L'Altrameta n.5

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Una sirena per salutare l’estate appena passata e raffigurare

Hesperia Illadou, protagonista del racconto a pagina 28.

farò da grande osa

La copertina e le prime pagine di questa edizione settembrina sono dedicate alle ragazze vincenti, dai 18 ai 25 anni, tutte ai blocchi di partenza, pronte a spiccare idealmente il volo. Facilitate, forse, da un mondo dove con un clic è possibile sapere tutto o quasi, sono serenamente agguerrite a raggiungere ogni loro obiettivo.

Scherma, handcycling, teatro, cinema, economia, diritti umani; quale che sia l’ambito in cui hanno deciso di esprimersi, sono pervase da entusiasmo e determinazione. Non si può che tifare per loro, soprattutto se pensiamo che, fino a pochi decenni fa, molti percorsi professionali e di studio non erano di così semplice accesso.

Alla richiesta di raccontarsi, e raccontare, hanno risposto tante altre donne che possono essere d’ispirazione a chi si sta chiedendo “cosa farò da grande”. Annalisa Oboe, Prorettrice dell’Università di Padova ci ha spiegato quanto l’Ateneo patavino stia facendo per meritarsi una “A” in ambito di pari opportunità e favorire la presenza delle donne anche ai vertici di questa istituzione. Silvia Bisconti, fondatrice del marchio Raptus&Rose, ha condiviso il percorso professionale e le scelte etiche che l’hanno portata a creare un gruppo di lavoro al femminile nell’ambito di una moda “liberata” da schemi che vorrebbero le donne tutte uguali e uniformate a un modello ideale che non rispetta l’individualità di ogni singola persona. Abbiamo raccolto racconti su come si collabora alla nascita di un importante festival letterario come quello di Mantova, o come si diventa curatrici di un padiglione della Biennale di Venezia.

Cosa farò da grande, cosa farò domani: un vulcano di emozioni è la giornalista Mediaset Irene Vella che di fronte alle sfide non si è mai tirata in dietro esattamente come Lady Oscar, eroina dei cartoni animati anni ’80 che lei ha tatuata sulla schiena.

Leggerete di Alessandra Mazzero, architetto, che per amore della figlia ha deciso di creare un ambiente di cura e di accoglienza e di condividerlo con molti altri genitori e bambini.

Infine troverete una “anteprima di Natale” al Castello di Thiene che apre le sue porte l’8 e il 9 novembre grazie alla passione e alla tenacia della proprietaria Francesca di Thiene. Natale, parola d’ordine il 22 dicembre per riunirci a cantare in Prato della Valle e trasformare l’Energia in un Dono.

Buona Lettura!

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#lamiaamicaèunasirena

We are absolute beginners

Essere principianti assoluti permette di chiedersi senza paura: cosa farò da grande?

Hanno risposto Lucia, Margot e Anastasia in un pomeriggio d’estate al Parco Treves. Tutte under 20.

photo credits di Anastasia Zarbo

Ho vinto l’ interrail

Lucia Piron, mille piccole lentiggini che raccontano il suo 50% di sangue irlandese.

Anastasia Zarbo l’ha ritratta in mezzo al verde perché cercava un’ambientazione quanto più simile a un’idea di Irlanda fatta di prati, boschi e creature fantastiche.

Padova possiede angoli nascosti di incantevole bellezza, ma solo per chi non si ferma di fronte ai cancelli chiusi.

È aperto solo in orari particolari, il Parco Treves de’ Bonfili, location di questo shooting, progettato da Giuseppe Jappelli tra il 1829 e il 1845, dietro committenza dei baroni Treves de’ Bonfili. Giardino romantico all’inglese.

L’inglese è la lingua madre di Lucia che, dopo aver frequentato il liceo artistico e aver conseguito la maturità, con un anno in Danimarca, ha scelto un corso di laurea molto particolare: una trien-

Philosophy, International and Economic Studies all’Università Cà Foscari di Venezia.

Il corso è interamente insegnato in lingua inglese e, come si legge nelle pagine del sito di Cà Foscari, è ispirato al PPE (Politics, Philosophy and Econo) dell’Università di Oxford: è un corso multidisciplinare che riunisce conoscenze filosofiche, economiche, storiche e giuridiche che apre a diversi percorsi formativi successivi, quali le quattro lauree magistrali di Ca’ Foscari in Scienze Filosofiche, Relazioni Internazionali Comparate, Global Development and Entrepreneurship ed Economia

Insomma, dietro un viso da eroina di fiabe irlandesi, c’è una diciottenne con le idee molto chiare. La prima della quali è partire per l’interrail, con un biglietto gratuito, grazie a “DiscoverEu”, iniziativa promossa dall’Unione europea che ha permesso a 2360 ragazzi italiani, nati tra il 1°luglio 2000 e il 1°luglio 2001, di viaggiare gratis in treno, traghetto o autobus per tutta l’Europa, Inghilterra

photo credits di Anastasia Zarbo

Trento e non Toronto

Lucia Dalla Zuanna da piccola scambiava i nomi delle città. Facendo apparire anche una semplice gita dell’asilo come una favolosa avventura. Infatti un giorno di ritorno da una gita disse di essere stata ad Oslo.

Era invece andata semplicemente ad Asolo. In famiglia tutti hanno sempre pensato che Lucia da grande avrebbe di sicuro scelto di fare qualcosa di diverso, di non scontato. Infatti frequenta l’università a Trento. Ma non perché ha sbagliato e voleva invece iscriversi a Toronto!

Valicare i confini del Veneto e spostarsi in Tren tino per frequentare la Facoltà di Giurisprudenza a Trento, anziché la Facoltà dell’ateneo patavino a pochi metri da casa, è andare oltre la zona di comfort.

«Il piano di studi è ricco di corsi in cui viene messo in risalto l’ambito giuridico internaziona le, come, ad esempio corsi in inglese, francese e tedesco giuridico», spiega. «Appena presa la ma turità classica e senza alcuna idea di cosa volesse dire studiare diritto, mi è sembrata la scelta più azzeccata visto il mio interesse per l’ambito dei diritti umani. Inoltre, l’idea di un test di ingresso, strano ma vero, mi rassicurava. Ho provato il test, è andata, ed eccomi qui. Sono una fuori sede ma ho solo due ore e mezza di treno che mi se parano da Padova. Giurisprudenza, ovunque la si faccia», continua poi, «è una facoltà impegnativa ed essendo una quinquennale a ciclo unico, a me, che sono solo al secondo anno, sembra infinita. diritto è una scienza umana: tratta della società e dei rapporti giuridici che intercorrono tra le sue parti, ma vanno usati termini specifici e si ragiona molto in termini di causa-effetto. Trovo tutto ciò molto interessante e Giurisprudenza copre una vastissima quantità di ambiti fra cui scegliere il proprio percorso», conclude.

photo credits di Anastasia Zarbo photo credits di Anastasia Zarbo

Cacciatrici di luce

Margot Verlain vive a Padova da quando ha iniziato a frequentare l’Accademia di Belle Arti a Venezia. Ha deciso di raccontarsi in prima persona in un testo che è l’elogio della “luce del Sud”. Quella dalla quale i viaggiatori anglosassoni e del Nord Europa rimanevano abbagliati una volta giunti in Italia.

