L'ALTRAMETA

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www.antenore.it

Speciale Padova Jazz Festival

Energia, che bella parola. Una parola bella, una parola responsabile. Antenore è semplice, chiara, comprensibile. E soprattutto seria. Ama le parole buone, i fatti concreti. Da Antenore potete chiedere una verifica, un preventivo o anche solo un confronto. L’Energia è più bella, dove le parole sono sincere. L’ENERGIA DI ANTENORE. PARLIAMONE BENE.

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J oh n C ol tra n e L’Altrameta torna in occasione della grande festa della musica che da più di vent’anni anima i locali e le strade della nostra città: Padova Jazz Festival riapre i battenti con una carrellata di artisti internazionali di riconosciuto talento. Antenore Energia ha voluto sostenere anche quest’anno l’evento - oltre a promuovere le squadre e le manifestazioni sportive sul territorio padovano e vicentino di cui vi parliamo in questo numero attraverso le storie delle donne che ne sono protagoniste. Come legare argomenti così diversi come sport e jazz? La risposta è in questa celebre frase di John Coltrane: «Puoi suonare anche il laccio di una scarpa, se sei sincero». La passione sincera che muove un musicista ad affrontare l’improvvisazione in una jam session è quella stessa che abbiamo intravisto negli occhi di Diana Gunatillake, mezzofondista per Cus Padova e protagonista della nostra copertina; nella dedizione al rugby di Maria Cristina Tonna e negli sguardi esultanti delle ragazze della Nazionale; nel quotidiano allenamento di tante atlete come Chiara Coltri e di allenatori come Mariella Cavallaro, responsabile tecnico di Anthea Volley Vicenza. È un leit motiv che troviamo in tutte le storie di grandi e piccole donne che qui vi raccontiamo e che ci auguriamo possano contagiarvi con la loro energia positiva. Energia è una bella parola, ancora di più se condivisa. Buona lettura e buon ascolto. Filippo Agostini 1


Lo sport delle donne

Contributors

Pubblicazione realizzata in occasione dil Padova Jazz Festival 13 ottobre - 22 novembre 2018 ideazione e cura editoriale Silvia Scarabello testi Chiara Coltri Aurora Di Mauro Angelo Peretti Silvia Scarabello Maria Cristina Tonna Nicoletta Tul Liliana Brucato Manuela Stocco fotografie Alessandra Lazzarotto Caterina Santinello Diana Scrovegni Alessandra Toninello Paolo Rugiero consulenza tecnica Filippo Agostini progetto grafico Caterina Santinello stampa La Grafica Faggian srl - Campodarsego crediti foto Enrico Rava ph G. Frizzoni Pat Martino ph Jimmy Katz Francesco Cafiso ph Rosellina Garbo Alessandra Lazzarotto (pag 12) ph Luisa Basso Mariella Cavallaro (pagg 3 e 16) ph Mario Gulino Milena Baldassarri (pag 3) ph Roberto Peri In copertina Diana Gunatillake basso elettrico Bettin Strumenti Musicali Padova foto C. Santinello

Altrametamagazine Laltrametamagazine laltrametadellosport@gmail.com 2www.laltrametadellosport.com

Progetto realizzato grazie a Antenore Energia srl


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Il cuore sportivo delle donne

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Gabriella. Tra musica e motori l’anima creativa di Padova Jazz Festival

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Diana Una gazzella in pista

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Rugby femminile L’anno che verrà Alessandra La mia meta è nel mirino

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Quando la vita cambia lo sport ti cambia la vita Mariella Il cuore oltre la rete

Una città da vivere, una città per tutti

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Giovanna L’architettura della felicità

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Maria Eleonora Ho sognato un parco

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Le Petit Grimaud Quattro cuori e un’Ape-Boutique Valentina. Cerchi un libro? E io te lo cucio addosso

Sam Manawa Lady Haka

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L’era jazz del Tè

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Le diciotto vendemmie di Franca Diemme. Nel caffè la passione e l’impegno di molte donne Silvia. E pensare che... volevo fare l’avvocato

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Scelte di vita : lavorare “su misura”

Sofia Lettere dal Canada

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Alexandra, Milena e le Farfalle: le campionesse del Grand Prix sono pronte a stupire

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Gabriella tra musica

e motori l’anima creativa

di Padova Jazz Festival

di Silvia Scarabello foto Caterina Santinello 4


P

er scrivere un pezzo su Gabriella Piccolo Casiraghi ci vorrebbe una colonna sonora, a scelta tra un brano musicale o un rombo di motori in sottofondo. Partiamo dal 1978. Nella vita di Gabriella si accende una scintilla, quella per il jazz. Succede ascoltando per la prima volta un disco di Keith Jarret regalatole da un amico. L’altra scintilla era già scoppiata tanto tempo prima fra lei e la sua Porsche con la quale corre su pista e in circuiti sportivi sparsi per tutta Europa. Negli anni ’80 Gabriella è una donna molto impegnata a crescere i suoi figli e portare avanti la propria azienda motivo per cui si reca spesso a Milano dove trova il modo di ascoltare concerti e jam session all’allora famoso locale ‘Capolinea’. Lei però non si accontenta di queste fughe nel fervore musicale di Milano. Regala un pianoforte alla figlia sperando che si appassioni e studi musica, ma lo strumento rimane nel salone di casa inutilizzato. Così Gabriella inizia ad organizzare piccoli concerti con amici, ai quali poi si aggiungono anche dei musicisti professionisti. Al punto che insieme ad un piccolo gruppo di soci decide che vuole portare a Padova un po’ di quell’atmosfera respirata al Capolinea. Il posto ideale per riprodurre quel clima sembra essere l’edificio della Fornace di Mestrino. Iniziano così i lavori di restauro di quello che dal 1995 al 1998 diviene

un centro di attrazione per numerosi appassionati di Jazz e artisti di fama internazionale. Una magia durata pochi anni, ma intensa e leggendaria. Gabriella però è una donna pratica che, realizzato un sogno, si pone obiettivi ancora più grandi e diversi dai precedenti. Nel 1998 vince il Formula Club Porsche Italia e il Presidente nel congratularsi con lei inizia una conversazione il cui esito, assai felice, sarà il primo Festival di Jazz - www.padovajazz.com - sponsorizzato appunto da Porsche e organizzato da Gabriella con l’Associazione Miles, nome ambivalente che riporta a Miles Davis, ma anche alle miglia percorse grazie a rombanti motori qualcuno ha anche pensato fosse il latino miles, il soldato che combatte organizzato a testuggine per perseguire le proprie vittorie. Vent’anni di Festival che spaziano tra concerti, mostre fotografiche e performance artistiche che coinvolgono per cinquanta giorni una città intera, dal centro alla prima periferia. La determinazione di un soldato, la sapienza di una regia, il cuore grande e l’energia di una Donna pronta a collaborare con le generazioni più giovani, convinta che da loro ci sia sempre tanto da imparare e che ad ogni nuova edizione del festival ci dice di sentire lo stesso entusiasmo e la stessa energia del primo anno. n

