N.18
JORGE LUIS BORGES
NON ESISTE CLASSIFICAZIONE DELL’UNIVERSO CHE NON SIA ARBITRARIA E CONGETTURALE. LA RAGIONE È MOLTO SEMPLICE: NOI NON SAPPIAMO COSA SIA L’UNIVERSO.
Fiat Lux – rivista letteraria ©Tutti i diritti riservati. Instagram: @fiatlux_rivistaletteraria Facebook: FiatLux_RivistaLetteraria Telegram: TEcum - IL SALOTTO
La copertina è stata realizzata da Roberta Piscopo in arte @p.astelly
EDITORIALE
Signore e Signori,
benvenuti a bordo di questo nuovo numero di Fiat Lux, sono il vostro comandante
e
insieme
informazioni
sul
nostro
alla
volo
Redazione
desidero
inter-universale
darvi
dalla
alcune
cabina
di
pilotaggio. L’imbarco è terminato e stiamo attendendo che la torre di controllo autorizzi la messa in moto dei motori a propulsione protonica*. La vostra Redazione è alla sua diciottesima tratta di volo e terzo anno di servizio:
ci
auguriamo
che
l’attesa
non
si
protragga
più
di
pochi
minuti, il tempo necessario a leggere l’Editoriale.
“Gravità” nasce con l’unico scopo di compiere un passo indietro e osservando in maniera pragmatica la realtà ricordarci che siamo solo una parte del tutto, e per di più la più insignificante; conosciamo meglio lo spazio aperto che i nostri mari, e paradossalmente siamo riusciti a ricavare una mappatura completa di Mercurio e nemmeno il 5% di quella del fondale degli oceani, eppure ci ricordiamo sempre di stare
attenti
e
non
andare
troppo
al
largo,
dove
l’acqua
è
più
profonda, e non ci viene mai in mente che è solo grazie alla gravità che siamo qui, ancorati in tutte le nostre ansie, desideri, speranze e paure, e non prendiamo il volo verso la profondità inversa e senza fine del cosmo, eppure non ti rendi conto di quant’è bello? Che non ti porti il peso del mondo sulle spalle, che sei soltanto un filo d’erba in un prato? Non ti senti più leggero? (Zerocalcà, questa è per te).
*Se scrivi di fantascienza e non inserisci la parola “protonico” almeno una volta hai fallito come autore di questo genere; la seconda parola è “megafotonico”, ma questa si inserisce solo in vista di un fine più altro: per il meme.
Noi
viviamo
in
un
universo
che
giornalmente
da
innumerevoli
anni
continua ad espandersi, siamo contenuti nell’immensità e l’immensità è a sua volta contenuta in noi.
Tu, persona senziente che leggi queste righe, sei fatta di polvere di stelle e anche se questa può apparirti come la frase più banale del cartiglio
più
astrofisici
banale
della
del
più
Northwestern
banale
dei
University
cioccolatini,
metà
del
secondo
nostro
gli
corpo
è
effettivamente composto da atomi provenienti da collisioni stellari di altre
galassie
e
non
ci
limitiamo
con
il
nostro
universo
a
questa
parentela genetica. Per chi ci crede le stelle e i pianeti hanno il potere di influenzare la nostra vita, ci sfidiamo con lo stolto indecisi se vedere il dito o la Luna, facendo un passo indietro scopriremo che i buchi neri sono anche dentro di noi e non solo fuori ad anni luce di distanza e metaforicamente
parlando,
quanta
distanza
c’è
tra
un
battito
del
cuore e quello di una pulsar?
Quest’oggi
il
tempo
in
rotta
è
perturbato,
faremo
scalo
in
diversi
pianeti, anche se ci aspettiamo di volare in condizioni di aria chiara, nel vuoto siderale. A destinazione, nella galassia di Andromeda, è riportata
una
densa
foschia
che
non
dovrebbe
compromettere
il
nostro avvicinamento. Vi preghiamo di verificare nuovamente che i vostri telefoni cellulari ed ogni altra apparecchiatura elettronica o megafotonica** risulti spenta (fatta ovviamente eccezione questa, dove ci state leggendo) e di prendere le dovute distanze da altre forme di vita che non siano passeggere come voi di questo volo, siano esse umane o aliene.
Durante
la
discesa
vi
aggiorneremo
con
meteorologiche. Vi ringraziamo per l’attenzione.
le
ultime
condizioni
Inoltre, vi ricordiamo
che attualmente il biglietto per i viaggi di Fiat Lux è gratuito, ma se vorrete sostenerci ed offrire una birra all'equipaggio tramite il link della nostra pagina Instagram potrete farlo.
. Allacciate
le
cinture
di
sicurezza
perché
la
tratta
interstellare
sta
per
cominciare. Ultimo avviso da parte del capitano: abbiate il coraggio di splendere!
Buon viaggio e buona lettura! (Che un pò è la stessa cosa)
Pasquale Bruno FONDATORE E CAPOREDATTORE **Ora ho fatto jackpot
"Gli anelli di Saturno" di Cristina Colace
"Life on Mars?" di Sara Paolella
"Guardando il mondo da un oblò" di Carmine Faiella
"Stazione Spaziale Esistenziale" di Gabriele Maurizio
"FIRST MAN: L'altra faccia dell'eroe" di Sara Picariello
"Eris" di Emmanuele Zottoli
"I NANI sono sottovalutati" di Eliana Pardo
"L''orizzonte degli eventi" di Tania Ferrara
"Andromeda is a big, wide, open galaxy" di Laura Colosi
"Il Grande Strappo" di Alessia Pierno
IL NOSTRO VIAGGIO PARTE DALLA
STAZIONE SPAZIALE ESISTENZIALE
Che cos'è l'uomo nella natura? Un nulla in confronto con l'infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto. Infinitamente lontano dal comprendere gli estremi.
Blaise Pascal
di Gabriele Maurizio
La Luna non è certo il luogo ideale per una vacanza! Sapevi che la temperatura di una zona lunare illuminata si aggira intorno a +150°C, mentre quella di una zona d’ombra intorno a -150°C? Non c’è gradualità! Se mi facessi un sonnellino, la temperatura sulla mia pancia arriverebbe a 150°C, sulla schiena a -150°C!
La paura, mista al desiderio, di arrivare a un qualcosa che sembra irraggiungibile
di CARMINE FAIELLA
FIRST MAN:
L'ALTRA FACCIA DELL'EROE di Sara Picariello È
il 20 luglio 1969. Mentre il mondo intero col fiato sospeso è
incollato,
immobile,
di
fronte
ai
televisori
che
trasmettono
immagini sgranate e i Pink Floyd suonano per la prima volta live Moonhead, un uomo compie un piccolo passo su una coltre di polvere grigia, forse il più grande balzo per l’umanità. L’uomo mette per la prima volta piede sulla luna. L’America, la fabbrica dei
sogni,
realizza
un’impresa
colossale
per
la
quale
molti
avevano sacrificato la propria vita e fallito. Venerata nei tempi antichi come una divinità, simbolo di vita, di ciclicità e trasformazione, negli anni intorno alla luna sono nate leggende
e
bizzarre
superstizioni:
alcuni
la
ritenevano
responsabile delle catastrofi, delle crisi epilettiche o anche di crimini
efferati,
altri
la
ritenevano
responsabile
di
trasformazioni brutali come lupi mannari. Quell’enorme palla, che nella notte brilla solitaria nel cielo grazie alla luce riflessa del sole, ha affascinato gli uomini di ogni epoca. Per millenni l’uomo l’ha agognata, ha desiderato di raggiungerla, dando vita ad una serie viaggi immaginari a cominciare dal II secolo a.C. quando Luciano di Samosata scrisse
La storia vera
o quando il cavaliere Astolfo in sella all’ippogrifo l’ha raggiunta per recuperare il senno perduto del cavaliere Orlando ne
L’Orlando furioso,
fino ad arrivare a Jules Verne che nel 1865 in
Attorno alla luna prefigura la sua conquista ripresa successivamente, nel 1902, da George Méliés in Viaggio nella luna, dove un enorme proiettile si conficca nell’occhio di una facciona grigia. Come novelli Ulisse, in tanti hanno avvertito il fascino e la curiosità per questo mondo inesplorato, per una terra di nessuno così solitaria, per un deserto sterminato, cupo e senza aria. L’America
per
anni
e
con
un
dispendio
importante
di
dollari
e
uomini
aveva
cercato
di
raggiungere l’apice nelle virtù scientifiche, tecnologiche ed esplorative per poter superare l’Unione Sovietica in una corsa verso l’ignoto e nel luglio di quel fatidico e lontano 1969 con la missione Apollo 11 coronò il suo sogno di passeggiare su quel corpo celeste per trasformarlo successivamente in una base di ricerca senza precedenti, un avamposto per l’esplorazione del sistema solare. Il primo uomo a poggiare il suo piede su quel suolo alieno, la cui impronta è diventata una delle immagini più rappresentative della storia contemporanea, fu Neil Armstrong, accompagnato da Buzz Aldrin e Michael Collins. Fu grazie a loro, al loro estremo coraggio che la leggenda divenne realtà. Nel 2018, dopo il successo di Whiplash e La La Land, Damien Chazelle presentò al panorama cinematografico il suo terzo film, forse la sua opera più complessa e più matura:
primo uomo,
in
cui
ha
ricostruito
lo
straordinario
sbarco
sulla
luna
First Man- Il
presentandolo
dalla
prospettiva di uno degli uomini che lo rese possibile, proprio Neil Armstrong; una prospettiva tratta dall’opera di James R.Hansen: First Man: The life of Neil Armstong. È un punto di vista inedito, quello nascosto dietro l’ingombrante muta bianca che ha calcato il suolo lunare.