«Nasco a Palermo il 19 Giugno 1998, quando il sole caldo si spalmava su ogni corpo che sfiorava i circuiti della mia amata città. I gesti, i volti, le voci dei quartieri hanno segnato la mia visione del mondo. Da qui la passione per la fotografia analogica, attraverso la Zenith Russa di mio nonno, uomo di grande sensibilità, da cui ho appreso il coraggio di gettarmi su ciò che la luce vera illumina. La raccolta di foto antiche, recuperate nei vari mercati siciliani e veneziani, ha contribuito a questo mio impulso di narrare un susseguirsi di visioni, non circoscritte a un unisco scatto. Così lo seguo e mi getto in qualcosa che mi faccia sentire accolta e al sicuro perché sono nel posto giusto: Arti multimediali, Accademia di Venezia; sentivo di dover far coesistere teoria e pratica, di entrare in contatto con chi era già in mondi a me familiari. Così è stato. Prossimo obiettivo studiare a Parigi e specializzarmi in regia teatrale. Ci credo ardentemente, è un credo personale, una preghiera quotidiana».

Anastasia Zarbo, madre russa e papà italiano, studentessa del Liceo Artistico Modigliani, è l’autrice di questo “esperimento” fotografico. Alla realizzazione del reportage non ha preso parte nessuna persona esterna al gruppo di amiche perché il clima non fosse contaminato dalla presenza di estranei o di “adulti” che influenzassero le inquadrature e lo stato d’animo di chi partecipava allo shooting. Nessuna post produzione è stata applicata agli scatti e la scelta della carta uso mano è stata dettata dal desiderio di conservare l’autenticità delle fotografie di questa “debuttante”.

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photo credits di Diana Scrovegni

Ragazze vincenti

In copertina Laura Borella, figlia dei due campioni olimpici Andrea Borella e Francesca Bortolozzi e sorella di Claudia Borella, atleta del Centro Sportivo Carabinieri Roma. Nella stagione 2018 Laura è stata convocata tra gli azzurrini di fioretto, la Nazionale under 20, insieme a Margherita Lorenzi e Marta Ricci.

Con loro forma la squadra della Società Comini che milita nella massima serie A1, categoria che riunisce i migliori atleti di questa disciplina. L’abbiamo ritratta a pochi giorni dalla partenza per lo stage Erasmus Plus a Cork in Irlanda, organizzato dall’Istituto Pietro Scarcerle in cui Laura ha appena concluso il quarto anno del Liceo Linguistico con la media dell’otto.

Per noi Laura rappresenta tutte quelle ragazze che praticano una disciplina sportiva ad alti livelli e sanno decidere come bilanciare le loro scelte per poter avere tempo di studiare e anche di condividere momenti della loro vita con i coetanei, consapevoli che coltivare le relazioni è parte integrante della propria crescita.

«Praticare questo sport mi permette di fare parte di un ambiente stimolante e probabilmente mi fa sentire più forte anche in altri ambiti della mia vita, durante la quale ho anche conosciuto e lottato contro il bullismo perpetrato da alcune compagne di scuola nella mia città».

Veronica va veloce

Veronica Frosi è fra le più giovani atlete di AMNIL Sport Italia, associazione sportiva dilettantistica, sostenuta da Antenore Energia e costituita per favorire la diffusione di pratiche sportive tra le persone con disabilità. Veronica, 18 anni compiuti il 3 marzo scorso, pratica da qualche anno l’handbike. Siamo andate a conoscerla al raduno della Società sportiva Obiettivo 3, a Spilimbergo, dove per tre giorni, a fine giugno scorso, si sono radunati gli atleti che gareggiano nelle diverse discipline (handbike e ciclismo paralimpico), sotto la direzione sportiva di Alex Zanardi, per una grande campagna di reclutamento che li ha visti confrontarsi e presentarsi a futuri compagni di squadra. Il presidente di AMNIL, Pierino Dainese, incoraggia Veronica a farsi intervistare prima di tutti gli altri e lei si presenta con una voce così flebile da far pensare che sia una ragazza timida. Salvo poi sfoderare una grinta e una simpatia travolgenti. Per niente imbarazzata nel confrontarsi con le compagne fresche di medaglie ai campionati italiani tenutisi una settimana prima a Marostica e a Bassano, siamo certe che in futuro darà loro del filo da torcere, anche se per ora si è limitata a posare insieme alle altre in un momento di assoluto relax, poco prima di andare in piscina con tutti gli sportivi. Veronica ci

ha raccontato di avere iniziato a praticare l’handbike grazie a un annuncio su Facebook di Alex Zanardi, al quale ha risposto con un messaggio. «Mia madre alzando il telefono un giorno si è sentita dire: Pronto, sono Alex Zanardi, e lei ha pensato: Ma che scherzo è questo?», ci racconta. Inizia così la sua avventura in un percorso di avvicinamento a una disciplina tanto avvincente quanto è complesso il mezzo per praticarla. La bicicletta va adattata a ogni singolo atleta, quindi dopo che hai deciso di correre, ci sono parecchi passaggi prima di poter avere una tua handbike: una serie di misurazioni e adattamenti infiniti che, come noi stesse abbiamo potuto constatare, vengono messi in atto sotto lo sguardo attento e per merito dell’esperienza di Zanardi. «Praticare questo sport mi permette di fare parte di un ambiente stimolante che mi fa sentire più forte anche in altri ambiti», spiega, e poi aggiunge: «Ho anche conosciuto e lottato contro il bullismo perpetrato da alcune mie compagne di scuola, nella mia città, Parma». A Veronica la femminilità non manca e, prima di farsi fotografare, ha impiegato una buona mezz’ora a truccarsi e indossare un’abito rosa, sportivo, che “fittava” perfettamente con la maglia della divisa ANMIL con il logo di Antenore Energia.

