N.14
"KRONOS" - PASSATO -
PRIMO LEVI
“TUTTI COLORO CHE DIMENTICANO IL LORO PASSATO, SONO CONDANNATI A RIVIVERLO.” Fiat Lux – rivista letteraria ©Tutti i diritti riservati. Instagram: @fiatlux_rivistaletteraria Facebook: FiatLux_RivistaLetteraria Telegram: TEcum - IL SALOTTO
E C I D N I
15 19 27 35 42 45
Introduzione al numero: a cura del fondatore e caporedattore Pasquale Bruno P R O S A
A cura di: Sara Paolella Pasquale Bruno
7 10
P O E S I A
A cura di: Tania Ferrara Emmanuele Zottoli Alessia Pierno
C R I T I C A
L E T T E R A R I A
A cura di: Matteo Balsamo Laura Colosi
C R I T I C A
20 23
C I N E M A T O G R A F I C A
A cura di: Sara Picariello Alessandra De Varti
C R I T I C A
16 17 18
28 31
D ' A R T E
A cura di: Eliana Pardo Cristina Colace
36 39
F O T O G R A F I A
A cura di: Carmine Faella Gabriele Maurizio
T E C U M
43 44
CONTENUTI
I E D
4 6
E D I T O R I A L E
editoriale fiat lux
Siamo figli dei tempi che viviamo, ed ultimamente stiamo vivendo dei tempi molto, molto difficili. Il tempo (e questa è una verità accettata dalla comunità scientifica da poco più di un secolo) in realtà è solo apparente, essendo completamente assente dalla realtà fondamentale, ma l’uomo non lo sa (a dirla tutta non l’ha mai saputo) e lo misura lo stesso. La nostra vita è scandita in modo incessante dalle lancette di un orologio, e sarebbe onestamente molto difficile immaginare una realtà dove il nostro familiare ticchettio venga meno; noi ambiamo un ritorno ad un passato che da lontano ci appare ricoperto d’oro, sorvoliamo su un presente che reca una costante insoddisfazione e tendiamo ad un futuro che di certo non ha nulla se non l’incertezza stessa. Data, ovviamente, la vastità della materia, la Redazione in questi mesi si lancerà in un progetto di più ampio respiro rispetto ai precedenti numeri, creando una vera e propria trilogia sul tempo, il cui primo tassello è questa uscita: "Kronos". Per i Greci Kronos (il Titano padre di Zeus, Poseidone e Ade) armato di falce è l’incarnazione divina del tempo visto nella sua continuità, come un fiume in piena, che ingloba e conserva in sé i flutti delle epoche che sono state, che sono e saranno.
Kronos, per i romani Saturno, era il sovrano della cosiddetta età dell’oro, un periodo mitico ed antichissimo dove la terra dava frutti senza il sudore dell’uomo e la morte non esisteva (bello eh? Peccato che i nostri avi non se la passassero così bene), simbolo di una natura insita nell’uomo di lodare e guardare sempre con nostalgia l’ombra di un passato antico e sempre idealizzato, una forma mentis stigmatizzata nel detto popolare “Si stava meglio quando si stava peggio”; ma il Titano è anche la personificazione di un passato selvaggio e ferino che con forza inarrestabile divora ogni cosa che incontra (pensateci: non fate in tempo nemmeno a leggere queste parole che ho scritto che le lettere precedenti già appartengono al passato) il tutto esemplificato dalla figura mitica di Kronos che divora i figli. (Tutto questo verrà raccontato tramite degli "episodi" quindi per sapere come continua, vi toccherà aspettare il prossimo numero eh eh eh) Come potete vedere il passato è molto di più di un semplice ricordo nostalgico, e ci sono molte altre interpretazione che non vi anticiperò, affidandovi alle penne ed alle tastiere dei miei redattori, ma (e c’è un ma) approfitto del momento per avvisarvi una bellissima novità: Tecum, il nostro gruppo Telegram formato da voi lettori (a cui vi invitiamo ad inscrivervi se non lo avete già fatto) ha creato la sua rubrica personale dove verranno raccolte tutte le vostre opinioni, i vostri pensieri e le vostre sensazioni, alla ricerca di quel dibattito costruttivo e di quel fermento culturale che tanto dovrebbe animare le nostre università e che invece manca. Il futuro è nostro, è giusto che anche noi abbiamo voce in capitolo. Che dire più se non augurarvi una buona lettura? Abbiate il coraggio di splendere!
Pasquale Bruno FONDATORE E CAPOREDATTORE
PROSA A CURA DI
Sara Paolella Pasquale Bruno
Prosa
Confessione di Sara Paolella
7
Prosa
Il passato è un fardello doloroso. Un libro ingombrante che ho sempre preferito non aprire, di quelli che lasci a prendere la polvere, che prometti di leggere prima e poi, ma puntualmente non lo fai mai. Arriva poi il giorno in cui fai ordine nella tua libreria e quel libro è lì, che ti fissa, costringendoti ad aprirlo e a confrontarti con il suo contenuto.
Per tutta la vita non ho mai parlato di quello che mi è
successo. Gli anni sono passati, ma il ricordo di quel momento non è mai andato via. Qualsiasi cosa facessi, era sempre lì. Ogni volta che aprivo bocca stavo attenta, misuravo le parole, i gesti. Mi sentivo sempre come se stessi per svelare quel segreto che avevo imparato a custodire con cura, come se potesse scivolarmi tra le mani e uscire allo scoperto. Avevo deciso che sarebbe morto con me. Era stata una decisione istintiva. Nel momento in cui quella sera ero tornata a casa e mi ero infilata sotto le lenzuola, avevo deciso che non ne avrei parlato con nessuno. Fu più facile del previsto. Ignorare e nascondere i problemi era sempre stata una mia capacità innata, ero stata educata alla sopportazione del dolore.
Mi sbucciavo un ginocchio da bambina? Non versavo una lacrima. Litigavo con un amico? Silenzio. Perdevo un parente? Impassibile. Per tutta la vita i miei conoscenti hanno provato a capire come mi sentissi, ma non ci sono mai riusciti. Ero impenetrabile. Dopo tutto il tempo passato ad ignorare le mie emozioni, non sono stata più in grado di capirmi nemmeno io.
In aggiunta a questa mia
peculiarità, ho sempre avuto una perversa visione della vita per la quale qualsiasi cosa negativa mi accadesse, era meritata. Forse accettare passivamente il male che mi capitava era il modo che avevo di chiedere scusa al mondo per essere nata, per il mio occupare spazio, per star consumando l’ossigeno di qualcuno che sicuramente lo meritava più di me. Credo che sia per questo che io abbia deciso di tacere. Oppure, ho deliberatamente scelto la strada del silenzio, la via dei vigliacchi, perché è la più facile da percorrere. Durante tutto il tragitto ho trascinato un peso al quale ho provato a non fare caso, ma il passato pendeva come una scure sulla mia testa. Potevo sentire la lama sulla mia pelle, ma avrei preferito morire piuttosto che farne parola con qualcuno.
Avevo quindici anni quando sono stata stuprata. Avevo quindici anni quando ho deciso che non avrei parlato con nessuno. Infondo non avrei saputo cosa dire. Ora che ho confessato, il problema si ripresenta. Che dovrei dire? Non lo so.
È stato doloroso? Meno di quello che credevo. Fu veloce. Sei colpi e niente più. Forse gli bastò poco per essere soddisfatto, oppure il mio stare zitta lo infastidì. Ricordo che non dissi una parola. Era come se non fossi nemmeno lì. Non gli chiesi nemmeno di fermarsi, non credo sarebbe servito. Ero una ragazza esile, non avrei potuto concludere molto contro un uomo della sua stazza. Lasciai che finisse e che andasse via.
Mi ha rovinato la vita? È stato un accadimento che ho preso e messo da parte, come uno di quei regali brutti che ti porgono a Natale. Lo prendi e lo metti in un angolo, magari lo nascondi nell’armadio, finché non ti dimentichi della sua esistenza. O almeno ci provi. A volte però sei costretto ad aprirlo l’armadio, a farci ordine. Lui è lì che ti guarda. Che aspetta, ansioso, di uscire allo scoperto. Tu sei lì che lo guardi. Non uscirai fuori nemmeno oggi, non è il tuo momento. Chiudi l’anta e ritorni alle tue faccende.
8
9
Prosa
Odio l’uomo che mi ha fatto questo? Non credo di esserne capace. Non mi turba più di tanto aver perso la verginità così. Per me non è mai stato così importante. Forse questo è uno dei motivi per i quali non ne ho mai parlato. Non sono stata così male come avrei dovuto, come il mondo si sarebbe aspettato da una ragazza di quindici anni. Probabilmente avrei dovuto soffrire di più per quello che mi è capitato, avrei dovuto avere paura degli uomini, rabbrividire ad ogni contatto con uno sconosciuto, chiudermi in casa per un po’, urlare, piangere, gridare. Invece non ho fatto niente. Tornata a casa quella sera mi misi a letto dopo essermi fatta la doccia, come facevo tutti gli altri giorni. Mi addormentai, come facevo tutte le altre notti. Ad oggi mi rendo conto che quell’avvenimento non ha influito sulla mia vita. Forse è questo quello che mi fa più paura, il mio essere riuscita a comportarmi come se non fosse successo nulla. Mantenere l’ordine nella mia routine era una priorità, non potevo permettermi di svelare quell’incidente di percorso. Non perché credessi che la colpa fosse mia, non sono mai stata così ingenua da considerarmi responsabile di quanto accaduto quella sera. Credo che non avessi voglia di sfidare ulteriormente il destino. Mi sono sempre ritenuta fortunata per la piega che avevano preso le cose: dopotutto ero ancora viva. Storie come quelle si leggevano costantemente. Diventare una delle tante era il mio ultimo desiderio. Il silenzio, invece, mi aveva protetta, mi aveva aiutata a lasciare quella notte nel passato, e ad ignorarla giorno dopo giorno. Con il tempo anche il suo nome era tornato ad essere solo un nome, e non più lui.
Ieri però ho visto la sua foto su un giornale.