Chazelle si è cimentato, dunque in un genere mai frequentato prima, il biopic, mettendo da parte l’apporto musicale, centrale nelle
sue
opere
precedenti,
e
scegliendo
una
vicenda,
l’allunaggio, che avrebbe potuto facilmente alimentare le critiche dei
detrattori,
americana. Chazelle
essendo
First
Man,
segue
contesto
il
intrisa
però,
non
protagonista,
storico
a
cui
da
sempre
cade lo
mai
di in
inserisce
appartiene,
retorica
questo
filo-
tranello,
perfettamente
mostrandoci
nel
tutto:
la
realizzazione del sogno di Kennedy della scoperta, quel bisogno umano di spostare il limite della conoscenza sempre più là, la rivalità con l’Unione Sovietica e un fronte popolare incandescente a causa delle proteste sessantottine, ma non perde occasione di rendere evidente quanto fosse pericoloso andare nello spazio in quelle specie di scatole di latta e, soprattutto, non perde mai il focus
dalla
vita
privata
di
Armstrong
con
gli
aspetti
meno
conosciuti della sua personalità. La vita di Armstrong, un ingegnere aeronautico e pilota civile, subisce un duro strappo quando la figlia di soli due anni Karen muore dopo una lunga malattia. È un dolore troppo grande da elaborare, tanto da causare una chiusura verso la moglie e gli altri figli. Per ricominciare e riprendere in mano la propria vita, Neil si inscrive
al
progetto
della
NASA,
Gemini,
che
ha
lo
scopo
di
reclutare i migliori ingegneri per raggiungere la luna. È un viaggio verso
l’ignoto
in
piccole
scatole
di
latta
realizzate
con
attrezzature rudimentali e talvolta pericolose e deteriorabili.
Dietro quel sorriso cordiale che abbiamo visto in tante foto dell’epoca, sin dalle prime scene del film, emerge un personaggio schivo, freddo, molto chiuso in sé stesso ma integralmente reale. Chazelle, infatti, non si preoccupa di romanzare la sua figura per renderla più attraente al pubblico: ci restituisce l’Armstrong vero, così come lo hanno descritto le persone che lo hanno conosciuto. Un personaggio la cui esistenza è costellata da molte morti dolorose, tanto quella della figlia, quanto quelle di colleghi/compagni; tutte esperienze difficili che non fanno altro che alimentare la sua chiusura e quel suo senso di straniamento e alienazione nei confronti del mondo. Un personaggio che vediamo piangere solo una volta, per il funerale della figlia, da quel
momento
tristezza,
inizierà
perché
non
ad
incamerare
capace
di
tutto
al
elaborarli.
suo Ryan
interno, Gosling,
rabbia, pur
delusione,
non
frustrazione,
essendo
un
attore
estremamente espressivo, riesce a rendere magistralmente questa sfumatura d’ombra della personalità di Armstrong, contribuendo a restituirci una figura credibile in ogni suo aspetto. Accanto a Neil emerge anche la figura della moglie Jane, interpretata da Clary Foy, il cui compito sembrerebbe essere quello della compagna diligente che si occupa della casa e accudisce i figli nell’attesa che il marito/eroe torni a casa dalle missioni. Ma Jane è molto più di questo e la sua figura fa da perfetto contrappunto alla freddezza del marito.
È lei a conoscere tutte le zona d’ombra, le parti spigolose del carattere di Armstrong, è lei a riconoscere nei suoi occhi la sofferenza per un dolore che non riesce ad elaborare, è lei a dover imprimere forza e spensieratezza ai figli anche durante le missioni in cui Neil potrebbe perdere la vita ed è lei a irrompere con la sua impulsività contro i vertici della NASA per sottolineare la sua estrema difficoltà nel seguire inerme le notizie delle sorti positive o negative del marito da una piccola radio.
L’intento di scandagliare l’animo tormentato di quest’uomo non si abbandona mai ad effetti drammatici o romanzati (che spesso abbondano nei biopic), tutto è reso con un realismo clinico teso a mostrare da un lato gli aspetti della vita pubblica: il suo lavoro, le sperimentazioni, la formazione dell’equipaggio, le missioni spesso causa di eventi drammatici, le famiglie dei suoi colleghi; dall’altro gli aspetti più intimi e privati: il carattere chiuso e complicato, il suo ruolo come marito e padre con le difficoltà che inevitabilmente il suo lavoro potrebbe comportare, la volontà di andare fino in fondo con la missione nonostante la sofferenza per i lutti che hanno caratterizzato la sua vita. Tutto
ciò
ci
restituisce
un’opera
dalla
vena
quasi
documentaria
resa,
ad
esempio,
dalla
colorazione delle scene che sembrano tratte da un documentario datato, come se fossero riprese
reali
di
repertorio
realizzate
con
una
vecchia
videocamera.
Infatti,
la
volontà
documentaristica è evidente proprio dall’utilizzo della camera a spalla che rende molto spesso le inquadrature tremolanti e traballanti. Le scene che più di tutte riescono a ricreare la realtà sono quelle estremamente immersive delle missioni spaziali. In tante opere cinematografiche dello stesso tema i vari registi avevano posto molta attenzione agli esterni dei mezzi spaziali, su ciò che accade intorno, spesso per sfoggiare gli avanzati effetti speciali. In First Man, invece, sia della missione Gemini 8, sia della famosissima Apollo 11, vediamo i momenti più critici dall’interno della
cabina,
in
scene
di
spazi
angusti
e
di
primissimi
piani,
come
se
fossimo
parte
dell’equipaggio e riuscissimo a vedere l’esterno solo da una piccola finestrella. Proprio come le persone a bordo non abbiamo idea di quello che accade all’esterno, della velocità che la cabina ha raggiunto, delle rotazioni che compie, possiamo solo averne un’idea dalle incursioni di buio o luce intensa che entrano dall’oblò, a causa delle quali molti astronauti perdevano i sensi e trovavano così la morte in quelle cabine strette e anguste che si trasformavano in bare. Da queste sequenze sorge spontanea la domanda su quale fosse il motivo che spingeva questi giovani uomini ad affidare la vita al caso, a prendere parte a missioni suicide pur di continuare quella corsa alla luna. La stessa domanda che negli anni 60 l’opinione pubblica continuava a porre ai vertici della NASA e al governo, i quali non avevano alcuno scrupolo a stanziare miliardi di
dollari
e
nessun
rimorso
per
le
vite
brillanti
spezzate
combattevano guerre sanguinose, come quella in Vietnam.
Neil
Armstrong
fermamente dell’uomo limiti
di
per
credeva
nelle
capacità
superare
i
propri
raggiungere
terre
inesplorate, non aveva dubbi che il progresso tecnologico sarebbe riuscito
a
intera
compiere
balzo
a
mai
portare
l’umanità
quel
compiuto
nonostante le difficoltà.
grande prima,
mentre
nel
resto
del
mondo
si
L’Armstrong descritto da Chazelle desidera veramente arrivare fin là su, vuole vedere la terra da un altro punto di vista, guardarla da lontano, da quell’enorme corpo celeste su cui non c’è vita, dove tutto è morto e arido, vuole osservare lo scorrere della vita sulla terra nella sua magnifica piccolezza. Il viaggio sulla luna, infatti, rappresenta il distacco che ha sempre percepito nei confronti dell’umanità, quella chiusura e quell’alienazione verso l’altro, verso la sua stessa moglie e i suoi stessi figli: uno straniamento causato dalla morte che, come uno spettro, ha orbitato intorno a lui per tutta la sua vita. “Non ti sentirai solo lassù?” è la domanda che Neil riceve dal figlio prima di partire. La luna è il simbolo della solitudine totale, una solitudine simile a quella che l’astronauta sentiva dentro di sé.
