Bollettino UISG 180/2023

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CAMMINARE INSIEME VERSO UNA UMANITÀ RIGENERATA

Numero 180 - 2023

Bollettino UISG Presentazione 3 …Il Tuo Volto Signore, io cerco! 5 Ricordo del Papa Emerito Benedetto XVI Sr. Nadia Coppa, ASC Per una grammatica dell’umano nella vita consacrata 10 Fr. Carlos del Valle, SVD Dove ci collochiamo? Religiosi alle periferie– fisiche, spirituali ed esistenziali 22 Sr. Juliet Mousseau, RSCJ L’incarnazione profonda come chiamata radicale: ecologia, vita consacrata e amore 29 Sr. Ann-Maree O’Beirne, RSM Il senso dell’essere. Coltivare la speranza per rigenerare l’umanità 37 Marcella Serafini Ministero femminile della Parola e sinodalità nell’opera di Luca 40 María Concepción Tzintzún Cruz, FMVD Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini 51 Dichiarazione La Vita della UISG 54 Comitato Direttivo della UISG (2022-2025) 58 Staff della UISG 59 Numero 180, 2023 CAMMINARE INSIEME VERSO UNA UMANITÀ RIGENERATA

Camminare insieme verso una umanità rigenerata

Con le riflessioni contenute in questo numero del Bollettino abbiamo cercato di intravedere un nuovo cammino condiviso verso un umanesimo rigenerato. Cammino al quale la Vita Consacrata può offrire un contributo profetico rilevante.

La Vita Consacrata è chiamata infatti a portare nel mondo la missione dello Spirito che è quella di costruire l’unità riconciliando le diversità, attraverso la ricerca paziente di quell’armonia che abbraccia tutte le dimensioni della vita umana. Essere una missione su questa terra abitata da fratelli e sorelle e rigenerare l’umanesimo significa coltivare il senso di appartenenza alla famiglia umana, crescere nella solidarietà e nella responsabilità etica, risvegliare la coscienza di appartenere ad una natura cha va custodita e protetta.

L’affermazione che come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle, se non è solo un’astrazione ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte (Fratelli tutti, 4,128)

…Il Tuo Volto Signore, io cerco!

Ricordo del Papa Emerito Benedetto XVI

Sr. Nadia Coppa, ASC

Come donne consacrate, abbiamo amato e sostenuto l’Umile lavoratore nella Vigna del Signore accogliendo le intuizioni profetiche del suo magistero e lasciandoci interrogare dalle sue linee programmatiche. Lo ricorderemo per l’umiltà e la saggezza con cui ha accompagnato la Chiesa e la vita religiosa.

Per una grammatica dell’umano nella vita consacrata

Fr. Carlos del Valle, SVD

Dio incarnato, Dio umanizzato. Il nostro Dio è Gesù, un uomo povero e debole, che conosce la paura, la tentazione, il dolore, il rifiuto, la gioia, l’amicizia. È difficile riconoscere il Figlio di Dio in un povero essere umano. Se diciamo che Dio si è fatto uomo, stiamo dicendo che troviamo Dio nell’umanità. La fede non è possibile se non produce umanità. La nostra vita non avrebbe senso in nessun altro modo. Essere consumatori di spiritualità, spettatori della vita, ci porta a vivere una storia sottovuoto, separata dalla storia delle altre persone. Al contrario, essere consapevoli di tutto ciò che accade ci mette in contatto con la profondità della vita quotidiana. Chiediamo grandi segni a un Dio illusorio e non vediamo i segni poveri che ci offre il Dio reale, che è sempre lievito di umanizzazione.

Dove ci collochiamo? Religiosi alle periferie– fisiche, spirituali ed esistenziali

Sr. Juliet Mousseau, RSCJ

Oltre a chi è emarginato per motivi di esigenze fisiche, ha bisogno della luce di Cristo chiunque sia considerato meno umano perché “altro”. Creare una “cultura dell’incontro” significa allargare le nostre cerchie per includere chi la pensa in modo diverso da noi e

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PRESENTAZIONE

pratica un culto diverso, chi non è della nostra stessa opinione e persino chi ci sembra sgradevole. Una cultura dell’incontro non è un luogo di proselitismo, ma piuttosto un luogo dove possiamo ricercare una maggiore comprensione e riconoscimento dell’umanità nell’altro che ci sembra così diverso.

L’incarnazione profonda come chiamata radicale: ecologia, vita consacrata e amore Sr. Ann-Maree O’Beirne, RSM

Se noi, come religiose, aspiriamo a essere in comunione con Dio, riusciamo ad accettare e promuovere la comunione con tutto il creato? Francesco riconosce che quando il nostro abbraccio è realmente ampio e profondo, iniziamo a sentire il dolore e la sofferenza di tutta la creazione, l’intera comunità della Terra, all’interno del nostro stesso essere. La chiamata è quella a espandere la nostra comprensione della comunione con Dio, l’Incarnazione di Cristo e le nostre relazioni come consacrate, per abbracciare questa comunione globale e permetterci di sentire compassionevolmente il dolore e la sofferenza della Terra e dei poveri della Terra e cercare risposte appropriate ed efficaci. Contemplare una teologia dell’incarnazione profonda può aiutare la nostra riflessione come religiose e la chiamata radicale di impegno a cui siamo invitate.

Il senso dell’essere. Coltivare la speranza per rigenerare l’umanità Marcella Serafini

La natura umana è stata pensata, nella mente eterna di Dio, come la più nobile per attuare il fine supremo della creazione. Il Figlio di Dio l’ha assunta integralmente, senza modifiche o miglioramenti; così facendo, Dio ha mostrato di amare e approvare pienamente la sua opera. Dal momento che è stata assunta dal Figlio di Dio, la natura umana verrà glorificata in ciascun individuo.

Ministero femminile della Parola e sinodalità nell’opera di Luca María Concepción Tzintzún Cruz, FMVD

La parola profetica di Gesù interpreta sempre gli avvenimenti della storia, comprese le sofferenze umane più crudeli, in tutto simili a quelle della sua Passione, riconoscendole come parte del progetto del Padre, che supera e va ben oltre le vicissitudini della storia. La capacità prettamente femminile della gestazione e dell’allattamento dei figli viene riconosciuta in modo sublime come una necessità fondamentale dei discepoli di Gesù, coinvolti con tutto il proprio essere nell’ascolto e nella tutela della Parola di Dio, che vanno a proclamare fino all’ultimo confine della Terra.

Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini

Dichiarazione

La pubblicazione della dichiarazione ha l’obiettivo di creare una piattaforma dove delineare i principi e gli orientamenti per un futuro più sostenibile, basandosi sugli insegnamenti che le suore hanno acquisito attraverso il loro impegno notevole con le comunità alla base. Pilastro dell’advocacy ambientale della UISG, questo documento promuove un’azione decentrata e diversificata attraverso il coinvolgimento di gruppi religiosi e laici, uomini e donne, giovani e anziani, agenzie governative ed enti intergovernativi, organizzazioni internazionali e società a responsabilità limitata.

Ci rivolgiamo alla comunità globale per lo sviluppo affinché si unisca alle suore nella promozione e nella realizzazione di soluzioni ambientali integrali, per garantire un futuro sicuro e prospero a tutte le persone e al nostro pianeta.

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…IL TUO VOLTO SIGNORE, IO CERCO! RICORDO DEL PAPA EMERITO BENEDETTO XVI

Sr. Nadia Coppa è Superiora Generale delle Adoratrici del Sangue di Cristo dal 2017.

Laureata in Psicopedagogia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Firenze, ha conseguito due master: in Psicomotricità e sulle dipendenze patologiche, oltre che una ulteriore laurea in Scienze Religiose.

Ha lavorato come educatrice nel settore del recupero per i tossicodipendenti e alcolisti a Pisa, come psicopedagogista e nell’ambito dell’aiuto alle donne vittime di abusi, a Livorno. È stata inoltre formatrice umana e spirituale per laici ed ha esercitato counseling per le donne in difficoltà.

È stata eletta Presidente della UISG il 10 Maggio 2022.

Il passaggio pasquale del Papa Emerito Benedetto XVI ci ha raggiunte e coinvolte profondamente. Un momento importante per la vita della Chiesa che ha suscitato sentimenti di sincera commozione e profonda gratitudine. Abbiamo reso omaggio al Papa Emerito e abbiamo provato meraviglia di fronte alla sua statura morale e alla riconoscenza che si è levata spontanea da parte di chi si è nutrito della sua parola. Dal cuore della Chiesa è sgorgato un grazie corale.

In diverse circostanze, il Santo Padre aveva detto che la vita non è un cerchio che si chiude, ma un cammino che tende verso un incontro, una linea che tende verso la sua pienezza.

Ringraziamo il Signore della chiarezza della sua fede, per il dono del suo pensiero, della semplicità con cui ha sempre vissuto e con cui ha comunicato le profondità del mistero di Dio.

Come donne consacrate, abbiamo amato e sostenuto l’Umile lavoratore nella Vigna del Signore accogliendo le intuizioni profetiche del suo magistero e lasciandoci interrogare dalle sue linee programmatiche. Lo ricorderemo per l’umiltà e la saggezza con cui ha accompagnato la Chiesa e la vita religiosa.

Ripercorrendo gli anni di pontificato, è evidente che Papa Benedetto ha cercato di ricondurre la vita consacrata al suo nucleo originale che è la forma di vita assunta dal

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Sr. Nadia Coppa, ASC, Presidente UISG

Ascoltando Benedetto XVI è stato naturale riscoprire la passione per l’ascolto orante della Parola, che parla al e nel nostro presente, e che plasma il cuore facendo del nostro quotidiano uno spazio sacro di incarnazione del Mistero. Soltanto l’accoglienza incondizionata della Parola genera novità e trasforma. La via tracciata da Benedetto XVI consiste nell’essere ascoltatrice assidue della Parola, perché ogni sapienza di vita nasce dalla Parola del Signore, e poterla scrutare con sapienziale amore. Dentro questo dinamismo fecondo dello Spirito siamo condotte all’autentico incontro con l’umanità perché “vedendo con gli occhi di Cristo posso dare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno.” (Papa Benedetto XVI, Deus Caritas est)

La vita consacrata è una pianta ricca di rami che si radica nel Vangelo vissuto quotidianamente come l’elemento che dà bellezza e presenta ogni persona davanti al mondo come un’alternativa affidabile. Questo è ciò di cui ha bisogno la società di oggi, questo è ciò che la Chiesa attende: essere un Vangelo vivente.

L’eredità spirituale di Benedetto è l’appello ad essere di Cristo, mantenere accesa nel cuore una fiamma viva d’amore, alimentata dalla ricchezza della fede, non solo quando porta gioia interiore, ma anche quando è unita a difficoltà, aridità e sofferenza. Da teologo e amante della verità, Benedetto ha aperto una riflessione molto profonda su due temi molto importanti: la verità e l’amore che non sono termini in contraddizione, ma si esigono e alimentano vicendevolmente, poiché “Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente.” (Papa Benedetto XVI, Caritas in Veritate)

Egli ha vissuto e concepito il suo pontificato come un servizio d’amore, come una “presidenza d’amore” consapevole che la dottrina della Chiesa raggiunge i cuori di ogni persona solo se conduce all’amore. Questo modello di governo, umile e semplice, ha incoraggiato anche noi a concepire l’autorità come servizio generativo cercando di “far sì che l’amore

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Sr. Nadia Coppa, ASC
…Il Tuo Volto Signore, io cerco!

Cristo. “Appartenere al Signore - disse alle Superiore Generali riunite in udienza il 22 maggio 2006 - vuol dire essere bruciate dal suo amore incandescente, essere trasformate dallo splendore della sua bellezza; la nostra piccolezza è offerta a Lui come sacrificio di soave odore, affinché diventi testimonianza della grandezza della sua presenza per il nostro tempo che tanto ha bisogno di essere inebriato dalla ricchezza della sua grazia”. Non sono mancate, nel suo magistero, parole chiare e incisive sulla vita consacrata quale testimonianza ed espressione del modo “forte” del cercarsi reciproco di Dio e della persona umana nell’attrazione dell’Amore. “La persona consacrata - condivise Benedetto XVI - per il fatto stesso di esserci, rappresenta come un “ponte” verso Dio per tutti coloro che la incontrano, un richiamo, un rinvio. E tutto questo in forza della mediazione di Gesù Cristo, il Consacrato del Padre. Il fondamento è Lui! Lui, che ha condiviso la nostra fragilità, perché noi potessimo partecipare della sua natura divina”. (Papa Benedetto XVI, Omelia 2 febbraio 2010).

Parole forti, che abbiamo accolto riconoscendo che edificare la propria dimora sulla roccia, su Cristo e con Cristo, significa costruire su un fondamento che si chiama Amore crocifisso.

Lo ricordiamo per la sua ferma e vigorosa richiesta di porre la Parola di Dio al centro della vita spirituale così da riscoprire la luce che la Sacra Scrittura, in modo particolare il Vangelo, dona ai nostri giorni, al nostro cuore e al rinnovamento della vita consacrata.

“La Parola di Dio è il Cristo stesso, che è e deve essere al centro della Chiesa e della sua vita religiosa.” Ciò che colpisce è la sua testimonianza cristocentrica che si è espressa nel suo annuncio semplice e diretto e nel suo operare chiaro e coerente. Il discepolato è, per Benedetto XVI, una risposta d’amore a Gesù Cristo vivendo un’amicizia personale con Lui e rinnovando interiormente la volontà di convergere a Lui volgendo costantemente il cuore verso la Pasqua, con la quale la vita acquista pienezza.

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…Il
Sr. Nadia Coppa, ASC
Tuo Volto Signore, io cerco!
“Le donne hanno sperimentato un legame speciale con il Signore che è fondamentale per la vita concreta della comunità cristiana, e questo sempre, in ogni epoca, non solo all’inizio del cammino della Chiesa.”

unificante sia la nostra misura; l’amore durevole sia la nostra sfida; l’amore che si dona la nostra missione!” (cfr. Benedetto XVI, Discorso 19 luglio 2008)

Siamo consapevoli dell’apprezzamento che Benedetto XVI ha dimostrato per le persone consacrate e il suo incoraggiamento di “essere testimoni della presenza trasfigurante di Dio in un mondo disorientato e confuso” ci giunge, ancora oggi, come un richiamo profetico. Ci ha invitato “a guardare questo tempo con lo sguardo della fede per poter guardare l’umanità, il mondo e la storia alla luce di Cristo crocifisso e risorto, unica stella capace di orientare le genti”. (Papa Benedetto XVI, Discorso 22 maggio 2006).

“La vita consacrata – dice ancora - è importante proprio per il suo essere segno di gratuità e d’amore, e ciò tanto più in una società che rischia di essere soffocata nel vortice dell’effimero e dell’utile (cfr. Vita consecrata, 105). Essa testimonia la sovrabbondanza d’amore che spinge a “perdere” la propria vita, come risposta alla sovrabbondanza di amore del Signore, che per primo ha “perduto” la sua vita per noi”.

Con sentimenti di cura e attenzione ha riservato parole di speranza e di profondo rispetto per le persone consacrate, soprattutto per coloro che vivevano in situazioni di maggiore fragilità ricordando che “Nessuno è inutile, perché il Signore associa tutti al “trono della grazia”. Ogni persona è un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, assetato di Dio e della sua Parola anche e soprattutto nei momenti di maggiore fragilità”. (Papa Benedetto XVI, Omelia 2 febbraio 2010)

Con chiarezza ci ha sfidate a lottare contro la cultura secolarizzata, che è penetrata nelle menti e nei cuori di non poche persone consacrate, invitandoci a superare il relativismo che impoverisce la fede e la ricerca di Dio spingendoci a vivere nella mediocrità.

“Il Signore” - diceva -”vuole uomini e donne liberi, non vincolati, capaci di abbandonare tutto per seguirlo e di trovare il loro tutto solo in Lui. C’è bisogno di scelte coraggiose, a livello personale e comunitario, che imprimano una nuova disciplina alla vita delle persone consacrate e le portino a riscoprire la dimensione totalizzante della sequela Christi”. (Papa Benedetto XVI, Discorso 22 maggio 2006).

Ci ha incoraggiate a essere nel mondo un segno credibile e luminoso: essere fuoco del Vangelo e dei suoi paradossi, senza conformarci alla mentalità del mondo, ma trasformandoci e rinnovando continuamente il nostro impegno, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cfr. Rm 12,2).

Papa Benedetto XVI ha sempre riconosciuto il ruolo speciale delle donne nella vita della Chiesa attribuendole una particolare influenza. “Le donne hanno un ruolo cruciale nella società, dovrebbero essere incoraggiate ad abbracciare le opportunità di crescere nella dignità della vita attraverso il loro impegno nell’istruzione e la loro partecipazione alla vita politica e civica. Il genio femminile può organizzare azioni con lo scopo e la motivazione di sviluppare reti più ampie per condividere esperienze e generare nuove idee. (cfr. Papa Benedetto XVI, Messaggio 20 marzo 2009). Le donne hanno sperimentato un legame speciale con il Signore che è fondamentale per la vita concreta della comunità cristiana, e questo sempre, in ogni epoca, non solo all’inizio del cammino della Chiesa.’’. (Papa Benedetto XVI, Regina Coeli, 9 aprile 2012).

È stata davvero un’esigenza del cuore di Benedetto XVI coltivare il dialogo con l’arte, in quanto mondo della bellezza. Egli si è adoperato, soprattutto, per portare alla luce la bellezza della fede stessa, per far sì che della fede non si parlasse soltanto, ma che essa soprattutto venisse celebrata. Si è impegnato perché la liturgia fosse armonica, poiché essa è celebrazione della presenza e dell’opera del Dio vivente e perché essa vuole condurci al e nel mistero divino.

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…Il Tuo
io cerco!
Sr. Nadia Coppa, ASC
Volto Signore,

Il percorso di Benedetto XVI, costellato di profonde riflessioni che rappresentano un’immensa eredità di saggezza e di fede, rimarrà nel cuore e nella storia della Chiesa. Il suo pensiero continuerà a illuminare il cammino di tutti coloro che hanno trovato in lui una luce che rischiara le tenebre del mondo. Resterà senz’altro il suo magistero, le sue tre encicliche – Deus caritas est, Spe salvi, Caritas in veritate, la bellezza e la profondità delle sue riflessioni e catechesi nel corso delle udienze generali. Ci lascia una meravigliosa paternità spirituale ed ecclesiale, un patrimonio che ha segnato il Novecento e i primi passi del nuovo Millennio.

Il Santo Padre ci lascia nel cuore un desiderio profondo di preghiera come respiro e nutrimento dell’anima e oasi di pace in cui attingere l’acqua che alimenta la vita spirituale e trasforma l’esistenza. Egli accende in noi la nostalgia di Dio, l’anelito a cercarLo, ad andargli incontro, mentre si comunica, si fa conoscere e ci infiamma del Suo Spirito facendoci trasalire di gioia.

La sua testimonianza di uomo innamorato di Dio e cercatore del suo Signore, è un invito a coltivare il desiderio della costante ricerca di un Volto, «Faciem tuam, Domine, requiram» (Sal 26,8), e a orientare il cammino, sia nei piccoli passi quotidiani che nelle decisioni più importanti, verso il compimento di questo pellegrinaggio del cuore.

Caro Papa Emerito, a te, la nostra profonda ed eterna gratitudine.

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…Il
Sr. Nadia Coppa, ASC
Tuo Volto Signore, io cerco!

PER UNA GRAMMATICA DELL’UMANO NELLA VITA CONSACRATA

Padre Carlos del Valle è Missionario del Verbo Divino. È dottore in Teologia morale. Dal 1983 ha lavorato in Cile ed è stato redattore della rivista “Testimonio”. Nel giugno 2013 è stato nominato Rettore del Collegio San Pietro a Roma.

1. Imparando a vivere

Nel corso degli anni, il vino si è inacidito. Il vino acido produce volti acidi, atteggiamenti intolleranti, maestri più che discepoli, signori più che pastori, principi più che servi, giudici più che persone affascinate, una struttura gerarchica più che popolo di Dio. Per questo la sala del banchetto si è svuotata dei commensali, che desiderano solo vivere felici e godere della vita che Dio dona loro.

Ci sono troppi giudici e pochi amici dell’anima. Ci sono troppi maestri e pochi discepoli. Religiosi che hanno nel cuore idee, istituzioni, timori, non persone. Concentrati sul ruolo, non sulla missione, trasformano l’incarico in un ufficio, diventando funzionari sacrali e persino funzionari pragmatici, inseriti nella vita secondo il sole che scalda di più. Persone che siedono al posto di Mosè, arrugginite da un sistema che non risponde più alle richieste umanizzanti di cambiamento. Ci sono comunità in cui si vive la consacrazione come uno status, come una separazione dalla vita in generale, dai laici e dai poveri in particolare. Si percepisce la vita religiosa come stanca, incurante di essere vita, per quanto religiosa possa apparire. Fuori fuoco di fronte alle profonde trasformazioni della storia. Toccata dalla lebbra della disumanizzazione, ha bisogno di sentire la mano del Guaritore della tenerezza.

