elegante
volerne trovare una, è forse quell’abitudine un
e introspettiva, affidata a un buon trio di attori,
po’
supportata
tratteggiare
russi
da
un
ottimo
apparato
tecnico
e
a
parte,
l’unica
americacentrica
pecca,
e
e
proprio
a
paternalistica
cinesi
guerrafondai
poco
risolta
in
anglicismi.
funzionale ai fini dello sceneggiato: obiettivo
E’ come conoscere una bella ragazza su Tinder,
degli
vederla dal vivo e scoprire che non è un catfish
una
(aridaje...),
evolvere
dalla
ciliegina
sentirla
sulla
parlare
torta
e
di
un
twist
sorprendersi
se
però
alieni
è
una
quello
collaborazione
bolla
di
dialogo, di
–
i
e
terrestri
che
li
faccia
scientificamente
nuova frontiera del sesso... e per finire ricevere
millenni avanti nel futuro, di aiutare gli stessi
la migliore fellatio – una parola latina, habemus
alieni
quando
papam!
scelta
di
come
in
della
propria
“Arrival”,
anche
della lingua è tutto.
vita. nel
Perché sesso
lo
orale
si
sa,
l’uso
avranno
spargere
parcellizzare
le
in
grado,
e
non è scema, andarci a letto per conoscere una
ne
siano
a
socialmente
–
perché
qui
sapone
spingere
proficua
rapidamente –
al
ottusi
ending e un countdown finale – me tapino! sono
arricchita
inclini
come
di
bisogno. le
Da
tre
cui
astronavi,
informazioni:
“E’
il
la di
modo
migliore per costringerci a collaborare”.
Il
fuoco
del
macrocosmo
dialogo al
di
stelle
e
ricominciare
simili,
condividendo
l’Impero
dover
da
a
morale
solo.
Per
dunque
occhi
puntarli
informazioni,
e
la
in
ai
dalle propri
lasciandosi
Per
diventare quello
stringata
“Arrival”:
dirla
sui
schivare
propria di
dal
ricordando gli
innamorandosi.
facendo
stringente) salva
togliere
d’Occidente
d’Oriente,
sposta
microcosmo,
terrestri
contaminare,
si
nessuno
latino
inglese, non resta che il do ut des.
"Il fuoco del dialogo si sposta dunque dal macrocosmo al microcosmo, ricordando ai terrestri di dover togliere gli occhi dalle stelle e ricominciare a puntarli sui propri simili, condividendo informazioni, lasciandosi contaminare, innamorandosi."
e
non
(e si in
CRITICA D'ARTE
A CURA DI
Eliana Pardo Cristina Colace
Che cos’è il "Duende"? È un folletto, una voce nuova, un vento mentale. Nella mitologia spagnola, indica uno spiritello che, secondo la leggenda, si impossessa di alcuni artisti, ma non si manifesta allo stesso modo in tutti. Federico Garcìa Lorca parla di un fluido inafferrabile, che arriva direttamente all’osservatore, qualcosa di demoniaco, di dionisiaco ed inspiegabilmente magnetico. “Potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega”, così lo definì Johann Wolfgang von Goethe, avendo intravisto quel sacro fuoco ardere nelle corde del violino di Niccolò Paganini. Insomma, il Duende, nella sua inafferrabile ed intraducibile definizione, ci ha ispirato per il titolo di questa rubrica. Non pretendiamo di “diagnosticarlo”, piuttosto di lasciarvelo intravedere nelle opere di cui racconteremo tra queste pagine, cosicché ognuno possa coniare la sua personalissima definizione. D’altronde, come scriveva Federico Garcìa Lorca: “Per cercare il duende non c’è mappa né esercizio. Si sa solo che brucia il sangue come un tropico di vetri, che estenua, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili, che si appoggia al dolore umano inconsolabile, che fa sì che Goya, maestro dei grigi, degli argenti e dei rosa della miglior pittura inglese, dipinga con le ginocchia e i pugni con orribili neri bitume.”
