Troppo, e sia Poesia

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Romulo Rebay
QUASI POESIE 2012-2022 TERZA EDIZIONE CON AGGIORNAMENTI
Juan
Troppo, e sia poesia
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Troppo, e sia poesia

POESIE 2012-2022 (TERZA EDIZIONE AGGIORNATA)

Juan Romulo Rebay Troppo, e sia poesia

TERZA EDIZIONE AGGIORNATA-HSGNH6700009

© 2023 L’Imbuto Edizioni Indipendenti via Riteglio Glioteri 36 170RX - ROMA - NEW YORK

In copertina: Jack Vettriano, Man in the Mirror

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Indice Amaramente amai
9 Mormorar d’amor mancato...............................................
11 Esitazione
13 Amarsi al mare
14 Igor
16 Amica acida
17 Connie...................
19 Donna in rosso...................
21 Flamenco...................
22 Il libri
23 Natale
24 Piccolo cimitero sul mare
25 Piove
26 Domesticae
27 La gatta e il topo
30 La parola del Generale genera le parole
31 Rendez-vous consensuel
33 Tiche tiche
35 Traditrice
36 Estate....................................................
37 Archivolto...............................
38 E’ tardi
39 Magico momento
40 Poesia del Dopo I
41 Count Down
42 L’Araba Felice
43 Abruzzo
45 Dalla padella alla brace
46 Cerchio me stesso
Cervo volante
50 I Giovani Leoni
51 Vuoto dentro
53 IlMostro
54 Poesia del Dopo II
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Ho scritto quasi tutte queste cose partendo da un’assonanza, da un’allitterazione, da qualche strano garbuglio di parole che nel suo ridondare genera sensi secondi.

E’ un’occasione particolare che si concede a se stessi, quella di cominciare a scrivere senza nessun progetto se non quello di lasciarsi guidare dalle parole.

E anche un tentativo di beffarle, di prenderle per la loro forma e non per il loro contenuto, di tradirne la semantica ed esaltarne la morfologia... ma alla fine loro vincono sempre, perche comunque generano un senso, anche se spesso è un po’ disarticolato ed è difficile assegnargli anche il ruolo di significato.

Le parole che ti si presentano davanti quando non hai l’obiettivo di mandare la frase dove vorresti sono molte, ma a volte si concatenano con una tale facilità che sembra proprio che vogliano tirare fuori qualche significato particolare, in quella forma particolare, e cioè l’unica che avrebbe potuto dare al significato quel particolare significato che è contenuto nella particolarità delle forme che nella ridondanza formale qualche volta sviluppano motu proprio un significato particolare.

A parte gli scherzi, a volte il solo gioco di parole riletto alla fine si è rivelato come un bozzetto abbastanza congruente, una descrizione che non sarei mai stato capace di fare se fossi andato alla ricerca di contenuti anziché di forme.

I pezzi contenuti nella prima e nella seconda edizione di “Troppo, e sia poesia” sono qui riproposti in forma integrale, in parte rivisti rispetto alle precedenti edizioni. A questi si aggiungono alcuni pezzi più recenti o che per esigenze editoriali non erano stati precedentemente presi in considerazione.

Chiedo scusa se ho usato in copertina il termine “poesie”.

JRR

Lubjana, dicembre 2022

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Se ancor cose remote arrancan come arcane, e strane rimembranze traman nelle stanze ove ora stai e van per strade che ora vai dirti vorrei ciò che non sai né sapesti e chissà se mai saprai, che disperai se sparai non saprei tu lo sapesti forse ancora lo sai che mai sperai di disperarti, amareggiarti coi miei guai (e amare con armi d’inermi amorini iniqui inquilini d’inquieti e liquidi lidi…) no! amici mai, che miagolasti e sparasti ai miei magici muggiti, ai mitici amici e ai ciclotimici timidi cicli, tonici calci ai cinici cilici che non dissi mai Or tu dirai che non dici e non dirai che taci, e or non è ora, è ormai. Ma io ti dico questo: che t’amai che amaramente, ma t’amai l’amor marrano m’arse, morse e mi recò financo seco forse come mentore recondito in ambito remoto murmure torpido docile lemure, memore del fatto che t’amai, e mai a mero amor meno moroso mi prestai perché redento martire t’amai.