“Arrestato stupratore seriale” Eccolo. È questo il momento in cui sei costretto a prendere quel libro che ignori da tempo, a soffiare via la polvere dalla copertina e ad aprirlo. Sei obbligato a leggere le pagine, a fare i conti con
un
passato
che
speravi
si
eliminasse
da
solo.
Avevi
creduto
stupidamente
che
tacere,
nascondere, equivalesse a cancellare. Ma tutte le nostre azioni hanno un peso. Tutte le nostre scelte portano a conseguenze che non siamo in grado di prevedere. Le conseguenze delle mie azioni erano in prima pagina. Questa confessione è il mio tentativo di fare pace con il passato. Non è il mio modo di chiedere scusa, ma di aiutare la giustizia a fare il suo corso. Non che serva a molto. Sapere che è in prigione non allevierà il dolore di chi sta soffrendo e di certo non gli farà capire di aver sbagliato. Le persone decidono deliberatamente di sbagliare. Si sceglie di fare del male, così come io avevo scelto di non parlare. Dopotutto non eravamo così diversi.
È questo il confronto che ho sempre temuto. Non ho mai voluto affrontare il problema, l’ho lasciato in quella libreria nella speranza di non trovarlo più. Eppure, più di 20 anni dopo, era ancora lì. Divertente
come
funzioni
il
passato:
non
esiste,
ma
lascia
tracce
permanenti.
Scrive
pagine
scomode a volte, ma non si possono saltare: la storia senza di essere non avrebbe senso. Ora che ho letto le pagine che ho evitato tutta la vita, è tempo di prendere il libro e metterlo al suo posto. La libreria è in ordine. Nessun libro è impolverato. Ormai conosco a memoria ogni capitolo.
ת Il Taw di Pasquale Bruno
Prosa
11
Prosa
ת
La Taw gli disse: “Signore dei mondi ti piaccia servirti di me per fare la creazione del mondo poiché io sono la lettera finale della parola Emet (verità) che tu porti incisa sul tuo sigillo”. Dio rispose: “Tu ne sei degna ma non è opportuno che io mi serva di te, per fare l creazione del mondo, perché tu sei destinata ad essere scolpita sulla fronte degli uomini che hanno osservato la legge dell’Aleph fino al Taw e a essere così unita alla morte, anch perché tu formi la lettera finale della parola: Maveat (Morte)”. La lettera Taw uscì immediatamente. Sefer ha-Zohar
Cap.1 Il
paziente
della
camera
22,
il
signor
T..….*,
affetto
da
disturbi
ossessivi
compulsivi,
schizofrenia e amnesia dissociativa, è stato trovato deceduto nella sua stanza. Causa del decesso: apoplessia. Ogni intervento da parte dello staff medico di turno è stato inutile. P.S. Qui di seguito è allegato il documento rinvenuto sulla sua persona, probabilmente scritto un paio d’ore prima del decesso, redatto utilizzando i fogli di un rotolo di carta igienica
(unico
dall’armadietto
supporto del
di
custode
fortuna e
una
a
penna
sua bic,
disposizione) ritrovatagli
probabilmente in
mano,
anche
rubata quella
probabilmente estorta ad un infermiere.
01/03/* “Tu che mi stai leggendo, ascoltami bene: so perfettamente chi sei. Approfitterò in queste righe dei pochi sprazzi di lucidità che mi rimangono per rivelarti ciò che ho scoperto e per poter provare ad evitarti ciò che per causa mia io stesso non sono riuscito ad evitare. Sono perfettamente consapevole che ciò che mi appresto a fare sarà completamente inutile e che tu, quel giorno, Lo vedrai; lo so perché quando lo farai, io sono stato lì ad osservarti; Tuttavia, non posso andarmene sapendo di non aver fatto nulla per provare ad impedirlo. Questo che sto per raccontarti è ormai l’unico ricordo che possiedo, l’unica Verità stabile che mi è stata concessa grazie alla quale sono ancora in vita; Scrivendo questo mi rendo conto di firmare l’atto del mio suicidio, ma non posso fare altrimenti, tu devi sapere, e per questo sono disposto a rinunciare all’unica cosa vera che ogni uomo possiede, l’unica cosa certa: gli avvenimenti che sono incontrovertibilmente accaduti, in poche parole, il mio passato.
12
Prosa (Chiedo scusa per questo breve preambolo, ma è fondamentale per comprendere le vicende che seguiranno)
Era
una
notte
di
fine
gennaio,
l’aria
era
fredda
e
pungente,
il
giorno
successivo,
secondo le previsioni, avrebbe portato neve ed io ero appena sceso all’aeroporto di Capodichino, con il gelo nelle mani e nel cuore: mio zio stava morendo ed il figlio aveva chiesto di me, il nipote che aveva lasciato il suo paese, la sua infanzia ed il suo passato, per cercare di costruirsi un futuro altrove, per venire a dare al moribondo un ultimo saluto prima della traversata.
Chiamai un taxi e mi feci portare alla casa di famiglia.
Appena arrivato non feci in tempo a tirare fuori la valigia dal cofano dell’auto che mio cugino si precipitò fuori per darmi una mano ed incitarmi ad entrare il prima possibile. “Sta avendo un altro dei suoi attacchi, il dottore dice che potrebbe essere l’ultimo, sbrigati!” mi disse, quasi sottovoce, come se avesse paura che pronunciando quelle parole ad un volume più alto, si sarebbero potute realizzare. Pagai velocemente il tassista, lasciandogli il resto come mancia per evitare di perdere altro tempo nella conta del resto e corremmo velocemente in casa: ci accolse un silenzio quasi irreale… Mio cugino, sbiancato completamente in volto, tese l’ salì ferocemente le scale per andare al piano di sopra, la stanza da letto dello zio (io nel frattempo, posata la valigia a terra, lo seguì senza nemmeno togliermi il cappotto) dove un campanello di donne, tra cui
la
moglie,
piangevano
in
silenzio,
gli
uomini
invece
erano
nel
salotto
accanto,
sguardo cupo ed occhi bassi. Appena entrammo mia zia si voltò verso di noi, gli occhi arrossati dal pianto: “prima di morire ha chiamato il suo nome” sospirò con un filo di voce "sorrideva"; Era morto zio. Ischemia cerebrale.
Fu solo dopo che la salma venne deposta nel cimitero del paese che mio cugino, (che da
ora
in
poi
chiamerò
Tommaso)
riavutosi
dallo
shock,
mi
raccontò
cosa
fosse
successo: “È iniziato tutto da quando Lucia, un paio di anni fa, ci lasciò” Tommaso si asciugò con la manica gli occhi pieni di lacrime “e potrai facilmente intuire che per noi perdere una figlia, una sorella, non è stato facile” Io annuii in silenzio, e ricordavo perfettamente, come se fosse incisa nel mio cervello, la telefonata che ricevetti sette anni fa che mi avvisò della sua morte. La notte piango ancora.
13
Prosa
“Se già per noi fu terribile, per mio padre lo fu di più; passava le sere a sfogliare i vecchi album di foto, ed iniziò a riempire la casa di quadri della piccola Lucia, fino addirittura ad esigere che la sua cameretta non venisse più toccata, e che il letto dove è spirata non venisse rifatto. Io e mamma, che ovviamente eravamo sconvolti quanto lui, lo lasciammo fare, perché anche per noi queste erano occasioni di conforto, modi per sentirla ancora vicino a noi. Ma con il tempo se noi riuscimmo, in un modo o nell’altro a convivere con i nostri fantasmi, per tuo zio non fu così, ed iniziò a sperimentare un attaccamento sempre più morboso al ricordo che conservava di mia sorella fino a cadere completamente nel bozzolo che si era scavato in casa, preferendo vivere abbarbicato al passato piuttosto che ritornare al mondo esterno e rendere giustizia della vita di cui la figlia non aveva potuto godere. Non
avevamo
alcuna
idea
su
cosa
fare
per
poterlo
risollevare,
fino
a
quando
lo
vedemmo tornare a casa verso sera, con una pila di libri sottobraccio e gli occhi scintillanti, pieni di gioia: aveva passato tutto il giorno nella biblioteca provinciale. Iniziò a studiare ed a leggere, rintanandosi vicino la sua scrivania (noi eravamo convinti che come ultimo rifugio si era gettato tra i libri, ed in fondo, se questo aiutava a farlo stare meglio, per noi andava bene così) uscendo soltanto per mangiare, e passare qualche ora con noi, la sera. I mesi passavano e lo vedevamo sempre più sereno, sempre più tranquillo, come se il peso dei ricordi si fosse sciolto al sole fino a quando…” e qui Tommaso esitò, incerto se continuare o meno.
“Fino a quando?” incalzai io. “Fino a quando, due settimane fa, mentre io ero in casa a cambiare le pile dell’orologio della cucina e lui si trovava in giardino, da solo, a ricopiare alcuni passi di un libro particolarmente voluminoso e rovinato, sentii un grido strozzato unito ad un forte tonfo. Non appena lo udii mi slanciai fuori e lo vidi, disteso supino e tremante lontano una quindicina di metri dal tavolino, mentre fissava il cielo con gli occhi sbarrati, e dal naso colava sangue scuro e denso. Lo prendemmo e lo portammo dentro, il medico non sapeva cosa dirci: aveva perso completamente la memoria e farfugliava cose insensate, frammezzate dal nome di Lucia…” “E non avete ancora la minima idea di cosa sia successo?” “A dirla tutta io ce l’ho, ma non lo sa nessuno…” “In che senso?” “Nel senso che non so se dirtela o meno” Si guardava in torno, incerto. “Tommà, cosa è successo?” “Praticamente” disse arrossendo “in quei giorni in cui era bloccato a letto ho provato a dare una occhiata ai libri che stava leggendo, e…”
Prosa “E…?”
