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Meeting internazionale

chi è il mio prossimo?

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DI GREGORIO VIVALDELLI

BIBLISTA E TEOLOGO

Papa Francesco dedica il secondo capitolo della dedica il secondo capitolo della Lettera Enciclica “Fratelli tutti” alla parabola del Buon Lettera Enciclica “Fratelli tutti” alla parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 25-27). Samaritano (Lc 10, 25-27). All’inizio si dice che Gesù parla con un dottore della legge All’inizio si dice che Gesù parla con un dottore della legge che gli chiede come fare ad avere la vita eterna. E Gesù risponde con una domanda: Cosa c’è scritto nella Legge, cosa vi leggi… come vi leggi? E lui risponde nel modo migliore in cui poteva rispondere: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente. E il prossimo tuo come te stesso. Gesù gli dice: bravo, fa’ questo e vivrai. Ma il dottore della legge chiede a Gesù: … ma chi è il mio prossimo? Gesù allora, per rispondere alla domanda, racconta la parabola del Buon Samaritano. Un uomo scende da Gerusalemme a Gerico, percorre una via scoscesa, ripida e pericolosa, adatta agli agguati dei briganti. Tant’è vero che lui viene attaccato, derubato, massacrato e lasciato a terra mezzo morto. Passa di là un sacerdote, lo guarda e se ne va. Passa un levita, lo guarda e va via. Arriva un samaritano - un abitante della Samaria - e si ferma, ne ha compassione, lo aiuta; addirittura, lo carica sulla sua cavalcatura, lo porta in una locanda e incarica il locandiere, dietro compenso, di prendersi cura di lui per i due giorni successivi, quando lui ritornerà. E Gesù pone questa domanda: Chi di questi tre - il sacerdote, il levita, il samaritano - ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? Il dottore della legge risponde correttamente: Chi ha avuto compassione di lui… ossia, il samaritano. Quindi, il prossimo è colui che decide di aiutare, di dare una mano, di farsi prossimo, di farsi vicino. Papa Francesco defi nisce questa parabola un’icona illuminante, perché getta un fascio di luce enorme, bellissimo, su cosa signifi chi veramente essere “fratelli tutti”, prendersi cura degli altri. Inoltre, sottolinea che essere uomini di religione non è garanzia di vivere essere uomini di religione non è garanzia di vivere come a Dio piace: infatti, il sacerdote e il levita (addetti al come a Dio piace: infatti, il sacerdote e il levita (addetti al culto nel Tempio) lo videro e passarono oltre. culto nel Tempio) lo videro e passarono oltre. Per i Giudei, i Samaritani erano peggio dei pagani, Per i Giudei, i Samaritani erano peggio dei pagani, erano degli impuri, degli indegni. Quindi, è il peggio che poteva passare in quel momento. Ma il testo dice che il Samaritano vide quell'uomo, come il sacerdote e il levita, ma ne ebbe compassione: e qui c’è la svolta. Ne ebbe compassione… è usato il verbo che, per la Bibbia, esprime lo stesso amore viscerale, misericordioso, tenero di Dio. Ne ebbe compassione… ed inizia ad amarlo: gli si fa vicino, gli fascia le ferite, versandovi olio e vino (segni della misericordia e della gioia); poi carica l’uomo sulla sua cavalcatura, lo porta in un albergo, e si prende cura di lui. Il Samaritano non ama Dio nel prossimo; il Samaritano ama il prossimo come farebbe Dio. Il testo dice che lo caricò sulla sua cavalcatura, andò in un albergo e il giorno seguente tirò fuori due denari e li diede all’albergatore dicendo: Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più te lo pagherò al mio ritorno. Il giorno seguente…poiché la prima notte è quella cruciale per la sopravvivenza, il Samaritano la passa a vegliare il moribondo. Il settimo personaggio della parabola, che può passare inosservato, è l’asino, la cavalcatura. Perché? Perché il Samaritano, senza l’asino non sarebbe mai riuscito a salvare l’uomo, non avrebbe avuto la forza fi sica di portare quest’uomo nella locanda. L'asino è un’immagine bellissima di fraternità. La fraternità è quella realtà umile, è quella realtà forte, resistente - come un asino - che permette al bene presente nel cuore del Samaritano, permette al cuore pieno d’amore del Samaritano, di trasportare il ferito. È questa fraternità che vorremmo diff ondere, questa fraternità universale e umana, che ci permetterà di creare la via della fraternità che ha a cuore il bene della singola persona e ha a cuore il bene dell’umanità.

ME ETI NG

Perdono

SUPERARE IL MALE CON IL BENE

DI JOHN BOSCO MATOVU

RESPONSABILE VIA PACIS IN UGANDA

Il perdono è la decisione di non vendicarsi. Il perdono, infatti, è un processo che inizia con una decisione: si decide di non vendicarsi, e questo processo finisce quando si riceve/sente pace.