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Il cuore sportivo delle donne

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La copertina bis

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È

figlia di due genitori che arrivano dallo Sri Lanka. E con questo si capiscono tante cose! Il giorno in cui siamo andati a fotografare Diana Gunatillake agli impianti del Cus in via Corrado, era fine luglio e il caldo furioso delle tre di pomeriggio stava letteralmente sfiancando tutti. Tutti tranne lei, arrivata fresca come una rosa dopo mezz’ora di bicicletta sotto i quaranta gradi. Per accontentare la fotografa ha anche fatto una sgambatina veloce in pista. Spesso sgrana gli occhi e sembra che il suo volto prenda ancora più luce. Guardandola non sai a cosa pensare: in alcune espressioni richiama una divinità indiana, in altre un qualche felino che con un balzo potrebbe trovarsi chilometri più in là. Poi quando parla ti rendi conto che è di una dolcezza infinita e che nella corsa lei ha trovato il modo di superare una timidezza quasi paralizzante. Al campo di via Corrado il tempo è volato e quindi gran parte del dialogo con lei è stato via web. Con una lunghissima mail ha voluto raccontare del rapporto speciale con il suo primo allenatore, Franco Sommaggio, che la convinse appena dodicenne a correre in un campo di atletica tanto da far diventare quel campo una seconda casa e i suoi compagni di squadra come quei fratelli che da figlia unica aveva tanto desiderato. Diana dice che solo quando corre si sente veramente se stessa e che qualsiasi problema svanisce

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come una bolla di sapone. Lei “pistaiola velofondista” (via di mezzo tra velocità e mezzofondo) negli ultimi quattro anni ha concentrato i suoi sforzi su lavoro e studio per diventare nutrizionista, continuando ad allenarsi ma senza gareggiare. Nell’ultimo hanno con un maggiore equilibrio, raggiunto anche grazie alle sue competenze in ambito nutrizionale, ha ripreso a gareggiare cimentandosi in distanze “più lunghe” come sfide campestri e gare su strada. Promette che l’anno prossimo ritornerà al suo cavallo di battaglia, le gare in pista. Chiederle di essere protagonista della nostra copertina ci è sembrata una scelta naturale. È un regalo che lei ci ha fatto e che ci rende fieri. E quando tornerà a gareggiare noi saremo sicuramente a tifare per lei, perché si intravede non solo la stoffa dell’atleta, ma anche una persona generosa che non è concentrata solo su se stessa visto che ha voluto scrivere un messaggio dedicato agli adolescenti: «L’attività sportiva mi ha formata sia fisicamente sia, soprattutto, come persona. Consiglio di fare attività fisica (non per forza agonistica) soprattutto agli adolescenti. Lo sport ti apre un mondo dove instauri amicizie, impari a conoscerti, ad essere più consapevole delle tue potenzialità e dei tuoi limiti.Ti insegna a porti degli obiettivi, ad avere pazienza e costanza per poterli raggiungere. Nello sport come nella vita di tutti i giorni». n


Diana una gazzella in pista

foto Alessandra Lazzarotto

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Rugby

femminile:

l ’anno

che verrà

di Maria Cristina Tonna Il 18 marzo 2018 resterà una data da ricordare: perché segna l’uscita del primo numero dell’Altrameta e per la memorabile vittoria della nazionale italiana nella partita Italia-Scozia del Torneo Sei Nazioni di rugby femminile, disputata a Padova allo Stadio Plebiscito, un evento di cui Antenore Energia è stato main sponsor. Abbiamo chiesto a Maria Cristina Tonna, coordinatrice del settore femminile della Federazione Italiana Rugby, di raccontarci come è andato il Torneo 2018 e che cosa ci aspetta per il 2019, in attesa dell’incontro Italia-Francia che si svolgerà a Padova il 6 marzo. Maria Cristina ha accolto la nostra richiesta, scrivendo un pezzo che parla sia ai profani che agli esperti e appassionati della palla ovale: un po’ di storia del Torneo Sei Nazioni negli anni passati e qualche previsione per il futuro da parte di una persona che per il movimento del rugby femminile in Italia è un punto di riferimento. Ci siamo rivolti a lei anche perché è famosa per la sua generosità e per la sua innata capacità di far comprendere e amare il rugby a chiunque. Nella sua pagina Facebook si possono leggere giornalmente contenuti che trasmettono tutta l’energia che mette nel suo lavoro, senza limiti di orario né di spazio (ogni giorno viaggia tra la sede della Federazione Rugby di Roma e i campi di rugby del Frascati per allenare) e senza smettere di essere una mamma single che cresce i suoi figli con grande attenzione e con la promessa di fare di tutto perché la società del futuro sia una società dove l’uguaglianza e il rispetto dei sessi sia reale e concreto... non solo nel rugby. 10

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rmai il Sei Nazioni Femminile è un grande evento, seguito da milioni di persone nel mondo, e questo dà a tutte le partecipanti una grande spinta ad essere sempre al top. Quest’anno tre location di valore in altrettante splendide città italiane, Lecce, Parma e appunto Padova. Ci sono tutti gli ingredienti per assistere ad un Torneo elettrizzante. Sembra ieri, ma sono passate ben dodici edizioni dall’esordio della Nazionale Femminile nel Sei Nazioni e questa che si appresta a vivere sarà la tredicesima, in barba agli scaramantici. L’ultimo ricambio generazionale della squadra è storia recente, con un nutrito gruppo di azzurre a dare l’addio subito dopo il Mondiale 2017 in Irlanda. Proprio il Torneo del 2017 è stato uno dei più negativi degli ultimi anni, con ben cinque sconfitte in altrettante gare, e soprattutto con la competizione iridata alle porte, portata a termine con ben altri risultati. Subito dopo la WRWC credo che molti si fossero immaginati un momento di arresto, almeno nei risultati, e invece ancora una volta la Nazionale Femminile e posso dire l’intero movimento che la supporta, hanno stupito tutti. Già da novembre, nel test match contro la Francia a Biella, la squadra aveva fatto vedere un bel gioco, mettendo in difficoltà una delle squadre più forti del mondo. Il Sei Nazioni 2018, iniziato con un rodaggio difficile, ha nel finale rilanciato l’Italia Femminile verso il livello che le compete, con due perentorie vittorie contro Scozia e Galles. Cosa ci aspetta nel 2019? Sicuramente una competizione che salirà di tono da parte di tutte e cinque le altre contendenti, essendo questo uno dei due anni in cui si può fare ranking in vista della qualificazione per la WC 2021. In un Torneo così vibrante e con squadre sempre più competitive, vedremo un’Italia che sta continuando ad innestare nuovi giovani talenti, come ormai consuetudine, che cercherà di esprimere il suo gioco rapido e veloce piuttosto che subire quello avversario, per conseguire quella continuità di gioco e risultati che è l’obiettivo dell’alto livello. Abbiamo dalla nostra parte le tre gare casalinghe, nell’ordine con Galles, Irlanda e Francia e inoltre, soprattutto negli ultimi anni, il calore dei tanti spettatori che vengono a sostenere la squadra. n


Italia - Francia 1993 Nessuna di noi allora immaginava che avrebbe fatto la Storia del rugby al femminile in Italia - nemmeno io... soprattutto quando a quindici anni indossai per la prima volta la maglia azzurra nel 1985. Il rugby è una grande scuola. Alle ragazze insegna ad essere delle guerriere (gentili) nella giungla della vita.