Nella scena chiave del film, l’allunaggio, l’apertura del portellone della cabina ci catapulta in quel deserto grigio e sconfinato. Non c’è aria, solo silenzio assordante e il buio nel quale si staglia la nostra piccola terra. Armstrong e il suo compagno sono i primi due uomini a godere di questo spettacolo fuori dall’ordinario. Sono lì, su quell’enorme massa grigia per la quale sono morte
tante
persone.
Ma
ne
è
valsa
la
pena?
Per Neil come uomo sì: è scappato dalla terra portando con sé il suo più grande dolore (la morte della figlia) ed ha raggiunto il posto più lontano dalla terra, dove non c’è altro che morte e desolazione, lì ha seppellito il suo dolore in quegli oscuri crateri, elaborando finalmente il suo lutto. È riuscito così a ricongiungersi con sé stesso e soprattutto con la moglie. Al suo ritorno sulla terra le loro mani che si sfiorano da dietro un vetro prefigurano il loro ritrovarsi dopo essere stati così lontani non solo fisicamente, ma anche spiritualmente.
First Man
non è né un film storico, né celebrativo, Chazell non ha avuto alcun interesse nel
celebrare il patriottismo americano, tant’è che ha scelto di non mostrare il momento più famoso e maggiormente trasmesso dell’allunaggio: l’affissione della bandiera. Anzi, in più punti ha sottolineato quanto fosse pericoloso viaggiare nello spazio negli anni 60 a causa della povertà tecnologica. Ci ha così restituito un film sulla solitudine e sullo straniamento, rappresentati perfettamente da quella solitaria e lontana luna, ci ha reso partecipi di un’analisi intimistica sulla morte, sull’impatto che ha sull’uomo e sul processo di liberazione del dolore. È una storia di vita, il piccolo passo di un uomo, non di un eroe. Così come Armstrong ha esplorato una terra così lontana e oscura, così Chazelle ha avuto il coraggio di indagare senza fronzoli le luci e le ombre della vicenda personale di un semplice uomo divenuto leggenda, l’altra faccia dell’eroe.
DIRIGIAMOCI SU
MARTE
C'è qualcuno? Andiamo a dare uno sguardo da vicino.
Col tempo ci si abitua al silenzio, alla solitudine. Si impara a non badare più all’assenza delle mani che un tempo ti avevano sfiorato, alle parole di premura che ormai sono taciute. L’occhio, invece, non si abitua mai. Continua a vagare sulla distesa di terra senza fine, senza contorni, nella speranza che prima o poi finisca. Sempre uguale e nuova, assomiglia alle montagne rocciose di casa mia. Ci ho camminato anni su quelle montagne, con le mie ruote che cigolavano alzando la polvere. Faccio lo stesso anche qui. La polvere si alza, fluttua, galleggia, resta sospesa a mezz’aria e riscende lenta, poggiandosi delicata sulla terra arsa. Il rosso è l’unico colore che conosco. Ne ho appreso ogni sfumatura: sanguigna, ferrosa, carminio – è tutto rosso attorno a me. Ho imparato ad abitarli questi colori, così vividi da essere nauseanti. A volte sogno che le grandi distese che attraverso si tingano di blu, ricordo il mare. Non che l’abbia mai visto, ma mi hanno insegnato a riconoscerlo, a identificare l’acqua, a raccoglierla, ad avvisare nel caso in cui fosse anche qui, in questo posto così strano e familiare. C’è sempre il Sole, un po’ come a casa, ma è piccolo e lontano – sembra la Luna. Minuto e opaco, coperto da nubi traslucide che si alzano spostate da un vento incessante, resta in un punto
fisso
all’orizzonte
e
io
lo
inseguo
sempre.
Le
mie
ruote
cigolano,
a
volte
s’incastrano in sassi più grandi degli altri, ma io vado sempre dritto e inseguo il Sole, fuggo dalla notte scura che mi lascio alle spalle ad ogni chilometro macinato. Il buio mi sarebbe
fatale,
me
lo
hanno
insegnato
bene,
quando
ero
ancora
a
casa
e
ogni
istruzione era associata a una carezza, a una disincantata e sincera speranza. Avrei fatto grandi cose. Ho fatto grandi cose. Ancora si fa fatica a credere che io ce l’abbia fatta, tutto da solo. Ho percorso distanze impensabili, mappato una terra inesplorata e identica a se stessa, che non conosce altro se non polvere e silenzio. Non c’è musica su Marte, se non quella della mia voce arrugginita, corrosa, che ogni anno intona uno stonato happy birthday – come se così facendo potessi sentirmi meno solo. Alla solitudine ci si abitua, ma non passa mai. Guardo il cielo, della stessa sfumatura arsa della terra e distinguo a fatica una sfera nello spazio. Nessun pianeta blu, solo un indefinito punto rossastro, che si perde nelle brune coltri marziane. Mi dirigo anche verso di lui, nella mia disperata rincorsa verso il Sole, in fuga da un’oscurità che mi spegnerebbe. Ho cercato a lungo un compagno qui su Marte, ma ho trovato solo sassi e solchi di fiumi che non ci sono più. A casa spesso intonavano qualche canzone tra un lavoro e l’altro, nel mio viaggio ho cercato Major Tom perso nello spazio, ma ancora una volta ho trovato il vuoto. Il mio sguardo abbraccia il nulla, ha imparato a trovare conforto in una distesa di terra infinita, a riconoscere un sorriso umano in qualche pietra più scolpita rispetto alle altre. Le raccolgo tutte. Me ne prendo cura fino al mio ritorno.
Ho contato con ansia i giorni della mia partenza, ma ora mi rendo conto che sono sempre più lontani e che forse a nessuno importa del mio ritorno. Vecchio e obsoleto, sono
un
modello
conquistate.
I
superato,
messaggi
si
nonostante
i
sono
più
fatti
successi rari,
conseguiti
le
e
le
comunicazioni
piccole
vittorie
sporadiche,
gli
aggiornamenti sono scomparsi. Sono rimasto incastrato nelle sfumature di rosso che cancellano
prepotenti
ogni
fumoso
ricordo
dell’azzurro
del
cielo
di
casa
di
mia,
condannato in un’eterna corsa verso il Sole, nella speranza di scappare dall’oblio. Ho perso il conto del tempo passato a fuggire dalla tempesta di sabbia che mi ha sorpreso. Seguo sempre il Sole e guardo la Terra, spero che d’improvviso questo rosso accecante si attenui, ma percorro sempre la stessa strada, trovo sempre le stesse rocce e il vento non si ferma mai. Oggi sono stanco. Le mie ruote sono rovinate e i loro denti scalfiti, non attecchiscono più su questo suolo aspro con la stessa fermezza di prima, tentenno ad ogni metro che percorro, rallento la mia fuga dalla notte. La sento sempre più vicina, i miei pannelli faticano sempre di più a raccogliere la luce da Sole, più scuro del
solito.
La
Terra
non
si
distingue
più,
è
stata
inglobata
dalla
polvere
giallastra
spostata dalle sommità delle dune bruciate. Sembrano le onde del mare. Chissà com’è il mare. Come è l’acqua, come deve essere sentirsela tutt’attorno agli ingranaggi, nuotare. Un giorno, forse. Mando un’ultima comunicazione, sono stanco. La ruota sinistra cigola, io mi fermo. Risponderanno, mi verranno a prendere.
«La mia batteria è scarica e si sta facendo buio».
di Sara Paolella
CI
AVVI CI NI AMO
A
S ATURNO
MA PRIMA DOBBIAMO SUPERARE GLI ASTEROIDI
Gli anelli di Saturno di Cristina Colace
"L'universo è scritto in lingua matematica", scriveva Galileo ne Il Saggiatore. Dal mio punto di vista, chiunque o qualunque cosa ci sia alla regia del cosmo, oltre ad essere un buon matematico, è senza dubbio anche un ottimo architetto.