EL DUENDE
Critica
Illibatezza di Eliana Pardo
Da illibato, termine proveniente dal latino illibatus composto da “in” (cioè “non”) e “libatus” (“toccato” o “assaggiato”); significa dunque “non gustato”. La parola illibatezza, infatti, indica l’innocenza e la purezza racchiusa nei gesti garbati di chi li compie, rappresenta
l’arte
particolar
modo
vocabolo
esprime
dell’etica alla e
e,
figura
definisce
se
accostato
della
donna,
l’integrità
in
tale
del
suo
fisico e quindi la sua verginità. Questa parola, con la
sua
finezza,
si
riferisce
indirettamente
ad
un
qualcosa che non è stato alterato dal tatto e dal gusto, raccontando la scena come se il soggetto del discorso sia in realtà un semplice e delicato fiore, i cui petali sembrano ancora non esser mai stati sfiorati. Ovviamente, non si parla di un fiore qualunque.
La verginità è stata spesso delineata
come una virtù denotante purezza e capacità di dominare molte
ogni
culture,
tentazione, il
cui
un
valore
tema nelle
differente donne
in
viene
attribuito spesso e volentieri in maniera del tutto discordante.
Ebbene,
questa
volta
mi
preme
parlarvi di tutto ciò; di quell’equilibrio instabile che immancabilmente si presenta non appena si parla di sesso e prima volta. Valore morale o un ostacolo da superare al più presto? Il quadro che stiamo per esaminare quesiti.
affronta
delicatamente
entrambi
i
Critica
"Non dipingo: utilizzo oggetti che hanno l'apparenza di quadri, perché il caso ha fatto sì che questa forma espressiva convenisse meglio ai miei sensi."
Il dipinto in questione è una tra le più celebri opere del belga René François Ghislain
Magritte,
famosissimo
pittore
surrealista del XX secolo. Il suo titolo è “La
robe
du
soir”,
ossia
“L’abito
da
sera”. All’istante si pone innanzi a noi una
giovane
donna,
completamente
nuda, la quale in maniera molto gentile continua osservare
a
porgerci il
le
magnifico
spalle
per
paesaggio
dinanzi a sè. La sua pelle è chiara e candida,
di
un
bianco
tenue
e
avvolgente che quasi sembra fondere le
sue
armoniose
curve
con
le
forme
altrettanto ondulate dei lunghi capelli nero pece. Proprio quest’ultimi, paiono più volte intenti a carezzarle la schiena per importunarla ma, di nuovo, la donna persiste
nel
contemplare
tutt’altro,
pienamente rapita dal resto che si sta esibendo sopra la sua veste di carne.
-René Magritte Oltre
la
sua
luminosa
luna
piazzatasi bluastre
figura a
spicca,
falce
rivolta
comodamente
del
cielo,
infatti,
privo
lì,
di
a
una
Levante,
sulle
stelle,
tinte
il
quale
istantaneamente pare essere della medesima tonalità una
del
placido
sfumata
regge
lo
Magritte
e
sottostante.
imprecisa
scenario, ha
mare
striscia
delimitando
sempre
pensato
che
Solo
bianca
l’orizzonte. la
pittura
non dovesse essere un mezzo per raccontare storie, bensì per interpretarle come si fa con le poesie. Proprio per questo, probabilmente, i volti dei suoi dipinti restano a noi perennemente
ignoti.
Quel
che
deve
incuriosire
colui che si pone davanti al quadro non è la figura,
infatti,
ma
la
scena
l’artista ci sta dedicando.
22
d’insieme
che
Critica
Invitandoci ad osservare il paesaggio, con i suoi personaggi di contorno, ecco che di fatto nasce in noi il bisogno di crearci su un racconto verosimile… La giovane è ritratta nuda perché, da come già il titolo dell’opera allude, ella sta già indossando un abito da sera impeccabile: il cielo e il mare; è inoltre
probabile
che
la
donna
abbia
un
appuntamento proprio con quella sfavillante luna che
le
fa
incontro
compa-gnia
romantico,
o
da
forse
molto un
lontano.
vero
e
Un
proprio
ritrovo amoroso, chissà. Il suggerimento chiaro che però l’artista decide di offrirci è quello della purezza e della castità, non solo racchiusa nel corpo così bianco e candido della
ragazza,
ma
soprattutto
nella
luna,
da
sempre simbolo di integrità, rinascita e fertilità.
