SORRIDOIMPARO

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L’emozione di apprendere

Sorridoimparo

Lo sguardo e il sorriso Chi ha avuto un figlio ricorderà sicuramente i primi due mesi di vita con lui: a un genitore piace pensare che il proprio bebè sorrida fin dai primi giorni, ma in realtà quello che vediamo è solo uno spasmo muscolare. Dopo i due mesi circa, invece, capita che il bimbo a un certo punto fermi il proprio sguardo su quello del genitore e si apra in un sorriso. Il primo vero sorriso del bambino è straordinario: gli occhi sono aperti e lo sguardo aggancia gli occhi dell’adulto. Questo, che possiamo chiamare “sorriso sociale”, insieme al pianto è la prima forma di interazione sociale. Testimonia la nascita nel cervello dei circuiti dell’intersoggettività comunicativa, la comparsa dell’Io-Io: è un miracolo completo e complesso dello sviluppo umano. Il cervello del neonato e il suo sistema nervoso si dimostrano maturi abbastanza da sostituire le smorfie di specie dovute a spasmi muscolari e produrre veri sorrisi; “l’Io” così comincia a intendere che sorridere è un modo per lui di connettersi con gli altri: inizia a discriminare i propri sentimenti e a riuscire a produrre un effetto diretto sulle persone che lo circondano. Sorride per esprimere all’altro qualcosa: piacere, eccitazione, soddisfazione, felicità. Si può quindi dire che lo sguardo è il miglior organizzatore sociale, e contemporaneamente è anche un potente organizzatore della propria individualità: io, guardandoti negli occhi, capisco che tu sei qui con me. Se un insegnante ha la postura di chi osserva ricurvo un foglio, e mentre parla guarda le fotocopie o fissa la lavagna, non trasmette l’Io-Io, l’intenzionalità prosociale né la comunione emotiva: nella sua lezione non c’è l’attivazione dell’intelligenza interpersonale, manca la relazione. Chi insegna deve guardare negli occhi i propri studenti, adoperando il meccanismo che il cervello milioni di anni fa ha scelto per la comunicazione intersoggettiva. La potenza dello sguardo è forte: l’Io-Io cresce attraverso la joint attention (l’attenzione condivisa), e la risposta del sorriso rende tutto “un minuscolo miracolo di connessione del noi”.

La voce Se allo sguardo associamo l’incoraggiamento, l’interruttore emozionale diventa ancora più potente. Usare la propria voce per incoraggiare una persona, occhi negli occhi, in modo intenzionale, funziona più di mille rimproveri. Gli insegnanti, i genitori, gli amici, che vogliono tracciare delle memorie positive grazie alle quali un bambino cresca e rafforzi le proprie potenzialità indebolendo i punti di vulnerabilità, devono conoscere il potere delle emozioni scatenate dall’incoraggiamento: è qualcosa di più di un generico e distaccato “Bravo”. Gli insegnanti che vogliono far sentire agli allievi il loro supporto devono re-imparare a coordinare la loro voce. Essa è un mezzo di comunicazione para-verbale potentissimo: il tono modifica i significati di ciò che si dice, anche se il contenuto del messaggio è lo stesso. Il tocco, lo sguardo, il sorriso, la voce: sono tutti elementi che incoraggiano lo studente quando si trova in uno stato di fatica, perché lo fanno sentire accompagnato da un alleato che lo aiuta e lo sostiene nel risolvere la sua difficoltà.

Il ruolo dell’insegnante Essere un alleato È importante che l’insegnante sia consapevole di essere un catalizzatore di funzioni psichiche e comportamentali per i suoi allievi. Un catalizzatore rende molto più facile una trasformazione. Le capacità dei bambini rispondono in base a come noi le esercitiamo: al meglio se le esercitiamo al meglio. Se dunque, come abbiamo già commentato spesso, a scuola i bambini provano paura rispetto alle verifiche, rispetto alle richieste che vengono fatte loro, rispetto alla possibilità di sbagliare, e rispetto a tanto altro e se questa emozione è molto rischiosa per l’apprendimento (perché mette lo studente in una situazione di malessere e lega l’acquisizione di nuove conoscenze a emozioni negative, crean-

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