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FOTO ALESSANDRA LAZZAROTTO

Nina vs Antigone

Elena Ferri e Marinella Melegari sono due allieve della Scuola Teatrale d’Eccellenza: integrazione dell’offerta didattica dell’Accademia Palcoscenico di Padova e dell’Accademia Teatrale Veneta di Venezia.

Due personalità apparentemente distanti anni luce che, in modo del tutto originale, hanno raccontato la loro scelta di frequentare questa scuola di teatro.

Nata ad Arezzo, Elena racconta di essere cresciuta “a pane e teatro”. Un padre musicista e un corso di propedeutica al teatro frequentato a partire dai 6 anni hanno generato una passione mai più abbandonata.

Tutto ciò che ho fatto è stato finalizzato al mio voler essere attrice» ci ha detto.

«Lo studio della musica, della danza, il liceo, e anche i due anni che ho passato a Bologna come studentessa del DAMS. Forse per questo non so distinguere quella parte di me che esiste prima che il teatro entrasse nella mia vita».

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photo credits di Diana Scrovegni

La domanda “cosa farai da grande?” per un’attrice si traduce in “quale personaggio vorresti interpretare?”

«Di primo acchito risponderei Nina de Il gabbiano di Čechov, un personaggio che ho studiato e che vorrei approfondire insieme a qualcuno che possa guidarmi per interpretarlo nel migliore dei modi. In verità sto ancora studiando, e mi capita spesso di avere il classico odio e amore per i personaggi che mi vengono assegnati. Superata la prima fase di approccio, in cui pensi che il tuo ruolo sia il peggiore all’interno di un testo teatrale, arrivi a non poterne più fare a meno e a portarti dentro sempre qualcosa di quello stesso personaggio».

Tanto impegno e tanta dedizione: e se non dovesse funzionare?

«Mi sono data dei tempi. Se entro i miei 40 anni non riuscissi ad avere successo nel modo in cui io lo intendo, allora cambierei radicalmente vita. Aprirei un piccolo negozio dove il rapporto con pubblico sia uno a uno. Una cartoleria, una fioreria o una piccola rivendita di pane e dolci. Mi piace l’idea di poter offrire un servizio e di essere parte della vita delle persone».

Manuela Massimi, presidente e socia fondatrice dell’Accademia Teatrale Veneta, attrice per il teatro, cinema e televisione dove è anche casting director, assistente alla regia, extras casting coordinator in produzioni nazionali e internazionali. Inoltre si dedica allo sviluppo della Scuola Teatrale di Eccellenza, presso la sede di Venezia.

quella che ho trovato qui in questa scuola». L’orgoglio e la fierezza sono i sentimenti che animano questa giovanissima, sopratutto quando ci descrive la sua classe. «Una squadra di giovani attori» come lei stessa la definisce. «Capace di confrontarsi nel gioco e sviluppare una consapevolezza artistica e umana, anche attraverso le sfide nelle quali i nostri insegnanti ci coinvolgono, causando in noi dei piccoli spaesamenti che ci aiutano a scoprire i nostri limiti e insieme il desiderio di superarli. Giorno dopo giorno».

Ci sembra del tutto normale che Marinella risponda: «Antigone», quando le chiediamo che ruolo vorrebbe interpretare .

Sia Elena che Marinella trasmettono grande entusiasmo nei confronti del rapporto che si è creato tra i compagni di corso, e le parole che usano per descriverlo sono: «famiglia, fratelli, gruppo che insieme ha lavorato bene ed è cresciuto».

Marinella Melegari arriva da Parma, città con tantissimi teatri, dove però, dice Marinella, «non esiste un’offerta formativa come

Tutto questo contribuisce a dare un nuovo significato al termine “scuola di eccellenza”. Cioè luogo dove si coltivano persone, si intrecciano legami che dureranno per la vita e si impara che il successo di uno spettacolo non è mai merito di un solo protagonista.

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Manuela Massimi ci ha spiegato il grande progetto TE.SeO (Teatro, Scuola e Occupazione) che riunisce l’offerta didattica delle due accademie teatrali attive in Veneto: l’Accademia Palcoscenico del Teatro Stabile del Veneto e l’Accademia Teatrale Veneta (di cui è socia fondatrice e presidente). Parla con la passione di chi ha raggiunto i propri risultati grazie ad anni di studio e a molta dedizione alla professione. Lo stesso entusiasmo lo infonde anche nell’insegnamento a quelli che diverranno futuri colleghi.

Te.SeO è un progetto che si sviluppa in 4 fasi distinte ma collegate (propedeutica − scuola di eccellenza − compagnia giovani − specialistica) che insieme offrono un ciclo formativo legato al mestiere di attore, rivolto non solo ai giovani del territorio ma, come nel caso di Marinella ed Elena, anche a talenti provenienti da altre regioni. La Fase Propedeutica promuove le capacità espressive oltre che i talenti da coltivare, superando ostacoli e limiti propri dell’età adolescenziale. È infatti rivolta agli studenti degli Istituti Superiori del Veneto, ai quali offre l’accesso gratuito a un corso di 20 ore tenuto da insegnanti di teatro professionisti, direttamente nelle sedi scolastiche.

La Scuola Teatrale d’Eccellenza è articolata in un biennio di formazione e un anno di specializzazione. Recitazione, voce, movimento, canto, commedia dell’arte, danza, storia del teatro, interpretazione dei testi ,sono le materie di insegnamento, unite alla pratica di palcoscenico, con insegnanti che alternano l’attività attoriale in produzioni importanti a quella di docenti. La Scuola d’Eccellenza funge anche da “vivaio” per la Compagnia Giovani, che è un vero e proprio canale di avviamento al lavoro. Per conoscere il progetto TE.SeO, oltre al bando di concorso per accedere alla Scuola di Eccellenza (in scadenza il 25 ottobre 2019!), questa è la pagina da consultare: https://www.teatrostabileveneto. it/teseo/ In bocca al lupo!

impara ad essere forte come un lupo, furbo come una volpe, veloce come un coniglio, agile come una tigre, coraggioso come un leone, Solo così potrai sconfiggere il Minotauro e trovare la strada per uscire dal labirinto.

Partner di progetto:

Alessandra Gonnella, 24 anni, originaria di Montebelluna, ha realizzato a Londra il suo primo cortometraggio, basato su una vicenda vissuta e narrata da Oriana Fallaci nel libro “I sette Peccati di Hollywood”.

photo credits di Diana Scrovegni

Un caffè americano

Miriam Leone

Connettermi con una personalità giovane e entusiasta, che usa due lingue con padronanza, scivolando dall’italiano all’inglese e viceversa: ci sono volute 4 ore, un set fotografico, un pranzo e due bicchieri di prosecco per conoscere Alessandra Gonnella, 24 anni (quasi 25) gli ultimi 6 passati a Londra per frequentare prima la Met Film School e poi la National Film and Television School

Come insegna la sua “eroina” Oriana Fallaci, per conoscere la persona che vuoi intervistare serve tempo e la voglia di mescolarsi a lei, e così ho fatto.