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Alessandra «La mia meta

è nel mirino»

di Silvia Scarabello foto Alessandra Lazzarotto

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na foto che ha fatto il giro del mondo: guardandola si ha la sensazione di percepire il fango addosso, il freddo e insieme l’esaltazione di chi ha appena vinto una partita memorabile. È l’immagine simbolo della vittoria della Nazionale Italiana di Rugby femminile contro la Scozia, nell’incontro disputato a Padova il 18 marzo 2018, allo Stadio Plebiscito e l’autrice è Alessandra Lazzarotto. Una cascata di lunghi riccioli biondi che solca il (bordo) campo per cogliere le inquadrature migliori e un viso che penseresti imbronciato - ma lei giura di essere semplicemente concentrata. Se piove sfoggia i suoi stivali con la bandiera inglese e il suo piumino rosso che con il cappuccio la fa sembrare la sorella maggiore della protagonista della favola (quella che al lupo avrebbe detto: spostati che mi impalli l’inquadratura). Classe 1983, padovana, una laurea in Storia e un master allo Ied, Alessandra approccia il mondo 12 12

della fotografia professionale come assistente per una matrimonialista, ma capisce che la fotografia sportiva sarebbe diventata la sua grande passione quando nel 2010 diventa fotografa ufficiale della Pallavolo Padova, grazie ad una foto inviata, senza prendersi troppo sul serio, al responsabile stampa della società, ma che evidentemente colpisce nel segno. In un percorso che inizia nel 2012 come allieva di Piero Rinaldi (uno dei maggiori fotografi di Rugby in Italia) Alessandra scatta, come inviata del Gazzettino, vari reportage per le squadre cittadine ed è in queste prime occasioni che nasce una grande passione che la spinge ad impegnare tutto il suo tempo libero per seguire e fotografare in tutto il Veneto tantissime partite. Riesce poi a farsi accreditare come fotografa per il Sei Nazioni a Cardiff e a Edimburgo e per diverse finali di Campionato Italiano di Eccellenza. Le sue immagini le fruttano anche la collaborazione


con molti siti importanti. Ciò non le impedisce di venire ingaggiata dal 2016 anche come fotografa ufficiale al seguito della Nazionale Italiana di Tiro a Volo. Nel 2017 accetta la proposta di essere la fotografa ufficiale del Valsugana Rugby asd. E cosÏ, anche per la stagione 2018-2019, i suoi weekend si divideranno tra la Kioene Arena ed i campi di Altichiero per poter rimanere fedele al primo amore

ma al contempo gettarsi a capofitto nella sfida di ritrarre con il suo personalissimo stile la prossima stagione. Una fatica sostenuta grazie anche a quel senso di appartenenza che ha ritrovato nel Rugby quanto nel Volley. Il sogno nel cassetto? Un Mondiale di Rugby e le Olimpiadi. Vorremmo augurarle in bocca al lupo anche se abbiamo capito che lei non ha paura di niente, nemmeno del lupo. n 13


Quando la vita cambia lo sport ti cambia la vita

Da ragazza pigra a capitano di una squadra nazionale femminile: ecco come si descrive Chiara Coltri, capitana del CUS Padova Basket in Carrozzina

di Chiara Coltri foto Alessandra Lazzarotto

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ll’età di quindici anni un incidente stradale mi provoca una lesione alla sesta vertebra dorsale. Mi ritrovo da un giorno all’altro paraplegica: paralizzata dall’ombelico in giù. Inizia la mia nuova vita in carrozzina. Fatta inizialmente di paure e insicurezze. Finito il liceo a Verona decido, con un po’ di incoscienza, di iscrivermi alla facoltà di Scienze Politiche a Padova. Cambio città e mi trasferisco definitivamente. Un giorno durante un incontro organizzato dall’Ufficio disabilità dell’ Università conosco un ragazzo, disabile e sportivo, che mi convince ad andare a provare a giocare a basket in carrozzina. Nella mia vita da “normodotata” sono sempre stata abbastanza pigra. Provare a giocare a basket mi sembrava una cosa surreale. Arrivata alla palestra del CUS la prima cosa che ho notato sono stati i miei compagni di squadra (tutti maschi poiché il campionato in Italia è misto): ognuno con una disabilità diversa ma

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ognuno capace di fare cose per me impensabili fino a quel momento. E così ho realizzato “Se ce la fanno loro ce la posso fare pure io”. La condivisione di qualunque problema o difficoltà con la mia squadra è stata la svolta che mi ha fatto capire che avrei potuto fare, con gli adattamenti giusti, qualunque cosa nella vita. Ho trovato così una seconda famiglia, otre che amici veri. Non nascondo mai che prima di innamorarmi della pallacanestro mi sono innamorata del gruppo di persone che avevo al mio fianco ad allenamento. E proprio perché so quanto mi abbia fatto bene lo sport, sia dal punto di vista fisico che mentale, ogni giorno spero che altri ragazzi con disabilità dell’università, vengano a fare attività sportiva al CUS grazie al nostro progetto “Diversamente Io”. Con la speranza che lo sport cambi la vita a loro come l’ha cambiata a me, perché questo ha fatto il CUS: mi ha trasformata da ragazza pigra a Capitano della nazionale femminile di basket in carrozzina». n


