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L’intervista: Remunerati o rimborsati?

E gli Stati Uniti forniscono - “grazie” ai datori a pagamento che vengono letteralmente “munti” con 50-100 plasmaferesi l’anno - il 70% circa della “materia prima strategica” Plasma alle aziende di trasformazione. La maggior parte di queste hanno sede proprio in Europa. Anche nel nostro continente, però, all’interno della stessa Unione Europea vi sono Stati dove è ammessa la donazione di plasma a pagamento. O, meglio, in cambio di un “ristoro” che non è esattamente quello che conoscono i nostri donatori dopo la donazione con caffé, brioche, panino... In Germania, Austria, Ungheria e Repubblica Ceca si “ristora” il tempo “perduto” nel... donare. Avviene in varie forme che, in ogni caso, sono monetizzabili. Ovviamente la finezza è non chiamarla “remunerazione”, bensì “rimborso spese”, visto che su tali bonus non si pagano le tasse.

In Germania, per esempio, se gran parte di chi è disposto a donare afferisce ai centri di plasmaferesi privati delle case farmaceutiche, sovente scarseggiano i “veri” donatori volontari di sangue intero nei Centri trasfusionalipubblici o gestiti dalla Croce Rossa. E non è raro, visto con i miei occhi a Berlino, trovare per strada autoemoteche che invitano i passanti a donare sangue, occasionalmente, nei momenti di emergenza.

È un modus operandi che, secondo Avis nazionale (ne abbiamo parlato nel numero di dicembre) potrebbe passare in futuro anche in Italia, se venisse aperta anche una piccola “breccia” attraverso il DDL “concorrenza” che dovrebbe essere in discussione da aprile in Senato. Il 22 febbraio il presidente nazionale Gianpietro Briola è stato ascoltato in audizione dalla Commissione Industria del Senato, presentando nel contempo un emendamento al DDL che metterebbe al riparo il sistema etico italiano con una semplice dizione che puntualizzi come: “il plasma donato debba provenire esclusivamente da donatori volontari e gratuiti, non rimborsari né remunerati”.

Al presidente Briola abbiamo posto alcuni quesiti. Gli stessi che abbiamo posto, a pochi giorni dalla scadenza (14 marzo) ultima per presentare emendamenti al DDL, al direttore del Centro nazionale sangue, Vincenzo De Angelis. Quest’ultimo non ha potuto risponderci, scusandosi: “L’incalzare degli eventi di questi giorni assorbe completamente la mia agenda e non riesco proprio a dedicare del tempo per rispondere, in modo non affrettato, alle sue articolate domande”.

Ma passiamo alle domande dell’intervista.

Com’è Andata la raccolta complessiva di plasma in Italia nel 2021 rispetto ad altri Paesi Europei e/o Stati Uniti?

Guardando i dati e contestualizzandoli al periodo pandemico credo ci possiamo ritenere soddisfatti della raccolta plasma nel nostro paese. Abbiamo confermato i volumi di conferimento di plasma all’industria e conservato la quantità di prodotto farmaceutico a disposizione delle Regioni. Un impegno complesso ma che ha confermato la grande generosità e disponibilità dei nostri donatori: volontari e non remunerati. Mentre negli Usa il calo della raccolta ha raggiunto picchi del 35% e si è attestato a valori medi del 20% nell’anno con donatori remunerati, il nostro sistema si è confermato positivo e di riferimento.

Il Sistema Trasfusionale è in difficoltà per mancanza di Donatori o per la carenza di Personale sanitario (medici e infermieri)? L’Italia è giunta praticamente all’autosufficienza nelle trasfusioni di emazie concentrate, 1 segue

A destra:

I dati relativi al plasma raccolto in tutta Italia e inviato al frazionamento in c/lavorazione. I farmaci plasmaderivati ottenuti restano sempre di proprietà esclusiva del Servizio sanitario pubblico. I dati si riferiscono agli ultimi tre anni e, nell’ultima colonna, le previsioni del Centro nazionale sangue tratte dal “Programma di autosufficienza nazionale del sangue e dei suoi prodotti”. La raccolta complessiva 2022 è prevista al... ribasso dopo che, nonostante tutto, il 2021 abbia fatto registrare una crescita - seppur lieve - anche rispetto al 2019.. ma è al 70% circa per i farmaci plasmaderivati. Inoltre, giungono da diverse parti d’Italia per carenze transitorie di unità di sangue disponibili per le trasfusioni, carenze che sembrano incrementarsi nel tempo. In contemporanea ci sono allarmi per chiusure di strutture trasfusionali, o almeno riduzioni negli orari e nelle giornate di apertura, per la mancanza di personale medico e infermieristico. A suo parere si va verso una crisi del Sistema trasfusionale italiano? Sarebbe dovuta alla mancanza di donatori o alla carenza di personale e quindi alla difficoltà per i donatori di compiere il loro gesto generoso?

Io credo sia in atto una crisi strutturale e non legata alla mancanza di donatori. Il sistema va riconosciuto per il suo valore intrinseco, sia economico, sia nelle finalità di cura. Anche perché rappresenta un settore e un prodotto farmaceutico strategico.

Serve aumentarne la consapevolezza. Attualmente, e speriamo che continui a essere così a lungo, l’Italia non consente speculazioni commerciali sul dono del sangue, e le terapie trasfusionali sono inserite nei Lea (Livelli essenziali di assistena). Questo offre una serie di garanzie al paziente. I servizi trasfusionali sono però in difficoltà per croniche carenze: mancanza di personale sanitario, l’assenza di una scuola di specializzazione in medicina trasfusionale, un non adeguato finanziamento.

