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IL SOLCO DELLA PACE
di Sergio Grifoni
In questi ultimi tempi non si fa altro che parlare di pace. Se ne parla tanto perché sicuramente in più parti del mondo, e non solo in Ucraina, c’è guerra. Pace non significa solo non uccidere il prossimo, non belligerare, non combattere, non odiare. Etimologicamente deriva dal latino pax o pacis, la cui radice significa pattuire. Quindi quando si è in guerra, per far tornare la pace, occorre stipulare un patto, che molti chiamano cinicamente anche compromesso. Ammesso che uno dei contendenti lo voglia o lo accetti. Nel caso della Russia contro l’Ucraina, per esempio, sembra che di compromesso ci sia al momento solo il dialogo. Non voglio però entrare in una analisi di specifica strategia politica, perché non è questo il contesto discorsivo più appropriato, anche se mi soffermerò poi sul ruolo rivestito dalla nostra Europa a difesa della pace. Pace quindi non è, e non deve essere, solo una parola che ci infonde tranquillità e che pronunciamo spesso con la stessa superficialità con la quale raccontiamo una barzelletta. Solo perché, mentre noi la invochiamo distrattamente, c’è chi muore per ottenerla. Sempre etimologicamente, la parola pace può essere collegabile anche a pangere, che significa piantare. Su questo contenuto e questa espressione profonda dovremmo sviluppare le nostre riflessioni. Se oggi raccogliamo la voglia di sopraffazione, è perché non abbiamo piantato equità. Se assistiamo a continui comportamenti di intolleranza sociale, è perché non abbiamo piantato fratellanza e rispetto. Oggi si fa un passo avanti mostrando interesse verso gli altri, solo se poi ti ritorna indietro con gli interessi. Ed è questa deleteria e subdola finalità che fa germogliare il fiore stinto del sopruso, della violenza, dell’imposizione. Il primo luogo dove trovare un po’ di pace, dovrebbe essere dentro se stessi. Non è facile, perché le variabili percettive sono molteplici e tutte indirizzate dal pensiero verso la culla dei conflitti interiori, dondolata da una dinamicità incontrollabile. Altro ambito primario dove dovrebbe albergare la pace è senza dubbio la famiglia. L’indissolubilità del nucleo famigliare è il miglior corroborante nella ricerca dell’armonia. Anche questo valore purtroppo sta miseramente scemando, lasciando spazio a divisioni, conflitti interpersonali, rancori, solitudine. Corde annodate con spire costruite per sciogliersi troppo facilmente, spesso senza un minimo sforzo per trovare di più le ragioni che uniscono, da quelle che dividono. Al di là dell’essere o meno credenti, fattore che muta comunque le essenze di un giudizio e di un comportamento, a volte mi chiedo: quale modello di famiglia possiamo oggi prendere in considerazione per esperire un’analisi serena ed obiettiva sul tema specifico? E qui mi fermo, per non addentrarmi in un ginepraio di valutazioni legate alla giustezza o meno delle tante atipicità riscontrabili oggi giorno nella sua costruzione. Ad uno stadio ancora superiore c’è poi lo Stato, inteso esso ai
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vari livelli istituzionali. E qui il ginepraio, a confronto, diventa un manto di erbetta tenera e rigogliosa. Parlare di pace, solidarietà, equità sociale, sussidiarietà, fratellanza, è come guardare un film di fantascienza convincendosi che sia realtà. La costruzione della pace fra i popoli, ha una gestazione strutturale e di pensiero che abbraccia più generazioni. Una generazione la pensa, un’altra la studia, una terza l’abbozza, un’altra ancora l’inizia a costruire, nella speranza che l’ultima generazione non la distrugga. Prendiamo ad esempio la nostra Europa, il cui concetto d’insieme di Stati, nacque nell’immediato dopoguerra, al fine di trovare una forza di unione per garantire la pace e la prosperità delle comunità aderenti. Anche perché, tra l’altro, occorreva frenare già allora l’espansionismo esagerato sovietico, nonché acquietare lo scenario asiatico in fibrillazione. Per non farsi mancare nulla, si elaborarono tre diverse teorie di Comunità Europea: 1) Teoria Confederalista, con la sovranità rimanente allo Stato membro, portata avanti da Churchill e Adenauer. 2) Teoria Federalista, ovvero la cessione di tale sovranità, caldeggiata da Altiero Spinelli. 3) Teoria Funzionalista, cioè la cessione parziale della sovranità, in piccoli settori, voluta Da Monnet e Schumann. La spuntò inizialmente questa terza teoria, tant’è che, nel 1951, nacque la CECA, ovvero la Confederazione che coordinava il carbone e l’acciaio al posto dei singoli Stati. E per la pace? Solo la generazione successiva, e siamo nel 1957, con i padri fondatori già attempati, dette vita alla CEE – Comunità Economica Europea. Qualcuno propose di costituire nel suo ambito la CED (Comunità Europea di Difesa), proposta però bocciata dalla Francia e da noi italiani, ancora alle prese con la questione di Trieste. Negli anni settanta, si incominciò a parlare di moneta unica. Ci son voluti più di vent’anni per realizzarla, passando per lo SME e l’ECU, antesignano dell’Euro. E per la pace? Il primo Parlamento Europeo a suffragio universale nacque nel 1979. Seguiranno poi la BCE e la Comunità Europea diventerà Unione Europea, con l’annessione di altri Stati, soprattutto quelli dominati sino allora dall’imperialismo sovietico. Prenderanno gradualmente corpo le politiche economiche e quelle fiscali. Che cosa però in tutti questi anni è stato “piantato” per evitare che qualcuno mettesse in discussione la pace? Poco o niente. Sono mancati i semi? Sicuramente no! È mancato il terreno? Sicuramente no. Probabilmente è mancato il vomere delle vere intenzioni per tracciare i solchi. Con buona pace dei contadini.