Aleph”
“E praticamente parlavano tutti dell’ “…”
“L’Aleph sarebbe, in parole povere” continuò Tommaso “una sorta di falla, chiamiamola così, nel tessuto dimensionale (Suona un po' strana ma non dimenticare che papà era un fisico), una sorta di punto, una sfera, attraverso la quale si riesce a guardare nell’unico luogo dove si trovano, senza confondersi tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli. Nel mondo ci sono vari Aleph: ci sono quelli delle leggende (come lo specchio che trovò Tarik Benzeyad nelle Mille e una notta, o la lancia speculare di Juppiter nel Satyricon di Capella oppure il cristallo in cui si rifletteva l'intero universo di Alessandro Bicorne di Macedonia) e ci quelli
reali,
come l'Aleph della Moschea di Amr al Cairo, racchiuso
nella colonna, o quello che si trovava in una cantina di un edificio, che ora non ricordo, in via Garay e sul quale un Argentino ci scrisse sopra un racconto, o una raccolta di racconti, almeno credo (anche se lui stesso afferma che poteva trattarsi di un falso Aleph)” “Quindi zio cercava questo…come si dice…Aleph?” “No, non cercava l’Aleph. Questo punto nello spazio permette di vedere in un solo colpo d’occhio tutti i
LUOGHI della
terra, ma papà non mirava a quello, lui cercava qualcosa
di diverso, di più raro, che gli permettesse di vedere tutto il
TEMPO
della terra, la
controparte perfetta dell’Aleph. Lui desiderava sfruttare questa sorta di fenditura nel condotto spaziotemporale per poter inseguire il suo desiderio più grande, un desiderio che lo ha stroncato: rivedere la sua bambina, mia sorella, un’ultima volta, per poterle dire addio (non lo so con certezza, ma almeno è questo quello che io credo…) L’ho capito andando a sfogliare proprio quell’ultimo libro che prese in mano prima di cadere inerme sul prato: aveva bisogno di quell’istante in cui si trova, senza confondersi, tutto il tempo della terra, visto attimo dopo attimo, condensando passato presente e futuro in un solo colpo d’occhio. Come diceva il libro, lui non cercava il Multum in Parvo, ma l’Infinitum in Parvo.” “E quindi se non cercava l’Aleph, cosa cercava?”
“Il Taw.” *L’inchiostro in questo punto sembra essersi cancellato **a causa di uno strappo nella carta non è possibile leggere il nome al di fuori dell’iniziale
14
Poesia A CURA DI:
TANIA FERRARA EMMANUELE ZOTTOLI ALESSIA PIERNO
IN CAMMINO Lontano è il passato per il peregrino... Il nembo del mio male acuisce ad ogni alito, il tacido dito indica le mute mie parole. Basta un muovere di ciglia e sono lì, nei campi innocenti e fulgenti dei miei piccoli anni. Trascolora l'illusione bisbetica, è solo una fantasticheria, il passato. Il peregrino riprende il bordone e la ventura e proseguì il suo cammino...
Tania Ferrara
Ci hai creato per perdere poco a poco tutte le cose. Forse questo vuol dire farle nuove, smarrirle dopo averle assaggiate. E' giĂ da tempo che ti chiedo a cosa sono servite le strade vissute, e tu mi rispondi a timidi sorrisi, leggeri errori nei circoli che sono a un soffio da essere allucinazioni, vaghe costruzioni che durano il tempo di un tramonto. Cerco sulle passate orme etichette, bigliettini, didascalie che facciano quadrare i sensi, quei lunghi conti prima dell'ora del pagare. Pure tu perdesti attimi e ancora oggi te li raccogliamo senza darteli, eppure non perdi niente. E' inconsistente il mio volgermi dietro, sono sospeso come i bimbi al parco, persa la madre. Non rimane che smarrirmi anch'io e lasciare a te solo l'onere di venirmi a ritrovare. EMMANUELE ZOTTOLI
STEPHEN DEDALUS
Svelate dal faro ramingo sul mare appaiono chiare le ombre del porto: guardingo il pensiero di vederti tornare, non mi accorsi che in cuore ti avevo sepolto. Sarai morto due volte alla fine del tempo, ti sia lieve il vento che, solo, mi ha cullato trai trapassi delle onde e le trame della notte, il groviglio sarĂ un ponte e il mio nome il fiato. Lo disse a me, come uno dei tanti, che un artista tra gli altri, qui, non ha di che fare. Se fosse importante, sapreste il suo nome, un sogno di infrange sulle coste di Moher.
ALESSIA PIERNO
C R I T I C A
A
L E T T E R A R I A
C U R A
D I :
Matteo Balsamo Laura Colosi
CON IL CUORE DEI GIGANTI Il titolo di questa rubrica è ispirato alla celebre citazione di Bernard de Chartes: “…come nani sulle spalle dei giganti” Il nostro sarà un tentativo di salire sulle spalle dei colossi del passato e da spiriti di bassa statura con il loro aiuto guardare al presente e al futuro con occhio critico e curioso. In questo spazio, verranno trattati un autore e un’opera letteraria in linea con il tema mensile della rivista. Non verranno date solo note tecniche o mere nozioni sullo stile ma fornirà un ponte di lancio al nostro pensiero per poi addentrarsi nelle profondità: tentare di interpretali ed offrire poi uno spunto di riflessione.
20
Critica
RICORDI DI MATTEO BALSAMO I
ricordi
pulsano
nella
mente di chi ha vissuto,
gli
e
impegni
si
aprono
all’immaginazione cuore.
Non
pensare
del
si
di
senza
può
ricordare
aver
vissuto,
lasciavano di
soprattutto dalle
oberato
numerose
di
guerra
contro
una
(Marcomanni,
i
“I
viaggi
di inserirsi nei territori di
Soares,
dei
uno
suoi
svariati eteronimi. Come dunque Si
un
aggrappa
alle spalle del presente, solo
dopo
conosciuto
averlo
di
qui
Senza il
persona.
ora
ed
la
nostra vita apatica, vuota.
grande del
passato
nella
più
risiede
del
nel
presente,
meditazione
l’uomo che
Il
insegnamento
valore
può
è
fare
stato
immaginare
che
su e
ciò nell’
ciò
che
dell’attimo
vissuto
ancora
che
svanirà,
ma
a
da
breve
che,
appieno,
se
potrà
rimanere nella nostra memoria. Marco Aurelio Antonino
Il
diario
non
è
sistematicamente definito,
ma
presenta
pensieri
sparsi,
annotazioni, riflessioni
personali
giudizi
mondo
sul
politica dei
e
del
e
della
costume
romani.
(121-180
imperatore
d.C.),
romano,
scrisse i suoi “Ricordi”
restituisce
Il
tono,
l’idea
di
un’introspezione autentica
e
profonda.
Protagonista
dello
stoicismo
e
seguace
della filosofia di Eraclito, Marco che
il
Aurelio mondo
perpetuo
potrà essere; nel dono
vivere
Roma.
semplice e intimo,
sarebbe fredda,
Quadi),
Pessoa Bernardo
ricordo?
germaniche
allettate dalla possibilità
attraverso
forma
le
viaggiatori”,
diceva
si
e
frequenti campagne
popolazioni
finzione.
gli
governo,
altrimenti sarebbe tutta
sono
Allora d’unica cosa avrai cura particolare: vivere il tempo che veramente vivi, il tempo presente cioè. E ti sarà possibile trascorrere sino al momento della morte la vita che ti rimane, tranquillamente e in pace col demone tuo. (Marco Aurelio)
nei ritagli di tempo che
fluire
credeva fosse di
un
tutte
le cose; che le brame di potere, gloria e fama fossero “zuffe di cani attorno a un osso”. Un umanista e filosofo a capo quale obiettivo
dell’Impero, aveva
il
come
primario
la
felicità e la stabilità del
21
Critica
proprio popolo (come
I pitagorici consigliavano di volgere lo sguardo sul far del giorno verso il cielo, affinché la nostra mente avesse vivo il ricordo di cose che perennemente compiono la loro missione, senza mutamento e sempre in un modo; vivo il ricordo, quindi, dell’ordine, della purezza e d’una schietta nudità. In effetti non c’è velo di nessun genere per gli astri. (Marco Aurelio)
scrisse
lo
storico
Edward Gibbon). Il
passato
è
esistito,
dunque, ed ha la sua importanza misura vivo
in
nella cui
e
rende
unico
il
presente. Le veloci
annotazioni
dell’imperatore filosofo tempo,
fermano
il
bloccano
la
clessidra,
per
conoscere una verità che esiste al di là del tempo: la vita dell’uomo.
Il
presente
offuscato uomini:
può
dalla
ed
però
essere
brutalità
ecco
che
il
degli
ricordo
diventa monito, insegnamento a non lasciar commettere di nuovo gli
stessi
vivere alla
fatali
senza
errori.
ricordi
spendibilità
che
si
sta
presente
vivendo,
storia
il
può
affidarsi
del
dimenticherebbe della
e
Si
ma
si
compito
secondo
Livio:
magistra. Come in “Se questo è un uomo” di Primo Levi, dove il passato ha un valore tragico e
educativo
Il
passato
incommensurabile. a
volte
può
condizionare incontrovertibilmente il presente e quindi la qualità stessa della vita. In un mondo che dimentica troppo spesso le cose trascorse per
tentare
freneticamente
di
raggiungere il futuro, correndo a perdifiato,
alcune
volte
soffermarsi a riflettere sul proprio
presente
condurre
a
delicatamente remoti.
Solo
potrebbe scoprire
i
tempi
disvelando
più chi
siamo stati possiamo tentare di capire chi siamo davvero.
L'album di famiglia
i s o l o C a r u La
Critica
Mi piace pensare il passato come un grande album di famiglia ricolmo di foto, che maneggi (a cadenza alterna, benintesi) con religiosa cura, ossia sbattendolo con foga sopra un tavolo cosicché le foto tremino
a
tal
punto
da
talvolta
fuoriuscirne.
Al
momento
dell’apertura
lo
stupore
è
d’obbligo,
straordinario come ogni singola pagina sfogliata corrisponda a un ricordo affiorato alla memoria in quel preciso istante. Il libro della memoria è dinanzi i tuoi occhi.
