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DOVE CI COLLOCHIAMO? RELIGIOSI ALLE PERIFERIE– FISICHE, SPIRITUALI ED ESISTENZIALI

dal 2012 al 2021.

Il testo è stato presentato al primo Simposio delle Religiose Teologhe, organizzato a Roma dalla UISG, dal 12 al 19 giugno 2022.

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Sin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha incoraggiato la Chiesa a un ministero nelle periferie, a uscire dalle singole chiese particolari e a trovare chi vive ai margini della società. Gesù è il modello di questo ministero: ha trovato chi aveva più bisogno del suo tocco di guarigione. Le persone che ha guarito o sfamato sono state spesso poi riportate in una società o in un quartiere che li aveva allontanati dal centro. Essere guariti o perdonati li ha fatti uscire dall’esilio e ha dato a molti una nuova vita normale con rapporti umani e una normalità che non avevano vissuto prima. La guarigione non si è limitata alla sfera personale: ha riedificato la comunità nel suo complesso riportando al centro chi era ai margini.

Papa Francesco parla poi di vita consacrata come di una chiamata speciale a vivere come profeti nel mondo di oggi (Francesco 21 novembre 2014). Essere un testimone profetico significa seguire la chiamata di Dio in un mondo che non conosce Dio, proporre uno stile di vita diverso che porterà gioia e realizzazione in un modo che il mondo laico non comprende. La chiamata alle periferie è una chiamata a essere testimoni profetici del mondo che Dio vuole per noi, un mondo in cui chi è escluso sia incluso, in cui le periferie diventino il centro. Come religiosi e religiose, siamo chiamati ad andare verso le persone e i luoghi che sono ai margini della società e aiutarli a rialzarsi, con l’obiettivo di portarli di nuovo al centro. Il regno di Dio sarà completo quando tutti avranno la pienezza della dignità umana, quando nessuno sarà esiliato o escluso. Questo è l’impegno profetico della nostra consacrazione: andare sempre incontro a chi è in queste periferie, attirarli al centro riconoscendone la dignità umana, per poi tornare alle periferie e farlo di nuovo. Viviamo in una tensione costante, attirando gli esuli al centro per poi tornare alle periferie. L’opera costante sulla dignità umana è una testimonianza profetica della speranza del regno di Dio, che sappiamo arriverà e porterà gioia al mondo intero.

Questo elaborato vuole in primo luogo approfondire il concetto di periferie nelle parole di Papa Francesco che descrive anche nel dettaglio quali periferie hanno più bisogno oggi. Poi, a partire da esempi tratti dalla storia della vita religiosa, esamineremo il movimento dalle periferie al centro e viceversa. Infine, esploreremo le caratteristiche della vita religiosa per cui i religiosi sono pronti ad affrontare le sfide della società di oggi e le periferie esistenziali. Dalla storia della salvezza sappiamo che non ci siamo salvati da soli, ma piuttosto come popolo: come si trasformerà il mondo con l’inclusione di ogni persona?

La parola “periferie” e in particolare l’espressione “periferie esistenziali” suscitano domande e confusione. Le periferie sono i margini, i luoghi (fisici o metaforici) più lontani dal centro. Altre parole come “limiti”, “margini” e “frontiere” hanno una connotazione simile. Potremmo considerare periferie anche i “confini” o le linee di demarcazione tra una cosa e l’altra. La vita di Gesù illustra bene il concetto di periferie. Nato lontano dal centro (fisicamente e socio-economicamente) dell’Impero romano, ma in territorio sotto la dominazione romana, Gesù entra nel mondo in povertà, nato letteralmente dove vivono gli animali, non le persone. Socialmente, la sua famiglia umana rappresenta una classe minoritaria oppressa. La sua povertà e la mancanza di risorse indicano una periferia esistenziale. Questa realtà, il fatto che Dio abbia scelto l’incarnazione in queste circostanze, illustra l’amore nei riguardi di tutta l’umanità, la santificazione anche degli ultimi della razza umana.