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Mariella Il cuore

oltre la rete di Liliana Brucato

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cchi di un azzurro limpido e un sorriso dolcissimo: incontriamo Mariella Cavallaro, coach di Anthea Volley Vicenza, squadra di volley femminile di Serie B1. Si avvicina allo sport in giovanissima età come promessa dell’atletica, che dovrà abbandonare per un problema fisico. Un paio di anni dopo però ritorna a fare sport e sceglie la pallavolo. Comincia ad allenarsi con Bisaglia, grande coach padovano che scommette su di lei e la ispira ad intraprendere il percorso di allenatrice. Con grande determinazione a ventidue anni diventa l’allenatrice più giovane d’Italia per la Serie A. Dopo il lavoro con i coach Berruto e Lorenzetti e tanti successi diventa selezionatrice regionale per la Nazionale e approda in Serie B, come secondo e poi primo allenatore rimanendo per molto tempo unico coach donna di tutta la Serie. Nonostante le allenatrici donne siano una rarità nelle categorie maggiori, il suo metodo positivo e propositivo dà i suoi frutti. La sua ricerca di empatia e complicità, di dialogo e confronto con le giocatrici, fa sì che si instauri un rapporto di fiducia tale da scardinare i vecchi modelli di allenamento. Come dice lei stessa: «L’obiettivo è raggiungere la realizzazione della giocatrice, come persona e come atleta. E per far questo bisogna avere spirito di sacrificio, studiare tanto e sfidare se stessi ogni giorno. Senza mai mollare e soprattutto conservando sempre positività». Anche quest’anno guida l’Anthea Volley Vicenza, «un gruppo bellissimo, pieno di ritmo e voglia di lavorare. Giocatrici importanti che non esitano a mettersi in gioco e lavorare con ritmi altissimi, senza crearsi limiti mentali e con la voglia di imparare sempre qualcosa di nuovo». Grazie al sostegno della sua famiglia, degli allenatori che negli anni sono diventati stimati amici, e della Società, Mariella continua il suo lavoro anche come donna di avanguardia nella pallavolo. Con i piedi ben piantati a terra e il cuore sempre oltre la rete. n


foto Paolo Rugiero 17


Donne per una cittĂ da vivere, una cittĂ per tutti

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Giovanna È L’architettura della felicità

una passionaria, GIovanna Osti. Una professionista affermata che negli anni si è spesa su parecchi fronti incluso quello della politica - proprio in virtù della passione che ha per il territorio e la città - e che nel 2018 è stata eletta dai propri colleghi Presidente dell’Ordine degli Architetti e Pianificatori Paesaggisti Conservatori della Provincia di Padova. Il tempo che ci ha dedicato è stato speso per parlare della città che lei sogna... e di felicità. «Padova - spiega Giovanna - è una città fragile perché antica e costruita per sovrapposizioni di strati di epoche successive, ognuna delle quali ha un grande valore. Motivo per cui progettare nuovi spazi comporta ricucire il nuovo con quello che è già presente sul territorio. Il professionista che si trova a compiere questa operazione deve avere la pazienza di un amanuense e al contempo deve lavorare avendo una visione urbanistica senza la quale questa città rischia di vedere il proprio centro storico diventare una periferia. Per questo motivo come Presidente dell’Ordine, ma soprattutto come padovana, auspico che nei progetti importanti, relativi alla riqualificazione di grandi aree, vengano sempre di più coinvolti professionisti locali e dove possibile anche i cittadini stessi. Sogno una comunitas che ridisegni questa città rispettando il proprio passato e ragionando con la passione di chi la vive ogni giorno. Gli spazi urbani dovrebbero essere progettati per essere fautori di legami sociali e una città andrebbe pensata proprio partendo dalle relazioni sociali che è in grado di promuovere Di recente come Ordine degli Architetti abbiamo ospitato la lectio magistralis dell’architetto Stefano Boeri, autore con il proprio studio della progettazione del “bosco verticale”, intitolando questa conferenza Gli Spazi della Felicità: di che cosa dovremmo occuparci noi architetti se non di questo?» n 19 19


a cura di Fondazione Robert Hollmann foto Caterina Santinello 20


Maria Eleonora Ho sognato

un parco

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aria Eleonora Reffo dal 2015 è direttore amministrativo della Fondazione Robert Hollman, ente che dal 1979 offre gratuitamente consulenza e sostegno a bambini con deficit visivo. Una mattina, giunta in ufficio, viene a sapere che le persone che vivono attorno alla sede di via Siena 1 hanno costituito un Comitato per opporsi alla costruzione di un’antenna per le telecomunicazioni proprio nell’appezzamento di terreno che sta alle spalle del suo luogo di lavoro. Maria Eleonora interpella l’allora in carica Giunta Bitonci, per proporre di far sorgere su quella stessa area, un Parco Giochi Inclusivo. Un Parco Giochi del tutto innovativo studiato in ogni minimo dettaglio perché tutti i cittadini, piccoli e grandi, possano sentirsi a loro agio e soprattutto possano condividere la dimensione del gioco e della socialità oltre che uno spazio di aggregazione. È gennaio 2017 e Maria Eleonora si mette a lavorare in rete con sedici Enti del territorio che si occupano di disabilità e sociale e che insieme accettano la sfida di stilare un protocollo per individuare le linee guida 21

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per la progettazione del futuro parco accessibile. La Giunta Comunale approva la costruzione di questo parco e si gettano le basi per iniziare la progettazione, affidata all’ingegnere Giuseppe Silvestrini e all’architetto Luca Mosole. Cambia la Giunta e il Sindaco, ma questo progetto rimane un obiettivo voluto con forte volontà anche dalla nuova Amministrazione Giordani e adottato con grande passione dall’Assessore Chiara Gallani. Con un recente emendamento la Giunta attuale approva un ulteriore finanziamento per contribuire a realizzare il Parco. E quindi eccoci ai giorni nostri. Maria Eleonora si presta per alcuni scatti all’interno della Fondazione Robert Hollman, su nostra insistenza, ma riesce a scherzare e giocare con l’obbiettivo come le persone serie sanno fare. La incontriamo alla vigilia della presentazione del progetto di fundraising che mira a raccogliere la somma necessaria a completare questo Parco.

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Maria Eleonora, puoi raccontarci di che cosa c’è ancora bisogno perché questo Parco diventi realtà? Servono ancora fondi, ma soprattutto servono giochi che possano essere usati contemporaneamente da tutti, in alcuni casi con davvero semplici ma significativi accorgimenti. In questi mesi delle ditte che progettano e costruiscono giochi, ci hanno mostrato la loro miglior produzione; i giochi e le attrezzature che, secondo gli Enti partecipanti, dovrebbero essere presenti all’interno del Parco, saranno raccolti in una lista e potranno essere ad esso donati. Una specie di lista di nozze? Esatto! Fondazione Robert Hollman si è impegnata ad aiutare il Comune di Padova nella raccolta