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Amor ramengo, amaro remator d’armi, d’attracchi e di materne rene, della tirannide tremenda mai menzionai ma io, amaramente martire, t’amai e amai, domandando mai, ma amando tremando al mondo immondo inondando d’onde le lande donde tu danzando in mutande blandisti il glande e con bende blande mutasti destini e siti tristi in desti interstizi di vizi sacri in criptici giudizi in cristi stitici, in trilli di cimici e di comici, di comò, di comari di travet, di tresor, di tramvai ché disperatamente io t’amai.

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Mormorar d’amor mancato

Come una vergogna puerile o una caldana della menopausa il tuo ricordo impavido m’avvampa e d’improvviso m’infiora di sorrisi perversi e di partenze partite nei temporali, di venti diventati tempesta che devasta vasta parte del cuore che nel timore del furore si rifugia nelle ore, nei disegni di sogni prenatali, tali furono i furenti progetti gettati, gli iati i tanti latrati, i tratti alterati di ciò che fu il nostro legàme gametico ed ermetico sintagma d’ancestrali agili linguaggi, d’inguaiati ormeggi, d’innocui lignaggi d’incunaboli e ingranaggi d’ingaggi armati, d’armeggiamenti mentitori, di menti intinte nell’intento. Tento di ritrovar ciò che fu innesco d’un losco scopo che ci parve fresco scoprir tra l’usco e il brusco il tenue imbroglio, l’abbaglio che c’imbrigliò e ciò che ci accigliò, l’accidente che ci scagliò come accidiose scaglie al ciglio che si scioglie sulle soglie lacrime rapprese, prese d’acredine carezze di salsedine, ebbrezze d’acre inquietudine, iniqua incudine che incute solitudine d’antica ignota scaturigine

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all’ineffabile scompagine in cui l’immagine si fece cartilagine agile carta per le rovine di Cartagine rovinosa caligine dell’origine del fulminoso colpo inflitto da Cupido la cupidigia indugiò afflitta colpevole e fuminea minò mari, minareti pareti minime e metonimie parentali ridenti terreni ed eterni eterei rii e iridescenti reni, e denti terribili e reticoli liberi di ridenti tiranneggiamenti inneggianti al deridente tesoro all’oroscopico tridente che ci vide perdenti all’ombra delle ore al timore di perderci che ancora ci divide che vide e vede ciò che non recede e incede, e decide di recidere e ride, e rode, e recede con dolore alle forre dolorose di colore, ai calorosi e orrendi arrendevoli voli del cuore agli orgogliosi orgasmi e al sismico vigore di regole golose, osate a testare, a tener testa, a stare restii in isterici resti: ardesti, ordisti e ti destasti, rivisitasti i visi, i vasti sistemi d’estasi con cui estasiasti le estati ed esausta ti stirasti a tessere redenzioni d’azioni sterili, liste stereoscopiche di pregevoli difetti, di fatti privi d’agili prove e di girovaghe vaghe rovine, rose dall’ardore, lordate nel doloroso cuore, dove osarono sparse aurore, aure sparute sparate nelle ore del clamore che per errore ci parve amore

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Esitazione

La bocca si blocca si balocca nell’esitazione nell’esiziale posizione che invoca per poca voce fioca l’inviolato silenzio che prelude all’edule promessa che illude pressa, ma elude e chiude il docile e macilento armento dal cilicio avvinto che spinto nel tormento da un cinismo irredento recita illecite citazioni silicee allucinazioni sillogi criptiche di stitiche sfingi simillime alle silfidi, ai sifilitici ibridi riti delle origini ai fili scattanti dalle scaturigini agl’irti desii di erinni, ai miti degli hittiti, timidi ibridi di ritiri sinistri, di tiri mancini di gridi d’algidi strigidi di mancati strati di ieratici frati fatti di baffi, di grassi epitaffi di epici gradassi a far graffi d’epistassi come se io non bastassi da solo a imbastardir l’imbelle imbastitura d’un imbecille imbambolato bollato d’abbellir con balle il blabla blaterante bellimbusto, tra balbuziente e baldanzoso e bello, in bilico traballante