Nel discorso che ha preceduto il conclave in cui è stato eletto papa, il cardinale Jorge Bergoglio ha esortato la Chiesa a andare verso le periferie, identificandole non soltanto come “periferie geografiche, ma anche come periferie esistenziali: il mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, dell’ignoranza e dell’indifferenza alla religione, delle correnti intellettuali e di tutta la miseria” (Henderson 2018). Le periferie, quindi, sono ovunque lì dove le persone soffrono, in qualsiasi modo. Chi segue Cristo è chiamato a andare oltre i confini a favore dell’inclusione. Francesco ha detto ai nuovi cardinali nel 2015: “Vi esorto a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, per qualsiasi motivo; a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda; il Signore che è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si sono allontanati dal vivere la propria fede, o che si dichiarano atei; il Signore che è in carcere, che è ammalato, che non ha lavoro, che è perseguitato; il Signore che è nel lebbroso - nel corpo o nell’anima -, che è discriminato! Non scopriamo il Signore se non accogliamo in modo autentico l’emarginato!” (Francesco, 15 febbraio 2015). La chiamata di Cristo è un’inclusione radicale, un’inclusione che ingloba tutti, a prescindere da tutto.

Andare nelle periferie è un atto di servizio a imitazione di Gesù, che deve anche includere l’apertura a essere trasformati da ciò che si trova lì. L’inclusione degli esclusi richiede una conversione del cuore: che cosa delle mie azioni, delle nostre azioni, ha portato a questa separazione tra di noi? I cristiani proclamano la salvezza di ciascuno, ma la salvezza non è un’esperienza solitaria. La salvezza arriva alla comunità nel suo insieme, al “noi” e non solo all’ “io”. Siamo tutti chiamati a convertirci e a trasformarci insieme per portare l’unico Corpo di Cristo, il Popolo di Dio, alla sua realizzazione più piena. Nelle parole di Papa

Francesco: “La storia della salvezza vede dunque un noi all’inizio e un noi alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).

Il tempo presente, però, ci mostra che il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e sfigurato. E questo si verifica specialmente nei momenti di maggiore crisi, come ora per la pandemia. […] sgretolano o dividono il noi, tanto nel mondo quanto all’interno della Chiesa. E il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, che abitano le periferie esistenziali” (Francesco 27 settembre 2021).

A partire da tutte queste definizioni di periferia possiamo capire di cosa ha bisogno il nostro mondo oggi. Soprattutto, Francesco afferma che le esigenze dei migranti sono una periferia che richiede la nostra attenzione. Nella sua prima visita da Papa, Francesco si è recato sull’isola di Lampedusa, in Italia, il punto di arrivo di molti migranti in Europa, dove nell’ultimo periodo centinaia hanno perso la vita in mare. In quella occasione, ha espresso il suo cordoglio e sottolineato la responsabilità che abbiamo tutti di mostrare amore fraterno per quei migranti che cercano una nuova vita in un’altra terra. Francesco ha continuato a fare appello per le esigenze dei migranti e di chi si sposta continuamente in tutto il mondo. I migranti e i rifugiati sono solo un gruppo di esseri umani che vive ai margini, senza che le loro esigenze fisiche siano soddisfatte e senza il potere di cambiare la situazione. Le periferie includono quindi tutti quelli che si trovano in una condizione di povertà, malattia e oppressione, senza le condizioni necessarie alla dignità umana. “Lo sviluppo esclusivista rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Lo sviluppo vero è quello che si propone di includere tutti gli uomini e le donne del mondo, promuovendo la loro crescita integrale e si preoccupa anche delle generazioni future.” Soffriamo tutti quando qualcuno tra noi soffre e siamo quindi chiamati ad andare incontro a chiunque sia “rifiutato dalla società globalizzata di oggi” (Francesco 29 settembre 2019).

Oltre a chi è emarginato per motivi di esigenze fisiche, ha bisogno della luce di Cristo chiunque sia considerato meno umano perché “altro”. Creare una “cultura dell’incontro” significa allargare le nostre cerchie per includere chi la pensa in modo diverso da noi e pratica un culto diverso, chi non è della nostra stessa opinione e persino chi ci sembra sgradevole. Una cultura dell’incontro non è un luogo di proselitismo, ma piuttosto un luogo dove possiamo ricercare una maggiore comprensione e riconoscimento dell’umanità nell’altro che ci sembra così diverso.