Non c’è ombra senza luce e non c’è luce che non proietti un’ombra. La testimonianza di molti si perde a causa dell’incoerenza di alcuni. Oggi non c’è tempo per le cose inutili.

“Non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza” dice Teresa d’Avila.

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P. Carlos del Valle, SVD

Il rapporto tra la Chiesa e il Vangelo è fondamentale. Il Vangelo non è teoria, dottrina, religione; è uno stile di vita. È la raison d’être della consacrazione, di uomini e donne di fede, orientati al Mistero, chiamati a trasformare la vita secondo il cuore di Dio, essendo con tutto il cuore in ogni cosa e avendo a cuore ogni cosa.

In gioventù impariamo e in vecchiaia capiamo. Invecchiare è come scalare una montagna: man mano che si sale, diminuiscono le forze, ma la visione si fa più ampia e serena. Le persone vogliono imparare a vivere. La stessa cosa vogliono i consacrati. Non ci concentriamo sull’approfondimento di ciò che è la Vita Consacrata. Ci interessa scoprire come essere dei consacrati nel qui e nell’ora. La nostra vita si declina non nei grandi principi, ma nella loro incarnazione. Ci interessa conoscere non solo gli ideali di ispirazione, ma il livello di incarnazione di questi ideali nella nostra vita.

Per conoscere un fiore, una ferita, un povero, Dio... in ginocchio, guardando da vicino. Basta poco per vivere: la sapienza evangelica. Non è facile capire la vita, le persone, il potere, le aspirazioni, il dolore, i valori. Non abbiamo bisogno di nuove idee, teorie, novità. Se il lettore troverà qualcosa di nuovo in queste pagine, spero che sia solo energia nelle parole, con la vitalità e l’impronta della vita di oggi. Parole che ci aiutano a orientare le nostre vite con esperienze umane e la fede in Gesù Cristo, come persone con un’identità ben definita e una forte motivazione. Necessitiamo di maestri di vita umana, con un linguaggio semplice che renda tutto trasparente. Le cose semplici vanno più in profondità di quelle complicate. Nella riflessione sulla Vita Consacrata mancano parole che sappiano unire l’autenticità di chi le pronuncia con le esigenze profonde di chi le riceve. Parole feconde, che nascano dal cuore e possano diventare energia che apre i cuori, orientandoli verso orizzonti più ampi. Parole che aprono i pori della pelle, le finestre dell’anima. Toccare i cuori è il modo migliore per cambiare le menti.

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SVDPer una grammatica dell’umano nella vita consacrata
P. Carlos del Valle,
I gesti autenticamente religiosi non sono quelli del culto, ma quelli della cura. Lo dimostra la vita consacrata inserita in spazi umani: ospedali, scuole, orfanotrofi, luoghi di ospitalità, inserimento tra i poveri.

Nella Vita Consacrata ci sono brave persone che fanno del bene. Vite semplici che plasmano altri cuori per l’umano. Stare con loro ci fa sentire che possiamo avere una vita migliore. In queste persone vediamo come Gesù appare in parole diverse che riflettono le sue, in altre vite che toccano le nostre, in altri abbracci che ci fanno rialzare. Un’esperienza con il Verbo incarnato che sempre umanizza. Queste persone, con il loro stile di vita, ci collocano in ciò che è la Vita Consacrata. Dove c’è vita vissuta come donazione, appare l’incarnazione del Verbo.

La debolezza non fa paura, la mediocrità sì. La spiritualità leggera che favorisce una fede di benessere e comfort. Un conformismo corrosivo che oscura lo sguardo e desensibilizza il cuore di fronte alla realtà umana. La superficialità è la grande malattia dei religiosi. Chi non ha valori solidi finisce nell’edonismo. Nella Vita Consacrata, l’obiettivo non è fare qualcosa di buono, ma raggiungere il meglio. Siamo minacciati dalla tragedia di non voler

trovare il modo migliore per superare le crisi. Certamente, i migliori sono ancora sulla breccia. Nessun buon medico, nessun buon insegnante, nessun buon muratore è in crisi nel suo settore. Papa Francesco ci esorta a dare forma e visibilità a una Vita Consacrata in uscita, a una spiritualità dell’incontro, a una diaconia della misericordia e della tenerezza. È una chiamata a trovare, nei religiosi, una risposta organica, non solo sentimenti emotivi, passeggeri e sterili. Potremmo prendere le parole del Papa come esortazioni pie, non come un lievito che porta un cambiamento nella vita e nella missione.

2. Ci dedichiamo a vendere superficialità?

Un uccello ferito non può volare, né può farlo un uccello aggrappato a un ramo. I rami a cui ci aggrappiamo sono le nostre superficialità, che ci riempiono di impegni e ci impediscono di preoccuparci di ciò che è veramente importante. Così, il rischio è che il senso della vita

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venga sacrificato in elemosine che placano le coscienze. Anche tra i consacrati, molte pratiche di preghiera sono diventate uno spazio per ciò che è utile, non un autentico luogo di amicizia. Preghiere vissute con l’impazienza di meritare Dio, non con la pazienza di accoglierlo. I tralci non rivolgono la loro attenzione ai frutti, ma all’unione con la vite. Non sono loro a produrre frutti, ma la vite attraverso di loro. Un senso vitale orientato più all’unione con la vite che alla maturazione dei frutti. È la vite che fa maturare i frutti. I tralci sono il veicolo che permette alla forza della vite di fluire.

Ogni giorno scegliamo tra vivere o sopravvivere, tra autonomia e dipendenza, tra realizzazione e mediocrità. La santità è una passione. È quel qualcosa che ci dà forza all’inizio della giornata e motivazione quando la strada è in salita. La passione è il carburante che mette in moto il nostro potenziale, è un fuoco acceso dentro di noi. Sarà un progetto, un nome nel cuore, una ferita dell’altro che facciamo nostra, desideri per il futuro, un lavoro vissuto come vocazione, una vita dignitosa per i poveri.

Ci sono religiosi che lasciano spazio nella loro vita per Dio; e più grande è, meglio è. Ciò suppone degli sforzi che sottraggono tempo e spazio alla vita sociale, alle relazioni umane, alla preoccupazione di alleviare le necessità, per dedicarsi a Dio, nella seclusione dello spazio sacro. Si ricerca il tempo della preghiera per l’incontro con Dio, invece di cercare il tempo della preghiera per assaporare e celebrare l’incontro con Dio nella missione umanitaria. Come se Dio non andasse d’accordo con l’umano. Uno stile di vita lontano dall’incarnazione, dal Dio che fa sua l’umanità. Dio vive lì dove lo lasciamo entrare. Siamo chiamati a fare esperienza di Dio, che passa attraverso i nostri piani quotidiani. Raggiungiamo Dio attraverso l’umano. Interagiamo con Lui quando incontriamo le persone e i loro problemi: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.” La santità non è sublime, ma profondamente umana. Se Dio si fa uomo per salvare questo mondo, c’è un altro cammino per noi? Non viene prima la preghiera, ma la vita: la gioia, la festa dell’amicizia, il dolore, la fame di pane e di senso. È qui che nascono la supplica, l’ammirazione e la lode.

Il destino dei gigli di campo è quello di trasformare la terra in bellezza. Il destino di un essere umano è di diventare più umano, crescere nella sensibilità e nella tenerezza; ciò risveglia il meglio dell’essere umano. Diventiamo più umani alimentando ciò che di divino c’è in noi. Lì troviamo l’affermazione più autentica di noi stessi. Non possiamo separarci dall’amore, né da Dio. Amare e ricevere amore umanizzano la vita. Siamo umani quando sentiamo che il nostro cuore è straziato dalla Essere umani significa accettare e celebrare l’umanità degli altri.

Consacrati che cercano Dio. Su quali cammini? Destinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo (Rm 8,29). Diventiamo più divini diventando più umani. Ci sono persone profondamente religiose e profondamente disumane. L’importante non è essere un buon religioso, ma una brava persona. Una brava persona, non perché vada tutto bene nella sua vita, ma perché riesce ad affrontare tutto nel modo migliore. È più facile essere un eroe che una brava persona. Si è eroi una volta, in una circostanza straordinaria; una brava persona, sempre, nella vita ordinaria. Viviamo circondati dall’ordinario, dal normale, dal non eroico. Il consacrato fa cose ordinarie in modo straordinario. Questa è la differenza tra i grandi e i mediocri. Torniamo alla vita quotidiana rifugiandoci nella normalità delle nostre modeste esperienze individuali.

Valiamo quanto le nostre conoscenze, abilità, esperienze, modi di essere. La differenza tra il grande e il mediocre sta nel modo di essere. Ci piacciono le persone per quello

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che sono; gentili, umili, sensibili, che si preoccupano e si interessano di noi, ci aiutano... delle brave persone. Apprezzo molto le brave persone. Ammiro chi sa molto o ha molta esperienza. Quando ci scoraggiamo, perdiamo la cosa migliore che abbiamo: il nostro modo di essere, il nostro spirito. Passiamo da brillanti a mediocri. Quando perdiamo il cuore, mettiamo meno affetto in ciò che viviamo, meno entusiasmo, meno interesse, meno desiderio. Diventiamo mediocri. Perdiamo la vita di Dio, la presenza dello Spirito in noi. La vita è uno stato mentale. È nostro compito aiutare gli altri a non perdersi d’animo. Prendiamoci la responsabilità del nostro stato d’animo. La differenza tra una persona positiva e una negativa è il suo stato d’animo. Pensate, ogni giorno, a svegliarvi con degli obiettivi e andare a dormire speranzosi.

Papa Francesco ci interpella mettendo al centro della religione l’umano, non il sacro, perché l’umanità è l’incarnazione del sacro. Il centro è la bontà, la sofferenza dei deboli. Il Papa segue Gesù, che vive un’altra religione, un altro tipo di convivenza, il Regno di Dio. Gesù pone il centro della religione nella vita, nelle relazioni umane, nella bontà, nella misericordia (Beatitudini). Per fare questo, necessita di una profonda esperienza di Dio nella forza della preghiera.

Parlare di Regno significa parlare di una società umanizzata. Dove c’è piena umanità (bontà) c’è bellezza, gioia, felicità. Forse, quando parliamo di Regno, pensiamo a un buon progetto di attività pastorale, senza preoccuparci di umanizzare persone, strutture, istituzioni. A Gesù piaceva alzarsi presto e stare da solo con il Padre; preferiva mangiare insieme agli altri; il suo cuore si apriva con chi si sentiva perso; era insofferente verso i farisei e le loro rigidità; gli stavano a cuore le persone (D. Aleixandre). È l’immagine dell’essere umano sognato dal cuore di Dio.

Per essere credibile, la parola di Dio necessita di corpi, di testimoni, di martiri, di un luogo di incarnazione. Ha bisogno che le nostre comunità respirino il Vangelo, vissuto nella preghiera e nell’incontro fraterno. La preghiera è un incontro con Dio, con se stessi, con la vita. Dalla preghiera attingiamo lo spirito profetico, l’anima della missione. Non possiamo vivere solo di azioni e risultati. Diventeremmo possessivi e meno capaci di accogliere e condividere. Saremmo come i pompieri che si precipitano a spegnere un incendio e, una volta arrivati, scoprono di avere le cisterne vuote.

Per armonizzare ciò che pensiamo, sentiamo e facciamo, abbiamo bisogno della preghiera riflessiva. Un modo di essere presenti, attenti e concentrati, qui e ora. Il tempo della preghiera è un tempo concentrato, da vivere intensamente, con tutto il proprio cuore. Senza concentrazione, la nostra vita non ha senso. Possiamo scoprire il significato di ciò che facciamo solo quando lo viviamo in profondità. La consapevolezza di ogni momento ci connette con la realtà e ci rende presenti nel vivere il presente. Entrare nella propria interiorità significa crescere in umanità, in sensibilità verso valori profondi. La preghiera è un trampolino di lancio verso ciò che è profondamente umano evitare di cadere nella superficialità, non dobbiamo accontentarci di aprire le porte e di uscire, ma apriamo anche le finestre e facciamo entrare l’aria di Dio dall’esterno.

Cadiamo nelle superficialità quando la nostra vita di preghiera si riduce a preghiere vocali, trasformandoci così in uomini/donne di preghiere, piuttosto che di preghiera. Promuovere pratiche di pietà è come innaffiare fiori di plastica nel giardino della propria esistenza. Non dobbiamo confondere la fede con la pietà, il sentimento religioso, la perfezione morale. L’obiettivo non è diventare più pii, più ferventi, più perfetti, ma credenti più convinti. Ciò significa trovare nella fede la fonte di senso, il fondamento della

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nostra vita e della nostra missione. Essere un uomo o una donna di Dio, non solo perché si prega, ma perché si pensa, si parla e si agisce con il cuore di Dio.

Se le pratiche di pietà non nascono da una profonda preghiera personale, possono rimanere un corpo senza anima. Da qui un vuoto affettivo che deve essere riempito con altri amori, per le persone o per le cose. Un vuoto affettivo che ci porta ad avere bisogno che gli altri ci riconoscano, che approvino quello che facciamo, che ascoltino le nostre lamentele, che ci ricordino quanto valiamo e quanto siamo persone di valore. Nella riflessione orante, Gesù allena i nostri desideri, i nostri sentimenti e i nostri affetti, finché arriviamo a sentire e a desiderare secondo i desideri del suo cuore. “Abbiate gli stessi sentimenti di Gesù” (Fil 2,5), la sua sensibilità e il suo desiderio di essere in sintonia con il Padre. Più cresce la nostra sintonia con Dio, più il nostro cuore si allarga per abbracciare tutto ciò che è umano.

Pregare non consiste nel ricercare uno stato d’animo, ma si tratta di un atto di fede. Non preghiamo soltanto per pensare a Dio o per sentire Dio (emozioni), ma per amare Dio, il Dio umano mostrato da Gesù. Per nutrire il nostro spirito, necessitiamo di vitamine, non soltanto di condimenti che soddisfino il palato. La preghiera è il Tabor della vita, il monte della nostra trasfigurazione. Vivere è cambiare. La santità è il risultato di molte trasformazioni. La contemplazione della Parola trasforma i pensieri, gli atteggiamenti, le motivazioni, le emozioni, nei sentimenti di Gesù, nei desideri di Dio. La preghiera cambia il cuore. L’abitudine alla preghiera ci porta a vivere non da e per noi stessi, ma a partire da Dio e dai nostri fratelli e sorelle, con loro e per loro. Ci mette in sintonia con lo sguardo di Dio: “E Dio vide che era cosa buona”. Guardare gli altri e vederne la bontà significa essere puri di cuore.

Quando Teresa di Calcutta vedeva un povero, sentiva un impulso di bontà che la spingeva ad aiutarlo. Questo porta a un’abitudine che diventa uno stile di vita motivato dalla

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L’esperienza dell’incontro è umanizzante. È una lampada che brilla sempre quando tutto il resto si spegne. Siamo l’immagine del Dio degli incontri.

preghiera, che ci porta a vedere Gesù nei poveri. Se non viviamo con i poveri, è difficile cambiare. Madre Teresa ha dovuto lasciarsi alle spalle le sicurezze del convento. Siamo donne o uomini di Dio non soltanto perché preghiamo, ma perché pensiamo, parliamo, agiamo a partire dall’umanità di Dio. Saremo in sintonia con il Regno. Nel Vangelo vediamo che ovunque sia arrivato Gesù, è arrivato il Regno. Questo è il nostro compito: moltiplicare le esperienze umane che incarnano l’arrivo del Regno nel nostro arrivo.

3. Il battito del cuore di Dio nel cuore del mondo

Trovare il tesoro non significa possederlo. Se lo abbiamo scoperto, non cadiamo nell’ingenuità di credere di possederlo. Il nostro tesoro è essere in sintonia con il cuore di Dio scoprendolo nel cuore del mondo. I tesori che vale la pena avere sono spesso nascosti nel cuore degli altri. Attraversiamo il mondo con occhi aperti. Possiamo scoprire

i semi della vita umanizzata in ogni essere umano o evento e ripetere con Giacobbe:

“Il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo” (Gen 28,16). Non si vive di grandi idee, ma di esperienze concrete.

Non è il mondo che ci mostra Dio; è la sensibilità della nostra fede che scopre Dio nel mondo. Guardare la vita, gli eventi, le persone con gli occhi del credente ci porta a scoprire il Vangelo nascosto. Non preoccupiamoci tanto di evangelizzare, ma di cogliere ciò che è umano, ciò che è evangelico e di svelarlo. Anche i più poveri - soprattutto i poveri - hanno il loro tesoro nascosto. La nostra missione è riempire la società con il Vangelo, svelandolo lì dove è nascosto.

Le parabole del Vangelo non solo comunicano cose misteriose con un linguaggio semplice, ma ci portano anche a riconoscere nelle cose semplici il mistero, la profondità che si rivela. Le parabole sono attente alla vita quotidiana, sottolineano la normalità della

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presenza del Padre. Se prestassimo attenzione alle cose di tutti i giorni, saremmo toccati dalla presenza quotidiana di Dio.

Sentire la propria fragilità è un cammino sicuro per la santificazione e la crescita umana. Un’ostrica senza ferite non produce perle. Il dolore ci mette in contatto con la vita, ma può anche renderci il centro del nostro piccolo mondo. La malattia è una scuola di umanizzazione. Impariamo a essere più tolleranti, più comprensivi, più compassionevoli. Quando ci fermiamo a guardare una persona che soffre, ne rimaniamo impressionati; la nostra sensibilità si risveglia; la nostra passione per la vita si accende. Questa passione risveglia la nostra capacità di amare... Lo sguardo, lo stupore, la sensibilità, la passione per la vita, la capacità di amare. Dio non ci porta verità, ma passione per l’essere umano. Se passo un’ora davanti alla ferita di un altro, posso conoscere il cuore di Dio meglio che leggendo libri e scoprendo il significato delle parole. Con l’esperienza che vivere significa dare la vita.

La realtà, in primo luogo, non va trasformata ma riconosciuta, apprezzata, accolta con gratitudine. Ora vivo con 180 giovani sacerdoti, in un clima di studio. Per me questa casa non è solo un luogo di lavoro e di formazione, ma anche di sensibilità, di emozioni e di desideri, di esperienze di gioia, di affetto e di fede. Uno sguardo di fede porta all’incontro con le persone, i fatti, le routine... una vita piena di fascino. Siamo invitati a scoprire e ad assaporare il fascino nei minimi dettagli della vita quotidiana. Tutto ciò che è umano porta in sé il lievito di umanità che fa fermentare tutto ciò che esiste.

Feconda il mondo chi, come Giuseppe, sa sognare, ascoltare, proteggere e curare. Chi sa guardare al passato solo per perdonare o ringraziare, al presente con gioia ed entusiasmo e al futuro con speranza e ottimismo. Persone che hanno scelto di vivere secondo l’essenziale: una fede che si fida, un amore che accoglie, una speranza che costruisce. Esseri umani che portano la vita degli altri, il dolore e le ferite, che amano senza contare la fatica e le paure. Con i dettagli del vivere, con il cuore in terra e i sogni in cielo. La nostra vita ha più o meno valore in base a quanto diamo agli altri ciò che non hanno. Siamo umani quando ci prendiamo cura delle vite. Se non vediamo la persona, le sue necessità e le sue lacrime, è perché soffriamo di sclerocardia, la durezza del cuore, che per Gesù è la malattia peggiore. Produce funzionari, burocrati, analfabeti del cuore.

Prendersi cura è un gesto attivo che mette in pratica l’amore cristiano. Una madre diventa il Regno di Dio quando si prende cura di sé, degli altri, del mondo. I gesti autenticamente religiosi non sono quelli del culto, ma quelli della cura. Lo dimostra la vita consacrata inserita in spazi umani: ospedali, scuole, orfanotrofi, luoghi di ospitalità, inserimento tra i poveri. Nella parabola del Samaritano, l’amore come cura è legato all’invio in missione: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Questa parabola ci invita a relazionarci in una chiave diversa: riconoscendo la cura come seme nel cuore, l’inclusività e la gratuità dell’amore che cura.

Gesù mostra il modo più umano di vivere. In lui, Dio indica come essere un essere umano. Per Gesù, è felice il povero non il ricco, il donatore non l’accumulatore, il perseguitato non il persecutore, il pacifico non il più forte. Egli ci invita a scoprire in un po’ di pane e vino, benedetti e condivisi, il segno di ciò che dovrebbe essere la vostra vita: il Vangelo, che è contagioso nella dedizione e nel servizio.

La religione si concentra sul raggiungere l’altra vita; il Vangelo, sull’umanizzare questa vita. Sono venuto perché abbiano la vita. Gesù ha tre preoccupazioni: la salute, il cibo condiviso e le relazioni umane che ci rendono buoni.

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Dio incarnato, Dio umanizzato. Il nostro Dio è Gesù, un uomo povero e debole, che conosce la paura, la tentazione, il dolore, il rifiuto, la gioia, l’amicizia. È difficile riconoscere il Figlio di Dio in un povero essere umano. Se diciamo che Dio si è fatto uomo, stiamo dicendo che troviamo Dio nell’umanità. La fede non è possibile se non produce umanità. La nostra vita non avrebbe senso in nessun altro modo. Essere consumatori di spiritualità, spettatori della vita, ci porta a vivere una storia sottovuoto, separata dalla storia delle altre persone. Al contrario, essere consapevoli di tutto ciò che accade ci mette in contatto con la profondità della vita quotidiana. Chiediamo grandi segni a un Dio illusorio e non vediamo i segni poveri che ci offre il Dio reale, che è sempre lievito di umanizzazione.