Il nostro sistema sangue si regge su una positiva intuizione, la capacità cioè, di bilanciare le due fasi più importanti del processo. Una è economicamente vantaggiosa, la raccolta, l’altra più costosa: la cura dei malati. Noi crediamo che queste due fasi non debbano essere separate, affidando magari a soggetti privati con fini di lucro la raccolta, lontano dagli ospedali pubblici e dalla vigilanza dei servizi trasfusionali. Significherebbe lasciare che le multinazionali farmaceutiche si impadroniscano del plasma etico italiano.

Questo comporterebbe la divisione di impegno nella raccolta, tra la parte “in perdita”, cioè gli emocomponenti labili e le terapie sui pazienti, lasciandola nelle mani pubbliche degli ospedali e associazioni, finanziate con soldi pubblici. La parte “fruttuosa”, ossia la raccolta del plasma e la produzione dei farmaci emoderivati, che poi vengono in parte rivenduti sul mercato, metterla direttamente sotto il controllo e nelle mani delle multinazionali del farmaco (e di coloro che da esse ricevono generosi compensi) con lauti guadagni e controllo dei prezzi.

Protagonisti del Sistema sangue e plasma italiano, insieme alle associazioni dei donatori,

sono i medici trasfusionisti e i dirigenti sanitari e amministrativi che mettono insieme la medicina trasfusionale (che è un costo) con la produzione dei medicinali plasmaderivati (che è un’attività economicamente vantaggiosa).

Le due parti del sistema si reggono se c’è una regia comune. Insieme consentono la sostenibilità economica di tutto l’impianto. Separarle vuol dire dare il via a un pericoloso processo di dismissione del servizio pubblico nazionale che, oltre ad affondare il sistema sangue per come lo conosciamo (in termini di efficienza, volumi e qualità), rischia di diventare un pericoloso precedente per altri settori.

Attualmente le Regioni e le PPAA sono raggruppate in quattro Accordi Interregionali che conferiscono il plasma raccolto dai propri Servizi Trasfusionali a quattro diverse industrie farmaceutiche, fra le più qualificate a livello internazionale. Il plasma viene conferito, ma non venduto alle industrie. Di conseguenza i farmaci sono delle Regioni che hanno conferito il plasma e le industrie sono retribuite solo per il lavoro svolto. A che punto è l’interscambio fra le regioni eccedenti specifici farmaci plasmaderivati e quelle invece carenti per questi plasmaderivati? Esiste una cabina di regia nazionale che coordini i quattro Accordi Interregionali e le singole regioni appartenenti ad Accordi Interregionali diversi? Il Sistema Italia è ormai realtà operativa o manca ancora qualcosa? Quale può essere il ruolo del CNS in tale ambito?

Siamo assolutamente favorevoli a questo scambio di prodotti tra raggruppamenti a sostegno solidale del Sistema. Si chiede evidentemente un’unica regia nazionale che con imparzialità e trasparenza possa essere garante dell’intero processo, sia di conoscenza delle disponibilità, sia delle allocazioni.

Qual è, se c’è, la differenza fra donazione remunerata e rimborsata? Ci spiega la differenza, secondo lei, fra donazione “remunerata” e donazione “rimborsata” se il “rimborso” include anche il tempo speso per effettuare la donazione? Chi e come potrà farsi carico del “rimborso” al donatore, tenendo conto che il Codice del Terzo Settore chiarisce che tale rimborso non è consentito?

Non vorrei divenisse questa una mera definizione o differenza semantica perché nella fattispecie diventa sostanziale, sia eticamente sia nella sua applicazione. Oltre il valore intrinseco od estrinseco, ma nella stessa concezione di opportunità, etica e di dignità umana. Nulla può e deve essere pagato per la cessione di parti del corpo. Anche la sola idea di poterle in qualche modo riconoscere sminuisce la portata e la dignità di ogni donatore. Quanto vale in effetti una donazione? Tutto può essere tanto o poco. La remunerazione risulta essere, in sostanza, il sistema mercificante che esiste in alcuni paesi e paga il donatore, a seconda delle fluttuazioni della materia prima, come ogni componente merceologico. Guarda però e adesca tra le classi meno abbienti e più svantaggiate, senza rispetto della dignità e approfittando delle debolezze.

Rimborso è un modo più sottile di applicare il concetto. Si offre non denaro, ma beni e servizi a compensazione della disponibilità e del tempo: pizze, cinema, rimborsi chilometrici, giornata lavorativa o altre opzioni. Secondo noi nulla cambia. Peraltro per il nostro sistema legislativo risulta incompatibile perché si equipara a un rimborso forfettario, non previsto né possibile. Inoltre crea una discrepanza di disponibilità e possibilità economiche e finanziarie, non certo gestibili dalle associazioni o dai servizi trasfusionali.

Il nostro sistema riconosce ai lavoratori dipendenti la giornata lavorativa ma solo in termini previdenziali e senza nessun introito diretto, ma a volte addirittura negativo. Questo perché tali giornate non sono contate “lavorate” e quindi non rientrano nei bonus a progetto. Noi continuiamo a credere, supportati dai dati della presenza e della raccolta, in un punto fermo: i donatori non remunerati e non rimborsati sono quelli che al meglio rispondono alle esigenze e alla flessibilità del sistema.

Sottolineo la definizione perché dire “volontari” non basta, giacché nemmeno i remunerati sono obbligati a farlo, ma lo fanno per altri consapevoli scopi e nemmeno etica, perché ogni individuo agisce con propria etica, purché nel rispetto del prossimo. Mi piace comunque pensare e difendere il nostro sistema di donatori periodici, associati etici e generosi che lo fanno in modo volontario e responsabile.

Il presidente nazionale Avis, Gianpietro Briola, colto dalla nostra redazione sul lettino della donazione al Centro trasfusionale di Brescia (foto di repertorio, 2019).

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