Detto questo, ho dunque deciso di dar via alle danze del passato partendo da un’opera che trattasse di un album fotografico e mi è stata suggerita, dalla meravigliosa Greta, una poesia che si intitola proprio Album appartenente alla raccolta
Uno spasso
Wisława Szymborska,
di
poetessa polacca che nel
1996 ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. Più che una coincidenza ho subito inteso la cosa come un evidente segno di comunanza di idee per un tema che di continuo nella storia della letteratura viene trattato. In
questa
poesia,
contraddistingue, alternata,
la
con
l’elegante
tra
una
Szymborska
semplicità
rima
ci
baciata
racconta
la
che ed
storia
la
una di
un
album di famiglia di gente tutt’altro che eroica, infatti
«nulla
»
di quel passato potrebbe farsi mito , come si
«nessuno
legge al secondo verso, e per
»
amore ,
come
si
tiene
a
in famiglia è morto
precisare
al
primo.
Il
passato che la fotografia dell’album documenta non è né
auratico,
né
mitico,
non
ci
sono
duelli
all’ultimo
sangue, struggenti storie di amori ostacolati, donne che si
percuotono
tormenta,
i
petti
insomma,
per
la
follia
parliamo
di
amorosa
che
banalissime
le
morti
causate dall’influenza. Storie
di
gente
comune,
che
però
diversamente
da
quelle di gente “mitica”, sono state testimoniate dalla fotografia
divenendo
così
parte
di
un
passato
condiviso. Tutto ciò fa riflettere, storie che non vale neanche la pena raccontare attraverso la fotografia trovano il modo per essere tramandate mentre delle storie
mitiche
mitiche.
nulla
Capiamo
è
allora
certo, che
proprio
perché
protagonista
di
sono
questa
poesia è la differenza sostanziale tra il passato e il mito. Due versi pregnanti di significato e che ammiccando al lettore ci suggeriscono che questa ipotesi sia corretta sono i seguenti:
«prima della fotografia, forse qualcuno
[visse quelle straordinarie storie d’amore], ma di quelli
»
dell’album, a quanto ne so, nessuno .
«prima della fotografia» e «forse». «Prima della fotografia» Concentriamoci su queste parole,
La Szymborska parla del passato in una chiave non auratica anche in un’altra poesia intitolata il 16 maggio
Una delle prerogative del mezzo fotografico è
«una delle tante date che non mi dicono più nulla» in quanto «dove sono andata e cosa ho fatto non lo so». La giornata, passata
infatti il suo valore di certificazione e il mito
senza
per
emblema di un passato qualunque e per questo non
non
era
facile
documentare
il
passato
e
spesso questo finiva così per cadere nel mito.
essere
tale
non
può
essere
certificato,
“esiste” ma in una accezione diversa, narrabile ma non documentabile. Quel
«forse»
ancor di
1973, che l’autrice afferma essere
che
l’autrice
memorabile, Eppure
«lo
nel
ci
facesse
significato
specchio
caso,
più
rifletteva
diventa
proprio la
mia
del
quindi
termine.
»
immagine ,
ci
più ci fa mettere in dubbio il mito, che si siano
rivela. Ritorna il tema della documentazione, così come
realmente verificate quelle audaci storie? Non
la
possiamo
certificazione del reale, e non a caso Wendell Holmes
saperlo,
nulla
lo
sicurezza, nemmeno una foto.
certifica
con
fotografia
definisce
la
»
memoria .
anche
lo
«uno
fotografia
Quel
specchio
giorno
è
è
un
mezzo
specchio
innegabile
di
dotato
di
ł
che
Wis awa
«colma
l’abbia trascorso, era viva in quel passato,
di
»
emozioni e impressioni , non era un fantasma, ci sono le
prove:
lo
specchio,
la
gente
lasciato
le
che
l’ha
proprie
vista,
l’aver
mangiato,
l’aver
impronte
sulle
maniglie…
tuttavia la donna non riesce a trovare tra i
rami della memoria nemmeno un intero secondo del 16 maggio
1973
che
figura
«come
dei
puntini
tra
»
parentesi . Cosa vuol dire tutto ciò? Cosa vuol dire non ricordarsi un giorno della propria vita? O forse sarebbe meglio
interrogarsi
su
cosa
voglia
dire
stupirsi
di
questo. È perfettamente normale non ricordarsi tutti i giorni
trascorsi
in
un
anno,
figuriamoci
in
una
vita
intera, questo vuol forse dire perdere di vista se stessi? Ogni quanto ci perdiamo di vista allora, a cadenza mensile o saltuariamente?
Vorrei focalizzarmi inoltre su questi versi:
«Forse
quel
giorno trovai una cosa andata perduta. Forse ne persi una
trovata
»
poi .
Il
perdere
e
il
ritrovare
sono
due
concetti strettamente legati al passato e che spesso ricorrono
insieme
nelle
poesie
della
Szymborska,
soprattutto in quelle che compongono la raccolta La fine e l’inizio da cui Il 16 maggio 1973 è tratta. Del resto stiamo
parlando
di
un
giorno
perduto
tra
i
meandri
della memoria. È possibile ritrovarlo? A quanto pare no.
Critica
Ma cos’è il tempo perduto? alla
ricerca,
della
Un giorno dimenticato, come lo fu il 16 maggio per la
Christian Boltanski.
poetessa Wis awa Szymborska, in che misura fa parte
Protagonista delle foto di Boltanski è infatti il tempo
del nostro passato? Cos’è il passato? Interrogativi a
che
cosiddetto
cui non è facile dare una risposta e che mi riportano
tempo perduto di cui la foto è strumento evocativo.
alla mente la storia clinica -e non solo- di un marinaio
Per
perduto che il neurologo
questi
altri un
hanno
celebre
Narrative Art degli anni ’70,
sta
in
mezzo,
che
seguito
il
Arrivati a questo punto sorge spontaneo chiedersi che incidenza abbia la memoria nei confronti del passato.
tra
molti
ne è andato suo
esempio,
e
Proust
25
fotografo
intercorre,
il
ł
un’opera del fotografo, un dittico composto da due
Oliver Sacks racconta ne L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello.
foto, una in cui nel 1946 un Boltanski bambino gioca
Jimmie, così si chiamava il marinaio perduto, arriva
con
alla clinica in cui Sacks lavora nel ’75, affetto dalla
essere
delle
raffigura
più
chiari,
costruzioni
quelle
stesse
facciamo
e
un’altra
costruzioni
un
esempio
del
1969
ritrovate
di
che a
23
sindrome
di
Korsakov
(malattia
consistente
nella
anni di distanza. Protagonista di questo dittico è il
degenerazione da alcolismo dei corpi mammillari) che
tempo
gli causa un’amnesia retrograda che si acuisce col
che
intercorre
tra
quelle
due
foto,
un
passato dunque non documentato quanto evocato.
passare degli anni a partire dal ’65, anno del congedo dalla marina militare e anno in cui aumenta l’abuso di alcol da parte di questi.
26
Critica
La memoria dell’uomo viene così intaccata, tutti
A proposito di album di famiglia… È arrivato il
gli eventi fino al 1945 circa vengono cancellati e
momento di chiudere il nostro, per quanto mi
tutto
riguarda
ciò
che
veniva
prima
o
dopo
destinato
all’oblio. Jimmie si trova in uno stato inizialmente confusionale, passato
e
privato
di
una
apparentemente
vivere il presente,
«egli
parte
del
proprio
dell’occasione
di
è, per così dire, isolato in
»
un singolo momento dell’esistenza , riporta Sacks nei suoi appunti. Sta di fatto che se inizialmente il neurologo si interroga su che valore abbia la vita di
un
uomo
«radicato
in
un
passato
lontano
»
arrivando addirittura a dubitare che sia stato deanimato dalla malattia e ora non possegga più un’anima, è costretto a ricredersi quando osserva
«la
profondità
dimostra musica
avere o
di a
assiste
Nonostante
tutto
assorbimento messa, a
uno
rimane
»
mentre
che
l’uomo
ascolta
spettacolo dunque
della
teatrale.
intatta
una
possibilità di reintegrazione attraverso l’arte, la comunione,
il
Come
l’arte
se
diventassero
contatto
una
e
con
la
sorta
di
lo
spirito
comunione passato
e
umano. religiosa presente
alternativi in cui ogni momento si riferisce ad altri momenti e li contiene, li condivide, funzionando un po’ alla maniera di un album di famiglia.
pagine
è
stato
assieme,
emozionante condividere
sfogliarne
questi
ricordi
le e
riflettere sul valore che il passato ha nelle nostre vite.
Vi
qualcosa,
saluto
sperando
immagino
di
avervi
interrogativi
lasciato più
che
risposte, e lo ripongo nel suo scaffale, proprio accanto al mio libro di mitologia che raccoglie tutti i miti più affascinanti della storia di questo mondo, magari uno di questi giorni gli daremo uno sguardo insieme.
⽊漏れ⽇
KOMOREBI
CRITICA CINEMATOGRAFICA
A CURA DI: SARA PICARIELLO ALESSANDRA DE VARTI
Komorebi è la parola giapponese usata per indicare la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi. Le parole giapponesi sono estremamente affascinanti, questo perché i kanji, ideogrammicondensatori di significato, sono utilizzati per esprimere concetti complessi che non potrebbero essere espressi con le parole del nostro alfabeto. In particolare l’aver creato una parola appositamente per rendere lo spettacolare effetto visivo della luce tra gli alberi, mi ha da sempre trasmesso qualcosa di poetico e di magico. Pronunciando una semplice parola siamo lì, tra quegli alberi attraverso cui il sole cerca di penetrare, rompendosi in fasci di luce. Un effetto visivo per me simile alla luce dei proiettori, che girando lo sguardo durante la proiezione di un film, vedo uscire dalle piccole finestre poste in alto nella sala, una somiglianza forse lontana ma dettata dalla stessa sensazione di quiete che mi trasmette il trovarmi tra la natura o in una scura sala di un cinema. Cosa sarà quindi Komorebi? Definirla una rubrica cinematografica forse è un po’azzardato, mi piacerebbe più definirla come la piccola finestra di una sala dalla quale proietterò un film, scelto da me, visto di recente, ma anche più datato, che consiglio di vedere (se non lo avete ancora fatto). Lo analizzerò, commenterò fornendo una chiave di lettura personale e delle curiosità a riguardo. Detto questo buona lettura!