Ed è a lei che Alessandra si ispira per realizzare un lungometraggio tratto dal libro Sette peccati di Hollywood, scritto dalla giornalista e pubblicato da Longanesi nel 1958 con una prefazione di Orson Welles

Più di sessant’anni separano la scrittura di questo testo dalla realizzazione

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Locandina del cortometraggio di cui è protagonista

del lungometraggio in cui Oriana Fallaci è interpretata dall’attrice Miriam Leone e la colonna sonora è stata realizzata da Francesca Michelin.

Quanta modernità in un testo che a distanza di tempo coinvolge una regista, un’attrice e una cantante in veste di compositrice, tutte veramente molto giovani!

A Cup of Coffee, questo è il titolo del cortometraggio che parla di un’impresa tentata e mai compiuta al 100%: bere un caffè con Marilyn Monroe e intervistarla.

utili a realizzare A Cup of Coffee, sfiancando anche la mia collega e coinquilina perché è stato il mio unico argomento di conversazione per mesi».

Ho chiesto ad Alessandra se è “normale” per gli studenti del suo corso di studi riuscire in un’impresa simile, mentre stanno terminando gli studi.

Francesca

«Oriana, per me è un personaggio forte e determinato al quale ispirarmi. Per raccogliere il materiale indispensabile per girare questo cortometraggio, mi sono rivolta direttamente al nipote che custodisce l’enorme patrimonio di immagini e testi . Lui pensava di trovarsi di fronte a una giovane studentessa che stava facendo la tesi, ma io in realtà mi stavo spingendo ben oltre. Ho scritto il soggetto e la sceneggiatura e grazie anche all’aiuto del produttore Diego Loreggian, sono riuscita a girare un film a Londra. Sono passata dall’essere una studentessa al diventare regista e molto altro per questa produzione, coinvolgendo tutte, e sottolineo tutte, le persone che conoscevo e tutti coloro che potevano essere

«Normale non lo so. Di fatto io guardo a esempi come Damien Chazelle, regista che ha vinto l’Oscar a 35 anni per La la land. Ho potuto assistere a un workshop che ha tenuto nella mia scuola, dove io in verità frequentavo un corso per “producer”, figura che comporta una conoscenza totale delle dinamiche di produzione, di controllo di tutti i ruoli e delle relative competenze, e soprattuto del loro costo economico. Questo mi ha permesso di “avvicinarmi” a Damian Chazelle e ad altri registi nelle vesti di chi si sta preparando a diventare una loro futura consulente. Ma forse nessuno sospettava che invece io desiderassi essere una loro collega, per eguagliarli anche in termini di successo, oltre che di risultati, da raggiungere in un periodo relativamente breve dal punto di vista professionale».

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Michielin, autrice della colonna sonora originale di “A cup of coffee” e Alessandra Gonnella al Festival di Cannes.
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Gli scatti che ritraggono Alessandra Gonnella sono stati realizzati nella sede della Torrefazione di Diemme Caffè a Padova. photo credits di Diana Scrovegni

Ci guarda, abbracciata a un mazzo di orchidee fucsia. Quasi a voler trattenere tutta l’energia che viene dal colore di questi fiori straordinari. È Silvia Bisconti, la regina indiscussa di Raptus&Rose. Eleganza, forza, intelligenza, singolarità: tutto questo in una donna che ha saputo tradurre se stessa dentro ad un brand che non è un semplice marchio, ma una sorta di “filosofia” di vita e di lavoro. Dove il “sentirsi bene”, creando e indossando un capo artigianale, è l’obiettivo primario.

Profumo di donne

È una fucina di idee e colori che profuma di sentori speziati, di risa di donne, di arte da indossare. L’atelier di Silvia Bisconti non poteva che non affacciarsi su un fiume, che parla di viaggio e di storia, e abitare spazi che coniugano il passato al presente, in un continuo scambio tra il dentro e il fuori, grazie a splendidi finestroni che portano all’interno la luce del giorno, il verde degli alberi, il rumore dell’acqua. La regina è lei, Silvia – e sembra quasi fluttuare tra i corridoi dell’atelier – ma non governa da sola: progetti, clienti, prospettive prendono vita da un team singolare, fatto di 11 personalità diverse, tra i 30 e i 55 anni, di cui solo due formate anche “scolasticamente” all’ambito moda, in quanto ex studenti dello Iuav, le altre afferenti a mondi diversi, dal giornalismo all’edilizia alla cura dell’infanzia. Una “cucina” continua di scambio, confronto e relazioni familiari. Ed è proprio un forte senso di familiarità che si respira mentre si ammirano i capi appesi in esposizione o si ha la fortuna di accedere alla sala creativa (il “pensatoio”) o all’ala dell’atelier che vede centrale una tavola per il pranzo quotidiano da condividere.

Tanti i colori che colpiscono, ma addosso ti senti una per tutte la tonalità del rosa. Questo è il regno di Raptus&Rose: un marchio italiano riconosciuto a livello internazionale che ha scelto di dar vita a una moda liberata. Ma andiamo alle origini di tutto questo. Milanese, diploma al liceo artistico di Brera e scuola Marangoni, Silvia inizia la sua collabo-

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razione e carriera con Romeo Gigli. «Sono 10 anni pazzeschi per la mia formazione – racconta – devo tantissimo a questo grande uomo che per me è stato un maestro. E io a mia volta cerco di esserlo con le mie ragazze. Con lui ho capito: ero una creativa. E cosi ho avviato una società di consulenza per le moda». L’esperimento non ha storia lunga: a 32 anni Silvia si trasferisce a Belluno, qui ha 2 figli. Nel frattempo per 13 anni diventa direttore creativo per Maliparmi. «Quest’esperienza ha rafforzato la mia idea che la bellezza risiede nel piccolo. Ho cominciato a capire quale fosse il mio sogno e la vita ha deciso per me». Si allontana così da Maliparmi e per due anni lavora per una sceicca di Abu Dhabi, creando per lei un guardaroba personale. «Una sfida straordinaria da cui è nata Raptus&Rose. L’iniziare per lei pezzi unici, tutti fatti a mano, lo studio sui tessuti, le suggestioni dell’India: lei mi ha dato il coraggio per dare avvio a una cosa mia, un progetto a cui mi dedico da tre anni al cento per cento».

