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Editoriale • Tutti o nessuno • di Ruggero Zanon

DI RUGGERO ZANON

Avvocato, presidente dell’Associazione Via Pacis

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Tutti o nessuno

Si parla tanto di fraternità. Ma cos’è? Che significato ha? La fraternità non è una scelta. Non scegliamo di essere fratelli: ci capita e basta. Non abbiamo meriti. È quella che potremmo definire una grazia. Ogni volta che dico “fratello” sto parlando anche di me. Perché la fraternità si declina al plurale: è l’io che si scopre parte di un noi. La fraternità è parte di me. Mi segue ovunque io vada. Mi accompagna anche dove non voglio. Non serve che vada a cercarla: è costantemente alla mia porta. Posso cercare di evitarla, di distogliere lo sguardo. Ma se percorro le strade delle mie giornate, mi ci imbatterò continuamente. Perché la fraternità è assillante, a tratti invadente, continua a ricordarmi che noi siamo relazione, che l’io non può esistere se non nel noi. Fraternità è passare dall’io al noi, dove l’altro non è più “altro da me”, ma parte di me, qualcuno che mi riguarda. Quel “siamo tutti nella stessa barca” evocato da Papa Francesco nei giorni bui della desolazione non è una sorta di condanna o un cattivo presagio, né tanto meno una magra consolazione. È la realtà di una debolezza – o di una ricchezza, a seconda del punto di osservazione – che ci portiamo dentro, che grida alla nostra solitudine la grazia del condividere la stessa identità, la stessa dignità.

La fraternità è una necessità: non possiamo farne a meno. Ogni volta che cerchiamo di negarla, che ce ne dimentichiamo, ogni volta che l’altro rimane “altro” da me, è l’umanità a rimetterci, è l’umanità a uscirne sconfitta.

“Fratelli tutti” è il sogno che è già realtà. È l’invito a chiamare all’appello la nostra coscienza circa l’altissima dignità e responsabilità che si nascondono dietro queste due parole. Come un mondo che ci si schiude davanti, ci immerge in un bagno di umanità, fatto di verità, di vita, di rispetto, di attesa. Ma anche di invasione, di incomprensione, di tradimento. È la prossimità che si fa carne, è la debolezza che chiede di essere guardata. Alla fraternità non c’è scampo. Non è un abito che possiamo dismettere, un buon sentimento o una buona azione da appuntare sul petto: la fraternità siamo noi. Siamo noi quando rispondiamo all’insistente chiamata dell’altro a uscire da noi stessi per riscoprirci parte dell’altro. E questo è fatica, perché, anche non volendo, siamo immersi e respiriamo un clima dove l’io, l’ego, viene innalzato a valore supremo, dove tutto è basato sulla competizione, dove sembra emergere l’uomo forte, l’uomo potente, l’uomo immagine.

Nella Giornata internazionale della fratellanza umana, Papa Francesco non ci ha girato intorno: “O siamo fratelli, o crolla tutto… O siamo fratelli o ci distruggiamo a vicenda… O fratelli o nemici”.

È questa la sfida epocale che abbiamo davanti, la sfida di questo tempo, in cui tutti, ma proprio tutti, abbiamo un ruolo decisivo, insostituibile e non delegabile, perché quel “noi” che vogliamo provare ad essere si costruisce sull’eccomi di ciascuno di noi. Fratelli tutti. O fratelli nessuno.