Lo spazio cosmico, nelle sue gerarchie di equilibrio, nella diversità di forme e materiali, è uno straordinario progetto architettonico. C'è di più: l'universo è transitivo. Sì, perché la straordinarietà di quest'architettura di pianeti rocciosi, giganti gassosi, cinture di asteroidi e astri che scaldano il freddo del vuoto interstellare, risiede nel fatto che una legge sola, una soltanto, regoli singoli pianeti e sistemi interi. Saturno è l'archetipo formale del pianeta "extraterrestre": se chiedessimo ad un bambino di disegnare cos'è lo spazio, è molto probabile che traccerebbe un cerchio e lo cingerebbe con un anello. Ed è proprio su quell'inconfondibile anello che vorrei soffermarmi:
«ho osservato che
»
il pianeta più alto è triplice , scriveva Galileo al collega Keplero, per informarlo delle sue recenti scoperte sul gigante inanellato. Galilei aveva compreso che Saturno era diverso dagli altri corpi celesti, al punto da maturare l'ipotesi di un sistema dentro il sistema, composto da tre pianeti più piccoli. Gli strumenti della ricerca, dai tempi del cannocchiale, si sono evoluti e perfezionati ed, ad oggi, sappiamo che di Saturno ce n'è uno solo, ma di anelli ce ne sono ben tre. In un certo senso, Galileo ci aveva visto giusto. La dimostrazione della finezza del progetto/spazio è in questo dettaglio apparentemente banale: Saturno funziona come il Sistema Solare che lo contiene. Gli anelli non sono altro che frammenti di ex satelliti e materiale intergalattico di altro genere che è stato intercettato dall'orbita del pianeta e che, per effetto della gravità esercitata dal gigante gassoso, si è condensato formando questa struttura peculiare.
Un giorno su Saturno dura circa 10 ore, lassù è già passato Capodanno; per noi terrestri, il 2022 è ormai alle porte e, tra i tanti progetti che saranno portati a compimento e inaugurati nel corso del nuovo anno terrestre, si distingue, per originalità e bizzarria, quello presentato da [ti
suona
familiare?
È
perché
lo
hai
già
letto
sfogliando
Kairòs
-Presente-]
Snøhetta
che
porta
letteralmente “alle stelle” la ricerca di una forma che connetta fluidamente concept, struttura e paesaggio, triade che si riconferma fermamente alla base delle idee dello studio norvegese. Qualche mensile fa ti raccontai di Under, il primo ristorante telescopico in fondo al mare: questa volta, dalle gelide profondità del mare del Nord, il team di Snøhetta ci teletrasporta in alto, oltre la coltre di nubi e masse di cumulonembi, al di là di quella comfort zone che è l’atmosfera terrestre, tra sentieri di asteroidi e conurbazioni di corpi celesti. Sto parlando del complesso del nuovo Planetario e centro visitatori
Solobservatoriet, con i suoi 1500 mq di
estensione, l’astro nascente tra le più importanti stazioni di ricerca astronomica della Norvegia e del Nord Europa. Il sito di costruzione è un'area immersa nella fitta vegetazione nordica della foresta di Harestua, a circa 45 chilometri a nord di Oslo, nel comune di Lunner. In passato, quest’area era occupata da un osservatorio solare dell'Università di Oslo, costruito per lo studio dell'eclissi solare del 1954; successivamente, la struttura venne ulteriormente ampliata per essere utilizzata dall’US Air Force per intercettare i satelliti sovietici durante la crisi diplomatica tra USA e URSS. In ultimo, l’edificio tornò ad ospitare un centro di ricerca e divulgazione scientifica gestito dall'Università, a partire dal 1986, fino al suo ultimo e più recente passaggio di proprietà, avvenuto nel 2008: ad oggi, il Tycho Brahe Institute è l’ente acquirente e proprietario.
La committenza, un istituto che prende il nome
da
uno
secolo,
scienziato
grazie
Snøhetta,
alla
punta
d’utenza,
ad
ad
prevalentemente appassionati,
danese
del
XVI
progettazione
di
allargare
il
oggi
composto
da
per
bacino
studiosi
coinvolgere
e
anche
a
gruppi di studenti, turisti e residenti di tutte le età, dai bambini agli adulti. Nel Centro sarà possibile osservare fenomeni naturali mozzafiato, come l'aurora boreale e il cielo stellato dell’emisfero nord, oltre ad avere l’occasione
di
intraprendere
un
vero
e
proprio “viaggio” percettivo, visivo e tattile nel mondo dell'astronomia. Per
la
planimetria,
gli
architetti
si
sono
ispirati alle leggi matematico-geometriche che
regolano
il
sistema
planetario.
Il
principio è, seppur in scala enormemente ridotta, quello che consente a Saturno di essere cinto dai suoi caratteristici anelli. In questo
caso,
autonome
le
e
centrale,
sette
ben
cabine
distinte
richiamano
eliocentrica,
interstellari, dal
la
esattamente
corpo
struttura
come
fossero
pianeti che orbitano intorno ad una massa stellare:
hanno
dimensioni
e
superfici
diverse, alcune sono parzialmente interrate, altre sembrano essere state adagiate sul prato. Nonostante sistema intorno corpi
il
chiarissimo
solare, alla
celesti
i
pianeti
“stella”
del
riferimento che
orbitano
Planetario
immaginari,
che
al
sono
hanno
un
proprio nome originale: sei di questi hanno un
diametro
ospitare
di
8-10
rispettivamente
metri
e
fino
a
possono 10
e
32
persone. Il pianeta più piccolo, chiamato Zolo,
ha
un
diametro
di
6
metri
ed
è
composto da una cabina con due letti, per una suggestiva notte indisturbata sotto le stelle.
La struttura centrale, parzialmente interrata e
si
sviluppata su tre livelli, è il primo elemento ad
terrazza
attrarre lo sguardo del visitatore in arrivo dal
telescopio, si aggiunge il piano terra, con
percorso
un’area
a
confonde
piedi con
esponendo essenze
il
tracciato
le
colline
tetto
erbacee
nella del
sinuoso
locali,
con
foresta:
si
paesaggio, ricoperto
note
di
accede,
mediante
esterna
giochi
Snøhetta
una
per
rampa,
l’osservazione
dedicata
porta
alla
ai
al
bambini.
all'esasperazione
il
di
concetto di architettura come prodotto di
erica
un'ispirazione dal mondo naturale, facendo
selvatica e cespugli di mirtilli. La copertura
coincidere
avvolge
contenuto, riproponendo in scala umana e
e
protegge
dell'osservatorio, costellazioni, transizione
su
diventa
tra
il
la
calotta
cui
sono
così
paesaggio
dorata
perfettamente
la
forma
ed
il
incise
le
urbana quelle stesse dinamiche planetarie
l'elemento
di
che
naturale
la
divulgare.
e
l'Osservatorio L'universo,
l'obiettivo
che
si
voglia
comprendere
rivela gradualmente all’osservatore man mano
puramente
che si avvicina al fuoco centrale.
essere una inesauribile fonte di ispirazione
nucleo
dell’edificio
è
il
teatro
celeste,
capienza massima di 100 visitatori alla volta, una scenografica ricostruzione immersiva dei moti
cosmici
di
pianeti,
stelle
ed
elementi
spaziali. Ispirandosi al primo planetario della storia, concepito da Archimede intorno al 250 a.C., il teatro celeste vuole essere un simbolo del
livello
millenni
di
di
progresso
ricerca
in
raggiunto
campo
in
due
astronomico
e
scientifico. Alla dotazione di servizi museali di base (il bar, l’area espositiva e la reception, che sono distribuite intorno al nucleo) da cui
termini
lo
di
struttura artificiale: fuoriesce dal suolo, ma si
Il
in
ha
concettuali,
matematici non
e meraviglia. Saturno docet!
smette
o di
Il Signore degli Anelli, Saturno? Bel posticino, da lì si può ammirare un'aurora mozzafiato! Sì, proprio come quella terrestre. Sai, ho letto che due volte ogni 29 anni e mezzo, cioè circa ogni 15 anni, se osservato dalla Terra, Saturno appare senza anelli: è un'illusione ottica. Tra una decina d'anni-luce magari passo a trovarti...
ALLACCIATE LE CINTURE
PONTE DI EINSTEIN-ROSEN! STIAMO ENTRANDO IN UN
SIAMO GIÀ SU
PLUTONE!