4. I semplici diffondono umanità

L’esperienza dell’incontro è umanizzante. È una lampada che brilla sempre quando tutto il resto si spegne. Siamo l’immagine del Dio degli incontri. Durante i pasti, Gesù denuncia il classismo che separa ed emargina sempre, senza permettere l’incontro. Il Vangelo ci ricorda che Gesù si è messo “in mezzo a loro”. Non in alto, come superiore. Non in disparte, come se li giudicasse. In mezzo, sullo stesso piano, in fraternità, in parità di rapporto. Credere di essere vicini a Dio guardando gli altri dall’alto in basso significa negare che Cristo si sia incarnato. Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vivo di lui.

“Il Verbo si fece carne” … prova che rileva le tracce di spiritualismo che ci portiamo nel sangue. Nella vita, ci sono tre verbi maledetti: ascendere, possedere, comandare. Gesù ne contrappone tre benedetti: discendere, dare, servire. Mette in relazione servizio e potere. C’è un contrasto tra il Dio onnipotente e Gesù ai piedi dei discepoli. Il Maestro elimina il contrasto: il potere si esercita nell’amore che serve. Prostrato, con l’asciugamano, afferma: “Fate lo stesso.” Siamo realmente seguaci di Gesù o è solo un’apparenza?

Oggi, Gesù continua a sedurre perché rifiuta la logica del potere. Le gerarchie, facilmente infettate dallo spirito mondano, passano dal fratello che serve il fratello al dominio dell’uno sull’altro. L’interesse per il prestigio va a sostituire il servizio. Con un’aureola divina, evitano che il loro potere venga messo in discussione così da continuare a godere del profumo del privilegio. Questo è tipico del clericalismo, con uno spirito mondano. Il Vangelo ci ricorda: “Stare nel mondo senza essere del mondo.” Questo significa passare da un’autorità che si rafforza usando le persone, a un’autorità al servizio delle persone. Implica il passaggio dall’avere potere al dare potere, senza coprire i difetti con il linguaggio delle virtù. Un messaggero ha autorità quando si identifica con il messaggio.

Non è necessario essere un membro del clero per essere clericale, con atteggiamenti di segregazione, al di sopra degli altri. Il clericalismo vive in questa aristocrazia. Porta a uno stile di vita aristocratico: a essere al di là del popolo di Dio. Il popolo ci colloca nella nostra vera identità di esseri umani e di cristiani. Infatti, il nucleo della nostra identità è in ciò che ci avvicina agli altri, in ciò che è umano, cristiano, non in ciò che ci differenzia da loro. Il popolo di Dio ci inserisce nella Chiesa. Il religioso clericale non è inserito. Gesù ha svuotato se stesso, si è abbassato, per diventare parte del popolo. Il clericalismo sostiene un’élite che non si riconosce nel popolo. Da qui la gestione perversa del potere.

Per Gesù, servire è l’unico modo per relazionarsi all’atro in modo paritario e rispettoso.

E voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). Questo implica scendere dal piedistallo per diventare popolo. Seguire Gesù significa sostituire la piramide con il cerchio. Essere consacrati, esperti di comunione. Ci riuniamo per costruire la fraternità; non siamo un gruppo pio o un gruppo per l’azione apostolica. La nostra vita ha senso nella misura in cui siamo esseri

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di comunione, di incontro, a mani unite e con progetti condivisi. L’essere fratello viene prima di tutto. Condividiamo questo dono nella comunità e lo doniamo nella missione. L’incarnazione dà senso a tutto nella nostra vita; la missione in uscita per la fraternità. Fraternità nel servizio ai poveri. C’è più dignità umana nell’amore e nel servizio che nel potere e nella distanza. Se ci risulta difficile da vivere, è perché il cuore non è ancora evangelizzato.

La scena dell’unzione a Betania (Lc 7,36-50): il centro dovrebbe essere Simone, l’anfitrione pio, con potere. Eppure, è la donna che è al centro. Gesù rende protagonisti gli ultimi (Gesù non aveva nemici tra le donne). Simone crede di essere un creditore davanti a Dio, non un debitore. Non mostra gratitudine. La donna ha bisogno di essere accolta da questo uomo di Dio. La gioia le fa mostrare tenerezza. L’errore di Simone sta nel suo sguardo giudicante. In una sola frase (v. 39) esprime due giudizi: Gesù è un falso profeta; la donna, che viene ripudiata, definita dal suo peccato. Il fariseo guarda al peccato, con uno sguardo violento di rifiuto. Gesù guarda, con uno sguardo accogliente e amorevole, alla debolezza, alla sofferenza, ai bisogni. Per Simone, guardare e giudicare sono la stessa cosa. Per Gesù, guardare e amare sono la stessa cosa. Egli è dalla parte della donna che ama molto. L’amore umanizza la persona.

Gesù sta dalla parte degli ultimi per amore della vita. Per Dio conta ciò che è autentico, mettere il cuore in ciò che si fa, come la vedova che dona ciò che ha per vivere. Un atto fatto con tutto il cuore avvicina a Dio. Non è il denaro che decide il valore delle cose, ma l’umanità che ci si mette. Il denaro, come la droga, non porta felicità, ma crea dipendenza. Il Vangelo non mi porta solo a chiedermi: cosa faccio con il mio denaro; più fondamentalmente, che cosa fa il mio denaro con me, mi rende più umano?

I poveri sono protagonisti senza volto di tragedie che sono quasi sempre evitabili. E noi che siamo consacrati tendiamo a essere spettatori più che attori. Se i ricchi cercano più ricchezza, i poveri preferiscono un po’ di amore, una casa, una compagnia, un dettaglio di vicinanza. Avvicinarsi ai poveri ci permette di scoprire l’umanità di Dio. Sono la sua immagine. Prima di risolvere i problemi, possiamo gioire del Dio umanizzato che cammina con loro. Per Gesù, rivelare è svelare la vita quotidiana. Abituati a vedere Dio nella generosità di chi dona, è difficile rivelarlo nella dignità di chi chiede. Tra i più deboli, con il desiderio di imparare da loro, scopriamo tesori, meraviglie nascoste dell’umanità.

C’è chi non fa il bene per amore del bene, ma perché è schiavo della propria immagine e ha bisogno di sentirsi superiore agli altri. Anche le critiche che rivolgiamo agli altri nascondono il desiderio di presentarci come loro superiori. Non possiamo sentirci più salvatori che servi. Passiamo da una Vita Consacrata intrisa di potere e di vanità a un’altra serva e piena di amore per le vittime della storia. Posso dire che sono andato in America Latina come insegnante e sono tornato come studente, con l’esperienza di sedermi ai piedi dei “maestri” che sono i più semplici. Senza semplicità e minorità, perdiamo il desiderio di andare verso i poveri. Cerchiamo l’accomodamento. Se rimane un po’ di desiderio di andare da loro - per il rimorso dell’incoerenza della vita - sarà “dall’alto”, come chi fa l’elemosina, non dalla solidarietà di chi condivide la vita e si lascia convertire da loro. Non ci riconosceranno come messaggeri del Regno.

La vita ha valore quando donata. Il nostro compito è quello di donare la nostra vita nel servizio. Quanto più ci svuotiamo di noi stessi, tanto più la vita degli altri entrerà in noi. Con e per i semplici, diventiamo più umani. Donare il pane diventando pane per gli altri. Religiosi, servite e curate le persone. La cura è una perla che esprime la qualità dell’amore

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incarnato. Il Signore arriva e trova i servi svegli e Gesù dice: “In verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.” (Lc 12,37). È difficile vedere Gesù con un asciugamano, riusciamo a immaginarlo che si stringe le vesti ai fianchi? Disponibilità e servizio uniti in un abbraccio cordiale. Consacrati, che si stringono le vesti ai fianchi, che non pretendono, ma sostengono; che non pretendono, ma si prendono cura; che non chiedono diritti, ma rispondono ai bisogni. Abbiamo qualcosa da dire quando viviamo servendo, perché solo l’amore ha qualcosa da dire. I Farisei mettono il peccato al centro della relazione con Dio. Il primo sguardo di Gesù non è rivolto al peccato, ma alla sofferenza e ai bisogni della persona. Nel Vangelo, “povero, malato” appare più di “peccatore”. Siamo prigionieri dei limiti piuttosto che colpevoli. Gli archivi di Dio sono pieni di lacrime, non di peccati. Il peccato perdonato cessa di esistere. E davanti a Dio c’è il perdono, non l’assoluzione condizionata.

Per concludere

Dio vuole che i suoi figli vivano con gioia. Vivere con gioia lì dove ci troviamo, presenti nel qui e ora, ci riempie di gioia. La gioia è il grande compito dei cristiani. La forza di una vocazione si traduce in gioia. Vivere la vocazione con gioia è la forza dei religiosi (Papa Francesco). La gioia ci permette di apprezzare di più la vita. Genera atteggiamenti positivi verso noi stessi e verso l’altro. Ci aiuta a uscire da noi stessi, ci apre all’incontro. Ci spinge a mettere le nostre energie e capacità al servizio del nostro progetto personale. Non ci permette di cadere nel pessimismo quando falliamo o nel narcisismo quando abbiamo successo. Chi vive felice è buono con chi lo circonda. Se siamo felici, il Dio che trasmettiamo sarà gentile.

Ci assumiamo la missione di diffondere l’umanità nelle persone, nei gruppi, nelle istituzioni, umanizzandoci. Gesù insegna che Dio è in ciò che è umano: mangiare insieme,

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vivere come fratelli e sorelle, servizio nelle relazioni, compagnia e incoraggiamento nelle difficoltà, misericordia e perdono. Per crescere in umanità, prima di preoccuparci delle nostre debolezze, ci concentriamo sulla diffusione della gioia. Il modo migliore per uscire dai nostri peccati è sperimentare la gioia dell’incontro. Possiamo vivere con un atteggiamento positivo o negativo. La parabola della zizzania offre due prospettive: quella dei servi che vedono la zizzania e quella del padrone che nota il buon grano. Amoris Laetitia ci interpella a cambiare il principio del “male minore” in quello del “bene possibile”. Quest’ultimo ha l’effetto di essere calamitati dal bene che attrae, non di temere il male che paralizza.

Benedire, parlare bene, riconoscere il bene negli altri e ciò che è fragile, senza trasformarlo in un insulto. Chi sa benedire guarda con simpatia e chi guarda con simpatia vive con gioia. Senza ricordare il favore che si fa e senza dimenticare il favore che si riceve. Centrati su ideali forti, piuttosto che su difetti, coltivando forze di gentilezza, attenzione, accoglienza, giustizia, pace... l’ecologia del cuore. Ecologia significa proteggere e tenere un ambiente pulito, gioire della pace. La pace consiste nell’eliminare il superfluo. Se siamo ricchi in un qualsiasi ambito, non abbiamo pace nel cuore. C’è pace quando non dipendiamo da niente e da nessuno, ma solo da Dio. Non è la pace che viene dopo la tempesta; nella tempesta, Dio è pace, calma la tempesta. Le beatitudini sono la via della pace. La gioia della pace porta le energie della beatitudine come semi per farli fiorire.

Il Risorto ci invia a fare suoi discepoli vivendo come tali. Il discepolato in fraternità costruisce la Chiesa. Talvolta ci sforziamo di costruire la Chiesa per fare i suoi discepoli. Seguaci del Maestro che cercano di diventare umani a immagine dell’umanità di Dio, vissuta e narrata in Gesù. “Voi siete il sale, la luce”. Sale e luce che si perdono dando valore a ciò che trovano. Movimento di incarnazione: dando se stessi, si migliorano le cose con gusto, illuminazione.

La vostra vita consacrata... un germoglio che si apre, un seme che si spezza, una nuvola che riversa il suo contenuto. Senza dimenticare che le nuvole e gli uccelli non parlano mai di sé, ma di ciò che hanno visto da dove provengono. Le nuvole non sanno disegnarlo senza trasfigurarsi e gli uccelli non sanno dirlo senza cantare. La vostra vita non vende pane; è lievito, sale che si dissolve e dà sapore. Sarà grazia per gli altri, Vangelo, Buona Novella. La nostra vita è molto spesso l’unico Vangelo che le persone intorno a noi leggono davvero.

La vita non è mai persa quando si ama. L’amore è l’energia più potente. Il volto di chi ama trasmette gioia, la gioia dell’amore, come quello di una madre che guarda il suo bambino appena nato. Con l’energia dell’amore, concentriamo la nostra ascesi per plasmare in noi i sentimenti di Gesù, la sua sensibilità, il suo cuore. La sensibilità implica energia, impulso, simpatia, armonia, simpatia. Esprime attenzione, attrazione, affetto. Senza sensibilità appassionata, non c’è santità. Santità non significa passione spenta (eunuchi), ma passione convertita. La missione è passione per Gesù e per il suo popolo. Non c’è futuro per la Vita Consacrata senza amore appassionato per Gesù e per il Regno. Missione significa uscire da se stessi, con passione per Gesù, con un cuore ardente.

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DOVE CI COLLOCHIAMO? RELIGIOSI ALLE PERIFERIE– FISICHE, SPIRITUALI ED ESISTENZIALI

dal 2012 al 2021.

Il testo è stato presentato al primo Simposio delle Religiose Teologhe, organizzato a Roma dalla UISG, dal 12 al 19 giugno 2022.

Sin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha incoraggiato la Chiesa a un ministero nelle periferie, a uscire dalle singole chiese particolari e a trovare chi vive ai margini della società. Gesù è il modello di questo ministero: ha trovato chi aveva più bisogno del suo tocco di guarigione. Le persone che ha guarito o sfamato sono state spesso poi riportate in una società o in un quartiere che li aveva allontanati dal centro. Essere guariti o perdonati li ha fatti uscire dall’esilio e ha dato a molti una nuova vita normale con rapporti umani e una normalità che non avevano vissuto prima. La guarigione non si è limitata alla sfera personale: ha riedificato la comunità nel suo complesso riportando al centro chi era ai margini.

Papa Francesco parla poi di vita consacrata come di una chiamata speciale a vivere come profeti nel mondo di oggi (Francesco 21 novembre 2014). Essere un testimone profetico significa seguire la chiamata di Dio in un mondo che non conosce Dio, proporre uno stile di vita diverso che porterà gioia e realizzazione in un modo che il mondo laico non comprende. La chiamata alle periferie è una chiamata a essere testimoni profetici del mondo che Dio vuole per noi, un mondo in cui chi è escluso sia incluso, in cui le periferie diventino il centro. Come religiosi e religiose, siamo chiamati ad andare verso le persone e i luoghi che sono ai margini della società e aiutarli a rialzarsi, con l’obiettivo di portarli di nuovo al centro. Il regno di Dio sarà completo quando tutti avranno la pienezza della dignità umana, quando nessuno sarà esiliato o escluso. Questo è l’impegno profetico della nostra consacrazione: andare sempre incontro a chi è in queste periferie, attirarli al

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Suor Juliet Mousseau, RSCJ, ha conseguito il dottorato in teologia storica presso la Saint Louis University nel 2006. Dopo aver insegnato alla Saint Louis University e alla University of Dallas SchoolofMinistry,èentratanellaSocietàdelSacroCuorenel2009. È stata docente di storia della Chiesa presso l’Aquinas Institute of Theology Sr. Juliet Mousseau, RSCJ

centro riconoscendone la dignità umana, per poi tornare alle periferie e farlo di nuovo. Viviamo in una tensione costante, attirando gli esuli al centro per poi tornare alle periferie. L’opera costante sulla dignità umana è una testimonianza profetica della speranza del regno di Dio, che sappiamo arriverà e porterà gioia al mondo intero.

Questo elaborato vuole in primo luogo approfondire il concetto di periferie nelle parole di Papa Francesco che descrive anche nel dettaglio quali periferie hanno più bisogno oggi. Poi, a partire da esempi tratti dalla storia della vita religiosa, esamineremo il movimento dalle periferie al centro e viceversa. Infine, esploreremo le caratteristiche della vita religiosa per cui i religiosi sono pronti ad affrontare le sfide della società di oggi e le periferie esistenziali. Dalla storia della salvezza sappiamo che non ci siamo salvati da soli, ma piuttosto come popolo: come si trasformerà il mondo con l’inclusione di ogni persona?

La parola “periferie” e in particolare l’espressione “periferie esistenziali” suscitano domande e confusione. Le periferie sono i margini, i luoghi (fisici o metaforici) più lontani dal centro. Altre parole come “limiti”, “margini” e “frontiere” hanno una connotazione simile. Potremmo considerare periferie anche i “confini” o le linee di demarcazione tra una cosa e l’altra. La vita di Gesù illustra bene il concetto di periferie. Nato lontano dal centro (fisicamente e socio-economicamente) dell’Impero romano, ma in territorio sotto la dominazione romana, Gesù entra nel mondo in povertà, nato letteralmente dove vivono gli animali, non le persone. Socialmente, la sua famiglia umana rappresenta una classe minoritaria oppressa. La sua povertà e la mancanza di risorse indicano una periferia esistenziale. Questa realtà, il fatto che Dio abbia scelto l’incarnazione in queste circostanze, illustra l’amore nei riguardi di tutta l’umanità, la santificazione anche degli ultimi della razza umana.

Nel discorso che ha preceduto il conclave in cui è stato eletto papa, il cardinale Jorge Bergoglio ha esortato la Chiesa a andare verso le periferie, identificandole non soltanto come “periferie geografiche, ma anche come periferie esistenziali: il mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, dell’ignoranza e dell’indifferenza alla religione, delle correnti intellettuali e di tutta la miseria” (Henderson 2018). Le periferie, quindi, sono ovunque lì dove le persone soffrono, in qualsiasi modo. Chi segue Cristo è chiamato a andare oltre i confini a favore dell’inclusione. Francesco ha detto ai nuovi cardinali nel 2015: “Vi esorto a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, per qualsiasi motivo; a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda; il Signore che è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si sono allontanati dal vivere la propria fede, o che si dichiarano atei; il Signore che è in carcere, che è ammalato, che non ha lavoro, che è perseguitato; il Signore che è nel lebbroso - nel corpo o nell’anima -, che è discriminato! Non scopriamo il Signore se non accogliamo in modo autentico l’emarginato!” (Francesco, 15 febbraio 2015). La chiamata di Cristo è un’inclusione radicale, un’inclusione che ingloba tutti, a prescindere da tutto.

Andare nelle periferie è un atto di servizio a imitazione di Gesù, che deve anche includere l’apertura a essere trasformati da ciò che si trova lì. L’inclusione degli esclusi richiede una conversione del cuore: che cosa delle mie azioni, delle nostre azioni, ha portato a questa separazione tra di noi? I cristiani proclamano la salvezza di ciascuno, ma la salvezza non è un’esperienza solitaria. La salvezza arriva alla comunità nel suo insieme, al “noi” e non solo all’ “io”. Siamo tutti chiamati a convertirci e a trasformarci insieme per portare l’unico Corpo di Cristo, il Popolo di Dio, alla sua realizzazione più piena. Nelle parole di Papa

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Dove ci collochiamo? Religiosi alle periferie
Sr. Juliet Mousseau, RSCJ

Francesco: “La storia della salvezza vede dunque un  noi all’inizio e un  noi alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).

Il tempo presente, però, ci mostra che il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e sfigurato. E questo si verifica specialmente nei momenti di maggiore crisi, come ora per la pandemia. […] sgretolano o dividono il  noi, tanto nel mondo quanto all’interno della Chiesa. E il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, che abitano le periferie esistenziali” (Francesco 27 settembre 2021).

A partire da tutte queste definizioni di periferia possiamo capire di cosa ha bisogno il nostro mondo oggi. Soprattutto, Francesco afferma che le esigenze dei migranti sono una periferia che richiede la nostra attenzione. Nella sua prima visita da Papa, Francesco si è recato sull’isola di Lampedusa, in Italia, il punto di arrivo di molti migranti in Europa, dove nell’ultimo periodo centinaia hanno perso la vita in mare. In quella occasione, ha espresso il suo cordoglio e sottolineato la responsabilità che abbiamo tutti di mostrare amore fraterno per quei migranti che cercano una nuova vita in un’altra terra. Francesco ha continuato a fare appello per le esigenze dei migranti e di chi si sposta continuamente in tutto il mondo. I migranti e i rifugiati sono solo un gruppo di esseri umani che vive ai margini, senza che le loro esigenze fisiche siano soddisfatte e senza il potere di cambiare la situazione. Le periferie includono quindi tutti quelli che si trovano in una condizione di povertà, malattia e oppressione, senza le condizioni necessarie alla dignità umana. “Lo sviluppo esclusivista rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Lo sviluppo vero è quello che si propone di includere tutti gli uomini e le donne del mondo, promuovendo la loro crescita integrale e si preoccupa anche delle generazioni future.” Soffriamo tutti quando qualcuno tra noi soffre e siamo quindi chiamati ad andare incontro a chiunque sia “rifiutato dalla società globalizzata di oggi” (Francesco 29 settembre 2019).