LA SOGGETTIVITÀ DI UNA MEMORIA CONDIVISA DI
SARA
PICARIELLO
RICORDI? VALERIO
MIELI
(2019)
Quanti eventi si sono accumulati alle nostre spalle, cristallizzandosi in ricordi? Quanti attimi, sapori, odori, immagini, anche insignificanti ci ritornano alla mente in situazioni e tempi totalmente differenti? Come fa la nostra mente a scavare nei ricordi? E poi, sono tutti reali i ricordi? La nostra mente è riuscita davvero ad immagazzinare tutta la vita vissuta, dividerla perfettamente e sistemarla in tanti cassetti da aprire ogni volta che si vuole? La nostra memoria riesce davvero ad eludere ogni interferenza esterna che potrebbe scombussolare l’ordine in quei cassetti? Dopo dieci anni dal suo primo film, 2019 ponendosi questi interrogati
Dieci Inverni (2009), con il suo Ricordi?.
Valerio Mieli è tornato nelle sale cinematografiche nel In
un
lungo
doppio
flusso
di
coscienza
Mieli
riflette
sull’essenza stessa del ricordo, sulla sua relatività, esplorando le vicissitudini di due giovani innamorati. Non conosciamo i loro nomi, la loro semplicissima storia ha un valore universale: li vediamo scrutarsi, innamorarsi, conoscersi, entrare l’uno nel mondo dell’altra fino ad esserne completamente risucchiati, e lo facciamo solo attraverso i loro ricordi, attraverso quelle immagini, quei flash che incastrandosi reciprocamente formano la memoria di questa coppia. L’aspetto più interessante del film è proprio la scelta di ricostruire una relazione affidandosi interamente all’evocazione di ricordi. La loro storia si presenta a noi spettatori così come i due giovani la richiamano alla mente.
Non c’è un ordine cronologico, un ricordo chiama a se un altro ricordo: l’immobile silenzio della neve che scende, la morbidezza e il calore di una coperta, una canzone alla radio, sono tutti attimi che richiamano altri attimi passati e li fanno rivivere all’improvviso, dandogli quell’importanza che, forse, nell’immediatezza del presente che diviene subito passato, nessuno si era accorto avessero avuto. In alcune scene noi spettatori riviviamo lo stesso momento due volte, ricordato dall’uno e poi dall’altra, ma mai esattamente nello stesso modo, perché magari lui ha memorizzato un dettaglio o posto l’attenzione su un elemento diverso da lei, e soprattutto perché lui e lei sono profondamente differenti: diversa è l’emozione che hanno provato, diversi sono i loro vissuti, diversa è la loro personalità.
Lui (Luca Marinelli) è cupo, introverso, triste, ai limiti della depressione, è disilluso dalla vita, si rifugia nel passato, in
quei
“ricordi
che
rendono
belle
delle
cose
non
vere,
perché
altrimenti
la
vita
sarebbe
insostenibile”.
Lei (Linda Caridi) è allegra, solare, di una purezza disarmante, ai suoi occhi il mondo è bellissimo, vive di presente perché “non è il ricordo a rendere le cose belle, erano già belle, solo che non ce ne si rende conto”. Lei filtra ogni momento con spensieratezza ed è per questo che dice di non avere brutti ricordi. Il racconto, quindi, è quello di una memoria condivisa, ma vissuta comunque da due individualità differenti, lui è il buio, lei è la luce. Due individualità però complementari, che si incontrano, collidono, l’una entra nell’altra, quasi fondendosi e il loro condizionamento è tanto profondo da alterare i reciproci ricordi di infanzia. E quando, dopo anni, subentrano la noia e l’insoddisfazione che li separano, ormai l’una ha assorbito alcuni tratti dell’altro e viceversa: i ricordi cupi di lui hanno preso colore, lui ha imparato a vivere la leggerezza del presente, invece, i ricordi di lei si sono ingrigiti, lei ha imparato il valore della nostalgia e acquista profondità e concretezza. Forse i due si rincontreranno in un futuro, che è totalmente ignoto se non per la certezza che è la fine di ogni cosa.
30
Critica
La profonda riflessione di Mieli sul ricordo, guidata più dalle immagini che dalla trama, deve tutto alla splendida fotografia, curata da Daria D’Antonio, capace di rendere ogni minima sensazione, e al geniale montaggio di Desideria Rayner, che ha garantito alle scene non solo quel ritmo “liquido” ed evanescente, tipico del ricordo, ma anche l’ardito incastro dei momenti messi insieme come una catena circolare, in cui ogni anello è legato ad un altro.
Questa
originale
composizione
ha
reso
il
film
estremamente
ambizioso,
una
novità
nel
panorama
cinematografico italiano, nonostante la sceneggiatura, a tratti troppo celebrale che rischia di strozzare l’irruenza ma anche la purezza del rapporto tra i due innamorati. Niente più di una struttura così complessa, però, avrebbe potuto rendere un luogo strano come la memoria, un luogo misterioso perché legato a quell’intima soggettività a cui è tanto difficile accedere. Forse, dovremmo immaginare gli eventi vissuti come tante particelle separante, sospese in una sorta di iperuranio. Forse, l’atto stesso di ricordare e di ripescarle da qual limbo le altera: se da un lato consolida un determinato aspetto perché menzionato più volte, dall’altro tutti gli altri aspetti trascurati, invece, si assottigliano sempre più, fino a scomparire. La nostra mente, quindi, ottimizza i ricordi, limandoli dei dettagli che in quel momento non ci sembrano interessanti, li rende relativi. Lo stato d’animo con cui li abbiamo vissuti, le persone che ci sono state accanto, una forte emozione o un dolore lancinante possono modificarli. Sono di conseguenza anche condizionati dal potere che decidiamo di dargli: possiamo edulcorarli per rendere la realtà meno amara di come appare, o possiamo involontariamente inasprirli per rendere la nostra esistenza più dura. Ecco che potrebbe capitare di ricordare qualcosa che non è mai avvenuta o di ricordarla in modo distorto per il semplice fatto di averla sempre menzionata o richiamata alla mente in quel modo. È per questo che in una coppia ci potrebbero essere due versioni differenti della stessa vicenda. Valerio Mieli con il suo
Ricordi? ha rappresentato tutto questo attraverso una storia universale in cui tutti possono
riconoscersi, attraverso un lui e una lei, i cui ricordi rarefatti e dai toni onirici si sovrappongono, si fondono, mutano, scoloriscono, seguendo quel flusso interiore della soggettività che allo spettatore rimarrà precluso e inaccessibile.
- IL RICORDO MENTE, RENDE BELLE DELLE COSE CHE NON LO ERANO! - SECONDO ME NO! ALLA FINE LE COSE SONO BELLE PERCHÉ SAI CHE FINISCONO. - NO, LE COSE SONO MENO BELLE PERCHÉ CI ANGOSCIAMO CHE FINIRANNO!
Critica
THE ROYAL T H E R O Y A L TENENBAUMS
TENENBAUMS
DI ALESSANDRA DE VARTI
Sapete
cosa significa giocare sporco al
cinema? E’ quando fai un film che può essere scambiato per un encomio alla cultura americana del self-made man e ci
piazzi
Margot
Robbie,
nuda,
come
mamma l’ha fatta. Oppure, quando per vandalizzare romanzo
il
contenuto
americano
del
di
1850,
un
certo
ci
metti
Demi Moore con un seno appena rifatto e magari qualche scena di nudo di Gary Oldman ai tempi, a cui chi potrebbe dire di no? O ancora, infarcisci una saga di film
per
ragazzi
con
la
crème
de
la
crème degli attori britannici.
Roba da professionisti senza scrupoli.
Non ti aspetteresti che a giocare sporco fosse uno sulla trentina, alle spalle una laurea in filosofia, alle prese con il suo terzo film, che, più che realizzare un film, pare stia allestendo una kermesse di star Hollywoodiane. protagonista
Il
nome
sarebbe
di
un
bastato.
solo Potevi
annunciarlo come “il nuovo film di Gene Hackman” e avresti avuto sale piene e siti
streaming
in
bug
per
numero
di
accessi- se nel 2001 fossero esistiti. E invece Gene Hackman, Anjelica Huston, una Gwyneth Paltrow con una statuetta
31
32
Critica dorata Owen
ancora Wilson
lucida (ce
da
lo
“Shakespeare
avete
in
presente,
Love”,
no?
Luke
e
"L'analcolico
sente voce narrante, la vita dei Tenenbaum è cambiata radicalmente.
Royal
Tenenbaum,
padre
di
famiglia,
ex
biondo che fa impazzire il mondo"), Ben Stiller e Bill Murray.
avvocato di successo e adesso indebitato fino al collo,
Non è un cast, è un plotone d’assalto. Nel caso non sapeste
viene sfrattato dal lussuoso hotel in cui risiedeva da anni,
di
probabilmente
cosa
sto
parlando,
facciamo
un
passo
indietro:
vi
nella
speranza
di
essere
prima
o
poi
ricordate quando, nel 2014, la cerimonia degli Oscar fu
riaccolto in casa. Il genio dei tre piccoli Tenenbaum non
conquistata da un film color carta di zucchero, malva e
ha
rosa
e
sconfitta, Richie abbandona il tennis e scappa dal suo
ottantacinque si portava a casa ben 4 statuette? Quel film
fallimento girando il mondo a bordo di una nave; Margot
era
ha il blocco dello scrittore da sette anni ed è sposata con
antico,
Grand
Anderson.
mentre
un
Budapest Prima
pennellone
Hotel Grand
quel
un
metro
pennellone
tempo:
dopo
una
bruciante
a nasconderlo, così come nasconde a tutti buona parte
Fox, Anderson si era già accattivato il pubblico mondiale
della sua vita; Chas, dopo la tragica morte della moglie in
con
un incidente, è ossessionato dal timore che lui e i suoi due
accostati
fra
patinata.
