LA VITA CONSACRATA: UNA SPERANZA CHE TRASFORMA
ASSEMBLEA PLENARIA 2025

Numero 187 - 2025
Numero 187 - 2025
Sr. Mary Barron, OLA
La Vita Consacrata: una speranza che trasforma
Sr. Mariola López Villanueva, RSCJ
In che modo la vita consacrata rappresenta una speranza trasformante?
Sr. Simona Brambilla, MC, & Card. Ángel F. Artime, SDB
Le religiose: portatrici di speranza in situazioni
Sr. Margaret Maung, RNDM
La speranza in contesti di sofferenza e dignità umana
Sr. Alba Teresa Cediel Castillo, MML
Le Religiose: portatrici di speranza in situazioni difficili
Sr. Lisa Buscher, RSCJ
Le religiose, segni di speranza in una Chiesa sinodale
Sr. Solange SIA, NDC
Le Religiose, segni di speranza in una Chiesa sinodale
Sr. Geraldina Céspedes Ulloa, MDR
Le Religiose: fari di speranza in una Chiesa sinodale
Sr. Shalini Mulackal, PBVM
UISG 2022 - 2025
Sr. Mary Barron, OLA e Sr. Pat Murray, IBVM
Considerazioni conclusive per la XXIII Assemblea Plenaria UISG
Sr. Mary Barron, OLA
Dal 5 al 9 maggio 2025 si è svolta a Roma la XXIII Assemblea Plenaria dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG) sul tema “La Vita Consacrata: una speranza che trasforma”.
Novecentocinquanta Superiore Generali, provenienti da 75 diversi paesi e nazionalità, si sono riunite in assemblea e hanno testimoniato, in un clima di riflessione e gioiosa preghiera, la vitalità della Vita Consacrata, che si riconferma come una presenza viva, capace di generare semi di speranza e trasformazione nel mondo di oggi.
Il tema dell’Assemblea si inserisce nel contesto del Giubileo del 2025 e nel 60° anniversario della fondazione della UISG (1965-2025). Inoltre, l’evento si è svolto in un momento particolarmente significativo per tutta la Chiesa, segnata dalla recente scomparsa di Papa Francesco e dall’attesa orante per il nuovo Pontefice, che è poi culminata nell’elezione di Leone XIV alla guida della Chiesa universale.
In questo numero del Bollettino riportiamo tutti i testi della XXIII Assemblea Plenaria della UISG.
Sr. Mary Barron, OLA
Presidente UISG
Care Sorelle, Stimati Membri dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali, Onorati Ospiti,
È con grande gioia e profonda gratitudine che oggi mi trovo di fronte a voi per darvi il benvenuto all’Assemblea Plenaria della UISG del 2025. È un immenso dono essere riunite qui, in questo spazio sacro e condiviso, unite dalla nostra comune vocazione e chiamata alla missione, dalla nostra fede e dal nostro impegno incrollabile al servizio, e in particolare, al servizio delle persone più vulnerabili del nostro mondo.
Questa Assemblea si svolge in un momento molto significativo per la Chiesa cattolica a livello globale. Abbiamo appena concluso il periodo di lutto ufficiale per la morte del nostro caro Papa Francesco. Che la sua anima possa riposare in pace. L’intera Chiesa e il mondo intero sono in attesa del nuovo prescelto di Dio, il 267° Pontefice della Chiesa cattolica romana. In questo momento, sembra opportuno richiamare alla mente alcuni dei messaggi chiave di Papa Francesco alla Vita Consacrata. Anche per chiederci che cosa siamo chiamati a portare avanti per favorire il rinnovamento che egli ha avviato nella nostra Chiesa e nella Vita Consacrata.
Sr. Mary Barron, OLADiscorso di benvenutoAssemblea Plenaria UISG
Papa Francesco contava sulla Vita Consacrata per sostenere la sua visione di rinnovamento e, in questo momento, dobbiamo impegnarci attivamente per mantenere viva la fiamma del rinnovamento della Chiesa. Dobbiamo perseverare nella preghiera con Maria, la madre di Gesù, affinché la scelta del suo successore sia quella che Dio desidera per guidare la nostra Chiesa nel futuro. Questa sarà la nostra speciale intenzione di preghiera per tutti i giorni dell’Assemblea.
Un tema chiave di tutto il suo pontificato è l’importanza dell’incontro, a tutti i livelli, con Dio nella preghiera, tra di noi in comunità, con le persone che siamo chiamati ad accompagnare e servire, a partire dal fatto che tutto inizia con l’incontro personale quotidiano con Gesù. “Seguire Gesù non è una decisione presa una volta per tutte, ma una scelta quotidiana... Lo incontriamo nella nostra vita, nella concretezza della vita” (2019).
I discorsi di Papa Francesco alle Assemblee UISG del 2013, 2016, 2019 e 2022 offrono spunti di riflessione profondi sulla sua concezione della Vita Consacrata. Citerò solo quattro temi:
1. Autorità come servizio. Prendendo spunto dalle riflessioni di Papa Benedetto XVI, Papa Francesco ha sottolineato che l’autorità nella Chiesa è sinonimo di servizio, umiltà e amore. Ha invitato i leader consacrati e consacrate a esercitare l’autorità accompagnando, comprendendo e amando, soprattutto coloro che sono ai margini della società.
“Teniamo lo sguardo fisso sulla Croce: non ci può essere alcuna autorità in una Chiesa, dove Colui che è il Signore si fa servo fino al dono totale di sé” (2013).
2. Abbracciare la vulnerabilità. Ha invitato i consacrati e le consacrate a riconoscere la propria fragilità e ad abbassarsi al servizio degli altri, sull’esempio di Gesù che lava i piedi ai discepoli. La vulnerabilità è vista come una fonte di rinnovamento e di crescita.
“Dopo esserci riconosciuti vulnerabili, chiediamoci quali sono le nuove vulnerabilità davanti alle quali, come persone consacrate, dobbiamo abbassarci oggi” (2022).
UISGBollettino n. 187, 2025
Questo messaggio è particolarmente toccante, perché abbiamo ancora negli occhi il suo esempio delle ultime settimane sulla terra. Non ha avuto paura di mostrare la sua fragilità e vulnerabilità e, attraverso tutto questo, ha servito la Chiesa e l’umanità, prendendosi cura dei più vulnerabili fino alla fine.
3. Il potere della preghiera e della presenza Ha sottolineato l’importanza della preghiera, dell’adorazione e del servizio umile come elementi centrali della Vita Consacrata, ricordandoci che la nostra presenza e il nostro sostegno orante sono vitali per aiutare la Chiesa a compiere la missione che le è stata affidata.
“Pregare, lodare e adorare non è una perdita di tempo. Più siamo uniti al Signore, più saremo vicini all’umanità, in particolare all’umanità sofferente” (2019).
4. Costruire la comunione e la sinodalità. Ha costantemente sottolineato l’importanza della sinodalità come caratteristica distintiva della Chiesa e ha invitato la Vita Consacrata a impegnarsi attivamente nel cammino, contribuendo con i nostri carismi, le nostre esperienze e attraverso il ministero dell’accompagnamento. Ci ha anche esortati a garantire il rinnovamento sinodale all’interno delle nostre congregazioni.