Oltre a chi è emarginato per motivi di esigenze fisiche, ha bisogno della luce di Cristo chiunque sia considerato meno umano perché “altro”. Creare una “cultura dell’incontro” significa allargare le nostre cerchie per includere chi la pensa in modo diverso da noi e pratica un culto diverso, chi non è della nostra stessa opinione e persino chi ci sembra sgradevole. Una cultura dell’incontro non è un luogo di proselitismo, ma piuttosto un luogo dove possiamo ricercare una maggiore comprensione e riconoscimento dell’umanità nell’altro che ci sembra così diverso.

Non dimentichiamo però che le periferie esistono all’interno della nostra Chiesa. Molti rimangono cattolici solo su carta o lasciano completamente la Chiesa perché emarginati per vari motivi. Il cardinale Tobin parla della necessità della Chiesa di ascoltare chi è emarginato a causa della crisi degli abusi sessuali. Il Corpo di Cristo include persone esiliate per diversi motivi: divorzio, abusi, omosessualità e identità di genere, aborto o contraccezione, esclusione dal ministero, persino dubbi personali. La dignità umana è un diritto di tutti. Gesù non è venuto a salvare chi non ha peccato o chi non ha dubbi. Anche noi dobbiamo riconoscere la dignità di ogni persona umana.

Fin dall’inizio della vita religiosa, uomini e donne hanno cercato di seguire Gesù. Le prime congregazioni religiose (in particolare i Benedettini) sono state fondate quando uomini e donne si sono riuniti in comunità per una vita di preghiera e di dedizione a Dio. Altre congregazioni sono state fondate con un particolare apostolato in mente, che le ha portate invariabilmente in quelle che oggi chiameremmo “periferie.” Ordini femminili come quello delle Orsoline hanno avviato scuole per bambine, che spesso non

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ricevevano alcuna istruzione. Gli ordini maschili, come i Domenicani e i Gesuiti, hanno portato il Vangelo ai cristiani che si erano separati dalla Chiesa e ai non cristiani. Molti ordini cercavano di soddisfare le esigenze fisiche delle persone, tra cui cibo e alloggio, protezione dal male, assistenza medica e cura dei moribondi. Che cercassero di soddisfare le esigenze spirituali, intellettuali o fisiche delle persone, gli ordini stavano comunque abbracciando il servizio a imitazione di Gesù, secondo una modalità che li portava ai margini della società con lo scopo di ripristinare la dignità umana. Questa attenzione alla dignità di ciascuno volta a un qualunque reinserimento nella società, proprio come Gesù durante la sua vita sulla terra.

Tuttavia, nel corso della storia, gli ordini che hanno ricercato i margini hanno guadagnato ricchezza e potere. I Benedettini ne sono l’esempio principale, visto che esistono da 1500 anni. Nel corso dei secoli, la loro presenza e il loro ministero nel mondo li hanno

Andare nelle periferie è un atto di servizio a imitazione di Gesù, che deve anche includere l’apertura a essere trasformati da ciò che si trova lì. L’inclusione degli esclusi richiede una conversione del cuore: che cosa

delle mie azioni, delle nostre azioni, ha portato a questa separazione tra di noi?

portati ad avere un gran numero di seguaci, per poi ottenere una ricchezza e un potere straordinari. I monasteri, benché fondati lontano dai centri urbani, sono stati in grado di attirare le persone, diventando centri di attività sociale ed economica. Via via che i monasteri si arricchivano e il ruolo di abate diventava più potente, i membri di alto rango delle comunità cercavano di inserire i loro figli in quei ruoli e il sistema in alcuni luoghi si corrompeva. Tuttavia, Gesù ha continuato a chiamare i cristiani e i consacrati nelle periferie.

I Benedettini hanno tentato più volte la strada della riforma per tornare allo scopo originario, scalfendo gli strati di ricchezza e potere. I principali movimenti di riforma all’interno delle comunità benedettine si sono verificati attorno all’800 con l’opera di Benedetto d’Aniane alla corte di Carlo Magno; nell’XI secolo con la fondazione dei Cistercensi sotto Bernardo di Chiaravalle e la riforma certosina.

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Con ogni movimento di riforma, la comunità è stata richiamata e riportata a una sequela più vicina di Gesù, spostandosi dal centro del potere e del privilegio a una vita di povertà e di imitazione di Gesù.

Tutto ciò non significa che i Benedettini o qualsiasi altro ordine abbiano smesso di seguire Gesù, ma solo che le opere, se svolte al meglio, portano naturalmente i margini al centro. Le religiose e i religiosi, quindi, devono riconoscere quando i loro ministeri e apostolati hanno bisogno di riconsiderare la chiamata di Gesù e tornare alle periferie. I religiosi di oggi devono affrontare grandi cambiamenti. Soprattutto nella mia realtà degli Stati Uniti, l’inizio-metà del XX secolo ha visto grandi numeri di religiosi e numerosi investimenti in grandi istituzioni. Queste istituzioni sono state fondamentali per la crescita del paese, perché hanno risposto alle esigenze educative, sanitarie e sociali delle nascenti comunità di immigrati senza discriminazioni. Oggi, molti dei religiosi che hanno dato vita a queste

istituzioni vedono i loro numeri ridursi e queste istituzioni hanno molto successo. Via via che i religiosi si allontanano dai grandi ministeri istituzionali, abbiamo la possibilità di esaminare il nostro impegno nei riguardi di chi è ai margini, per tornare di nuovo alle periferie.

Questo momento di cambiamento demografico tra le religiose dell’emisfero settentrionale è una delle caratteristiche principali che consente alle religiose di impegnarsi di nuovo in ministeri nelle periferie. Oltre a questo momento di cambiamento, i voti di povertà, castità e obbedienza fanno sì che le religiose siano preparate per il ministero ai margini, riportando tutta la creazione di Dio verso il centro, verso la dignità umana e l’inclusione nella società. A conclusione di questo articolo esamineremo ogni voto in relazione al movimento verso le periferie.

Sebbene i religiosi facciano voto di povertà, la povertà che vivono non è come la povertà

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materiale a cui sono soggette molte persone nel mondo. In realtà, la povertà materiale è un male, non un qualcosa da desiderare, perché nega all’essere umano ciò di cui ha bisogno per una vita piena. Quando i religiosi e le religiose fanno voto di povertà, quindi, si impegnano a vivere una vita semplice come quella di Gesù e a separare il loro essere dal valore monetario. Una vita semplice a partire dal voto di povertà aiuta i consacrati a lavorare ai margini, perché così facendo vedono il valore profondo della vita umana, indipendentemente dalle circostanze. Il diritto di ogni essere umano ad avere dignità è indiscutibile. Di conseguenza, una vita semplice pone i consacrati al di fuori del percorso materialista dominante che la società sembra sostenere. Pone i religiosi ai margini, dove possono entrare in relazione e in comunità con altri che sono emarginati a causa delle condizioni economiche. La semplicità aiuta gli altri ad avvicinarsi ai religiosi come pari e permette la crescita di relazioni profonde. Il voto di povertà riconosce anche che tutto ciò che riceviamo è dono di Dio e che quindi dovremmo camminare con sobrietà sulla terra, utilizzando solo le risorse di cui abbiamo bisogno senza accumulare. Vivere in modo semplice e condividere ciò che abbiamo tra di noi e con gli altri fa sì che ci siano più risorse disponibili per gli altri, comprese le generazioni future. Significa che ciò che otteniamo può essere dato liberamente a chi ne ha bisogno. Così, i religiosi e le religiose, consacrati alla povertà, sono pronti a svolgere il loro ministero nelle periferie.

Il voto di castità, detto anche “celibato,” libera i consacrati dagli impegni della vita familiare affinché possano avere libertà di tempo e spazio per altre relazioni. Questa libertà è sia interiore sia esteriore: interiormente, per non essere vincolati dall’amore per una persona da non poterne amare altre; esteriormente, per essere liberi dai vincoli delle esigenze familiari, che naturalmente devono avere un posto prioritario nella vita di una madre o di un padre. L’amore che solitamente si darebbe al coniuge e ai figli è rivolto in modo in più ampio al mondo in generale: amare tutti come Dio ama tutti (Radcliffe 2014, 9). Come Gesù, i consacrati ricercano chi ha più bisogno della capacità di guarigione del suo amore. La libertà che si ha nella vita religiosa offre anche il sostegno di una comunità religiosa nel discernimento e nell’impegno in un particolare ministero. Che siano coinvolti o meno nel ministero, gli altri membri della congregazione partecipano e incoraggiano l’individuo nelle sue attività. L’apostolato può continuare anche quando si fa avanti qualcun altro per prendere il posto di chi va in pensione o si trasferisce. Infine, il voto di castità permette ai religiosi chiamati in regioni missionarie di lasciare la loro casa e di raggiungere le periferie geografiche che ancora esistono nel nostro mondo. Il voto di obbedienza è un voto di discernimento, di ascolto attento della chiamata di Dio, sia come Dio chiama la congregazione sia come Dio chiama la singola persona con i suoi doni e talenti.

I consacrati devono ascoltare la chiamata dello Spirito Santo nel superiore della congregazione, nella comunità nel suo insieme e nel mondo che li circonda. Quando i bisogni che vediamo corrispondono ai nostri doni comunitari o individuali, abbiamo trovato la chiamata di Dio. Il voto di obbedienza dà la fiducia di poter ascoltare con maggiore chiarezza attraverso il discernimento reciproco e la fiducia che Dio ci stia guidando fedelmente nel nostro apostolato.

Papa Francesco incoraggia tutti i cristiani alle periferie e soprattutto i consacrati hanno la capacità e la responsabilità di seguire questa chiamata. Nella vita consacrata, la pratica della povertà, della castità e dell’obbedienza ci prepara e ci offre il supporto necessario per reinserire nella società umana chi è stato esiliato, per aiutare a ripristinare la dignità umana dove è stata negata. Come ci esorta Papa Francesco: “La fede, la speranza e

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l’amore necessariamente ci spingono verso questa preferenza per i più bisognosi, che va oltre la pur necessaria assistenza. Implica infatti il camminare assieme, il lasciarci evangelizzare da loro, che conoscono bene Cristo sofferente, il lasciarci “contagiare” dalla loro esperienza della salvezza, dalla loro saggezza e dalla loro creatività. Condividere con i poveri significa arricchirci a vicenda. E, se ci sono strutture sociali malate che impediscono loro di sognare per il futuro, dobbiamo lavorare insieme per guarirle, per cambiarle. E a questo conduce l’amore di Cristo, che ci ha amato fino all’estremo e arriva fino ai confini, ai margini, alle frontiere esistenziali. Portare le periferie al centro significa centrare la nostra vita in Cristo, che «si è fatto povero» per noi, per arricchirci «per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). (Francesco 19 agosto 2020)

Bibliografia

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Francesco. “Verso un noi sempre più grande”: Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 27 settembre 2021. Consultato in data 7 maggio 2021. http://www.vatican.va/content/francesco/en/messages/migration/documents/papafrancesco_20210503_world-migrants-day-2021.html

Henderson, Silas. “What the Early Church Teaches Us about Pope Francis’ ‘Peripheries’.” Aleteia. 5 maggio 2018. Consultato in data 7 maggio 2021. https://aleteia.org/2018/05/05/what-the- earlychurch-teaches-us-about-pope-francis-peripheries/

Radcliffe, Timothy. “Same God, Different Ways to Love.” Horizon 39, no. 4 (Fall 2014): 9–13.

Tobin, Joseph W. “The Power of Listening to the Peripheries: A Traumatized Church Can Truly Embrace the Pope Francis Vision and Offer a Witness that Is More Accountable to the Gospel.” Archdiocese of Newark (20 febbraio 2019). Consultato in data 7 maggio 2021. https://www.rcan.org/power-listeningperipheries-traumatized-church-can-truly-embrace- pope-francis-vision-and-offer

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L’INCARNAZIONE PROFONDA COME CHIAMATA

RADICALE: ECOLOGIA, VITA CONSACRATA E AMORE

Il testo è stato presentato al primo Simposio delle Religiose Teologhe, organizzato a Roma dalla UISG, dal 12 al 19 giugno 2022.

Introduzione

Alla luce delle due crisi globali che stiamo vivendo ora, quella dei cambiamenti climatici e del COVID-19, le grida della Terra e dei poveri della Terra non sono mai state così urgenti. In Australia, gli incendi boschivi della primavera e dell’estate 2019/2020, preceduti da una prolungata siccità, seguiti da inondazioni e dalla pandemia mondiale, da ulteriori inondazioni diffuse, da altri incendi e ora da una piaga di topi, ci hanno fatto sentire in modo viscerale la sofferenza della Terra e dei suoi abitanti. 1 Come religiose, in questi tempi, l’azione giusta, l’amore tenero e il cammino umile con la comunità della Terra che soffre potrebbero essere considerati un’autentica espressione dei consigli evangelici e una risposta al dono di Dio della vita e dell’amore.

Accompagnati da una teologia dell’incarnazione profonda e da una forte consapevolezza del fatto che siamo immersi nella comunità delle relazioni ecologiche del creato, con questo elaborato vogliamo esplorare l’invito a nuovi modi di vivere, amare e rispondere agli incontri di grazia con la Terra sofferente e i suoi abitanti. Questa chiamata radicale ci costringe ad ampliare l’orizzonte delle nostre relazioni, ad accogliere la vita umana e non umana come dono e a rispondere con generosità e coraggio alle sfide che ci si presentano.

Contesto australiano

L’Australia è un paese dal clima prevalentemente caldo e secco. Ci sono però vaste aree verdeggianti, abitate da una prolifica varietà di fauna esotica e da magnifiche piante e alberi. In circostanze normali, queste aree sono bellissime e in grado di supportare molto bene la vita umana e non. Questo è un ambiente straordinario dove vivere come Suora della Misericordia nel XXI secolo. Purtroppo, a volte questa esperienza di bellezza e di vita

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Sr. Ann-MareeO’BeirneèunaSuoradellaMisericordiadell’Australia edellaPapuaNuovaGuinea.HacompletatoundiplomainDivinità e un diploma post-laurea in Direzione Spirituale. Si occupa di presentazione di ritiri e seminari e di offrire direzione spirituale. Sr. Ann-Maree O’Beirne, RSM

produttiva viene colpita da incendi e inondazioni, il che fa parte della sequenza naturale della rigenerazione ed è una circostanza che gli australiani si aspettano. Tuttavia, nessuno poteva immaginare gli ultimi incendi boschivi estremi che hanno colpito l’Australia, denominati “The Black Summer”, né per estensione dell’area coinvolta nell’incendio né per intensità degli incendi stessi e la durata di otto mesi della stagione degli incendi. Scrive Andrew Sullivan “Ritrovarsi nel bel mezzo di in un incendio boschivo è come vivere l’inferno sulla terra: temperature così da alte da fondere il metallo, flussi di calore che vaporizzano letteralmente la vegetazione e pennacchi di fumo così densi che il giorno diventa notte” (Sullivan 2015). “Nel marzo 2020, gli incendi della Black Summer hanno bruciato quasi 19 milioni di ettari, distrutto oltre 3.000 case e ucciso 33 persone” (Filkov et al. 2020, 44). Nel Queensland, su una costa tipicamente tropicale, le foreste pluviali, che sono solitamente troppo umide per bruciare, sono state devastate dagli incendi. Le aree metropolitane non direttamente colpite dagli incendi sono state ricoperte per mesi da aria piena di fumo. Stiamo iniziando a capire solo ora gli effetti a lungo termine di questi livelli nocivi di inquinamento atmosferico, non solo sulla specie umana. La Commissione reale australiana sugli incendi della “Black Summer” riferisce che altre 445 persone sono morte a causa del fumo degli incendi della “Black Summer”, che ha colpito l’80% della popolazione. (Hitch 2020).

Che cosa ha causato gli incendi? L’Australia ha vissuto gli anni più secchi e caldi prima dell’evento, che hanno portato ai più alti livelli di evaporazione mai registrati, creando una prolungata e diffusa siccità. La sicurezza idrica è stato un problema reale in zone dove non lo era mai stato in passato, con molte comunità che hanno dovuto importare acqua potabile. Gli scienziati parlano di un “meteo da incendi” che differisce in modo significativo nei parametri dal meteo usuale. L’Australia ha registrato un aumento senza precedenti di condizioni meteorologiche favorevoli agli incendi che gli scienziati attribuiscono ai cambiamenti climatici. (CSIRO 2020). La perdita di vite umane e di mezzi di sussistenza, di infrastrutture comunitarie e di senso di appartenenza continua a essere avvertita dalle persone colpite.

Possiamo immedesimarci tutti con la sofferenza e la perdita umana, ma che cosa dire delle creature diverse dall’uomo, la flora e la fauna, gli ecosistemi e l’ambiente? Secondo una stima prudente, oltre un miliardo di animali sono morti negli incendi della “Black Summer” (Dickman e Tein 2020) e l’aumento del rischio di estinzione per centinaia di specie è un problema reale. (Filkov et al. 2020). Inoltre, interi habitat sono stati distrutti dall’intensità degli incendi, con una rigenerazione minima fino a otto mesi dopo l’evento, quando il calore generato era più che estremo. È stato straziante vedere nei notiziari e nei media immagini della compassione dell’uomo verso queste povere creature. I vigili del fuoco raccontano di come abbiano sentito le urla degli animali mentre tentavano di contenere gli incendi, urla che ancora li tormentano. La riabilitazione degli animali feriti continua ancora dopo diciotto mesi.

In concomitanza con la fine della stagione degli incendi della “Black Summer” c’è stato il tentativo di comprendere l’attuale pandemia mondiale di COVID-19, la sua origine, la natura e gli effetti. In termini relativi, l’esperienza australiana diventa insignificante rispetto alla situazione di altri paesi. Oltre alla sofferenza generata dalla perdita di vite umane e agli effetti a lungo termine del Covid-19, la recessione economica e la perdita di fonti di sostentamento toccano molte più persone a causa delle chiusure e delle restrizioni—una recessione economica in molte comunità australiane già colpite dagli incendi della “Black Summer” e da altri eventi devastanti dal punto di vista ecologico.

Celia Deane-Drummond spiega che la causa di fondo della crisi climatica, del COVID-19 e di patologie analoghe trasmesse da specie animali, è lo sfruttamento umano delle risorse naturali e delle altre creature per soddisfare i desideri umani, desideri che sono ecologicamente insostenibili per tutta la comunità del creato. (Deane-Drummond 2020).

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Creano uno squilibrio nei delicati ecosistemi in cui viviamo, incidendo sulla biodiversità necessaria per la salute di aria, suolo, piante, animali e persone. Pertanto, il modo in cui scegliamo di vivere come esseri umani ha un enorme impatto sulla capacità di esistere di tutta la creazione.

Riflessione teologica

Per aiutarci a riflettere su queste problematiche, Papa Francesco afferma in Laudato Si’(di seguito LS) che: Come parte dell’universo, […] noi tutti […] siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile… “Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione (LS 215).

Grazie a una “comunione sublime”, generata nella relazione trinitaria di amore condiviso con tutte le creature, gli elementi della vita e gli ecosistemi dell’universo, Papa Francesco ritiene che “siamo tutti uniti da legami invisibili” di amore. In precedenza in LS, egli spiega come questa unione sia il risultato dell’Incarnazione: “Una Persona della Trinità si è inserita nel cosmo creato, condividendone il destino fino alla croce” (LS 99). Per Francesco, l’Incarnazione di Cristo stabilisce una connessione relazionale con tutto il creato che è così intima da inserire dal punto di vista relazionale Dio all’interno di ciò che Dio ha creato. All’interno del materiale microcellulare dell’universo, l’incarnazione profonda di Dio unisce tutto il creato a Dio in una comunione sublime.

Se noi, come religiose, aspiriamo a essere in comunione con Dio, riusciamo ad accettare e promuovere la comunione con tutto il creato? Francesco riconosce che quando il nostro abbraccio è realmente ampio e profondo, iniziamo a sentire il dolore e la sofferenza di tutta la creazione, l’intera comunità della Terra, all’interno del nostro stesso essere. La chiamata è quella a espandere la nostra comprensione della comunione con Dio, l’Incarnazione di Cristo e le nostre relazioni come consacrate, per abbracciare questa comunione globale e permetterci di sentire compassionevolmente il dolore e la sofferenza della Terra e dei poveri della Terra e cercare risposte appropriate ed efficaci. Contemplare una teologia dell’incarnazione profonda può aiutare la nostra riflessione come religiose e la chiamata radicale di impegno a cui siamo invitate.