“The
loro
come
Royal
colori sulla
caldi
e
deliziosamente
copertina
Tenenbaums”
di
figli possano cadere vittime di una simile fatalità. L’unico a cui sembra aver giovato il passare degli anni è Eli Cash, divenuto scrittore di successo, nonostante le sue mediocri
versione
capacità.
preannunciare
la
“Hey
separazione
Jude” dei
con
rivista voce
di
apre
una
narrante di Alec Baldwin, nel film in lingua originale, e una orchestrata
si
del
del
un neurologo per cui, se prova dell’affetto, è molto brava
dai
prima
Wes
all’urto
tenero
pellicola
Budapest,
era
resistito
Moonrise Kingdom e dei pupazzoni animati di Fantastic Mr.
un’altra
del
e
di
dei
coniugi
la
Beatles
a
Tenenbaum,
Il
che
e Margot, adottata.
saldamente
già
all’età
di
tredici
non
ha
mantenuto
le
aggrappato
al
promesse passato.
I
di
gloria,
resiste
Tenenbaum
sono
Etheline Tenenbaum, la madre, a sconvolgere gli equilibri
anni e Margot una drammaturga in erba, vincitrice di una
del gioco: accettando la proposta di matrimonio di un suo
prestigiosa
collega,
dimentichiamoci
migliore
amico
Oh,
non
la
situazione
di
immobilità
in
cui
tutti
i
entrare
Chas, seguito da Margot, che subito sente l’impulso di
quella
piccola
Richie
mina
quel momento. Il primo a far ritorno al nido materno è
di
di
e
aspirante Tenenbaum, alla continua ricerca di un modo per parte
Cash,
liceo.
membri della famiglia Tenenbaum si erano cullati fino a
far
Eli
primo
e
a
di
in
brillante
stato
vincitore di svariati campionati nazionali a soli diciassette
studio
un
è
stati in potenza senza mai diventare atto. Alla fine, è
di
Richie
Tenenbaum
tennista
borsa
anni,
dei
perennemente proiettato nel futuro, mentre il presente,
genitori di tre enfants prodiges: Chas, Richie, figli naturali, Chas è un imprenditore di successo
passato
aristocrazia
newyorkese. Vestiti già da adulti, chi in giacca e cravatta,
combattere per le attenzioni della madre, e infine Richie.
chi
e
Royal Tenenbaum, sentendo minacciato il suo status quo e
marcato eyeliner nero, i piccoli Tenenbaum sono in germe
alla ricerca di un posto dove stare, finge di avere un
le
cancro
in
tenuta
eccellenze
da
tennista
che
e
dovranno
chi
in
pelliccia
diventare.
Ma
di
visone
dopo
“due
decenni di fallimenti e disastri”, come annuncia l'onnipre-
allo
stomaco
e
si
fa
ospitare
nella
residenza
Tenenbaum. Qui si innescano le vecchie dinamiche pre-
33
Critica
sentate ad inizio film: Richie, essendo il preferito
del
padre,
è
quello
che
subisce maggiormente la sua influenza; Chas serba dei vecchi rancori per Royal a
causa
insieme
del e
poco
del
manipolatore; riservata dal
e
padre
famiglia. Margot
non
viene
è
da
distante
mai
membro
L’amore
passato
atteggiamento
Margot
un
già
tempo
suo
nato
e
considerata
effettivo fra
della
Richie
quand’erano
e
bambini
resta una sorta di non detto che aleggia nell’aria,
senza
mai
essere
dichiarato.
Royal si riconferma un personaggio
spregevole ed egoista, che parteggia solo per se stesso.
A
familiari
distanza non
di
sono
personaggi
anni,
non
cambiati,
sembra
solo
ma
i
rapporti
ognuno
voler
dei
rimanere
ossequiosamente attaccato all’immagine di sé che aveva costruito vent’anni prima. I personaggi sono legati ad un passato identitario che non li lascia liberi
di
sviluppare
fallimenti vero
e
dalle
tumore
che
una
nuova
sofferenze i
vita
di
a
partire
quella
Tenenbaum
dai
vecchia.
ospitano
in
Il
casa
sono i ricordi: il ricordo di ogni promessa infranta e
ogni
rancore,
di
ogni
torto
e
vendetta,
che
nessuno è disposto a perdonare o farsi perdonare, nella sicurezza di un sentiero battuto, per quanto conduca a un vicolo cieco. Anche la stessa regia di Anderson sembra focalizzata nell’immortalare i personaggi fissandoli
in
in
definisce,
delle
un
in
vere
ambiente
maniera
e
proprie
che
li
fotografie,
caratterizza
sostanzialmente
e
li
statica.
Chas, Richie e Margot indossano gli stessi abiti di quando erano bambini, anni prima considerati già da
adulti,
molletta
ora
coi
dall’aspetto
brillantini
rosa
infantile di
Margot)
(come e
la
con
un
gusto retrò anni 70, che sembra riportare indietro l’atmosfera
del
quando
ambientato.
è
ancorata Clash,
agli
degli
film
anni
di
70,
Stones,
quasi
trent’anni
Anche con
di
la
celebri
Nico,
rispetto
musica brani
dei
a
resta
dei
The
Ramones,
dei
Velvet Underground e di John Lennon. La selezione di Anderson è di una precisione maniacale: i testi delle
canzoni
delle
scene
sono
che
la
trascrizione
accompagnano.
dei E
significati
così
quando
Chas torna a casa si sente “Look at me” di John Lennon, in cui il cantautore è alla ricerca della
34
Critica
sua identità, così come Chas si chiede chi sia veramente, oltre a
un
ex
imprenditore.
Durante
il
celeberrimo
incontro
fra
Margot e Richie alla stazione suona “These Days” di Nico, di cui spiccano le parole “Please don’t confront me with my failures/ I had
not
forgotten
them”.
“Judy
is
a
punk”
dei
Ramones
accompagna il passato tumultuoso di Margot. E fin qui, il triste ritratto della famiglia ricca e nobile ma disfunzionale dovrebbe esservi chiaro, no? Il punto è che siamo solo a metà del film. E’ necessario che qualcun altro operi un cambiamento affinché gli ingranaggi ossidati della famiglia Tenenabum riprendano a girare al passo coi tempi. Dopo che il suo imbroglio è stato scoperto,
Royal
si
rende
conto
della
sua
meschinità
e
nel
pronunciare la sua ultima bugia, “gli ultimi sei giorni trascorsi qui con voi sono stati i più belli della mia vita”, si rende conto che
si
tratta
della
verità
e,
illuminato
da
questa
epifania,
decide di riprendere a vivere, cambiando rotta. I segreti di Margot vengono a galla, così come i sentimenti che prova per Richie. Eli Cash mostra di essere tutto fuorché stabile e ancora alla
ricerca
di
un
appiglio
per
far
parte
ufficialmente
dei
Tenenbaum. Tutti i personaggi giungono a un punto di rottura, alcuni
prepotentemente
si
scrollano
di
dosso
i
loro
ruoli
predefiniti, lasciando ai protagonisti la scelta di andare avanti o restare bloccati nel passato da soli. E loro vanno avanti. Correndo
dei
rischi,
confessandosi,
ascoltandosi,
scaraventando un prete dalle scale, con grandi difficoltà e con convincenti imitazioni di John Wick in anticipo di una decina d’anni, tutti vanno avanti, in un modo o nell’altro.
C’è un momento in cui puoi decidere il tuo futuro o lasciare che il tuo passato lo faccia per te.
Margot, Richie e Chas
prendono strade diverse. Margot si dà una seconda chance e fa pace con la scrittura, accettando di non essere il genio che gli altri hanno sempre profetizzato che sarebbe diventata. Richie si reiventa: non è più un campione, ma non per questo deve abbandonare il tennis. E infine, Chas lascia che le opportunità del presente facciano ammenda per i rancori del passato. Wes Anderson conosce la tenerezza, più di molti altri registi (d’altronde, ci voleva lui per raccontare la storia d’amore fra due bambini in Moonrise Kingdom, contenuta in modo embrionale nel rapporto fra Margot e Richie), ma da buon cineasta non vi lascerà mai un retrogusto stucchevole sulla lingua, dando alle sue opera una punta amara che fa da contrappunto e rivela una tragedia nella pacata serenità raggiunta dai personaggi. Nel ritratto di famiglia dei Tenenbaum, nel ricordo di una felicità perfetta quanto illusoria, è nascosta l’insidia di restare ancorati ad un passato che non ci rappresenta più per sfuggire alla responsabilità di essere artefici di un futuro in cui corriamo il rischio di essere perdenti.
CRITICA D'ARTE
A CURA DI
Eliana Pardo Cristina Colace
Che cos’è il "Duende"? È un folletto, una voce nuova, un vento mentale. Nella mitologia spagnola, indica uno spiritello che, secondo la leggenda, si impossessa di alcuni artisti, ma non si manifesta allo stesso modo in tutti. Federico Garcìa Lorca parla di un fluido inafferrabile, che arriva direttamente all’osservatore, qualcosa di demoniaco, di dionisiaco ed inspiegabilmente magnetico. “Potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega”, così lo definì Johann Wolfgang von Goethe, avendo intravisto quel sacro fuoco ardere nelle corde del violino di Niccolò Paganini. Insomma, il Duende, nella sua inafferrabile ed intraducibile definizione, ci ha ispirato per il titolo di questa rubrica. Non pretendiamo di “diagnosticarlo”, piuttosto di lasciarvelo intravedere nelle opere di cui racconteremo tra queste pagine, cosicché ognuno possa coniare la sua personalissima definizione. D’altronde, come scriveva Federico Garcìa Lorca: “Per cercare il duende non c’è mappa né esercizio. Si sa solo che brucia il sangue come un tropico di vetri, che estenua, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili, che si appoggia al dolore umano inconsolabile, che fa sì che Goya, maestro dei grigi, degli argenti e dei rosa della miglior pittura inglese, dipinga con le ginocchia e i pugni con orribili neri bitume.”
EL DUENDE
36
Critica
Il passato come certezza del patimento e ciò che forgia la nostra identità di Eliana Pardo Questo giorno devastante è finalmente concluso.
corso? Veramente una
scelta passata ha condizionare la nostra intera esistenza?