Con queste parole di Papa Francesco che risuonano ancora nel nostro cuore, intraprendiamo questo significativo viaggio insieme verso la nostra Assemblea Plenaria, e fermiamoci per un momento a riflettere sullo straordinario percorso che ci ha portato fin qui.
Veniamo da diversi angoli del mondo, portando con noi le nostre storie, le nostre sfide e le nostre speranze. Eppure, siamo tutte legate dalla stessa chiamata: la chiamata al discepolato, alla leadership e alla trasformazione nel nome di Cristo.
Quest’anno, mentre approfondiamo il tema “Vita consacrata: una speranza che trasforma ”, ci viene ricordato il potere trasformativo della nostra chiamata. La vita consacrata non è solo una risposta ai bisogni del mondo, ma è anche una fonte di speranza e una testimonianza vivente dell’amore e della misericordia incessanti di Dio.
È la “speranza” una creatura alata che si annida nell’anima – e canta melodie senza parole – senza smettere mai.”1 ha scritto Emily Dickinson. Come quella “creatura alata” dal canto tenace e melodioso, la nostra vita consacrata proclama una speranza inarrestabile che, anche di fronte alle tempeste più feroci della vita, solleva e ispira.
Sr. Mary Barron, OLADiscorso di benvenutoAssemblea Plenaria UISG 2025
In questo periodo sacro del Tempo di Pasqua, i nostri cuori sono colmi della radiosa speranza del Signore Risorto, una speranza che ci spinge continuamente a trasformarci e rinnovarci. È significativo che la nostra Assemblea coincida con l’Anno giubilare della Chiesa, un tempo in cui tutti siamo chiamati a essere pellegrini della speranza, a camminare insieme nella fede e nella solidarietà, testimoniando quella “ speranza che non delude” (Romani 5:5). Accogliamo questo momento per riflettere profondamente sulla nostra vocazione e trovare forza nel potere trasformativo della speranza, per portare la luce di Cristo nel nostro mondo, specialmente in questo momento storico difficile.
In un mondo spesso frammentato e incerto, la nostra unità come religiose è una testimonianza del potere della fede e della forza della sorellanza. In un’epoca in cui l’umanità è alle prese con sfide che spesso sembrano insormontabili, come guerre, povertà, crisi ambientali e un senso pervasivo di disconnessione, le nostre vite testimoniano una visione alternativa. Attraverso la nostra consacrazione, proclamiamo che la trasformazione non è solo possibile, ma inevitabile quando si basa sulla fede, sulla speranza e sull’amore.
Come ci ricorda Maya Angelou: “Proprio come le lune e come i soli, / Con la certezza delle maree, / Proprio come le speranze che si levano alte, / Ancora mi rialzo ”. Queste parole racchiudono l’essenza del nostro cammino comune. Grazie alla grazia della nostra vocazione, ci rialziamo ogni volta per incarnare il Vangelo in modi che sfidano l’autocompiacimento, ispirano il rinnovamento e vanno oltre le divisioni.
Insieme, siamo chiamate a essere luce nelle tenebre, speranza nella disperazione e ponti di pace in un mondo diviso. Insieme, siamo chiamate a essere testimoni profetiche e a osare sognare un futuro che rifletta l’amore sconfinato di Dio. Insieme, siamo chiamate a confidare nelle possibilità inimmaginabili offerte da relazioni fondate sull’amore, il rispetto e la fiducia reciproci, relazioni che dissipano la paura e il sospetto, relazioni che abbattono i muri della divisione. “ Proprio come le speranze che si levano alte, / Ancora ci rialziamo”
UISGBollettino n. 187, 2025
Nei prossimi giorni ci impegneremo in un dialogo significativo, condivideremo la nostra saggezza e apriremo i nostri cuori a nuove intuizioni e ispirazioni. Il nostro programma ci guiderà in un viaggio che valorizzerà il punto di partenza, soprattutto considerando i tre anni trascorsi dall’ultima Assemblea del 2022. Ciò che abbiamo vissuto e sperimentato in questi tre anni si è svolto nell’ambito del cammino sinodale della Chiesa universale. Quest’anno, durante la nostra Assemblea, siamo invitate a proseguire su questa strada, a non muoverci come individui o come singole congregazioni, ma come una comunione di cuori, menti e mani. Siamo invitate ad approfondire il cammino sinodale intrapreso da noi e percorso tra di noi. Siamo invitate ad ascoltarci a fondo, a discernere i movimenti dello Spirito tra di noi e a rinnovare il nostro impegno nei confronti dei valori evangelici che danno un significato alle nostre vite. Cercheremo di farlo utilizzando la metodologia della Conversazione nello Spirito.
Mentre ricordiamo il passato recente, la nostra mente si rivolge anche all’intera storia della nostra Unione. Quest’anno, con gioia, celebriamo il 60° anniversario della fondazione dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG), avvenuta l’8 dicembre 1965. Nata dallo spirito di rinnovamento ispirato dal Concilio Vaticano II, la
UISG è cresciuta fino a diventare una rete globale vibrante di donne leader religiose, unite nella missione e nel servizio alla Chiesa e al mondo. Nel corso dei decenni, la UISG ha assistito a profonde trasformazioni nella Vita Consacrata, favorendo la collaborazione, il dialogo e il sostegno reciproco tra congregazioni di culture e continenti diversi. Nel celebrare questa pietra miliare, onoriamo la visione e la dedizione di coloro che hanno aperto la strada a questo straordinario viaggio e guardiamo al futuro con speranza, continuando a essere fedeli e a generare un impatto trasformativo.
Durante il nostro viaggio insieme in questa Assemblea, ci fermeremo a riflettere sulla bellezza e sulla forza di ciò che siamo in questo momento, come Unione. Ci impegneremo in un dialogo profondo, riflettendo su come la nostra vita consacrata continui a trasformare noi, le nostre comunità e il mondo che ci circonda. Questa Assemblea rappresenta un’opportunità per ascoltare, discernere e rinnovare il nostro impegno nella missione profetica che ci è stata affidata. In questo momento sacro, apriamo i nostri cuori per riconoscerci e sostenerci realmente a vicenda: nelle nostre vocazioni, che sono fonti di speranza; nella nostra fragilità condivisa, dove abita la tenerezza; e nel nostro coraggio resiliente, che trasforma le sfide in grazia.
In una sua poesia, Galway Kinnell ci dice che l’amore e il riconoscimento hanno il potere di guarirci e sostenerci. Kinnell ci ricorda la profonda speranza racchiusa nell’affermazione: “A volte è necessario insegnare di nuovo a una cosa la sua bellezza... finché non fiorisce di nuovo dall’interno ” (Saint Francis and the sow). Nella nostra vita di consacrazione condivisa, siamo testimoni di questa fioritura, di questa trasformazione interiore che diventa un segno di speranza per il mondo. Che questa Assemblea sia
Sr. Mary Barron, OLADiscorso di benvenutoAssemblea Plenaria UISG 2025
un’opportunità profonda per celebrare vicendevolmente le nostre vite, intrecciando le nostre esperienze individuali in un arazzo di speranza e fedeltà condivise.
L’elemento finale del nostro viaggio condiviso, attraverso questa Assemblea, sarà un invito, rivolto a tutte noi, ad ascoltare la voce dello Spirito, che ci chiama ad andare avanti verso un futuro in gran parte sconosciuto, ma pieno di speranza. Rifletteremo e discerneremo insieme i richiami dolci e trasformativi dello Spirito. La poesia di Joy Harjo “A Map to the Next World” ci ricorda che il viaggio di trasformazione è sia personale che collettivo e richiede coraggio, determinazione e un rinnovamento dello spirito. Come la mappa descritta dalla Harjo, il nostro cammino può non essere chiaro o convenzionale, ma è illuminato dal linguaggio della speranza e dalla saggezza dello Spirito.