Incarnazione profonda

Il concetto di “incarnazione profonda” è un termine elaborato per la prima volta da Niels Gregersen, che propone una riflessione sul dolore e sulla sofferenza nella vita dell’uomo e delle creature in questo mondo e sul significato che la croce di Cristo porta ai costi dell’evoluzione. (Gregersen 2001). Da allora poi gli eco-teologi hanno iniziato ad approfondire questo concetto. Denis Edwards afferma che: “In una teologia di incarnazione così profonda, si intende Dio come se diventasse per sempre un Dio di carne e materia... Il Verbo si fa carne e la materia e la carne sono irrevocabilmente portate a Dio e radicate per sempre nella vita della Trinità divina”. (Edwards 2018, 68). Una teologia dell’incarnazione profonda non riguarda solamente l’evento della nascita di Gesù in questo mondo e la sua salvezza dell’umanità. Essa comprende l’intero mistero pasquale—la nascita, la vita, la morte, la risurrezione e l’ascensione—del Verbo, il Logos—Dio che si fa carne attraverso l’azione dello Spirito e l’esperienza di vita di Dio come membro umano della comunità del creato. Elizabeth Johnson afferma: “La carne che il Verbo di Dio è diventato come essere umano fa parte del vasto corpo del cosmo” (Johnson 2014, 196). Secondo Johnson e altri, l’incarnazione profonda amplia il ben noto insegnamento della Chiesa sull’Incarnazione fino a includere tutta la carne. Afferma che: “La carne assunta in Gesù Cristo si collega a

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tutta l’umanità e a tutta la vita biologica, a tutto il suolo, all’intera matrice dell’universo materiale fino alle sue stesse radici”. (Johnson 2014, 196).

Nel sottolineare il valore intrinseco di tutti gli elementi della creazione, Francesco considera tutto l’universo, compresi gli esseri umani, come in cammino verso Dio, in una già presente sperimentazione della pienezza di Dio grazie a Cristo risorto, che “abbraccia e illumina tutto” (LS 83). Egli afferma che “lo scopo finale delle altre creature non siamo noi” (LS 83). Esse hanno il loro valore e scopo specifico in Cristo. Edwards riassume questa visione di valore intrinseco in LS, affermando: “Dio tiene con sé ogni creatura nell’amore; Dio è presente interiormente a ciascuna di esse; e ciascuna di esse deve partecipare con gli esseri umani alla trasformazione finale di tutte le cose da parte di Dio” (Edwards 2019, 128).

Nel suo ultimo libro, Edwards riflette sul lavoro di diversi teologi relativo alla risposta teologica alla crisi ecologica. Una citazione in particolare risuona con la sofferenza che

L’Incarnazione di Cristo stabilisce una connessione relazionale con tutto il creato che è così intima da inserire dal punto di vista relazionale Dio all’interno di ciò che Dio ha creato. All’interno del materiale microcellulare dell’universo, l’incarnazione profonda di Dio unisce tutto il creato a Dio in una comunione sublime.

ho delineato in relazione alla realtà australiana; facendo riferimento a Christopher Southgate (Southgate 2014), afferma Edwards: “Non solo la creatura non è sola nei momenti di sofferenza, ma anche la creatura, ‘in qualsivoglia senso, sa questo e che questa consapevolezza fa la differenza.” (Edwards 2019, 15). Johnson fa eco a questa fiducia affermando che la certezza che Dio accompagni la creatura sofferente “è una delle cose più significative che la teologia possa dire. Apparentemente assente, Colui che dona la vita è silenziosamente presente con tutte le creature nel loro dolore e morte. Rimangono connessi al Dio vivente nonostante ciò che sta accadendo; in realtà, nel profondo di ciò che sta accadendo.” (Johnson 2014, 206). Johnson suggerisce che una teologia dell’incarnazione profonda debba includere una teologia della “risurrezione profonda” perché la promessa di Dio non finisce con la croce. (Johnson 2014, 207).

Per chi tra di noi in Australia ha dovuto sopportare la prolungata siccità, gli incendi della “Black Summer” e gli effetti della pandemia COVID-19, sapere che Dio accompagna chi soffre con la promessa della resurrezione fa la differenza.

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Una chiamata radicale alle religiose attraverso i voti Propongo che l’incarnazione profonda, così intesa, offra un invito alle religiose ad aumentare la capacità di amare per rispecchiare quella di Dio—un amore che accolga tutta la comunità della Terra. Il contesto di questo invito è, credo, contenuto nei consigli evangelici, nei voti che facciamo.

Lumen Gentium (Concilio Vaticano II, 1964) (di seguito LG) cita i consigli evangelici come “castità consacrata a Dio, della povertà e dell’obbedienza… I consigli sono un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal [suo Signore] e con la sua grazia [di Dio] sempre conserva.” (LG 43) I consigli evangelici sono considerati voti interpretati con la guida dello Spirito Santo (LG 43-44). A partire dal Concilio Vaticano II, i religiosi hanno continuato a interpretare questi tre voti in base al contesto.

L’arrivo del nuovo millennio ha visto la pubblicazione delle riflessioni sulla vita religiosa di Sandra Schneiders, IHM e Barbara Fiand SNDdeN. Fiand mette in questione la

comprensione del significato di “consacrarsi con dei voti” presentando un nuovo paradigma che abbandona la concezione dualistica che ci limita a ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare. Afferma che questo nuovo paradigma “ci invita a riflettere su chi siamo e come siamo consacrati. Si chiede cosa significhi consacrarsi con dei voti, essere consacrati. Sottolinea come la vita consacrata sia un modo di essere—una disposizione lasciando la dimensione della prescrizione o del divieto su un piano secondario” (Fiand 2001, 55). Queste domande rimangono rilevanti vent’anni dopo, perché ne ampliamo il contesto di riferimento per includere tutto il creato. In che modo questo nuovo contesto cambia il modo con cui concepiamo i tre consigli evangelici?

L’approfondimento di Schneiders sul voto di castità propone l’espressione “celibato consacrato” come una più valida alternativa per molte ragioni. Afferma: “Un voto di amore universale e/o inclusivo o un voto per la relazione sembrerebbe di maggiore ispirazione”. (Schneiders 2001, 119). L’autrice sostiene che il celibato consacrato sia il voto definitivo, quello che definisce la scelta di vita e l’impegno per la relazione con Dio che “è un carisma

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Sr. Ann-Maree O’Beirne, RSML’incarnazione profonda come chiamata radicale

non dato a tutti” (Schneiders 2001, 126). E spiega che “la caratteristica costitutiva della vita religiosa, non come cristiani ma come religiosi, è l’impegno dei religiosi verso Gesù Cristo nel celibato consacrato per tutta la vita.” (Schneiders 2000, 125). L’attenzione alla relazione d’amore con Cristo riguarda il “per” del voto piuttosto che le rinunce che questo comporta. Afferma: “Il celibato consacrato... riguarda... chi e come si sceglie di amare.” (Schneiders 2001, 127). Alla luce della teologia dell’incarnazione profonda, vivere questo voto apre il nostro orizzonte d’amore per Gesù Cristo, in Dio, fino a racchiudere l’intera comunità della Terra e interpella ogni aspetto del nostro modo di vivere e amare che scegliamo.

Quanto al voto di povertà, secondo Schneiders non avere una casa per Dio e la Chiesa in questa vita (LG 44) pone qualche difficoltà in termini ecologici. Afferma “chi pensa di essere solo ‘di passaggio’ in un luogo non se ne sente responsabile, arriva perfino a disprezzarlo o come minimo a trattarlo come una semplice merce (Schneiders 2001, 266). Anche se ritiene che i religiosi abbiano talvolta percorso questa strada, le “regole per gli ordini religiosi hanno sempre incoraggiato la frugalità e il rispetto nell’utilizzo dei beni materiali, l’attenta custodia delle risorse, la condivisione comunitaria e il rispetto per la creazione come manifestazione e dono di Dio” (Schneiders 2001, 267). Afferma che le religiose hanno vissuto una coscienza ecologica, guidando la Chiesa in una sensibilità ecologica. Questa leadership è vera ancora oggi. Spostare l’attenzione dalla prospettiva antropocentrica alla povertà vissuta mette in luce il valore intrinseco delle creature non solo umane, ecosistemi e habitat. Allargare l’orizzonte della nostra povertà a tutta la comunità della Terra, alla luce della teologia dell’incarnazione profonda, è un lieve ma significativo cambiamento.

“Fedeltà Creativa” è il titolo che Fiand dà al suo capitolo sul voto di obbedienza (Fiand 2001). Sottolinea la visione di Schneiders dell’obbedienza religiosa come di un “impegno volto alla ricerca della volontà di Dio… e al suo compimento con completa dedizione… per estendere il regno di Dio in questo mondo” (Schneiders 1986, 140). La fedeltà creativa consiste nell’ascoltare lo Spirito, sia come singolo sia come comunità, circa i timori e le questioni che Dio vuole rivelare. Quanto alla chiamata di incarnazione profonda, si tratta di ascoltare i poveri sofferenti della Terra e di rispondere con obbedienza alla chiamata di Cristo. Vivere una teologia dell’incarnazione profonda ci invita a vivere i consigli evangelici attraverso un’azione giusta, un amore tenero e una vita umile (Michea 6:8) che riflettono la nostra consapevolezza dell’interconnessione e dell’interdipendenza di tutta la vita e la crisi ecologica e la speranza che l’essere persone di risurrezione può portare. Dire azione giusta significa dire apertura ad ascoltare le grida della Terra e, in uno spirito di obbedienza, dare una risposta appropriata. Sperimentare Dio in tutte le cose comporta “un’esperienza sentita” della sofferenza della Terra, che è centrale per “amare teneramente” o “amare la misericordia”. Amare teneramente è un modo di esprimere il voto di castità o di celibato consacrato. Queste esperienze ci ricordano la nostra umile esistenza e ci richiamano a valutare la nostra vita quotidiana e i nostri stili di vita in uno spirito di povertà.

Nella sua spiegazione sul processo di incarnazione profonda, Johnson afferma che “l’enorme slittamento dalla forma divina alla forma umana sul crocifisso traccia un arco di umiltà divina… la capacità di svuotare se stesso, limitare se stesso, offrire se stesso, vulnerabile, fare dono di sé, in una parola, Amore creativo in azione. (Johnson 2014, 202). Pertanto, vivere umilmente, in un’epoca di coscienza ecologica, per noi religiose significa seguire l’esempio di Gesù come inteso nella teologia dell’incarnazione profonda, per svuotarci di noi stessi, limitarci, offrire noi stessi, vulnerabili e facendo dono di noi stessi in relazione a tutta la comunità del creato, non meramente in relazione alla nostra esistenza umana.

Mi domando quale risposta potrebbe avere la fondatrice delle Suore della Misericordia, Catherine McAuley, in questi tempi difficili mentre approfondiamo il nostro carisma di

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misericordia per oggi. Il suo esempio di amore tenero per i poveri di Dublino esprimeva la vera povertà di spirito, l’umiltà e l’obbedienza a Dio attraverso l’azione pratica. Il modo in cui scegliamo di vivere la nostra vita ordinaria dà testimonianza di una vita giusta, amorevole e umile? Accettando, in vera umiltà, l’amore che Dio ci dona, possiamo accogliere tutto quello che possiamo fare per vivere uno spirito di profonda incarnazione in ogni aspetto della nostra vita di religiose. Questa chiamata biblica del profeta Michea si adegua di più a un abbraccio esteso ai poveri sofferenti della Terra, racchiudendo tutto il creato come espressione dei voti perpetui che abbiamo fatto.

Implicazioni pratiche

Questa chiamata a vivere le nostre vite nello spirito dell’incarnazione profonda è radicale perché riguarda essenzialmente come comprendiamo l’Incarnazione e culmina in una trasformazione e un’azione globale nella nostra vita quotidiana. Richiede un ripensamento totale della nostra concezione di umanità, strettamente collegata a tutto il creato e la volontà di apportare i necessari cambiamenti. Questo cammino radicale è stato intrapreso da alcuni anni dalle religiose, che hanno, in molti modi, aperto la strada per l’appello alla giustizia per i popoli indigeni, gli emarginati e i milioni di persone colpiti dalle crisi ecologiche. Ampliare il nostro raggio d’azione fino a includere le specie diverse da quella umana— animali, piante, ecosistemi e sistemi che rendono possibile la vita sulla Terra—non è che un altro passo in avanti. La teologia dell’incarnazione profonda ci invita a sentire in modo viscerale la sofferenza della Terra e a trovare modalità per rispondere. Questo tipo di amore tenero comporta un accompagnamento consapevole della sofferenza nella preghiera e nella solidarietà attraverso questa esperienza vissuta come una risposta. Una volta fatta questa esperienza, potremmo voler trovare modi per vivere con più umiltà e leggerezza sulla Terra, in modo che tutto fiorisca. Come religiosa in un paese occidentale del “primo mondo”, la mia vita è molto confortevole. Come molti altri in Australia, la nostra congregazione sceglie come investire le risorse, optando per investimenti sostenibili e il disinvestimento dai combustibili fossili. Ove possibile, stiamo installando sistemi solari sui tetti, serbatoi per la raccolta dell’acqua e sostituendo gli impianti di illuminazione con opzioni più sostenibili. Laddove è necessario acquistare automobili, optiamo per soluzioni con motori ibridi o modelli più sostenibili. Le suore scelgono di vivere in modo più semplice, di riciclare, di fare il compost, di fare sforzi consapevoli per utilizzare l’energia in modo attento e di acquistare in modo etico a livello personale. Dal punto di vista politico, molte di loro sono attivamente impegnate nell’incoraggiare azioni contri i cambiamenti climatici, l’estrazione del carbone e del metano da carbone e nella promozione di energie rinnovabili nelle loro aree locali. Per molti anni abbiamo avuto suore impegnate in eco-teologia, eco-giustizia ed ecospiritualità.

Stiamo anche riflettendo con le Suore della Misericordia a livello internazionale nel processo di Mercy Global Presence, che presta attenzione alle grida dei poveri della Terra, tiene conto delle implicazioni della teologia dell’incarnazione profonda e tenta di affrontare la sofferenza umana e non solo della Terra. Come Suore della Misericordia dell’Australia e della Papua Nuova Guinea, stiamo cercando di integrare la nostra coscienza ecologica in ogni aspetto della nostra vita personale e comune, dei nostri ministeri e delle nostre pratiche spirituali, così da concentrarci sulla rigenerazione, non solo sulla sostenibilità, promuovendo la fioritura di tutta la vita su questo pianeta. Questa azione è un’iniziativa nuova che sarà continua. Al centro del suo successo ci sarà la nostra visione di chi siamo come consacrate, che vivono in un’epoca di coscienza e di crisi ecologica. L’incarnazione profonda è uno dei doni della teologia che può aiutarci a vivere con umiltà, ad amare la misericordia e a fare giustizia.

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chiamata
profonda come
radicale

Conclusione

Alla luce dei cambiamenti climatici globali, il degrado ecologico e la pandemia del COVID-19, non c’è mai stato un momento più urgente per fermarsi, riflettere sulle nostre relazioni con tutta la comunità della Terra e apportare i cambiamenti necessari. Come religiose, questa è la possibilità che abbiamo per rinnovare la nostra consacrazione a Cristo, considerando la profonda incarnazione di Dio che unisce tutto il creato a Dio in una comunione sublime. Questa chiamata radicale ci costringe ad ampliare l’orizzonte delle nostre relazioni, ad accogliere la vita umana e non come dono e a rispondere con generosità e coraggio alle sfide che ci si presentano.

1 Terra come nome proprio è una contrapposizione ecologica intenzionale all’oggettivazione e al maltrattamento da parte dell’umanità.

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IL SENSO DELL’ESSERE

COLTIVARE LA SPERANZA PER RIGENERARE L’UMANITÀ

Marcella Serafini è Dottore di Ricerca in Filosofia della Religione presso l’Università di Perugia; nel 2017 ha conseguito il secondo Dottorato in Filosofia presso la Pontificia Università Lateranense. La sua dissertazione, dal titolo “Il rapporto tra intelletto e volontà nella filosofia della libertà di Duns Scoto”, è risultata vincitrice dell’edizione 2018 del Premio Henri de Lubac. Insegna Filosofia presso il Liceo “A. Pieralli” di Perugia e tiene lezioni di approfondimento come Docente Incaricata presso l’Istituto Teologico di Assisi (e altri Atenei).

L’8 novembre la Chiesa celebra la memoria liturgica del beato Giovanni Duns Scoto (1265/66-1308), teologo e filosofo francescano. Il breve ma intenso itinerario della sua vita – dedicata allo studio e all’insegnamento nelle principali università del tempo - è sintetizzato dall’epitaffio riportato sulla lapide della tomba, presso la Minoritenkirche di Colonia - “Scotia me genuit, Anglia me suscepit, Gallia me docuit, Colonia me tenet”.

Cantore del Primato di Cristo, difensore del Concepimento Immacolato di Maria, testimone di fedeltà e obbedienza al Sommo Pontefice: questi i capisaldi della sua teologia, sostenuta da una solida base filosofica, fiduciosa nella ragione, ma consapevole dei suoi limiti e della necessità di aprirsi a un compimento soprannaturale.

Vogliamo ripercorrere alcune intuizioni di questo Beato francescano, per attingere da lui sollecitazioni e slancio, che aprano la mente a un orizzonte di speranza. Oggi più che mai siamo chiamati a riflettere sulla speranza, al fine di alimentarla: ‘sperare’ significa credere che ci sia un senso nella vita e nella storia - anche se non lo percepiamo concretamente - attendere un futuro di bene, assumersi le proprie responsabilità e lottare perché la vita vinca.

Vissuto in un periodo di grandi fermenti culturali – la diffusione dell’aristotelismo, visione del mondo alternativa, e per certi aspetti antitetica, a quella cristiana – Giovanni Duns Scoto ha saputo affrontare questa crisi culturale con coraggio e determinazione, riconducendo anche le novità nell’orizzonte della propria identità cristiana. Elabora così una sintesi originale di filosofia, teologia e spiritualità; non intende separare ragione e fede, ma distingue le due prospettive per integrarle: l’intelletto – aperto alla totalità del reale ma storicamente limitato – riceve compimento e perfezione solo se illuminato dalla fede.

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Marcella Serafini

La teologia allarga gli orizzonti della metafisica, consente di accedere alle profondità del reale e di penetrarne il significato nei termini di libertà, relazione e amore. L’universo esiste in quanto voluto da Dio (volitum): di conseguenza, siamo chiamati a valorizzare il bene che è nell’altro, prima di qualsiasi rivendicazione individuale.

È lo sguardo espresso da Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature, che nel De primo Principio Duns Scoto sintetizza in modo mirabile: «Tu sei buono senza limite, e comunichi con estrema liberalità i raggi della tua bontà; a Te, sommamente amabile, i singoli enti, nel modo proprio di ciascuno, ritornano come al loro fine ultimo» (cap. IV, conclusione 10).

Duns Scoto incarna in modo esemplare l’intuizione fondamentale del carisma francescano, fulcro del messaggio evangelico: alla radice dell’essere c’è l’amore gratuito di Dio, fonte di benevolenza e sorgente di mistero. L’universo è “epifania dell’amore creativo”: tutto è dono ed esprime relazione, perché si radica in una relazione originaria.

La persona umana è unicità irripetibile (ultima solitudo) e relazione: l’esistenza è chiamata, vocazione, dono.

Questa ontologia, essenzialmente relazionale, può offrire solide basi per una fraternità umana, universale e cosmica, come espresso da Papa Francesco nelle encicliche Laudato Si’ e Fratelli tutti. Dall’ontologia della relazione deriva un’etica della condivisione improntata alla logica del dono; Duns Scoto esprime questo approccio nei termini di ‘condelectatio’ e ‘redamatio’: la vocazione dell’uomo è godere dell’amore di Dio insieme agli altri (condelectatio), nella reciprocità, restituendo a Dio l’amore ricevuto (redamatio).

È una prospettiva che valorizza l’individuo unico e irripetibile contro ogni totalitarismo e dittatura del pensiero unico, che sollecita responsabilità e cura del creato, solidarietà sociale e condivisione fraterna, alimentando la fiducia nell’uomo e nelle sue potenzialità di bene.

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Marcella Serafini
Il senso dell’essere

Nella volontà umana infatti è presente non solo l’attitudine a perseguire la propria utilità e il vantaggio personale (affectio commodi) ma è altrettanto costitutiva (non alterata dal peccato originale) la capacità di amore gratuito e dono di sé (affectio iustitiae).

Fondamento e radice di tale ‘ottimismo antropologico’ è l’Incarnazione del Verbo, l’umanità di Cristo, che Scoto, con devozione e affetto, contempla nella preghiera e medita nello studio (secondo il principio “ora et cogita, cogita et ora”). La centralità di Cristo offre la chiave di lettura per intuire il senso della vita e della storia: «Nel lodare Cristo preferisco eccedere più che mancare, nella lode a lui dovuta, se dovessi cadere in uno dei due eccessi» (Ordinatio III, d. 13, q. 4, n. 53).

Nel Commento al terzo libro delle Sententiae, introducendo la sezione dedicata alla cristologia, il Maestro francescano ribalta la consueta direzione della ricerca: non medita sull’Infinito a partire dal finito, ma intraprende il percorso inverso, persuaso che il significato del finito si possa intuire soltanto a partire dall’Infinito; là dove le creature hanno origine è custodita la chiave del loro essere.