È una scena che, sebbene resti ferma e passiva olio su tela, espone la deflorazione e la scoperta dal
punto
di
vista
prettamente
femminile.
Il
concedersi con un abito da sera illibato ad una luce tentatrice e lussuriosa, una scia morale che si crea in noi in maniera capacità
perentoria, di
scelta
una
virtù
nuova
indissolubili.
e
una
L’illibatezza
concerne tutto ciò. René Magritte ci insegna oggi che l’essere illibato, vergine, non è né un valore etico, né una barriera da
dover
sbaragliare
necessariamente.
È
una
sensa-zione da inseguire, un abito che solo tu sai quando e come indossare. Del resto, precisa lui, quella briosa luna è sempre lì, alla nostra facile portata.
Critica
Alcova di Cristina Colace
[al-cò-va] s.f. [dall'arabo: al qubba, attrav. lo spagnolo alcoba; cupola, padiglione]. 1. rientranza più o meno vasta nella parete di una stanza, limitata da un arco o da una balaustra, con o senza cortine, dove si colloca il letto: dormire in un'a. 2. fig. camera da letto, spesso come simbolo d'intimità amorosa: i segreti dell'a. Sulla collina c’è una cittadella. Una corona di torri
Agli
traforate, giardini smeraldini, impreziositi da zampilli
scompone
iridescenti
spazi, è un ambiente privo di significato.
di
dell’Alhambra, d’arabeschi,
fontane. nel
Tra
le
profondo
protetto
dal
secolari
delle ricamo
sue
mura viscere
delle
fitte
occhi
Eppure… natura,
dell’uomo per
funzioni,
L’alcova,
lo
contemporaneo, utilizzi,
nella
seduce,
sua
confonde,
che
economie
di
incomprensibile attrae.
Oltre
la
geometrie dei jaali (‘grata, griglia’, ndr), si cela il
soglia, un pavimento a mosaico, il soffitto più
labirinto segreto delle alcove. Nella scatola di pietra
basso della camera principale. La copertura in
della camera, su uno sfondo di tessere triangolari in
forma
maiolica
apparato
colorata,
una
parete
si
distingue:
una
di
cupola del
arricchita
muqarnas
nicchie
di
dal
complesso
(ramificazione
coppia di esili colonnine sorregge un arco moresco,
gerarchica
fittamente decorato. L’ambiente è angusto, eppure
minori, ndr).
il soffitto voltato è alto, arioso: ci starebbero almeno
Spogliamoci delle nostre vesti di Sapiens
due persone. Cieca, ombrosa, in contrasto con la
2000; lasciamo che la patina del tempo si posi
luminosità traslucida della pietra lavorata, seppur
sulle palpebre, sullo smartphone, sui jeans, sulle
impreziosita dai verdazzurri brillanti della terracotta,
sneakers, trasportandoci tra i suoni e i profumi
la nicchia sembra quasi fuori contesto. Un’aggiunta
speziati di un mondo esotico.
vezzosa?
in
è
dimensioni
sempre
del
Critica
Come
d’incanto,
‘refuso’
quello
dello
spazio
che
sembrava
diventa
un
inutile
irresistibilmente
magnetico: illuminato dalle fiammelle delle candele, profumato di cera e d’incenso, separato dall’ambiente circostante
da
sottili
tendaggi,
languidamente
cadenti dall’imposta dell’arco. Un ambiente privato, intimo,
protettivo,
spudoratamente acquisisce
in
che
non
funzionale. quanto
ha
scopo
Eppure,
spazio
di
in
un’ottica
quest’ultimo
lo
godimento,
di
benessere: al di là di quella cortina, varcando il limite della
trabeazione,
è
il
rapporto
dell’uomo
con
lo
spazio che cambia, abbandonando la monumentalità per declinarsi in una dimensione più raccolta. L’alcova è un buco della serratura sul punto più enfatico della stanza, paradossalmente coincidente con l’elemento d’arredo per eccellenza: il talamo. Torniamo, forse un po’ amareggiati, al nostro funzionalissimo Occidente. Nonostante
il
suo
indiscutibile
fascino,
parlare
di
“alcova” oggi, nel ventunesimo secolo, non è anacro-
nistico?