È stata una settimana disastrosa, ma per fortuna
Emilio Isgrò è un artista, drammaturgo e scrittore
è già terminata.
italiano, termine
Questo mese mi è parso lunghissimo.
ideatore
della
pratica
“cancellatura”*
conosciuta
È un anno da dimenticare.
e, tra le altre cose, anche
rispondere
alla
mia
domanda
precedente
dare
una
risposta
sensata
al
mio
(nostro)
Essere creature appagate e perfette non è di
quesito, egli propose l’immagine di un misero
certo
Se
condizione
di
partenza
e,
il
nostro
oltretutto, se ci soffermassimo a riflettere su tale
sputeremmo.
affermazione, noteremmo anche come, in effetti,
potesse
essa
farebbe, no?
non
sia
neanche
la
nostra
condizione
passato Tutti
fuggire
fosse
un
sputano
dallo
i
seme
semi.
sporco
di
E
terreno
se di
seme.
sicuro il
Siamo i giorni peggiori
della
nostra
emblematica
di
vita.
quel
La che
patiamo. In aggiunta valutiamo cosa sia meglio per noi. Vi rendete conto? Proprio noi che siamo perennemente qualsiasi
indecisi
tipologia
di
e
interdetti
opzione.
davanti
Avremmo
a
avuto
certo
una vita senz’altro più facile se avessimo fatto delle
scelte
al
posto
di
altre,
se
avessimo
rischiato e inseguito meno l’istinto o, ancora, se fossimo Forse
rimasti
avremmo
motivante,
o
in
silenzio
avuto
saremmo
più
un
secondo
amici,
diventati
un
in
lavoro
più. più
semplicemente
persone con le tasche dei pantaloni stracolme di
cosa
ci
fa
credere
e
sperare
del
che
superfluo
quest’ultima
comprende a
difesa
diviene,
l’eliminazione della
grazie
a
parola; questa
tecnica, nuovamente colma del suo potente e autentico significato. Cancellare, inteso come atto distruttivo ma anche
come
preambolo
per
la
nascita
di
una nuova forma espressiva. Questa pratica è anche celebrata dal suo
emozionanti storie da poter raccontare. Ma
*pratica della “cancellatura”: operazione
che
non
avremmo avuto lo stesso triste e sofferente tras-
fondatore
con
l’espressione
che attira lo sguardo”.
lo
seme
d’arrivo.
rappresentazione
il
attraverso l’arte. Per
nostra
con
uno dei tanti artisti che, non molto tempo fa, tentò di
la
potuto
“cancellatura
lo
Critica
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"Voglio far sentire la crisi senza fare disperare le persone. Se un artista osa tanto e l'artista è una persona fragile, può farlo anche la società." -Emilio Isgrò Il Seme d’Arancia
è
una
scultura
voluta
e
realizzata da Isgrò per i cittadini della sua città natale Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Il monumento, costruito nel 1998 e posto dinanzi la vecchia
stazione
della
città,
gigantesco seme d’arancia
consiste
in
un
alto sette metri e
costituito totalmente da materiale plastico come il
rinascita
fiberglass. Il Seme è un simbolo di
del
Meridione, ma non solo. Esso rappresenta per Isgrò il passato della terra siciliana, il fulcro e la vera essenza del “rifiuto che si eleva nonostante tutto”. Il seme è razionale ma emotivo, a volte anche fin troppo
passionale.
Non
lascerebbe
mai
il
suo
terreno (nonostante i dispettosi insetti), perché la sua identità dipende totalmente da esso. Il seme
forgia se stesso
tra
il
concime,
al
buio,
in
monotone giornate troppo calde e troppo gelide, colme di sofferenza e ferite. Resta lì, perché forse questo
fragile
quanto
pensassimo
esperienze
essere
è
molto
all’inizio:
dolorose
per
il
più
razionale
seme
trovare
non
la
sua
di
cerca vera
identità, ma è cercando quest’ultima nella terra che,
inevitabilmente,
esperienze diventano
trova
dolorose. col
indispensabili
e
I
tempo capaci
nel
traumi una di
suo
percorso
del
parte
rendere
passato di
i
noi;
momenti
peggiori della nostra vita in una storia futura, per molti aspetti
trionfante.
Critica
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Alcune delle nostre lotte sono cose con cui nasciamo (il seme non ha scelto di essere tale, proprio come un
malato
non
ha
scelto
la
sua
malattia) e altre sono cose che ci capitano. Ogni singola parte, ogni singolo istante di ciò che ci accade è
indispensabile
per
la
nostra
crescita. Per
Isgrò
il
passato
come il seme, lo
sarà
di
certo,
scarto dei giorni
peggiori della nostra esistenza, ma è indubbiamente anche la storia che ha generato il
frutto
che oggi siamo divenuti. Ogni scelta implica
una sofferenza, e vi dirò: il seme avrebbe sofferto anche se avesse deciso di scappare dalle grinfie del terribile terreno. Già. Ma chissà, a quel punto, in cosa si sarebbe trasformato.
Una scelta differente, non avrebbe reso
migliori
le nostre giornate, ma sicuramente saremmo diventati
individui ben diversi da come oggi ci mostriamo. Non so dirvi se nel mio caso sarei stata una persona migliore o meno. Ma posso confermarvi che avrei continuato senza alcun dubbio a sputare via i semi dalla frutta.
Tutti sputano i semi.
"La cancellatura non è una banale negazione ma piuttosto l’affermazione di nuovi significati: è la trasformazione di un segno negativo in gesto positivo." -Emilio Isgrò
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Critica
Trilite: passato Tre pietre che hanno fatto l'architettura di Cristina Colace Venezia,
anno
Codussi
completa
domini
1499.
il
L'architetto
progetto
Mauro
della
Torre
dell'Orologio in Piazza San Marco, meglio nota col
Torre dei Mori"
nome di "
per le due sculture che
la sormontano. Le
statue
in
campana:
la
Siamo
l’esito
presente
del
nostro
passato,
inevitabilmente, che ci piaccia o no: diffidate da chi
sarebbe
capolavoro
disposto
assoluto
a
che
rinunciare
è
a
Stonehenge,
quel pur
di
costruire una villa con piscina su Marte. bronzo
battono
statua
del
le
Moro
ore
più
su
una
anziano
la
Non
dovrebbe
essere
difficile
parlare
di
architettura coniugando i verbi al passato.
percuote con due minuti d’anticipo rispetto all’ora
No, affatto. La vera difficoltà nel ripercorrere le
esatta: rappresenta il momento appena trascorso.
tappe
Il Moro più giovane, di contro, batte due minuti
dell’umanità è decretarne il
di
quel
capitolo
dell’epopea
della
storia
principio.
dopo per indicare il tempo futuro che verrà. Come Una
metafora
tanto
quando
e,
di
come solo un architetto poteva concepirne - per
nascita dell’architettura? Ognuno potrebbe dare
riuscire
una
definire
i
pratica
stabilire
conseguenza, in che modo l’uomo abbia sancito la
a
quanto
a
-
vagamente
efficace
riuscire
contorni
di
una
risposta
differente:
le
caverne,
le
antiche
convenzione umana così ben radicata nel nostro
città-stato, quei mucchi di blocchi sparsi in terra
stare al mondo da condizionarne ogni aspetto.
che delimitano un ambiente di cui non riusciamo ad immaginare la volumetria.
Parlare di tempo in architettura può sembrare una
banalità,
soprattutto
nel
riferirsi
al
passato:
nonostante il mestiere del costruire presupponga inevitabilmente ricerca
ed
una
dose
inventiva,
di
buona
sperimentazione, parte
di
quella
irriverente audacia che contraddistingue le nuove generazioni
di
scientifiche
consolidate
ricerca.
Quello
costruttori
deriva in
dalle
secoli
dell'architetto
è
e un
certezze secoli
di
mestiere
antichissimo, nato con l'agricoltura ed il pascolo. Mauro Codussi, Torre dei Mori | Venezia, 1499
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Critica
“L’architettura comincia dove due pietre vengono sovrapposte accuratamente.” -Ludwig Mies van der Rohe Nel cercare una risposta soddisfacente al quesito, ci viene in aiuto il genio classicista di Mies Van der
Rohe
–
autore,
Less is more”,
“
tra
le
altre,
della
massima
per intenderci – che suggerisce
che l'architettura cominci ad esistere quando due pietre
vengono
sovrapposte
con
cura,
con
un
progetto.
Ora, Mies era figlio di uno scalpellino, un "tagliapietra" per dirla alla maniera delle Corporazioni e delle Arti e Mestieri, e la sua parola, quando si parla di litoidi, è una voce più che autorevole, un po' come discutere di linguistica con Dante o di
Ludwig Mies van der Rohe | 1886 - 1969
teatro con Shakespeare. Il criterio Miesiano fornisce di per sé un valido quanto utile riferimento per orientare la ricerca di questo fantomatico Ground 0 della proto-storia del costruito. Se si potesse sfogliare il curriculum vitae di
Mies van der Rohe,
ci si accorgerebbe che, in effetti, tutta la
sua vita, la sua carriera e la sua produzione artistica fa riferimento alla pietra come elemento fondante e, tenuto conto dei pregi naturali quanto dei limiti costituitivi del materiale stesso, ad un unico modello e
schema statico di riferimento. Le sue opere più rivoluzionarie e innovative, in uno spirito spiccatamente elegante e inconfondibilmente minimalista, del tutto in antitesi rispetto allo stile decorativo del suo secolo, constano, brutalmente, di
soli elementi
tre
archetipici: due lastre di pietra parallele, poste verticalmente, una chiusura orizzontale
superiore.
Ludwig Mies van der Rohe, Padiglione tedesco | Barcellona, 1929
Critica
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Quella che suona come una banalità è in realtà
Anno Zero,
l'
temporale
lo
del
"start"
fare
dell'immaginaria
architettura,
punto
linea
dal
quale
iniziare a contare. Quel che Mies van der Rohe ha da insegnarci è che quest'arte antica è nata molto prima di te e di me, di
lui,
delle
condominio della
tua
deciso
Piramidi,
orrendo
camera
che
potessero
due
del
che
da
vedi
letto;
monoliti,
E
sì,
fuori
è
forse
chi
del
finestra
quando
pietre
una
e
dalla
nata
due
sorreggerne
orizzontalmente.