Per tale motivo medita l’Incarnazione non a partire dal peccato, quasi che il ‘Capolavoro’ di Dio (Summum Opus Dei) sia subordinato alla colpa dell’uomo, ma, al contrario, alla luce del ‘primato’ di Cristo: Dio ha voluto da sempre l’Incarnazione del Verbo, e, in Lui, l’uomo e il mondo. Poiché Dio è ‘essenzialmente amore’, tutto è espressione e riflesso del Suo Amore e nell’amore trova giustificazione: la prima ragione dell’Incarnazione è il desiderio, da parte di Dio, di condividere con una creatura la sua ‘gloria’, amore e gioia infiniti. Cristo è Colui che in modo eminente riceve e restituisce l’Amore del Padre, è il perfetto adoratore, che armonizza prodigiosamente finito e infinito. Il mondo, creato in vista di Lui, assume una sacralità intrinseca e glorifica Dio: «La ragione ultima, cioè la prima nell’ordine dei moventi, è dunque l’amore; Dio crea perché (…) vuole avere altri coamanti (condiligentes), il che significa che vuole che altri abbiano il suo amore in se stessi; ciò significa predestinarli» (Ordinatio III, d. 32, n. 6).

La natura umana è stata pensata, nella mente eterna di Dio, come la più nobile per attuare il fine supremo della creazione. Il Figlio di Dio l’ha assunta integralmente, senza modifiche o miglioramenti; così facendo, Dio ha mostrato di amare e approvare pienamente la sua opera. Dal momento che è stata assunta dal Figlio di Dio, la natura umana verrà glorificata in ciascun individuo.

Alla luce di tale luminoso disegno, anche l’oscurità si accende di speranza, come evidenziato da Benedetto XVI nella Spe Salvi: «L’uomo ha per Dio un valore così grande da essersi egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l’uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell’amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza» (n. 39).

La speranza ‘radicale’ che viene dalla Resurrezione di Cristo illumina e alimenta la vita e le speranze quotidiane: solo lo sguardo benevolo di Dio può guarire il cuore ferito e lo sguardo annebbiato sul mondo e sulla storia; dal momento che tale Sguardo benevolo non abbandona le creature, la vita godrà del trionfo pasquale.

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MINISTERO FEMMINILE DELLA PAROLA E SINODALITÀ NELL’OPERA DI LUCA

María Concepción Tzintzún Cruz, FMVD

María Concepción Tzintzún Cruz è una suora della Fraternità Missionaria Verbum Dei. Ha lavorato come missionaria in Messico, Brasile, Italia e Spagna. Si è laureata in Teologia Biblica, conseguendo un dottorato nello stesso ambito presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.

Il contenuto del presente articolo corrisponde alle conclusioni dell’opera: Las mujeres en el Evangelio según Lucas. Testigos y ministras de la Palabra, che sarà pubblicata prossimamente dalla stessa autrice.

La testimonianza e il ministero della Parola, esercitato tanto da uomini quanto da donne, è una realtà evidente nell’opera di Luca, che illumina la realtà attuale della nostra fede in Gesù Cristo.

Ho potuto sperimentare personalmente la ricchezza del ministero della Parola, tradotto in pratica da donne e uomini; è stata un’esperienza di grande forza per me, avvenuta circa 29 anni fa, quando ho conosciuto le missionarie della Fraternità Missionaria Verbum Dei e sono stata invitata da loro a partecipare ad alcuni esercizi spirituali silenziosi, gestiti da un sacerdote missionario e da due missionarie consacrate, che mi introdussero all’esperienza profonda dell’incontro con Dio attraverso la meditazione sulla sua Parola.

In questo affettuoso dialogo con la Parola, Dio mi chiamò a fare ciò vedevo fare a quelle persone: consacrare la mia vita ad annunciare la Parola di Dio in tutta la sua ricchezza, affinché tanti potessero sperimentare la pienezza della gioia che si prova attraverso il dialogo vivo con Lui e attraverso le Sacre Scritture. Quante prediche ho ascoltato! E quante ancora ne ho pronunciate io stessa! Mi sono lanciata in un’avventura che mi ha fatta entrare in contatto con persone di lingue, etnie, popoli e nazioni diverse, tutte accomunate dall’esperienza della forza della Parola di Dio, che trasforma radicalmente la vita delle persone e le pone in sintonia con la gioia del Vangelo. Mentre entravo sempre più a fondo in questo ambiente ecclesiale di evangelizzazione, sentivo crescere in me l’inquietudine e il desiderio di approfondire le mie conoscenze sui fondamenti biblici riguardanti il ministero della Parola, soprattutto per quanto riguardava i riferimenti al ministero della Parola messo in pratica dalle donne, un aspetto solitamente trascurato.

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Le evidenze che appaiono nell’opera di Luca sottolineano la pari partecipazione di uomini e di donne, con eguale dignità, alla testimonianza e al ministero della Parola2 .

Come viviamo oggi ciò che sperimentarono le prime comunità cristiane?

La Chiesa sta gradualmente riconoscendo la gravità dell’aver estromesso le donne da molti ambiti che avrebbero richiesto e richiedono la loro presenza e azione3. Molte donne, che hanno potuto sperimentare l’efficacia salvifica della Parola di Dio nella propria vita e hanno trovato i mezzi per sviluppare le proprie abilità intellettuali, spirituali e decisionali, dedicano la propria vita a servire la Parola di Dio annunciandola, insegnandola, formando agenti pastorali, catechizzando, organizzando comunità evangelizzanti e molto altro ancora, consentendo così alla propria femminilità di apportare innumerevoli contributi positivi all’esercizio del ministero della Parola all’interno della Chiesa.

La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un intuito e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che

L’azione creativa e liberatrice della

Parola di Dio mostra la propria efficacia attraverso le parole e le opere di Gesù, che risolleva costantemente uomini e donne poveri, emarginati e oppressi, privati ingiustamente della propria dignità.

degli uomini. È il caso, per esempio, della speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme ai sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi e offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di ampliare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché «il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo» e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali.4

D’altra parte, l’esegesi attuale, sviluppata da una comunità di biblisti a cui sempre più donne stanno partecipando attivamente, sta sottolineando il ruolo della femminilità come parte della Rivelazione, fatto evidenziato e incluso nei Libri Canonici, ma che è stato tristemente ignorato nei secoli passati e ha profondamente danneggiato l’interpretazione teorica e pratica della Sacra Scrittura, con effetti negativi non solo per i membri

41 UISGBollettino n. 180, 2023 María
Concepción Tzintzún Cruz, FMVDMinistero femminile della Parola nell’opera di Luca

femminili della Chiesa, a cui non è stato permesso di sviluppare appieno le proprie capacità nell’esperienza matura della propria fede, ma anche, come se non bastasse, per la comunità ecclesiale universale, che è stata privata di tutti i potenziali contributi delle donne. Le chiare evidenze contenute nell’opera di Luca, che mostrano le donne come testimoni e ministri della Parola, rivelano aspetti fondamentali che è necessario considerare per realizzare fedelmente la missione della Chiesa nel mondo attuale.

1. Le donne testimoni e ministre della Parola nel Vangelo secondo Luca Noi riconosciamo come le donne, nel Vangelo secondo Luca, vengano presentate come testimoni e ministri della Parola, fatto che getta alcune delle fondamenta riguardanti vari aspetti dell’annuncio della Parola, praticato dai Seguaci della Via (hodós), come si legge negli Atti degli Apostoli, realizzando la missione della proclamazione della Parola fino all’estremo confine della Terra.

Tutte le donne menzionate all’interno del Vangelo secondo Luca sono testimoni della Salvezza che Gesù gradualmente realizza: ascoltano la sua Parola, la mettono in pratica e la custodiscono, lo vedono, gli parlano, lo toccano, sperimentano le sue capacità salvifiche, ricevono il suo perdono, lo amano, lo servono, percepiscono la sua liberazione, sono riconosciute da lui con dignità, lo seguono, riconoscono i suoi miracoli, dei quali il più grande e importante è quello della resurrezione5. Alcune di loro arrivano anche a essere ministre6 della Parola, accompagnando Gesù nel proprio viaggio durante il ministero in Galilea e a Gerusalemme, essendo presenti al momento della sua passione, morte, sepoltura e resurrezione, venendo trasformate in perenni proclamatrici dell’annuncio della resurrezione, un annuncio che si estenderà fino ai confini della Terra, come mostra Luca negli Atti degli Apostoli.

Maria, madre di Gesù, è testimone fedele della sequenza di eventi che si succedono nella vita di Gesù, dal momento in cui ella accoglie la rhêma, la Parola-evento di Dio per la quale nulla è impossibile. Maria mette tutta la sua vita in funzione di questa Parola

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María Concepción Tzintzún Cruz, FMVDMinistero femminile della Parola nell’opera di Luca

come serva del Signore, vive come ministra della Parola concependo (cf. Lc 1,26-38) e dando alla luce Gesù (cf. Lc 2,1-7), osservando e interpretando in chiave simbolica tutti gli avvenimenti della vita di suo figlio (cf. Lc 2,8-21; 41-52), ascoltando la sua Parola, mettendola in pratica (cf. Lc 8,19-21) e custodendola (cf. Lc 11,27-28), riconoscendo così la continuità delle promesse espresse fin dall’antichità al suo Popolo di Israele (cf. Lc 1,46-55), mantenute nella vita di Gesù, il figlio di Dio discendente di Davide e ampliate nella prima comunità cristiana in cui ella si trova (cf. Atti 1,12-14) come testimone, madre e ministra della Parola-evento di Dio che si promana nell’ascolto della preghiera e nella sua attuazione pratica.

Maria, madre di Gesù, insieme a Elisabetta e Anna, è testimone di come le promesse di Dio vengano mantenute in Gesù. Luca descrive queste donne come annunciatrici della speranza di redenzione, che vedono avverarsi nel bambino generato nel ventre di Maria. Elisabetta evidenzia caratteristiche tipiche dei profeti dell’Antico Testamento (cf. Lc 1,3945) e Anna è definita «profetessa» (cf. Lc 1,36-38); sono due donne che manifestano il ministero della profezia all’inizio dell’opera di Luca e, insieme a Zaccaria e Simeone, fanno parte della comunità di profeti presentata da Luca nella narrazione dell’infanzia di Gesù, come ponte tra la profezia dell’Antico e del Nuovo Testamento, che sottolinea l’inizio del compimento della profezia di Gioele sui figli e le figlie di Dio che profetizzeranno; questa profezia sarà poi proclamata da Pietro negli Atti 2,16-21, nel giorno di Pentecoste e, probabilmente, si trattava già di una realtà storica all’interno della comunità di Luca (cf. Atti 21,9).

Varie sono le donne di cui Luca parla come testimoni viventi dell’azione salvifica di Gesù durante il suo ministero in Galilea: la suocera di Simone guarita da Gesù dalla febbre (cf. Lc 4,38-39), la vedova di Nain, che ritrova suo figlio resuscitato da Gesù (cf. Lc 7,11-17), la donna peccatrice che viene perdonata da Gesù (cf. Lc 7,36-50), la donna che soffriva di emorragia guarita da Gesù e la figlia di Giàiro che viene resuscitata (cf. Lc 8,40-56).

Maria Maddalena, Giovanna la Mirofora, Susanna e molte altre donne ancora sono testimoni e ministre della Parola di Gesù predicatore, che annuncia il Regno di Dio in Galilea, in funzione del quale esse mettono tutti i loro beni (cf. Lc 8,1-3). Sono loro a formare la componente femminile della comunità itinerante di Gesù, della quale fanno parte insieme ai Dodici. Luca le pone in evidenza in un elenco ufficiale aperto, che include tre nomi propri e si trova in una breve relazione presente all’interno del racconto del ministero di Gesù in Galilea, come estremo iniziale dell’inclusione che trova il suo apice nel ministero di Gesù a Gerusalemme, all’interno della narrazione della resurrezione, nella quale Luca inserisce un altro elenco simile, ma caratterizzato da differenze che ne denotano alcuni significati specifici (cf. Lc 24,1-10). A partire dalla tradizione sinottica della narrazione della Passione (in cui troviamo elenchi simili, che fanno riferimento alla sequela di queste donne dalla Galilea e che le pongono come soggetto del verbo diakonéō cf. Mc 15,40-47; Mt 27,55-61), Luca definisce la propria narrazione, ampliando la presenza di queste donne e menzionandole già a partire dal ministero in Galilea.

Marta e sua sorella Maria sono testimoni che hanno conosciuto Gesù (cf. Lc 10,38-42) e rappresentano i fratelli e le sorelle che ascoltano la Parola di Dio e la traducono in pratica (cf. Atti 16,11-15). Luca mostra, in un episodio di vita fraterna, la diakonía o il ministero in forma di prolexis, trasmettendo così il significato fondamentale di ministerialità7 come identità propria della comunità dei discepoli del Signore Gesù, di cui egli è modello principale (cf. Lc 22,24-27).

Questa diakonía si sviluppa nella seconda parte dell’opera di Luca, che a essa fa riferimento per otto volte (cf. Atti 1,17:25; 6,1.4; 11,29; 12,25; 20,24; 21,19). Luca rappresenta nelle sorelle Marta e Maria, quasi come in un’epifania, i comportamenti necessari per poter vivere il ministero e le indicazioni del Signore sulla ministerialità, come essenza imprescindibile dell’identità cristiana. Filiazione e fraternità sono l’habitat propizio per

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l’esistenza di questa ministerialità. Luca 10,38-42 e Atti 6,1-6 sono due passaggi paralleli, collocati in parti diverse dell’opera, che trattano dell’importanza dell’ascolto della Parola come unica, autentica necessità che non è possibile abbandonare per dedicarsi alle altre necessità, di cui pure bisogna occuparsi per permettere al Regno di Dio di manifestarsi. La «Figlia di Abramo» è testimone della liberazione attuata dalla Parola e dell’azione di Gesù che le restituisce la propria dignità, rendendola degna delle lodi di Dio, a cui si unisce la moltitudine di coloro che scelgono di riconoscere e rallegrarsi per l’azione di Dio (cf. Lc 13,10-17). Nell’episodio della guarigione della donna curva nella sinagoga, avvenuta di sabato, Luca mostra la Parola di Salvezza di Gesù, che insegna a discernere responsabilmente l’ermeneutica adeguata alla volontà di Dio circa le opere che è consentito realizzare il sabato, sottolineando come il sabato sia il giorno adatto per liberarsi dalle pastoie di Satana e rigenerare la dignità dei membri del popolo di Dio. Gesù prosegue il suo ministero, predicando l’annuncio della Buona Novella del Regno di Dio e combattendo contro tutto ciò che ne impedisce la realizzazione, al fianco delle figlie e dei figli di Abramo (cf. Lc 19,1-10) che erano stati emarginati. Per questa donna, la Parola e l’azione di Gesù canalizzano la pienezza dell’azione creatrice di Dio, che si manifesta nel riposo sabbatico del settimo giorno e nella liberazione dalla schiavitù dell’Esodo di Israele.

La vedova povera è indicata da Gesù come modello e testimone, per i suoi discepoli, di dedizione superlativa, radicale e totale, conseguenza della sua fiducia assoluta in Yahveh alla maniera degli Anawim dell’Antico Testamento (cf. Lc 21,1-4). In questo passaggio, Luca mostra la connotazione assegnata ai poveri nella sua opera: coloro che donano tutto ciò che posseggono e lo condividono. Presenta il punto di vista di Gesù profeta sul tema della povertà, poiché è Gesù stesso a definire questa vedova come «povera», etichettandola come l’archetipo dei beati a cui appartiene il Regno di Dio (cf. Lc 6,21), del quale egli è l’umile sovrano. In Luca 21,3 troviamo l’ultimo caso di utilizzo del termine ptōchós nell’opera di Luca, nonché l’unico momento in cui l’autore utilizza questo termine al femminile e preceduto da articolo: hē ptōché. In sostanza, dopo aver descritto per tutto il Vangelo il significato dell’essere povero, che Gesù trasmette ai propri discepoli, Luca chiude il cerchio ponendo in evidenza «la povera» e, negli Atti degli Apostoli, mostra la vita di povertà nella prima comunità cristiana, formata dai discepoli poveri che condividono tutti i propri averi così da non lasciare nessuno in stato di necessità (cf. Atti 2,42-48; 4,3237).

È l’ideale di povertà della comunità cristiana che vive la comunione del cuore e dell’anima nella fede, concretizzandola chiaramente nella comunione dei beni materiali e mettendo in pratica quanto raccomandato dal Deuteronomio, 15,4: «Del resto, non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi; perché il Signore certo ti benedirà nel paese che il Signore tuo Dio ti dà in possesso ereditario».

Le «Figlie di Gerusalemme», ossia le donne che abitano questa città, personificata come una madre, sono testimoni dell’Alleanza che Gesù va rinnovando mentre sparge il proprio sangue durante il percorso verso il Calvario (cf. Lc 23,26-32) e che sarà concretizzata nel Regno di Dio (cf. Lc 22,14-18).

Queste donne ascoltano le Parole che Gesù rivolge loro, con l’interpretazione profetica degli eventi che il Padre pianifica nel suo progetto di Salvezza ed esortandole a trasformare correttamente il motivo del loro pianto: non perché egli è «albero verde» resusciterà dopo la morte, ma per loro e per i loro discendenti, che ancora devono affrontare molte vicissitudini. Tramite il riferimento all’immagine della gestazione e del parto, propria della fecondità femminile e presente in questo come in altri passaggi del suo Vangelo (cf. Lc 11,27-28; 21,23; 23,29), Luca presenta l’invito di Gesù, diretto a coloro che lo seguono, ad accogliere e custodire la Parola con tutto il proprio essere, così come lui sta facendo in quel momento.

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Attraverso una vita interamente dedita, Gesù proclama che la gioia del ventre che genera e dei seni che allattano è inferiore solo a quella di ascoltare la Parola di Dio e custodirla (cf. Lc 11,27-28) e che è questa beatitudine a prevalere in lui durante la Passione e, per i suoi discepoli, durante le persecuzioni (cf. Lc 13,31-35; 19,41-44; 21,5-36; Atti 4,23-31; 8,1-13; 11,19-26; 13,44-52; 16,19-40; 17,10-15; 21,1-28,31).

Maria Maddalena e Giovanna sono ripetutamente presentate come testimoni e ministre della Parola, menzionate per la seconda volta all’interno di un elenco ufficiale che contiene i loro nomi, accanto a quello di Maria di Giacomo, e che si apre allo stesso modo ad altre donne, che sono insieme a loro testimoni e ministre della Parola, poiché hanno ascoltato Gesù quando predicava in Galilea (cf. Lc 24,6), da quel momento lo hanno seguito (cf. Lc 23,55), lo hanno visto morire a Gerusalemme (cf. Lc 23,49), hanno partecipato alla sua sepoltura (cf. Lc 23,55-56) e hanno ricevuto e trasmesso il messaggio di resurrezione, annunciandolo con costanza (cf. Lc 24,1-12). Luca le mostra nell’atto di primerear, prendere l’iniziativa8 della fede nella resurrezione all’inizio del processo comunitario (cf.

L’efficacia salvifica della Parola predicata da Gesù incide ugualmente sugli uomini e sulle donne che si vedono restituita da lui la propria dignità umana; questi uomini e queste donne diventano così i testimoni di Gesù e molti di loro assumono anche il ruolo di ministri e ministre dell’annunciazione della Parola.

Lc 24,1-53), proclamando la resurrezione agli Undici e agli altri membri della comunità. Sono queste donne a segnare il passaggio dalla fede nel sepolcro vuoto alla fede nella resurrezione, che sta trasformando la comunità di Luca. Il messaggio di resurrezione le trasforma in ministre della Parola, facendo loro annunciare continuamente ciò di cui sono state testimoni.

2. Un nuovo modello di ministerialità ecclesiale Senza dubbio, abbiamo constatato come l’opera di Luca abbondi di prove testuali a sostegno della partecipazione qualificata e variegata delle donne all’interno della prima comunità cristiana. Allo stesso modo, abbiamo compreso l’influenza della loro femminilità originale all’interno del modo in cui intendiamo le strategie con cui Dio continua a intervenire nella storia della Salvezza. Da ciò possiamo dedurre alcune basi importanti della Teologia dell’Annunciazione, presenti nel Vangelo.

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La forma in cui viene mostrata l’incarnazione della Parola permette di comprendere l’importanza della capacità femminile di concepire e dare alla luce, rendendola modello del dinamismo che i discepoli di Gesù avrebbero dovuto imitare nell’ascoltare e mettere in pratica la Parola, trasformandosi così in terra feconda che genera frutti abbondanti, grazie alla diffusione della Parola stessa.

Il carattere profetico dei membri del Popolo di Dio viene messo in rilievo a partire dalla narrazione dell’infanzia, in cui si sottolineano chiaramente le azioni profetiche di donne e uomini in continuità con quelle dei profeti e delle profetesse che li hanno preceduti. La ministerialità, propria dei Seguaci della Via ed esercitata attraverso parole e opere secondo lo stile del Signore Gesù9 si evidenzia nei comportamenti sperimentati da due sorelle, che fungono da modello di apprendimento per l’integrazione del ministero della Parola e del ministero comunitario, che sono due aspetti fondamentali della ministerialità cristiana, sempre guidata dalla priorità della preghiera e del ministero della Parola, di cui

i Dodici Apostoli sono garanti.

L’azione creativa e liberatrice della Parola di Dio mostra la propria efficacia attraverso le parole e le opere di Gesù, che risolleva costantemente uomini e donne poveri, emarginati e oppressi, privati ingiustamente della propria dignità.