Nella quieta profondità dei nostri cuori e nella saggezza collettiva di questa riunione, siamo invitate ad ascoltare attentamente la voce che ci chiama ad andare avanti in un futuro che rimane sconosciuto, ma pieno di promesse divine. Come pellegrini della speranza, avanziamo senza certezze, ma con fede, sapendo che è lo Spirito a illuminare la strada da percorrere e a darci la forza di portare la luce di Cristo in nuovi orizzonti di servizio e amore ancora inesplorati. Insieme, percorriamo questo sacro viaggio, nella fiducia che lo Spirito ci guiderà verso nuovi orizzonti di grazia, dove la nostra comune resilienza e la nostra fede continueranno a trasformare il mondo.
Vorrei cogliere quest’occasione per ringraziare ciascuna di voi per la vostra presenza, la vostra dedizione e la vostra disponibilità a camminare insieme. Un ringraziamento alle nostre relatrici e facilitatrici, che hanno condiviso le loro competenze e arricchito la nostra Assemblea con le loro intuizioni. Un ringraziamento al comitato organizzatore per il suo instancabile impegno nel portare a termine questo incontro.
Mentre intraprendiamo questo viaggio insieme, atteniamoci alle parole di Papa Francesco, alla sua visione della missione di Dio affidata alla Chiesa e al suo desiderio che tutti possiamo diventare “artigiani della speranza”, plasmando attivamente un futuro pieno di promesse e possibilità. Confidiamo che la luce che portiamo come donne consacrate abbia il potere di trasformare anche gli angoli più bui del nostro mondo.
Custodiamo nel cuore le parole del profeta Isaia: “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Isaia 43:19). Che queste parole ci ispirino a essere coraggiose e creative, a confidare nelle cose nuove che Dio sta facendo in noi e attraverso di noi.
UISGBollettino n. 187, 2025
Sorelle, facciamo sì che questa Assemblea diventi un momento di grazia, una celebrazione della nostra vocazione condivisa e un impegno a favore della speranza trasformativa che caratterizza la vita consacrata.
Benvenute e che lo Spirito ci guidi e ci benedica nei prossimi giorni.
Grazie!
1 “La Speranza è una creatura alata” di Emily Dickinson. La traduzione della poesia è di Silvio Raffo per il volume Emily Dickinson, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondadori, 1997.
Sr. Mariola López Villanueva, RSCJ
Mariola López Villanueva (Bigastro, Alicante, 1966) è una religiosa del Sacro Cuore, giornalista e teologa, specializzata in Teologia BiblicaeSpirituale.HaconseguitoildottoratoinTeologiaSpirituale presso l’Università Loyola e attualmente è docente di Spiritualità presso la Facoltà di Teologia di Granada. Fapartedell’équipeprovincialedellasuaCongregazioneinSpagna e, oltre alla sua missione accademica e pastorale, si dedica ad accompagnare sua madre nella vecchiaia. La sua ricerca è orientata a offrire percorsi di guarigione alla luce del Vangelo, aiutando a vivere con maggiore senso e pienezza. Ha condiviso esperienze e appreso insieme a religiose di diverse congregazioni, arricchendo così la sua visione sulla vita consacrata. Autrice di diverse opere, nei suoi scritti ha affrontato il tema della preghiera attraverso i racconti di donne, la spiritualità ignaziana e la figura di Madeleine Delbrêl, tra altri argomenti. Le sue pubblicazioni sono state tradotte in diverse lingue, riflettendo la profondità del suo pensiero e la sua vocazione all’accompagnamento nella vita spirituale.
“Il Signore desidera aprire una strada nei nostri cuori. per entrare nella nostra vita e fare il suo viaggio” 1 .
In questo anno giubilare si scrive e si parla molto della speranza. Come possiamo continuare a parlare di speranza in un mondo che sembra diventare sempre più inospitale, dove milioni di esseri umani subiscono violenze, soffrono la fame, sono costretti a lasciare la propria terra, vedono ignorati i propri diritti più elementari e sono devastati dall’indifferenza...? Stiamo attraversando un secolo profondamente segnato dalle guerre, dalle polarizzazioni e dalla demonizzazione dell’altro, diverso da me, e, paradossalmente, benedetto e pieno di potenzialità, perché è il tempo in cui il Signore viene
Sr. Mariola López Villanueva, RSCJLa vita consacrata: una speranza che trasforma
Come donne chiamate da Gesù, è proprio nelle fratture del nostro mondo che abbiamo più bisogno di abitare la causa della speranza . Una speranza che alberga nel cuore, nel luogo dei nostri desideri più profondi, nel contatto con ciò che siamo e con ciò che viviamo. Per essere in contatto con la speranza che trasforma, dobbiamo andare in profondità e da lì parlare di noi e di tutto ciò che non osiamo dire ad alta voce, ma che si muove dentro di noi2.
Quali parole offrire a questa comunità internazionale di donne leader, donne che desiderano incoraggiare e ispirare, infondere speranza ad altre donne e ad altri compagni di missione? Quello che posso condividere con voi non è il frutto di una grande conoscenza , ma di ciò che ho sentito e gustato nel corso degli anni, nei miei incontri con religiose di diverse congregazioni e di diverse età, alcune delle quali sono diventate per me vere e proprie sorelle e compagne di strada.
Sul sito web della UISG ho trovato le risposte riguardo al significato di una “speranza che trasforma” e a come questa possa influenzare la vita quotidiana delle religiose. Suor Ann Carbon ha affermato che “la speranza è aggrapparsi a qualcosa...”, e ho scoperto con piacere che in ebraico le due parole che indicano la speranza (miqwah e tipwah) derivano da qaw, termine che nella sua forma verbale ha anche il senso di sperare. La speranza è una corda che Qualcuno ci tende e alla quale ci aggrappiamo.
Ogni vita che inizia è intessuta a partire da quel “cordone” che ci univa al corpo di nostra madre e che ha due fili intrecciati. In essi era racchiusa tutta la nostra speranza di arrivare a esistere.
Durante l’alluvione di Valencia causata dal DANA, abbiamo assistito a scene drammatiche: alcuni vicini di casa hanno intrecciato delle lenzuola a forma di corda e le hanno lanciate dal loro balcone. Grazie a questo, alcune persone che erano state travolte dal flusso dell’acqua hanno potuto salvarsi aggrappandosi a quelle lenzuola.
Una religiosa, mia amica, che è stata per tre volte superiora generale di una piccola congregazione, mi ha raccontato che la prima volta che è stata eletta si sentiva forte e ha detto a se stessa: “Posso farcela”, la seconda volta ha avvertito la sua impotenza e ha mormorato: “Non posso”. E la terza volta ha sussurrato a se stessa: “Sei Tu che puoi farlo”.
Non credo che sappia quanto bene mi abbia fatto questa sua confidenza. Quando non possiamo, non sappiamo, siamo perse, scoraggiate.... Lui è Colui che può, Colui che sa, Colui che ci cerca, Colui che ci tende una corda: “Li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore ” (Os 11,4).