Non dimentichiamo però che le periferie esistono all’interno della nostra Chiesa. Molti rimangono cattolici solo su carta o lasciano completamente la Chiesa perché emarginati per vari motivi. Il cardinale Tobin parla della necessità della Chiesa di ascoltare chi è emarginato a causa della crisi degli abusi sessuali. Il Corpo di Cristo include persone esiliate per diversi motivi: divorzio, abusi, omosessualità e identità di genere, aborto o contraccezione, esclusione dal ministero, persino dubbi personali. La dignità umana è un diritto di tutti. Gesù non è venuto a salvare chi non ha peccato o chi non ha dubbi. Anche noi dobbiamo riconoscere la dignità di ogni persona umana.

Fin dall’inizio della vita religiosa, uomini e donne hanno cercato di seguire Gesù. Le prime congregazioni religiose (in particolare i Benedettini) sono state fondate quando uomini e donne si sono riuniti in comunità per una vita di preghiera e di dedizione a Dio. Altre congregazioni sono state fondate con un particolare apostolato in mente, che le ha portate invariabilmente in quelle che oggi chiameremmo “periferie.” Ordini femminili come quello delle Orsoline hanno avviato scuole per bambine, che spesso non ricevevano alcuna istruzione. Gli ordini maschili, come i Domenicani e i Gesuiti, hanno portato il Vangelo ai cristiani che si erano separati dalla Chiesa e ai non cristiani. Molti ordini cercavano di soddisfare le esigenze fisiche delle persone, tra cui cibo e alloggio, protezione dal male, assistenza medica e cura dei moribondi. Che cercassero di soddisfare le esigenze spirituali, intellettuali o fisiche delle persone, gli ordini stavano comunque abbracciando il servizio a imitazione di Gesù, secondo una modalità che li portava ai margini della società con lo scopo di ripristinare la dignità umana. Questa attenzione alla dignità di ciascuno volta a un qualunque reinserimento nella società, proprio come Gesù durante la sua vita sulla terra.

Tuttavia, nel corso della storia, gli ordini che hanno ricercato i margini hanno guadagnato ricchezza e potere. I Benedettini ne sono l’esempio principale, visto che esistono da 1500 anni. Nel corso dei secoli, la loro presenza e il loro ministero nel mondo li hanno

Andare nelle periferie è un atto di servizio a imitazione di Gesù, che deve anche includere l’apertura a essere trasformati da ciò che si trova lì. L’inclusione degli esclusi richiede una conversione del cuore: che cosa delle mie azioni, delle nostre azioni, ha portato a questa separazione tra di noi? portati ad avere un gran numero di seguaci, per poi ottenere una ricchezza e un potere straordinari. I monasteri, benché fondati lontano dai centri urbani, sono stati in grado di attirare le persone, diventando centri di attività sociale ed economica. Via via che i monasteri si arricchivano e il ruolo di abate diventava più potente, i membri di alto rango delle comunità cercavano di inserire i loro figli in quei ruoli e il sistema in alcuni luoghi si corrompeva. Tuttavia, Gesù ha continuato a chiamare i cristiani e i consacrati nelle periferie.

I Benedettini hanno tentato più volte la strada della riforma per tornare allo scopo originario, scalfendo gli strati di ricchezza e potere. I principali movimenti di riforma all’interno delle comunità benedettine si sono verificati attorno all’800 con l’opera di Benedetto d’Aniane alla corte di Carlo Magno; nell’XI secolo con la fondazione dei Cistercensi sotto Bernardo di Chiaravalle e la riforma certosina.

Con ogni movimento di riforma, la comunità è stata richiamata e riportata a una sequela più vicina di Gesù, spostandosi dal centro del potere e del privilegio a una vita di povertà e di imitazione di Gesù.