Ed ecco la nascita della moda liberata che viene a tradurre l’amore di Silvia per le donne e la diversità di ciascun corpo femminile. «Tutto questo ha un valore infinito. Non tollero il voler chiudere in uno standard la figura di una donna! Ognuna di noi deve poter star meglio possibile nel proprio corpo e in un vestito che la valorizzi e che stia bene solo a lei. Ecco perché i colori: sono una medicina naturale, in particolare il rosa che traduce e promuove la potenza ed energia femminile».

“Quanto mi sento bene!”: questo il commento più usuale fra le clienti di Raptus&Rose. Che da qualche anno collabora anche con l’associazione oncologica San Bassiano. «Rendiamo regine per un giorno – spiega Silvia – donne malate, dottoresse, politiche, giornaliste, facendole sfilare tra la gente nelle piazze e in luoghi strategici delle città Siamo partite dal Salone del mobile a Milano, e abbiamo poi toccato Vercelli, Vicenza. Nel loro essere modelle, raggiungono davvero uno stato di grazia e innescano una rinascita potente. Si sentono bene, hanno maggior consapevolezza di sé e lo trasmettono con forza in passerella». La stessa forza ed energia che si assorbe parlando con Silvia. E mentre la salutiamo, ringraziandola del tempo che ci ha dedicato, sappiamo già che il profumo di questa moda resterà tra le nostre fragranze preferite.

La moda liberata

La moda liberata? Cos’è? E se è liberata, è anche liberante? «È una moda libera da quelle regole che non mi piacciono più e in cui non mi riconosco oltre – spiega la dress artist Silvia Bisconti – Le ho attraversate, agite, ma nel 2016 già non le sentivo più corrette. La confezione del capo è artigianale. Ogni singolo modello viene ideato e realizzato attraverso passaggi della sartoria tradizionale: sui grandi tavoli dell’atelier stendiamo rotoli di carta velina dai quali ritagliamo i cartamodelli indispensabili per realizzare ogni abito.

La rifinitura di ogni bordo è fatta a mano, con ago e filo. Non ho showroom né agenti: voglio conoscere le mie clienti a una a una, per connettermi con ciascuna e creare il progetto più giusto. Non ho un negozio fisico: il mio spazio è l’atelier e al tempo stesso mi sposto per incontrare le mie clienti in luoghi diversi. Per ognuna di loro creiamo un passaporto virtuale per aver memoria di gusti e acquisti; da un anno le seguiamo anche online, attivando relazioni e dialoghi. Per ogni donna proponiamo il vestito fatto “su misura”: non quindi un modello standardizzato, ma curato in modo specifico perché ogni cliente possa sentirlo come proprio e riconoscerlo come il capo perfetto. Il nostro motto è produrre poco e produrre meglio: si creano solo capi che saranno venduti al cento per cento. Non c’è macero e questo dice la nostra attenzione alla sostenibilità. Sono prodotti anche etici, con un controllo assoluto delle diverse fasi di lavoro e produzione, come del benessere di chi sta creando il capo.

Sembra impossibile, ma quando si indossa un abito creato e cucito con passione, lo si sente sulla pelle. Il tessuto ha memoria e la trasmette».

Fotografie gentilmente concesse da Silvia Bisconti Raptus&Rose

Raptus team

Ecco i volti del team di Raptus&Rose. Otto donne e un uomo: si distinguono l’uno dall’altro per età, percorsi formativi, ruoli nell’atelier. Ma insieme formano l’anima e il cuore pulsante dell’azienda. Si sono raccontati a L’Altramèta con simpatia e ironia, dimostrando che si può raggiungere e realizzare un sogno arrivando da strade diverse: chi ha frequentato, laureandosi, l’università Iuav a Venezia; chi a Urbino; chi ha diretto un’impresa edile e chi voleva fare la maestra… Oggi sono tutti – felicemente – in atelier!

Roberta, le mani di Raptus&Rose da sempre. Taglia, cuce, assembla, ricama e ama tutti i pezzi unici Raptus & Rose. La sua sapienza nasce nel cuore, sosta nell’anima ed esce dalle sue mani. Collezionista di cuori e tatuaggi, ama portare un po’ di cielo in terra.

Lucia, per il capo “Ciccio”, è Elizabeth Bennet. Non ama il pendant. Laureata in Design della Moda, dopo un lungo tirocinio passato con le Barbie. Anima anziana fin dall’infanzia, riesce a pronunciare 13981 parole al minuto ed ha una pungente propensione per i dettagli. Con Silvia sogna, progetta e materializza tutte le creazioni Raptus&Rose

Vania laureata in Discipline dell’Arte, Musica e Spettacolo, è stata nell’ordine: giovanissima cameriera ai piani, agile barista, saltellante animatrice per l’infanzia, bidella visionaria, segretaria del procuratore, attrice teatrale professionista. Ed ora tutti i numeri di Raptus&Rose passano attraverso le sue mani. Il suo stato d’animo perenne? Confusa e felice.

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Roberta Bona Vania Bortot Lucia Rosset

Mariella ha un collo lunghissimo e sottile ed è laureata in Cultura e Tecnologia della Moda. Viaggiatrice rock, fende l’aria con le sue mosse da riservata lottatrice di Ju Jitsu. Cinema addicted, con un edificante ossessione per il fantasy. In Raptus&Rose è la super eroina della Marvel della produzione.

Alice è il paese delle meraviglie. Laureata in Lettere Moderne e sommelier di gelato, vive in un mondo surreale circondata da improbabili animaletti. Sperimentatrice della teoria delle Estremità Gigantesche, si acconcia di conseguenza ispirandosi a Rita Levi Montalcini. Si occupa del Divino Shop dell’e-commerce di Raptus&Rose, gorgheggiando e gesticolando.

Giorgio, il sarto ballerino. Sogna di ritornare alla recita del terzo anno d’asilo e conquista le clienti con galanteria d’altri tempi. Laureato in Design della Moda, è la regina del cartamodello ed il killer dello starnuto. Eclettico, plastico, appassionato, volitivo, dove lo metti sta. È bello, è bello, è bello.

Dopo essere stata attrice protagonista nel ruolo di Gesù Bambino (ottenuto senza raccomandazione alcuna), suadente speaker radiofonica e dopo aver amministrato per vent’anni l’Edilizia, approda in Raptus&Rose dove cura, ispira e segue i divini negozi che vendono i capi Raptus&Rose Stylist per vocazione, il suo sogno anacronistico è di ascoltare Billie Holiday all’Apollo Theatre di New York.