UISGBollettino n. 187, 2025
In questo nostro incontro, faremo esperienza della speranza attraverso quattro corde più una, come le corde con cui gli amici fecero scendere il paralitico davanti a Gesù, aprendogli un varco nel tetto (Mc 2, 3-12). Cercheremo di fare in modo che queste quattro corde, che riceviamo e offriamo, ci intreccino come comunità di cura e quindi anche come comunità di speranza
Alla quinta corda dovremo aggrapparci ciecamente, continuamente, in ogni circostanza, come bambine che si lasciano condurre con docilità lungo le nuove e sorprendenti strade del mondo3.
Sr. Mariola López Villanueva, RSCJLa vita consacrata: una speranza che trasforma
1. La prima corda: quella tra Noemi e Ruth.
Garantire le une per le altre Compagne di speranza in tempi di perdita.
Alcuni mesi fa, una superiora provinciale europea mi ha chiesto se potevo aiutare un gruppo di suore della sua congregazione a ritrovare la gioia e la passione per la vita consacrata, nonostante il declino e la fragilità. Ho pensato che questo desiderio è condiviso da tutte noi, molte delle quali vivono in questo declino e con questa diminuzione del tono vitale. Come possiamo aiutarci a vicenda a mantenere alto il morale e a riaccendere la speranza nei momenti di smarrimento?
Noemi aveva sperimentato il fallimento della sua vita, perché era rimasta senza marito e senza figli, e si sentiva vuota dentro, senza senso e senza coraggio. (Chiamatemi ‘amara’ - Ruth 1, 20). Ma non poteva immaginare quanto lontano sarebbe arrivata la corda che Ruth le stava tendendo dal suo cuore resiliente (Ruth 1, 16-18).
Due donne che hanno subìto delle perdite in momenti diversi della loro vita e che, in un presente e in un futuro incerti a causa della loro condizione di vedove, intraprendono un viaggio insieme, senza altro bagaglio che la consapevolezza di poter contare l’una sull’altra. Queste due donne sono tutte noi. E Ruth, che appartiene a un popolo ostile e a una cultura diversa, percepisce le parole di Noemi come una carezza che lenisce le sue incertezze e le sue paure: “Figlia, voglio trovarti un posto dove tu possa vivere felice ” (Ruth 3, 2). Noemi le dona un legame: la chiama “figlia”, la lega a sé e al suo desiderio interiore, e Ruth, a sua volta, le offre la sua compagnia e la possibilità di una fecondità senza precedenti.
Dio ha avuto bisogno di donne che si trovavano nell’inverno della loro vita per portare avanti la storia della salvezza: Sara, Elisabetta, Anna la profetessa... e nonostante Noemi stesse attraversando una fase di fragilità, le mette in bocca ciò che Lui stesso desidera per ogni sua creatura: poterle trovare un luogo dove poter dispiegare la propria vita, dove poter vivere con dignità e senso. È abitare il loro momento, la loro stagione, che permette a Noemi e Ruth di accompagnarsi reciprocamente in modo salvifico per entrambe; si offrono una fedeltà nel bene e nel male che non conosce ritorno. Insieme confideranno in Colui che è dalla loro parte, Colui che tratta con bontà e provvede.
Come donne leader nelle vostre congregazioni, anche voi desiderate esprimere a ogni sorella e, in particolare, alle giovani generazioni, il desiderio che Noemi ha offerto a Rut: cercare insieme un luogo dove possa fiorire una nuova vita e dove l’amore per il prossimo possa continuare a sbocciare; un luogo in cui possiamo benedire ed essere benedette nelle nostre differenze.
UISGBollettino n. 187, 2025
Le vicine di casa diranno a Noemi, quando cullerà tra le braccia il figlio di Ruth: “Sia benedetto il Signore, che ti ha dato una che garantisce per te, una che ti ama tanto !” (Rut 4,14). Come possiamo garantire le une per le altre nelle nostre congregazioni?
Le nostre conversazioni e i nostri modi di procedere non sono neutri: o siamo scoraggiate o siamo speranzose. Quali corde dobbiamo tendere per far sì che lungo il cammino mormoriamo di meno e benediciamo di più? Corde che dimostrino che possiamo vivere insieme, nonostante le nostre grandi differenze e gli attriti quotidiani. Corde che rendano la nostra vita buona per gli altri.
López Villanueva, RSCJLa vita consacrata: una speranza che trasforma
Né Noemi né Ruth nascondono le loro paure e la loro vulnerabilità, sono lì, ma si appoggiano l’una all’altra e camminano attente alla presenza silenziosa del Dio che vive e le vede , come aveva sperimentato Agar nella durezza del deserto (Gen 16,14), fiduciose che Egli agirà, anche se non possono ancora azzardare come. Nel corso del viaggio impareranno entrambe che essere aiutate significa essere umane.
La speranza non riguarda soltanto il futuro, ma anche il passato. Ricordare come Dio ci ha guidato (Dt 8) è una garanzia che continuerà a farlo a modo suo e che ci precede in ogni passo che facciamo (Es 13, 21-22). La speranza non può esistere senza la memoria del cuore e oggi siamo invitate a rendere grazie per la vita delle donne che ci hanno preceduto nelle nostre congregazioni, che si sono fidate e hanno rischiato insieme in tempi molto difficili, e il cui ricordo ci insegna che possiamo diventare compagne di speranza mentre abbracciamo i momenti di perdita.
2.- La seconda corda: quella che Gesù tende a una donna con la febbre.
UISGBollettino n. 187, 2025
Stringere una mano
La speranza dei piccoli gesti
Una mia consorella medico mi diceva che non si tratta più solo di fragilità e vulnerabilità, ma anche di “precarietà” che molte delle nostre sorelle sperimentano. È possibile aiutarci a vivere questa precarietà fisica, psicologica ed esistenziale con speranza?
Papa Francesco ci dice: “L’Accusatore ci fa guardare alla nostra fragilità con un giudizio negativo, mentre lo Spirito la porta alla luce con tenerezza”.4
Sr. Mariola López Villanueva, RSCJLa vita consacrata: una speranza che trasforma
Molte delle nostre sorelle più anziane soffrono di deterioramento mentale, alcune sono colpite dal morbo di Parkinson o dall’Alzheimer e non sono più in grado di prendersi cura di sé stesse o delle altre. Sappiamo che i problemi di salute mentale possono manifestarsi in qualsiasi fase della vita e questo richiede pazienza e uno sguardo compassionevole.
In ambito medico, si usa l’espressione “hope work”, letteralmente “lavoro di speranza”. Esiste un tipo di “hope work” curativo, quando il paziente sta meglio e mostra segni di guarigione, e un tipo di “hope work” palliativo, quando la persona non può guarire, ma sta meglio. Penso che quest’ultimo tipo di “lavoro di speranza” debba essere applicato anche alla nostra vita religiosa. Spesso non ci sembra che stiamo “migliorando”; la realtà è quella che è, piuttosto dobbiamo imparare ad accettare l’inevitabile, ma possiamo aiutarci l’un l’altra a “sentirci meglio” e questo porterà più umanità e calore tra di noi. Gli esperti ci dicono ripetutamente che il segreto per invecchiare in maniera sana è avere delle relazioni , e sottolineano che sono importanti soprattutto in questa fase della vita. Come possiamo affrontare questa difficile età della vita con legami solidi? Ho avuto l’opportunità di vivere con una sorella inferma e ho visto con i miei occhi come la malattia si sia gradualmente impadronita di lei, della sua memoria, della sua volontà, del suo orientamento... La malattia l’ha spogliata di quasi tutto, ma non è riuscita a toglierle il sorriso. Ricordo che, quando la malattia era agli inizi, una volta che stavo per partire per una conferenza e le chiesi la sua benedizione, mi fece un segno di croce sulla fronte e mi disse: “Divertiti! Questa è stata la benedizione più preziosa che abbia mai ricevuto e mi è rimasta dentro per sempre. Me ne sono ricordata anche oggi quando sono venuta qui da voi, perché se ci divertiamo, significa che ci siamo incontrate.