I NANI sono sottovalutati DI
ELIANA
PARDO
, Se è vero che in ognuno di noi è racchiuso un piccolo artista allora questa volta quasi mi preme presentarvene uno a qualunque, uno ignoto a tutti, uno di quelli che non appen ne senti parlare ti viene da pensare “ma vedi un po’ che lo e scemenza, avrei potuto essere il protagonista di ‘sto artico cato nessuno avrebbe notato la differenza”. Ebbene hai azzec . una rima e il tema del mese in un unico colpo, complimenti a Mettiamola così, vediamo se una grezza descrizione riesce reggere il tutto: siamo la costante proiezione di infiniti punti si su altri infiniti punticini, universi tutti diversi coinvolti in univer più grandi; delle matriosche scomposte che a volte paiono non ricordare bene come incastrarsi tra loro.
tu, Quindi l’artista in questione con tutta probabilità non sarai
ma ciò non esclude che non potresti esserlo in futuro; ed ecco il punto di svolta: c’è spazio per tutti. Che poi il bello di tutto ciò, in tutta sincerità, penso che sia proprio quello di non capirci assolutamente nulla e di usare metafore come pretesto per darci una risposta quantomeno comprensibile. o Quindi a questo punto mi sono domandata: chissà com’è come appare l’universo visto dalla mente di un bambino; chissà a quante cose in più riescono a credere quei nani rispetto a me …
Ed eccomi qui, con l’artista di oggi: Marta, sei anni. Non mi è tenuto presentarvela in altro modo se non così, ma giuro che ci sarebbe davvero tantissimo altro d’aggiungere sul suo conto. Ad ogni modo stava studiando il sistema solare e io ho pensato bene di prendere la palla al balzo (o il pianeta, se proprio dobbiamo rimanere in tema) e di chiederle spiegazioni in merito all’argomento che stava studiando e rielaborando. Niente da fare, sapeva più di quanto ci si potesse aspettare da un/a bambino/a dell’elementari; anche se, forse, la verità è che sottovalutiamo questi
nanetti più di quanto dovremmo.
Poi però mi ha chiesto di dare un voto al suo disegno, e in quel momento mi fu chiaro che non avevo proprio capito nulla
unicità con cui ci appartengono e con
riguardo la semplicità e l’
cui apparteniamo alle cose che ci circondano.
Aveva rappresentato il sistema solare su un foglio a righe di un quaderno
qualsiasi
coi
margini,
ben
posizionato
in
orizzontale,
collocando il Sole e i pianeti in ordine da sinistra verso destra. Un semplice schizzo, interamente disegnato e colorato a matita, nel quale spiccano le tonalità calde e vivaci del Sole e di Marte, seguite da quelle più fredde della Terra e di Urano. I pianeti sembrano esser stati fissati nella loro posizione corretta e ciò lo si deduce facilmente, soprattutto dalla nota posta sotto ognuno di essi, a indicarne il nome; tuttavia, un pianeta in particolare tra quelli disegnati sembra attirare la nostra attenzione: Plutone. Teoricamente, tale pianeta, avrebbe dovuto essere rappresentato dopo Nettuno, in fondo a quello sproporzionato schieramento, ma appare invece dinanzi a tutti, lievemente spostato e attratto verso il basso. Plutone è un pianeta nano, orbitante nella parte esterna del sistema solare e considerato fino al 2006 il nono pianeta del sistema solare per le dimensioni del suo diametro; per cui, a questo punto, capirete bene che la mia domanda non fu “perché hai inserito Plutone nel disegno?”, bensì: “perché l’hai disegnato lì?”
A #TE
MP
LUT
O
Avevo supposto che fosse stato un modo artistico tutto suo per esprimere un qualche
concetto
profondo
come
la
solitudine,
l’esclusione;
credevo
che,
finalmente, qualcuno avesse trovato un modo semplice per includere il diverso, risaltandolo anche. Plutone, da sempre descritto come il corpo più bistrattato dal resto dei pianeti del sistema solare, si ritrova adesso davanti
a tutti; li supera, li lascia indietro per
riscattarsi dinanzi ai raggi controllori del Sole. Altro che pianeta nano o Plutino.
Un pianeta con le chiazze, declassato senza preavviso; chissà quante volte ci siamo sentiti proprio come lui: un po’ inutili e, magari, anche di troppo. Pianeti nani sottovalutati.
Ad ogni modo io stavo ancora aspettando la risposta di Marta, no? Ebbene, dopo avermi strappato il quaderno a righe dalle mani me la diede; ciò che disse mi
sono c’era
fece sorridere, e poi di nuovo riflettere: “
andata accapo perché abbastanza spazio”.
non
E quella versione della storia forse mi piacque di più:
se
non
c’è
spazio
per
noi,
tanto
vale
crearselo da soli e ricominciare.
“Ci hai mai pensato che se si va accapo si diventa il primo della fila?” “No, mai. Comunque, Marta, se non sbaglio Urano non ha gli anelli come Saturno…” Aveva
chiuso
il
quaderno,
infastidita.
Ora
che
ci
bambina forse se ne intendeva molto più di me di arte. “Ma quindi ti è piaciuto il mio disegno o no?”
ripenso,
quella
Rimanete comodi sui sedili, la Redazione vi offre una cioccolata calda perché, per quanto possa sembrare caotico e colorato,
l'universo sa essere un luogo terribilmente freddo e silenzioso...
ERIS DI EMMANUELE ZOTTOLI
Spira un vento leggero dall'orizzonte senza veli, mentre si odono a frammenti i passi abbandonati. Qui su Eris, divisore di cuori, ogni giorno ha il sapore dell'aspro e il mio animo è una cosa lasciata in disparte, gettata all'infuori su questo ultimo astro, dimenticato anche dalle carte che riposano sulle navi. A giocare con i sassi non ci guadagno che echi solitari, e uguali sono i miei occhi ai crateri che straziano questa Terra. Ogni orbita piovono molte miglia solari ed il centro è un ricordo che langue. Alle prime albe quasi più non scorgo i destrieri della speranza, Solo tu mia dea straziata mi regali baci di esilio. Avviene solo un triste giro che mi riporta a questo passo, Il tutto diviene inconsistente come canti donati allo spazio. Solo un timido raggio a scaldarmi il petto, che si perde nel buio del cielo.
L'ORIZZONTE DEGLI EVENTI di Tania Ferrara
Il petto sembra esplodere, una voragine sempre più grande cattura ogni istante, ogni briciola di mondo. Un versicolo sbieco e impotente descrive l'abisso, più denso in un punto solo. Il marciume degli altri è qui, sulla mia pelle color di luna, il buco nero dei miei ricordi, uno spazio oscuro, una coppa in cui scivola cenere celeste.
R I L A S S A T E V I U N P O ' , I L B U C O N E R O E R A S O L O U N A S C O R C I A T O I A !
O R A
S E I
I N
U N ' A L T R A
G A L A S S I A
ANDROMEDA
is a big, wide, open galaxy
È
possibile
affrontare
il
tema
della
felicità
umana
attraverso
il
racconto di un viaggio interstellare? Ebbene sì, e a farlo è Tommaso Landolfi
nel
racconto
Asfu,
appartenente
alla
raccolta
Il
Mar
delle
blatte e altre storie. Tutto parte da un dialogo a due voci riguardo il
DI LAURA COLOSI
mito
dei
romanzi
rifletterebbero
la
russi,
vita
tanto
com’è,
per
celebrati
dal
cui
facile
risulta
pubblico
perché
riconoscersi
nei
personaggi e nelle loro avventure. Il primo personaggio a prendere la parola ritiene il mito che aleggia intorno a tale letteratura del tutto fasullo, del resto la verità non esiste, non c’è un uomo uguale all’altro e non esiste una norma. La sincerità, che è il massimo della verità di fronte
a
se
matematiche che per
fa
da
stessi, poi,
sono
controparte
felicità.
protagonista
Il del
è
invece
possibile,
un
metodo,
alla
prima,
primo
non
chiede
interlocutore,
racconto,
per
la
ma verità.
allora
che
rispondere
inutile.
si al
La
cosa
Anche
le
seconda
voce,
intenda
l’altro
svelerà quesito
essere
il
racconta
di
quando, per iniziare gli studi universitari, ottenne di trasferirsi in una città lontana dal paese dei genitori. Da questo soggiorno sognava di ottenere donne, gloria, ricchezze e soprattutto avventure e del resto le ebbe, ma non quelle donne, quei caffè notturni e quelle avventure che
voleva.
Attraverso
l’uso
dei
dimostrativi,
tipico
leopardiano,
si
sottolinea il labile confine che intercorre tra sogno e realtà, desiderio e felicità.
«Ma
immaginate
che
intraprenda
Alle
un
fermate
delle
varie
stazioni
viaggio verso la Nebulosa d’Andromeda.
salgono
controllori,
Ecco, sono sicuro di non arrivarci mai,
marziani,
plutoniani,
perché
strubolani. Si basano antipatie in base
la
vita
non
mi
basterà
a
percorrere tanto spazio e morrò prima.
alla
Tuttavia io viaggio verso la Nebulosa d’Andromeda,
verso
Asfu,
la
provenienza
questi
brillante
perché
visi
»)
c’è
vedono
lacanotteri
«che
settentrionali
zittisce
città, verso l’Università di Asfu, verso le
(
si
e
un
e
antipatici poi
ci
si
compaesano
folle di Asfu che potranno acclamarmi,
terrestre che può capirci. Un bambino
verso le case da gioco di Asfu, verso i
continua
caffè-concerto
Dov’è Marte? Dov’è il Sistema Solare?
di
Asfu.
