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Approfondimenti

Tempo di costruttori

DI FEDERICO VIVALDELLI

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Studente di giurisprudenza

Nel discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha affermato che “non viviamo una parentesi della storia: questo è tempo di costruttori”. Ma cos’è che siamo chiamati a costruire? In questo periodo ho avuto modo di leggere un bellissimo libriccino che della metafora del cantiere ha fatto il centro della sua narrazione: “Costruire da cristiani la città dell’uomo”, di Giuseppe Lazzati. Il testo rappresenta un po’ il compendio del pensiero di Lazzati riguardo all’impegno dei cattolici in politica e, in generale, nel mondo: una vera miniera di formazione. Ma cos’è la politica? Per tutta una serie di motivazioni si è – generalmente – propensi a pensare la politica come “cosa sporca”. Ma la parola politica, dal greco pòlis, città, indica la passione per l’uomo e il suo ambiente. L’uomo come apice della creazione; l’uomo come centro necessario dell’azione politica, come – dice Lazzati – “colui dal quale la città prende vita e verso il quale la città è volta come a proprio fine”; l’uomo come persona, come soggetto in relazione, che, anzi, proprio e solo attraverso la “relazione con”, si fa pienamente uomo. Allora si comprende perché il nostro autore, definisca la politica “costruire la città dell’uomo a misura d’uomo”, e si comprende perché il santo papa Paolo VI definì la politica come “la più alta forma di carità”. In questo contesto, l’azione centrale è rappresentata dal verbo costruire: esso “esprime un’azione che è, per lo più, frutto di molti e diversi apporti; un lavorare insieme che esige coscienza di quello che si fa e impegno a farlo nel modo migliore”. La città, il mondo, diventano così un grande cantiere, i cui costruttori sono i cittadini, “un indefinito numero di persone e di unità operative intente alle più diverse mansioni, da quelle di carattere direttivo a quelle più umili, peraltro non meno indispensabili ai fini della costruzione”. Il tutto in vista del bene comune. È compito anche dei cristiani? Sì, assolutamente, ci risponde Lazzati. In primo luogo, il nostro autore individua nella storia della creazione e redenzione dell’uomo il fondamento di questa missione: l’uomo, “coltivatore e custode di questa infinita ricchezza di beni” è chiamato, con “l’impegno di tutte le sue facoltà, l’esercizio di tutte le tecniche, di tutte le scienze, di tutte le arti”, prima fra tutte la politica, a “restaurare”, ordinare, guidare, il mondo in cui vive. “L’uomo, rifatto in Cristo creatura nuova, è dunque chiamato a rifare nuovo nel Cristo il mondo in cui vive”. Continua Lazzati: “per loro vocazione, è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio (Lumen Gentium, 31)”. Qualche anno più tardi, sarà papa Paolo VI a definire il mondo come “il luogo teologico della santificazione dei laici”, dovendosi intendere il mondo come “tutto il disegno di Dio”. Il fedele laico è quindi chiamato a “costruire da cristiano” ogni sfera del proprio vivere, in quanto coniuge, lavoratore, genitore, figlio e, infine, ma non meno importante, come cittadino, membro di una società politica; i fedeli laici sono quindi chiamati a “fare piena la missione salvifica della Chiesa, essendo chiamati ad operare in quanto presenti là dove, nel tempo contemporaneo, solo attraverso loro è presente la Chiesa”. In conclusione, cosa siamo chiamati a costruire? C’è solo l’imbarazzo della scelta… come ci dice papa Francesco nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”, siamo chiamati a riconoscere “che l’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore” (FT, 181). Questa è vera “carità politica, carità sociale” (cfr. FT, 182). Come ancora ci ricorda il Concilio: “ciò che l’anima è nel corpo, questo siano nel mondo i cristiani” (Lumen Gentium, 38, citando la Lettera a Diogneto).

Maledetto denaro, o denaro benedetto?

DI SAMUELE CAVEDON

Consulente finanziario e tesoriere generale dell’Associazione Via Pacis

Il denaro, i soldi, l’euro, il dollaro. Tutti sostantivi che identificano un unico agente che tanto ci affascina, ci seduce, ci spaventa; ci preoccupa, se manca. Se ne possediamo poco ci accusa di essere persone meno degne, se ne possediamo molto ci eleva ergendoci sopra i nostri simili, provocando la loro invidia o ammirazione. Tra le prime cose che pensiamo appena ci alziamo dal letto è quanti soldi ci servono per andare a fare la spesa o per pagare le bollette di casa; oppure, per i più fortunati, quanto serve per pianificare le future vacanze. È un agente così potente che ha la capacità di condizionare singole persone e intere nazioni.

Ma allora, il denaro è benedizione o maledizione? Come mai Gesù dice (Mt 6, 24) che “nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”? Grazie al mio lavoro nel mondo della finanza, anch’io ho acquisito sempre più passione per gli investimenti. Informandomi quotidianamente, leggendo riviste di settore e investendo le mie risorse ottenevo in maniera crescente profitti e soddisfazioni. Ma, oltre ai profitti, cresceva dentro me la brama di accrescere sempre più il rendimento e il mio patrimonio. Per tutto però c’è un costo: il mio cuore, la mia attenzione, il mio affetto si stavano spostando dall’adorazione verso l’unico vero Dio all’adorazione della ricchezza. Oltre all’accumulo materiale, dentro di me si accumulavano inquietudini e tristezze.

È superfluo affermare che i soldi sono neutri, non sono né male né bene, ma, attraverso il valore affettivo che gli attribuiamo, possono acquisire una valenza positiva o negativa. Se prendono il primo posto, cioè il posto di Dio, qualcosa non va. Se, invece, vengono usati e fatti fruttare per ciò che è necessario e giusto, possono diventare catalizzatori di bene.

Paolo Maino, fondatore di Via Pacis, dice una verità tanto vera quanto scomoda: “la conversione passa anche attraverso il portafoglio”. Se la conversione non passa attraverso il portafoglio, il denaro occupa nel nostro cuore un posto molto importante, dove neanche Dio può entrare.

Analizzando il mio passato economico, proprio dove sono stato fedele ai miei “impegni monetari” verso Dio, proprio lì ho vissuto gioia e libertà interiore. Attualmente, attraverso il mio nuovo servizio di tesoreria in Via Pacis, mi sto accorgendo che tante opere di bene sono possibili solo grazie alla generosità di tante persone per aiutare, sollevare, integrare donne, uomini, bambini meno fortunati di noi. Dio è più grande, e, anche attraverso questo attore così potente, afferma la sua onnipotenza, spargendo semi di bellezza e di pace in tutto il mondo. Il denaro donato, tanto o poco che sia, può diventare fonte di grandi benedizioni. Proprio per questo voglio concludere questa breve riflessione con un passo dalla Parola di Dio, tratto dal libro del profeta Malachia (3,10), così caro all’Associazione Via Pacis: “Portate le decime intere nel tesoro del tempio, perché ci sia cibo nella mia casa; poi mettetemi pure alla prova in questo – dice il Signore degli eserciti – se io non vi aprirò le cateratte del cielo e non riverserò su di voi benedizioni sovrabbondanti”.

Benedizioni per noi, ma soprattutto per i più poveri, i prediletti di Dio nel mondo.