Inarrestabile realizzatrice di visioni ed esilarante narratrice di aneddoti, si prende cura di Raptus&Rose sin dalle origini. Dispone oggetti ed idee lungo linee ordinate, prodotte dalla sua mente geometrica ed accogliente. Organizzatrice di eventi con un irrefrenabile istinto per il karaoke.

Laureata in Lingua e Letteratura Inglese, si dichiara devota di William Shakespeare, perchè, dice: «Oltre ad averci regalato storie eterne, la potenza delle sue parole è commovente» Attrice di teatro per passione, il suo sogno proibito è, senza dubbio, interpretare il ruolo di Amleto. Nel frattempo è un mito nei rapporti con le clienti, il suo Customer Care è famoso per la cura e la dedizione con cui aiuta a scegliere il colore, la taglia o la forma più efficace.

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Alice Cason Francesca Bogo Francesca Battaggia Lorena De March Mariella Cecchinato Giorgio Tollot

Hesperia Illadou Suppiej, nata a Cipro si è formata in Inghilterra ed è approdata a Venezia nel 2013 dove è curatrice del Padiglione di Malta e docente IED del Master in Curatorial Practice.

La mia amica è una sirena

Io ed Hesperia ci conosciamo da qualche anno e ci siamo sempre incontrate in luoghi mai più distanti di 100 metri da uno specchio d’acqua. Ho sempre apprezzato in lei una specie di riservatezza del tutto naturale come di chi possiede un segreto, affascinante e insieme del tutto spontaneo come le pinne di una sirena.

Quando penso a lei, la immagino fluttuare in situazioni e ambienti che sono lontani fra loro ma accomunati dalla presenza di un elemento: il mare.

Hesperia, nome greco, Illadou cognome di origine francese, è nata a Cipro, si è formata prevalentemente in Inghilterra e vive e lavora a Venezia dal 2017, dove è docente allo IED (Istituto Europeo di Design) e curatrice del Padiglione della Biennale Arte per l’isola di Malta.

Sarete d’accordo con me nell’affermare che la sua vita fino ad ora sembra essersi svolta per lo più tra isole e rive.

Essere curatori di un padiglione che rappresenta una nazione, è un grande onore ed insieme una responsabilità che viene affidata a chi nel corso della propria carriera ha maturato una significativa esperienza in ambito artistico e culturale.

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La copertina del libro DI SILVIA SCARABELLO FOTO DIANA SCROVEGNI

La 58° Biennale Arte di Venezia ha come titolo May You Live In Interesting Times: è l’invito a vivere in tempi interessanti, una diversa angolatura attraverso la quale osservare la contemporaneità.

II Padiglione di Malta si ispira al tema del viaggio: le opere di Vince Briffa, Klitsa Antoniou e Trevor Borg, i tre artisti invitati a rappresentare Malta alla Biennale, indagano tra realtà e finzione guardando, come Odisseo, al bisogno senza tempo di raggiungere un porto (“Maleth” in lingua fenicia), specialmente in tempi di crisi. Questo stesso desiderio unisce tutti quelli che hanno viaggiato attraverso le acque del Mediterraneo lungo i secoli.

Gli artisti, tutti provenienti dalle regioni del Mediterraneo, presentano opere che interrogano gli spettatori sulla nozione moderna di homeness: questa trascende i confini come li intendiamo convenzionalmente, raccontando ad esempio il desiderio di approdare a un luogo che sentiamo nostro, al quale decidere di appartenere.

Durante la stesura di questo pezzo, mi trovo in Italia mentre Hesperia è volata a Cipro per le vacanze poco dopo lo shooting all’interno della Biennale a Venezia.

Lei non sa quello che sto scrivendo e le mando un messaggio per chiederle se il viaggio è andato bene e se è felice di essere arrivata a casa.

Hesperia mi risponde così: «Ciao cara... l’estate e più bella nel Mediterraneo, é vero!».

Le sue parole vanno ben oltre la mia domanda, e senza saperlo conferma quello che ho sempre pensato: la mia amica è una Sirena del Mediterraneo.

Non c’è mai stato un numero così elevato di artiste donne come per questa Biennale Arte di Venezia. Sono ben 42 su di un totale di 78 partecipanti. E tantissime sono le professioniste coinvolte a vari livelli nella parte organizzativa e in vari ruoli come quello di curatrice. I temi trattati non sono esclusivamente di genere, ma coinvolgono tutto il pubblico. Merito forse anche dei linguaggi scelti, fra i quali l’autoironia, senza mai dimenticare il senso universale della bellezza. Il padiglione più “instagrammato” è quello della Lituania, vincitore del Leone d’Oro: è tutto frutto del lavoro di tre artiste lituane che hanno anche collaborato con un italiana per la realizzazione dell’allestimento. Lo avrete senza dubbio visto nei giornali e online sotto l’hastagh: #lithuanianpavillion. Se dopo aver visitato la Biennale, folgorati sulla via di Venezia, desiderate conoscere i percorsi di studio per diventare professionisti in questo settore, siete nella città giusta. Studenti da tutto il mondo arrivano qui perché nessuna città offre così tanti stimoli a un appassionato di arte. Non è solo la Venezia ricca d’arte, frutto di secoli di storia, ma è anche la sede di diverse istituzioni pubbliche e private dove studiare e formarsi. Oltre all’Accademia di Belle Arti, numerosi sono i corsi dello Iuav in materia di design, moda, scenografia oltre ai master nei più disparati settori affini. In ambito privato, la sede dello IED offre anche un master in Curatorial

Practice della durata di un anno in lingua inglese. Queste istituzioni organizzano open day durante i quali è possibile conoscere personalmente sia docenti che sedi, e ovviamente anche i diversi percorsi formativi quindi: occhi bene aperti! Oppure semplicemente scrivete una mail agli uffici di riferimento per essere tempestivamente informati delle iniziative che vi potrebbero interessare.

Copyright’s Arts Council Malta (ACM).

La forza del prendersi cura

Gli occhi e il sorriso ti raccontano già di lei. È incredibile come la vita trapeli dal viso delle donne. In particolare da quelle che sono state chiamate per amore a scelte che imprimono una nuova rotta all’esistenza. Alessandra Mezzaro, 49 anni, padovana, è un’imprenditrice singolare: architetto, dieci anni or sono fa la scoperta che cambia inevitabilmente e drasticamente la sua vita e quella della sua famiglia. Alla figlia minore, Anna, 3 anni e mezzo, viene diagnosticato un tumore anomalo al cervelletto.