Però
non
ci
arriverò mai. Ebbene, ecco appunto che
-
cosa intendo per felicità, ecco l’unico
che
a
a
un
spazientirsi,
modo possibile di concepire la felicità.
tutti
Ma osservate ancora questa mosca che
i
finestrino
delle macchie circolari al portacenere; di
Testa
una tale natura appunto sarebbe il mio
(dove
i
dimostrativi
non
certo non
può
mica
non
si
finisce
l’Ammasso
pena
bastano
una
e
neanche
mondi
arriva
al
in
guerra.
confine
con
Ma
Per
Oramai
protagonista
intenda
meglio
felicità,
cosa
il
Landolfi
prende alla lettera le sue parole e in medias ci
fa
salire
a
bordo
di
una
vettura
diretta ad Asfu, Nebulosa di Andromeda, la lumière
de
l’univers
dove
donne
e
case
da
gioco non mancano.
Il protagonista è la prima volta che va fuori da Galassia, ha studiato in una cittadina di Marte
ed
è
stato
a
Sirio
due
volte
per
affari. In strampalati dialoghi frammentari i signori
presenti
sul
bolide
spaziale
si
raccontano, parlano di fidanzate, impegni e viaggi e quando scendono si augurano buon proseguimento.
cose,
la
Messier
costosa
Andromeda?
interstellare.
res
Dal
quando
del pomeriggio, ora siderale.
per
per
introdurre
queste parole riguardo un ipotetico viaggio spiegarci
-
conoscere
tante
possono
peli,
padre
dell’universo!
scorgono
Cavallo,
o
punto
al
multa), la Nebulosa America e persino due
Ma
si
di
capelli
invece dovessi mai arrivarci».
domande
sistemi
compie lentamente il tragitto da una
viaggio alla Nebulosa d’Andromeda, se
fare
tranne
stanno il
scendendo
protagonista
e
quasi
una
si 3
tutti,
graziosa
signorina, entrambi diretti ad Asfu.
Eccoci
«Stavo
dicendo,
diventeremo
buoni
arrivati
quindi
alla
Nebulosa
di
Andromeda, che in realtà è una galassia.
amici?».
Un tempo la si chiamava grande nebulosa
«E come no, certo Signore».
di
«Avete famiglia ad Asfu?». «No,
sono
sola,
degli
vado
a
studiare
all’Università». «Oh,
Andromeda
che
fortuna
di
nuovo:
anch’io!
Potremmo
andare
ad
abitare
insieme
forse…». «Eh come correte! Del resto vedremo, vedremo. Guardate, si comincia a vedere
strumenti
si
pensava
una
sorta
Osservate
quello
che
impiegati!
ci
guarda
essere
la
doppio
questi
una
nuvola
precisamente
diventerà la nostra stella». gentili
fosse
di
scoperto
ospita.
sono
precisi,
possedendo
in
grado
di
nebulosità,
di
polvere
quindi
e
di
gas.
Oggi con le più recenti attrezzature si è
«Oh, è la prima volta che lo vedo! Esso «Come
non
osservare più nel dettaglio i corpi celesti,
come
il Globo Centrale».
perché,
una
Via
di
a
la
spirale
pronunciato
di
ha
più
stelle.
In
nucleo
una
quanto
centrale
più
«Oh sì, è una terra di delizie Asfu, non ci
dove
siete mai stato?».
anche la galassia più vicina alla nostra.
ha
la
braccio
ci del
contiene
un
un
è
che
teneramente».
si
e
più
spirale
galassia
e
quantità
e
a
dimensione
questa
grandissima
galassia
galassia
Lattea,
Come
galassia
una
formazione
a
spirale
stellare.
Ed
è
«No». «Bene, allora vi farò da guida. Andiamo,
È
siamo quasi arrivati».
la
«Siamo arrivati siamo arrivati, allegro,
espediente.
siamo arrivati ad Asfu!».
sagaci
«Che
vuole
costui?
Non
capisco
una
parola di ciò che dice». «Parla
in
andromedeo,
non
l’avete
ha notato fin da quando è entrato in servizio, ai confini della nebulosa, e, visto siete
uno
straniero,
però
galassia
vuol
darvi
il
benvenuto della sua terra». «Oh, grazie, grazie». «No, Signore, vi prego, voglio tenervi il cappotto, infilatelo, fa freddo da noi». «Grazie, grazie, mi confondete…». «Guardate come è diventato brillante il
che
di
in
Come
fantascienza
questo
Andromeda avviene
racconti
discorso
studiato neanche un po’ a scuola? Egli vi
che
evidente
è
funge
da
spesso
nei
landolfiani,
resa
altro,
strumento
i
apparentemente
racconto
suoi
lontani
la di
un
problemi
non
sono
altro
che i nostri. È il caso del problema della felicità come
umana, qualcosa
costante
di
cui
ricerca,
ardentemente
immaginato. realtà
Il
si
profondità.
a
l’uomo
quello
mostra
tra
mai che
in
può aveva
immaginazione
in
tutta
arrivati
ad
Asfu,
sua nella
gigantesca
«E’ la nostra stella, è deciso».
l’uomo non sarebbe pienamente felice, è
«Ci siamo ci siamo!».
nella
«Arrivati arrivati!».
tra immaginazione e realtà non esiste.
natura,
quella
di
la
Globo Centrale!».
sua
Galassia
è
desidera
che
divario
Anche
dall’autore
che
ma
corrispondere
e
concepita
Andromeda,
corrispondenza
La distanza spaziale e temporale che Landolfi
Looking up to the sky for something I may
crea permette l’assunzione di un altro punto di
never find ,
vista,
singolo
attraverso
cui
configurazione
uscire
del
antropocentrico.
Nel
dalla
cosmo racconto
chiusa
tolemaico Asfu,
vi
è
un
della
nel
suo
pianeta.
la
chiamata
piccola
qualcosa
vettura
si
sia
si
chiede
fermata
a
una
come
mai
stazione
verso
cantautrice
racconto,
lontano,
signora
un
di
Andromeda,
statunitense
Weyes
Blood. L’autrice del brano, così come Landolfi
cenno breve ma significativo riguardo il nostro Una
recita
come
parte
una
a
lei
qualcosa
gigantesca
Andromeda, di
da
per
di
galassia
approdare
molto
vicino,
a
intimo,
come la Terra, sospettando qualche guasto, e
problemi che riguardano la propria esistenza,
il
i
protagonista
rassicurandola
semplicemente che
è
una
di
una
stazione
sì
che
coincidenza, piccola
ma
si
tratta
sottolinea
importante.
propri
storia astri
sogni,
che
si
e
le
ripete,
chiedendosi
l’uomo
quale
sia
della
direzione
moto
lontano per scavare le profondità del proprio
mondi
possibili,
l’esistenza
è
uno
dipende
dei dal
qualcosa
ora, critica
all’antropocentrismo,
2051
nell’oramai e
vicino
ritornando
presente in questo e altri racconti landolfiani,
chiamata mitologia astrale.
presente
sideronebulare,
nella
raccolta
Il
racconto
Mare
delle
sempre blatte
e
altre storie. Questo trattatello, scritto secondo la finzione letteraria a Honolulu Hawaii (Terra) nel
gennaio-marzo
esempio discute
di
quale
Nebulosa
gravita
la
2051,
falso
«grande
della
cosidetta
del
prosa
è
un
erudita.
galassia
Iflodnalian
nebulosa
di
chiaro
In
esso
si
spiralica,
la
»,
intorno
alla
Andromeda.
Il
tema leopardiano che lo caratterizza è quello della social catena:
«E
anche,
ciascuno
riconoscere
negli
ha
ormai
abitanti
imparato
degli
altri
a
mondi
fratelli più o meno lontani e, in quelli di Galassia almeno, fratelli della stessa latitudine. Vantiamo tutti la medesima origine, nulla ci è alieno dell’universo,
o
almeno
del
sistema
causale,
perfino la materia che ci informa è in definitiva la medesima; di che momento dunque dovranno apparirci distanza?»
dieci
o
in
estremamente
ventimila
«Riconosceremo
anni-luce
nostri
abitanti della più remota nebulosa»
fratelli
di gli
un
indietro
all’antica
come Astronomia esposta al popolo, nozioni di
Grecia,
e
teoria del piacere, il gusto leopardiano è ben
astronomia
di
sguardo
essere. È sempre accaduto e sempre accadrà,
casuale della materia.