La parola profetica di Gesù interpreta sempre gli avvenimenti della storia, comprese le sofferenze umane più crudeli, in tutto simili a quelle della sua Passione, riconoscendole come parte del progetto del Padre, che supera e va ben oltre le vicissitudini della storia. La capacità prettamente femminile della gestazione e dell’allattamento dei figli viene riconosciuta in modo sublime come una necessità fondamentale dei discepoli di Gesù, coinvolti con tutto il proprio essere nell’ascolto e nella tutela della Parola di Dio, che vanno a proclamare fino all’ultimo confine della Terra.

L’efficacia salvifica della Parola predicata da Gesù incide ugualmente sugli uomini e sulle donne che si vedono restituita da lui la propria dignità umana; questi uomini e queste

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donne diventano così i testimoni di Gesù e molti di loro assumono anche il ruolo di ministri e ministre dell’annunciazione della Parola.

Sulla base di quanto osservato, la prima comunità cristiana contava sulla partecipazione di uomini e donne impegnati nel ministero della Parola. Come si favorisce al giorno d’oggi l’esperienza di questa realtà mostrata dal Vangelo? La società in cui viviamo sta riconoscendo gradualmente l’importanza della partecipazione, tanto di uomini quanto di donne, all’interno di tutti gli ambiti dello sviluppo umano.

Se si osserva la società in generale e si fa riferimento agli anni ’60 del secolo scorso, quando le donne incominciarono a promuovere maggiormente la consapevolezza dell’importanza di vedere rispettata la propria dignità, si scoprirà come queste donne si resero gradualmente conto che la subordinazione sociale non era un fenomeno inevitabile, bensì un prodotto di processi sociali che non solo potevano essere esaminati e compresi, ma che era possibile contrastare e modificare10 .

Dopo circa mezzo secolo, nel corso del quale progetti molto concreti sono stati avviati per promuovere la partecipazione attiva delle donne nella società, possiamo già constatare il raggiungimento di alcuni risultati: donne impiegate in posti di lavoro importanti e coinvolte nella risoluzione delle problematiche scientifiche attuali, accanto a donne giornaliste, direttrici sanitarie di ospedali, imprese regionali, nazionali e transnazionali, governatrici di regioni e presidenti di Stati, e così via.

Anche all’interno della Chiesa, sebbene con evidenti ritardi, si sta cercando più seriamente di proseguire nel cammino avviato da Gesù di Nazareth, che passò su questa Terra compiendo il bene, tramite parole e opere, tanto a beneficio degli uomini quanto delle donne. Attualmente abbiamo molte donne che operano come agenti della pastorale profetica, ma anche come teologhe, docenti di Teologia, presidentesse di Famiglie Ecclesiali Internazionali11, consulenti di Congregazioni12, Dicasteri e Consigli Pontifici, segretarie e membri di Commissioni Pontificie, segretarie di Dicasteri13 e Consigli14, membri dei Dicasteri per i Vescovi15, e molto altro.

Se il cristianesimo è diffuso da almeno venti secoli, durante i quali la quasi interezza della società mondiale si è adattata comodamente a un certo modus operandi, all’interno del quale non vi era spazio per il contributo delle donne, risulta comprensibile come, dopo mezzo secolo di risveglio delle coscienze circa l’importanza del pieno sviluppo del potenziale femminile e dell’imprescindibilità della collaborazione delle donne, solo di recente si stiano iniziando a vedere i risultati di questi sforzi.

Elizabeth Schüssler Fiorenza, nell’introduzione al suo volume, pubblicato nel 2014, sull’esegesi femminista durante il XX secolo, descrive la nostra situazione come un cambiamento di paradigma e una trasformazione rinnovatrice16. Basti pensare che, di fatto, si tratta di progettare e realizzare un modello nuovo, basato sui principi di comunione e corresponsabilità, caratteristici del Vangelo, che si indirizzano parimenti a uomini e a donne. Inoltre, alla resa dei conti, l’esegesi ha molto a che vedere con questo rinnovamento, avendo influenzato le modalità in cui la Chiesa e la cultura si sono configurate nel tempo.

La figura di Maria di Nazareth, madre di Gesù, è stata ripetutamente presentata come archetipo della donna credente, servizievole e silenziosa, virtù che certamente la caratterizzano; senza dubbio, però, il Vangelo secondo Luca riconosce in lei altre virtù, come quella della profezia, che ella ha esercitato insieme a Elisabetta e Anna, e questo le mostra attivamente coinvolte nella trasformazione della società della loro epoca, impegnate a prendere iniziative che al tempo furono rivoluzionarie, come il fatto il proclamare, con la loro vita e le loro parole, la trasformazione dell’ordine sociale riconosciuto, a opera della forza della misericordia di Dio, incarnata in Gesù di Nazareth.

Se nelle devozioni mariane di tradizione popolare e nelle predicazioni relative a Maria, la

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madre di Gesù, si desse sempre maggiore risalto al suo coinvolgimento attivo ed efficace, così come evidenziato all’interno del Vangelo, sicuramente si svilupperebbe una pratica di fede molto più incisiva nella società, da parte dei credenti, nonché uno sviluppo e attuazione di abilità molto più efficienti per la trasformazione delle strutture sociali esistenti.

La partecipazione dei membri del popolo di Dio al carattere profetico di Gesù risulta ancora sconosciuta all’interno del vissuto della maggior parte dei cristiani. Sebbene ne trattino molti documenti conciliari, nella pratica è ancora ignorata da molti. A causa di questa ignoranza, la presenza dei cristiani all’interno di sfere sociali importanti è assai poco significativa, dal momento che, non esercitando il suddetto carattere profetico, la loro partecipazione al processo di evangelizzazione delle strutture sociali si riduce al minimo o, addirittura, è confinata all’esercizio esclusivo di pratiche di fede nell’ambito del culto. L’opera di Luca mostra apertamente la partecipazione di donne e uomini al ministero della profezia ed è questa che deve illuminare la pratica cristiana nei settori attuali della nostra società.

Con quanta creatività è possibile contribuire evangelicamente ai programmi educativi attualmente in via di sviluppo! Lo stesso vale per i progetti politici, che possono favorire autenticamente la dignità dell’essere umano così come riconosciuta dal Vangelo, che comprende allo stesso modo la sfera della fisicità e quella della spiritualità e della trascendenza. Anche l’economia ha bisogno di essere guidata dai parametri del Vangelo, proclamati dai discepoli del Signore Gesù e questo dovrà essere fatto attraverso proposte intelligenti, basate sui principi di solidarietà e ricerca del bene comune a beneficio della collettività. In definitiva, il riconoscimento della missione profetica di ciascun discepolo di Gesù potrebbe concretizzarsi in molti miglioramenti pratici, che andrebbero a rendere decisamente più umano il nostro mondo attuale.

Per quanto concerne le donne, all’interno dell’immaginario religioso si è posta moltissima attenzione sulle caratteristiche negative di varie donne che compaiono all’interno del Vangelo, poiché nei commentari scritti e nelle predicazioni orali era consuetudine menzionare le donne solo per metterne in evidenza le mancanze, senza alcun riferimento alle loro potenzialità: Anna viene identificata molto più come un’anziana vedova, che come una profetessa; Elisabetta è considerata prevalentemente come un’anziana sterile, più che come madre del precursore di Cristo; Maria Maddalena è vista come posseduta da sette demoni (anche da prostituta!) e non come una donna integralmente salvata da Gesù; la figlia di Abramo è vista come una donna curva e non come donna liberata da Gesù nel giorno del sabato; la vedova del tempio è vista come povera, più che come donna generosa e modello della fiducia in Dio; le figlie di Gerusalemme sono considerate «piagnucolone», più che testimoni della Nuova Alleanza di Dio con il suo popolo; le donne testimoni della passione, della morte e della resurrezione di Gesù sono viste come «sciocche», più che come ministre della Parola; in definitiva, pensiamo a come tutto questo non sia altro che un riflesso delle proiezioni negative che per secoli hanno adombrato le capacità delle donne all’interno della società e della Chiesa, manifestandosi persino nel linguaggio con il quale esse sono menzionate in quelle occasioni pubbliche in cui si trasmette la fede.

La nostra speranza è che, a poco a poco, possiamo evolverci in una nuova interpretazione e in un nuovo linguaggio.

Si potranno per esempio abbandonare interpretazioni come quelle che sono state assegnate al verbo diakonéō e che, ogni qualvolta questo verbo si riferisce alle donne del Vangelo, lo portano ad assumere sfumature di significato legate al servizio domestico e che hanno generato una mentalità sottomessa in tante donne di buona volontà, che desideravano consacrare la propria vita al Signore e che hanno finito per vedersi assegnare questo ruolo come unica alternativa possibile alla santità.

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Inoltre, nella maggior parte delle interpretazioni relative ai versetti 8, 1-3 di Luca, si dà per scontato che i destinatari del servizio delle donne siano Gesù e i Dodici, giustificando così a livello istituzionale i ruoli subordinati delle donne rispetto agli uomini. Senza dubbio, analizzando con maggiore attenzione questo passaggio, possiamo riconoscere come le donne compiano il proprio ministero in funzione di Gesù, è lui il destinatario delle loro azioni. Le donne aiutano Gesù mentre predica e annuncia il Regno di Dio e questa azione viene realizzata da loro insieme ai Dodici, essendo tutti membri dello stesso gruppo “itinerante”, che segue Gesù con pari dignità, come ministri e ministre della Parola. Attenzione: parliamo qui di pari dignità, come ministri e ministre della Parola, niente più niente meno, poiché è questo che vediamo riflesso nella comunità originale che Luca ci mostra nel Vangelo ed è questo il fatto più sorprendente! All’interno del Vangelo si vede riflessa la pari dignità dei discepoli e delle discepole di Gesù, di uomini e di donne: non c’è spazio per rivendicazioni da parte dell’uno o dell’altro sesso. I versetti 24,1-12 del Vangelo di Luca sono un passaggio che è stato spesso considerato sfavorevole nei confronti delle donne, poiché, secondo l’interpretazione predominante, gli Undici considererebbero sciocche le parole con le quali viene annunciata la resurrezione.

Senza dubbio, andando a fondo nel significato di questo passaggio, possiamo riconoscere come venga collocato all’interno della prima parte del trittico, presentato nel 24° capitolo del Vangelo, che mostra il dinamismo della comunità dei discepoli di Gesù, che gradualmente assimilano la realtà della resurrezione, mentre sono alcune donne le prime a credere e annunciare questa notizia, trasmettendo il messaggio agli uomini, che ebbero invece bisogno di tempo per comprenderlo gradualmente, fino a riconoscere, tutti insieme, Gesù Risorto all’interno dell’intera comunità a cui partecipano gli uomini e le donne che credono in Lui. Non si tratta qui né di maschilismo né di femminismo, ma di una comunità cristiana in cui tutti siamo uniti in Cristo per far arrivare la Parola di Dio fino all’ultimo confine della Terra, esercitando la diversità all’interno dei ministeri, assumendo ruoli diversi senza che il criterio obbligato di queste distinzioni debba essere l’appartenenza al genere maschile o femminile. Si tratta, invece, di una ministerialità sinodale.

Ritengo che quello in cui viviamo ora sia un buon momento per continuare a sviluppare elaborazioni teologiche più fedeli al Vangelo, che pongano in evidenza la partecipazione efficiente di donne e uomini all’evoluzione della comunità cristiana.

La partecipazione delle donne al ministero della Parola, riflessa nel Vangelo secondo Luca, illumina il cammino del nostro modus operandi attuale in quanto Chiesa. Di fatto, in termini pratici, molte donne già compiono il proprio ministero della Parola, collaborando alla soddisfazione delle necessità pastorali emergenti che sono andate sviluppandosi nel corso della storia. Riteniamo che sarebbe di enorme beneficio per la Chiesa e per la società attuale che si permettesse alle donne, debitamente formate allo scopo, di partecipare maggiormente al ministero della Parola a livello pubblico e ufficiale all’interno della Chiesa, poiché il loro modo di interpretare la realtà e di intendere la Parola di Dio arricchirebbe il punto di vista maschile che tanto si è diffuso nelle sfere pubbliche più rilevanti all’interno della Chiesa.

1 Il contenuto del presente articolo corrisponde alle conclusioni dell’opera: Las mujeres en el Evangelio según Lucas. Testigos y ministras de la Palabra, che sarà pubblicata prossimamente dalla stessa autrice.

2 «All’interno della vasta tradizione del Nuovo Testamento, è possibile riconoscere la presenza attiva dei battezzati che esercitarono il ministero della trasmissione in modo più organico, stabile e vincolato alle diverse

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circostanze di vita e alla dottrina degli apostoli e degli evangelisti (cf. Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Dei Verbum, 8). La Chiesa ha voluto riconoscere questo servizio come espressione concreta del carisma personale, che ha molto favorito l’esercizio della propria missione evangelizzante. Uno sguardo allá vita delle prime comunità cristiane, che si impegnarono alla diffusione e allo sviluppo del Vangelo, spinge ancor’oggi la Chiesa a comprendere quali potrebbero essere le nuove espressioni con cui continuare a essere fedele alla Parola del Signore, per far giungere il proprio Vangelo a tutte le creature». Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» Antiquum Ministerium, Con la quale si istituisce il ministero di catechista, Città del Vaticano 2021, 2.

3 Cf. Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» Spiritus Domini. Sulla modifica del Canone 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico circa l’accesso delle persone di sesso femminile al ministero istituito del Lettorato e dell’Accolitato, Città del Vaticano 2021.

4 Esortazione apostolica ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, Evangelii Gaudium, Città del Vaticano 2013, 103.

5 S. Pellegrini («Donne senza nome nei Vangeli Canonici» en M. Navarro Puerto – M. PerroNi, ed., I Vangeli. Narrazioni e storia, Trapani 2012, 414. 424) analizza le figure delle donne senza nome presenti nei Vangeli Canonici e sottolinea che il loro carattere positivo nei confronti di Gesù costituisce il comune denominatore della sua funzione narrativa. In accordo con quanto studiato sulle donne all’interno del Vangelo di Luca, riconosciamo che anche questo può essere considerato un comune denominatore dei suoi personaggi femminili, che compaiano con il proprio nome o siano anonimi.

6 Ministre con il significato biblico presente nell’opera di Luca, che si riferisce all’essere intermediarie, realizzare un compito, essere inviate a nome dell’altro a compiere una missione, servire. Non utilizziamo questo termine con la connotazione tecnica che è andato acquisendo nella tradizione ecclesiastica successiva ai Libri del Nuovo Testamento.

7 «Fin dai suoi inizi la comunità cristiana ha sperimentato una diffusa forma di ministerialità che si è resa concreta nel servizio di uomini e donne i quali, obbedienti all’azione dello Spirito Santo, hanno dedicato la loro vita per l’edificazione della Chiesa. I carismi che lo Spirito non ha mai cessato di effondere sui battezzati, trovarono in alcuni momenti una forma visibile e tangibile di servizio diretto alla comunità cristiana nelle sue molteplici espressioni, tanto da essere riconosciuto come una diaconia indispensabile per la comunità.».

Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» Antiquum Ministerium. Con la quale si istituisce il ministero di catechista, Città del Vaticano 2021, 2.

8 Utilizziamo il neologismo inventato da papa Francesco, riferendosi alla missione dei cristiani nel paragrafo 24 dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium.

9 Cf. M. Grilli, Una sfida per la Chiesa, Milano 2022, 62. En este libro, el autor hace ver que a la luz de la obra de Lucas el camino de la Iglesia (sínodo) tiene como única referencia el camino de Jesús.

10 Cf. J. Plaskow, «Movimento e inizio della ricerca», en e schüssler FioreNza, ed., Feminist Biblical Studies in the Twentieth Century. Scholarship and Movement, Atlanta 2014, 31.

11 La Fraternità Missionaria Verbum Dei, che ha ricevuto l’approvazione pontificia il 15 aprile del 2020, alterna ogni sei anni alla sua presidenza un uomo o una donna. La prima donna presidentessa è stata Isabel María Fornari Carbonell (2000-2006), mentre la seconda è stata Lucía Aurora Herrerías Guerra (2012-2018).

12 Nuria Calduch-Benages, nominata consulente della Congregazione per la Dottrina della Fede il 29 ottobre 2021 e già precedentemente nominata segretaria della Pontificia Commissione Biblica il 9 marzo 2021.

13 Il 23 aprile 2022, Alessandra Smerilli è stata nominata segretario ad interim del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale.

14 Charlotte Kreuter-Kirchhof, numero due del Consiglio per l’Economia Vaticano, ha ottenuto la sua carica il 6 agosto 2020.

15 Raffaella Petrini, F.S.E., segretaria generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, insieme a Yvonne Reungoat, F.M.A., superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice e Maria Lia Zervino, presidentessa dell’Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche, sono state nominate membri del Dicastero per i Vescovi il 13 luglio 2022.

16 Cf. e schüssler FioreNza, ed., Feminist Biblical Studies in the Twentieth Century. Scolarship and Movement, Atlanta 2014.

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SORELLE PER L’AMBIENTE: INTEGRARE LE VOCI DAI MARGINI

Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini è una dichiarazione dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG).

La UISG è un’organizzazione costituita dalle leader delle congregazioni femminili cattoliche, in rappresentanza di oltre 600.000 suore in tutto il mondo. Contando oltre 1.900 superiore generali (o leader delle congregazioni) con sedi generali in 97 Paesi, si stima che la UISG coordini una delle maggiori reti di sostegno diretto alle comunità in settori che comprendono la salute, la lotta alla fame e l’assistenza infantile. Oltre alla missione principale di formazione, supporto e comunicazione tra i membri, la UISG agisce come organizzazione ombrello per le suore che affrontano alcune delle sfide più incalzanti nell’ambito dello sviluppo globale.

Noi suore siamo convinte della necessità di un approccio integrale, integrante e inclusivo per la realizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli Obiettivi della Laudato Si’.

Integrale: affrontiamo questioni sociali e ambientali con una visione olistica, sia umana sia spirituale, nella ricerca di soluzioni sostenibili.

Integrante: costruiamo ponti per unire le persone, mettendo l’umanità di cui siamo testimoni al centro del cammino verso un futuro sicuro, giusto e pieno di pace per tutti.

Inclusivo: Non lasciamo nessuno indietro, con la consapevolezza che le comunità più emarginate del mondo possono insegnarci tutta la resilienza necessaria per affrontare le sfide dei nostri tempi.

Mentre i nostri leader riconoscono sempre di più la necessità di adottare soluzioni di sviluppo globale fondate non solo sulla carità, ma anche sulla giustizia, noi suore reputiamo essenziale asserire che tutt’oggi milioni di persone debbono far fronte a molti ostacoli per l’affermazione del loro diritto alla partecipazione. La nostra missione è costruita sull’esperienza del lavoro sul campo ed è ispirata dalla riflessione sul messaggio evangelico, dall’insegnamento sociale della Chiesa e dalla guida di Papa Francesco.

Le suore e i loro alleati sono in prima linea nel movimento che intavola conversazioni globali sui bisogni delle comunità più vulnerabili. Con questo spirito, la UISG emette la seguente dichiarazione.

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Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini è una dichiarazione redatta dall’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG) per riflettere e far luce sulla risposta delle suore alle sfide ambientali dei nostri tempi.

Da un lato, il documento affronta l’emergenza attuale identificando la Cop27 sul cambiamento climatico e la Cop15 sulla biodiversità come opportunità essenziali per invertire la tendenza che sta distruggendo la nostra Terra. Dall’altro, esprime la visione per una conversione ecologica radicata e guidata dalla fede che ha ispirato la missione delle suore per decenni e continua a farlo in tutto il mondo.

La pubblicazione della dichiarazione ha l’obiettivo di creare una piattaforma dove delineare i principi e gli orientamenti per un futuro più sostenibile, basandosi sugli insegnamenti che le suore hanno acquisito attraverso il loro impegno notevole con le comunità alla base. Pilastro dell’advocacy ambientale della UISG, questo documento promuove un’azione decentrata e diversificata attraverso il coinvolgimento di gruppi religiosi e laici, uomini e donne, giovani e anziani, agenzie governative ed enti intergovernativi, organizzazioni internazionali e società a responsabilità limitata.

Ci rivolgiamo alla comunità globale per lo sviluppo affinché si unisca alle suore nella promozione e nella realizzazione di soluzioni ambientali integrali, per garantire un futuro sicuro e prospero a tutte le persone e al nostro pianeta.

I. Integrare le risposte al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità

Integrare le risposte al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, riconoscendo la natura interconnessa delle sfide ecologiche e, in particolare, l’impatto generato dagli adattamenti al cambiamento climatico sulla biodiversità e sullo sfruttamento delle risorse naturali.

Nella pratica, questo significa:

1. Nel riconoscere gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile come quadro di monitoraggio e valutazione, mantenere la consapevolezza che l’azione ambientale non può funzionare per compartimenti stagno e che un approccio attento, inclusivo e interdisciplinare è fondamentale per la salvaguardia del futuro del nostro pianeta.