Nel libro La presenza pura5, lo scrittore francese Christian Bobin racconta la sua esperienza con il padre malato di Alzheimer e di come abbia scoperto con lui un altro modo di percepire la realtà e un altro linguaggio: “Queste persone amano toccare le mani che tendiamo loro, trattenerle a lungo e stringerle. Questo linguaggio è inconfondibile”.
E, parlando di suo padre, continua: “Là non c’era altro che la vita elementare, che alla fine è l’unica vita: bere un bicchiere d’acqua, tenersi per mano, guardarsi negli occhi, ascoltarsi, stare in silenzio per lunghi momenti, camminare... Le cose più elementari sono quelle che ci salvano e danno alla vita il suo autentico valore”.
Anche Gesù aveva stretto a lungo la mano di una donna, che era stata colta da una febbre che l’aveva chiusa in se stessa (Mc 1, 29-39), e aveva stretto la mano di un’adolescente che aveva perso la voglia di vivere, come molti dei nostri giovani scoraggiati e privi di senso (cfr. Mc 5, 41).
UISGBollettino n. 187, 2025
Marco ci racconta con semplicità disarmante: “Si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano”. (Mc 1,31). Se dovessimo perdere tutto il Vangelo e ci rimanessero solo queste parole, in esse è inciso il dono del vostro servizio: la vicinanza, la prossimità, in mezzo a quelle febbri che ci fanno perdere il coraggio, il significato, l’illusione, la stima, la considerazione... Semplicemente l’esserci, l’avvicinarsi, a volte per un tempo prolungato, perché ci possa essere un minimo contatto. Stringersi la mano l’una con l’altra per potersi alzare ed essere pronte a servire e offrire i propri doni. Non per obbligo, non per il dovere di una vita consacrata anestetizzata, ma per profonda gratitudine, per la straripante consapevolezza di saperci continuamente guarite e risollevate.
Sr. Mariola López Villanueva, RSCJLa vita consacrata: una speranza che trasforma
Riusciamo a malapena a immaginare la sofferenza che c’è dietro l’altra persona. Gesù si avvicinava sempre con gentilezza e delicatezza. Toccò delicatamente la schiena della donna che era rimasta curva per anni, senza bisogno che lei glielo chiedesse, senza che nessuno facesse da mediatore per lei. È stato Lui, che era lì presente, a vederla, a commuoversi e a desiderare che per lei potesse esserci una vita diversa (Lc 13,10-17).
Da cosa siamo gravate? Cosa ci tiene curve su noi stesse, autoreferenziali? Da cosa abbiamo bisogno di liberarci? Ci sono sorelle che non sanno più chiedere aiuto e che forse non possono nemmeno farlo. Dobbiamo tendere le nostre mani e continuare a offrire corde di accoglienza e affetto. Anche quando le persone sono bloccate da anni, non smettete di provare. Dio si nasconde nei dettagli. Abitiamo la speranza dei piccoli gesti.
“Non servo più a nulla, nessuno viene più a chiedermi niente”, mi diceva una sorella della mia congregazione. Si stringe una mano chiedendo qualcosa, come fece Gesù, stanco, con la donna che era andata al pozzo a mezzogiorno, per non incontrare nessuno (Gv 4,7). Si stringe una mano semplicemente stando lì, senza giudicare, accogliendo il Dio che viene e che è in quello che non comprendiamo ancora. Egli entra nel lato più debole e precario della vita e vi rimane per sostenerci. Il solo fatto di scoprire che non siamo sole, che c’è qualcuno lì con noi, apre feritoie di speranza.
3.- La terza corda: quella che una straniera lancia a Gesù.
Sostenere lo sguardo e il significato Volti che danno speranza alla nostra vita
Abbiamo bisogno di sapere che qualcuno c’è, è lì , ma abbiamo anche bisogno che che quella persona ci veda . Nel modo di salutare della lingua zulu, in Sudafrica, si usa la formula Sawubona , che significa “ti vedo”, e l’altra persona risponde allo stesso modo: Sawubona , “anch’io ti vedo”. Sentirsi viste significa sentirsi amate, ma se i nostri giorni passano senza incontrarci, se ci guardiamo senza vederci davvero, qualcosa della nostra umanità viene meno6
UISGBollettino n. 187, 2025
Internet sta colonizzando la nostra interiorità e la nostra intimità, e sta minando la qualità delle nostre relazioni quotidiane. Ci sentiamo costantemente attratte dal mondo esterno e smarrite. Il mondo virtuale, che ci ha dato tanti benefici, a volte ci allontana, ci fa seguire ritmi malsani, ci toglie la possibilità di fare silenzio e ci separa da noi stesse... ed è urgente che recuperiamo la nostra presenza nelle nostre comunità. Quando sono veramente presente all’altra, la faccio sentire preziosa e le dico senza parole: “Sono qui per te, mi importa di te”. Non cerco semplicemente di trascorrere del tempo con te, ma di celebrare la tua presenza nella mia vita”.
Nel Vangelo vediamo che è in questo spazio di presenza concreta, faccia a faccia, che si radica la speranza: una donna straniera si avvicina a Gesù per chiedergli di alleviare le sofferenze della figlia malata (Mc 7, 24-30), ma Lui sembra non vederla . E’ come se lei non fosse compresa nel suo orizzonte di guarigione, non la vede nella sua totalità, la guarda attraverso le etichette che le avevano apposto. Sembra che Gesù non abbia nulla a che fare con lei, che non sia pronto a prendere la corda che la donna gli porge, anche se in precedenza aveva preso la corda di Giairo, un ebreo di rilievo, quando lo
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aveva implorato per la figlia, anch’essa malata (Mc 5, 23-24). Con il suo rifiuto, Gesù sembra voler ritirare lo sguardo, ma la donna fa il possibile perché Lui possa vederla e possa essere toccato dalla sua sofferenza.
Un proverbio accadico recita: “Chi getta la corda al fratello perduto troverà un amico tra gli dei”. In questa scena del Vangelo è la donna che lancia la corda a ciò che in Gesù era ancora perduto e non aveva ancora potuto essere completato, una zona non ancora evangelizzata del suo cuore. Questa donna lo guarisce dallo sguardo ebraico che lo condizionava, gli apre orizzonti inimmaginabili e gli fa scoprire che tutti, tutti, tutti, avevano accesso a quel pane che era stato dato gratuitamente anche a Lui. Quando la guarda e sostiene il suo sguardo, la vede nella sua dignità e questo gli impone di rispettare il suo dolore7 .
Nella traduzione più vicina al greco Gesù gli dice: “ Sei tu che mi hai evangelizzato...” (Mc 7,29) o, in altre parole: Tu mi hai reso più umano.
