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Approfondimenti

PARLIAMO DI DONNE E DI UOMINI

DI MARIA LUISA TOLLER

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DIRETTORE DI REDAZIONE RIVISTA VIA PACIS

L’attuale dibattito sulla relazione fra sesso biologico e identità di genere, il cosiddetto gender (cfr Papa Francesco, Amoris Laetitia 56), si è radicalizzato in Italia su posizioni rigide e contrapposte, che impediscono la ricerca del bene possibile in una società pluralista.

Complessità

Come sempre, quando si parla di società, di cultura, di relazioni umane è necessario richiamare la nozione di complessità. La parola latina 'complexus' è all’origine del termine e signifi ca letteralmente 'ciò che abbraccia più elementi e lo fa simultaneamente'. È complesso un 'complesso' musicale, ad esempio, formato da strumenti diversi, ognuno fa la sua parte ma in modo armonico… Dovrebbe essere così anche per la società e le relazioni umane, ma sappiamo che non ci viene spontaneo. Per suonare in modo armonico bisogna ascoltare e tener conto degli altri, cosa che si scontra con la nostra tendenza all’individualismo, che diventa ego-ismo. Accettare la complessità costa fatica. È molto meno faticoso semplifi care, ma questo porta alla discriminazione, all’esclusione di chi è diverso da me, ai muri che dividono.

Antropologia cristiana

Come credenti, siamo chiamati a ritornare al modello antropologico cristiano, a cui la società occidentale ha fi nora fatto riferimento, fondato sul valore centrale della persona. Un modello molte volte disatteso e tradito, ma non per questo superato. Per il cristiano, ogni vita ha un valore inestimabile e va protetta e difesa: la vita del bambino non ancora nato come del morente, la vita del migrante che rischia di annegare per sfuggire alla miseria e alla guerra, la vita del vecchio e del disabile, dello straniero, di qualunque persona a prescindere dalla sua identità o dal suo orientamento sessuale. Il modello antropologico cristiano, tuttavia, non richiede solamente di aff ermare il valore di ogni vita. La rifl essione sul messaggio cristiano ha portato a chiedersi cosa signifi ca essere persona. Fin dalle origini la Bibbia ci parla della somiglianza con il Creatore attraverso due caratteristiche umane fondamentali e strettamente connesse: essere persone sessuate ed essere persone in relazione. Direi di più: siamo sessuati per essere in relazione. Essere maschio o femmina è qualcosa che mi spinge fuori di me, nella dinamica dell’amore: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, apertura al defi nitivo. La visione antropologica cristiana vede nella sessualità una componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l’amore umano. La sessualità è una chiamata vivere l’amore umano. La sessualità è una chiamata all’amore, inteso come dono di sé, in un’alleanza uomo-donna che è un segno potente della relazione che Dio desidera e sogna con l’umanità.

Testimonianza di vita

Tuttavia, se il valore del maschile e del femminile, la loro diff erenza, la loro reciprocità, sono elementi fondanti dell’antropologia cristiana, purtroppo siamo ancora lontani dal viverle e testimoniarle nella realtà delle nostre relazioni. Pensiamo agli stereotipi di uomo e donna che respiriamo e ai quali, senza accorgercene, ci adeguiamo, proponendoli come modelli educativi: le bambine imparano presto che il loro ruolo è farsi guardare, e i bambini, sempre più precocemente esposti alla pornografi a, che la donna è da usare e dominare. Nella mia professione ascolto spesso le storie deprimenti di relazioni uomo-donna (adulti) basate sulla voglia del momento, impostate sulla fragilità del “sento” “non sento”, senza progetto, senza impegno, volatili come la nebbia del mattino, magari con fi gli usati come strumenti di ricatto. Oppure storie di fatica, portata avanti senza gioia, nella delusione di sogni infranti. Ebbene, Papa Francesco ci dice in modo lapidario: “La complessità del mondo e la crisi antropologica in cui siamo immersi esigono una testimonianza coerente di vita per poter suscitare un dialogo e una rifl essione positiva sulla dignità umana” (Papa Francesco, Discorso al Forum delle ONG di ispirazione cristiana, Roma, 7 dicembre 2019).