Tutto ciò non significa che i Benedettini o qualsiasi altro ordine abbiano smesso di seguire Gesù, ma solo che le opere, se svolte al meglio, portano naturalmente i margini al centro. Le religiose e i religiosi, quindi, devono riconoscere quando i loro ministeri e apostolati hanno bisogno di riconsiderare la chiamata di Gesù e tornare alle periferie. I religiosi di oggi devono affrontare grandi cambiamenti. Soprattutto nella mia realtà degli Stati Uniti, l’inizio-metà del XX secolo ha visto grandi numeri di religiosi e numerosi investimenti in grandi istituzioni. Queste istituzioni sono state fondamentali per la crescita del paese, perché hanno risposto alle esigenze educative, sanitarie e sociali delle nascenti comunità di immigrati senza discriminazioni. Oggi, molti dei religiosi che hanno dato vita a queste istituzioni vedono i loro numeri ridursi e queste istituzioni hanno molto successo. Via via che i religiosi si allontanano dai grandi ministeri istituzionali, abbiamo la possibilità di esaminare il nostro impegno nei riguardi di chi è ai margini, per tornare di nuovo alle periferie.

Questo momento di cambiamento demografico tra le religiose dell’emisfero settentrionale è una delle caratteristiche principali che consente alle religiose di impegnarsi di nuovo in ministeri nelle periferie. Oltre a questo momento di cambiamento, i voti di povertà, castità e obbedienza fanno sì che le religiose siano preparate per il ministero ai margini, riportando tutta la creazione di Dio verso il centro, verso la dignità umana e l’inclusione nella società. A conclusione di questo articolo esamineremo ogni voto in relazione al movimento verso le periferie.

Sebbene i religiosi facciano voto di povertà, la povertà che vivono non è come la povertà materiale a cui sono soggette molte persone nel mondo. In realtà, la povertà materiale è un male, non un qualcosa da desiderare, perché nega all’essere umano ciò di cui ha bisogno per una vita piena. Quando i religiosi e le religiose fanno voto di povertà, quindi, si impegnano a vivere una vita semplice come quella di Gesù e a separare il loro essere dal valore monetario. Una vita semplice a partire dal voto di povertà aiuta i consacrati a lavorare ai margini, perché così facendo vedono il valore profondo della vita umana, indipendentemente dalle circostanze. Il diritto di ogni essere umano ad avere dignità è indiscutibile. Di conseguenza, una vita semplice pone i consacrati al di fuori del percorso materialista dominante che la società sembra sostenere. Pone i religiosi ai margini, dove possono entrare in relazione e in comunità con altri che sono emarginati a causa delle condizioni economiche. La semplicità aiuta gli altri ad avvicinarsi ai religiosi come pari e permette la crescita di relazioni profonde. Il voto di povertà riconosce anche che tutto ciò che riceviamo è dono di Dio e che quindi dovremmo camminare con sobrietà sulla terra, utilizzando solo le risorse di cui abbiamo bisogno senza accumulare. Vivere in modo semplice e condividere ciò che abbiamo tra di noi e con gli altri fa sì che ci siano più risorse disponibili per gli altri, comprese le generazioni future. Significa che ciò che otteniamo può essere dato liberamente a chi ne ha bisogno. Così, i religiosi e le religiose, consacrati alla povertà, sono pronti a svolgere il loro ministero nelle periferie.

Il voto di castità, detto anche “celibato,” libera i consacrati dagli impegni della vita familiare affinché possano avere libertà di tempo e spazio per altre relazioni. Questa libertà è sia interiore sia esteriore: interiormente, per non essere vincolati dall’amore per una persona da non poterne amare altre; esteriormente, per essere liberi dai vincoli delle esigenze familiari, che naturalmente devono avere un posto prioritario nella vita di una madre o di un padre. L’amore che solitamente si darebbe al coniuge e ai figli è rivolto in modo in più ampio al mondo in generale: amare tutti come Dio ama tutti (Radcliffe 2014, 9). Come Gesù, i consacrati ricercano chi ha più bisogno della capacità di guarigione del suo amore. La libertà che si ha nella vita religiosa offre anche il sostegno di una comunità religiosa nel discernimento e nell’impegno in un particolare ministero. Che siano coinvolti o meno nel ministero, gli altri membri della congregazione partecipano e incoraggiano l’individuo nelle sue attività. L’apostolato può continuare anche quando si fa avanti qualcun altro per prendere il posto di chi va in pensione o si trasferisce. Infine, il voto di castità permette ai religiosi chiamati in regioni missionarie di lasciare la loro casa e di raggiungere le periferie geografiche che ancora esistono nel nostro mondo. Il voto di obbedienza è un voto di discernimento, di ascolto attento della chiamata di Dio, sia come Dio chiama la congregazione sia come Dio chiama la singola persona con i suoi doni e talenti.