In una scena del delizioso film Le ricette della Signora Toku8, un’anziana donna affetta da lebbra, in uno dei suoi dialoghi con il giovane Sentaro - al quale vuole insegnare ad amare cucinando - dice qualcosa del genere: “La cosa più importante della nostra vita è poter dare un senso alla vita di altre persone”.
A chi diamo un senso? Chi dà un senso a noi? Chi ci lancia corde che allargano i nostri orizzonti e ci rendono più umane?
Ci sono due libri autobiografici che mi hanno segnato e che mi hanno spinto a osservare volti di cui non ho esperienza nella mia vita quotidiana: entrambi mi hanno fatto piangere e, in un periodo in cui l’inospitalità e la brutalizzazione di certe pratiche politiche sono un rischio concreto, il loro significato è ancora più evidente. Uno è Solito di Javier Zamora9, l’incredibile viaggio di un bambino di nove anni da El Salvador agli Stati Uniti.
L’autore scrive questo libro per guarire e per stabilire un contatto con quelle persone che sono state la sua famiglia clandestina in quei mesi che hanno traumatizzato la sua vita, durante i quali ha imparato a non piangere e a non disturbare gli adulti. Vuole ringraziarli per averlo salvato, per avergli dato un futuro; vuole dire loro che se oggi è vivo è grazie a loro. Molte di voi e delle vostre sorelle sono vicine a queste realtà e sono anche testimoni di questa solidarietà affettuosa che cresce ai margini della società.
L’altro libro è La cattiva abitudine10, il racconto in prima persona dello straziante viaggio interiore di un giovane transgender che racconta la sua storia nel passaggio da ragazzo a donna. Alla fine, ho scoperto che il titolo deriva dalla sua cattiva abitudine di piangere da solo.
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Sono vite segnate dalla povertà e dal dolore per non essere accettati, per non essere presi in considerazione... Ma Dio ascolta il loro grido là dove si trovano (Gen 21,17) e ci chiama ad andare in quei luoghi di esclusione, a rimanere lì chinate, in ginocchio, perché chinarsi è l’inizio di ogni processo di speranza: un volto che diventa amico e qualcuno di cui prendersi cura.
Chi sono i volti, le persone, che oggi danno speranza alla nostra vita? Come donne fragili e fiduciose, come cananee che gridano per le vite spezzate, possono bastarci poche briciole di speranza, come a quella donna? (Mc 7,28).
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4.- La quarta corda: quella che intrecciano Marta, Maria e Lazzaro.
Amarci è lasciarci essere Dove c’è cura c’è speranza
Durante questo anno santo, ci interroghiamo costantemente su come rendere concreta la speranza nei nostri contesti e nella nostra vita quotidiana, come darle sostanza11, come curarla e intrecciarla nella nostra vita. Nel nostro recente Capitolo Generale abbiamo detto: “Come donne apostole del XXI secolo, Dio ci chiama a camminare con persone in movimento. Persone che portano con sé un enorme dolore, che cercano pace, pane, che devono imparare altre lingue e integrarsi in altre culture”12.
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Le persone che hanno vissuto drammi migratori nella speranza di trovare un futuro migliore, sono concordi nell’indicare tre insegnamenti vitali che possono essere utili anche per noi oggi: il primo è la convivenza . Dobbiamo passare dalla coesistenza in comunità al vivere davvero insieme, all’accettazione e al rispetto della diversità che ci costituisce, e dobbiamo imparare che la collaborazione è la chiave della sopravvivenza. Dobbiamo imparare a collaborare sempre di più tra di noi, tra le congregazioni amiche e con i nostri compagni di missione laici. Il secondo insegnamento è l’umiltà di saper chiedere, il terzo è la perseveranza : sappiamo che ci saranno molti fallimenti e molti tentativi falliti, ma non possiamo arrenderci né rinunciare... dobbiamo continuare a perseverare nonostante tutto13
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Una comunità che si prende cura delle persone, come quella di Betania, offre un modello per affrontare queste importanti lezioni di vita e per superare la cosiddetta “crisi del vivere insieme”, che si manifesta nelle nostre società e nelle nostre comunità. Ricordo che una volta, quando andai a predicare gli Esercizi Spirituali a delle religiose di un altro Paese, chiesi alla provinciale cosa si aspettassero da me e lei mi rispose: “che ci aiuti ad amarci di più”. Questa frase mi è rimasta impressa. Le relazioni sono quelle che ci danno più gioia e anche più dolore, e il più delle volte ci feriamo reciprocamente per pura goffaggine, per ferite che non hanno avuto la possibilità di guarire. In un mondo di relazioni frammentate, le relazioni sane tra di noi sono la nostra sfida più grande oggi. Se non lavoriamo su di esse, non avremo comunità possibili da offrire alle giovani donne che busseranno alle nostre porte.
Come possiamo migliorare i legami all’interno delle comunità? In che modo la nostra comunicazione ci condiziona? Come possiamo esprimere il nostro disagio senza ferirci a vicenda? Fino a che punto possiamo sopportare l’ostilità prima di ammalarci? Esistono modi di vivere che hanno un impatto positivo sulla nostra salute e modi che, al contrario, ci rendono più inclini all’insoddisfazione, alla negatività.
Una religiosa mi raccontava che una sua consorella si infastidiva e la rimproverava quando, la mattina, dormiva fino a tardi e non riusciva a partecipare alla preghiera comunitaria. Le ho detto che anni fa ho vissuto con una sorella che, quando dormivo troppo, mi diceva: “Sarà perché ne avevi bisogno”. Questo mi aiutava. Ci sono tanti modi di affrontare le cose: alcuni ci fanno sentire piccoli e colpevoli, altri ci dilatano il cuore e ci insegnano ad amare la nostra fragilità.
Siamo tutte più bisognose di quanto dimostriamo, teniamo segreti i nostri dolori, e tutte siamo più amorevoli di quanto diamo a vedere: “Non oso tirare fuori tutto l’affetto che c’è in me con le mie sorelle”, mi disse una volta un’amica superiora generale. Come possiamo liberare l’amore che c’è in ognuna di noi? Come posso aiutare le altre a farlo?
Se c’è un luogo dove Gesù si recava per essere accolto e lasciarsi accudire, dove poteva far emergere tutta la sua capacità di affetto e di tenerezza, questo è Betania. È bello contemplarlo mentre viene accolto in casa, vedere come si prende del tempo per lasciarsi amare dai suoi amici.
Amare le proprie sorelle non significa donarsi senza limiti o rinunciare alle proprie esigenze. Potete amare e amare con forza da un luogo più sano e meno doloroso, dove c’è anche spazio per prendervi cura di voi stesse, rispettarvi e amarvi senza sentirvi in colpa o egoiste per questo.
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Gesù aveva fatto per Lazzaro tutto il possibile (Gv 11,1-44) e ora è Lui che ha bisogno di essere accudito di fronte all’atrocità di ciò che sta per accadergli (Gv 11,53). Marta lo nutre, la immaginiamo in questa occasione centrata e riconoscente, mentre Maria gli accarezza e unge i piedi con un profumo straordinariamente prezioso. I due non si scambiano parole. Nemmeno Lazzaro parla, si limita a condividere la tavola e a sedere accanto a Lui (Gv 12,1-8). Ci sono momenti in cui le parole non servono e i gesti sprofondano nel silenzio. È significativo notare che nei racconti in cui viene menzionato il profumo, la gratuità e la celebrazione della vita siano sempre associate a mormorazioni, rimproveri e frustrazioni (Gv 12,4-6)14.
