LA LEGIONE CECO-SLOVACCA IN ITALIA E LA GRANDE GUERRA

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Rita Tolomeo L’Italia e l’Europa centro-orientale nel contesto internazionale e il problema delle nazionalità (1917-1918) Allo scoppio della prima guerra mondiale era previsione diffusa negli ambienti politici e diplomatici che il conlitto, qualunque fosse stato il suo esito, avrebbe avuto importanti ripercussioni sull’assetto europeo e balcanico. Da parte dei governi dell’Intesa, comunque, non vi era alcun impegno per il disfacimento dell’Austria-Ungheria, ma anzi erano stati compiuti svariati tentativi per staccarla dalla Germania con la promessa di futuri vantaggi. Una mentalità austroila d’altronde sopravviveva per secolare tradizione in diversi ambienti francesi e inglesi e perino negli Stati Uniti ancora neutrali, dove la duplice monarchia raccoglieva simpatie per una sorta di analogia che veniva ravvisata tra l’insieme delle realtà riunite sotto lo scettro degli Asburgo e la federazione nordamericana. Se per Francia e Inghilterra il nemico era la Germania, per l’Italia l’avversario era la duplice monarchia. Tra Roma e Vienna esistevano diversi motivi di attrito, che pur nella cornice della Triplice Alleanza, avevano reso dificile la collaborazione diplomatica: il controllo dell’Adriatico, la gara per affermare ciascuna la propria inluenza nell’Albania ancora ottomana, la questione dei territori sotto il dominio degli Asburgo abitati da genti di etnia e lingua italiane che aspiravano ad unirsi al Regno. Così quando nell’aprile del 1915, rompendo gli indugi, l’Italia sottoscrisse il Patto di Londra, le richieste avanzate da Roma rispondevano a precise esigenze di completamento dello Stato, di ricerca di un conine naturale e strategico, di riunione con le comunità di lingua italiana d’oltre conine. Il completamento dello Stato unitario veniva quindi presentato come rispondente al principio di nazionalità, quella degli italiani sudditi austriaci. Nei mesi della neutralità, la situazione dell’Italia si presentava complessa. «Esclusa per l’assoluta renitenza del Paese ogni possibilità di collaborazione con gli Imperi Centrali»1, rimanevano solo due alternative: la neutralità o l’intervento a ianco dell’Intesa, ipotesi quest’ultima subordinata all’impegno da parte di Francia, Inghilterra e Russia che avrebbero «seriamente garantito la realizzazione, nella massima misura possibile, delle aspirazioni nazionali [del Regno] verso il Trentino e verso l’Istria»2. Neutralisti o interventisti che fossero, tutti comunque in quei mesi erano d’accordo sul fatto che il conlitto dovesse essere l’occasione tanto attesa per ottenere le terre italiane ancora sotto l’Austria-Ungheria, ma se i primi speravano di poter giocare la carta dei compensi in caso di ingrandimenti territoriali dell’Austria, quelli che spingevano per l’entrata in guerra afidavano alle armi il compimento dell’unità. Non tutti gli interventisti, tuttavia, auspicavano la dissoluzione della monarchia danubiana. Non ne erano fautori i “moderati” che affondavano le loro radici nel pensiero di quanti nell’Ottocento con i loro scritti avevano sostenuto l’estromissione dell’Austria dai territori italiani ancora in suo possesso, senza tuttavia mettere in discussione la sopravvivenza dell’État du centre di cui si sottolineava l’importante funzione storica quale baluardo contro l’espansione panslava sotto l’egida russa. Era questa un’opinione diffusa tra molti uomini politici tra cui il ministro degli Esteri Sonnino, irmatario del Patto di Londra, convinto assertore della necessità di completare il processo di uniicazione dell’Italia garantendole la 1

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Memoriale del 30 settembre 1914 del presidente del consiglio Antonio Salandra al re Vittorio Emanuele III citato da Augusto Torre , Il primo conlitto mondiale (1914-1918). La neutralità e l’intervento, la guerra e la vittoria, in Augusto Torre, Rodolfo Mosca, Ruggero Moscati, Renato Grispo, Renato Mori, Mario Toscano. Gianluca André, Pietro Pastorelli, La Politica estera italiana dal 1914 al 1943, ERI, Torino, 1963, p. 9. Ibidem, p. 27

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