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Amarsi al mare

Amarsi al mare è scambiarsi morsi d’amor salati è amar arsi dal sale e idratarsi col solare è baciarsi e sudare e andare e ciabattare baciarsi al belvedere è salir coste salmastre spalancar finestre seguir l’estro maldestro prostrato dall’ostro e stremati riamarsi arditi e ardenti di sole e ristorarsi o remare sistemarsi e al ristorante restare sulla risacca accennare al riflesso lunare all’assenza di zanzare è sussurrar e azzardare suggerir di fuggire asserir l’essenziale e reiterar l’amare nell’estate serale attrarsi attardarsi assistersi lasciarsi assalir dall’istinto dall’intento dell’istante

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e in nottata l’ancestrale darsi e dare e ridondare tra rododendri e zagare svagare e sentir risonare il risanante mare dormirsi e ridestare in azzurrate aurore il corpo astrale e andare all’albeggiare nei flutti a gareggiare spiaggiarsi e riposare baciarsi e ricordare altri baci e progettare facendo (per precisare) colazione vistamare e amarsi amando l’amarsi al mare e mormorarsi morsi d’amor salati ricominciare

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Sei criptico e laconico isterico e istrionico mi dici che sei cinico lo so che sei balcanico

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Igor

Amica acida

Ti desti e ti vesti d’astio ostenti ostile isterica astuzia malizia e malagrazia malanimo e mestizia e in ogni frase cogli scogliosi incagli, viscosi appigli per polemizzare leziosi inizi per viziose tenzoni intenzioni sediziose insidiosi interstizi ove ti irretisci intirizzita rigida ad irridenti e tendenziose interpretazioni che usi, e poi accusi gli adusi ai tuoi abusi che confusi e delusi mesti non s’allettano della dialettica che tu, (elèttati a toelettare le letterali allitterazioni) trasformi in rettile e rettale rettificando errori altrui di trucidi erranti eroi eretti a martiri nei riti dei tuoi rutti, nei romiti rii d’erti ritiri dove dirti i diritti dei miti e tirarti dardi e deriderti per redimerti e suggerirti ridicole tiritere e per darti trite recriminazioni d’azioni criminose

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e faziosi dazi ed esiziali ozi che son l’esegesi del tuo esigere stizzita la genesi del tuo ingessare ossessivamente ogni accesso al sorriso, al sismico sole del sesso, all’esile silenzio del sussurro, al serrato torrido rodeo del darsi, al terso dorso teso arso dal morso, perso nell’estasi dell’amarsi. Forse, tra arse e sparse parole, tra sussiegose pose e setole spinose qualche principe azzurro ruzzolerà precipite in prepuziale prodromo a premiarti per primo della prossima promessa preludio e pruderie privatamente provvidi provvederanno forse a far sì che farse e forsennate fissazioni, fisime faziose che t’affossano, possano alfin finire svanire nel final nirvana e render vani e rari i rodimenti vari e neri che mentendo e mantenendo veri i mentori dei tremiti e i reprobi di trepidi drammi improbi traditori dei desideri, t’immerdano la mente ed i pensieri.

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Che faresti se ti sposassi?

Te la spasseresti sempre come te la spassasti o ti spaeseresti?

Chiariresti se i resti di sterili e isterici intrecci sempre li vorresti e onestamente diresti: se resti rischiamo disastri… O forse resteresti senza estendere le sere in dimore forestiere ed essere sempre presente a tener desti i desideri d’esteri destrieri?

Beh, se esser fedele ti lede, ti trattiene, ti rende presa in rete perché pretendere eteree tenerezze per sempre?

Vieni, rimani, vai non c’eri ieri, domani rimarrai fiera sarai, andrai, a un tratto ritratterai, tonerai narrerai ritratti d’altre mani anima animalesca esca per nani innescherai per me scherni toscani

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Connie

e losca pescherai una mesta festa per saltare l’asta, un incanto che tanto un tonto di tanto si contenta e accanto intanto mi vorrai attento, attore attonito d’adito e d’intento dedito al dedalo di doti a tanti date che date ad un solo sarebbero sprecate.