«Diamo subito avvio al percorso medico: il trapianto, le terapie. Con conseguenze devastanti. La cosa terribile – racconta con una serenità che lascia davvero spiazzati – è che non ti accorgi subito del tracollo: si manifesta lentamente. Oggi Anna ha un deficit visivo e uditivo e ha problemi motori e cognitivi. Usciti dall’ospedale, abbiamo potuto seguire un percorso di riabilitazione in Svizzera: qui ci sono interi ospedali dedicati alla fascia di pazienti 0-18 anni. A seconda della problematica, insegnano l’indipendenza cognitiva, anche attraverso pet terapy e art terapy».

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Alessandra Mezzaro architetto e imprenditrice, titolare del centro di diagnosi e cura Medica Viva.
DI CLAUDIA BELLEFFI

L’esperienza svizzera apre nuove prospettive e conferma ad Alessandra e al marito che la strada corretta è il prendersi cura. Per caso 4 anni fa, a San Martino di Lupari, viene messo in vendita un intero centro di riabilitazione. «L’abbiamo acquistato e trasformato in un poliambulatorio con fisioterapia e piscina, aperto a bambini e adulti. Desideriamo sia un punto di riferimento per chi è in difficoltà e scegliamo attentamente professionisti che abbiano la vocazione del medico.

Da 10 anni vivo praticamente in ospedale. Ho scoperto che essere medico significa comprendere il problema delle persone, parlare con loro perché capiscano chiaramente cosa succede e proporre soluzioni che possano farle stare bene. Perché si può stare meglio». Alessandra non smette di sorridere mentre sottolinea i passaggi di una vita.

E la cosa bella sta proprio qui: non è un sorriso forzato o stereotipato. Arriviamo così a parlare inevitabilmente di disabilità.

«Le persone malate ti possono dare molto. Capisco che è difficile da spiegare e da

comprendere. Se guardo Anna, lei ci dà tanto amore, pace; ci trasmette serenità e ce lo fa capire con il suo linguaggio. Lei è la mia energia. È il motore che accende le mie giornate.

Se ho mai avuto la tentazione di arrendermi? No! Mai! La malattia ha trasformato le nostre vite: da qui è nata un’attività che ci spinge con professionalità ad aiutare gli altri. Certo, mi sono trasformata, ma è importante non fossilizzarsi in ruoli, in professioni, per essere pronti a quello che la vita prima o poi ti mette di fronte».

Energia pura quella che Alessandra trasmette, anche nel suo scardinare l’idea comune di disabilità. «Il disabile ha in sé una straordinarietà. Fa cose che stupiscono perché noi siamo abituati a usare tutto il nostro corpo, non dobbiamo mai

sforzarci: vediamo, camminiamo, parliamo, sentiamo, e tutto in modo naturale. Chi si trova in situazione di disabilità accentua un suo lato. Questo ci dice che tutti possono valorizzarsi, tirare fuori talenti e potenziare capacità. Tutti!»

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Alessandra insieme alla figlia Anna

Amor vincit omnia

«Chi si ferma è perduto». Me lo ripete più di una volta durante l’intervista. Inconfondibile l’accento toscano. Irene Vella, 49 anni, è una forza della natura. Tutto in lei dice entusiasmo, grinta, adesione totale alla vita. E quando inizia a raccontare ti travolge.

La sua è una storia essenzialmente d’amore. Prima fan di suo marito Luigi nello sport (è un allenatore di calcio a 5), ma soprattutto nella vita a due. Una vita che da quasi dieci anni li vede ulteriormente legati. Irene ha infatti donato un rene al marito e ancora oggi con lui combatte una malattia degenerativa che chiede a entrambi di “scendere” per alcuni periodi dal loro lavoro, dalle loro aspirazioni e, arma in resta, serrare le fila per affrontare il nemico. Non per niente sulla schiena di Irene è tatuata Lady Oscar, la mitica eroina dei cartoni, a capo dell’esercito del re di Francia. Una donna tutta d’un pezzo abitata da grandi passioni. Altro che la crocerossina Candy Candy!

La scoperta della malattia di Luigi ha davvero cambiato la vita di Irene, stravolgendola, ma anche portandola all’incontro con un nuovo grande amore: il giornalismo.

Nel 2000, già moglie e mamma di due bambini, è dipendente a tempo indeterminato di Vodafone: il classico “lavoro di una vita”. Ma la malattia porta a galla le falle di un sistema ingiusto. «C’era

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un vuoto nella legge del 1967: come donatore non avevo diritto a permessi lavorativi e ho dovuto chiedere 13 giorni di ferie per le visite pretrapianto. A fronte di questa potente ingiustizia – racconta – ho preso contatti con un giornalista di Repubblica ed è scoppiato un caso a livello nazionale. La legge definitiva è passata solo nel 2011!».

Da qui inizia un cambiamento potente. «Quando abbiamo scoperto la malattia di Luigi, ero già moglie e mamma, ma ero ancora rimasta “figlia”: per la prima volta qualcosa non era sotto il mio controllo. Non è più stata una vita normale, ma legata ai valori medici, alle decisioni e ai tempi di qualcun altro. Che ho fatto? Mi sono tirata su le maniche. Ho guardato il bicchiere mezzo pieno. Ho donato un rene a mio marito. E mi sono sentita fortissima, aperta anche ad altri orizzonti!».

Sulla schiena tre tatuaggi: due dedicati al marito e alle sue vittorie combattute “fino alla fine”; in uno campeggia il volto di Lady Oscar con la frase “Una rosa è una rosa, non potrà mai essere un lillà”. «È la mia eroina da sempre, dai tempi della prima media – spiega Irene – unica donna che ha avuto il coraggio di essere quella che era e che ha rincorso i suoi sogni in un mondo maschile. Lei comanda le guardie del re e, nonostante si vesta da uomo, nulla scalfisce minimamente la sua femminilità che emerge prepotente dalla divisa. La frase è quella che le rivolge il suo innamorato da sempre, André, quando le ricorda il suo essere donna. A me dice che si può essere se stessi in qualsiasi momento, modo e luogo. Che bisogna avere il coraggio di esserlo!».