Alcuni di noi non conoscono il significato del perdono. Quando ci viene detto di perdonare, pensiamo subito ai sentimenti. Diciamo che è molto difficile perdonare perché i sentimenti ovviamente sono difficili da guarire, ma quando Gesù ci dice di perdonare, Gesù intende che non dobbiamo vendicarci. Quando qualcuno ti fa qualcosa di male, non devi - anche tu - fare qualcosa di male a lui. San Paolo, in una lettera scritta ai Romani, al capitolo 12, versetto 21, dice: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.” Questo è ciò che dovremmo fare ed è ciò che ha fatto Gesù ogni volta che gli hanno fatto qualcosa: non si è vendicato.

Gesù ha detto: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, non ha fatto loro del male per ciò che gli avevano fatto. Ed anche quando Pietro ha tagliato l'orecchio a uno di quelli che erano venuti ad arrestarlo, Gesù ha detto a Pietro: “No, non dobbiamo comportarci così” e Gesù ha dovuto rimettere l'orecchio al proprio posto, perché quella era una vendetta. Nel regno di Dio non c'è vendetta.

Quando ci rifiutiamo di perdonare, questo diventa un ostacolo. Anche se preghiamo, anche se digiuniamo, anche se facciamo qualsiasi cosa, se coviamo vendetta, non riceviamo la Sua benedizione, non riceviamo la guarigione, perché il “non perdono” è come un ombrello. Se piove e io ho un ombrello, la pioggia non può arrivare su di me. È lo stesso se io non perdono: la vendetta diventa un ombrello o diventa un muro per cui le preghiere o le benedizioni non possono raggiungermi. Quindi vi incoraggio, fratelli e sorelle, a perdonare come Gesù ci chiede di perdonare, così non avremo tutti questi problemi.

SFIDA E SCELTA

DI MARTINA MARTINA SARTORELLI

MEMBRO DEL CONSIGLIO GENERALE VIA PACIS

Nell’Enciclica Fratelli tutti Papa Francesco lo dice chiaramente: la fraternità è il punto di partenza per un mondo più giusto, più equo, meno egoista, più in pace. E propone la fraternità come antidoto alle ingiustizie che caratterizzano il nostro tempo. Se ci amassimo davvero come fratelli, allora cercheremmo il bene di tutti e, di conseguenza, non ci sarebbero disparità nella distribuzione del lavoro, nella considerazione della donna e degli immigrati, non ci sarebbero scelte economiche, sociali e politiche che negano la dignità delle persone, ci sarebbe un maggiore equilibrio nella distribuzione della ricchezza. Ma come si raggiunge e si applica la fraternità mondiale? La fraternità non è qualcosa che semplicemente si discute, si concorda, si sottoscrive. Non è un accordo internazionale, una legge, un regolamento. E, soprattutto, non è qualcosa che riguarda solo le istituzioni e i governi. No! Riguarda anche noi. Il Papa dice che la fraternità è il punto di partenza, e a quel punto di partenza ci siamo noi, con il nostro stile di vita, il nostro modo di vedere e considerare l’altro. È un sentimento che va coltivato – da noi, per primi - ogni giorno, nel nostro piccolo, con gesti concreti, perché poi possa arrivare ad avvolgere anche il mondo e raggiungere anche i “piani alti”, per trasformare le decisioni politiche, economiche e sociali ingiuste. Ma noi, che stiamo a quel punto di partenza… siamo delle persone fraterne? Come guardiamo all’altro? Amiamo, accogliamo l’altro? Ci interessiamo di lui? Non si tratta solo di accogliere gli immigrati, di amare i poveri, ma di amare e accogliere chi ci è vicino, chi incontriamo nelle nostre giornate: se non amiamo e accogliamo chi abbiamo vicino, non possiamo amare e accogliere chi ci è lontano. Possiamo farci delle domande: come mi rapporto con quel compagno di classe un po' “sfi gatello”? Lo taglio fuori, lo ignoro o lo coinvolgo? Quella ragazza nuova arrivata, tanto timida, l’aiuto a integrarsi nel gruppo? Ho mai chiesto a quel collega di lavoro, che è straniero e fa fatica a comunicare, se ha bisogno di qualcosa? Se qualcuno ha bisogno di essere ascoltato, io ci sono? Se il comportamento del mio vicino mi dà fastidio, cerco il dialogo, mi apro al perdono? In eff etti, il Papa ci lancia una bella sfi da, perché la fraternità ci chiede di saper uscire da noi stessi, dalla nostra comfort zone, e andare incontro all’altro. La fraternità è una sfi da, perché amare l’altro, mettere l’altro prima di noi stessi, è faticoso, è diffi cile, non ci viene naturale, è anche una seccatura a volte… ma la fraternità non è un’opzione fra tante! La fraternità è un dono che ci è stato fatto, ma è anche uno stile di vita, che dobbiamo avere il coraggio di scegliere. Scegliere di essere fraterni.