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Quando, con acidità di diacona agitata gettavi iatture e agivi ghiacciata da indicibile accidia, eccitata e tacita incitando a citare agiti gesti ostentando estatici cimurri, immemore eri di meri pensieri di ieri, più veri, quand’eri in festivi vigori e vestivi estivi cirri recidevi erranti ricci e in ritmici giri in bici, tra mici e tamerici, tiravi tiri mancini agli amici e tacevi tipici, topici e antipatici incidenti, identici momenti di irridente e lampante tronfiezza d’aitante fierezza t’aizzavi ardente ad azzannar seduta stante lo zero circostante, tracotante tra tante attraente, ma francamente castrante, strana, casta, assatanata nella farsa dalla faccia assonnata sana guardiana ma assassina, malsana e allampanata massaia la mattina ma subito mutata in tetragona saetta in trapanante silfide provetta, rigida e crudel anima eletta (tale riappari dopo la toeletta).

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Flamenco

fra fiamme falangi falliti tormenti amanti violenti d’amori vibranti tramonti temendi tradimenti tu menti, adelante! fedele è l’amante flamenco fremente frammento, frangente Tra gente caliente accalcata tra lente calli, gesticolante l’antica cantica cangiante attacca batte abbatte attende la tattica del tacco che ti prende la pratica d’attacco del duende donde, dolenti lande dando, a dedali s’arrende deride e si pente lui eroe serio, rigido reo forse babbeo reduce ridicolo e altezzoso postulante geloso lei sensuale promessa, chimera lei ieratica pantera donna didatta, dedita all’infante fante di ferro dente tagliente el cante del perro s’ infiamma d’oriente

22

Lì, i libri: ibridi riti in ritiri timidi, mitici fili di limiti infiniti di ripidi lidi, intrisi di liti, di fii inflitti d’ intirizziti rii di tipi infimi, infidi d’imi pii privi di diritti d’intimi timidi, ti dissi… di miti, di silfidi d’irti rigiri (Myskin, Sissy, Mimì) intrighi fini, triti, ritriti brindi, imiti, ridi, tiri ti ritiri in irti siti irridi i miti i litigi minimi

23 I
libri

Natale

Renne stelle slitte e palle strenne belle luci gialle di scintille il cielo brilla e già scivola una stilla sulla gota dell’infante tanto tanto trepidante annidato tra le tende che da tanto tutto attende c’è la notte, c’è la neve come nave viene lieve l’inviluppa in un altrove viene giù non sa da dove ci son luci e canti e suoni santi, amici e cibi buoni Senti, senti sulle scale il Natale adesso sale.

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Piccolo cimitero sul mare

Storta la tomba mormora dei torti manda lodi amare stordita inerte sui prati assorti assiste i morti E lede il mare con tal mordacia e martoriato intento scritto sul marmo l’amore mortal di tal tormento

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Piove piove ove pio poso l’occhio ove oso oltre l’altrove

va, obiqua acqua ovunque piova! liquida quota iniqua quiete quasi nuova

Avida piovi su vacue prove su distanti alcove ove posan spose nuove non s’oppone al soporoifero torpor dopo l’amor, dove s’ode: piove

legate le falle, farfalle restan sole le gatte fan le ove e piove, tra le rove e sotto, senza sole sepolte storie smuove: ratte galleggian in ogni dove

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Domesticae

I

Hai curiose mani onerose, manipoli lavori, tessi cose nuove uova nel taxi, lessico d’altrove dove piove

II

Le foglie volano alle soglie lavate d’altre voglie folate di sole di magnolie

III

Dal binario si vedono i panni vari doni d’affanni ad asciugare e sa di pane, sale una giostra d’inganni su un altare memore d’un tempo che non c’è mai stato tiepido marmo scaldato dal passato sapido tarlo, arido bersaglio nella scatola dei bottoni c’è un ritaglio ha profumo di tiglio è come un maglio

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IV

un ricordo colpevole, uno dolce docile e socievole, corda scorrevole a sollevar dolci lodi d’eventi grevi e debiti e biglietti d’ingresso a non finire saranno loro a dirlo quando sarà tempo di partire

V

Silenziosa la casa, la cosa mi solleva nella sala assolata sei sola, non s’ode niente neanche la neve a parte l’autoclave un treno lontano verso un destino mutevole un trapano lento e gitano un colpo un po’ colpevole non sa da dove vorrei essere altrove tra vetro e rovi trovarmi dove non mi trovi rovistare resistere restare in stallo nelle sere di stelle per restare a galla le piante crescono una è un po’ gialla

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VI

E’ brutto quando sei via svia, la nostalgia si va, sia come sia s’avvia, s’invasa viandando per l’avida via diva di vita, vittima infinita poi torno, è come un turno sempiterno un terno al lotto, accendo il forno il cibo è cotto, il corno è rotto torrido intorno, tiepido sotto.