I consacrati devono ascoltare la chiamata dello Spirito Santo nel superiore della congregazione, nella comunità nel suo insieme e nel mondo che li circonda. Quando i bisogni che vediamo corrispondono ai nostri doni comunitari o individuali, abbiamo trovato la chiamata di Dio. Il voto di obbedienza dà la fiducia di poter ascoltare con maggiore chiarezza attraverso il discernimento reciproco e la fiducia che Dio ci stia guidando fedelmente nel nostro apostolato.

Papa Francesco incoraggia tutti i cristiani alle periferie e soprattutto i consacrati hanno la capacità e la responsabilità di seguire questa chiamata. Nella vita consacrata, la pratica della povertà, della castità e dell’obbedienza ci prepara e ci offre il supporto necessario per reinserire nella società umana chi è stato esiliato, per aiutare a ripristinare la dignità umana dove è stata negata. Come ci esorta Papa Francesco: “La fede, la speranza e l’amore necessariamente ci spingono verso questa preferenza per i più bisognosi, che va oltre la pur necessaria assistenza. Implica infatti il camminare assieme, il lasciarci evangelizzare da loro, che conoscono bene Cristo sofferente, il lasciarci “contagiare” dalla loro esperienza della salvezza, dalla loro saggezza e dalla loro creatività. Condividere con i poveri significa arricchirci a vicenda. E, se ci sono strutture sociali malate che impediscono loro di sognare per il futuro, dobbiamo lavorare insieme per guarirle, per cambiarle. E a questo conduce l’amore di Cristo, che ci ha amato fino all’estremo e arriva fino ai confini, ai margini, alle frontiere esistenziali. Portare le periferie al centro significa centrare la nostra vita in Cristo, che «si è fatto povero» per noi, per arricchirci «per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). (Francesco 19 agosto 2020)

Bibliografia

Francesco. “Lettera apostolica del Santo Padre Francesco a tutti i consacrati in occasione dell’anno della vita consacrata.” 21 novembre 2014. https://w2.vatican.va/content/francesco/en/apost_ letters/documents/papa- francesco_lettera-ap_20141121_lettera-consacrati.html

Francesco. Udienza Generale. 19 agosto 2020. Consultato in data 7 maggio 2021. http://www.vatican. va/content/francesco/en/audiences/2020/documents/papa- francesco_20200819_udienza-generale. html

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Francesco. Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2019. 29 settembre 2019. Consultato in data 7 maggio 2021. http://www.vatican.va/content/ francesco/en/messages/migration/documents/papa- francesco_20190527_world-migrants-day-2019. html

Francesco. “Verso un noi sempre più grande”: Messaggio del Santo Padre Francesco per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 27 settembre 2021. Consultato in data 7 maggio 2021. http://www.vatican.va/content/francesco/en/messages/migration/documents/papafrancesco_20210503_world-migrants-day-2021.html

Henderson, Silas. “What the Early Church Teaches Us about Pope Francis’ ‘Peripheries’.” Aleteia. 5 maggio 2018. Consultato in data 7 maggio 2021. https://aleteia.org/2018/05/05/what-the- earlychurch-teaches-us-about-pope-francis-peripheries/

Radcliffe, Timothy. “Same God, Different Ways to Love.” Horizon 39, no. 4 (Fall 2014): 9–13.

Tobin, Joseph W. “The Power of Listening to the Peripheries: A Traumatized Church Can Truly Embrace the Pope Francis Vision and Offer a Witness that Is More Accountable to the Gospel.” Archdiocese of Newark (20 febbraio 2019). Consultato in data 7 maggio 2021. https://www.rcan.org/power-listeningperipheries-traumatized-church-can-truly-embrace- pope-francis-vision-and-offer

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