La fraternità si sceglie, si allena e si impara. Ma… chi me lo fa fare di scegliere di essere una persona fraterna? Io me ne sto bene tra me e me, se mi viene spontaneo di amare gli altri, bene, altrimenti non vedo il motivo per cui sforzarmi e fare fatica… Il Papa usa la parabola del buon samaritano per parlare della fraternità: un uomo in viaggio viene assalito, derubato e abbandonato moribondo lungo la strada. Passa un uomo, e tira dritto. Passa un altro uomo, e tira dritto. Passa un terzo uomo, che si ferma e dà soccorso e aiuto. Lungo la strada delle nostre giornate, della nostra vita, con le persone che incontriamo, amici e non amici, colleghi e non colleghi… che tipo di persona vogliamo essere? Noi… che personaggio della storia vogliamo essere?

ABBI CURA DI ME

DI ANNA VIVALDI

RACCONTA IL MEETING VIA PACIS... PRIMA PARTE

Il Meeting è sempre stato per me un’esperienza incredibile, una di quelle che ti fanno vivere l’amore e la presenza di Dio al 100%! Il bello è che siamo tutti lì per un’unica ragione: sperimentare l’amore di Gesù e scoprire come Lui riesca ad agire in modo potente in ognuno di noi. Non importa se siamo amici, familiari, dove viviamo, da dove veniamo o dove andiamo, la cosa importante è che vogliamo incontrare Gesù. Quest’anno il meeting che tanto aspettavo non si sarebbe potuto svolgere in presenza, ma soltanto online attraverso dei video caricati su YouTube. A questo punto le alternative per vivere il meeting erano due: guardare i video da soli oppure trovarsi in piccoli gruppi per vederli in compagnia. È stato un meeting diverso, ma davvero speciale, un’esperienza capace di smuovere i cuori. Tra i vari interventi mi ha colpita molto quello di Paolo Maino sulle relazioni. Paolo diceva che la nostra vita è fatta di relazioni. Non ci avevo mai pensato, e sentirmelo dire mi ha fatta rifl ettere sul fatto che per noi adolescenti spesso le relazioni si riducono a interazioni sui social. Relazionarsi per noi vuol dire mandare un sms o un’e-mail, guardaci le storie su Instagram, commentare le foto e i post di Instagram e Facebook, oppure avere tanti like e tanti followers. Spesso le nostre relazioni si riducono a questo e invece Paolo dice che queste non sono relazioni, anzi, la verità è che dietro questo modo di relazionarci c’è tanta solitudine. Queste parole mi hanno fatto pensare alla mia vita, al fatto che a volte penso che basti un sms per mantenere la relazione. Pensandoci bene, le relazioni non sono fatte di emoji o di mille parole scritte, non sono fatte dal numero di follower che ti seguono. Le relazioni sono fatte di sguardi, discussioni, risate, litigi e momenti vissuti insieme e condivisi. E sicuramente gli sms ci stanno, ma non posso pensare che un messaggio o un emoji sostituiscano una relazione autentica, dal vivo. Come dice Paolo, più viviamo le nostre relazioni in presenza, più maturiamo noi e la nostra identità personale. Questo meeting mi ha aperto gli occhi su quanto noi, io per prima, siamo così presi dalle nuove tecnologie e dal nostro egoismo, da mettere noi stessi ed i nostri interessi prima di chiunque altro, addirittura a discapito degli altri. Ho sentito che Paolo stava parlando di me quando ha detto: «…tutto deve ruotare intorno a te, pretendendo di avere ragione, di essere il metro di comportamento... E se provano a riprenderti alzi barriere e muri e giudichi tutti e tutto». Quando ho sentito questa frase mi sono guardata allo specchio: ho guardato me stessa e la mia vita dal di fuori e ho capito che tanti di questi aspetti, anzi, a essere onesta, tutti questi aspetti, fanno parte di me e mi ci ritrovo con un po’di delusione. Per la prima volta mi sono guardata e ho visto ciò che di me non mi piace e ciò da cui voglio ripulire il mio modo di essere. In particolare, mi porto via una frase da quello che ha detto Paolo: «Nella relazione tu devi essere disposto a perdere qualcosa: tempo, pensieri, idee e principi». Questa è una cosa che voglio imparare da Paolo assieme alla capacità di ascoltare perché, come dice lui: «Oggi tutti parlano e nessuno ascolta». Fino ad ora non avevo mai capito cosa questo signifi casse e quanto fosse importante.

(to be continued…)

ME ETI NG