VEGANO PER L’AMBIENTE di Davide Tremante
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robabilmente conosci già il lato animalista della dieta vegana, ma è facile supporre che tu non ti sia mai soffermato su quello ambientalista. Stando ai dati, il settore agroalimentare risulta essere il più inquinante dopo quello della produzione energetica e dei trasporti (con i quali, ad ogni modo, è strettamente correlato). Guardando più nel dettaglio, dal settore agroalimentare provengono circa il 13/18% delle emissioni di gas serra e, di queste, il 65% proviene ESCLUSIVAMENTE dall’allevamento di bestiame. Alla luce di questo, parlarti della dieta vegana da un punto di vista diverso rispetto a quello con cui hai probabilmente già avuto modo di interagire. Eccoci, dunque, ad affrontare la scelta di vita vegana non tanto vedendola come una filosofia di rispetto dell’animale bensì dell’intero ambiente, ossia come un’etica della sostenibilità. Procediamo per temi:
- Deforestazione L’avresti mai detto che, pur da “onnivoro”, consumi circa 60kg di soia all’anno? Sì, perché la soia è uno dei principali mangimi per gli animali da allevamento, ci vogliono infatti dai 50 ai 109 grammi di soia per produrre 100 grammi di carne. Nel 2018, a livello globale, sono stati prodotti 349 milioni di tonnellate di soia e, di questi, solo il 25% era destinato direttamente alle nostre tavole, il restante invece è andato al bestiame. I tre maggiori produttori mondiali di soia sono gli USA, l’Argentina ed il Brasile. Solo in quest’ultimo, dal 2003 ad oggi, sono stati distrutti 70.000 km2 di foresta tropicale, dei quali circa il 66% è stato disboscato con metodi illegali e senza seguire nessun criterio, solo per far spazio alla coltivazione della soia destinata a foraggio.
ATLAS MAGAZINE | 14
- Sovrasfruttamento Secondo uno studio, (Qui l’articolo di green.it con tutti i rimandi del caso: www.green.it/protezione-degli-oceani/) entro il 2050 nell’oceano il peso della plastica dispersa potrebbe superare quello del pesce. I ritmi odierni di produzione di plastica, l’aumento della domanda ed il costante aumento della temperatura degli oceani vanno infatti a creare la condizione “perfetta” affinché ciò accada. Oggigiorno la pesca segue dei ritmi e dei metodi insostenibili per l’ambiente. Alcune modalità, in particolare, comportano la distruzione di centinaia di chilometri di fondale. Seppur esistano metodi che renderebbero la pesca, se non un’attività sostenibile, quantomeno “più sostenibile” di quanto non sia ora, essi non vengono adottati essendo meno convenienti economicamente, in alternativa dunque si opta per sistemi più invasivi e inaccurati: spesso, ad esempio, per catturare un tonno (che si muove solo in piccoli gruppi) si finisce col pescare anche le specie che se ne cibano (come delfini e squali) e non è raro che il numero di predatori superi il numero dei tonni pescati. Questi comportamenti, ripetuti nel tempo, portano a danni irreparabili per la biodiversità degli oceani e, conseguentemente, per l’intero pianeta. Come se non bastasse decimare le popolazioni ittiche, esso contribuisce anche alla quantità di rifiuti che si accumulano in mare; infatti, i dati ci mostrano che i rifiuti generati dal settore sono tra i più inquinanti, specialmente in nord America ed Europa, dove questi rifiuti sono quelli che si trovano più frequentemente. - Consumo di risorse Un altro punto che non si può assolutamente ignorare è il consumo idrico che la carne comporta.