VII

La solitudine mi rincuora il senso di libertà dura mezz’ora poi mi richiudo, mi assecondo mi vendico del mondo avido esco a guardar navi ardente ladro di inganni d’avi vedo, del nero riédere l’avito veto, il voto d’eredi eretici seguo le schiere tanto ho le chiavi per rientrare

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La gatta e il topo

Il ratto balla la polca la gatta non ha colpa il passo come felpa diretta nella calca balza, salta acchiappa e infilza che sia topo o talpa come una matta mangia la polpa poi s’accoccola come una volpe si discolpa palpa e rutta nella felpa rotta che ha eletta a suo diletto letto. E’ lì che allatta dopo la lotta

30

la parola del Generale genera le parole

Il Generale prese la parola: “Lepre genera lepre Lepre genera leggi veloci, pregevoli soci! siate leggeri nel comandare! mandare legge ridente e non dente per dente, fa militi felici, familii, tipi amici Non limitino, non lì mi tirino le forze dei vostri comandi, no! Un segnale fioco mandino i vostri ordini! comandino parole! Siamo nell’esercito, e io esercito la facoltà di parlare ed è ufficiale: ogni ufficiale da oggi potrà farlo. Ogni militare dovrebbe liberarsi da simili tare! Ma anche i civili, cinici vili, per il linguaggio dovrebbero avere un amor tale, che ogni mortale ne dovrebbe aver cura (disse uno in divisa ai divi sapienti, la cosa andava condivisa. Ma ravvisava nodi, rise: se mi ordinano di rivelare se qualcuno nel reggimento scoreggi, mento).

Si metta ordine in ogni ordine, in modo che, se seguito, venga eseguito! Subito sotto, sul posto un sottoufficiale, un caporale col capo rallentato, aveva messo sotto un sottoposto con un ordine ufficiale c’era il sol, dato per scontato, al caporal così disse il soldato: ma siamo sicuri che lei sia un capo reale, caporale? ogni mio ordine è irrevocabile, è un sol dato, soldato. Se non me lo chiede il maresciallo, men ne vado al mare, sciallo. (a fare il sub, disse il soldato insubordinato) Eran gradassi ai gradi bassi ma nell’alte sfere non v’eran limiti di militi inferiori, miti diminuiti dominii sminuiti, minimi, minuti utili sparati di stellette letteralmente disposte risposte dispari, spari distante, tenente. Son cose càpitano, capitàno! Per te è niente, tenente, il guaio maggiore per il maggiore Per non dire ora del colonnello col collo nell’onore

31

è un problema generale, generale lo dice lei, Ammiraglio. Per quanto si ami, raglio d’asino non sale al cielo. Così l’esercito perse l’esito esercitato (cito per esempio pere, se empio son, per mele) sconfitto, se vi va, ma in sè vivo, vinse il conflitto di sevizie insidiose e vizi idioti e odiosi di tizi obbidienti di servizio afflitti che fattisi furbi non furono sconfitti

32

La tua voglia mi piglia ma m’imbroglio, forse sbaglio un consiglio da coniglio mi attanaglia sulla soglia la maniglia sbadiglia… Spero che tu mi voglia che mi ami a mitraglia ma che prima tu ti esprima, che tu non ti esima dal dare un espresso consenso non solo un cenno d’assenso chè un sì meno intenso non venga frainteso, intendo esser certo se avremo un rapporto anche fosse il più corto che sia sincero veritiero che tu voglia davvero e spero anche che non sia neanche il tuo muover d’anche sulle scale, stanche le tue gambe bianche saltimbanche

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Rendez-vous

a darmi l’entusiasmo per il cosmico chiasmo erotico smog spasmodico lo spasmo per l’orgasmo gas d’osmosi sismica simultaneaneo telesma mesmerico cataclisma senza smacco né sarcasmo ansimo, piango come un santo, salto sussulto, scendo, sento intanto un unisono d’intenti senti? Spero che saremo intenti attenti, attoniti, intontiti intanto fusi, arresi resi inermi da deposte armi orme d’ormeggi ormai remoti t’amerò, m’amerai Inerme m’avrai e annegherai nei mari immoti del dopo assoluto e spero che dopo mai e poi mai negherai che l’hai voluto