fondi e nel realizzare una campagna di comunicazione.Vorremmo che tutti, cittadini e aziende, si sentissero chiamati in causa e adottassero una panchina, un albero, un gioco o una delle tante attrezzature che vorremmo realizzare. Puoi darci qualche esempio? Un percorso che si snoda lungo il Parco e il cui tracciato è ricoperto di una particolare gomma che garantisce a chi dovesse cadere di non farsi del male ovvero di non sbucciarsi le ginocchia! Ma anche di poter essere percorso con facilità da chi è su una sedia a rotelle o da chi spinge un passeggino. Sono accorgimenti utili a tutti! Infatti, questi sono i principi alla base dell’Universal Design. Dobbiamo partire dall’idea che gli ambienti progettati con particolare attenzione perché sia garantita l’accessibilità da parte di persone con disabilità, sono ambienti dove la qualità della vita è migliore per tutti. Allo stesso tempo un percorso disegnato per garantire a chi ha un deficit visivo di poter correre in sicurezza può essere occasione di condividere tutti insieme una nuova pista per la corsa. Sappiamo che questo percorso di cui ci hai parlato ti sta particolarmente a cuore, vuoi spiegarci perché? Già, è nato da un suggerimento di mio figlio Andrea che a casa, vedendomi lavorare al progetto del Parco, si è messo a disegnare una pista per la corsa priva di ostacoli, delimitata da siepi, con indicazioni di inizio e fine. Mi ha colpito che un bambino potesse dare degli stimoli completamente nuovi e diversi rispetto ad un adulto. Lui mi ha ricordato quanto è importante correre per un bambino. Senza fare distinzioni di alcun genere fra bambini con disabilità o meno, l’istinto alla corsa è quasi primordiale quasi quanto quello del gioco. Una città come Padova deve potersi fregiare dell’onore di avere costruito un parco accessibile coinvolgendo tutta la cittadinanza, sia per quel che riguarda la progettazione che per la realizzazione nonché le sorti future di questa struttura. Proprio a questo proposito, Fondazione Hollman da settembre 2018 sta realizzando un progetto

didattico che coinvolge circa quaranta classi di scuole dell’infanzia e primarie. Il progetto, in collaborazione con l’Assessorato all’Istruzione, è stato realizzato grazie a un gruppo nutrito di professionisti nell’ambito della comunicazione e della didattica oltre che grazie al sostegno di alcuni sponsor che sono stati fondamentali e partner che hanno raccolto la sfida di editare e distribuire un libro del tutto nuovo per l’editoria italiana. Non ultima, preziosissima la collaborazione della Tipografia Toffanin che ha stampato il libro affrontando per la prima volta la stampa anche del Braille con dei risultati veramente apprezzabili e la Casa Editrice Camelozampa che lo ha editato e lo distribuirà a livello nazionale. Eleonora puoi parlarci del libro Il tesoro del labirinto incantato? Potrei raccontarvi la storia ma per comprenderne a pieno il significato dovrei, come si dice oggi “spoilerarvi il finale”. Ma ci sono 1600 bambini che lo stanno iniziando a leggere proprio in questi giorni! Abbiamo potuto distribuire gratuitamente questo numero di testi grazie al contributo del Rotary Club e alla ditta Gottardo spa che ha creduto in questo progetto del tutto innovativo in ambito didattico: la storia scritta da Elena Paccagnella e illustrata dai disegni di Nicoletta Bertelle. Accanto alle illustrazioni, che l’autrice ha realizzato con dei tratti molto più marcati rispetto a quello che è il suo stile abituale, per poter essere maggiormente visibili anche da chi ha un deficit visivo, troviamo la scrittura con testo Easy Reading oltre a quella con la CAA. La stessa pagina in rilievo porta la stampa del testo in Braille. Questo permette che il testo venga letto in una classe da tutti i bambini contemporaneamente, nel rispetto delle specificità di ognuno. Ed è quello che vorremmo che accadesse anche nel Parco: che tutti, piccoli, grandi e più grandi potessero sentirsi in uno spazio a loro adatto. Il primo passo per costruire una città accessibile è abituarci a pensare che gli spazi possono solamente essere pensati e costruiti in questo modo. Un solo testo per tutti quanti, un parco per tutti! n 23


Scelte di vita: lavorare “su misura�

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Le Petit Grimaud Quattro cuori

e un’Ape Boutique

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accontare Le Petit Grimaud non è cosa semplice. Sotto gli occhi di tutti ci sono gli abiti morbidi e dai colori polverosi e delicati, i volti dolci e sorridenti di Sara La Badessa e Monica Cavallaro che insieme a Valentina e Federica, accolgono le clienti in giro per la provincia di Padova, a bordo della loro Ape Boutique. Dietro c’è una lunga storia, tanto lavoro e abilità da parte di Sara e Federica nel trasformare un sogno in una realtà imprenditoriale. Loro due si conoscono nel 2001 quando giovanissime lavorano in un negozio di abbigliamento del centro. Terminata quell’esperienza si perdono di vista e Monica inizia ad occuparsi di polizze assicurative. Si ritrovano per caso quando Monica in veste di assicuratrice va a proporre a Sara di sottoscrivere una polizza. È il 2012 e accade ciò che succede alle amiche vere, quelle che possono stare anni senza vedersi e poi basta un secondo per riattaccare il discorso da dove lo si era lasciato anni prima. Insieme pensano ad un modo nuovo per proporre capi di abbigliamento ad una clientela femminile sempre più attenta nelle scelte e con poco tempo per girare

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fra i negozi. Ed ecco l’idea dell’Ape Boutique, un micro negozio itinerante in un furgoncino Ape Car, con cui raggiungono varie tappe nel padovano. Riguardo al nome del brand ci vuole qualcosa che trasmetta l’atmosfera della Costa Azzurra e dei mercatini della Provenza. Quel quarto di sangue francese che scorre nelle vene di Sara le ha sempre fatto amare il gusto un pò retro degli abiti scovati gironzolando nei paesini del Sud della Francia. Nasce così Le Petit Grimaud - dal nome di un paesino a pochi chilometri da Saint Tropez, che ha il suo centro su una collina e si estende fino al mare - per accompagnare l’Ape-Boutique colma di abiti dalle linee morbide e romantiche ma al contempo pratiche. Abiti nei quali sentirsi comode ma anche eleganti e femminili. In questi anni Federica e Sara hanno trasformato questo esperimento in una loro linea di abbigliamento: Avant Nous. Ricercano tessuti e collaborano con modelliste che trasformano le loro idee in modelli realizzati poi da diversi laboratori. La capacità delle fondatrici di Petit Grimaud è stata anche quella di capire che un prodotto cosi ricercato e raffinato necessita di collaborazioni anche per ciò che


concerne la vendita. Eccole quindi scegliere due persone deliziose sia nell’aspetto che nel modo di fare: Federica e Valentina, che seguono i punti vendita di via Zabarella in centro a Padova e di via Fermi ad Abano Terme (www.lepetitgrimaud.com). Nell’ultimo anno, alla linea di abbigliamento si sono aggiunte anche delle calzature che loro stesse sfoggiano tutto il giorno a riprova della qualità, oltre che eleganza, del prodotto. Tutto il team poi non può fare a meno di indossare la linea di bjoux Ecole D’Anais frutto del lavoro di due sapienti

artigiani famosissimi in Instagram, della quale Le Petit Grimaud è esclusivista per Padova e Provincia. Insomma, da qualsiasi punto la vediate, Sara, Monica,Valentina e Federica non sbagliano un colpo. E se non riuscite a trovare un minuto per raggiungerle, chiamatele e verranno da voi: basta un gruppo di amiche, una tazza di tè, buona musica e le ragazze di Petit Grimaud vi porteranno un servizio personalizzato di consulenza per il guardaroba perfetto. Per sentirsi sempre in vacanza in Costa Azzurra e con una melodia dolce nel cuore! n 27


