Antibiotici e ‘superbatteri’, emergenza da conoscere e combattere insieme di / Valentina Calzavara /
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partire dalla seconda metà del Novecento lo sviluppo e l’impiego degli antibiotici ha rivoluzionato l’approccio al trattamento e alla prevenzione delle malattie infettive e delle infezioni, consentendo l’evoluzione della medicina moderna. Tuttavia, la comparsa di resistenza agli antibiotici rischia di rendere vane queste conquiste. Perché? L’antibiotico-resistenza rappresenta allo stato attuale uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale, determinando un aumento della spesa sanitaria, l’allungamento dei tempi di degenza, fallimenti terapeutici e soprattutto un aumento della mortalità. L’Italia, nell’ambito dei Paesi europei, è particolarmente interessata dal fenomeno per le elevate quantità di antibiotici utilizzati, non solo in medicina umana, ma anche nel settore zootecnico e veterinario, e in particolar modo negli allevamenti intensivi e pure negli animali da compagnia. Gli antibiotici utilizzati per prevenire le infezioni batteriche negli animali destinati all’alimentazione umana appartengono alle stesse classi di quelli utilizzati per l’uomo e, pertanto, batteri resistenti agli antibiotici presenti negli animali possono essere trasmessi all’uomo per via alimentare. La resistenza agli antibiotici in medicina umana è dovuta a molteplici fattori: a) l’uso eccessivo e spesso non appropriato di questi farmaci, per cui è necessaria una forte responsabilizzazione dei medici prescrittori per un corretto utilizzo degli antibiotici in presenza di un’infezione batterica accertata o clinicamente sospetta, con durate di trattamento e dosaggi adeguati, e non come pratica di medicina difensiva, b) l’auto-somministrazione di antibiotici da parte dei cittadini/pazienti senza alcuna prescrizione medica, c) il limitato controllo della diffusione delle infezioni correlate all’assistenza causate da microrganismi antibiotico-resistenti, d) una maggiore diffusione dei ceppi resistenti dovuta a un aumento dei viaggi internazionali e dei flussi migratori. La pandemia di Covid-19 ha portato a un aumento dell’uso inappropriato di farmaci? Gran parte degli studi pubblicati a seguito
La parola all’esperto: il dottor Claudio Scarparo, direttore dell’Unità di Microbiologia dell’Aulss 3 Serenissima della provincia di Venezia e delegato per il Veneto dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (Amcli)
dell’inizio della pandemia hanno evidenziato in pazienti positivi per Covid-19 una scarsa prevalenza di co-infezioni batteriche, con dati inferiori al 10% in ambito ospedaliero, circa il 7% nei reparti di degenza medica e chirurgica e un 17% nei reparti di rianimazione. In un recente studio europeo, il 78% dei pazienti positivi per Covid-19 ha ricevuto una prescrizione antibiotica (con prevalenza di co-infezione al 9%), indirizzata prevalentemente sulle cefalosporine di terza generazione, macrolidi e penicilline protette. Il report di Aifa (Agenzia italiana del farmaco) uscito a luglio del 2020, ha chiaramente dimostrato, rispetto al consu-
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