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Tiche tiche

Parete per te, parquet per me parente, perché pare anche a te che la parte di me che si arrende a te è rete che tempra trepide querelle chè preme anche a te (che nelle quete sere serene tempri le preghiere), esser tessere terse d’ermetiche molestie, esser estetiche belve che stemperano statiche le prediche e le tempeste. Ebbene, testè le deprechi finché esauste redente dal perdente “dente per dente” chete le rechi a chi repente rema e d’echi trema

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Traditrice

Or ora ho udito l’ardito ordito in cui m’hai tratto di fatto un tranello uno strano rito in cui m’hai irretito hai un marito e l’hai tradito Me l’hai taciuto m’hai ammaliato hai dato adito al lato malato Sposata? Hai negato Di fatto, al dito non c’era la fede c’era la frode fedifraga infedele delatrice fradicia mentitrice triplice meretrice truce traditrice spacciatrice d’antrace cucitrice di raggiri attrice feroce vorace cetra di guerra che trama sotto terra non dirama tracce non trema agisce non dice tradisce

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Estate Sono solo al sole nudo e sudo

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Archivolto

Mi volto oltre il rovo non trovo che il vuoto Il covo è altrove chi lo trova? Chi trova il rito vocale nell’arco del volto? Talvolta, schivato il tiro dell’orco, arranco sconvolto travolto nell’archivo di chi trova di volta in volta l’altrove (1981) Dedicata a Gino Zampieri e al gruppo del Teatro Archivolto

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E’ tardi

E’ tardi per tradire ridere, non dire d’ardito errare tacere. Tardi per ordire Radi rituali ritrattati di rado Ora, è deridere l’ardir degli arditi che tiran reti e ridenti riedon diritti, contenti mai reticenti. E’ tardi per eventi ed eventuali venti.

E’ il tempo dei lenti movimenti dei pentimenti dei bastimenti di rimpianti. E’ il tempo dei denti traballanti dei decrepiti ridenti che dimenticati i crepitanti lamenti diradando dardi disidratati crepan contenti

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Magico momento

(Sestri Levante, mattina prefestiva di inizio estate h.8,25)

Nella piazza deserta traluce opalescente il sole del mattino per le creuze non s’ode alcuna voce trilla un telefonino

amo, son io che sfiga che l’estetista adesso è ancora chiusa ma questa volta io la metto in riga sentiamo se ha una scusa eccheggian nel silente sagrato millenario della chiesa urla strozzate, parole macilente lavar devon l’offesa

Un timido fringuello da un platano tenta un elzeviro ma rapido frulla oltre il cancello chè lei prende la biro scrive un messaggio lo incolla vehemente sulla porta lo può legger chiunque, di passaggio: baldracca, tu sei morta

non puoi capire quant’ansia mi procura questa fretta ma veramente non si può sentire al mar senza ceretta

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Poesia del dopo 1

Quando sarà finita verrò anch’io dall’altra parte verrò dove tu ora sei dove tu ora già sei se sarà il nulla sarò anch’io nel nulla dove tu già sei o non sei ci saremo senza esserci sapremo senza sapere senza tempo né identità non ci riconosceremo non ci sarà bisogno

41

Mi piace il Jet Set mangio un Big Mac e gioco a Black Jack insieme a Jeff beck

Durante un Pit Stop mi fermo al Pet Shop non c’è la Dead Line la ordino OnLine

C’è stato il Time Break Sembrava Star Trek Check-in e Check Up Le nuove StartUp

E’ un altro NewDeal ma c’è Human Feel si cura il Burn Out col vecchio Fall Out

42 Count
Down

L’Araba Felice

Quando c’è l’afa Fatima fa i falafel li fa, non falla fatale come farfalla ala del sahel sala e fa la salsa… ma è falsa! l’assaggia… fa una faccia… lesta arraffa la pasta e… che festa! fa la focaccia e balla, e salta e salta e balla fata infrattata fresca e infarinata nella frittata attonita, afasica ninfa da farsa arsa dalla lana sparsa abbassa la calza brama, ha un’istanza s’affranca dalla strana straziante pazienza che mette con costanza distanza dall’urgenza con l’istinto danza avanza nella stanza azzarda, m’azzanna ma se l’ardore avanza fa la stanca