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Anche noi possiamo fare come Gesù. Egli non perde la libertà di ungere e di lasciarsi ungere, pur sapendo che non tutti lo capiscono. Giuda infatti lo critica e Pietro farà fatica a comprenderlo, perché quello significava mostrarsi bisognoso e dipendente da un altro (Gv 13, 7).
Raggiungere questo traguardo di armonizzazione delle loro differenze e di piena collaborazione, ha richiesto molto tempo e molti tentativi da parte delle due sorelle. Possiamo riconoscerci in quella Marta che è sopraffatta, stanca, a disagio con se stessa e con Maria; forse vorrebbe fare altre cose o in altri modi. Gesù la chiama due volte - come venne chiamato Mosè davanti al roveto ardente - per mostrarle l’unica cosa necessaria: essere pienamente presente in quel momento. Gioire di ciò che sta facendo, gustare la presenza di Gesù nella sua casa (Lc 10, 38-42).
Dopo arriveranno i momenti difficili, ma è proprio in quei momenti che il legame tra le due sorelle e Gesù si rafforza, quando condividono il dolore per la perdita di Lazzaro (Gv 11,1-44). Piangono insieme, non nascondono la loro vulnerabilità. Esprimono i loro bisogni e i loro limiti e la debolezza di Lazzaro le unisce. Si aiutano l’una con l’altra nello sforzo di fidarsi di Gesù al di là di ciò che possono vedere, e si abbandonano alla potenza guaritrice e vivificante di Dio (Gv 11,43-45).
Amarci significa lasciarci essere, come Marta e Maria si lasciano essere , ognuna a proprio modo, ognuna con la propria struttura mentale e affettiva, molto diverse tra di loro. Vi erano stati momenti in cui si erano confrontate, erano state in competizione, e le lamentele erano sorte con facilità. Ora hanno imparato il valore della collaborazione, si lasciano libere di essere come sono e sanno che, sommandosi possono offrire molto di più a Lazzaro e a Gesù; hanno compreso che, intrecciando le loro corde, possono ottenere risultati migliori.
Dinanzi a loro, Gesù non nasconde la sua povertà né il suo bisogno di tenerezza e di bellezza, che raggiunge e commuove anche noi. E ripeterà i loro gesti al momento di lasciarci il memoriale della sua vita: imbandirà la tavola con il suo stesso corpo, laverà e ungerà i piedi dei discepoli, come le donne avevano fatto con lui, senza escludere nessuno.
Dobbiamo rendere concreti, nelle nostre comunità, quei gesti che umanizzano la vita. Abbiamo bisogno di poter offrire, insieme agli altri, il nostro pane e i nostri profumi. Ringraziare insieme, fare Eucaristia in un mondo ferito e affamato d’amore e di bellezza. Perché dove c’è cura e interdipendenza, c’è speranza.
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Come possiamo intrecciare queste cure tra di noi e con gli altri, per generare comunità di speranza, comunità che anelano a un orizzonte di vita buona per tutti? Dove sentiamo che Dio ci spinge oggi a intrecciare le nostre corde con quelle di altre congregazioni?
5.- La quinta corda: con la quale Gesù attira oggi ciascuna di noi
Fare della propria ferita una dimora Donne fragilmente felici
Su un lato della nostra croce di professe c’è incisa la frase Spes Unica : la croce, unica nostra speranza. Al costato di Gesù, ai lembi di quella ferita, permanentemente aperta
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sui volti sofferenti e rifiutati del nostro mondo, siamo chiamate ad abbeverarci, ad attingere alla sorgente di una speranza che nulla può contenere. Invincibile speranza è un libro di Christian de Chergé, martire del monastero di Tibhirine in Algeria, nel quale l’autore medita su Maria, in un sabato santo, dedicando il testo a una religiosa, sua amica: “Finché ci sarà dolore da condividere nel mondo, tu sarai lì, compagna della notte e del dubbio, della veglia e delle lacrime. Sarai sempre quella donna senza età, pronta a solidarizzare con tutto”. E se ti chiediamo le ragioni della speranza che ti spingono ad agire così, prenderai il bambino morto, che scende dalla croce, e lo accoglierai nella tomba delle tue braccia, perché possa riposare sul tuo petto, risvegliarsi e rivivere nelle tue viscere”.15
Compagne della notte e dei dubbi, compagne di veglie e di lacrime. Pronte a solidarizzare con tutti. In questo anno giubilare della Speranza che non delude , Papa Francesco ci invita a compiere un pellegrinaggio più in profondità, nella terra del Cuore di Gesù, a non smettere di esplorarla (Dilexit nos ). Solo in quello spazio del Cuore è possibile abbassare gli steccati, sciogliere le paure, conoscere l’unico amore che guarisce le ferite più profonde e scoprirsi vincolate le une alle altre, nella nostra essenziale fragilità.
Dalla croce Gesù lega Maria e Giovanni, offre loro la possibilità di “fare dimora” proprio nel luogo in cui sono stati feriti dalla perdita (Gv 19, 25-27). Egli annoda anche noi: ci offre legami e ci dà figli e figlie, ci rende madri e sorelle. D’ora in poi Maria sarà presente ovunque ci troviamo, la prima pellegrina della speranza, affinché nessuna di noi debba più piangere da sola.
Maria ci insegna che la speranza si nutre di quella resistenza e resilienza che ci permettono di rimanere ancorati al dolore senza soccombere. Maria sa che la speranza si genera nel presente, talvolta anche in circostanze difficili. Rimanere e sperare , quando altre persone nelle stesse circostanze non lo farebbero. Giovanni e Pietro se ne vanno increduli, mentre Maria Maddalena rimane, è lì presente, china sulla tomba vuota (Gv 20, 10-12), come le tante donne che abbiamo visto chine sui corpi morti dei loro cari a Gaza, ad Haiti, in Ucraina, in Congo.
Maria aveva sperimentato per prima, nel suo fiat, quello che Gesù avrebbe scoperto in seguito: che lo Spirito non può vibrare in ciò che è duro, determinato e rigido (quante rigidità portano a vite disallineate e colpevolizzanti). E si riempirà di gioia nello scoprire che la Ruah, lo Spirito, vibra in ciò che è fragile, tenero, debole e vulnerabile, e che da lì ci trasforma. Dio guarda alla piccolezza, Gesù Gli rende grazie, pieno di gioia, perché ha voluto rivelarsi a chi ha più bisogno degli altri (Lc 10, 21-24).
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Avere un cuore vulnerabile, come quello di Gesù, significa sapere che chiunque ha diritto di entrare nella nostra vita, e significa anche essere attratti da tutto ciò che è ferito e bisognoso di aiuto in questo mondo. Affinché un luogo inospitale, un luogo di dolore, diventi una dimora, un luogo di incontro , è necessario un amore che accolga l’altro per quello che è. La ferita può diventare uno spazio ostile, quando è oggetto di indifferenza o di esclusione, oppure uno spazio benedetto e benedicente. “Tutto dipende da come entriamo in quel terreno sacro che è la vulnerabilità di ogni persona. Se vi entriamo a piedi nudi e pronti per una conversazione tra mendicanti, stiamo costruendo spazi di pace... e di celebrazione per una vita in comune”16.