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E così è stato: finita la riabilitazione post trapianto, a Luigi è stato offerto il ruolo di allenatore del Cesena. Irene lo ha seguito: si è licenziata e proposta come collaboratrice al quotidiano locale La voce di Romagna. Inizia da qui la sua carriera da giornalista che la vede firma dei più prestigiosi settimanali nazionali – da TuStyle a Vanity Fair a Donna Moderna – fino ad approdare alla televisione come inviata per le reti Mediaset, a Pomeriggio 5, e a La7 come collaboratrice di Cristina Parodi. Senza dimenticare un contatto stretto con il mondo del web. «Sono stati anni di grande crescita e cambiamenti – sottolinea – dove ho imparato che non si deve rinunciare ai propri sogni e che se la vita ci chiede di fermarci, si deve trovarne il significato, rimboccarsi le maniche e ripartire. Concediamoci un tempo di lutto, ma poi resettiamo e riprendiamoci in mano».

Oggi Irene è dovuta “scendere” di nuovo: Luigi ha ripreso dei controlli medici e lei ha scelto ancora di sostenerlo, prendendo una pausa dalla tv. «Abbiamo sempre vinto insieme – sottolinea – certo su binari paralleli!». Irene è scesa, ma come sempre non si è fermata: la attendono due libri in stesura e l’apertura di un blog “viaggiovivoscrivo. la giornalista con la valigia”. Che dire... La attendiamo alla prossima fermata!

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Francesca di Thiene e il suo castello

In Italia non abbiamo Downton Abbey ma, se siete amanti dei castelli e volete incontrare un’autentica nobildonna, potete andare a conoscere Francesca di Thiene

L’occasione è la manifestazione “Tempo di Natale” che da dieci anni si tiene nel Castello “cittadino” di Thiene, posto al centro dell’abitato di questo paese, in provincia di Vicenza.

Il momento è sempre molto atteso dai concittadini di Francesca, che non manca di aprire il Castello di proprietà della sua famiglia con frequenza settimanale, oltre che per visite, anche individuali, a chi ne faccia richiesta.

Questo sito è uno scrigno e merita di essere visitato perché contiene tanta bellezza concentrata in uno spazio relativamente grande da lasciare sbalorditi.

Francesca di Thiene - Titolare e responsabile attività promozionali, turistiche, didattiche ed eventi presso Castello di Thiene.

Diventa imperdibile l’occasione di vederlo addobbato per Natale e colmo di raffinatissime produzioni artigiane che Francesca di Thiene ha selezionato negli anni insieme alla coordinatrice Giovanna Poggi Marchesi.

Frequentatissimi sono sempre stati i laboratori per adulti e bambini oltre che i momenti di gioco dedicati a quest’ultimi: la novità della nuova edizione saranno i laboratori artigiani aperti al pubblico in collaborazione con Villa Fabris, istituzione europea per la didattica e la conservazione dell’arte e e delle maestrie artigiane che ha sede a Thiene.

Segno questo di quanto Francesca di Thiene e Giovanna Poggi Marchesi siano consapevoli che il fare rete con le realtà locali sia sempre una mossa vincente

Chi ha già visitato questo evento lo sa: le scuderie del Castello non ospitano più cavalli ma tessuti preziosi che sembrano essere stati realizzati apposta per venire adagiati lungo le colonne, tanto si intonano con i marmi e le pietre che decorano i saloni.

Su dipinti e mobili antichi vengono esposti capi di abbigliamento che maestrie artigiane hanno confezionato a mano.

Si alternano caldissime lane e seta frusciante, nonché lino per la biancheria, che sa di antico ma è declinato in chiave moderna per vestire ogni tipo di tavola.

Nelle cucine crepita un focolare elegante che accoglie i visitatori con cibo gustosissimo che preannuncia i sapori delle Feste, come l’immancabile MelaBrulé invenzione di Mami

Gelato al Volo che ogni inverno è presenza fissa a questo evento.

L’appuntamento è per il 9 e 10 novembre 2019. Non sentite già profumo di cannella?

Fotografie gentilmente concesse da Castello di Thiene VI.

22° edizione

25 ottobre - 23 novembre 2019

Padova Jazz Festival piano edition

Anche quest’anno Antenore Energia è sponsor del Padova Jazz Festival. La kermesse punta al coinvolgimento dell’intera città nell’arco di un intero mese e distribuendo i concerti in varie sedi: dalle sale riservate ai grandi eventi (il Teatro Verdi e il Multisala MPX) alle prestigiose location della Sala dei Giganti (che ospiterà una sequenza di recital di solo piano) e dello storico Caffè Pedrocchi (per le serate in stile jazz club). Il cinema Porto Astra sarà invece il punto di ritrovo per le proposte musicali più audaci e moderniste. L’Altramèta segnala le tre artiste presenti in programma: Vanessa Tagliabue, Mafalda Minozzi e Maria Grand.

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PROGRAMMA:

Venerdì 25 ottobre

Ristorante La Montecchia, ore 20 cena di gala ore 21:45 concerto

Vanessa Tagliabue Yorke “We Like It Hot”

Lunedì 28 ottobre

Porto Astra, ore 21

James Brandon Lewis “An UnRuly Quintet”

Sabato 2 novembre

Cinema Teatro MPX, ore 21

Raphael Gualazzi sings, Mauro Ottolini swings

Lunedì 4 novembre

Porto Astra, ore 21

Maistah Aphrica

Mercoledì 6 novembre

Caffè Pedrocchi, ore 20 cena, ore 21:30 concerto

Yotam Silberstein Quartet

Giovedì 7 novembre

Sala dei Giganti, ore 21

Benny Green solo

Lunedì 11 novembre

Porto Astra, ore 21

María Grand Trio

Mercoledì 13 novembre

Caffè Pedrocchi, ore 20 cena, ore 21:30 concerto

Mafalda Minnozzi “Sensorial - Portraits in Bossa & Jazz”

Giovedì 14 novembre

Sala dei Giganti, ore 21

Kenny Barron solo

Lunedì 18 novembre

Porto Astra, ore 21

Proiezione del film “Milford Graves: Full Mantis”

Mercoledì 20 novembre

Caffè Pedrocchi, ore 20 cena, ore 21:30 concerto

Aaron Diehl Trio

Giovedì 21 novembre

Sala dei Giganti, ore 21

Vijay Iyer solo

Venerdì 22 novembre

Teatro Verdi, ore 21

Monty Alexander Trio

Sabato 23 novembre

Teatro Verdi, ore 21

Blicher – Hemmer – Gadd

Steve Gadd Raphael Gualazzi Benny Green Monty Alexander James Brandon Lewis

Vanessa Tagliabue Yorke, cantante jazz che terrà a battesimo il ventiduesimo Padova Jazz Festival in una serata che fungerà da prologo ai concerti nei teatri: il 25 ottobre presso lo stellato Ristorante La Montecchia porterà in scena “We Like It Hot”, omaggio all’hot jazz degli anni Venti.

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