Roberto Milan
Il banana
e
aio era scivolato da piccolo su di una buccia di banana, andando a sbattere la testa contro il duro marciapiede di granito. Ciò non gli aveva impedito di crescere forte e robusto e di andare anche a scuola come tutti i suoi coetanei. Ma quando riuscì a completare le otto classi obbligatorie aveva ormai raggiunto i vent'anni. In paese lo conoscevano tutti per le sue matte stravaganze e sapevano di lui vita e miracoli. Lo compativano come di chi ha dovuto subire una grossa disgrazia, ma i ragazzini, saputa la storia, con quell'innocente cattiveria mista a verità che hanno solo i bambini, avevano incominciato a prenderlo in giro soprannominandolo « il Banana ». I suoi genitori, persone non prive d'intelligenza, erano molto rattristati di tutto ciò e si vergognavano per il loro Caio cercando con ogni pretesto di tenerlo in casa, lontano dalla pubblica opinione e dalla derisione altrui. Caio però era un bastardo di uno che riusciva sempre a scappare di casa. Girava attorno con una vecchia e robusta bicicletta militare ridipinta di rosso: quando era fuori tutto, incominciava a far versi con la bocca imitando il rombo delle potenti motociclette da corsa che aveva avuto l'occasione di vedere e sentire correre ad un Gran Premio di Monza. Da allora gli era presa la mania della moto ed aveva pe rsino applicato un rudimentale aggeggio di cartone e di plastica al telaio della bicicletta che, sbattendo contro i raggi della ruota, imitava i rumori del motore e ciò gli pareva una cosa straordinaria. Si poteva incontrarlo spesso, abbarbicato sulla sua rossa bicicletta, correre scatenato a testa bassa seguito e circondato da un nugolo di ragazzi di un bel po' più giovani di lui. Si trovava bene Caio con i ragazzini e loro con lui. Li superava tutti in altezza e anche in robustezza e rideva, rideva di niente, con una risata forte e cavernosa che metteva allegria.