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Una volta stavo parlando con una consorella che accompagnava le giovani suore in formazione e mi ha confessato di sentirsi un’ingannatrice perché, mentre incoraggiava loro a pregare, lei trascurava la sua preghiera, si lasciava assorbire troppo dal cellulare, era distratta e aveva troppe cose a cui pensare... Come l’ho capita bene! L’ho ringraziata per avermi aperto questo spazio di debolezza, perché rifletteva un sentimento in cui mi riconoscevo pienamente. Anch’io mi sono sentita spesso così. Quante volte mi sono detta: “Se queste suore conoscessero il trambusto che c’è nella mia vita, non mi chiamerebbero”. Ma il miracolo dopo avviene, perché è Lui che passa e opera il bene attraverso le nostre vite scombinate, a volte segnate da quella distanza tra ciò che vorremmo vivere e ciò che viviamo, miseramente e goffamente.
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E paradossalmente, è lì, in quelle crepe segrete del nostro essere, che la sua grazia ci visita immeritatamente ed è questo a riempirci di speranza, una speranza che nessuno ci può togliere, perché sappiamo che la perfezione non dipende da noi: “Signore, non sono degna che tu entri nella mia casa, ma ti ricevo con tanta gioia”.
Papa Francesco collega l’esperienza della speranza con l’esperienza di sentirsi amati e con il desiderio di felicità che ci costituisce17. Vi lascio la mia gioia perché sia completa in voi, disse Gesù in un momento molto difficile per Lui (Gv 15,11).
Nell’anno appena trascorso, ho dedicato più tempo possibile a prendermi cura di mia madre, e gran parte di questa conferenza è stata scritta mentre ero con lei. Il mese scorso ha compiuto 96 anni. Un giorno, mentre partecipava all’Eucaristia seguendola in televisione, l’ho sentita dire: “Non mi piace, non mi piace”. Le chiesi cosa non le piacesse
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e mi disse che sperava che Gesù la perdonasse, ma che non le piaceva la fine del brano del Vangelo: il pianto e lo stridore di denti per colui che aveva nascosto il suo talento per paura (Mt 25,14-30).
“Tu come lo concluderesti?”, le chiesi. “Gli darei un altro talento”, rispose, “e gli direi di andare a cercare i suoi compagni, di chiedere loro come avevano fatto, di lasciarsi aiutare e di non avere paura”... Risi della sua interpretazione e gli dissi che sicuramente a Gesù il suo finale piaceva molto di più di quello di Matteo.
La nostra speranza è sapere che Gesù non mancherà di affidarci nuovamente i suoi talenti, per alleviare la sofferenza, per contribuire a diffondere l’amore in questo mondo e per incoraggiarci a vivere...
Non lasciamo che le nostre paure, e l’incertezza che ci accompagna a ogni passo, ci impediscano di tessere reti e alleanze che curano, riparano, nutrono e abbelliscono le nostre vite; e di essere in grado di parlare l’una con l’altra, durante il cammino, di come viviamo, di quali sono i nostri sogni, e di coloro per cui ci sentiamo per sempre grate.
Giuliana di Norwich e generazioni di donne nel corso della storia hanno espresso quella certezza che ha permesso loro di vivere e relazionarsi con un cuore dilatato: la profonda fiducia che tutto sarebbe andato bene, che tutto si sarebbe concluso per il meglio. Non per merito nostro, ma Suo. Non perché siamo noi a rendere buone le nostre comunità, ma perché è la Sua presenza a renderle buone per gli altri.
Essere trasformate significa lasciarsi attirare e afferrare dalle sue corde d’amore e di giustizia e avere una sola certezza nella vita: qualunque cosa accada, Egli non ci lascerà mai; perché non lascerà che una sola delle sue creature più piccole vada perduta, nemmeno un uccellino (Mt 10,29-31), nemmeno la debole luce di una lucciola. Spero che possiamo aiutarci a vicenda a essere umili pellegrine di un Amore che ci supera, complici e compagne di strada, al fianco di tutti coloro che oggi cercano rifugio. Pellegrine che scelgono di amare senza riserve , in ogni circostanza. Donne avvolte nella debolezza (Eb 5, 2) e per questo pronte a solidarizzare con tutti. Donne fragilmente felici e fragilmente speranzose.
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1 Orígene, Homilías sobre el Evangelio de Lc 21, 5-7.
2 M.C. De la Fuente, “Espacios de co-esperanza que forjan sentido”, en Sembrar esperanza acompañando el presente, Narcea 2024, 85.
3 Mentre scrivo queste righe, Papa Francesco è ricoverato al Policlinico Gemelli da più di due settimane e sono commossa dal fatto che, nel bel mezzo dei momenti più critici, non abbia smesso un solo giorno di chiamare o di chiedere di essere contattato a suo nome dal parroco di Gaza. Le mie preghiere e la mia gratitudine per la sua vita, le sue parole e i suoi gesti, che ispirano e sono presenti sullo sfondo di queste pagine.
4 Patris cordis, 2.
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5 C. Bobin, La presenza pura, Ed. Anima Mundi, 2019.
6 M. López Villanueva - J. Melloni Ribas, Ignatian Spirituality Today. Guide 21, cristianisme i justícia, 2024, 12.
7 A. Odriozola, “Cuidar la esperanza en situaciones de adversidad”, en Jornadas de Justicia y Misión de la confer: Los nombres de la Esperanza hoy. Febrero 2024.
8 Naomi Kawase, Le ricette della Signora Toku, 2015. (Titolo originale del film: Sweet Bean, 2015)
9 J. Zamora, Solito, Ediciones del Periscopio, 2024.
10 S. Alana Portero, La cattiva abitudine, Mondadori, 2024.
11 Papa Francesco ci dice: “La speranza ha bisogno di un corpo”. Udienza generale (8 febbraio 2017).
12 Società del Sacro Cuore di Gesù, Capitolo Generale 2024, 28.
13 Testimonianza di David Obiang, giovane camerunense che racconta la sua traversata e scrive della sua esperienza in montagna in attesa di saltare la barriera che separa il Marocco dalla Spagna: “c’erano migliaia di persone di paesi, religioni, lingue diverse... Ci siamo accettati e rispettati, abbiamo condiviso tutto, una pagnotta tra 7, un chilo di riso tra 20... Ho fatto più di 40 salti in 22 mesi, puntavo sempre al prossimo. Non si può rinunciare o arrendersi, perseverare significa andare avanti nonostante tutto. “Costruire la speranza”, in Sembrar esperanza acompañando el presente, Narcea 2024, 124-127.
14 “Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: “Perché questo spreco di profumo?” (Mc 14, 4-5). “I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: “Perché questo spreco?” (Mt 26, 8-9). Gesù risponde a Simone il fariseo riguardo al suo giudizio sulla donna che era entrata in casa sua piangendo con un vaso di alabastro: “Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo .” (Lc 7, 44-46).
15 “E a tutti coloro che sembrano avere un cuore da far sanguinare”. Christian de Chergé, La esperanza invencible. Escritos esenciales del monje mártir de Argelia. Lumen, Buenos Aires 2027, 33.
16 C.M. Antunes, Oh noche que guiaste, Grupo Comunicación Loyola, 2023.
17 Spes nos confundit, 21.
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