43

straniata si nega già sazia divaga sulla Dalmazia... poi spazia: La Spezia, La Galizia avvezza a sembrar senza malizia si riavvicina con mestizia zitta sorride con grazia sevizia e strazia il vizio desiste e poi inizia l’azione che dà l’ozio con l’intenzione del supplizio dilaziona la delizia

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Abruzzo

Ombre di novembre brividi d’ambra imbruniti di brezza l’ibrida bruma bramosa fuma si frantuma sulla brada brughiera e ringhia la sera s’abbranca alla ringhiera scuote la porta percuote la soglia la stagione morta

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Dalla padella alla brace

Con un urto sussulto nel burro unto, nel buio urlo subdolo e muto sussurro m’incurvo aspetto il turno e con azzardo assurdo m’addrumo all’astro diurno ruzzolo taciturno furbo m’intrufolo mi tuffo nell’arso ululo combusto eburneo e sparso mi nutro e mi purgo sulfureo giaurro m’infumo d’azzurro

46

I Urlo, nel trullo che pullula d’upupe transito nel tinello m’imbatto in un’apòcope sotto il termosifon m’accoccolo partecipe per dir ciò che non son destarmi in albe tragiche a separar molecole a manovrar pellicole di pillole archetipiche di sangue di sesso di cranio spaccato col sasso e disgustato dall’amplesso dall’esegesi dell’eccesso mi ritengo cieco cercopiteco pigro plantigrado all’ammasso per dir cose da fesso e distaccar me stesso da ciò che dico adesso

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Ma son chiuso dentro nel dedalo irredento dell’intento e mi rode se tento d’alluder al senso e assumo l’intento confuso d’eludere l’intenso profumo e m’assolvo deluso al consumo di fumo all’uso e all’abuso e consunto dall’alcol consento al profuso dilagar di lessemi all’assenso degli esami esangue sale la caligo dei legàmi, dei lemmi legati da lìtoti da iati affatto idioti da ipallagi ed iperboli nell’ipercritico piegarsi delle ipotesi

48 II

Con la maestria d’adesso geometria dell’eccesso rombo le scatole ma cerchio me stesso mi stendo, m’abbasso da presbite percorro il perimetro del cesso l’intera esistenza compressa in una stanza dove distratto ho castrato con costanza un destino distinto disdegnando la sindone bisunta della bisnonna santa un dono desunto dal sutra sonante del dente per dente per non perder l’assonanza con l’assenza, la distanza dall’estinta coscienza

49 III

Cervo volante

Il cervo volante (volente o nolente) s’invola a ponente con ali lente sorvola lidi e livide lande indi, scendendo un’onda lo fende lo prende lo volge, lo stende al mare s’arrende ma un’onda più grande alla riva lo rende esangue al sole stende le ali stanche il Cervo Volante si riprende e riede indenne e ride, volando e rivede le lande donde provenne e dove trepidante ritte le antenne la cerva volante l’attende.

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Che ne è stato dei Giovani Leoni che raccolsero guidardoni guidando solleticarono i guardoni giunsero a vani lidi lividi e vanitosi si giovarono d’occasioni e invidiosi s’adagiarono su divani e vagoni valori vani d’evanescenti troni investiron verdoni verificaron azioni si volsero a lieviti giunonici affidandosi a gioviali lenoni? Vissero in ville i Giovani Leoni vessarono vassalli versarono vini a mille issarono vessilli esaltarono folle assillarono per salire assalirono per siglare sigillarono soldi assoldarono soldati saldarono assegni assegnarono sogni

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a segni risibili sorrisero esili a risibili ossessioni alla fine s’arresero stanchi anch’essi com’esseri qualsiasi esili s’adagiarono stanchi anch’essi adagio anche se agiati s’adagiarono esili s’arresero stesi com’esseri qualsiasi stanchi d’essere stati s’estinsero

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M’accuso e m’assolvo, ma mi disistimo non m’alzo dal letto e m’immunodeprimo mi chiudo nel buio d’un cieco mutismo annego i pensieri nell’immobilismo.