Dimostrativi,
di
suo
senso
gli
tanti
Terra
il
il
guarda
la
è
La
punta
che
È
propria
importante.
che
speranze.
La signora però non è d’accordo, La Terra non troppo
vita,
proprie
ma
quella
tempo nel è
lontano
tempo
un'altra
sino
storia
Sul mio pianeta, la stella principale della costellazione di Andromeda, "alfa Andromedae", viene chiamata anche "al-faras", che sulla Terra significa "ombelico"! Voi terrestri siete davvero strambi! In realtà questa stella faceva parte della costellazione di Pegaso, e indicava proprio l'ombelico del cavallo alato della mitologia. Certo che lo conosco, ho letto anche Omero, sai? Hey, ma sei quasi alla fine... Forse...
IL GRANDE STRAPPO DI ALESSIA PIERNO
Una ad una, giovedì, si spensero le stelle: caddero, fredde, noi non sapemmo come. Rimasero livide le orbite e vuote arrancanti nel buio dopo il Grande Strappo.
Lascia lo spazio un corpo che muore al ricordo di un tempo che non verrà più. La vita fu un attimo, l'attimo pure in cui persi tutto. L'universo, tu.
IL GRANDE STRAPPO o BIG RIP è un'ipotesi cosmologica sul destino ultimo dell'universo che prevede la scomparsa di ogni residuo di materia, del tempo e delle distanze.
Hey, non mi sono ancora presentato! Sono Kunt, il marziano di Flaiano. L'ultima volta che sono stato sulla Terra era il '54, ma ho continuato a leggervi, mi mancavano i vostri libri. Che sto leggendo ora? La nuova rubrica di Fiat Lux, roba dell'altro mondo.
VOICE-OVER NUOVA RUBRICA
UN POSTO DOVE CHIUNQUE PUÒ NARRARE
INDICE
In
questa
prima
inserzione
della nuova rubrica trovate: Troppo
giovani:
di
Alessandro Pestarino La CHE COS'È VOICE-OVER? Come
è
stato
annunciato
"AMPLESSO",
il
precedente,
siamo
di
Giulio
Iovine
in
numero lieti
svedese:
di
Mq: di Federica Piottoli
inaugurare Voice-Over, la rubrica di
Fiat
Lux
dove
chiunque,
compreso te che stai leggendo, può
avere
l'occasione
di
essere
pubblicato e di mettersi alla prova. Per
entrare
a
far
parte
la tua poesia, il tuo racconto, la tua fotografia, la tua critica letteraria, nostro
o
cinematografica indirizzo
al
fiatluxrivistaletteraria@gmail.co m.
Per
qualsiasi
informazione,
criminale:
Davide Della Guardia
del
prossimo numero ti basterà inviare
artistica
Amore
puoi
contattaci sui nostri social!
ABBI IL CORAGGIO DI SPLENDERE!
Giove: di Giusy D'Auria
di
Troppo giovani Ci dicono che abbiamo tutto il tempo, e così ci rubano la vita. Siedo qui con un altro coetaneo, attendo il mio turno, ma non mi aspetto più nulla. È un gioco che si è già ripetuto, e ci sono abituato. Ci siamo abituati tutti noi. Noi chi? Noi giovani. Trattati come eterni bambini, ma costretti a sopportare le delusioni degli adulti. Esce una segretaria e chiama il rossiccio che mi sta di fronte. Il tizio è troppo nervoso. Per tutto il tempo non ha fatto altro che aggiornare la home di un social. Eppure la regola è semplice: accogliere tutto, senza pretese e ringraziando. L’Italia è fatta a misura di vecchi, e loro sanno fare solo una cosa: dare o non dare premi. Il lavoro è un premio. Un premio magro in realtà, che essi lesinano perché convinti che il tempo sia dalla nostra.
Io l’ho ricevuto tre volte, e ho capito quanto poco
valesse. È uno scambio: dall’alto dei loro privilegi, i vecchi sostituiscono l’ostilità col paternalismo. Perché noi giovani abbiamo sempre qualcosa da imparare. Siamo troppo pretenziosi, troppo viziati, troppo euforici, troppo convinti, troppo… troppo giovani. Ci danno la libertà dell’allievo diligente: buoni consigli e calorosi incoraggiamenti, ma mai l’iniziativa. Così non possiamo fallire. Se qualcosa va male è perché abbiamo avuto troppa fretta. Il nostro tempo verrà. Ma quando, per Dio, quando?! Devo ammettere che sono bravi. Questa idea mi ronza da parecchio in testa. Anche adesso. Forse, ho sbagliato a venire. È una stronzata, ma che posso fare? Ribellarmi? I vecchi si sono messi al sicuro. Ricoprono assieme il ruolo di nemici e benefattori. Come trovo il coraggio di bruciare la mano che mi sostiene? Se non fosse per la pensione dei nonni, non mi sarei comprato la cravatta che ora mi sta soffocando. Il carotino ritorna, scuro in viso.
«Non preoccuparti, ne abbiamo di tempo noi». Mi ignora e sparisce nell’ascensore. So essere acido alle volte. Ma è la cosa più simile alla rabbia che mi è rimasta, e la sputo quando mi va, tanto per sentirmi un po’ meglio. Tra poco mi chiameranno. Viviamo per essere selezionati. Comunque vada, non so se farò altri colloqui dopo questo. L’orgoglio mi ha spinto a rinunciare ai sussidi fino ad ora, ma ho capito di essere troppo giovane pure per quello. Ecco la donnina. Mi
avvio.
Ho
un
«Signor P.? Venga». gran
voglia
di
mollare
tutto
e
uscire
a
fumare.
Però
stavolta
una
cosa
gliela
voglio
domandare, tanto per alleggerirmi di quel groppone, a metà tra il peso e la ripicca, che mi grava sullo stomaco. Siete sicuri di non essere voi troppo vecchi?
di Alessandro Pestarino
La svedese Era
bionda e aveva lo sguardo tondo e inespressivo dello squalo azzurro (per chi non lo conosce; chi lo ha
visto da vicino sa che non è inespressivo per niente). Mi dissero che era svedese. E credo sapesse di essere notata solo perché evidentemente straniera. Forse era il modo che aveva trovato per essere speciale, anche quando nulla in lei lo era. Quando vidi il ragazzo a cui si accompagnava fui stupito. Basso, robusto, scuro, decisamente brutto, tanto quanto lei era bellissima. Mi dissero che era spagnolo. Mi chiesi se fosse proprio quello che l’aveva colpita. Non ho potuto fare a meno di pensare che il loro farsi compagnia fosse tutto dovuto alla reciproca voglia di esotismo. Poi successe qualcosa di strano. Anzitutto, lo spagnolo si inginocchiò improvvisamente davanti alla svedese, a mani giunte, pregandola in un pastrocchio di lingua che non riuscivo a riconoscere. Se all’inizio nessuno ci fece caso, era perché parlava piano. Ma quando iniziò a urlare fummo costretti a voltarci, tutti noi nel bar, e chiederci che diamine stesse succedendo. Mi resi conto che il poveretto non stava parlando spagnolo come mi aspettavo, ma svedese con un terrificante accento spagnolo. Ecco perché non ci capivo nulla. Lei da parte sua scuoteva dolcemente la testa, sorrideva scoprendo i denti bianchissimi come coltelli di porcellana, e gli carezzava la testa – ma non proferiva parola. - Bisogna che diciamo al buttafuori di liberarsi di questi due, disse il mio vicino al bancone. - Non preoccuparti, gli risposi. – Sento che è un crescendo. - Un che? - Stiamo per esplodere. Vedrai. Di lì a pochi secondi la svedese afferrò le spalle del suo compagno, ed esibendo una forza che non le sospettavo lo costrinse a rovesciarsi sul dorso. Lui non oppose resistenza, fissandola come ipnotizzato e lacrimando copiosamente, il suo respiro un incessante su-egiù del torace. La svedese allora, approfittando di questo suo stato catatonico, gli tirò giù i pantaloni. Notammo con sgomento due membri di straordinaria lunghezza, identici, che ballonzolavano all’aria come punti esclamativi senza la frase prima. La donna ne parve compiaciuta, ma non stupita; si calò i pantaloni pure lei, e afferrando uno dei due membri come fosse la leva del cambio di una macchina, si sedette a cavalcioni sul compagno e inserì il membro nella sua vagina. L’altra nerchia, rimasta orfana, continuò a oscillare, come presa dallo sconforto. Non ricordo chi ha descritto il coito dei leoni come ‘breve e meccanico’. Forse era in Bridget Jones. Per questi due fu più o meno lo stesso. Dopo mezzo minuto, forse un minuto intero, in cui la svedese si muoveva come uno stantuffo avanti e indietro sulla sua cavalcatura, la cavalcatura di cui in oggetto – il povero spagnolo – gridò AY MADRE DE DIOS e inarcò il bacino con violenza. Così facendo, e lavorando di addominali in un unico guizzo, sollevò le gambe in aria, mostrando la nerchia mostruosa che pompava all’interno dell’opercolo della svedese. Ma quale non fu la nostra sorpresa quando, dopo che la nerchia ebbe finito di pompare, la vagina della svedese si dilatò del triplo della sua precedente estensione: e qualcosa strisciò dall’interno del ventre della donna fin dentro il membro dello spagnolo, percorrendolo in senso inverso, e rintanandosi nel ventre di lui.