Sam Manawa Lady Haka

Connessioni. Tra la Madre Terra e la forza delle donne

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di Aurora Di Mauro foto Caterina Santinello 30

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e penso alla parola maori e la unisco alla parola rugby la connessione mentale automatica è la Haka, la danza di sfida associata agli All Blacks, i celebri campioni neozelandesi della palla ovale. Ma se tra queste due parole mi appare il volto di Sam Manawa, la connessione non è solo mentale. Mi fa toccare con mano la forza delle donne. Dopo aver partecipato ad un suo seminario in cui mi sono messa in gioco con la Haka, un po’ senza fiato intervisto la bella donna imponente che, seduta agilmente sulle cosce, mi guarda con serenità. È nata a Hamilton, in Nuova Zelanda, ma da molti anni vive a Marostica dove ha il suo studio - www.manawastudio.it. Invitata in tutta Italia, trae dalla sua cultura d’origine gli elementi su cui si fonda la sua professione: lavorare sul corpo con il massaggio, tenere seminari che mettono in connessione le persone con la terra e workshop che


insegnano significati e movimenti della danza Haka. Con un obiettivo: offrire alle persone che incontra un’occasione di cambiamento interiore. Guardo il tatuaggio sul suo mento, che indica la tribù di appartenenza, e le chiedo: che cosa significa per te essere una Maori? «Intanto essere. Sono cresciuta in Italia, ma ad un certo punto ho sentito che dov evo tornare in Nuova Zelanda. Ricordo che la prima cosa che ho visto è stato un gruppo di ragazze maori giocare in un campo a qualcosa simile al netball. Mi aveva colpito la loro fisicità e mi sono detta: cavoli, io sono così. Dentro di me sentivo sia la parte fisica sia qualcosa di più sottile, la parte energetica. In questa unione c’è l’essere maori». Manawa in lingua Maori vuol dire cuore, luogo degli affetti. La parola è composta da Mana, che si riferisce al potere spirituale di ciascuno di noi, e Wa, che significa spazio e tempo definiti. Sam Manawa emana, con il corpo e non solo, un’aura da grande madre protettrice che ha dietro di sé la forza dei suoi antenati. Parlando di fisicità le chiedo quanto conta il corpo quando fa un massaggio o tiene un workshop di Haka. «Nella cultura maori la parte fisica è importante quanto quella spirituale. Perciò la spiritualità maori è molto pratica. Nei miei incontri agisco perché le persone trovino la via del cambiamento nella quotidianità. In quello che faccio c’è tecnica ma anche intuizione, perché ogni persona è diversa, ognuna ha il suo vissuto. Quando opero ho bisogno di essere sostenuta: per questo inizio con una preghiera con cui chiedo protezione, aiuto, sostegno alla Madre Terra. In quel momento creo uno spazio sacro che include me e le persone presenti». Vedo in lei una fierezza che non è solo passione per il suo lavoro. È perché sei una maori o perché sei una donna, che sei così fiera? «Mi sento profondamente connessa alla terra, e questo mi ha dato la serenità che molti percepiscono in me. I miei piedi nudi mi fanno sentire la sua energia. Essere fiera, per me, è essere consapevole di essere donna. E in questo percorso di consapevolezza ho trovato, studiando le tradizioni maori in cui il ruolo femminile è molto rispettato, la forza delle donne. Una forza che sa integrarsi con la parte maschile, quella dentro se stesse o quella degli uomini con cui si relazionano». n 31


’ L era jazz del Tè Storie di Tè e di cocktail. E una ricetta in esclusiva per un aperitivo speciale da sorseggiare ascoltando la giusta musica di Nicoletta Tul foto Alessandra Toninello

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he cosa hanno in comune una tazza di Tè e una teiera di porcellana con l’era del Jazz? Per capirlo dobbiamo andare con la mente ai primi decenni del 1900, quando in Inghilterra e nel nord degli Stati Uniti diventano molto popolari i Blend di Tè. Si tratta delle miscele di Tè neri, che nascono come concetto in epoca Vittoriana nel Regno Unito e si sviluppano nel loro splendore nei decenni successivi appunto. Sono miscele di Tè neri provenienti da diverse piantagioni e regioni del mondo: Ceylon, India, Indonesia, Cina e Africa, mescolati e bilanciati fra di loro a regola d’arte in modo da ottenere un bouquet aromatico e un gusto ben bilanciati e sempre riproducibili. La riproducibilità del blend è un fattore fondamentale e uno dei più difficili da mantenere per un


Tea Blender professionista, in quanto ogni anno, in base al clima, alle caratteristiche del terroir e in base al mercato, i Tè che arrivano nelle varie aziende sono sempre leggermente diversi e i professionisti in questione devono poter riprodurre la stessa ricetta ogni anno, modificando le percentuali di ogni singolo elemento. L’obiettivo è quindi il buon bilanciamento degli elementi, l’armonia di gusto. La stessa armonia di gusto che si cerca quando si crea un cocktail al Tè. Sì, avete capito bene, un cocktail alcolico. La mixology da anni utilizza elementi della cultura e dei rituali per ilTè per creare cocktail dove gli alcolici si fondono con grazia e sapore al Tè e agli infusi. Chef stellati e bartender famosi, da Londra a Tokyo passando per Hong Kong,, reinventano i grandi cocktail classici dell’era del proibizionismo - l’era del Jazz - in cui nascevano i cocktail rimasti nella storia, nello stesso periodo in cui nascevano i Blend di Tè rimasti nella storia. Il concetto di cocktail nasce proprio con la stessa motivazione del concetto di blend di Tè, ossia utilizzare al meglio gli ingredienti a disposizione creando un risultato ben bilanciato. In epoca proibizionista negli Stati Uniti nascono distillerie di contrabbando che producevano alcolici spesso di bassa qualità, ed i cocktail servivano ai bartender come trucco per migliorare il sapore di questi alcolici. Col passare del tempo l’arte del cocktail è divenuta sempre più sofisticata, unendo essenze, estratti di piante e infine il nostro amato Tè. Per due anni di seguito ho avuto l’onore di far parte della giuria di un importante concorso internazionale, il più importante nel mondo del Tè, la Tea Masters Cup che fra le sue categorie contempla anche la Tea Mixology. Ho avuto modo di degustare e osservare all’opera molti giovani ragazzi e grandi professionisti che hanno creato per noi giurati, cocktail al Tè meravigliosi. Voglio proporvi quindi una mia ricetta, che si ispira a un grande cocktail classico di epoca Jazz; e a un grande Tè, il Darjeeling, spesso chiamato lo Champagne dei Tè neri per le sue caratteristiche moscate e sofisticate. È un cocktail adatto come calice da prima serata o per un aperitivo davvero

speciale: il Darjeeling Royal Gin Fizz. Il Royal Gin Fizz è composto da Gin, succo di limone, albume e Champagne. Io utilizzo uno sciroppo al Darjeeling Second Flush e un Gin infuso per tre giorni con Darjeeling Second Flush. Lettura consigliata Il Grande Gatsby ovviamente: There was music from my neighbor’s house through the summer nights. In his blue gardens men and girls came and went like moths among the whisperings and the champagne and the stars. Musica consigliata Rapsodia in Blu di George Gershwin Seguite le istruzioni e... buon Tea Cocktail!