Travolta
dall’incalzare
dei
neologismi,
non è sopravvissuta allo scorrere inesorabile del tempo. Si ritrova, così, ad essere doppiamente un
arcaismo:
da
una
parte
la
decadenza
architettonica, dall’altra la caduta in disuso del vocabolo,
compreso
d’intorno.
Ma
il
siamo
campo
sicuri
che
semantico la
presenza
dell’alcova nelle nostre case, nelle nostre stanze, sia al tramonto? Sebbene irriconoscibile, sotto mentite spoglie (senza dubbio meno orientali ed esotiche)
quel
fulcro
attorno
al
quale
ruota
l’organizzazione dell’intera camera da letto non è mai del tutto sparito. Come i lemmi di una lingua antica, si è contratta, modellata, evoluta in base alle circostanze ed al substrato culturale sul
quale
si
è
adagiata.
L’ha
saputo
magistralmente raccontare il tratto a matita di Owen
Jones,
architetto
e
scrittore
londinese
ottocentesco. Nel suo saggio ‘The Grammar of Ornament’
(1856)
identificò
il
decorativismo
islamicoandaluso come una fonte inesauribile di nuove
ispirazioni:
stualizzato Europa,
ed
Jones
l'eleganza delle
al
classicismo
ingiustificato opponeva
la
che
deconte-
dilagava
in
ricercatezza
e
Critica
''Come l’architettura, così anche le manifestazioni delle arti decorative necessitano di quella dignità, proporzione e armonia che, tutte insieme, producono un effetto di quiete.''
geometrie schizzi
e
anche
le
Owen
apparteneva
Pugin,
Ben;
suo
campagne
inglesi
Jones.
La
ricorso ‘Casa
ambiente
del
alle
Rossa’,
“alcova”,
un
Kent:
le
suggestioni
sono chiare, i richiami vernacolari anche. È una traduzione letterale nel linguaggio architettonico locale.
E
se,
con
silenziosa
discrezione,
ci
in-
troducessimo nel segreto delle stanze da letto della
Storia,
attenderci,
ad
ebbene invitarci
sì, a
una
generazione
avevano
prodotto
la
troveremo
scostare
la
lì
ad
tenda,
a
cedere all’incantesimo. Dalla Camera degli Sposi di Andrea Mantegna alle sale borboniche della Reggia di Caserta, passando per le Delizie degli Estensi ed i Palazzi Veneziani, l’alcova ha saputo trovare una sua dignità dimensionale anche in Italia, così come in tutto l’Occidente. Spagnolo, inglese, italiano, francese, tedesco, ogni paese ha tradotto il vocabolo nella sua lingua madre: alcoba, alcove, alkoven, boudoir.
di
edifici
questi
giovani
romantici
al
recupero in
di
una
opposizione
forma al
artisti
quali
il
condivisero
qualitativa
quantitativo
oggetti seriali prodotti dall’industria.
belvedere raccolto ed intimo sul prospetto rivolto alle
ad
che
artigianato
facessero
incaricato
l’esperienza delle Arts and Crafts, un movimento
dell’alcova islamica in un linguaggio anglofono. un
luoghi:
complesso parlamentare di Westminster ed il Big
l’architettura che meglio traduce l’essenza stessa
ha
quei
sé
Ruskin e dai revival medievali neogotici di Augustus
Webb per l’amico e confratello William Morris, è
casa
di
con
anglosassoni ispirati dalle idee romantiche di John
progettata nel 1859 dal giovane architetto Philipp
La
suggestioni
portò
a quei motivi ornamentali andalusi. Owen Jones
dall’idea di translitterare l’alcova in un elemento
di
dell’Alhambra,
agli
della prima Esposizione Universale, si ispirò proprio
Probabile che anche le Arts and Crafts, intrigate
suggestioni
rilievi
Insieme
Palace, progettato da Joseph Paxton come sede
-Owen Jones
inglese,
ai
moresche.