Non cerco nessuno, non voglio più amici non spero: rimpiango “i Giorni Felici” non faccio più niente ma mi sento in colpa mi mangio la buccia, ma butto la polpa.

Agire dovrei, ma fare non faccio mi chiedono aiuto ma non muovo un braccio dovrei stare al sole e cantare a gran voce e invece sto al buio e mi porto una croce.

Nei miei processi mentali (un po’ astrusi) la causa e l’effetto si sono confusi mi tocca star male, che importa il motivo? I mali del mondo m’han reso più schivo!

Mi vedon di rado, e un po’ controvoglia ne loro né io varchiam più quella soglia che un tempo, ridendo, aprivamo a più cari e che son diventati antipatici e avari.

Mi giudican male, mi vedono imbelle m’accusano d’essere ostile alle stelle mi chiamano triste, meschino o anche fesso... ... loro non sanno che sono depresso!

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Il mostro

Per quel mostro vissi anni tormentati di notti insonni e d’incubi sudati di mattinate amare come il fiele per l’angoscia spalmata insieme al miele sopra i biscotti della colazione nel tè alle cinque, alle undici in stazione.

Un tempo (ormai m’ero rassegnato) verificossi un caso fortunato: di quell’infame rilevai l’assenza: chè si serrò da sè nella credenza Di certo fu per la disattenzione ma la bestia trovavasi in prigione!

Fammi uscire! frignava forte assai No, o infame! Là dentro tu morrai! la mia esistenza tornerà normale, senza più paranoie: la letale e assidua tua presenza è ormai finita. Se stai rinchiuso io riavrò la vita!

Che intendi dunque fare? Mormorai. Farai seppuku come i samurai? O forse preferisci fermentare tra i panni sporchi e l’anticalcare? ergastolarti in questo sgabuzzino con me che divento il tuo aguzzino?

Il mostro triste mi parlò piangente, il mio perdono chiese mestamente. Inerme, dietro l’uscio, singhiozzava linciandosi col cencio a mo’ di clava. Diceva: se tu vuoi sarò dannato per i tempi dei tempi, e abbandonato...

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...ma una tal pena non sarebbe umana! Rinchiudimi per una settimana... Cesserò d’esser mostro, e a fine pena farò volontariato di gran lena... o - per meglio dire - se t’aggrada saluterotti, e andrò per la mia strada...

... ma condannarmi per sempre, questo mai! io non m’inganno: tu non lo farai! te ne scongiuro, alma coscienziosa abbi pietà di questa bestia odiosa! Usate, o umani, quei talenti vostri Le pene eterne son cose da mostri!

Infatti tu sei mostro - io risposipei tuoi tormenti orrendi e disgustosi è logico vi sia pena bestiale! Una mostruosità: male per male! cosa t’aspetteresti? Il mio perdono? E (perché no) le scuse, e forse un dono?

Solo pietà... dicea con voce fioca ... la vita è breve!... me ne resta poca! E singhiozzò da quel pertugio angusto come fanciullo nel castigo ingiusto. Il suo sospir mi mosse a compassione e dal mio occhio scese un luccicone

Il mostro, affranto, disse che la pena è affar di chi la còmmina e la mena... Chi la subisce, beh... non ne può nulla è inerme come un pupo nella culla! Così fu salvo, e (come vuol la rima) ritornò a torturarmi più di prima.

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Quando sarò al silenzio io vorrei che fugassero i ricordi gli alisei che dei bei giorni non restasse traccia che tu dimenticassi la mia faccia

che delle azioni buone che ho compiuto non rimanesse che un silenzio muto e del mio amarti fulgido e tenace non ti restasse più neppure brace che tuttalpiù ci fosse la memoria del peggio che ci fu nella mia storia di quanto fui gaglioffo, vile, vano e che affrontai i problemi dal divano

di come mi sottrassi ai miei doveri come guardai il domani volto a ieri di quanto fossi strambo, cupo, storto tanto che il mio partir ti sia conforto che scoppiassero risa, e nessun pianto nessun’ ombra venisse a dar rimpianto e che il mio dileguarsi fosse lieve come un treno di notte nella neve

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