DA R J ROYA EELING L GIN FI Z Z 50 ml d iG 20 ml d in al Darjee 12 ml d i succo di l ling im i scirop po al D one arjeelin 1a Champ g agne pe lbume r r iempir Shaker e il bicc hiere il gin e ate vigorosam il succo ente l’a lbume, di limo e ghiac n ghiacci cio. Filtrate, e con sciropp e o o e aggiu , in un bicch liminando il ngete C iere alt o hampa gne fin e stretto o al bo rdo.

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Le diciotto

vendemmie di

di Angelo Peretti foto Diana Scrovegni

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Cresciuta in cantina tra personaggi del calibro di Neri Pozza, fotografata da Oliviero Toscani quando era bambina e modella per scultori da adolescente, Franca Miotti dopo anni di studio e formazione ha saputo prendere le redini della cantina del padre, per non lasciarle più da diciotto anni a questa parte. Ecco cosa racconta di lei Angelo Peretti, giornalista enogastronomico e direttore responsabile della testata web Internetgourmet.

om’era Franca da piccola?» «Catìva», fa lui, senza la doppia, come usa nella parlata veneta (e sorride). «Invece Ebe, com’era da piccola?» «Bóna». Ebe, al secolo Maria Cleofe, la figlia “buona”, è musicista, ha suonato anche con Claudio Scimone, l’anima dei Solisti Veneti. Al padre ha dato un solo dispiacere, quello di essere astemia. Invece Franca, la rossa, la figlia “cattiva”, il vino lo fa, e papà, più volente che nolente e più orgoglioso che contrariato, in cantina deve sottostare alle sue idee, ché lei ha carattere, quello che si dice possieda in gran copia chi è rosso di capelli, e per di più ha anche studi enologici compiuti tra Bordeaux e Conegliano dopo una laurea in scienze politiche a Padova. Lui, il papà, è Firmino Miotti, patriarca del vino di Breganze, provincia di Vicenza, ottantadue anni e sessanta vendemmie imbottigliate, amico di scrittori e attori e insomma artisti, che nella sua cantina hanno sempre trovato accoglienza. Franca ha preso il

«

Franca

suo posto in cantina nel 2000, dopo che lui aveva avuto un infortunio. Si era tirata su le maniche e aveva cominciato a vinificare. Non ha più smesso. Oggi è una delle stelle riconosciute del vino vicentino, custode dell’autoctonia ma anche sperimentatrice. Si direbbe che Franca ci si diverta a continuare a fare esperimenti. Dopo aver esaltato vitigni indigeni come il groppello, il gruajo e la vespaiola, si è buttata nella riproposizione dei rifermentati in bottiglia, anch’essi da uve dimenticate, come la pedevenda o la marzemina bianca, che da quelle parti chiamavano sampagna. Adesso ha in serbo una novità che tirerà fuori più avanti, forse per festeggiare i cinquant’anni (così dice o così le sfugge di dire), ed è un metodo classico. A proposito, ma era davvero “catìva” da piccola, Franca? Mamma Pina sospira. «Tra i figli c’è sempre quello più vivace e quello meno vivace, ma non ce n’è mai neanche uno di cattivo». La stessa cosa che sostiene Franca dei suoi vini. «Sono come i figli, bisogna dare a tutti la stessa quantità di amore», dice. Brava. n 35


Diemme:

ffèla passione

nel ca

e l ’impegno di molte donne

di Manuela Stocco

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enza le donne, il caffè sarebbe davvero lo stesso? C’è da chiederselo, se si pensa anche al solo fatto che nei Paesi produttori di caffè, circa il 70% della manodopera è femminile. Nonostante le condizioni precarie e il più delle volte per nulla rosee, dentro ogni tazzina di caffè c’è un mondo di gesti e di saperi femminili che rimangono spesso, nella coscienza comune, inespressi. E questo vale, molto più di quanto si creda, anche nella realtà “progredita” che viviamo tutti i giorni. Qui, dove le conquiste in termini di diritti sociali stanno portando nel tempo a riconoscere il valore del lavoro e del gusto femminile, ancora si tende a ri36 36

tenere la barista dietro il bancone come quella figura accomodante e di bella presenza che serve il caffè. Mentre se si pensa al guru della macchina da espresso o delle tecniche di assaggio, ecco comparire la versione al maschile: quella del barista professionista, abile e appassionato. E se il binomio “donne e caffè” ricorre nel nostro background culturale (dalle celebri opere di Cézanne e Hopper, al film Colazione da Tiffany) soprattutto come attitudine al consumo della bevanda, esiste una cultura aziendale di cui, negli ultimi anni, le donne hanno iniziato a far parte. Non più quindi solo amanti e custodi del rito del caffè nell’ambien-


te domestico o in qualche piacevole ritaglio di vita mondana, le donne mettono finalmente in campo competenze spesso strategiche (la precisione, l’intuito, la determinazione), oltre ovviamente alla loro preparazione specialistica, in contesti che ne sanno cogliere e valorizzare la ricchezza. Un esempio è quello della storica torrefazione Diemme Industria Caffè Torrefatti. Un’azienda quasi centenaria che ha saputo crescere anche accogliendo, sulla base del merito, il punto di vista delle donne, alcune delle quali ricoprono oggi importanti ruoli decisionali, coordinano dipartimenti, rappresentano il volto, più operativo o più istituzionale, della società. Storie

che si intrecciano e si integrano, in un equilibrio volutamente ricercato con la componente maschile. Dentro ogni tazzina di caffè firmato Diemme e servito nei locali di oltre 40 Paesi del mondo ci sono perciò oggi anche i loro nomi: quello di Paola, Direttore generale, o di Angela, simbolo di un’arte dell’accogliere quasi d’altri tempi; o quello di Alberta, responsabile della produzione; di Ludovica e Michela, la “metà rosa” del marketing; di Anna e Lisa del reparto amministrativo; di Beatrice e Claudia dell’ufficio estero. Tante donne con tante capacità diverse, che hanno abbracciato e che contribuiscono attivamente alla filosofia della qualità perseguita dall’azienda, dal chicco alla tazzina. n 37


Silvia «E pensare che...