2. Affrontare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità con una visione integrata, al fine di proteggere gli ambienti e gli ecosistemi, assicurandosi che gli adattamenti climatici non dipendano da pratiche inquinanti o, ad esempio, da estrazioni minerarie dannose oppure da uno sviluppo del territorio che distrugga l’habitat di specie a rischio d’estinzione.

3. Agire velocemente per arrestare il crollo della biodiversità, assicurando che entro il 2030 almeno metà della Terra e degli oceani divengano aree protette ricostituire gli ecosistemi devastati e ridurre la dipendenza globale dai combustibili fossili.

4. Raggiungere il consenso globale sul Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili e sottoscrivere l’accordo di un nuovo Quadro Globale per la Biodiversità delle Nazioni Unite.

52 UISGBollettino n. 180, 2023 Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini DICHIARAZIONE

II. Integrare la cura per le persone e per il nostro pianeta

Integrare la cura per le persone e per il nostro pianeta, rifiutando la visione antropocentrica alla base delle abitudini di consumo distruttive, e riconoscendo il legame inestricabile tra noi e il nostro ambiente.

Nella pratica, questo significa:

1. Agire per la Terra, assicurandosi che la dignità e i diritti delle comunità colpite dal cambiamento climatico e dal crollo della biodiversità abbiano la priorità rispetto a considerazioni di profitto e di espansione economica, nazionali o private.

2. Porre rimedio con urgenza alla disuguaglianza globale attraverso un quadro integrato di perdita e distruzione, che mostri con chiarezza il legame tra adattamento climatico e giustizia sociale e riconosca il debito ecologico contratto dal Nord del mondo nei confronti dei Paesi che sostengono tutto il peso del disastro ambientale, di cui non sono responsabili.

3. Promuovere un accesso equo alle risorse per gli adattamenti ecologici, al fine di potenziare la resilienza agricola e sostenere la sicurezza alimentare, proteggere l’accesso all’acqua potabile e rispondere al previsto innalzamento del livello del mare e all’erosione costiera nelle aree abitate dall’uomo.

4. Garantire mezzi di sussistenza e il giusto indennizzo per i lavoratori nelle industrie di combustibili fossili, e altri settori dell’economia globale non sostenibili, colpiti dalla transizione verso alternative ecologiche.

III. Integrare la vulnerabilità dai margini

Integrare la vulnerabilità dai margini nella leadership e nel processo decisionale, assicurandosi che le voci dei più colpiti dal disastro ambientale siano al centro delle conversazioni mondiali sulla resilienza e ripresa.

Nella pratica, questo significa: Prendere contezza che la vulnerabilità può essere una forza, e che rendere la volontà di essere vulnerabili il valore di fondo di una leadership responsabile può aiutarci a trovare delle soluzioni collaborative per il futuro di tutta l’umanità.

1. Ascoltare con attenzione le voci di coloro che sono stati colpiti dal disastro ambientale, sia per il riconoscimento della loro dignità di esseri umani sia, con un approccio pragmatico, per imparare dalla loro resilienza.

2. Integrare, inoltre, i vulnerabili come attori principali all’interno dei nostri quadri istituzionali, assicurando che le voci dai margini siano centrali nel dialogo globale per il cambiamento, e che non siano relegate a una advocacy periferica e isolata.

3. Pertanto, basare le soluzioni ambientali sulle esigenze dei gruppi emarginati: donne, ragazze, sfollati e senzatetto, bambini e anziani, comunità indigene e altre minoranze etniche.

4. In particolare, accogliere i suggerimenti delle comunità indigene per fermare o modificare i progetti su o vicino le terre indigene, e garantire che la loro opinione esperta sia parte degli sforzi per la mitigazione dei cambiamenti climatici e il crollo della biodiversità.

5. Riconoscere che le religiose occupano una posizione unica grazie alla quale possono fare advocacy per e con le comunità che sostengono, veicolare le voci locali nelle conversazioni globali e garantire che gli impegni mondiali siano messi in atto al livello locale.

Vedi il documento completo su www.uisg.org

53 UISGBollettino n. 180, 2023 Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini

LA VITA DELLA UISG

Dalla scrivania della Segretaria Esecutiva

I mesi sembrano passare velocemente e i vari incontri, programmi e attività della UISG aumentano e si moltiplicano ora che il peggio del Covid è passato. Una serie di importanti incontri si sono tenuti alla UISG e altrove, patrocinati dal Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Le Conferenze di Religiosi di diverse parti del mondo si sono riunite in gruppi linguistici per riflettere su come accompagnare al meglio le congregazioni che stanno per arrivare al termine della loro esistenza. Questi incontri hanno portato a una discussione più ampia sulle sfide che devono affrontare i leader religiosi negli Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Irlanda, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Austria, Lussemburgo, Svizzera, Italia, Spagna, Portogallo, Polonia e Ungheria. I partecipanti hanno espresso grande apprezzamento per l’opportunità di condividere tra paesi e continenti. Ogni gruppo ha avuto un incontro per circa un giorno e mezzo con i membri del Dicastero. Sono state presentate delle relazioni e il terzo giorno di ogni incontro si è tenuta una riunione presso il Dicastero, durante la quale è proseguito il dialogo. Alla fine di marzo 2023 si terrà un incontro di due giorni, qui a Roma, con i rappresentanti di tutti gli incontri precedenti. Si spera che questo incontro possa raccogliere i suggerimenti e le migliori pratiche che sono già state condivise.

La Commissione UISG/USG per la Cura e la Salvaguardia è stata particolarmente attiva in questo periodo, attraverso seminari su diversi argomenti. Tutti i webinar offerti finora sono stati raccolti e pubblicati in un libro: Promuovere una cultura della cura e della protezione - Nuove sfide per la vita consacrata. - Il libro è disponibile in italiano, inglese e spagnolo. I membri della UISG possono richiedere le copie del libro nelle varie lingue scrivendo al seguente indirizzo safeguarding@uisg.org . Gli articoli trattano un’ampia gamma di argomenti e sono molto utili per le Superiore e i Superiori Generali e per i loro Consigli. Continuiamo a chiedere alle Superiore Generali di nominare una suora come delegata congregazionale per la salvaguardia. Il ruolo della delegata è quello di partecipare ai webinar UISG-USG e di tenersi aggiornata in generale sugli aspetti canonici, teologici e spirituali della cura e della salvaguardia. La delegata ha anche il compito di tenere informate la Superiora Generale e il Consiglio sugli sviluppi in questo ambito, e di assicurare che le politiche, le procedure e le linee guida siano regolarmente aggiornate e siano realmente operative all’interno della congregazione. Facendo parte di una rete intercongregazionale, le delegate si arricchiscono mutuamente attraverso la conoscenza di casi reali e la condivisione delle migliori pratiche. Se la vostra congregazione non ha ancora nominato una delegata, prendete in considerazione l’idea di farlo e inviate il suo

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nome alla UISG utilizzando l’indirizzo e-mail sopra indicato. L’ambito della cura e della salvaguardia è in continua evoluzione, in quanto emergono studi e ricerche da diverse parti del mondo. La UISG ha nominato la signora Tina Campbell come consulente della UISG per la salvaguardia. La signora Campbell intraprenderà un lavoro approfondito con quattro o cinque congregazioni. Il materiale prodotto sarà poi condiviso con tutte le congregazioni membri.

Continuano le opportunità di formazione offerte dalla UISG. Il Programma per Formatori è iniziato alla fine di gennaio con 46 partecipanti. L’équipe organizzativa si è ampliata: a Sr. Cynthia Reyes, SRA (coordinatrice) e a Sr. Toni Longo, ASC si è aggiunta Sr. Shalini Muchtal, PBVM. Suor Shalini viene dall’India ed è stata docente di Teologia Sistematica presso il Vidyajyoti College of Theology di Delhi. È stata anche professore ospite di numerosi seminari e istituti teologici in India ed è stata vicepresidente dell’Associazione Teologica Indiana. Siamo lieti di dare il benvenuto alla UISG a Sr. Shalini.

I corsi online continuano ad attirare un gran numero di partecipanti. Recentemente, la UISG ha collaborato con il Discerning Leadership Programme gestito dai Gesuiti per offrire un programma modulare online alle Equipes delle Case Generalizie in Asia e Africa. Questa esperienza è stata molto apprezzata ed è stata offerta anche la traduzione in coreano e giapponese. I partecipanti sono stati in tutto circa 124. Un altro programma di 6 giorni, incentrato sull’interculturalità, ha avuto un grande successo, con la partecipazione di oltre 220 persone. È stato espresso grande apprezzamento per la formazione offerta su vari temi, tra cui Cura di sé e vulnerabilità, Seminare speranza per il pianeta, Personalità e interculturalità, Leadership e vulnerabilità, Sinodalità, Comprendere la governance, Catholic Care for Children, workshop di formazione su JPIC, ecc.

Alla fine del 2022 e all’inizio del 2023 si sono svolti diversi eventi importanti sia in presenza che on-line. La Congregazione di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore, in collaborazione con le Suore Salesiane e Comboniane e le Suore di Nostra Signora della Missione, insieme a Vises International e Misean Cara, ha intrapreso un importante progetto di ricerca durante il Covid. How Are the Girls? (Come stanno le ragazze?) è un progetto di ricerca che ha rilevato come i diritti delle ragazze siano stati trascurati durante la pandemia di Covid-19. E’ stata condotta una ricerca su 3.443 adolescenti e giovani donne di età compresa tra i 10 e i 20 anni in 6 Paesi e in 30 località, sia rurali che urbane. I risultati sono molto utili per la pianificazione futura. Le seguenti statistiche evidenziano un modello che probabilmente si è verificato anche altrove:

- 2 ragazze su 4 hanno avuto difficoltà a studiare,

- Il 13% ha abbandonato la scuola a causa della chiusura di un gran numero di istituti e centri educativi informativi.

- 1 ragazza su 5 non ha usato internet durante il lockdown

- Inoltre, 1 ragazza su 6 ha avuto difficoltà ad alimentarsi durante il lockdown

- 6 ragazze su 10 hanno riferito di aver avuto maggiori responsabilità in relazione alla cura e al lavoro domestico durante il periodo del Covid

- Il 91% sperava di continuare gli studi

Questo dimostra l’urgente necessità di aiutare le ragazze che hanno abbandonato gli studi a tornare a scuola e di offrire interventi per aiutarle a recuperare le opportunità perse durante i due anni di pandemia.

Sorelle per l’ambiente: Integrare le voci dai margini è un rapporto pubblicato dalla UISG che nasce dalla collaborazione tra l’iniziativa Sowing Hope for the Planet (Seminare speranza per il pianeta) dell’Ufficio JPIC delle due Unioni UISG-USG e Sisters Advocating Globally, un progetto finanziato dal Fondo di Solidarietà Globale. Altri partner importanti

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La Vita della UISG

sono stati UNANIMA International e CAFOD. Il progetto è stato lanciato nel corso di un evento tenutosi presso la UISG il 3 novembre 2022 con un panel di presentazione. Suor Sheila Kinsey, coordinatrice di Sowing Hope for the Planet e altri relatori hanno parlato di argomenti importanti che sono stati inseriti nel rapporto:

- Integrare le risposte al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità

- Integrare la cura per le persone e il nostro pianeta

- Integrare la vulnerabilità dai margini

Il rapporto condivide strategie pratiche per l’azione e l’advocacy in ciascuna di queste aree. Se desiderate ricevere una copia del rapporto, contattate la coordinatrice Giulia Cirillo all’indirizzo e-mail advocacy.comms.coordinator@uisg.org

Infine, la UISG ha collaborato con la Federazione delle Suore Domenicane, UNANIMA, JCOR e altri soggetti nei mesi di ottobre e novembre 2022, per evidenziare la presenza e la voce delle suore alla COP 27. Le suore di tutto il mondo sono state invitate a partecipare ai diversi webinar organizzati prima e durante la COP 27 anche attraverso la condivisione delle risorse. Il webinar di apertura, Shoeless on Sinai, ha invitato i partecipanti a intraprendere un pellegrinaggio digitale durante la COP. A questo sono seguiti altri importanti momenti di solidarietà, tra cui il lancio del progetto Sorelle per l’ambiente, un incontro virtuale per la Preghiera Globale per la Terra, un incontro interreligioso informale e infine una sequenza di preghiera quotidiana. Un ringraziamento speciale va a Teresa Blumenstein, coordinatrice globale di JCOR, una coalizione di 21 congregazioni, federazioni o organizzazioni no-profit fondate da religiosi, e a Sr. Durstyne Farnan OP della Dominican Leadership Conference, che ha aiutato a coordinare questa collaborazione.

Possiamo continuare a pregare per la nostra Terra, recitando la Preghiera del Pellegrinaggio che è stata creata appositamente per l’incontro.

Senza scarpe sul Sinai

La Terra, nostra casa comune, sta gridando a noi attraverso carestie, inondazioni e incendi, “Toglietevi le scarpe dell’ignoranza. Siete su un terreno sacro”.

La Terra, nostra comunità, è costretta ad allontanarsi dagli spazi che hanno nutrito le nostre famiglie per secoli.

“Toglietevi le scarpe dell’apatia. Siete su un terreno sacro”.

La Terra, nostra casa comune, ci chiama a riconoscere la vera ricchezza che stiamo sperperando nella ricerca di una ricchezza materiale creata dall’uomo.

“Toglietevi le scarpe dell’avidità. Siete su un terreno sacro”.

La Terra, nostra comunità, viene schiacciata in ogni società ed ecosistema dall’eccesso o dalla privazione.

“Toglietevi le scarpe dell’individualismo. Siete su un terreno sacro”.

La Terra, nostra casa comune, non può più aspettare, “Togliamoci le scarpe e riconosciamo che viviamo su un terreno sacro”.

(Se volete, potete dedicare un altro minuto a ripetere il mantra “Togliamoci le scarpe. Siamo su un terreno sacro”).

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Vita della UISG
La

Per riascoltare i webinar della UISG, si può visitare la pagina del sito: https://www.uisg. org/it/playlist

Per conoscere i progetti della UISG: www.uisg.org/it/projects

Tutte le notizie: www.uisg.org/it/news

Sr. Patricia Murray nominata consulente del Dicastero per la Cultura e l’Educazione Sabato 18 febbraio, Papa Francesco ha annunciato le nomine dei membri e dei consulenti del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Tra i secondi troviamo sr. Patricia Murray, ibvm, segretaria esecutiva dell’UISG.

Suor Patricia afferma: “È davvero un onore essere nominata consulente del nuovo Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Le scuole, le università e altri ambienti educativi sono luoghi privilegiati per il dialogo tra fede e cultura”.

Leggi tutto: http://bit.ly/3KVy8eB

Uscire e camminare verso la libertà

Intervista a Sr. Gabriella Bottani, missionaria comboniana, dal 2015 al 2022 è stata Coordinatrice internazionale di Talitha Kum. Oggi il ruolo è ricoperto da Sr Abby Avelino, mm. “Io ho sempre sentito forte questa dimensione della sorellanza che nasce e si consolida attraverso la vita spirituale; una vita spirituale che ci dà la luce per nutrire speranza anche nelle tenebre più buie. La luce è quella che ci aiuta quando, alla brutalità della violenza, rispondiamo con il Vangelo, la solidarietà, la pace e la nonviolenza.

Leggi tutto: http://bit.ly/3ITokiH

Comunichiamo il cuore della vita religiosa: primo incontro internazionale della Comunicazione per la Vita Religiosa

L’Incontro si svolgerà dal 27 al 30 Novembre 2023 in modalità online. Il titolo scelto è “Comunicare la vita religiosa” e il lemma è “Sulla la Tua Parola getteremo le reti. Parleremo al mondo intero di te.”

Leggi tutto: http://bit.ly/3yfC7Lr

Una guida per prendersi cura del nostro pianeta

Il 14 febbraio 2023 lo Stockholm Environment Institute (SEI) e il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale (DSSUI) hanno presentato “La nostra casa comune: Una guida per prendersi cura del nostro pianeta”, un booklet illustrato che mette in connessione il cambiamento climatico, la biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse con i messaggi della Laudato si’, l’Enciclica di Papa Francesco sulla cura della casa comune.

Leggi tutto: http://bit.ly/3Yu2Gam

Nuova co-segretaria esecutiva della Commissione Giustizia, pace e integrità del creato

Dopo più di sette anni di attività come co-segretaria esecutiva per l’iniziativa di Giustizia, Pace e Integrità del Creato, suor Sheila Kinsey, fcjm, sta concludendo il suo mandato, che verrà ora ricoperto da suor Maamalifar M. Poreku.

Corso online “Evangelizzare sui social media”

Il corso è iniziato a febbraio 2023 e proseguirà fino a giugno 2023. E’ possibile seguire in diretta o on demand sulla piattaforma Thinkfic.

Per informazioni e iscrizioni: http://bit.ly/3Znl0TL

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UISG
La Vita della
NOTIZIE UISG

COMITATO DIRETTIVO DELLA UISG (2022-2025)

PRESIDENTE

VICE-PRESIDENTE

Sr. Nadia Coppa, ASC (Italia)

Adoratrici del Sangue di Cristo

Sr. Mary Teresa Barron, OLA (Irlanda)

Sisters of Our lady of the Apostles

Sr. Roxanne Schares, SSND (USA)

School Sisters of Notre Dame

Sr. Theodosia Baki, TSSF (Cameroun)

Suore Terziarie di San Francesco

Sr. Graciela Francovig, FI (Argentina)

Hijas de Jesus

Sr. Theresa Purayidathil, EF (India)

Figlie della Chiesa

Sr. M. Josè Gay Miguel, CMT (Spagna)

Carmelitane Missionarie Teresiane

Sr. Miriam Altenhofen, SSpS (Germania)

Missionarie Serve dello Spirito Santo

Sr. María Rita Calvo Sang, ODN (Spagna)

Ordine della Compagnia di Maria Nostra Signora

Sr. Antonietta Papa, FMM (Italia)

Figlie di Maria Missionarie

SOSTITUTE

Sr. Dolores Lahr, CSJ (USA)

Suore di San Giuseppe di Chambéry

Sr. Patricia del Carmen Villaroel Garay, SSCC (Cile)

Suore dei Sacri Cuori di Gesù e Maria

Sr. Anna Josephina D’Souza, SAC (India)

Suore Missionarie dell’Apostolato Cattolico (Pallottine)

SEGRETARIA ESECUTIVA

Sr. Patricia Murray, IBVM (Irlanda)

Institute of the Blessed Virgin Mary (Loreto Sisters)

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STAFF DELLA UISG

SEGRETERIA

Sr. Patricia Murray, ibvm Segretaria Esecutiva segretaria.esecutiva@uisg.org - 0668.400.236

Sr. Mary John Kudiyiruppil, SSpS Vice-Segretaria Esecutiva vice.segretaria@uisg.org

Rosalia Armillotta Assistente Segretaria Esecutiva ufficio.segreteria@uisg.org - 0668.400.238

ECONOMATO

Aileen Montojo Amministratrice finanziaria economato@uisg.org - 0668.400.212

Sr. Sunitha Luscious,  zsc Assistente Amministratrice finanziaria assistente.economato@uisg.org- 0668.400.249

Miriam Coco Assistente Amministratrice finanziaria amministrazione@uisg.org

Patrizia Balzerani Segretaria Membership contributi@uisg.org - 0668.400.248

COMUNICAZIONE

Patrizia Morgante Responsabile Comunicazione comunicazione@uisg.org - 0668.400.234

Sr.  Thérèse Raad, sdc Assistente Ufficio Comunicazione assistente.comunicazione@uisg.org - 0668.400.233

Miriam Di Bartolo Assistente Ufficio Comunicazione  assistente.comunicazione@uisg.org

Antonietta Rauti Coordinatrice Bollettino UISG bollettino@uisg.org - 0668.400.230

59

STAFF DELLA UISG

PROGETTI

Sr. Abby Avelino, mm Coordinatrice Talitha Kum coordinator@talithakum.info - 0668.400.235

Sr. Mayra Cuellar, mb Talitha Kum International Coordination Team info@talithakum.info

Marion Lugagne Delpon Talitha Kum secretariat@talithakum.info

Sr.  Mary  Niluka Perera, rgs Catholic Care for Children International ccc@uisg.org - 0668.400.225

Sr. M. Cynthia Reyes, sra Programma UISG Formatori formators.programme@uisg.org - 0668.400.227

Sr. Paula Jordão, fmvd Formation Coordinator formation@uisg.org - 0668.400.245

Sr. Carmen Elisa Bandeo, SSpS Rete Internazionale Migranti e Rifugiati rete.migranti@uisg.org

Giulia Cirillo Sisters Advocating advocacy.comms.coordinator@uisg.org

Consiglio Canoniste canoniste@uisg.org - 0668.400.223

SERVIZI

Sr. Florence de la Villeon, rscj Coordinatrice Servizi Tecnici sicily@uisg.org -  0668.400.231

Svetlana Antonova Assistente Tecnico Servizi Generali assis.tec@uisg.org - 0668.400.250

60

STAFF DELLA UISG

Riccardo Desai

Assistente Tecnico computers e tecnologia online tecnico@uisg.org - 0668.400.213

CONSULENTE ESTERNA

Nawojka Mocek-Gallina

Assistente Ufficio Comunicazione assistente.comunicazione@uisg.org

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