dalla Corona di arricchire gli interni del Crystal
volto
tradizionale
naturalistiche
di di
Critica
Se
allargassimo
addirittura
il
concetto,
identificare
potremmo
un
elemento
spaziale “alcovico” in ogni architettura, pubblica o privata che sia: così Antoni Gaudì
la
reinterpreta
nel
camino
fitomorfico di Casa Batllò, Adolf Loos la ricrea
nei
ritagli
del
Raumplan,
Alvar
Aalto la ripropone nella ‘fossa dei libri’ della Biblioteca di Viipuri. Quale sarà il suo destino? Lo stesso di altri spazi che, secolo
dopo
riducendosi
secolo, per
poi
sono
andati
dissolversi
totalmente? Probabilmente no…
L’alcova resta un non-spazio nell’accezione più immediata del termine: essa non è più, l’uomo moderno e, poi, contemporaneo si è accontentato di giacigli modesti, a volte persino squallidi e si dice soddisfatto. Eppure, ciascuno di noi nel profondo lo sa, ha, ha avuto, avrà una sua personale, intima alcova. Che sia un luogo d’intimità con l’altro, con sé stessi, con Dio. E dunque, se ognuno di noi ne possiede almeno una, perché non iniziare a chiamarla per nome?
"Il requisito più importante per un oggetto da considerare bello è che soddisfa lo scopo per il quale è stato concepito." -Antoni Gaudí
P U N T O
18
Carmine Faiella Gabriele Maurizio
D I F U G A
FOTOGRAFIA
Abbraccio
di Carmine Faiella
/ab-brac-cio/ Un abbraccio è un gesto volto ad esprimere affetto o amore che consiste nello stringere le braccia e le mani attorno al corpo di un'altra persona. Si tratta di una delle forme di effusione più diffuse fra gli umani, insieme al bacio. Può essere praticato indifferentemente fra familiari e amici, oltre ovviamente che fra amanti, senza limitazioni di sesso o di età e tanto in pubblico quanto in privato senza incorrere in alcuna forma di stigmatizzazione o riprovazione sociale. Un abbraccio può essere volto a confortare o rincuorare qualcuno. In definitiva, si tratta di un gesto che esprime affetto in una vasta gamma di gradi.
Dualismo /dua·lì·ṣmo/ La presenza di due principi fondamentali, in relazione reciproca di complementarità o di opposizione.
di Gabriele Maurizio
(doppia esposizione, da chiusa e poi da aperta, di una rosa di Gerico o pianta della resurrezione, che ha la peculiarità di restare viva anche se sembra ormai secca).
CuriositĂ
LO SAPEVATE CHE... È noto che Vladimir Nabokov scrisse il celebre romanzo Lolita su alcuni block-notes mentre viaggiava negli USA per collezionare farfalle.
Gli inizi dell’attività narrativa di Michele Mari risalgono all’adolescenza durante la quale trascorreva interi pomeriggi a disegnare fumetti, nel 2019 questi sono stati editi per la prima volta ne “La morte attende vittime. Tutti i fumetti di Michele Mari”. Questo libro raccoglie tutta la sua primissima produzione, fatta di riduzioni di grandi classici come l’Orlando Furioso, i Sepolcri foscoliani, Uno studio in rosso e storie originali come quella che da il titolo al volume. Nella raccolta si trova anche Il visconte dimezzato a fumetti con un commento autografo di Calvino stesso.
Francesco Petrarca non è stato solo un grande poeta ma anche uno dei primi alpinisti. Il 26 aprile 1336 insieme al fratello Gherardo egli scalo il Monte Ventoso,in Francia, episodio poi narrato con forte valenza allegorica nel Secretum. Non solo quindi un intelletuale ma un uomo pratico e perfino sportivo.
ALIGHIERI A CAVALLO - PRONTO ALLA BATTAGLIA
Dante Alighieri, il grande poeta italico era un valoroso cavaliere. Per quanto la cosa appaia distante dall’immagine intellettualmente impegnata del celebre poeta, vi sono prove inconfutabili di ciò. Partecipò a diverse battaglie vestendo l’armatura rinascimentale e montando a cavallo, sotto l’emblema militare, si batté di spada ed alabarda con fierezza ideale e grande destrezza. Egli non fu solamente l’abile dilettatore di versi (al quale convenzionalmente attribuiamo il merito della nostra meravigliosa lingua) ma dunque anche un vero paladino in cotta di maglia e spada a due mani pronto a difendere i suoi ideali con la fierezza e la determinazione che del Sommo ancora si ricordano.