volevo fare l’avvocato»

di Silvia Scarabello foto Diana Scrovegni

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re generazioni in tipografia. Un nonno di nome Adone non può che fare cose meravigliose quando, nel 1948, acquista le vecchie macchine di una tipografia di Cadoneghe per iniziare l’attività in proprio con caratteri mobili e macchine tipografiche, sostituite dal 1966 da macchine litografiche. Nel 1978 la conduzione passa nelle mani dei figli, prima Plinio e poi Renato - zio e papà di Silvia Faggian - che traghettano l’azienda nella modernità degli anni 2000 e creano la sede attuale nel Comune di Campodarsego. Silvia si iscrive al liceo scientifico per poi frequentare la facoltà di giurisprudenza, al termine della quale pensa di prendersi un periodo per cercare uno studio dove iniziare la pratica per diventare avvocato. Riceve le redini dell’azienda di famiglia dopo una lunghissima gavetta, che lei non avrebbe mai immaginato di fare. Come spesso accade in tante aziende a conduzione familiare, le dicono «Beh finché cerchi la tua strada, intanto vieni a dare una mano». Sembra un tempo velocissimo, lo spazio di un battito 38 38

di ciglia, quello che passa dall’essere l’ultima arrivata, a diventare il capo, con tutte le responsabilità che questo comporta, oltre alle grandi soddisfazioni. Invece ci sono voluti parecchi anni per guadagnare la fiducia dei fornitori e dei collaboratori oltre che dei suoi colleghi/ concorrenti, nello strano mondo della grafica, dove in alcuni momenti aziende “rivali” possono decidere di allearsi per fare fronte a grandi commesse o a richieste particolarmente complesse che diventerebbero inaffrontabili per una singola azienda. Generosamente ci racconta di quanto l’Italia sia stimata in tutto il mondo per la sua tradizione di stampa e di lavorazione della carta, e di quanto anche la nostra città sia parte integrante di questa tradizione. Nella grande parete della hall di ingresso della sua azienda Silvia ha voluto ci fossero delle parole che esprimono da un lato il desiderio, condiviso dal suo gruppo di collaboratori, di proiettarsi in un futuro di innovazione che poggia su solide basi di esperienza dalle due generazioni precedenti e dall’altro la sua dichiarazione di indipendenza. n


Sofia

lettere dal Canada

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a diciassette anni e a settembre è volata in Canada per frequentare il quarto anno della scuola superiore e se possibile, conseguire il diploma che nel sistema scolastico canadese dà diritto ad iscriversi all’Università. L’estate l’ha passata tra l’Italia e la Cina, dove ha potuto confrontare la sua preparazione nella conoscenza della lingua cinese e decidere almeno per il momento di concentrarsi sull’apprendimento della lingua inglese. Ci piace raccontare di Sofia Nalesso perché non vogliamo allinearci a chi dice che i ragazzi e le ragazze di oggi sono tutte selfie e tempo perso sui social. Non è una storia eccezionale, è un modo diverso di fare delle scelte importanti di vita, un’alternativa al restare in città ad attendere la maturità: giocare di

anticipo, accelerare i tempi e un giorno magari decidere che quell’anno guadagnato diventi il proprio anno sabbatico per fare nuove esperienze. Esigenze che nascono nella testa di una ragazza che balla l’hip pop insieme al suo gruppo di amiche e che ammette candidamente che lo preferisce ad un qualsiasi sport, perché «danzare hip pop mi fa sentire parte di un gruppo dove la parte principale non appartiene a nessuno se non alla musica e al suo ritmo». Discute con il suo papà come farebbe con un suo amico, ma quando lui dice che sabato sera si torna a casa a mezzanotte, non replica e, come dice con un sorriso sornione il suo papà «Sofia si adegua...» . Le abbiamo chiesto di scriverci qualche mail per raccontarci come sta andando il suo anno in Canada e magari pubblicarla. A lei questa richiesta deve essere sembrata vecchia come l’idea romantica di una lettera con busta per posta aerea: «Datemi spazio nel vostro blog» ha replicato. Eh già, questa scelta si impone per stare al passo con il ritmo di Sofia. Anche se speriamo di non abbandonare mai la carta perché ci sentiamo davvero #paperlovers, stiamo lavorando per sbarcare nel web e pubblicare le molte informazioni e le tante foto che scattiamo e non trovano posto su queste pagine. E quindi... buon viaggio, Sofia, e arrivederci nel web! #altrametamagazine 39


Alexandra, Milena e le Farfalle:

le campionesse del Grand Prix sono pronte a stupire

Si svolge a Padova l’edizione 2018 del Grand Prix Antenore Energia il Galà di Ginnastica più atteso dell’anno

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niziamo dall’atleta con il nome più difficile da pronunciare: Alexandra Agiurgiuculese. Un nome noto, non solo agli appassionati di ginnastica ritmica e artistica, grazie ai video che nel web mostrano l’esecuzione dell’esercizio con la palla che le è valso la medaglia di bronzo ai Campionati Mondiali di ginnastica ritmica 2018. Nata in Romania nel 2001, ha iniziato a sei anni a praticare la ginnastica artistica nella sua città di origine, arrivando a gareggiare in competizioni a livello nazionale già all’età di otto anni. In Italia arriva insieme ai genitori, che si sono trasferiti per lavoro, ma per potersi allenare al meglio Alexandra ha anche vissuto con la sua allenatrice Spelea Dragas. In rete potete trovare un video che racconta quanto sia stato complesso per la sua allenatrice rivestire il duplice ruolo di seconda mamma ma che ci fa capire quanto la lunga lista di vittorie e l’altissimo livello raggiunto da questa atleta, sia frutto di anni di lavoro non solo suo ma anche di chi la allena e del sostegno della sua famiglia. Con lei, l’8 dicembre, alla Kioene Arena a Padova, vedremo altre stelle della Ritmica, reduci dai recenti trionfi ai Mondiali di Sofia 2018. Saliranno in pedana Milena Baldassarri, argento individuale nel nastro e bronzo nella gara a squadre insieme alla stessa Alexandra e ad Alessia Russo, e le straordinarie Farfalle della Squadra Nazionale italiana di Ritmica al gran completo insieme all’allenatrice più vincente di sempre Emanuela Maccarani, che hanno concluso la manifestazione iridata con un oro nella gara con 3 palle e 2 funi, un argento nel completo e un bronzo nei 5 cerchi. Tantissimi altri atleti in arrivo grazie a questa manifestazione che negli anni passati si è tenuta in varie città sparse per l’Italia e ha sempre visto gli stadi che l’hanno ospitato registrare il tutto esaurito. Molte le iniziative che accompagneranno questo evento, prima fra le quali l’ingresso gratuito ai Musei Patavini per coloro che acquisteranno il biglietto per l’ingresso al Grand Prix di Ginnastica, segno che nuovamente il Comune di Padova, attraverso l’opera degli Assessori alla Cultura e allo Sport, desidera volgere il grande afflusso di pubblico delle manifestazioni sportive a favore dell’intera città.

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