Partenone
si
è
in
verticale,
terza,
distesa
ha
avuto
questa
intuizione, nel lontano 3100 a.C., deve aver pensato che
quelle
belle.
tre
pietre,
dopotutto,
erano
piuttosto
Quello che deve aver pensato anche Mies al
cospetto della lastra di
onice dorato
poi diventata
cuore pulsante e sostegno del suo progetto per il Padiglione tedesco all'Expo di Barcellona, nel 1929.
Il
tempo
dell'architettura
agostiniana:
è
una
variabile
“se nessuno me lo chiede, lo so; se
dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so.” Sfuggente e misterioso come un cerchio di totem di pietra
sbozzata,
nel
bel
mezzo
alla
campagna
Stonehenge | 3100 - 1600 a.C.
inglese. Ed è proprio a quell'ancestrale tentativo di
rincorrere l'ordine spazio
che
vorrei
e di tradurne la volontà nello dedicare
questo
"Trittico"
sul
tempo, su ciò che era, ciò che è e ciò che forse sarà dell'architettura. Vorrei che avesse la struttura solida
della
più
volutamente
archetipica delle strutture: il dei due ed
semplice,
trilite.
più
Perché se uno
piedritti verticali su cui si fonda, il passato
il
presente,
in
cui
abbiamo
agito
e
quotidianamente agiamo, dovesse sciaguratamente
“Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so.”
venir meno, la struttura collasserebbe su se stessa, cessando di sostenere la pesante
architrave che è
il futuro.
Stonehenge | Wiltshire, Regno Unito, 3100 - 1600 a.C.
-Agostino d'Ippona
P U N T O
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Carmine Faiella Gabriele Maurizio
D I F U G A
FOTOGRAFIA
Fotografia
Carmine Faiella
Passato La prima foto di questo trittico rappresenta il passato, l'inizio di qualcosa che porterĂ ad un'azione e alle sue conseguenze.
43
Fotografia
44
Gabriele Maurizio
Lode al Passato I superstiti si prostrano in ginocchio e lodano il glorioso Passato, senza vedere che questo è costituito dai resti dei loro antenati.
TECUM IL SALOTTO PER FARE LUCE SU QUELLO CHE ACCADE INTORNO A NOI
CHE COSA È TECUM? Una
rubrica
scritta
non
per
i
lettori, ma DAI lettori di Fiat Lux. Tecum nasce per chiacchierare, commentare e discutere sugli avvenimenti che ci circondano. Tecum nasce per creare quel punto di incontro e di crescita per tutti i ragazzi. Qui raccogliamo tutte le vostre idee e le vostre opinioni, perchè di certo il mondo non si cambia stando sul divano,
ma
questo
spazio
comunque un inizio.
Per entrare nel nostro salotto:
è
CRISI IN QUATTRO SCENE La crisi di governo ha gettato tutti nello sconforto. La domanda che però mi è subito saltata in mente è: “perché”? La mossa di Renzi mi ha lasciato piuttosto perplessa. Si presuppone che, quando si fa cadere un governo, si abbia un’alternativa da proporre. Non mi sembra di aver colto l’alternativa renziana al governo Conte. Dubito che si trattasse di prendere le redini del paese, se consideriamo che Renzi ha fatto sì che gli altri deputati di Italia Viva non votassero, non certo che tutti si sarebbero schierati contro Conte. Se nemmeno i membri del tuo partito ti sostengono e la Camera è quasi totalmente a favore dell’avversario (ricordo che lì Conte ha ottenuto la maggioranza assoluta), qual è lo scopo dell’azione di Renzi? Perché una crisi di governo che non avrebbe portato a nulla, se non maggiore sconforto e instabilità in un periodo storico già così saturo di avvenimenti catastrofici? Lidia Pellegrino
#VDAY- IL VACCINO HA IL SAPORE DELLA LIBERTÀ Nell'apprendere la notizia dell'inizio della campagna vaccinale in Italia, mi si è illuminato il viso e ho sorriso. Ho sorriso perché ho iniziato a vedere uno spiraglio di luce dopo un tunnel buio. Sono una studentessa al primo anno di università, e a causa del COVID-19 non sono mai entrata in ateneo. Mi sono sentita completamente spersonalizzata dietro allo schermo: iniziare un percorso così importante senza aver mai visto di persona i visi dei miei colleghi mi ha rattristata tanto. Nel vaccino, vedo la speranza di poter riprendere a vivere una semi-normalità, dal momento che comunque ci vorrà del tempo prima di tornare alla situazione precedente al COVID. Mi ha commosso leggere ciò che ha scritto la dottoressa Anna Fracassini, odontoiatra che lavora a Senigallia e a Pesaro, sul suo profilo Facebook, cioè che “dentro” il vaccino vede “soprattutto i baci e gli abbracci dimenticati, le gite scolastiche, gli anziani a capotavola il giorno di Natale, le mense affollate” .
Io ci aggiungo: le lezioni e gli esami in presenza, lo studio con i colleghi, le feste con gli amici, i viaggi, i pranzi della domenica con tutta la famiglia riunita, i sorrisi delle persone, ormai da tanti mesi nascosti dietro a una mascherina e la "vicinanza sociale". Non vedo l'ora che il "distanziamento sociale" diventi un ricordo passato. Ascoltare le motivazioni degli operatori sanitari mi ha convinta ancora di più sul fatto che scegliere di fare il vaccino equivalga a compiere un grande passo in avanti in direzione di tutto questo. Quindi, ora, non rimane che aspettare il proprio turno: io credo nella vaccinazione, nella scienza e nei ricercatori.
Letizia Pala
UN GOVERNO DA CONIUGARE La crisi politica attuale mostra come gli egoismi personali o partigiani a volte prevalgono sul bene e sull'interesse comune.
A volte bisognerebbe smettere di dire io e cominciare a dire noi . Forse sarebbe meglio un governo di unità nazionale ma probabilmente, con gli statisti che ci ritroviamo, sarebbe solo un mercato di nomine, poltrone, un groviglio di inciuci scambiati per atti di responsabilità. Ah povera Italia!
Giovanni Tonini
CANCEL CULTURE E L'ARTE PERDUTA DI SAPER CONTESTUALIZZARE È di pochi giorni fa la notizia della cancellazione dalla sezione dedicata agli “Under Seven” di Disney Plus di alcuni classici animati perché ritenuti offensivi e discriminatori. Seppur ancora disponibili per gli utenti di età superiore ai sette anni, sono provvisti di un’avvertenza iniziale circa la presenza di rappresentazioni negative o di denigrazioni di persone e culture. Si parla di film che hanno caratterizzato la nostra infanzia: Dumbo, Peter Pan, Gli Aristogatti, rispettivamente del 1941, 1953, 1970, quindi figli di tre epoche diverse ma tutte profondamente razziste. La volontà dichiarata dalla Disney sarebbe quella di stigmatizzare stereotipi sbagliati allora come oggi “senza rimuovere il prodotto ma generando un dibattito stimolante per un futuro più inclusivo”.
Simili sono anche le polemiche che recentemente si sono scatenate in Inghilterra contro “Grease” definito un film sessista, omofobo e razzista, un film che subdolamente addirittura incita allo stupro; o contro “Via col vento” che nel 2020 era stato momentaneamente rimosso del catalogo del HBO perché considerato razzista. Non dobbiamo dimenticare però che stiamo parlando di due opere figlie del loro tempo: Via col vento, ad esempio, non solo è ambientato durante la guerra di secessione, ma è stato anche realizzato in quella patinata Hollywood degli anni ’50. Tutte queste polemiche, quindi, hanno davvero senso? C’è veramente bisogno di censurare o rimuovere queste opere, specchio della società in cui sono ambientati o in cui sono stati realizzati? Ogni film, e in generale ogni opera d’arte, deve essere contestualizzata e mai cancellata perché solo l’intelligenza di chi guarda deve giudicare se una cosa è giusta o sbagliata. Solo dagli errori del passato e dalla reale rappresentazione di ciò che siamo stati si può costruire un futuro diverso e migliore. Ecco perché il passato non deve mai essere cancellato. Anonimo
L'ETÀ DELL'IMITAZIONE Facendo un discorso generale credo che i bambini non dovrebbero possedere un telefono personale. I fanciulli non hanno capacità di discernimento come gli adulti, non riescono a distinguere cosa è da evitare e cosa no. Influenzati dai modelli spazzatura proposti dai social, i bambini e le bambine cercano a tutti i costi di imitare ragazzi/e più grandi, comportandosi in maniera non consona per la loro età e bruciando così tappe importantissime della loro esistenza... Anonimo
SANREMO NON SMETTE MAI (SFORTUNATAMENTE) DI STUPIRE
BASTA MANGIME
In un servizio andato in onda su Striscia la Notizia si parlava delle selezioni dei figuranti
al
Festival
effettuate
dalla
Rai.
di Per
Sanremo partecipare
come comparsa bisogna compilare un modulo online in cui oltre a inserire i propri
dati
anagrafici,
Si
chiede
di
scrivere anche le caratteristiche fisiche (l'altezza, il peso,i capelli, gli occhi ecc) tra cui la taglia del reggiseno. É una cosa
alquanto
vergognosa
e
imbarazzante che nel 2021 le donne possano essere scelte in base alla loro estetica e che la misura del seno possa diventare
una
discriminante...Questo
stereotipo da cavernicoli pensavo ce lo fossimo buttato alle spalle...
Anna Lo Iacono
Una sociaetà va avanti solo se è capace di investire sul suo futuro. Ormai in Italia tra bonus vari distribuiti come caramelle ci si dimentica che piuttosto che distribuire alle persone soldi come se fossero mangime, un palliativo, sarebbe meglio prendere quei soldi ed investirli per creare posti di lavoro dove non ci sono, migliorare la qualità della retribuzione e magari eliminare dalla faccia della terra lo stage non retribuito, che sta ammazzando noi giovani. Cosa me ne faccio del bonus di Renzi se poi dopo cinque anni di università non mi viene garantito un posto di lavoro? Stefano Avola
Se leggi questo messaggio, vuol dire che sei arrivato fino alla fine, batti cinque! Sai cosa penso? Penso che abbiamo fatto proprio una bella chiacchierata, magari passa da Tecum, ci beviamo qualcosa insieme!
GRAZIE PER LA LETTURA ABBI IL CORAGGIO DI SPLENDERE