Lo spagnolo ricadde infine a terra con tutto il suo corpo, canticchiando in una specie di sopore comatoso non so che canzonetta di casa sua una cosa piena di ay, dolhor, amor hermoso, llegar e volver. Il suo bacino si muoveva debolmente. All’interno del suo ventre qualcosa ribolliva e borbottava. La sua compagna, rialzatasi i pantaloni, si voltò verso di noi e disse, senza troppe cerimonie, anzi con un marcato accento svedese: - La fecondazione è andata a buon fine. Ora dovete essere rapidi e metterlo in una vasca di acqua calda, anche un idromassaggio va bene. O sennò al mare, dato che siamo a Napoli ed è caldo. E dovete stare vicini a lui e nutrirlo – lui non ve lo chiederà perché sarà in coma fino alla schiusa delle uova. - Quali uova…?, chiese uno con il suo gin tonic sospeso a mezz’aria. - Quelle che ha dentro di sé. Quelle che ha fecondato con la sua sbobba e poi io gli ho passato perché le incubasse, rispose lei senza farci caso. – Il maschio va sempre incontro a questo cambiamento di metabolismo per i due mesi dell’incubazione. Diventa torpido e non risponde agli stimoli finché le uova non si schiudono e i piccoli
escono
dalla
tasca
ventrale.
Quando
partorirà,
lasciate
pure
i
piccoli
a
nuotare
nel
mare
–
o
portateceli, se avrete messo il maschio in una vasca. Bene, direi che non manca nulla. Ah, sì: quando saranno nati, mandatemi una mail e qualche foto, mi farà piacere. Vi lascio l’indirizzo. E prese a scrivere su un foglietto di carta. - Signora, credo che a tutti noi sia sfuggito qualcosa di quello che abbiamo visto, interloquì una ragazza cercando di non vomitare il suo cocktail. La donna si fermò. - Nessuno di voi ha mai fatto sesso con una svedese? Ci guardammo. - No, risposi a nome di tutti. - Bè, questo è quello che succede quando lo fate, riprese lei spazientita. – Tanto vale che lo sappiate, casomai andaste in vacanza in Svezia un giorno. E, lasciata la sua email su un pezzetto di carta al bancone del bar, se ne andò. Il signore col gin tonic sospeso in aria lo bevve tutto d’un fiato, e nel silenzio generale chiese ad alta voce: - Ma quindi tutti gli spagnoli hanno due peni?
di Giulio Iovine
Mq Mesi e mesi di agonia quasi ci hai fatto l’abitudine ma questo non la rende gestibile. mondo ormai ristretto a quattro pareti per ventiquattr’ore mentre il tuo cervello fa quarantadue chilometri maratoneta di ansia agonistica. quando intravedrai la fine? meta non sembra in vista quando è la tua scatola cranica mappa dove si snoda la pista. quota irraggiungibile di metri quelli macinati dentro te nella quiete relativa di pochi metri quadrati dove il moto perpetuo quotidianamente trova infinito spazio.
di Federica Piottoli
Amore criminale L'amore è l'artista di un quadro che sta bruciando per il troppo amore. Arde su fiamme, si infiamma con le fiamme, la pittura fiammeggiante si scioglie. Questo quadro un tempo luminoso, un mazzo di rose rosse d'amore, oggi non è che fiamma. Goccia dopo goccia la pittura cade, ogni goccia è una lacrima versata in nome di un singolo uomo che un tempo fu amato, era l'universo per lei ma ora è il nulla. Un tempo era gioia, un minimo fotogramma di un amore infinito. Ora il quadro è solo una tela nera, che si accartoccia, ora è la bellezza che muore. Una bellezza nociva, nascosta dietro un accecante pittura gioiosa. Ora di quella donna, di quell'eterno amore e di quella bellezza, non si vede null'altro che un amore che muore, un amore amaro. Un amore insensibile al cuore e al dolore. Prima in quel quadro c'era vita, ora c'è per sempre la morte. Prima in quel quadro era primavera, adesso è nell'inverno più buio e rigido dei sentimenti. Si poteva immaginare di sentire il profumo di fiori, ora nell'aria c'è solo una terribile puzza di sangue e bruciato, l'aria è soffocante non si respira mai più. Se prima piangevano per le battute, ora piangono per le mani. Maledicono le mani e il sogno d'amore, maledicono il cielo e aspirano alla luce della morte per porre fine alla vita quotidiana fatta di botte. Ora aspirano al mondo, alla vita di chi si presume essere felice. Maledicono quel sentiero che lì ha portati ad incontrarsi, perché lì nascosto tra i prati in fiore e le farfalle nello stomaco c'è un motivo per star male, una vipera che si mimetizza nell'amore. Dove prima c'erano farfalle, ora ci sono aghi appuntiti che fanno male. Il conflitto tra il sogno e l'incubo è stato vinto dal più brutto di ogni incubo. Il buio regna sulla terra, null'altro si può vedere in vita. Prima il rosso era delle rose, il rosso era della vergogna. Ora il rosso è del delitto d'amore, ora il rosso del delirio del cuore. Il cuore prima delirante amava, ora il cuore delirante piange lacrime di sangue. Dove cantavano le urla l'amore, ora cantano le urla di pazzia. Quella luce degli occhi si è spenta per sempre, al suo posto c'è sangue. Sul pavimento prima c'erano rose rosse e candele, ora sangue e il quadro che brucia i nostri corpi, un fuoco che uccide i nostri sogni sebbene per un po' lì abbia alimentati ora li sta divorando. Prima il tempo era troppo poco per stare insieme, ora è troppo lungo per alcuni, nullo per altri. I sentimenti sono volati via da un campo ormai sterile. Dove prima crescevano rigorosamente i frutti di un vero amore, ora si scopre che era solo un esempio di quell'amore, un esempio della nostra realtà. L'amore che è l'artista del quadro, ha saputo dipingere una meravigliosa tela tanto che sembrava reale ma era solo una illusione d'amore creata da un bravissimo pittore. Era solo un'illusione creata da un bravissimo poeta che canta l'amore eterno, ma poi quell'amore di eterno non ha nulla se non la violenza e la morte. Una donna ha colto quello che le sembrava un fiore molto bello e pieno di colori, ma poi col passare del tempo si è rivelato per quel che era cioè un fiore assassino, spesso in natura accade le cose più belle sono le più pericolose.
Quello che la donna ha vissuto non era che un miraggio dell'amore, nella sua vita quell'amore non potrà mai provarlo perché privata della vita per colpa del suo amore. Forse l'unico amore che potrà vivere è quello dei suoi figli, amici e familiari. Ma non ascolterà mai quell'amore puro, ma sempre quell'amore malato un po' per paura un perché è convinta che cambi e in fondo lo ama ancora, in fondo ha solo perso il conto dei lividi. Tutto crolla giù, come un castello di carte bruciate d'amore. I cuori sulle carte spariscono poco a poco, il fuoco uccide la regina di cuori e quel che resta di quel mazzo sono solo carte di picche nere. Il quadro scompare, forse per la paura, forse per la negligenza o l'imperizia. Imperizia, perché questo mondo è continuamente un mondo nuovo pieno anche di vero amore.
di Davide Della Guardia
Giove Tu che siedi lì fermo e inerme tu che mi sbirci dallo spioncino del tuo cuore tu che ti fingi incapace di amore Tu, di cos'hai Paura?
È così immenso l'Universo da posizionarci nello stesso posto Bocca e bocca, paura e paura al di sotto mi ardi dopo secoli di guerre e conflitti tra sguardi
E ora cosa fai Giove, vuoi resistere alla tua Venere?
Illustrazione realizzata da Giusy D'Auria @_.lady_rebel._
di Giusy D'Auria
SIAMO GIUNTI A DESTINAZIONE, ALLA CONCLUSIONE DI QUESTO VIAGGIO: I PORTELLONI STANNO PER APRIRSI, L'EQUIPAGGIO DI FIAT LUX TI SALUTA!
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