APPRO FONDI MENTI

Come sempre, davanti alle sfi de della vita la prima domanda da farsi è: che cosa posso fare io? Cosa possiamo fare noi? Relativamente al tema in questione: chi sono io, donna? Chi sono io, uomo? Che idea, che rispetto, che ascolto vivo nei confronti delle persone dell’altro sesso che vivono attorno a me? Come guardo, come vedo, l’uomo, la donna che è al mio fi anco? Cosa trasmetto ai miei fi gli, ai miei nipoti, ai miei studenti sul ruolo e sul compito vitale che uomini e donne hanno in questo mondo?

La rivoluzione della tenerezza

Per annunciare con competenza e passione la bellezza della sessualità umana creata da Dio, prima di tutto dobbiamo lavorare su noi stessi e sulle nostre relazioni. Un suggerimento che ci arriva ancora da Papa Francesco è aprire la porta della tenerezza, nelle nostre relazioni fra donne e uomini. Qualche tempo fa è venuta da me una donna, 55 anni. Mi racconta una storia molto comune: all’inizio un grande amore, la scelta del matrimonio, i fi gli… poi, piano piano, la fatica del quotidiano logora la relazione, che si intesse di mutismi, risposte irritate, piccole vendette, pretese e ricatti. La soff erenza di questa donna è palpabile, autentica, intrisa di delusione, senso di fallimento, rimpianto. Da poco, l’ultimo fi glio rimasto in casa se n’è andato, manca quindi l’unica cosa che dava senso alle sue giornate. Ha tentato di tutto per cambiare la situazione, soprattutto (come viene spontaneo a ciascuno di noi) per cambiare l’altro. Ora, timidamente, sta provando a chiedersi: cosa posso fare di altro, di diverso? Dopo averla ascoltata e accolta, le chiedo cosa ne ha fatto della tenerezza, nella sua relazione. Le dico che so bene come sia un discorso diffi cile, le chiedo se mi capisce. A questo punto, gli occhi si riempiono di lacrime e mi dice “Sì, certo che capisco…”. Prende il telefono e mi mostra una fotografi a, trovata per caso poco tempo prima. Due ragazzi giovanissimi, capelli e abbigliamento anni ’80, lui le tiene un braccio attorno alle spalle. Guardano l’obbiettivo, ma il loro sguardo sembra scorgere il futuro, un futuro pieno di promesse. “Guardo questa foto e mi dico: siamo sempre noi…”. Poi, poco alla volta, mi racconta il bene e il bello del marito, il bene e il bello di un amore che è rimasto fedele per 30 anni, un amore che ha in sé, ancora inespressa, una promessa di pienezza e di vita. Che cos’è la tenerezza? È una qualità del cuore, che ci cambia lo sguardo. Rimane in noi anche se, spesso, sepolta sotto cumuli di macerie, per le ferite e le delusioni che la vita ci ha procurato. Mi è capitato di suggerire a una madre, in diffi coltà col fi glio adolescente, di guardarlo, di contemplarlo, senza che lui se ne accorgesse, lasciando emergere la tenerezza che l’aveva accompagnata quando era piccolo. Qualche tempo dopo, mi raccontò che il ragazzo, incredibilmente, un giorno le aveva detto “mamma ti voglio bene”. La tenerezza è contagiosa! Tutti siamo capaci di tenerezza, fa parte di noi, della nostra attrezzatura per la vita. Ma ci fa paura, perché ci fa percepire deboli, vulnerabili, indifesi. Ci vuole coraggio, ad essere teneri. Papa Francesco parla di “rivoluzione della tenerezza”: “Gesù, appena nato, si è specchiato negli occhi di una donna, nel volto di sua madre. Da lei ha ricevuto le prime carezze, con lei ha scambiato i primi sorrisi. Con lei ha inaugurato la rivoluzione della tenerezza”(Papa Francesco, Omelia, 1° gennaio 2020). Per fare una rivoluzione ci vuole coraggio, determinazione, desiderio di libertà e disponibilità a soff rire per conquistarla. Altro che deboli e indifesi! Che fare allora? Qui si apre un mondo. Bisognerà capire. Ma a partire da queste premesse. Tutti coloro che propongono soluzioni semplifi cate, senza tenere presenti queste premesse, rischiano di innescare processi pericolosi.