In “Kill Bill vol. 1” del 2003, Uma Thurman indossa una tuta gialla a strisce nere, omaggio di Quentin Tarantino, grande amante dei bmovies di arti marziali, alla stessa tuta indossata da Bruce Lee ne “L’ultimo combattimento di Chen” (1978) di Robert Clouse. Uno dei temi scelti da Tarantino per la colonna sonora fu inoltre “Green Hornet” di Al Hirt, sigla dell’omonima serie televisiva del ’66 che lanciò la carriera, guarda caso, di Bruce Lee nei panni di Kato, il fido assistente cinese. Nel 2007 la stessa livrea gialla a strisce nere sarà usata su una Ford Shelby in “Grindhouse – A prova di morte”, mentre nel 2011 il cattivo per eccellenza scoperto da Tarantino, Christoph Waltz, farà da antagonista nel film remake di Michel Gondry de “Il calabrone verde”. Una rete di citazioni piuttosto intricate, persino per uno come Quentin Tarantino!
L’ASTRO NASCENTE DEL CINEMA DELL’ EST Kantemir Balagov, giovanissimo regista di Tetsnota e La ragazza d’autunno (Dylda), nato nella capitale della Repubblica Autonoma di Kabardino-Balkaria, ha speso la gran parte della sua adolescenza a guardare i film di Tarantino, ma anche dei grandi registi italiani, manifestando sin da subito una grande passione per la settima arte. All'Università, però, scelse gli
studi di Economia e Legge, per poi abbandonarli subito, dopo aver saputo che uno dei più importanti esponenti del cinema russo, Aleksandr Sokurov avrebbe tenuto un corso di cinema nella sua università. Fece di tutto per essere accettato in quel corso, riuscendo anche a far avere al regista alcuni suoi primi lavori. Sokurov colpito dal talento del giovane, decise di prenderlo sotto la propria ala. Oggi Balagov ha 30 anni, ha realizzato due film ed ormai considerato come uno degli artisti emergenti più promettenti degli ultimi anni. Chissà se Sokurov avesse già intuito la potenzialità e il brillante futuro di quel ragazzo che aveva deciso di formare.
Salvator Dalì, celebre pittore spagnolo, durante una briosa conversazione svelò distrattamente un bizzarro particolare in merito al suo dipinto “La persistenza della memoria”. L’idea dell’opera in questione, con protagonisti iconici orologi deformi su un paesaggio deserto, sembra essere nata dopo aver osservato per lungo tempo alcuni pezzi di formaggio Camembert sciogliersi al sole, e che inizialmente, per la noia, l’artista avesse cominciato a disegnare proprio quelle gustose fette filanti.
La carriera di Kim Ki-duk è profondamente stata segnata dalla lavorazione sul film “Dream”: l’attrice protagonista, Lee Na-yeong, ha rischiato di morire per soffocamento sul set. Questo ha portato l’autore a prendersi una lunga pausa di tre anni dal cinema e riflettere sia sulla sua vita che sulla sua visione artistica.
CURIOSITÀ Nel Parco Archeologico di Baia (in provincia di Napoli), c’è un albero che cresce al contrario. L’albero a testa in giù è un fico selvatico, che ha le sue radici nella volta di un locale termale accanto al Tempio di Mercurio. Si tratta di pianta spontanea resistente alle asperità del suolo ed alla siccità, capace di crescere persino tra le pietre che compongono il soffitto grazie alle sue radici forti e profonde.
OGNI
PAROLA
VOCABOLARIO CHE SIAMO
HA
UNA
NOSTRO
STORIA
DIETRO
DEFINIRE
"MERAVIGLIOSA"
SAREBBE
RIDUTTIVO.
I
CUSTODI
INESTIMABILE, NON
DEL
TEMERE
DI
DI
NON
UN
PATRIMONIO
SCIUPIAMOLO:
FARLO
SPLENDERE
GRAZIE PER LA LETTURA